bocciardo - Salvastorie

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bocciardo - Salvastorie
BOCCIARDO
Dalla manifattura
alla fabbrica del sapere.
TESTIMONIANZE
Se volessimo leggere con una punta di malizia i termini della questione:
dalla fabbrica alla scuola dovremmo pensare a due termini inconciliabili,
o da mettere rigorosamente in sequenza (invertendo i termini). La realtà
formativa di oggi ci impone di guardare con occhio attento sia alla storia
formativa e produttiva del territorio, cogliendone le emergenze più significative, i nessi e le implicazioni, sia alle prospettive della scuola e del
lavoro del futuro, per coglierne le opportunità dentro e oltre le difficoltà
del presente.
In questo senso fabbrica e scuola si richiamano costantemente, in qualche modo seppur ancora troppo timidamente danno ragione di sè vicendevolmente, in quel percorso di senso che l’alternanza scuola - lavoro
sta faticosamente costruendo.
Scuola e fabbrica sono state troppo distanti e indifferenti l’una dell’altra,
sino a giungere al paradosso di un riordino dei cicli scolastici che ha quasi cancellato le ore di laboratorio dai professionali e dai tecnici senza sostituirle o affiancarle con robuste esperienze di inserimento in azienda.
Oggi non può e non deve essere più così, e i lavori come questo possono
essere uno stimolo importante per una riflessione nuova sul tema, per
non perdere l’occasione di parlare ancora una volta del lavoro che è cultura e dello studio che è in sé esperienza di lavoro e per sé una porta che
fa transitare al lavoro.
Nei nostri tempi che molti definiscono “liquidi” credo che la riflessione
sulla scuola”fondata sul lavoro”, tutta dentro lo spirito della Costituzione del nostro paese sia un richiamo alla solidità del principio politico e
sociale che ancora ci tiene uniti e alla vitalità delle nostre radici civili e
sociali a cui conviene sempre riferirsi per formulare una parola di futuro
e di prospettiva per i giovani di oggi e non di meno anche per coloro che
hanno compiuto la loro strada nell’impegno lavorativo e oggi sono impegnati, con la ricchezza dell’esperienza a leggere criticamente gli eventi, i progetti, i protagonisti che transitano sulla scena della nostra città
e del mondo.
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I testimoni del cambiamento storico sono quindi nostri preziosi alleati perché sono custodi ed interpreti della memoria diventando in qualche
modo propositori di chiavi di lettura del futuro: ricostruendo il passato
ci danno la possibilità di immaginare il domani, anche per superare dicotomie ormai sterili, come quelle fra scuola e fabbrica, o per impostare
alleanze nuove per il bene comune. Conoscenza e lavoro sono alla base
della buona riuscita di ogni attività umana, da sempre. Raccontare con
immagini e testimonianze, come si fa in questo lavoro, il cambiamento
sociale. economico urbanistico di una parte di Genova è un atto di grande valore civile che contiene in nuce un progetto di città, un disegno di
società, una voglia non sopita di partecipazione. Buona lettura e grazie
per l’impegno.
Sergio Rossetti
Assessore Istruzione, Formazione, Università
Regione Liguria
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Nota introduttiva del curatore
L’idea di questa iniziativa, nasce da una conversazione, a margine della premiazione per la Borsa di Studio su “Rappresentanza e valori delle
Società di Mutuo Soccorso”, destinata alle alunne e agli alunni che, lo
scorso anno scolastico, frequentavano le classi V superiori degli Istituti
che insistono sul territorio della Val Bisagno.
“Sa – mi ha detto la Preside del Firpo-Buonarroti, professoressa Giuseppina Manildo – al posto di questa scuola c’era la conceria Bocciardo: una
grande fabbrica di cui spesso, da bambina, mi parlava mio padre. Sarebbe interessante poterlo spiegare ai ragazzi, far loro conoscere questo processo di cambiamento.” Mi è parsa un’ipotesi di lavoro intrigante,
che potesse mettere assieme un messaggio intergenerazionale con la
ricostruzione della memoria di un evento che ha trasformato una porzione del territorio di Genova, un modo per contribuire, in maniera seppur parziale, alla costruzione del museo della Città e della Val Bisagno.
Una ricerca iniziata come una piccola scommessa, e, via via, cresciuta
grazie, soprattutto, al favore e alla disponibilità che ho registrato tra coloro che, a quel tempo, dai loro diversi punti di osservazione, avevano
agito questa esperienza.
Un’esperienza positiva di riqualificazione del territorio: da una fabbrica
manifatturiera ad una fabbrica della conoscenza, a dimostrazione che
non è fatalmente scontato che alla dismissione di un’industria debba,
per forza, corrispondere la costruzione di un centro commerciale!
La Bocciardo una fabbrica fortemente inquinante, - c’è chi ricorda le acque rosse del torrente Bisagno - ed anche pericolosa: nel 1978, a causa
dell’ improvviso espandersi di vapori tossici, morirono quattro operai!
La Fabbrica fu fondata nel 1861, quando la zona era assai periferica rispetto alla città ( il toponimo di marassi ha origine antichissime “mar” radice greca che indica palude, e “asc” suffisso ligure che indica acqua, acquitrino instabile, pericoloso, temuto dagli abitanti) dal giovane Sebastiano
Bocciardo, che, impiegato presso la conceria di Bernardo Olivari, in zona
Marassi, ne sposò la figlia, Colomba, ed iniziò la propria attività in un
piccolo capannone, in quella che, oggi, è piazza Romagnosi.
Morta la moglie e con lei il figlio, Sebastiano sposò in seconde nozze Elisa
Beker, da cui ebbe tre figli: Arturo, Giovanni e Sebastiano.
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Arturo, dopo la laurea in ingegneria, dimostrò grandi doti imprenditoriali: nel 1907 assunse, con successo, la direzione degli stabilimenti meccanici di Sestri Ponente e, durante la prima guerra mondiale, venne chiamato a far parte del gruppo di dirigenti industriali che collaborarono,
prima, con le autorità militare e, in seguito, si occuparono del processo
di riconversione dell’industria bellica.
Nel 1930, Arturo assume l’incarico di Presidente delle Acciaierie di Terni, nel 1933, diventa senatore, e, nel 1936 viene nominato Presidente di
Finsider, carica che sanzionò definitivamente la sua posizione di primissimo piano nell’economia politica del Governo.
I successi del fratello, obbligarono Giovanni, dal 1901, ad assumersi il
compito di condurre la conceria, dopo una carriera nell’ambito del footbal, che lo aveva visto protagonista, come mezz’ala sinistra del Genoa,
vincere due scudetti nel 1898 e nel 1900. Una famiglia dai variegati interessi, la famiglia Bocciardo, visto che Emilio, il terzo rampollo, prima
di entrare nell’Azienda paterna come direttore amministrativo, compì
studi artistici a Venezia e, in seguito, all’Accademia Ligustica di Genova,
iniziando ad esporre i suoi lavori nel 1897, fino alla sua prima “personale”
nel 1929.
La scelta fatta da Emilio di non vendere le proprie opere, ma di regalarle
a parenti ed amici, ne impedì la più ampia conoscenza presso il pubblico
e la critica, ciò nonostante nel marzo 2012 è stata allestita, a Genova,
una mostra antologica dal titolo “Alla riscoperta di un artista ligure”, dedicata alle sue opere.
Ai Bocciardo subentrarono i Cameli, che chiusero la fabbrica, ormai trasferita al giro del Fullo. In quest’area industriale, per lungo tempo in stato di abbandono, è nata l’ultima scuola progettata e costruita in provincia di Genova: una “cittadella dell’istruzione” che ha riunito in un’unica
struttura studentesse e studenti prima disseminati in vari edifici, di proprietà privata, in via San Vincenzo, via Milano e Genova Quarto.
Questa ricerca, scaturita dalla sollecitazione della professoressa Giuseppina Manildo, si è sviluppata grazie al contributo della testimonianza
dell’architetto Traverso, che ha progettato un istituto scolastico con un
metodo innovativo e con l’intenzione di coinvolgere i futuri fruitori dello
stesso: una scuola per la quale si sono pensati e realizzati spazi, come
la palestra e l’auditorium, aperti all’utilizzo da parte delle Associazioni e
della cittadinanza della Val Bisagno.
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Ringrazio l’ingegner Allodi che ha diretto un cantiere assai impegnativo,
stretto fra due arterie di traffico ad alta circolazione, e che ci ha voluto
raccontare questa difficile esperienza.
Ringrazio ancora, l’architetto Costanzo che su questa vicenda urbanistica ha impostato la propria tesi di laurea; Renzo Miroglio in quegli anni
Segretario CGIL dei Chimici, che ha offerto uno sguardo d’insieme, di
contesto, e una lettura della vocazione del territorio della Val Bisagno
più propensa ai servizi che all’industria; Laura Miserocchi, presidente
del Centro Culturale Terralba, che, attraverso il rapporto fra collettività e
scuola, ci ha offerto un prezioso contributo sull’interazione fra territorio
ed insediamento scolastico; Pietro Ciliberto, in quegli anni rappresentante sindacale della CGIL, e Giancarlo Fabiani, entrambi profondi conoscitori della fabbrica e protagonisti della sua lunga occupazione, Carlo
Gallinotti, ex studente della Firpo Buonarroti, oggi dirigente sindacale
della Fisac CGIL, che diede vita all’occupazione, anche se per poche ore,
non della fabbrica, ma della scuola, alla vigilia del Natale del 2000.
Un ringraziamento particolare va alla RAI, al suo telegiornale regionale,
al Direttore Massimo Ferrario, e a Giorgio Fabbri, che mi hanno consentito di prendere visione e di raccogliere le immagini dei servizi che, nel
corso degli anni, seguirono la storia della Bocciardo.
Infine ringrazio la regione Liguria per il patrocinio offerto, e l’assessore
Rossetti per il contributo e l’attenzione manifestata.
Un’ultima ma doverosa riflessione sul perché il Sindacato Pensionati della CGIL abbia voluto impegnarsi in questa ricerca e organizzare l’iniziativa in oggetto.
Lo scorso anno, nel 2013, quasi novemila pensionate e pensionati di Marassi, San Fruttuoso e Quezzi si sono rivolti allo Spi Bassa Val Bisagno
per ottenere supporto ed avviare pratiche di carattere previdenziale e
assistenziale.
Questa è la prima vocazione della nostra Organizzazione, che opera sul
territorio nella tutela di una fascia di popolazione, quella anziana, che, in
questi quartieri, rappresenta ormai un terzo dei residenti.
Questa attività si regge sul contributo essenziale di volontarie e volontari, a cui va, anche in questa circostanza, il giusto riconoscimento per il
senso di responsabilità civile che esprimono.
Tuttavia lo Spi CGIL vuole essere, nel contempo, attore e strumento di
dialogo con il territorio insieme alle Associazioni, al Tavolo distrettuale
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sociale, alla Azienda Sanitaria Locale per testimoniare ed essere partecipe del cambiamento sociale, soprattutto attraverso il rapporto con i
giovani delle scuole pubbliche, per affermare il valore dell’intergenerazionalità e anche della trasmissione della memoria
Come si sa non c’è identità senza memoria, e questo interscambio costituisce il metodo migliore per far crescere la consapevolezza e l’attualizzazione di “valori” che rinsaldino la coesione sociale, la democrazia e
combattano le troppi forti disuguaglianze che caratterizzano il nostro
Paese.
Piero Repetto
Responsabile Spi CGIL Bassa Val Bisagno
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Cartolina pubblicitaria della ditta G. B. Signo & Figli.
Specializzata in concia e manifattura in corami.
Avente la propria sede a Marassi ex comune autonomo.
Nella cartolina come si può vedere sono stati cancellati il nome e l’attività della ditta; in effetti la cartolina è
stata spedita dal Club Rispetto e Libertà che era probabilmente una delle tante associazioni risorgimentali.
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Intervento di Laura Miserocchi
Presidente del Centro Culturale Terralba
L’oggetto di questa giornata sono le vicende della Conceria Bocciardo ed
il suo rapporto con il territorio che la ospitava, il Comune di Marassi, oggi
parte del più ampio Municipio della Bassa Val Bisagno.
Un Comune a vocazione essenzialmente agricola, prima che il Piano di
Sviluppo del Barabino destinasse la Valle, in una divisione funzionale del
Territorio genovese (che andava oltre l’entità amministrativa Comunale),
a essere fornitrice di servizi al Centro cittadino (dalle bugaixe di Quezzi
ai besagnini che portavano i prodotti dei loro orti nei mercati genovesi).
L’insediamento della Conceria, nel 1861, disegnò un’inedita prospettiva
industriale per la vallata, che ben presto vide il moltiplicarsi di aziende
dedite all’attività della concia.
Lo sviluppo urbanistico abitativo che dalla fine dell’800 ha investito,
in maniera sempre più tumultuosa, tutte le zone che un tempo erano
“lontane periferie”, ha portato la Bocciardo (come lo stabilimento delle
Officine Elettriche Genovesi, come lo Stadio, come nell’alta Val Bisagno
il Colorificio Boero) a trovarsi in oggettivo conflitto con i bisogni dei residenti, accentuati quest’ultimi dal positivo diffondersi dell’attenzione
collettiva ai temi della salute e dell’ambiente.
Non a caso nell’ultimo quarto dello scorso secolo nella profonda trasformazione urbanistica (in parte non completata) della nostra città, in
coerenza con un forte indebolimento della sua vocazione industriale a
favore di attività commerciali e dedicate ai servizi, o di speculazioni edilizie, le aree occupate da antichi e meno antichi stabilimenti vengono
liberate e riconvertite, come pure accade a zone abitative in degrado, la
cui nascita era stata per l’appunto conseguente ad insediamenti manifatturieri.
Quello che distingue la vicenda della Bocciardo è proprio la sua, per certi
versi inedita, destinazione finale: non l’ennesimo Centro Commerciale
(come accaduto all’area che si trova quasi di fronte, sull’opposta sponda del Bisagno, quella per intenderci del Centro Il Mirto), non l’ennesima
speculazione abitativa, ma uno spazio complessivamente messo al servizio del Quartiere, del Comune: in poche parole della collettività.
E quindi una migliore sistemazione logistica del Mercato di Piazza Ro~ 11 ~
magnosi, e quindi un buon numero di parcheggi, a lenirne il bisogno di
una zona centrata sull’edilizia minuta del primo Ottocento, e quindi, soprattutto, una Scuola di Istruzione Superiore, in parte votata alle attività
turistiche in parte a quelle costruttive.
In sintesi, come passare felicemente da una Fabbrica Manifatturiera
ad una Fabbrica di Cultura per la Collettività di riferimento.
Dobbiamo questo esito positivo, ed inedito, alla lungimiranza degli Enti
locali, in particolare per l’accoglimento dell’ISSS Firpo – Buonarroti,
all’Amministrazione Provinciale in carica nei primi anni’90.
La dimostrazione che, con buona volontà e capacità di elaborazione di
idee non scontate, si può fare dell’ottima programmazione sul territorio.
La scuola dunque, una ricchezza per chi la ospita, un capitale su cui investire, come da tempo purtroppo non accade a livello di Governo centrale.
Allora, come far interagire territorio collettività ed istituzione scolastica,
in un circolo virtuoso, che sia poi virtuoso soprattutto per chi nella scuola costruisce un’ipotesi per il proprio futuro, cioè gli studenti?
Qui possono venire in aiuto alcuni elementi su cui vorrei richiamare l’attenzione di tutti:
• l’ISSS Firpo-Buonarroti è, insieme all’Istituto Comprensivo Terralba
(ex Parini-Merello), l’unico polo scolastico che ha spazi da mettere a
disposizione della collettività (auditorium e palestre regolamentari);
•entrambe le scuole hanno una tradizione di impegno dei propri studenti al di fuori delle aule scolastiche in attività non tradizionali, penso
ai concerti aperti al pubblico degli alunni della Sezione Musicale per
Terralba, alla partecipazione alle Giornate del F.A.I. in qualità di Apprendisti Ciceroni da parte degli studenti del Firpo-Buonarroti;
• il Territorio del Municipio è ricco di un associazionismo culturale vitale
e propositivo;
• l’avvio della Città Metropolitana dovrebbe portare, il condizionale in
questi casi mi pare dovuto, ad un ruolo più incisivo del Municipio (con
più poteri e risorse) nella gestione del Territorio di propria competenza.
Penso, per essere chiara, alla possibilità di lavorare tutti insieme ad una
ricostruzione della storia dei quartieri presenti nel Municipio, partendo
dai manufatti di diverse epoche presenti nelle nostre vie e piazze.
Partendo da Borgo Incrociati, che mantiene la struttura medievale, si
può passare all’area da Piazza Artoria fino al Chiappazzo, che è quell’e~ 12 ~
sempio di edilizia minuta dell’800 di cui accennavo prima, o ancora procedendo verso Levante si possono seguire le tracce del Ponte di Sant’Agata, costruito in più fasi e con diverse tecniche, che innervava l’intera
San Fruttuoso inserendosi nel percorso dell’Antica Via Romana.
Per non parlare di Villa Imperiale, del Monte, presenza pre-romana nella
storia dei due principali quartieri (Marassi e San Fruttuoso, per l’appunto), delle fortificazioni o della vallata del Fereggiano con Egoli e Quezzi.
Percorsi diversi per Storie diverse, dalle battaglie tra Ghibellini e Guelfi
che opponevano Quezzi a Marassi, alla coltivazione degli orti, ai mestieri
diversi, alle trasformazioni dell’ultimo secolo che investono anche zone
più moderne come Corso Sardegna (avete presente che ci passava un
treno a vapore che collegava la Stazione con il Mercato Ortofrutticolo e
la discarica dei rifiuti della Volpara?).
Ma che hanno in comune il tratto di far conoscere il passato a chi oggi
si costruisce il futuro studiando (offrendogli un’occasione di mettersi
alla prova come “cicerone”), a chi abita questa porzione della città ma
non ne conosce buona parte, e insomma di praticare quella trasmissione della memoria di cui parlava Repetto nella sua Introduzione a questa
iniziativa.
Da parte dell’Associazionismo oltre a idee, capacità progettuali e di interlocuzione con le Istituzioni, si possono mettere a disposizione saperi
e conoscenze nel campo costruttivo e storico, ma soprattutto, in parallelo ed in collaborazione con lo SPI, persone, donne e uomini, che con
il racconto del loro vissuto possono infondere carne e sangue, in una
parola vita, in un’attività di ricostruzione culturale che non può essere
fredda ed astratta. Nella possibilità di mettere così in circuito la Scuola, il
Territorio e le voci, le intelligenze che questo esprime (l’associazionismo
culturale, la Lega dello SPI) vedo un modo per costruire un rapporto a
somma positiva tra la Fabbrica del Sapere e la collettività che la ospita, un netto passo in avanti rispetto allo scambio del passato quando la
Fabbrica Manifatturiera offriva lavoro ma dava anche inquinamento e
danno ambientale.
Ovviamente, perché questo circuito venga costruito ci vuole una regia
forte, che contribuisca (in tutti i sensi, auspicabilmente) a costruire un
contesto in cui inserire le iniziative che di volta in volta i soggetti cui ho
accennato prima articoleranno in progetto. Parlo dell’istituzione di vicinanza che è il Municipio, la cui importanza e capacità di incidere sul
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Territorio dovrebbe aumentare dalla costituzione ormai imminente della Città Metropolitana, per equilibrare l’allontanamento dalla collettività
genovese della “nuova” figura di Sindaco che questa delinea.
E ci vuole una volontà di apertura al Territorio e alla collettività che lo
abita da parte di chi gestisce e dirige l’Istituzione Scolastica, pur nell’ovvio equilibrio con il preminente compito di istruzione ontologicamente
connesso all’essere Scuola, volontà che siamo fiduciosi non mancherà a
chi assume in questi giorni il ruolo di Dirigente Scolastico dell’ISSS Firpo
– Buonarroti.
Oggi comunque possiamo solo ringraziare la lungimiranza di chi ventuno anni fa ha deciso di trasformare un rudere industriale e cadente in
un efficiente polo scolastico, e quindi culturale, e lo SPI Cgil che ci ha dato
questa preziosa occasione di studio e riflessione su cosa siamo stati, su
cosa siamo e su cosa potremmo essere in un futuro anche ravvicinato.
La fabbrica agli inizi novecento.
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Appunti per Bocciardo
I genovesi della mia età se lo ricordano bene, ma i più giovani faticano
ad immaginare che dove oggi sorge il complesso scolastico ci fosse una
fabbrica, una fabbrica storica, importante nel suo ambito merceologico:
la conceria Bocciardo.
L’abbattimento della vecchia struttura (1 settembre 1997) è stato un
evento che si ricorda per la spettacolare e innovativa (per allora) tecnologia utilizzata: l’implosione che ha fatto ripiegare su se stesse mura e
tetti senza danni per le abitazioni limitrofe.
Ma la Bocciardo si ricorda per altri aspetti, uno positivo, l’altro negativo.
L’aspetto positivo si ricava dall’importanza di quell’insediamento industriale risalente all’ottocento, una delle non tantissime attività industriali presenti nella valbisagno del ‘900:
Vale la pena ricordare, infatti, come lo sviluppo urbanistico, industriale
e sociale di genova sia nel primo dopoguerra che nel secondo, si sia caratterizzato con una marcata divisione territoriale delle funzioni: il polo
produttivo industriale assegnato al ponente cittadino e alla valpolcevera
e le funzioni di servizio insediate in val bisagno.
Infatti, risalendo la vallata da brignole, incontravamo
1. Il mercato ortofrutticolo all’ingrosso in corso sardegna, (solo recentemente trasferito a bolzaneto)
2. Lo stadio comunale a marassi
3. Il carcere a marassi
4. Il più esteso e monumentale cimitero cittadino a staglieno
5. Il forno inceneritore per rifiuti solidi urbani alle gavette, poi chiuso
per ragioni ambientali.
6. Le officine di produzione del gas da città alle gavette, poi trasformate, con il subentro del metano, dapprima in depositi, poi in area
direzionale e rimessa degli autobus.
7. L’officina di riparazione dei mezzi pubblici di trasporto (officine guglielmetti) a ponte carrega, ormai dismessa.
8. I macelli comunali a cà de pitta.
9. L’istituto doria, storica grande casa di riposo per anziani a struppa
(ex ipab - ist. Per assistenza e beneficenza -), ora in parte gestita
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dall’istituto brignole e in altra parte trasformata in piastra ambulatoriale della asl 3 genovese.
Come si vede, ampi spazi di territorio erano e ancora sono destinati ad
attività di servizio per tutta la città e la provincia.
Attività che peraltro pesavano in termini di servitù e disagi prodotti al
territorio, come mercato ortofrutticolo, carcere, stadio, o destavano
preoccupazioni di ordine ambientale come il forno inceneritore.
A queste attività si affiancava una presenza industriale minima ma anche essa con problematiche di compatibilità ambientale.
Le imprese industriali di qualche rilevanza erano infatti relativamente
poche: tra le piu’ importanti lo stabilimento del colorificio boero di molassana, oggi trasferito oltre appennino, la martignoni, sempre di molassana (esplosivi, cartucce da caccia), la irel (impianti di telecomunicazione), l’italcementi e la moltini di ponte carrega e appunto la Bocciardo,
conceria. Di queste, solo martignoni e moltini sono tuttora presenti e
attive in val bisagno. (La differenza rispetto ad oggi è che anche la val
polcevera è diventata zona di servizi con il drastico ridimensionamento
delle presenze inustriali).
L’insediamento della Bocciardo, quindi, contribuiva ad attenuare la vocazione eslusivamente terziaria della vallata, con le relative ricadute sugli assetti sociali del territorio.
I suoi proprietari, prima la famiglia Bocciardo, poi la famiglia cameli, godevano di prestigio nel mondo dell’economia. Le disavventure finanziarie di cameli (gruppo gerolimich), le condizioni del mercato della concia
e l’obsolescenza ed inadeguatezza degli impianti dello stabilimento di
via canevari, a partire dalla superata struttura verticale dell’opificio con
conseguente inadeguata disposizione per piani delle linee di produzione
(layout), hanno condotto prima allo spostamento della produzione in un
nuovo e moderno impianto al giro del fullo, poi alla definitiva chiusura.
Tuttavia l’abbandono dello stabilimento di marassi non fu dovuto solo
alle cause sopra esposte ma anche dalla maggiore sensibilità della comunità in materia di ambiente e sicurezza del territorio circostante, rafforzata purtroppo da un tragico episodio di incidente sul lavoro per fuoruscita di esalazioni velenose.
Il 19 settembre 1978, un’operazione sbagliata di scarico da un’autobotte
di solfato di cromo (materia prima indispensabile per il tipo di conciatura
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delle pelli in Bocciardo) in una vasca contenente solfidrato di calcio, scatenava una reazione chimica con formazione di acido solfidrico che uccideva tre operai e avvelenava gravemente altri lavoratori della conceria.
La responsabilità della tragedia fu inizialmente addebitata all’autista
dell’autocisterna, ma la vicenda giudiziaria che ne segui’ accerto’ le responsabilità della direzione e dei preposti in quanto non ottemperanti
alle norme in materia di sicurezza del lavoro, con l’omissione di informative e precauzioni volte ad evitare manovre errate che potessero produrre effetti letali.
Come purtroppo abbiamo già detto, la costruzione di un nuovo stabilimento moderno e sicuro in alta val bisagno non ha impedito che la Bocciardo cessasse l’attività pochi anni dopo sia per problemi finanziari del
gruppo sia per ragioni di mercato, con grave perdita di posti di lavoro.
Renzo Miroglio
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Una fonte documentale: la tessera per il ritirodelle buste paga.
Tessera per il ritiro di Buste di competenze (buste paga) di un dipendente della fabbrica per la concia delle pelli,
che per oltre un secolo ha dato lavoro a moltissime famiglie della zona di Marassi.
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Lavorare in Bocciardo: due testimonianze
Giancarlo Fabiani e Pietro Ciliberto
Giancarlo Fabiani, assunto in Bocciardo nel gennaio del 1958, racconta
di una fabbrica dove non vigevano le tutele e le garanzie della Legge 300
del 1970, lo Statuto dei Lavoratori.
I suoi racconti di come si viveva in fabbrica in quei tempi sono molto
istruttivi, soprattutto oggi che, ancora una volta, si vuole manomettere questa legge e, dopo quarantaquattro anni, ricacciare oltre i cancelli
delle fabbriche e dei posti di lavoro i diritti costituzionali introdotti dallo
Statuto.
Racconta Giancarlo, che, ai tempi della sua assunzione, dentro le mura
della conceria vigeva un clima da caserma, di intimidazione verso le maestranze, ben rappresentato dal capo del personale che, non a caso, era
un ex colonello dell’esercito.
Nel 1955 e 1956, i sindacalisti e coloro che “non piacevano”alla proprietà
venivano arbitrariamente licenziati, senza alcun giustificato motivo, e,
qualora riassunti, “godevano” di un contratto trimestrale che, ad insindacabile giudizio della Direzione, poteva essere rinnovato o meno.
Nella stessa azienda, e a parità di carico di lavoro, questi operai percepivano una paga ridotta sino al 50% del cottimo rispetto ai colleghi di
reparto.
Pur essendo trascorsi sessant’anni, è facile rilevare qualche significativa
analogia con le odierne quarantasei tipologie di contratto che, oggi, regolano il lavoro precario!
Tutti, comunque, lavoravano in condizioni ambientali insalubri.
Giancarlo Fabiani fu, appunto, fra i tredici lavoratori intossicati a causa
dell’incidente che provocò, nel 1978, la morte di quattro operai.
Impressiona come a distanza di tanti anni, un simile incidente si sia verificato il 22 settembre del 2014, ad Adria (Rovigo) dove hanno perso
la vita quattro lavoratori nelle medesime condizioni, a dimostrare che
la sicurezza sui posti di lavoro rimane un problema drammaticamente
aperto nel nostro Paese.
La Bocciardo fu teatro di epiche lotte per migliorare le condizioni di lavoro e rivendicazioni salariali: centootto giorni di sciopero e l’occupazione
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della fabbrica, che durò per cinque anni dopo la chiusura dello stabilimento, ormai trasferito.
Senza salario e Cassa integrazione per i primi diciotto mesi, le lavoratrici
e i lavoratori della Bocciardo poterono continuare la loro lotta grazie alla
solidarietà della cittadinanza.
Nel frattempo le forze politiche di sinistra che in allora ricoprivano anche
ruoli istituzionali a Genova, primo fra tutti il sindaco Fulvio Cerofolini, si
mobilitarono per trovare altre opportunità per i dipendenti della Bocciardo, ormai senza più lavoro.
Nel 1973, infatti, inizia il processo di disimpegno della Proprietà rispetto
alla fabbrica.
Le ragioni di ciò e il conseguente declino e poi chiusura della conceria,
vanno ricercate, in primo luogo, nella suddivisione internazionale delle produzioni con la conseguente localizzazione delle attività maggiormente inquinanti in quei Paesi del terzo mondo dove le norme di tutela
dell’ambiente e delle maestranze erano meno vincolanti e la sostenibilità un concetto, come succede spesso anche oggi, da declinare con criteri
di stile “coloniale”.
Un’altra causa è da ricercarsi nell’emancipazione dei Paesi produttori di
materie prime che iniziavano, in quei tempi, ad assumere le lavorazioni
in proprio delle stesse.
Giancarlo Fabiani, sebbene comunista e sindacalista, grazie alle sue
competenze e all’impegno nel lavoro, che, fra l’altro gli costò la falange
del pollice destro, schiacciata tra i rotoli di una macchina che strizzava
le pelli, divenne, comunque, a trentotto anni “capo reparto” per volontà
del collega uscente che, nonostante tempestosi scontri sindacali, ne riconobbe i meriti.
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Quando Pietro Ciliberto venne assunto alla Bocciardo, nel febbraio del
1969, aveva ventidue anni, la conceria di via Canevari era la prima in Europa e l’Italia lavorava un quarto della produzione mondiale di pelli.
Assunto con la qualifica di rifinitore, venne successivamente inquadrato
in quella che era considerata la posizione più professionale della fabbrica, classificatore delle pelli finite, mansione che si svolgeva al termine
della lavorazione attraverso i sette piani della manifattura.
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In quegli anni, in cui i lavoratori più competenti e qualificati venivano anche eletti nelle strutture sindacali aziendali, nel ’76 entrò nel Consiglio di
Fabbrica e, pur fruendo del distacco sindacale, volle sempre mantenere,
almeno per alcune ore al giorno, la propria mansione lavorativa per continuare ad avere un contatto costante con i processi di produzione e con
le operaie e gli operai che erano coinvolti nelle varie fasi di lavorazione.
A quel tempo l’azienda occupava quasi mille dipendenti, di cui circa la
metà donne, e per oltre il 90% iscritte e iscritti alla CGIL.
La proprietà, passata dai Bocciardo alla famiglia dell’armatore Cameli,
nel 1973 cominciò un’operazione di ridimensionamento occupazionale e, l’anno successivo, decise ed iniziò il trasferimento della fabbrica a
Struppa, al giro del Fullo, concludendolo nell’aprile del 1983.
Nel frattempo, l’area dell’ex stabilimento di via Canevari veniva venduta
al Comune di Genova.
Nel giugno del 1985, proprio Pietro Ciliberto, sempre molto attento alle
intenzioni della Proprietà, si accorse, per primo, quando ancora la decisione non era stata ufficializzata, che la stessa stava disponendo la chiusura dello stabilimento, non per problemi di mercato, ma per “cessata
attività”.
Per ben cinque anni gli ultimi centoventisei dipendenti diedero vita
all’occupazione della fabbrica, giorno e notte, non percependo, nei primi
diciotto mesi, nè stipendio né assegno di cassa integrazione.
Per resistere poterono contare sulla solidarietà di altri lavoratori e dei
cittadini genovesi che si impegnarono a raccogliere generi alimentari
ma anche soldi, sino ad arrivare alla cifra di cinque milioni di lire.
I viaggi a Roma, al Ministero del Lavoro, Ciliberto li pagava di tasca propria, e fino al 1990 rifiutò altre opportunità di lavoro poiché lo avrebbero
inevitabilmente distolto dalla vertenza della Bocciardo.
Finalmente, nel giugno del 1987, arrivò la sospirata Cassa Integrazione
Guadagni!
L’occupazione si concluse..., resta la memoria di una vertenza vissuta solidalmente con la città, in difesa del lavoro, quale strumento di affermazione di dignità, oltre che fonte di reddito e sostentamento.
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Una breve, ma molto intensa,
esperienza di lotta
Era un sabato del dicembre 2002. Mentre i bombardieri degli Stati Uniti
e del blocco occidentale bombardavano l’Iraq, gli studenti del Firpo Buonarroti avevano deciso di aderire alla mobilitazione cittadina e di partecipare al grande corteo studentesco. Quel giorno sarebbe stato l’ultimo
prima della chiusura delle scuole per le vacanze natalizie. A Brignole un
gruppo composto sia da studenti del turistico che del geometri, decideva che avrebbe occupato la scuola. Durante le vacanze. L’ambizione era
quella di dimostrare che il loro obiettivo non era perdere qualche giorno
di lezione, ma dimostrare con tutti i mezzi politici di cui potevano disporre il loro netto rifiuto della guerra. Una piccola “cellula” disertò così
lo sciopero per rimanere a scuola al fine di lasciare aperta, leggermente
accostata, una finestra del primo piano. A corteo finito, il piccolo gruppo,
sfruttando il buio dei pomeriggi invernali, riuscì a entrare nell’istituto.
Si trovarono così a dover guardare l’edificio in cui passavano più tempo
che in famiglia con occhi diversi: davanti a sé non avevano una scuola,
bensì un campo di battaglia. Andavano serrati tutti gli accessi, staccate
le tante telecamere a circuito chiuso e bloccati gli ascensori. Incatenate
le porte d’emergenza e organizzati turni di guardia. Il giorno dopo, la domenica (di mattino presto), un’altra e più consistente parte degli studenti avrebbe dovuto raggiungere i primi ‘infiltrati’ e dato vita alla prima occupazione natalizia di cui si avesse memoria. Così non fu. La scuola che
per tanti anni era parsa come una prigione, con le sue inferriate e sistemi
di sorveglianze, si rivelò una trappola. Durante una perlustrazione del
piano interrato il gruppo aveva fatto la conoscenza con il figlio del guardiano, la cui famiglia viveva proprio lì! Il ragazzo, solidalizzando con gli
studenti, disse loro che mai e poi mai avrebbe denunciato il fatto. Però
era sabato, dunque chiese al gruppo di non sbarrare l’accesso esterno
per consentirgli di poter uscire con gli amici. Appena fuori chiamò il padre, che avvisò il preside, che avvisò la polizia (o i carabinieri, non ricordo). Nel giro di poche ore la scuola veniva sgomberata.
Carlo Gallinotti
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AREA EX BOCCIARDO:
UN’ESPERIENZA DI RIGENERAZIONE URBANA
VISSUTA DALLA PARTE DEI PROGETTISTI
Un po’ di storia
Si era alla fine degli anni 80 e della crisi economica nessun sentore, al
contrario si viveva la coda del boom economico dei decenni precedenti
in cui si distribuiva alle famiglie ricchezza accumulando il debito pubblico che oggi ci opprime.
Gli enti pubblici non erano pertanto costretti da spending review e investivano ancora in opere pubbliche.
Nel nostro caso la Provincia di Genova, nella persona dell’allora vice presidente e assessore all’edilizia pubblica Franco Rolandi, era alla ricerca
di un’area nel Comune di Genova per la costruzione di un nuovo edificio
scolastico per ospitare l’Istituto Firpo, ad indirizzo turistico.
La ricerca si concentrava soprattutto in val Bisagno in quanto zona della
città tra le più popolose e di ceto prevalentemente operaio: pur trattandosi di un’ amministrazione di orientamento progressista (allora la destra e la sinistra politica erano facilmente identificabili) si era consci che
l’accesso all’istruzione superiore da parte delle classi meno abbienti era
decisamente orientata non ai licei ma agli istituti professionali.
Da pochi anni l’ex conceria Bocciardo aveva chiuso i battenti smettendo
di inquinare il Bisagno e il Comune di Genova era diventato proprietario
dell’area su cui troneggiava ancora il vecchio stabilimento.
Su di essa alcuni gruppi immobiliari privati avevano pensato di investire
proponendo al Comune la demolizione del vecchio immobile e la realizzazione di quattro torri che si elevavano da un lungo e basso edificio
basso per ospitare negozi, residenze ed uffici.
Il progetto era già stato proposto con discrezione agli amministratori
comunali di allora che lo avevano accettato con favore, per cui gli uffici dell’Urbanistica non videro di buon occhio la richiesta della Provincia
di avere riservata una parte di quell’area per la costruzione dell’edificio
scolastico e fecero un po’ di resistenza.
Fortunatamente i buoni rapporti tra i componenti delle due Giunte (en~ 29 ~
trambe progressiste) e l’intervenuta ulteriore necessità di ampliare anche la sede dell’istituto per Geometri Buonarroti, spinsero il Comune a
cedere alla Provincia la parte terminale a nord dell’area, salvaguardando
il progetto privato prima descritto.
Le condizioni, economicamente più onerose per la Provincia, furono che
si dovevano rispettare i passi strutturali, gli allineamenti, le altezze del
progetto di sviluppo immobiliare che poi non fu più realizzato.
Per tale motivo, chi guarda l’attuale immobile, si chiede perché mai sia
posizionato in uno stretto triangolo tra due strade, sia carente di spazi
esterni ed abbia un lato cieco occupato dalle scale antincendio: a quel
lato senza finestre doveva essere appoggiata la costruzione del complesso immobiliare privato e le aree esterne dovevano ospitare le quattro torri.
Ovviamente ciò condizionò molto la progettazione come vedremo oltre.
La demolizione della vecchia conceria e il progetto partecipato
A cura della Provincia, come scambio di oneri per la cessione dell’area,
fu effettuata la demolizione del vecchio (e solidissimo perché ospitava
pesanti macchinari) immobile che, per quei tempi, fu un evento mediatico: era infatti la prima demolizione in città realizzata “all’americana”,
ovvero da una ditta specializzata in demolizioni di immobili con cariche
esplosive.
Per vederne un’altra simile si dovettero aspettare parecchi anni con la
demolizione del silos granario nel porto vecchio.
Ottenuta così un’area “vergine” e libera da cemento e da inquinanti vasche di prodotti chimici utilizzati per il trattamento delle pelli, iniziò il
processo di progettazione, con un po’ di timore da parte di noi giovani
progettisti incaricati (arch. Gabriella Innocenti, arch. Massimo Maldina e
il sottoscritto arch. Mauro Traverso che fece da capo gruppo).
All’inizio degli anni 90 non si parlava ancora di progettazione partecipata, ma l’entusiasmo di noi giovani architetti incaricati di un progetto
importante, la voglia (anzi l’obbligo) di dover fare bene perché all’altro
lato della strada il famosissimo architetto Gregotti di Milano aveva appena completato il nuovo rosso stadio di Marassi per conto del Comune,
ci portarono a definire il progetto non solo nel doveroso rispetto delle
precise norme tecniche nazionali, ma anche ad ascoltare i desiderata del
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corpo docente ed in particolare dell’allora Preside dell’Istituto Firpo che
organizzò un apposito gruppo di lavoro con i suoi professori.
Il progetto che ne derivò fu discusso con il corpo docente che lo approvò;
esso comportava una decisa gerarchizzazione degli spazi ed una distribuzione in due distinti ed autonomi blocchi di aule ed uffici onde poter
ospitare all’occorrenza non uno ma due istituti (infatti oggi ospita sia il
Firpo che il Buonarroti).
Data la localizzazione e l’esiguità dell’area si dovettero operare molti
compromessi:
-gli spazi esterni, assolutamente fuori degli standard ministeriali richiesti perché di fatto inesistenti per i motivi già narrati furono sostituiti da un piano pilotis libero
-per i parcheggi dei professori si realizzò un piano interrato ove furono
posti anche tutti i locali tecnici
-data l’esigenza di rispettare il numero di ore da dedicarsi all’educazione fisica, oltre alla normale palestra concepita per ospitare gare di
pallavolo per le serie minori, ci si inventò una seconda palestra all’aperto sul tetto dell’edificio da utilizzarsi nelle giornate di bel tempo.
Il sistema costruttivo utilizzato fu anch’esso al passo dei tempi perché
interamente prefabbricato sia nelle strutture portanti che nei pannelli di
chiusura esterni (solamente le ripartizioni interne furono costruite tradizionalmente) e questo comportò un notevole snellimento dei tempi di
realizzazione.
La ditta costruttrice fu infatti l’Impresa Pizzarotti di Parma, ancor oggi
tra le principali in Italia.
L’organizzazione interna e il colore esterno dell’edificio
Per chi non è mai entrato nell’edificio le aule normali si aprono ad ogni
piano in uno spazio centrale comune illuminato dall’alto da un grande
lucernaio.
Le aule speciali sono invece ospitate in quel corpo semi cilindrico che
si vede arrivando da Staglieno (site a nord per non avere illuminazione
solare diretta) e nello stesso corpo, al piano terra, sono localizzati l’auditorium e la biblioteca dotate (come la palestra) di ingresso autonomo
per poterli aprire al pubblico durante le ore non destinate all’attività didattica.
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Al piano primo trovano posto la presidenza e tutte le aule professori.
Ricordo che a fine lavori andai a fare un sopralluogo con il funzionario
comunale responsabile dell’Estetica Urbana per definire il colore da dare
all’edificio che già allora era di colore grigio chiaro, il colore del sottofondo steso dagli operai prima dell’applicazione della tinta vera.
Convenimmo entrambi che quello era il colore giusto perché ben si confrontava con il rosso dello stadio sito lì di fronte e dall’altro lato non incupiva le case di via Canevari che purtroppo per loro si erano viste costruire a poco più di 10 metri una simile barriera visiva.
Nessuno di noi due si immaginò che la conseguenza fu che le pareti restarono così senza tinteggiatura e che i ponteggi furono smontati.
L’attuale degrado estetico delle facciate non è quindi solo imputabile al
fatto che in venti anni non si è mai provveduto a fare alcuna manutenzione.
Le modifiche dopo l’inaugurazione
Inaugurato con soddisfazione di tutti ed in particolare del Preside, l’edificio subì di lì a poco una serie di trasformazioni peggiorative riguardanti
gli spazi esterni.
In primo luogo la Provincia fece installare una serie di brutte cancellate
che rammentano la presenza del vicino carcere di Marassi.
Si doveva evitare che sbandati e barboni utilizzassero il piano pilotis
come casa temporanea (il che poteva anche essere tollerato), ma anche
come servizi igienici e questo portò giustamente i genitori degli studenti
a protestare animatamente per il degrado.
La seconda modifica riguardò i selciati esterni che erano previsti in pietra naturale e che invece furono biecamente asfaltati, non per motivi
economici ma per motivi di pubblica sicurezza.
La Questura infatti temeva che i tifosi violenti utilizzassero la pavimentazione stradale come arma impropria svellendo lastre e blocchetti di
porfido per lanciarli contro la parte avversa secondo civilissimi riti sportivi cui spesso assistiamo ancor oggi.
Conclusioni
Questa è la storia dell’area della Bocciardo e di questo pezzetto di città,
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storia vissuta dalla parte di noi architetti che la città trasformano, certe
volte in modi criticabili.
In ogni occasione che transito da quelle parti sono attraversato da due
contrastanti sentimenti: uno di tristezza per le condizioni in cui versa un
edificio pubblico, per di più scolastico che dovrebbe essere di esempio
alle nostre nuove generazioni e che invece è l’immagine della crisi delle
nostre istituzioni; l’altro di orgoglio per aver contribuito a realizzare l’ultimo istituto scolastico di nuova concezione realizzato nella provincia
genovese.
Mauro Traverso
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Brevi note e ricordi sulle fasi di realizzazione
dell’edificio sede dell’I.S.S.S.
“Firpo - Buonarroti”
Nell’ambito della programmazione dell’edilizia scolastica, ed a seguito
di accordi tra comune di Genova e Provincia di Genova, parte dei volumi
del fabbricato “ex conceria Bocciardo” sono stati destinati a sede dell’istituto Firpo.
È stata quindi avviata, nel piano degli interventi dell’Amministrazione
Provinciale, lo progettazione per l’opera di trasformazione dei volumi
per l’inserimento di una scuola; dagli studi iniziali è stata esclusa la possibilità di utilizzo del corpo strutturale esistente, la cui specificità per la
destinazione precedente impediva di sfruttare le potenzialità del sito,
quindi la progettazione è stata indirizzata verso la demolizione con successiva ricostruzione.
Demolizioni
Parte edificio non demolita
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Esecuzioni di indagini sul terreno
La Provincia di Genova ha quindi appaltato la demolizione della porzione
di fabbricato compresa tra via Canevari e via Moresco.
Il vecchio edificio, così come l’attuale, si trovava in zona fortemente
urbanizzata, in prossimità di altri edifici ad suo abitativo, pertanto si è
proceduto mediante demolizione
puntuale con uso di trance meccaniche fino alla completa demolizione delle strutture poste sopra
il piano di campagna, ed il conseguente sgombero delle macerie.
Questo ha segnato il vero e proprio
inizio della fase di costruzione.
L’avvio ha avuto inizio con le indagini sul terreno di sedime al fine di
valutare, anche con esecuzione di
carote, la tipologia; con gli accertamenti si è rilevato la presenza
di alcune vasche, usate probabilmente per deposito di liquidi di
lavaggio il cui contenuto residuo,
pur non presentando rischi ambientali, è stato rimosso e smaltito
Particolare plinto
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Particolare vasca in calcestruzzo
da ditte specializzate. Si sono inoltre rilevati diversi manufatti in c.a. e si
è potuto valutare la dimensione delle fondazioni, del tipo isolato a plinti,
la cui base misurava fino a 3 metri per un’altezza di oltre 2,5 metri. La
demolizione di queste strutture è stata un’operazione dispendiosa sia in
termini di tempo che di mezzi.
Un’altra difficoltà che si è dovuta affrontare nelle fasi iniziali è stato la
posizione di un collettore fognario che, contrariamente a quanto presunto dalle indagini documentali, intersecava le fondazioni della zona
auditorium ; la portata e la dislocazione hanno determinato la modifica
strutturale del corpo fondale valutando non conveniente e non efficace
l’esecuzione di opere di modifica.
Parallelamente alle opere di demolizione sono iniziate le opere di sostegno delle vie, Canevari e Moresco, mediante esecuzione di paratie di pali
per poter sbancare fino al piano previsto a progetto; raggiunto il livello
richiesto si è proceduto al tracciamento, ovvero la collocazione sul terreno delle fondazioni, costituite da quattro travi rovesce, correnti per
tutta la lunghezza dell’edificio.
Il getto delle fondazioni ha concluso il primo capitolo della costruzione,
che per sua natura, comprende la maggior parte delle incertezze.
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Il secondo capitolo significativo è stata la realizzazione del solaio del secondo ordine, precompresso in opera; fino a questa quota la struttura
portante è del tipo tradizionale ma il solaio ha il compito di sostenere lo
sbalzo dovuto alla maggiore larghezza della manica dell’edificio, e proprio per questo è stata indotta nella struttura una tensione incrementata con l’esecuzione della struttura.
Il solaio costituisce il punto di evoluzione della struttura; infatti la parte soprastante è realizzata con tecnologia prefabbricata, lasciando ai
setti e vani scala in c.a. la funzione di irrigidimento; il solaio inoltre è
caratterizzato dalla quantità di calcestruzzo gettato nello stesso giorno
che ha richiesto oltre 500 mc di cls, quasi monopolizzando la produzione
giornaliera della centrale di betonaggio.
Dopo questi passaggi significativi la costruzione è potuta procedere con
minori problematiche se non quelle tipiche ed intrinseche delle lavorazioni; tutta la gestione del cantiere comunque ha avuto come elemento
caratterizzante la difficoltà della locazione dovuta la fatto che il cantiere, compresso tra due strade ad alto volume di traffico, ha avuto poco
spazio destinabile allo stoccaggio del materiale, ed agli spazi di manovra.
Questo ha avuto influenza soprattutto nelle fasi di montaggio degli elementi prefabbricati quali travi, pilastri, solai e pannelli di tamponamento; le dimensioni sia dei manufatti che dei mezzi hanno costretto ad occupare parte dei corpi stradali, con ripercussioni sul traffico veicolare.
Esaurita la fase di realizzazione delle opere strutturali si è proceduto con
la fase delle finiture interne, con la realizzazione degli impianti tecnologici quali il riscaldamento, gli ascensori e gli impianti elettrici, e delle
finiture edili quali la divisione degli spazi per definire aule, uffici e servizi,
Corpo a sud
Corpo a nord e corpo auditorium
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fino alle finiture ( intonaci, coloriture, rivestimenti e pavimenti) per arrivare allo stato attuale.
Attualmente l’edificio è sede dell’I.S.S.S. “Firpo - Buonarroti”, si configura come articolazione di tre corpi distinti con le seguenti destinazioni :
il corpo a sud si sviluppa su quattro piani e ospita la palestra, omologabile
dal Coni ed il cui uso è aperto alle società sportive; sulla copertura è stato ubicato un impianto fotovoltaico per la produzione di energia;
il corpo centrale si sviluppa su sette piani, compreso il piano terra, ed è
adibito ad aule ed uffici;
il corpo a nord, la cu pianta è a forma di emiciclo, si sviluppa su sei piani,
compreso il piano terra, ed è adibito ad auditorium, biblioteca ed aule;
Ing.j. Angelo Allodi
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Lo stabilimento Bocciardo dopo i bombardamenti dell’8 agosto 1943.
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… Dov’era la fabbrica
Giuseppina Manildo1
“ _ _ Le concerie. _ _
Il mio monoplano attraversa
gli odori ruggenti delle officine arcigne,
che minacciano con tutti i loro pugni astiosi
la tenerezza gracile e ipocrita della luna....
[…]
Poi la luna, tutta bianca, si china attenta
ad ascoltare il vocìo degli studenti
T. Marinetti, L’aeroplano del papa,
Romanzo profetico in versi liberi,
Edizioni futuriste di poesia,
versione italiana1914
Il dialogo intergenerazionale alle radici di una ricerca della memoria
L’ipotesi di ricerca sulla trasformazione dell’insediamento dell’antica
conceria Bocciardo nell’ area sede dell’ Istituto Tecnico “Firpo Buonarroti”di Genova nasce dalla collaborazione fra lo SPI (Sindacato Pensionati Italiani) – CGIL di Marassi e l’Istituto “Firpo Buonarroti” e nella comune volontà di dar vita a forme di dialogo intergenerazionale al fine di
consentire a quanti sono e sono stati testimoni dell’evoluzione storica e
sociale del territorio, di divenire ricercatori di memoria2, condividendo le
proprie conoscenze, le proprie esperienze, la propria memoria, appunto,
con le giovani generazioni degli studenti nell’ambito di un progetto culturale ed educativo che unosca èiù generazioni.
1 Dirigente dell’ISS “Firpo Buonarroti” di Genova dal 2008 al 2014.
2 Si veda a questo proposito il progetto Memoro.La banca della memoria in www.memoro.org. Si tratta di un
progetto “no profit” dedicato alla raccolta in parte autoprodotta e in parte spontanea delle esperienze e dei
racconti di vita delle persone nate prima del 1950. Il formato è quello di clips audio o video di qualche minuto.
Si tratta di un processo strutturale alla divulgazione gratuita dei contenuti raccolti. Il media scelto è il
web, nello specifico un sito di raccolta e fruizione di contenuti audio video.
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Dalla fabbrica alla scuola
Non è poi così strano che un grande complesso edilizio sede di un’antica
fabbrica genovese si trasformi in scuola.
Non è poi così strano, con un’interpretazione sinestetica un pò forzata
del testo futurista citato in epigrafe, che dagli “odori ruggenti delle officine arcigne” si ascolti il “vocìo degli studenti”.
E’ la metamorfosi subita dall’ex area industriale che, dall’unità d’Italia
agli anni Settanta, ha vissuto la nascita, lo sviluppo e il lento declino
dell’antica “Conceria Bocciardo”, fino alla sua spettacolare e definitiva
demolizione nel 1997, quando venne completamente rasa al suolo con
microcariche esplosive: la fine della vocazione all’industria manifatturiera del territorio prima extraurbano, poi urbano del quartiere di Marassi, sul fondo della Val Bisagno, alle porte del vecchio centro cittadino, sulle rive di un fiume, che Montale non a caso definì “di pietre e di
calcine” proprio in una poesia degli anni Venti, il decennio di massima
produzione della “Bocciardo”.
L’evoluzione di questo insediamento testimonia la fine di un’epoca e lo
sviluppo del processo di terziarizzazione di un’economia, oggi in piena
fase quaternaria e postquaternaria.
L’evoluzione della destinazione d’uso
La conceria fu fondata nel 1861 da Sebastiano Bocciardo, che iniziò la
sua attività con un piccolo capannone situato alle spalle dell’allora sede
del comune di Marassi (oggi asilo infantile di piazza Romagnosi). Egli
divenne così il capostitipe della “famiglia Bocciardo”, in cui spiccano i
suoi figli Arturo3 e Giovanni, che, già calciatore del Genoa, dopo il Campionato di calcio italiano 1901, abbandonò l’attività sportiva per rilevare
l’azienda paterna ed Emilio Bocciardo, definito “il simbolo di una Genova
che negli anni del boom a meno di due chilometri dal centro città, è in
grado di ospitare una conceria da 2.000 operai”.
La fabbrica conobbe la sua massima espansione dopo la prima guerra
3 CFr. la voce BOCCIARDO, Arturo, Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 11 (1969), redatta da Franco
Monelli e pubblicata in Treccani.it.
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mondiale, quando l’incremento di produzione portò alla costruzione di
un nuovo grande fabbricato a sette piani. Essa divenne un ampio complesso costituito da un gruppo di manufatti, con una ciminiera alta più di
40 metri: il complesso era situato tra due importanti vie di collegamento
della città: via Canevari e l’attuale via Monnet.
Con la seconda guerra mondiale la produzione conobbe una fase di crisi,
ma continuò, sia pure in misura minore, la propria attività anche in ragione della necessità di far fronte ai problemi di mantenimento di posti
di lavoro, che risultavano sempre più in esubero rispetto al fabbisogno
di manodopera.
La produzione dovette infatti fare i conti con la competitività del mercato e con i problemi di inquinamento e salute dei lavoratori e degli abitanti del quartiere, problemi che portarono alla lenta dismissione delle
concerie che sorgevano nella Val Bisagno, sulle rive del fiume, non lontano dalla sua foce e, quindi, dai traffici portuali.
“Negli anni Settanta la fabbrica decise il trasferimento al Giro del Fullo
ed una prima parte del fabbricato, abbandonato ed orami in disuso, venne acquistato dalla Provincia di Genova, che rilevò in parte la proprietà
comunale dell’area.
Il programma funzionale della Provincia prevedeva, per l’area acquisita,
la realizzazione di una nuova sede per l’istituto Tecnico Turistico “E. Firpo” ed era già programmata la possibilità di ottenere la restante parte
dell’area in concessione per la definizione di un polo scolastico.
L’area fu acquisita solo nel 1989 e con il 1°settembre 1997 si assistette
alla completa demolizione, durata pochi secondi, dell’ex conceria, simbolo della Genova industriale fra Ottocento e Novecento” 4.
La scuola
Oggi il nuovo edificio ospita l’Istituto di Istruzione Secondaria Superiore
“Firpo-Buonarroti”, nato nell’a.s. 2000/2001 dall’accorpamento tra due
Istituti: 1’Istituto Tecnico Statale per il Turismo “Edoardo Firpo” e 1’Istituto Tecnico per Geometri “Michelangelo Buonarroti”.
4 A. Costanzo, Area ex Bocciardo: un’occasione per indagare le possibilità dello spazio pubblico, tesi di laurea
Facoltà di Architettura, Università di Genova, a.a.1998-99.
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Il “Firpo” è l’istituto tecnico per il turismo di antica tradizione in città:
dopo aver avuto sede su più plessi in vari quartieri genovesi, fu trasferito
nel 1993 in un nuovo edificio sorto dalla demolizione di parte dell’area
Bocciardo dell’ex conceria.
Il “Buonarroti” affonda le proprie radici nell’antica tradizione dell’istruzione tecnica cittadina: Genova, infatti, nella seconda metà dell‘800,
ebbe il maggiore centro di studi politecnici del Regno d’Italia: l’Istituto
Tecnico Commerciale Vittorio Emanuele II che originò, prima come “succursali”, tre grandi scuole genovesi: Il Liceo scientifico Gian Domenico
Cassini, l’Istituto Nautico San Giorgio e, appunto, l’Istituto Tecnico per
Geometri Michelangelo Buonarroti.
Dalla prima demolizione e, successivamente, dall’implosione delle costruzioni sopravvissute alla chiusura della fabbrica e al degrado del suo
complesso edilizio è sorto un edificio con un’ambiziosa destinazione d’uso: un istituto dedicato all’istruzione tecnica ma anche aperto al quartiere, con un grande auditorium, due biblioteche scenografiche affacciate
sulla bassa Val Bisagno, una palestra all’avanguardia: un edificio-spartiacque fra la stretta via Canevari e l’ampia via Monnet, che lambisce la
piastra di copertura del fiume e guarda allo stadio.
La scuola, il territorio, la globalizzazione
Il progetto ambiva alla costruzione di una “cittadella della scuola”5: al di
là ed oltre lo studio dell’archeologia industriale della città si evidenziava
lo sforzo di una riqualificazione sociale dell’ex complesso produttivo di
beni, trasformato in centro di servizi per l’istruzione di giovani non solo
genovesi, ma anche provenienti delle due riviere, da comuni - osservava, Giuliano Vaccarezza, allora Assessore provinciale alla Pubblica Istruzione, riferendosi all’Istituto “Firpo” - per i quali il turismo è una grossa
risorsa6.
La collocazione del nuovo edificio vicino alla stazione Brignole e facilmente raggiungibile con i mezzi pubblici non solo facilitava la funzione
“calamita” del polo scolastico per gli studenti provenienti dalla città e da
5 “College nel rudere”, Il Secolo XIX, 23 luglio 1993.
6 “Nell’ex conceria Bocciardo suona la campanella del Firpo”, Il Secolo XIX, 23 luglio 1993.
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fuori comune, ma sembrava proporsi anche come centro socio-culturale di un quartiere che, dopo aver ospitato insediamenti manifatturieri
suburbani e orti di “bisagnini” lungo le sponde e le pendici del torrente,
si avviava ad una vocazione prevalentemente terziaria, con insediamenti di aziende di servizi e notevole attività commerciale all’ingrosso e al
dettaglio.
Con il tempo e con la rapida evoluzione del “secolo breve” e del “secolo
brevissimo”, quale sembra annunciarsi l’ attuale, l’intero contesto urbano di Genova e del quartiere in cui è collocata la scuola si è modificato
e subisce costanti modificazioni, così come ha subito profonde trasformazioni anche l’offerta formativa della città e della sua provincia.
La scuola si è aperta non solo all’utenza del quartiere, del municipio,
della città, ma ha saputo confrontarsi e accogliere anche studenti stranieri, provenienti dall’Europa dell’Est, dal Maghreb, dall’America Latina
e in particolare dalle comunità ecuadoriane che vivono nel quartiere e
che costituisco parte dell’evoluzione del patrimonio interculturale della
nostra città. L’istituto non è divenuto solo un polo scolastico per l’istruzione tecnica nel settore del turismo e delle costruzioni, dell’ambiente e
del territorio, ma anche un laboratorio di ricerca contro la dispersione
scolastica, in rete con altre scuole del territorio e non solo, nella consapevolezza che gli edifici, così come le attività e i servizi che essi ospitano
costituiscono a loro modo strutture viventi, la cui funzione deve essere
costantemente “governata” ed adeguata per salvaguardarne il valore il
significato ed il valore all’interno della comunità/delle comunità che li
popolano.
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Il Bisagno agli inizi del ‘900, a sinistra la manifattura Bocciardo.
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Note sulla demolizione controllata
con esplosivo dell’ex conceria Bocciardo
Lunedi, 1° settembre 1997, alle ore 17,13, dopo decenni di abbandono, con
ottocentocinquanta microcariche di esplosivo, è stata rasa al suolo la conceria Bocciardo, situata lungo le vie Canevari e Monnet.
La demolizione dello stabilimento è stata la seconda più grande demolizione effettuata in Italia attraverso l’utilizzo del sistema delle microcariche esplosive, dopo quella della ex centrale Enel, nel porto di Palermo,
effettuata dalla stessa impresa, la Tecnomine, nel 1985.
In sei secondi sono stati demoliti l’edificio principale, lungo circa 95 metri e alto tra i ventiquattro e trentatre metri, e la ciminiera di 45 metri,
mentre, per gli edifici “minori”, viste le ridotte dimensioni e l’estrema vicinanza con le abitazioni limitrofe, fu presa la decisione di procedere alla
demolizione con mezzi meccanici.
Il costo della demolizione del corpo principale e delle ciminiera attraverso microcariche era maggiore rispetto all’utilizzo di mezzi meccanici, in
quanto necessitava di lavori “accessori” lungo tutto il perimetro esterno
della fabbrica e attorno ai pilastri minati, posizionando barriere che prevenissero il pericolo di eventuali proiezioni di detriti sulle case adiacenti.
Tuttavia fu scelta questa soluzione perché l’intera operazione si sarebbe
completata in una sola giornata, permettendo di chiudere al traffico le
strade adiacenti per un periodo relativamente breve.
Prima di procedere, l’intero complesso venne bonificato da sostanze
tossiche, mediante il censimento e l’esportazione del materiale inquinante, costituito, in prevalenza, da amianto.
L’analisi statica, il progetto di abbattimento, il piano di tiro e i controlli
di sicurezza,la demolizione controllata, furono finalizzati perché l’”abbattuto” si ripiegasse su se stesso, salvaguardando il manto stradale di
via Monet; il corpo principale precipitasse, attraverso uno spostamento orizzontale, verso via Canevari, con un ripiegamento all’interno al
momento del crollo, e la ciminiera, cadendo “come un albero”, potesse
occupare un’area pari alla sua altezza, sempre all’interno del perimetro
delineato.
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Considerazioni conclusive
Il tema del rapporto tra le generazioni è di grande attualità in una
città come Genova la cui popolazione ha una elevata percentuale
di persone anziane, che purtroppo spesso vengono percepite e anche rappresentate come una inutile zavorra appesa al collo dei più
giovani, ai quali sottraggono spazi e risorse.
Lo SPI CGIL ha assunto già da tempo, come obiettivo politico, la
necessità di costruire un rapporto proficuo tra le generazioni, perché solo la conoscenza reciproca e lo scambio possono smontare
le rappresentazioni preconcette e creare un vero e reciproco arricchimento. Non solo i giovani possono imparare dagli anziani, ma
anche gli anziani dai giovani, soprattutto se dalla relazione tra le
generazioni possono emergere elementi di conoscenza e di interpretazione critica della realtà in cui viviamo.
In particolare, a Genova, esiste già un lavoro da tempo consolidato, nell’ambito del quale lo SPI CGIL Genova ha coinvolto la scuola e l’Università in percorsi di condivisione e di conoscenza delle
condizioni di vita degli anziani nella nostra città, della riscoperta di
tradizioni antiche, della ricostruzione di eventi storici importanti.
Si tratta, ora, di proseguire su questa strada, dando sistematicità
e continuità alle iniziative e coinvolgendo sempre di più le nostre
Leghe territoriali, nella convinzione che il rapporto tra le generazioni costituisce una componente essenziale di una contrattazione
territoriale in cui il benessere degli anziani non entra in conflitto,
anzi favorisce il benessere di tutti.
Tra le “storie dimenticate” che ci piacerebbe ricordare insieme ai
giovani c’è quella dell’industria e dei servizi a Genova.
Il territorio genovese è stato segnato, dagli anni 70 in avanti, da
modifiche profonde della struttura produttiva e da cambiamenti altrettanto profondi dell’approccio all’erogazione dei servizi; si
sono modificati così non solo i modi e le forme del lavoro, ma anche
gli stili di vita, la struttura e l’organizzazione dei quartieri, le destinazioni d’uso degli edifici.
Lo studio di queste modificazioni apre un terreno di confronto e
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di scambio tra le generazioni, a partire da una conoscenza più approfondita della storia della propria città, che è fatta anche dall’intreccio tra le vicende individuali e collettive e le scelte politiche ed
economiche, che hanno modificato non solo l’aspetto esteriore di
Genova, ma anche l’idea che di Genova hanno i suoi stessi abitanti.
Non è casuale l’idea di ricostruire il mutamento del lavoro a Genova.
La nostra città, che Paolo Arvati aveva giustamente definito “policentrica”, non ha mai avuto uno sviluppo industriale limitato ad
una sola area del proprio territorio. Anche se l’idea prevalente è
quella di un Ponente dell’industria, di un Centro delle decisioni e
di un levante dei servizi, in realtà gli insediamenti industriali erano
presenti su tutto il territorio. Il caso Bocciardo, come ben dimostrano gli interventi raccolti in questa pubblicazione, è in questo
senso emblematico.
Si trattava infatti di una fabbrica che sfruttava una caratteristica
del territorio – la presenza del torrente Bisagno – per le proprie attività e che aveva con il quartiere un rapporto complesso e conflittuale, da un lato positivo come occasione di lavoro, dall’altra negativo per il suo impatto sull’ambiente.
Le vicende che hanno portato alla sua chiusura, al suo smantellamento e alla successiva nascita del complesso scolastico Firpo
Buonarroti sono la dimostrazione concreta che il cambiamento si
realizza se c’è un’idea di città, un modello sociale e produttivo di
riferimento.
Solo così, come ci ha dimostrato il paziente lavoro di raccolta di testimonianze e documenti realizzato dalla nostra Lega della Val Bisagno, si riescono a mettere insieme la volontà politica, il consenso
sociale, le competenze ed i saperi che sono l’indispensabile supporto ai processi di mutamento economico, urbanistico e sociale.
Vorremmo che questo lavoro diventasse un modello per altre parti
del territorio cittadino, anche perché, attraverso il recupero della
memoria, sia possibile ricostruire anche per le nuove generazioni
l’idea che il lavoro è un fatto centrale non solo soggettivamente,
ma anche sotto il profilo della qualità complessiva della democrazia nel nostro paese.
La valorizzazione e la trasmissione della memoria tra le genera~ 52 ~
zioni costituiscono un importante obiettivo sia per la Federazione
Lavoratori della Conoscenza, sia per il Sindacato Pensionati Italiani, che a questo scopo hanno stipulato un verbale d’intesa con
l’Ufficio scolastico Provinciale, quale fattore indispensabile per più
proficuo rapporto con le singole Istituzioni Scolastiche.
L’obiettivo è quello di promuovere un progetto che, mettendo a
contatto generazioni diverse, ricostruisca i mutamenti sociali e
produttivi della nostra città attraverso testimonianze e approfondimenti tematici, coinvolgendo anche rappresentanti delle istituzioni e del mondo economico.
Sulla base di questa intesa, lo SPI CGIL ha già provveduto a prendere contatto con i dirigenti scolastici di diversi Istituti Secondari
Superiori della nostra città, per concordare un percorso di lavoro
condiviso.
Intendiamo altresì valorizzare l’impegno di scuole e studenti mediante la fornitura di strumenti tecnologici o altro materiale utile,
nella convinzione che la scuola pubblica sia un bene comune da difendere e sostenere, in un fruttuoso rapporto tra generazioni diverse.
La difficile fase che il nostro Paese sta attraversando ha avuto
come fatto caratterizzante la perdita di centralità del lavoro come
fatto fondante del patto sociale che sta alla base della nostra Carta
Costituzionale.
Il lavoro si è frammentato, ha perso di rilevanza, è stato assimilato a una merce come un’altra, che si vende e si scambia nel libero
mercato, per normare il quale non occorre una legislazione specifica, ma è sufficiente il diritto commerciale.
I CCNL sono andati in crisi, e si è tentato di sostituirli con i contratti
aziendali o territoriali o, addirittura, con i contratti individuali.
E’ di questi ultimi giorni un nuovo, violento attacco ai diritti dei lavoratori e il tentativo di mettere i lavoratori precari contro quelli
garantiti, così come si è tentato di fare tra giovani e pensionati,
tentando di far percepire questi ultimi come privilegiati.
E’ difficile pensare che non ci sia nessuna relazione tra la crisi della
democrazia e l’eclissi del lavoro, perché è sul lavoro e non sul reddito che si fonda la nostra cittadinanza.
Nel valore centrale del lavoro è possibile davvero ricomporre gli in~ 53 ~
teressi delle diverse generazioni, a partire dalla difesa e dalla riconferma dei diritti che le generazioni precedenti hanno conquistato.
Trasmettere e mantenere in vita la memoria di quelle lotte, e con
essa un’idea nobile del lavoro sindacale come servizio per il bene
comune è parte ineliminabile dei nostri compiti come sindacato dei
pensionati.
Anche di questo deve alimentarsi ed arricchirsi il rapporto tra generazioni diverse, per evitare che i diritti di cittadinanza garantiti
dalla nostra Carta Costituzionale possano essere percepiti come
privilegi.
Valter Fabiocchi
Segretario Generale SPI CGIL Genova
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• Ottobre 2014 •