pressbook - alessandra cristiani
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pressbook - alessandra cristiani
Produzione 2010 “Dal quadro preraffaellita “Ofelia” di J.E.Millais. Opheleia è la trama di una visione. La sua eco fa riemergere un accordo antico.” Opheleia di e con Alessandra Cristiani 1 Dal quadro preraffaellita “Ofelia” di cui abitarsi, dove l’umano cede al silenzio, J.E.Millais. imprescindibile abisso. Opheleia è la trama di una visione. Opheleia è una debolezza. La sua eco fa riemergere un accordo E’ una sospensione temporale, oppure un antico. ingorgo emotivo. L’immagine di Ophelia è uno specchio in E’ un corpo rubato, che si aggrappa alla cui riflettersi; diventa un luogo carnale in percezione di sé, come unico e sacro produzione 2010 PRESSPRESSPRESS Musica Claudio Moneta e Iva Bittova Luci Gianni Staropoli Azione Sabrina Cristiani Danza e coreoregia Alessandra Cristiani recensione di Attilio Scarpellini www.lettera22.it All_inizio di Opheleia, Alessandra Cristiani _ gi_ in scena, ma non ci si accorge subito di lei: schiacciata come un geco su un lato del muro di fondo del teatro Furio Camillo di Roma, il corpo torto in un fregio indescrivibile, tiene un tulipano tra le dita. La sua nudit_ _ la sua trasparenza _ si mimetizza nella bassa striscia di luce che corre lungo il muro. Bisogna tornare a certe immagini di Francesca Woodman (fotografa a cui non a caso la danzatrice romana si _ ispirata per uno dei suoi precedenti lavori) per trovare la stessa capacit_ di nascondere l_evidenza nell_evidenza, di rendere il nudo un_altra dimensione 2 del segno, e non il brusco corto-circuito di tutti i segni: l_inizio di qualcosa e non la sua fine. Insomma, il contrario dell_osceno. Ma poi anche i riferimenti cadono e bisogna essere soltanto Alessandra Cristiani, danzatrice-icona che appare/scompare come il paesaggio intermittente su cui si staglia _ quello miserabile e glorioso della danza romana di cui la rassegna internazionale di danza butoh Trasform_azioni _ una delle rare vetrine - per riuscire a incarnare attraverso il movimento tutte le sottili alterazioni di un corpo che, a forza di modificarsi, inganna lo sguardo e la memoria sulla realt_ della sua stessa consistenza: alto, statuario _ a tratti persino sontuoso, torso greco che si restringe e scompare in una mandorla di luce _ poi di colpo minuto, debilitato, klimtiano, come nel finale in cui sembra recuperare la sua tenera, sacrificale mortalit_. Il giardino di Ofelia in cui la Cristiani nuota in acque invisibili, mentre un suo doppio vestito di nero _ doppio letterale, gemellare: la sorella Sabrina _ entra ed esce infilando penduli gigli in ogni buco, in ogni ferita delle martoriate pareti del Furio Camillo, vale, e supera, quello allestito da Shirin Neshat nel film Donne senza uomini, perch_, nell_arco di sola performance, riesce ad PRODUZIONE 2010 evocare intere epoche del corpo e del movimento. Senza mai abdicare al presupposto poetico di una ricerca che affonda le sue origini e, per cos_ dire, il suo sapere fisico nella danza butoh _ cio_ in quella che un occidentale legge inevitabilmente come una forma espressionistica _ la Cristiani arretra e avanza nel tempo: fasciata da un lungo abito verde, usa la propria potenza organica per deformarlo in una figurazione astratta che ha il segno nitido del novecento, poi si slancia in una danza libera che sorprende per la sua precisione _ e ancor di pi_ per una musicale assenza di enfasi _ prima di rientrare nel respiro intimo di una nudit_ arborescente. Una suite di sconfinamenti che, fusa nella perfetta affinit_ della musica di Claudio Moneta, scolpita dalle luci di Gianni Staropoli, in uno spettacolo che _ un inaspettato incontro tra stati di grazia, non produce un solo dubbio, una sola incrinatura in un tessuto drammaturgico che pure, nella sua scelta tematica (e iconica), risente di tutta la fragilit_, di tutta la ridondanza del mito. Persino nei due finali che si susseguono _ quello di una languida piet_ al femminile e quello, teatralissimo, in cui la Cristiani, riemersa dal suo limbo, trasmette con un gesto lento il tulipano dell_inizio tra le mani di una spettatrice _ Opheleia riesce a eludere l_estetismo e a toccare la bellezza. O almeno, ci_ che di essa rimane, a noi moderni e post: quella bellezza agonica, ferita che i mistici spagnoli chiamavano otra hermosura che continua ad annidarsi negli angoli meno visibili, meno frequentati dell_arte e della vita. Il segreto sta non solo nel talento _ talmente straordinario Alessandra e Sabrina Cristiani 3 “L’immagine di Ophelia è uno specchio in cui riflettersi; diventa un luogo carnale in cui abitarsi, dove l’umano cede al silenzio, imprescindibile abisso.“ “Opheleia è figlia del sacrificio. E’Ophelia che aiuta Ophelia.” dall_apparire in scena quasi naturale: una sfida permanente al comune senso dell_equilibrio e del movimento _ ma nella determinazione artistica della danzatrice dai capelli rosso tiziano. Nel suo percorso, Alessandra Cristiani ha, tanto ostinatamente quanto discretamente, aggirato sia il concettuale che l_anedottico _ e il luttuoso ironismo del glamour - cio_ le principali scorciatoie con cui la danza postmodernista ha risposto alla propria crisi come arte figurativa. E ha imboccato con decisione la strada, assurda e marginale, della purezza _ della purezza del segno, prima ancora che del corpo. Realizzando un paradosso che solo questi tempi sembrano rendere possibile: le sue performance riescono a comunicare, a sfondare la parete con il pubblico, proprio per l_eccesso di espressione che le pervade - come una lingua indecifrabile che all_improvviso si rovescia e si traduce in un_assoluta trasparenza. Assurda e marginale _ la lingua perduta del sublime. Artista grande e sommessa, Alessandra Cristiani la fa risuonare- nella sua carne.