Untitled - Friend MTS

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Untitled - Friend MTS
Katherine Keller
GREY SHADOW
Grey Shadow
Autore: Katherine Keller
Copyright © 2013 Angela Contini/Patrizia Zinni
Impostazione grafica e progetto copertina:
© 2013 Angela Contini
Tutti i diritti sono riservati. Ogni riproduzione dell’opera, anche parziale, è vietata.
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto della fantasia dell’autore o sono usati in
maniera fittizia. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da ritenersi puramente casuale
A coloro che sono capaci di volare
sulle ali della fantasia
CAPITOLO 1
La musica pompava a tutto volume nella radura di un fitto bosco fuori Londra. Una nenia techno dai
bassi pesanti e dal ritmo ipnotizzante. Christian Bryant si muoveva senza preoccuparsi di scansare i
corpi sudaticci di sconosciuti dagli sguardi vacui, strafatti di crack, cocaina, e chissà quale altra
porcheria.
L’odore di sostanze tossiche permeava l’aria come il fumo di un incendio. La fiumana di gente si
muoveva come un’unica onda spinta dal suono pompato dagli enormi amplificatori, strusciandosi gli
uni contro gli altri.
La musica sparata a palla lo eccitava, per questo era solito frequentare i rave. Per lui era una sorta
di terapia d’urto, un esercizio yoga per calmare la bestia. Metterla sotto pressione era il training
migliore per abituarla a mantenere il controllo.
Non era mai stato semplice, per diversi motivi. In realtà non si era mai impegnato abbastanza per
riuscirci perché la bestia in fondo gli piaceva. Dopotutto non aveva mai fatto male a un essere umano,
le sue prede preferite erano i vampiri. Adorava staccare la testa a quelle sanguisughe pallide.
Non era per caso un cacciatore. Tre anni prima, quando aveva lasciato la sua famiglia negli Stati
Uniti per tentare di vivere come un uomo normale, lontano dalle leggende e dalle regole che la sua
razza imponeva, si era trasferito a Londra affascinato dalla storia della città. Allora era ancora una
scheggia impazzita, un giovane ribelle fuori di testa esaltato dal suo potere, che conosceva in quel
periodo il suo massimo sviluppo. I suoi sensi, maturati all’ennesima potenza, lo costringevano per
istinto a cercare la sua atavica nemesi: i vampiri. Ne percepiva l’odore in ogni angolo. Ogni notte il
suo corpo prendeva spontaneamente la forma animale e si lanciava fra le strade e i vicoli nascosti,
cacciando succhiasangue come fossero conigli. La forma di lupo gli consentiva di nascondersi bene
agli occhi umani. Il rischio era solo l’accalappiacani. Diventava complicato quando veniva fuori la
bestia, ma quella sbucava solo quando le sue emozioni erano sollecitate al limite.
Praticamente sempre. Essere un licantropo non era per niente facile.
Fu in una notte di quelle che incontrò un gruppo di pazzoidi armati di tutto punto che lottava contro
dei vampiri. Senza che nessuno glielo chiedesse, si unì al gruppo cominciando a staccare teste senza
nemmeno avvalersi della sua forma Lican. Gli altri rimasero stupiti dalla sua forza, tanto che gli
proposero di diventare parte della banda.
Dopo un paio di settimane di prova lo portarono in quella che chiamavano: La Corporazione dei
Cacciatori, che non era altro che una mega villa protetta da filo elettrificato e da diversi sofisticati
sistemi d’allarme.
Chris trovò tutto molto… paranoico, ma allo stesso tempo ne rimase affascinato.
Nel giro di poco tempo entrò a far parte del gruppo di predatori di vampiri più famoso d’Europa.
Non avevano un nome particolare a cui poter fare riferimento, erano semplicemente I Cacciatori.
Aveva l’obbligo di segretezza. Nessuno, tranne gli addetti ai lavori, doveva sapere dell’esistenza
della Corporazione. E ovviamente, nessuno, neanche i cacciatori, doveva scoprire che lui era un
licantropo. Non sapeva come gli altri avrebbero preso la sua diversità. In fondo era una creatura della
notte esattamente come i succhiasangue.
L’unica a cui lo avesse mai detto era stata Sophia Holloway, una del gruppo dei pazzoidi che lo
aveva preso subito in simpatia, e con cui aveva poi instaurato una sorta di relazione basata su un
profondo rispetto, grande amicizia e qualche… bottarella. Per questo aveva dovuto chiarire cosa fosse.
Non avrebbe mai voluto finire infilzato dalla cacciatrice nel caso in cui il licantropo fosse venuto
fuori durante uno dei loro incontri privati, magari sul più bello.
Sophia non aveva battuto ciglio. Lei odiava solo i vampiri. Il resto andava bene.
Da allora essere un cacciatore era diventato il suo lavoro, nonché passatempo preferito.
Un ghigno gli increspò le labbra al ricordo dell’ultimo vampiro a cui aveva mozzato la zucca,
quando la zaffata di un odore familiare raggiunse le sue narici. Alzò il viso ad annusare l’aria, mentre
l’aroma si faceva sempre più intenso.
Profumo di femmina… feromoni. Scrutò tra la folla illuminata da bassi fari e luci a effetto
stroboscopico, e colse gli occhi di una giovane ragazza in mezzo a un piccolo spazio ricavato tra un
gruppo di strafatti, osservarlo con una certa gola.
Si muoveva sinuosamente, ancheggiando e tirandosi di proposito su la gonna già cortissima.
Il messaggio che gli stava mandando era chiarissimo e se fosse stato il Chris di qualche anno fa,
avrebbe approfittato della situazione. Non avrebbe avuto nessuna esitazione a portarla lontano da tutti
e prenderla senza tante cerimonie. Ma approfittare di una debole umana poteva essere molto rischioso.
La sua forza avrebbe potuto ucciderla. Ecco perché preferiva farsi una della sua razza, una molto
allenata capace di difendersi, oppure… perché no? Una vampira.
In fondo quelle puttane servivano solo a questo. Ucciderle dopo, era senza prezzo.
Molte avevano paura di lui non appena si accorgevano di quello che era, molte altre invece,
affascinate dal gusto del proibito, non si lasciavano intimidire e si offrivano a lui come sacrifici su un
altare.
«Aprirà le gambe come un’ostrica quella tipa.»
Chris alzò un angolo della bocca, poi bevve un sorso della birra che teneva in mano prima di
voltarsi a incrociare lo sguardo di suo fratello minore, Ethan.
«Mi piacerebbe, ma la sua perla rischierebbe di non vedere più la luce domani.»
«Uh uh, fratello…» Ethan gli diede una pacca sulle spalle. «Non sarai un po’ troppo convinto di te
stesso?»
«Non provocarlo, Ethan.»
Qualche passo più indietro, suo fratello maggiore Kirian, se ne stava tranquillo appoggiato al tronco
di un albero a fumare una sigaretta. Intorno a lui aleggiava un’aura di tranquilla consapevolezza. Alto,
sul metro e novanta, con una corporatura tonica e muscolosa, ma non esagerata, Kirian era il tipo
d’uomo che riusciva a calmarti solo guardandoti. Aveva imparato a gestire la sua bestia molto prima
degli altri, ed era stato sempre il più riflessivo fra i tre.
Con un gesto studiato, si passò una mano fra i capelli scuri e ondulati che gli ricadevano
disordinatamente sugli occhi, e fece scivolare le dita sulla barba incolta, tornando ad afferrare la
sigaretta ormai consumata.
«Il signor D&G ha qualcosa da ridire sul mio comportamento?» Ethan gli si avvicinò con un
piccolo salto e lo scimmiottò nei movimenti, passandosi la mano fra i capelli mossi come quelli di
entrambi i fratelli, ma biondi come quelli di Chris.
«Ethan Bryant, se non la smetti di chiamarmi in quel modo, ti strappo la lingua e la do in pasto ai
porci» lo minacciò Kirian.
«Ehi.» Ethan alzò le mani. «Sei tu che fai il top model, mica io?»
«È un lavoro come un altro.»
«Passeggiare vestito con degli abiti ridicoli, tu lo chiami lavoro?»
«Perché? Il tuo? Che lavoro è? Sei uno strimpellatore fallito» si intromise Chris prendendo le difese
del fratello maggiore.
«Col cazzo. Io sono un musicista affermato. Parla lui, la pessima imitazione di Rambo»
Gli altri due scoppiarono a ridere. «Lui e la sua band hanno pubblicato un solo album e si sentono
già arrivati. Cresci fratellino, ne hai di strada da fare» disse Kirian.
«Un giorno avrò un branco mio e potrò staccarmi da voi due cazzoni» replicò piccato Ethan, ma non
diceva mai sul serio. I suoi fratelli erano il suo punto di riferimento. Kirian per la saggezza e la
maturità, Chris per la forza e la schizofrenia.
D’un tratto i tre puntarono il volto verso l’alto e annusarono l’aria.
«Lo sentite?» chiese Chris mentre i suoi occhi si tingevano d’ambra.
«Chiaro come il pollo arrosto della mamma, al pranzo della domenica» rispose Ethan che sentì gli
artigli fuoriuscire.
Kirian alzò un angolo della bocca e scoprì una zanna che si allungava. «Finalmente la festa inizia
anche per noi.»
Con un ringhio sommesso, Chris appoggiò la birra sul terreno e scrocchiò le ossa delle dita
aggiungendo: «Vampiri, quali invitati migliori?»
I tre si allontanarono dalla folla e quando furono al riparo da occhi indiscreti, il loro corpo prese la
forma di lupo e cominciarono a correre per il bosco, fino a che non furono vicini a una casupola in
legno. Tornarono in forma umana e avvertirono dei piccoli gemiti all’interno della casa. C’era odore
di umano, una femmina, sovrastato in maniera inconfondibile dall’odore più forte dei vampiri.
Almeno quattro.
Christian, Ethan e Kirian si guardarono e annuirono all’unisono, poi i loro corpi esplosero in un
fascio di muscoli e nervi. Le pupille divennero fessure nere allungate nelle iridi color ambra, e le
zanne si svilupparono come sciabole affilate. Non erano completamente bestie, ma non erano
nemmeno più uomini.
Fu Kirian a sfondare la porta. Quattro vampiri si voltarono e spalancarono le bocche insanguinate
davanti a tre giganteschi licantropi piuttosto incazzati.
La ragazza era distesa su un lettino e aveva diverse ferite di morso sulla pelle esposta; era in uno
stato di semi incoscienza, probabilmente era stata soggiogata per evitare che si lamentasse troppo.
Chris avanzò nel piccolo rifugio e ruggì contro i vampiri che, per difesa, attaccarono sfiatando
come gatti. Si lanciarono in un corpo a corpo che li vide rotolarsi sul pavimento fino a che non si sentì
il crack di un osso rotto, dopodiché Chris si leccò le labbra e trafisse il cuore del vampiro con gli
artigli prima di lanciarsi nella successiva lotta.
Ethan sembrava fra tutti quello che si divertiva di più.
Giocava con il suo vampiro come il gatto con il topo. Lo inseguiva per quello che permetteva il
trambusto e lo spazio limitato del rifugio. Lo afferrava e poi come per concedergli un piccolo
vantaggio, lo rilasciava. Alla fine fu il vampiro stesso a fermarsi, a mettersi in ginocchio e a pregarlo
di smetterla.
Ethan sembrava essere d’accordo… forse.
Con una velocità sovrumana pari a quella del vampiro, afferrò una falce appesa al muro, con abilità
la fece ruotare tra le mani e vibrò un fendente che si abbatté sul collo della creatura davanti a lui.
La testa rotolò fino ai piedi di Kirian impegnato in una lotta a tre con due vampiri. Li teneva fermi
lontani da lui stringendoli per il collo. I suoi muscoli sembravano voler esplodere.
Chris giunse in suo aiuto e ne prese uno, lo bloccò per le spalle e lo portò verso la ragazza. Lo fece
piegare su di lei e disse: «Cancella dalla sua mente ogni ricordo di questa sera, usa il tuo sporco
sangue per guarirla e dille di andarsene a casa.»
Il vampiro oppose resistenza, ma Chris ringhiò e gli fece capire che era pronto ad azzannarlo e a
staccargli la testa dal collo. Quello snudò i denti e sibilò.
«Ci penso io» disse Ethan avvicinandosi. Prese una mano del vampiro e gli diede un morso
facendola sanguinare e guidandola poi sulle ferite della ragazza. Al contatto con il liquido cremisi
ogni squarcio sul corpo guarì completamente.
Chris gli intimò nuovamente di cancellare la memoria della donna, intanto si avvicinò anche Kirian
che finalmente si era liberato della sua preda. Al vampiro non restò altro da fare che obbedire.
Dopo che la ragazza se ne fu andata, ripulita e tranquilla, i tre si chiesero cosa farne del vampiro.
«Io dico di tagliargli la testa» propose Ethan. «Tagliategli la testa!» continuò ridacchiando e imitando
la Regina di Cuori di Alice nel Paese delle Meraviglie.
«Non so...» Kirian si lisciò la barba incolta. «Io sono più per trafiggergli il cuore. Che ne dici,
Chris?»
Il cacciatore fissò il vampiro terrorizzato, quindi concluse: «Io lo lascerei andare. Dopo il morso di
Ethan morirà comunque. È infetto ormai.»
Gli altri due mugugnarono, poi annuirono. «Okay» approvarono all’unisono.
Il vampiro non perse tempo a uscire dalla porta, ma non fece più di tre passi fuori dal rifugio, che
Chris gli fu di nuovo davanti. «Ho cambiato idea. Ti darò una morte rapida e indolore» disse
sorprendendolo. Afferrò al volo la falce che Ethan gli passò e tagliò di netto la testa al malcapitato.
«Detesto quando mi viene tutto così facile.»
Gli altri due scossero la testa e lo raggiunsero fuori.
«Adoro quando fai queste stronzate alla Blade.» Kirian allungò il cinque verso il fratello. Chris
batté la mano sulla sua.
«Andiamo Van Helsing» lo prese in giro Ethan. «Cosa farebbe il mondo senza di te?»
«E ora che la festa è finita?» Kirian sbuffò, quasi dispiaciuto che la lotta fosse terminata.
«Andiamo a donne. C’è una comunità di Lican, qui in giro. Lo so, ho visto su internet. Mi informo
ogni volta che veniamo a trovarti da Boston, fratellino.»
Nessuno dei due gli diede ascolto, ma lui imperterrito continuò.
«Oh, ci sarebbe la tua amica cacciatrice. Sophia Holloway. Quella è abbastanza forte da farsi
scopare da un vampiro, e una volta te la sbattevi pure tu se non ricordo male.»
Chris lo guardò in cagnesco. Ethan aveva la brutta abitudine di non pensare prima di parlare. Era un
fortuna per lui che Lance Galahad non fosse nelle vicinanze, altrimenti non sarebbero bastati due di
loro a tenere la testa sul collo a suo fratello.
Il vampiro che stava con la sua migliore amica, Sophia, era noto per la gelosia da serial killer.
Nessuno sano di mente osava accostare le parole Sophia e scopare nella stessa frase, senza pagarne le
conseguenze.
«Ti consiglio di non nominarla nemmeno la cacciatrice. Anche l’aria ha orecchie da queste parti, e
Lance non è uno che la manda a dire.»
Il vampiro non gli stava particolarmente simpatico, ma suscitava il suo rispetto per essersi
comportato sempre in modo corretto e soprattutto, per aver aiutato Sophia a incastrare l’assassino del
padre, un paio di mesi prima.
«Io mi faccio una corsetta per sgranchire le zampe. Voi fate pure il gossip che vi pare.» Kirian non
aspettò la risposta dei fratelli e si tramutò in lupo. Fece un cenno agli altri e prese a correre per il
bosco. Chris e Ethan non tardarono a imitarlo, e insieme schizzarono fra gli alberi secolari, fino a che
non giunsero su un piccolo promontorio dove si fermarono. Alzarono la testa e ulularono alla luna
come nel più perfetto dei classici.
Brillante, splendida, una luminosa carezza nel cielo.
Utile solo a illuminare la notte e a fare da perfetta scenografia.
Le sue mani stringevano il piccolo corpo inerme. Era disgustata da se stessa mentre lo osservava
con evidente ribrezzo, ma anche necessità.
Nascosta nell’ombra, al riparo in un sudicio vicolo dove nessuno poteva vederla, stava affondando
la bocca e i canini in un ratto enorme e puzzolente. Aveva lo stomaco in subbuglio per la repulsione,
ma la fame le serrava la gola e le impediva persino di respirare, se si poteva dire respiro il suo.
Il sangue vischioso e denso fluiva in lei, rigenerandola. Però non riusciva a smettere di sentirsi un
mostro. Avrebbe voluto morire in quell’istante, ma come poteva? In fondo era sempre lei nonostante
il grande cambiamento, e non poteva accettare di togliersi quella maledetta non vita, neppure per
colpa delle sue nuove disgustose abitudini alimentari. Il suo carattere la spingeva ad andare avanti,
ancora e ancora, fino a che il suo amaro destino non avrebbe deciso per lei. Era cosciente del fatto che
il mondo, che un tempo le sembrava normale, in realtà era popolato da creature malvagie, oscure,
pericolose. Non era pronta ad affrontarle. Non ne era assolutamente in grado. Anzi, ne era
profondamente spaventata.
Era all’inizio del suo viaggio, una croce che le era stata messa addosso tre anni e tre mesi prima.
Non riusciva a fare a meno di tenere il conto. Era diventata un rifiuto della società, reietta ai suoi
stessi implacabili occhi. Provava odio verso se stessa per gli atti che era costretta a compiere per
sopravvivere.
Dal di fuori appariva come una volta, capelli corvini e due occhi di un intenso blu, profondi come il
cielo d’estate. L’incarnato era più pallido di un tempo, ma la sua pelle di alabastro si era fatta
luminosa e setosa. In poche parole, era bella di una bellezza discreta, ma cristallina. Dentro, però, era
rotta come un vecchio giocattolo. Si aggrappava alla sua umanità come se fosse stata un pezzo di
legno in un oceano in tempesta, ma era tutto cambiato, per sempre, e non poteva farci nulla.
Rassegnarsi comunque non era una scelta semplice.
Inginocchiata a terra, al buio e nel silenzio di quell’anfratto, dove solo un gatto lontano miagolava
il suo disappunto per avergli rubato il succulento pasto, constatò il suo essere caduta in basso.
La vita che prima le piaceva, che la rendeva felice e soddisfatta di sé, era diventata un incubo senza
fine. Era morta, ma continuava a esistere in un limbo che non era irreale quanto lei avrebbe voluto.
Tiana Goodwin scagliò lontano la carcassa del topo con sprezzo, e si pulì la bocca sporca di sangue.
Si sollevò pensando che per adesso era sazia, che non avrebbe rischiato di fare male a nessuno preda
di una brama ancora difficile da controllare. Cercò di ritrovare una certa compostezza, mentre Londra
le appariva d’improvviso terribilmente ostile. Sbucò fuori dal vicolo e un lampione la illuminò,
dipingendola di un riflesso quasi spettrale.
Cominciò a camminare fino a tornare alla sua macchina, un vecchio maggiolino scassato che aveva
comprato con la sua prima striscia venduta. Adorava il suo lavoro. Disegnare fumetti era sempre stata
la sua grande passione fin da ragazzina, e circa quattro anni prima, era riuscita a pubblicare una
striscia per un albo mensile della casa editrice Praxton di Londra. Era un fumetto il cui protagonista
era un giornalista investigativo. Non era durato molto, giusto un paio di anni o poco più; il mercato
non aveva ben risposto alle avventure di Frank Dubois. Ma il suo capo, Roan Fingerton, aveva
mantenuto una grande stima di lei e delle sue capacità e così, le aveva dato un’altra chance. E Tiana
non aveva deluso le aspettative. Un paio di mesi prima aveva creato la bellissima e maledetta Fender
Moondance, una vampira che lottava per proteggere i più deboli, una supereroina solitaria e grintosa,
senza macchia né paura. Una nemesi per Tiana, forgiata a sua immagine e somiglianza, sulla quale
proiettare in qualche modo le proprie frustrazioni. Tutti avrebbero creduto essere solo il frutto della
sua fervida immaginazione, mai la cruda verità. Non c’era pericolo che qualcuno la credesse davvero
una vampira.
Quel lavoro era tutto per lei, era la sua unica gratificazione, e aveva temuto di perderlo quando era
stata trasformata. La luce del sole era diventata una trappola, non poteva esporsi ai suoi raggi dannosi
perché in pochi minuti, forti ustioni l’avrebbero ricoperta fino a farla bruciare e morire. Era costretta a
vivere nell’ombra, e la notte era diventata il suo giorno.
Il terrore di perdere anche quel barlume di normalità per lei era stato talmente grande che, per
giorni, aveva cercato una soluzione plausibile, e infine, l’aveva trovata.
Non potendo andare alle edizioni Praxton di giorno, fu costretta a inventarsi di avere una
fotodermatite o più semplicemente una forma virulenta di orticaria solare che la costringeva a
rifuggire i raggi, perché le avrebbero scatenato una grave reazione allergica. Roan fu d’accordo nel
lasciarla lavorare a casa e Tiana improntò così il suo studio a laboratorio, con l’attrezzatura
necessaria. Un piano inclinato, le chine e tutto l’occorrente per disegnare. E poi, quando tramontava il
sole, raggiungeva il posto di lavoro e interagiva quel minimo che poteva con i suoi colleghi.
Avviò il motore e guidò con in sottofondo un brano dei Whitin Temptation, cercando di non
ripensare al vicolo, al topo, a ciò che era. Quando arrivò alla Praxton, attraversò il lungo corridoio che
portava a un’immensa stanza grigia suddivisa in tante nicchie, ognuna delle quali occupata
solitamente da un impiegato o da un disegnatore. Ma ormai erano le diciannove, e i freddi neon
illuminavano sedie vuote, perché tutti se n’erano andati a casa. Appoggiò la borsa sulla scrivania e si
afflosciò sulla sedia ergonomica.
«Tiana? Yuhuu... terra chiama Tiana.»
La vampira sollevò lo sguardo contenta nel riconoscere quella voce familiare. Si ritrovò faccia a
faccia con Ted Smith, sulla trentina, capelli rossicci e un simpatico viso rotondo pieno di efelidi. La
stava fissando. «Eri lontana mille miglia da qui.»
Tiana sorrise debolmente ammettendo la sua colpa.
«Le bozze sono pronte? Roan le voleva vedere per poterle inserire nel prossimo albo.»
«Tra un attimo, correggo un paio di cose e lo raggiungo nel suo ufficio.» Era rassicurante poter
parlare con Ted. Era notoriamente uno stacanovista, come d’altronde anche Roan, e quindi era una
certezza trovarli ancora negli uffici della Praxton nonostante l’ora tarda.
«Brava.» Fece il gesto di applaudirla.
Tiana considerava Ted un caro amico oltre che collega. Amava il suo tratto di matita, il suo fumetto
era così avvincente e i personaggi così veri. Era la sua sensibilità di artista e di uomo che li rendeva
tali.
Mentre la donna rifletteva su questo, Ted continuò: «Mia cara, mi fermerei volentieri a
chiacchierare un po’ con te, ma devo tornare dalla mia mogliettina. Stasera siamo a cena da amici e
già mi immagino quante me ne dirà per il mio piccolo ritardo.» Picchiettò buffamente sull’orologio da
polso.
«Salutamela piuttosto e divertitevi.»
«Sarà fatto» concluse Ted prima di allontanarsi.
Quando Tiana rimase sola, guardò le sue tavole e fece una smorfia. Come avrebbe voluto essere
temeraria e decisa quanto Fender, ma lei di paure ne aveva così tante. Paura di non sapersi controllare
preda delle sue pulsioni, paura di non riuscire ad avere una vita normale, paura di non riuscire mai più
ad accettarsi davvero. Era in momenti come quello che sentiva un disperato bisogno di telefonare al
suo amico Lance Galahad, il vampiro che l’aveva trovata una notte di poco più di tre anni prima, che
l’aveva aiutata, che l’aveva accudita come un fratello, insegnandole a essere ciò che era diventata.
Sarebbe stata un mostro anche peggiore se non ci fosse stato lui. Tiana ora sapeva che là fuori
c’erano vampiri senza scrupoli, senza cuore, pronti a privare, come era successo a lei, una persona
della propria vita, della propria identità, senza rimpianto, senza indugio, senza rimorso. Era stata
abbandonata a terra come spazzatura, spogliata dei suoi sogni, del suo futuro.
Avrebbe tanto voluto piangere proprio adesso, in quel loculo, ma se lo avesse fatto Roan si sarebbe
insospettito, ponendosi domande che avrebbero preteso risposte scomode. Serrò la mascella e dominò
il suo sconforto.
Completò diligentemente i disegni e si soffermò a guardare i tratti di se stessa stilizzati che la
accusavano, la imploravano di darle un lieto fine, ma quale lieto fine poteva mai avere una come lei?
Prese il cellulare e telefonò a Lance, aveva voglia di passare da lui, di farsi accogliere tra le sue
braccia e di sentirsi al sicuro. Era l’unico che la capisse, l’unico che comprendesse l’intimo tormento
che la dilaniava. Ma il cellulare squillò a vuoto. Lance doveva essere in compagnia della ragazza che
amava profondamente, la bella e volitiva Sophia Holloway, una cacciatrice di vampiri.
Si alzò, prese i bozzetti una volta sistemati, e raggiunse con un groppo in gola l’ufficio di Fingerton
in fondo al corridoio. Bussò e la voce baritonale di Roan l’accolse con un piacevole: «Avanti.»
Le era sempre piaciuto l’ufficio del suo editore: ampio, arredato con gusto e colori caldi. Una
vecchia scrivania di mogano era posizionata davanti a un’ampia finestra che ora mostrava solo gli
squarci di una città di notte, ma che la mattina lasciava filtrare riflessi dorati e benevoli. Come le
mancava poter stare all’aria aperta di giorno, per gustarsi anche solo una semplice passeggiata nel
parco.
«Eccomi qui.»
L’uomo, che aveva i capelli brizzolati tagliati corti e una leggera forma di calvizie, le indicò una
sedia su cui accomodarsi.
Tiana non sapeva con esattezza quanti anni avesse, non gliene avrebbe dati più di una cinquantina.
La vampira porse con diligenza i suoi bozzetti e attese mentre Roan li studiava con attenzione.
«Tiana, amo il tuo lavoro.» Era davvero soddisfatto di lei. Da quando era diventata una vampira, i
profumi e gli odori avevano cominciato a essere intensi, quasi da poterli leggere come un libro. Erano
lo specchio delle sensazioni provate dagli umani, dei loro stati d’animo. Anche se talvolta erano
difficili da decifrare. Quante cose doveva ancora imparare a gestire.
«Grazie, Roan.» Gli era riconoscente, aveva sempre accettato, senza fare una piega, le sue assurde
richieste.
«Volevo parlarti di una mia idea, Tiana.» Il tono della sua voce si era fatto più professionale.
«Devo preoccuparmi?» cercò di scherzare la vampira, anche se un brivido lungo la schiena la
ghiacciò.
«Fender Moondance sta ottenendo ottimi riscontri di pubblico, e con Praxton stiamo valutando di
affidarle un albo tutto suo a cadenza bisettimanale.» L’uomo le sorrise affabile e Tiana si sentì
sciogliere il cuore di positività. Un albo tutto suo. La realizzazione di un sogno per lei. Il sogno della
sua vita, l’unico che la sua trasformazione non avesse distrutto.
«Parli sul serio?» Aveva quasi timore di sperarci.
«Non lo sono mai stato di più.»
Tiana si alzò e corse ad abbracciarlo mentre l’uomo, seduto dietro alla sua scrivania, borbottava
bonariamente arrossendo: «Su Tiana, se entrasse mia moglie cosa penserebbe?»
«Oh Roan, sono talmente felice.»
«Aspetta, la decisione definitiva sarà presa domani, ma credo sia solo una formalità. La vampira
Fender piace molto. Finalmente puoi fare il salto di qualità che meriti.»
Tiana sapeva quanto Roan fosse sincero. Rimasero a parlare qualche altro minuto, infine, insieme
uscirono dall’ufficio e in seguito dall’edificio.
«Domani ti chiamerò per comunicarti la decisione di Praxton.»
«Grazie Roan per aver sempre creduto in me e avermi appoggiato con il grande capo.»
«Sì sì… be’…» L’uomo le sorrise a disagio, la salutò con la mano salendo sulla sua Mercedes e se
ne andò lasciandola sola in quello spiazzo.
Tiana sorrise a sua volta avviandosi verso il maggiolino e prese la strada di casa.
Il suo appartamento era semplice, carino e accogliente. E c’erano ovunque mensole su cui
spiccavano animali in cristallo di varie dimensioni. La sua passione era cominciata quando era appena
una ragazzina. Il primo pezzo della collezione era stato un elefantino con la proboscide sollevata
all’insù. Gliel’aveva regalato sua nonna Elda, donna di rara intelligenza e dal cuore immenso che le
aveva fatto da mamma quando la sua l’aveva abbandonata in tenera età.
Per una vita intera, Tiana si era addossata colpe che non aveva e la responsabilità di una fuga contro
natura, domandandosi se per caso la sua stessa esistenza non fosse stata un amaro scherzo del destino
per quella donna fragile e insicura, che era stata sua madre. Non aveva più avuto sue notizie e solo la
presenza di suo padre John, un agente immobiliare senza l’anima dello squalo, e appunto di sua nonna
paterna, avevano fatto sì che l’adolescenza di Tiana non diventasse un periodo triste e solitario.
Sua nonna ora non c’era più. Le piaceva pensare che era salita in cielo con gli angeli. Con
dispiacere si era resa conto che non l’avrebbe mai più rivista, lei ormai creatura infernale, non aveva
diritto alla pace del paradiso e al conforto dei cari che l’avrebbero preceduta.
John Goodwin invece godeva di ottima salute, ma non viveva più a Londra. Si era ritirato in
campagna una volta andato in pensione, per assaporare la serenità della natura, lontano da una città
caotica e opprimente. Era sempre stato un uomo semplice, senza grosse pretese, che aveva amato la
propria famiglia più di qualsiasi altra cosa.
Forse per questo Marissa li aveva abbandonati senza pensarci due volte. Aveva sempre odiato tutto
ciò che era ordinario, e probabilmente in questo John aveva sempre difettato agli occhi ciechi della
donna.
Tiana prese il cordless, si sedette sul divano, si tolse le scarpe, appoggiò i piedi sul parquet color
ciliegio, sgranchendoli, un gesto che le era caratteristico. Compose il numero del padre e gli raccontò
della novità affinché fosse fiero di lei.
Certo John non sapeva che era morta per rinascere vampira. Nessuno tranne Lance ne era a
conoscenza. Si vergognava troppo di ciò che era diventata, temeva che l’amato padre l’avrebbe
rinnegata e abbandonata proprio come la madre, e non poteva permetterselo. Le restava solo lui.
Parlarono per circa un quarto d’ora, poi si salutarono e fu allora che Tiana sentì tutto il peso della
sua solitudine interiore. E non avrebbe potuto avere neppure il conforto di una lunga dormita. Avrebbe
trascorso l’ennesima notte insonne passata davanti alla tv in un ozioso zapping. Non si sarebbe mai
abituata a tutto questo, aver bisogno di poche ore di sonno e non necessariamente da spendere durante
la notte, quella stessa notte che era diventata eterna per una come lei.
Quanto desiderava poter soffocare la stanchezza sotto un piumone soffice e dormire lunghi sonni
sereni, dimenticando tutto.
Ma anche in questo ero condannata a non essere più se stessa, a non seguire le sue vecchie abitudini.
Sospirò tristemente e si arrese a un’altra notte senza stelle.
CAPITOLO 2
Quelle pseudo stronzate greche lo irritavano molto.
Aveva sempre trovato stupide le leggende su Licaone, re di Arcadia. Una di queste raccontava che
Zeus, sceso sulla terra per testare il comportamento degli umani, ormai dediti solo alla guerra e alla
violenza, aveva trovato, tra tutti gli altri che lo idolatravano e avevano timore di lui, Licaone che lo
scherniva con sprezzo, offrendogli, con l’inganno, carne umana come cibo durante un banchetto. L’ira
di Zeus si abbatté quindi su di lui, trasformando l’uomo in una bestia feroce dalla forma di lupo in
modo che mostrasse a tutti la sua reale indole di ingannatore e assassino.
Alistar si ritrovò a rileggere per l’ennesima volta quella favoletta, apprezzando in realtà il
comportamento di Licaone disposto a rischiare tutto pur di spodestare il dio e ottenere il potere. Ciò
dimostrava molta arroganza, ma anche una profonda ambizione. Un aspetto della personalità che
aveva sempre ammirato in chiunque.
E ancora una volta si ritrovò a pensare a quanto poco assennati fossero gli dei. Leggenda o no, solo
uno stupido poteva dare un simile potere a un uomo. Un potere che lui bramava e sapeva essere
presente nella realtà.
Si narrava, che prima della trasformazione con cui lo aveva condannato Zeus, Licaone avesse avuto
cinquanta figli. Ognuno di loro, tranne uno, Nittimo, era stato ucciso dal dio. Ciò che le leggende
greche non narravano però, era il fatto che Licaone avesse avuto dei figli anche sottoforma di bestia.
Figli che avevano in loro il potere del padre, pur essendo per la maggior parte generati da umane.
Si raccontava che tre di loro si fossero uniti con le proprie sorelle, generando così una razza di
licantropi completamente pura, il cui sangue era portatore di una forza soprannaturale. Due di loro si
estinsero presto, braccati e uccisi dagli dei, una sola coppia sfuggì al controllo. Gli dei, si limitarono
perciò a scagliargli contro una maledizione. Ogni famiglia che sarebbe succeduta all’altra non avrebbe
avuto più di tre figli.
Nelle comunità dei vampiri questa era una leggenda che si tramandava di secolo in secolo, e pur
non avendo basi scientifiche, Alistar era certo che licantropi il cui sangue era elisir di forza,
esistessero sul serio.
Da centinaia di anni ormai.
Le sue ricerche lo avevano presto portato nel Nord America, nei territori fra l’Alaska e il Maine,
dove aveva scoperto esserci una famiglia di stirpe maledetta, i cui antenati avevano sempre avuto tre
figli, né uno in meno, né uno in più.
Aveva seguito in segreto uno dei figli, e con astuzia era riuscito a procurarsi un campione del suo
sangue. Nella sua attenta analisi aveva scoperto che la struttura genetica era molto diversa rispetto a
quella di qualsiasi altro licantropo.
Aveva intaccato il sangue con alcuni fra i virus più virulenti esistenti al mondo, fra cui l’ebola, e
con sua somma sorpresa, aveva scoperto che gli agenti patogeni si disintegravano nel giro di un
secondo non appena entravano in contatto con le cellule potenziate. Lo aveva testato con diverse
malattie e i risultati erano sorprendenti. Ogni singolo germe o batterio esistente sulla faccia della
Terra si dissolveva come fumo nell’aria.
Da perfetto scienziato lo aveva poi testato su se stesso, iniettandoselo puro nelle vene, e subito
aveva sentito la sua forza crescere. Le zanne erano fuoriuscite spontaneamente e ogni più piccola fibra
del suo corpo si era tesa.
Rischiando il tutto per tutto, aveva esposto una piccola porzione di mano al sole, ed estasiato, aveva
scoperto che non bruciava. Il sangue del licantropo, seppur in piccola quantità, fungeva da filtro solare
proteggendo la sua epidermide dai dannosi raggi UV in grado di ucciderlo.
Ciò significava solo una cosa: potere assoluto.
Non ancora soddisfatto aveva creato in laboratorio una potente arma batteriologica, un virus
sintetico da diffondere per via aerea. Lo aveva intaccato con il sangue potenziato del licantropo e per
il virus non c’era stato scampo.
Esattamente quello che sperava.
«Ali?»
Il vampiro distratto dai suoi pensieri alzò lo sguardo sulla donna che gli veniva incontro. Piegò la
testa da un lato e le sorrise allargando le braccia.
«Sei ancora preso dai tuoi studi?»
«Certo Caroline, lo sono sempre. Uno scienziato non finisce mai di imparare» rispose accogliendola
sulle sue gambe.
La giovane donna imbronciò le labbra piene e Alistar le passò una mano fra le lunghe ciocche di
capelli biondi. Lei si passò la lingua sulle zanne fuoriuscite e si morse un labbro.
«Ho voglia di te.»
«Tu hai sempre voglia di me.»
Alistar si alzò dalla sedia girevole su cui era seduto, spense il computer, e uscì dal laboratorio
dirigendosi nel salone della villa che una volta era appartenuta a un membro del parlamento.
Si fermò davanti alla finestra osservando uno scorcio sul Tamigi, illuminato dalla luna piena.
Caroline fu presto dietro di lui abbracciandolo di schiena, ma Alistar non le prestò molta attenzione.
Era solo una piccola puttana che si era venduta al miglior offerente. Non era degna di lui. Di certo
non era degna di quello che sarebbe diventato grazie al sangue di Christian Bryant e dei suoi fratelli.
Sangue giovane, nel pieno fulgore del suo potere.
«Non stasera, Caroline» disse allontanandola da sé.
In realtà aveva un appuntamento con un’umana niente male, una giornalista che gli aveva chiesto
un’intervista, una certa Denise e qualcosa.
La serata prometteva di essere molto di più. Denise, conosciuta nell’ambiente come la più
disponibile sgualdrina per vampiri esistente, aveva lasciato intendere che non si sarebbe limitata a
porre domande.
Non era certo il tipo che si tirava indietro davanti a una così allettante promessa. Denise, habitué
del Dragonia, sapeva dell’esistenza dei vampiri, ed essendo una donna intelligente e scaltra, sapeva
anche di dover preservare quel segreto se voleva mantenere la testa sul collo. Se il giornale per cui
lavorava avesse anche solo accennato alla parola vampiro, tutti avrebbero saputo chi era stato e
gliel’avrebbero fatta pagare molto cara. Ogni vampiro di Londra era in una botte di ferro e Denise era
sul filo del rasoio. Ma non sembrava importarle.
«Già… dimenticavo, l’appuntamento con la giornalista.»
Caroline sospirò chiedendosi perché fosse innamorata di quel pezzo di stronzo. Probabilmente il
suo lato masochistico le impediva di cercare qualcosa di meglio. In realtà qualcosa di meglio lo aveva
avuto per un po’, anche se era stata solo una messa in scena da parte sua. Proprio non era fatta per le
cose semplici e pulite.
C’era da dire che era innamorata di Alistar da decenni. Lui l’aveva trasformata, lui si era preso cura
di lei durante la transizione, lui l’aveva tenuta con sé come sua pupilla. I suoi continui tradimenti
erano una sofferenza, ma non poteva fare a meno di quel vampiro.
«Non tarderò. Lo sai, non significano niente.» Alistar le si avvicinò e in un gesto inusuale per lui, le
diede un tenero bacio sulle labbra che sciolse la vampira in brodo di giuggiole.
«Nemmeno io» gli ricordò Caroline.
La verità era che Alistar era innamorato solo di se stesso, il suo ego raggiungeva dimensioni
spropositate persino per uno della sua risma.
Era bello come un dio e pur essendo un vampiro piuttosto giovane, non era stupido come la maggior
parte di loro. Aveva in sé la scaltrezza e l’intelligenza di un vampiro millenario.
La somma di questi fattori lo rendeva assolutamente irresistibile agli occhi di Caroline.
Alistar si limitò a sorriderle, senza negare la sua affermazione, e la donna ebbe voglia di rompergli
la testa.
«Vado al Dragonia.»
«Sta’attento. Quel posto è diventato pericoloso ultimamente.»
«Non ora. Dopo il macello successo con Keane le acque si sono calmate. I vampiri ribelli hanno
deciso di deporre le armi per un po’ e i cacciatori sono a riposo.»
«Sai benissimo che ci sono cacciatori che non depongono mai le armi. Sai di chi parlo.»
«Holloway?»
«Esatto. Senza contare chi le offre la spalla. Galahad.»
Alistar fece una smorfia di disgusto. «È solo un mercenario.»
«Mercenario o no, è uno dei vampiri più potenti in circolazione, se non il più potente e non è dalla
nostra parte, questo è evidente.»
Il vampiro sospirò pensieroso. Il fatto che quel cane sciolto adesso non fosse più così sciolto, era
decisamente un problema, ma si sarebbe mosso con cautela.
«Non voglio fare l’uccello del malaugurio, ma non ci sono solo loro in giro. Hai dimenticato il
licantropo? È un cacciatore anche lui.»
«Non potrei mai dimenticare il licantropo. È la garanzia del nostro successo.»
Un ghigno dipinse le labbra di Alistar.
«È il licantropo, Ali, non un licantropo. Non hai forza sufficiente per contrastarlo. Se finisci nelle
sue mani di te non resterà nulla.»
Stavolta Alistar la spinse via furioso. «Io sono Alistar MacNeill, i miei antenati erano guerrieri
dell’antica Scozia, in me scorre sangue druido!»
Caroline si trattenne dal ridere. Uno scienziato della sua fama e statura che si lanciava in
esclamazioni di quel tipo. Come dire che adesso credeva alla fata dei dentini.
«Sei un vampiro di appena centottantuno anni.»
Caroline godeva nel sottolineare le sue debolezze, tanto quanto il vampiro amava ricordarle che per
lui, lei non significava niente.
«Bryant ne ha solo 25.»
«Non fa nessuna differenza, potrebbe averne dieci e spezzarti lo stesso. La sua forza è comparabile
solo a quella di un vampiro secolare.»
«Mi hai stufato con questa solfa. Mi viene il sospetto che la bestia in fondo ti piaccia.»
Caroline snudò di nuovo le zanne e sibilò. «Va’a farti fottere, Alistar.»
La vampira, furiosa, lo abbandonò e si rifugiò nella sua stanza maledicendolo.
Alistar sbuffò dicendosi che non gli sarebbe dispiaciuto liberarsi di lei un giorno o l’altro. Poi andò
dritto al Dragonia, portandosi dietro tre guardie del corpo, giusto per essere sicuri di trovarsi preparati
davanti a eventuali sorprese.
Come aveva preventivato, l’intervista di Denise non si limitò a delle semplici domande, ma si
concluse fra un groviglio di lenzuola in un motel della zona, dove Alistar poté godere di una buona
scopata e di un sostanzioso apporto di nutrimento grazie al sangue dolciastro della giornalista.
Tiana aveva dato appuntamento alla sua amica Lara Finnegan intorno alle ventuno davanti al
cinema. Stava appunto guardando l’orologio, quando si accorse che erano già passati quindici minuti.
Lara non era certo famosa per la sua puntualità, ma Tiana lo sapeva bene e furbamente, aveva
anticipato di mezz’ora il momento del loro rendez vous, in modo da non perdere l’inizio dello
spettacolo.
«Eccomi.» La voce di Lara annunciò il suo arrivo. Era affannata come se avesse corso. I capelli
castani dai riflessi mielati e il corpo tonico e atletico dovuto a molte ore di jogging, sbucarono da
dietro l’angolo. La donna, in jeans strappati sulle ginocchia e maglietta dei Queen sotto un giubbotto
sportivo imbottito color antracite, si fermò davanti a Tiana cercando di riprendere fiato.
«Tanto valeva lasciare la macchina sotto casa. Ho parcheggiato a un chilometro da qui. Dannato
centro.»
Tiana sorrise divertita. La sua amica non cambiava mai. Trovare una scusa per coprire i suoi ritardi
era da manuale.
«Sì sì, certo. Dai muoviti.» La spinse verso l’ingresso del cinema senza troppe cerimonie.
«Ma ti giuro che è così.» Lara brontolò per poi arrestarsi di botto vedendo il manifesto del film che
si apprestavano a vedere. «No, non può essere. Ma tu mi vuoi vedere morta?»
«Che c’è di male, amo i film in 3D.»
«Ma Titanic… no, dico… Titanic?» Lara cercò di tornare indietro sui suoi passi, ma Tiana la
acchiappò per la collottola, forse con troppa forza. Accidenti, anche questa doveva imparare a
controllare.
«Hei, She Hulk, da quando hai tutti questi muscoli se non fai neppure un po’ di palestra?» Lara era
evidentemente stupita.
«Ho tanta voglia di vedere il film e sono motivata.» Tiana la spinse verso la cassa dove pagarono il
biglietto e presero gli occhialini 3D.
«Dovrò comprarmi una tonnellata di pop corn e una coca gigante per affogare la mia disperazione.
Ma proprio un film romantico dovevi scegliere? Li odio.»
«Non è vero.»
«Sì, sei tu la romanticona tra le due. Zucchero filato, meringa e marshmallows tutti insieme.» Lara
fece una smorfia mentre si avvicinavano al bancone del bar per comprare qualche genere di conforto.
«Anche a te piacevano i film romantici.»
«Il bicchiere più grande… quello là.» Lara indicò al commesso quello che voleva e tornò a
rivolgersi alla sua amica. «Prima di conoscere Kirk, di essere tradita da lui e di scoprirmi disgustata
da tutto il genere maschile al gran completo.» Tornò a guardare il bancone. «E voglio degli m&m’s. E
della coca cola con tanto ghiaccio.»
Tiana rise. «Ma dove la metti tutta questa roba?» Osservò il corpo dell’amica che era perfetto.
«Secondo te perché faccio jogging?»
«Pensavo ti piacesse sentire la musica con le cuffie.»
Lara si voltò a fissarla storta. «Quanto sei spiritosa questa sera. Piuttosto immagino che come al
solito miss dieta ferrea non prenderà nessuna schifezza. Mi complimento per il tuo autocontrollo.»
Tiana scosse la testa dispiaciuta. Che senso aveva prendere cose buone che non avevano più nessun
sapore per lei? Lance era stato chiaro, solo gli alcoolici avevano ancora presa sulle loro papille
gustative, alcolici e sangue ovviamente. Il cibo serviva più che altro a camuffare le loro reali necessità
quando erano in mezzo agli umani.
«Ti perdi le cose migliori della vita» sentenziò Lara prendendo tutto tra le mani non prima di aver
pagato.
Si avventurarono all’interno della sala che non era piena a quell’ora e in quel giorno
infrasettimanale, ma aveva un discreto numero di sedili occupati. Si accomodarono nei loro posti e
Lara sistemò tutte le sue cibarie soddisfatta. «Almeno morirò felice e appagata. Il cibo non ti tradisce
mai.»
«Ma su, Titanic è un classico.»
«Un classico della sfiga, sì. E io ne ho avuta abbastanza ultimamente.»
«Kirk è passato a prendere le sue cose?»
Lara ghignò malefica. «Oh certo, e le ha trovate tutte scaraventate fuori dalla finestra, il testa di
cazzo. Tre anni della mia vita gli ho regalato, e lui come mi ha ripagato? Andando a letto per due mesi
a mia insaputa con Lisa tutta curve del ristorante cinese. Ma dico, mi hai guardato? Ti sembro da
buttare via?» Cominciò a piluccare nervosa i suoi pop corn. «Gli uomini e i loro piselli, non ne voglio
più sentire parlare. Vade retro o giuro che il primo che mi capita a tiro lo castro. E poi un attore,
capisci? Convivevo con un attore… me la sono proprio cercata. Loro recitano sempre, anche quando
non sono sul palco.» Prese un' intera manciata di pop corn e la schiaffò in bocca famelica.
Tiana immaginò quanto dovesse essere stata grande la delusione dell’amica nel veder naufragare un
rapporto che credeva consolidato. «Era facile che ti innamorassi di un attore, tu lavori a teatro»
ammise semplicemente.
Lara infatti era la scenografa di una piccola compagnia teatrale. Era brava nel suo lavoro, piena di
estro e fantasia. Nel tempo libero poi disegnava, nel suo laboratorio a casa, bellissimi ritratti su
commissione con cui arrotondava le entrate, visto che quello che guadagnava con la compagnia non
era molto.
Tiana si sentiva fortunata ad averla incontrata dopo il suo cambiamento. La sua amicizia, la sua
irriverente allegria, la sua sfrontatezza, erano state uno stimolo, l’avevano spinta a uscire la sera, e
con lei le sembrava di poter afferrare la normalità che credeva negata dagli eventi.
Lara era una forza della natura, sempre iperattiva, anche se recentemente il suo ottimismo si era
trasformato in una patina di sarcastica rassegnazione. Tutta colpa di quell’idiota di Kirk. La ragazza lo
aveva amato davvero.
Però, a volte Tiana aveva come l’impressione che Lara le nascondesse qualcosa, a volte il suo
sguardo si faceva assente, distante, come se pensasse ad altro, come se si trovasse in un posto lontano,
e il suo odore si faceva pungente, oscuro. Ma la donna poi diceva che andava tutto bene e così, Tiana
non insisteva. Tutti avevano diritto ai propri segreti, chi meglio di lei poteva saperlo?
«Oh, ma io ho chiuso con loro. Mi compro un vibratore, tutta la serie di dvd di Sex and the city e
vadano al diavolo.» Tiana si voltò a guardarla sentendo l’ultima parte del suo discorso e arrossì se era
possibile.
«Shhh o ti sentiranno.»
In effetti un paio di ragazzi si voltarono a guardarle, e Tiana si fece piccolina dalla vergogna. Lara
invece li ricambiò con uno sguardo corrucciato e parlando all’amica disse: «Non rivolgo un dito
medio in loro direzione solo perché sono una signora. Stronzi.»
Forse, anzi senza forse, Tiana aveva scelto il film sbagliato.
«La prossima volta ti porto a vedere un film dell’orrore.»
«Oh sì, ti prego, così quando cercheranno di uccidere qualcuno sgozzandolo io penserò a Kirk e
gongolerò di piacere.»
Tiana pensò divertita al poveraccio che prima o poi si sarebbe innamorato di Lara, perché a dispetto
della grinta che ostentava, era una donna generosa e buona, un’ottima amica, una splendida persona.
Se solo le avesse potuto parlare di sé, ma aveva paura di spaventarla, di allontanarla, e aveva bisogno
della sua amicizia, le voleva bene. Quella tragica sensazione di abbandono era sempre dietro l’angolo
e la condizionava più di quanto fosse capace di ammettere con se stessa. Ecco perché le venne un
irrefrenabile bisogno di sfogarsi.
«Lara, ho saputo che Ken si sposa la prossima settimana.»
«Oh cazzo!» esclamò l’amica lasciando la manciata di pop corn a metà tra il bicchiere e la bocca.
«Sei coraggiosa allora a vedere Titanic.» Cercò di scherzare, ma poi si fece seria, riponendo i pop corn
e pulendosi le mani.
Lara era a conoscenza di come Tiana avesse rotto il suo fidanzamento con Ken pochi giorni prima
del loro matrimonio. Ma non poteva sapere il motivo reale per cui lo aveva fatto. Tiana non era
riuscita ad accettarsi dopo la trasformazione. Se lei stessa si vedeva un mostro, perché non avrebbe
dovuto farlo lui? Non avrebbe mai potuto accettare di apparire così ai suoi occhi. Tutto questo l’aveva
distrutta. Era l’uomo che aveva amato per una vita, da quando erano ragazzini. Erano cresciuti
insieme, si erano innamorati, avevano scoperto insieme le gioie del sesso, avevano deciso di sposarsi e
poi lei era diventata una vampira e tutto si era frantumato come uno specchio che cade dal muro su cui
è appeso.
Tiana lo aveva lasciato, soffrendo immensamente, ma era convinta di avere agito per il meglio.
L’odio incontrollato di Ken le si era riversato addosso come una piena, ma non poteva biasimarlo, non
poteva sapere che lo aveva fatto per lui, lo aveva salvato da se stessa, da quello che poteva diventare.
Ken meritava di più. E a quanto sembrava aveva trovato quel di più.
«Mi dispiace tanto, Tiana. Davvero.»
«È tutto a posto, è giusto che sia così, l’ho lasciato io. Doveva rifarsi una vita.»
«Ma tu come stai?»
«Mi sento strana.» Era vero, ormai non amava più Ken, aveva chiuso la porta del suo passato alle
spalle, quella storia meravigliosa era finita per sempre e senza rimpianto. Sapeva di avere fatto la
scelta giusta.
«Mi aspetto un ma…» fece Lara attenta.
«Nessun ma. Va bene così.»
«È ora che ti trovi un altro e in fretta.»
Tiana scoppiò a ridere involontariamente. «Fammi capire, mi stai suggerendo, proprio tu, di avere
qualcuno? E tutti i tuoi discorsi sugli uomini, di poco fa?»
Lara fece spallucce. «Cara, quelli riguardano me, mica te, ovvio. E non sono io la romanticona che
sogna il principe azzurro.»
«Se è per questo neppure io.»
Già, al massimo il suo principe azzurro poteva essere il conte Dracula.
«No Tiana, tu vuoi l’amore con la A maiuscola, tu vuoi la passione e il romanticismo insieme.
Difficili da trovare, ma magari se inizi a cercare…» Sollevò le sopracciglia maliziosa.
«Certo, sì. Domani come un cane da caccia mi metto a fiutare piste.»
«Non ti ho mica detto di scoparti un tartufo, scusa.»
Entrambe scoppiarono a ridere.
«Piuttosto, mi ha chiamato Roan oggi. È fatta. Fender Moondance ha il suo albo.»
«È fantastico, batti il cinque amica mia.» I palmi delle loro mani si incontrarono in un sonoro
schiocco proprio mentre le luci della sala si spegnevano.
«Ecco, ci siamo, fammi mettere questi occhialini va.» Lara sbuffò. «E vediamo se il film finisce in
maniera diversa.»
Tiana continuò a sorridere allegra. Il film cominciò e per tutta la sua durata Lara non smise mai di
borbottare mentre sgranocchiava m&m’s. Quando fu finito e le luci si riaccesero, Lara proruppe in un:
«Ma quella donna è cretina? Tutto questo grande amore e neppure si è sacrificata per lui? Poteva
dargli il suo pezzettino di legno. Egoista.»
Si alzarono per defluire con il resto del pubblico verso l’uscita.
«Certo che sei una contraddizione vivente. Ora volevi che un uomo fosse salvato dal suo nefasto
destino?»
«Non psicanalizzarmi Tiana, il mio cervello fa a botte con se stesso a volte. Non farci caso.» Lara
rise buffamente mentre le due donne si ritrovavano davanti al cinema per gli ultimi saluti.
«E ora Cenerentola, cioè io, perde la scarpetta. Domani mattina mi devo alzare presto per un
ritratto. Odio quando mi fanno cadere dal letto con le galline.»
«Vai vai, ci sentiamo per telefono.»
Lara le depositò un bacio fuggevole sulla guancia. «La prossima volta il film lo scelgo io.» E con
questo si allontanò, sparendo dietro l’angolo da cui qualche ora prima era apparsa.
Tiana si incamminò verso il suo maggiolino, che aveva parcheggiato non molto distante. Salì a
bordo e cercò di avviare il motore, ma questo non partì.
«No, no, non mi puoi abbandonare proprio adesso.» Riprovò e riprovò, ma nulla. «Maledizione.»
Picchiò i pugni sul volante. Scese dalla vettura e diede un calcio alla ruota, come se si potesse
vendicare dell’affronto.
Le sarebbe toccato lasciare la macchina lì, si era perfino dimenticata il cellulare a casa, ed era
impossibile chiamare il carro attrezzi a quell’ora. Il cinema aveva appena chiuso. Le sarebbe toccato
tornare a casa a piedi.
Era pronta a partire dopo aver chiuso a chiave la portiera, quando un suono raccapricciante la colse
alla sprovvista. Sobbalzò dallo spavento, portandosi una mano al petto in un gesto vagamente
cinematografico. Sembrava un lamento sommesso. Da dove proveniva?
CAPITOLO 3
Quel lamento continuava a strisciare nel silenzio come un presagio di morte. Tiana rabbrividì
appoggiandosi alla macchina come per sorreggersi, guardandosi intorno evidentemente spaventata. Il
suo istinto umano le diceva di fuggire da lì, la sua velocità glielo avrebbe permesso senza problemi.
Ma se qualcuno avesse avuto bisogno del suo aiuto?
Aprì il portabagagli senza pensare e prese il crick che era sommerso da strati di polvere. Non era
mai stato usato d’altronde, ed era stato dimenticato lì probabilmente dall’acquisto della vettura. Tiana
sospirò impugnandolo per bene, anche se la paura le fece tremare la mano.
Certo che come vampira era davvero ridicola.
Sarebbe stato sufficiente affondare i canini nel collo di un potenziale aggressore, e questi non se ne
sarebbe neppure accorto. Ma se fosse stato un altro vampiro? Si spaventò ancora di più alla malsana
idea. E comunque non avrebbe mai potuto fare del male a nessuno, questa era la realtà.
Un rantolo… era un rantolo quello che sentiva?
Deglutì a fatica e cominciò a camminare in direzione di un suono che le graffiava le orecchie. Si
addentrò nel parco ovviamente deserto a quell’ora della notte.
Le foglie di una siepe le sfiorarono la pelle della mano libera e si ritrovò a sobbalzare
scioccamente. Che idiota. Cosa sperava di fare se aveva terrore della sua stessa ombra?
Di nuovo quel rantolo, una sorta di gemito.
Un forte odore di sangue le solleticò le narici e si sentì avvampare di una brama improvvisa. Calma
Tiana, calma, pensò brandendo il crick.
C’erano altri profumi in quella parte del parco, profumi che non riusciva ancora bene a identificare.
Lussuria? Morte? E fu allora che vide un’immagine raccapricciante, qualcosa a cui non si sarebbe mai
potuta abituare per tutta la sua maledetta eternità, sempre che fosse sopravvissuta abbastanza.
Appoggiati a un albero, due corpi erano avvinghiati. A un primo sguardo poteva sembrare in corso
un amplesso dei più infuocati, e Tiana pensò di aver sbagliato a immischiarsi. Ma l’odore del sangue
le ricordò con chiarezza cosa stava succedendo lì.
Un vampiro dai lunghi capelli biondi raccolti in un’elegante coda di cavallo, aveva affondato senza
ritegno i suoi canini nella gola di una giovane il cui corpo afflosciato era sorretto dall’albero e dalle
mani della creatura.
Doveva fare qualcosa perché riusciva a percepire il battito della donna che stava scivolando via.
Stava chiaramente morendo.
Il crick non sarebbe servito a nulla. Prese coraggio mentre lo nascondeva dietro di sé e si avvicinò
guardinga. Il vampiro avvertì immediatamente la sua presenza e le lanciò uno sguardo di fuoco.
«Vattene. Questo è il mio territorio» ringhiò con la bocca imbrattata di sangue.
Cosa poteva fare? Una lotta era fuori discussione e il tempo scorreva inesorabile. Pochi secondi e la
sconosciuta dai capelli ramati sarebbe morta. L’unica cosa che le venne in mente le sembrò anche
l’unica valida opzione.
«Lascia stare quella donna, sono venuta ad avvertirti. Ho visto dei cacciatori qui nel parco poco fa.
Ora me ne vado anche io di corsa, ti consiglio di fare altrettanto.»
L’espressione del vampiro cambiò, con rabbia lasciò andare il corpo quasi svuotato della donna, e
ormai soddisfatto del pasto, scappò senza esitazione, senza porsi troppe domande.
Allorché Tiana fece finta di allontanarsi da lì, ma dopo pochi secondi tornò sui suoi passi, arrivando
fino all’albero e chinandosi sulla malcapitata. Il sangue le bagnava la gola squarciata e i vestiti erano
ormai a brandelli. Tiana rabbrividì per la zaffata che l’avvolse subdola e invitante. Respinse un conato
di vomito alla vista dello scempio che era appena stato perpetrato ai danni di quella poveretta. Il suo
volto era cereo, le pulsazioni erano praticamente assenti. Sembrava già un cadavere, ma la vita ancora
non l’aveva abbandonata. Tiana si fece coraggio e si lacerò il polso con i canini, poi prese la donna tra
le braccia e le fece bere il suo sangue, costringendola, incitandola, ninnandola. Come avrebbe voluto
che la donna si riprendesse.
Chris era di ronda quella sera, come ogni sera. Il suo gruppo si era diviso a ispezionare Hyde Park
in zone differenti, lui aveva preferito rimanere vicino all’area dei negozi e del cinema, lì dove i
vampiri erano soliti presentarsi con più assiduità.
D’un tratto un nutrito gruppo di scoiattoli gli attraversò la strada. Che cosa strana. Gli scoiattoli non
vivevano in branco. Qualcosa doveva averne spaventati parecchi.
Con circospezione tirò fuori il coltello attento a cogliere ogni più piccolo rumore.
Sentiva già puzza di vampiro.
Uno strano suono gli colpì le orecchie. Si tese tutto cercando di capire da dove provenisse. Poteva
essere vicino oppure a metri di distanza, non riusciva a coglierne la differenza attraverso il fruscio
degli alberi che spostavano quel suono nell’aria.
Si avvicinò guardingo alla zona da cui proveniva il rumore, ma ancora non riusciva a vedere niente,
quando i suoni si fecero più chiari. Qualcuno correva. Cominciò a procedere velocemente anche lui
guidato da un odore piuttosto limpido, e arrivò in un anfratto buio del parco, dove un maledetto
vampiro era chino su una donna quasi priva di vita.
Non perse tempo in convenevoli.
Il vampiro... o meglio la vampira, si corresse notando le spalle esili e la femminile curva del
fondoschiena, sembrava non essersi accorta della sua presenza.
Chris brandì il coltello e glielo conficcò con un preciso fendente dietro le spalle all’altezza del
cuore, ma non così a fondo da ucciderla subito. L’afferrò per il collo e la tirò indietro tenendola
stretta, mentre all’orecchio le sussurrava: «Ceni, dolcezza?»
Tiana gemette. Quel dolore lancinante la squassò fin dentro le viscere, togliendole qualsiasi forza di
reazione. Tremò come una foglia mentre non riusciva a muoversi.
Il fiato caldo e viscido del suo assalitore le stuzzicava impietoso l’orecchio facendola sentire più
che mai una vittima. Come aveva fatto a non accorgersi del suo arrivo? Era talmente intenta a salvare
quella donna, che non aveva ascoltato i suoi sensi di vampiro. Tiana non sapeva cosa fare, ma di certo
sentiva il dolore aumentare sempre più.
«Non è come credi» sussurrò senza un filo di voce. «La stavo… la… stavo… aiutando...» balbettò
terrorizzata.
«Non è quello che dicono sempre tutti?» disse Chris con un sorrisetto mentre girava lentamente il
coltello nella sua schiena. «Fa male, vero?»
Godeva come pochi nel ferire una femmina di vampiro, soprattutto se aveva la fortuna di coglierla
sul fatto.
«Tanto... male e...» Tiana strinse il pugno fino a ferirsi con le sue stesse unghie il palmo. «Ti...
prego... c’era un... vamp... iro... e...»
Non riusciva a parlare, la sofferenza era insopportabile. Le lacrime le bruciavano gli occhi,
macchiandole di mascara le gote su cui scivolavano inesorabili.
Il cacciatore non prestò attenzione alle suppliche della vampira, con una mano prese il telefono e
premette il tasto di chiamata rapida.
«Ne ho uno.»
Diede delle coordinate e disse di venire a recuperare la civile aggredita. Non passarono più di
cinque minuti che una squadra di pulitori era già lì. Presero la donna e la portarono via per curarla.
«Tu... vieni con me. Ti porto in un posticino delizioso, tesoro.»
Chris legò i polsi della donna con una corda imbevuta di estratto di biancospino, letale nella dose
giusta. Il coltello restava conficcato nella sua schiena.
La trascinò nel furgone ricevuto in dotazione dalla Corporazione, la spinse senza tante cerimonie
sul retro, la legò a un tubo laterale in acciaio, e andò al posto di guida.
«Attenta agli scossoni, faranno andare la lama più a fondo» disse ridacchiando, mentre di proposito
accelerava a ogni buca che incontrava sulla strada.
Era caduta nelle mani di un cacciatore, uno di quelli di cui le aveva parlato Lance. Tiana si
guardava intorno terrorizzata, rinchiusa nel retro sporco e scuro, cercando una via di fuga, qualcosa
che potesse aiutarla.
Cosa le sarebbe accaduto? Che ne sarebbe stato di lei?
Ogni scossone del veicolo era una fitta lancinante che la dilaniava. La corda ai polsi le faceva un
male cane bruciandole la pelle, marchiando la sua carne viva come se fosse un ferro rovente. Tiana
non riuscì a trattenersi e gridò dal dolore.
«Ti prego... non ho fatto nulla» implorò piangendo.
«Urla quanto vuoi, tesoro, qui non ti sentirà di certo nessuno.»
Chris continuò a guidare senza rivolgerle più alcun tipo di attenzione, mentre ascoltava i gemiti di
dolore della vampira con notevole soddisfazione.
Tiana avrebbe continuato a urlare se non fosse stata terrorizzata. Il patimento era troppo grande,
non riusciva più a sopportarlo, come il timore che la sua fine fosse vicina. E adesso più che mai
sentiva che voleva vivere nonostante tutto. Che voleva rivedere suo padre e dirgli che lo amava.
Parlare con Lance, fare jogging con Lara, scherzare con Ted e vedere il suo albo pubblicato grazie a
Roan. Essere normale ancora una volta. Ma quelle immagini e quei desideri si confusero in una
cacofonia di tormenti e, senza rendersene conto, perse i sensi, cadendo in un dormiveglia fatto di
incubi. Non era neppure più cosciente di dove fosse.
Una volta giunto alla Corporazione, Chris si immise con il furgone nello stretto passaggio che
conduceva ai sotterranei della villa, dove tenevano prigionieri i vampiri.
Da quando Sophia era subentrata a James, con voto unanime, nella guida del gruppo dei cacciatori,
le cose erano molto cambiate. Nessuna taglia costringeva i cacciatori a predare, solo azioni criminali,
come per gli umani.
Ora si potevano definire una forza speciale, tipo gli S.W.A.T.
L’unica nuova legge applicata - e sospettava che dietro questa decisione di Sophia ci fosse lo
zampino di Lance - era quella di tenere prigionieri i vampiri ed essere certi che avessero commesso il
fatto prima di applicare la pena, che consisteva quasi sempre nella morte, per evitare che schizofrenici
come lui - diceva la sua adorata amica - facessero i vendicatori della notte.
Bella cavolata, quando anche lei per anni lo era stata.
Parcheggiò il furgone e scese a recuperare la vampira. La trasportò fuori dal mezzo, ed entrò con lei
caricata sulle spalle, nella prigione. Attraversò un lungo corridoio illuminato da fari molto potenti, in
modo che i poteri dei vampiri fossero in parte inibiti. La luce, seppur artificiale, era decisamente
fastidiosa.
Aprì una cella buia e depositò la vampira sul pavimento di cemento dove due giorni prima un
vampiro aveva trovato la morte. Chiuse la porta di acciaio e non si premurò di accendere le luci. Le
slacciò i polsi e le tolse il coltello dalla schiena.
Se avesse combattuto sarebbe stato divertente.
Gli altri vampiri rinchiusi intanto gli riservarono epiteti irripetibili, mentre di tanto in tanto le
guardie li colpivano con delle scariche elettriche per farli tacere.
Un rumore di sottofondo destò Tiana. Erano indecenti gli appellativi gridati da voci furenti e
aggressive in lontananza. Aprì gli occhi per ritrovarsi in un ambiente tutto scuro. Scattò seduta,
appiattendosi contro il muro terrorizzata. Le mani poggiavano sul pavimento lurido e il tanfo la
soffocò.
«Dove mi trovo?» domandò con voce lamentosa mentre il dolore nel suo corpo sembrava diminuito,
ma pur sempre presente.
«Ben svegliata, cucciola.» Chris le rivolse il migliore dei suoi ghigni.
Nonostante fosse una vampira, la cui vista era capace di scorgere bene al buio, a causa della
debolezza e del sangue perso per la ferita, Tiana faceva fatica a focalizzare il volto del suo rapitore. Il
corpo sembrava possente e vigoroso. Il viso in ombra era contornato di riccioli chiari. La voce era
profonda e tagliente con un tono ambiguo che la spaventò ancor di più.
«Perché mi hai rapita? Che cosa vuoi da me? Dov’è la donna che ho soccorso?» Le domande le
sfuggirono dalle labbra con grande rapidità, come se non avesse avuto il coraggio di formularle
altrimenti.
«Sono io a fare le domande qui.» Chris le fece un buffetto sul naso e poi la spinse contro il muro
con un piede.
Tiana si appiattì di nuovo contro la parete. «Perché mi fai questo?»
«Perché mi diverte.» Chris si appoggiò di fianco a lei restando in piedi a braccia incrociate sul
petto. «E la tua cena è al sicuro ora, stai tranquilla.»
«Non era la mia cena» gridò schiacciandosi contro la parete fredda e scivolosa. «La stavo salvando.
Non l’ho morsa io, le stavo dando il mio sangue per farla sopravvivere.» Le sembrava di farneticare
con frasi sconnesse.
«Direste qualsiasi cosa per salvarvi il culo, vero?» disse Chris facendosi più vicino.
«Ma perché non mi ascolti... c’era un vampiro con i capelli lunghi... e... la mia macchina era in
panne, ho sentito un lamento... ho preso il crick e mi sono addentrata nel bosco, quando l’ho trovato
stava uccidendo quella ragazza e così gli ho detto che stava arrivando un cacciatore... è fuggito e io mi
sono chinata per darle il mio sangue... stava morendo dannazione!» Tiana non poté fare a meno di
imprecare alla fine del suo farfugliare.
«C’è abbondanza di vampiri buoni in giro, a quanto pare? Chi è il tuo padrone?»
«Io... non ho padroni.» Aveva paura a rispondere, ma forse spiegarsi era la sua unica possibilità per
far capire che era una brava persona. «Fui abbandonata per strada; chi mi ha trasformata mi ha
lasciato lì. Ma si prende cura di me... un mio amico.»
«Sei una vampira senza sire, dunque? Nessun covo dove tornare?»
«Covo?»
«Sì, un covo... una setta... dove vi riunite tutti.»
«Io non mi riunisco a nessuno, di che accidenti parli?» domandò ancora più spaventata. Per chi
l’aveva presa?
«Peccato, ti avrebbe tenuta in vita almeno un altro paio di giorni, il tempo di riuscire a farti sputare
il posto dove eventualmente si trovavano gli altri della tua Happy Family, ma dato che sei un cane
sciolto, non mi servi a niente, quindi...» Chris tirò fuori il coltello da dietro la schiena, lo fece roteare
per aria e lo riafferrò. «Adesso ti farò vedere come passo il tempo di solito.»
Tiana sgranò gli occhi e cercò di alzarsi in piedi, ma era senza forze, le ferite non si erano ancora
rimarginate ed era da molto che non beveva sangue. Si appiattì ancora di più contro il muro, quasi
potesse attraversalo e scappare da lì.
«Ma che ti ho fatto?»
«Non l’hai capito ancora? Sono un cacciatore, non basta questo? E ora ti farò tanto male, perché tu
sei un vampiro brutto e cattivo.»
Chris inclinò il capo da un lato, spingendosi in avanti con una spalla. «Be’ no... brutto non direi
proprio.»
Osservò con attenzione l’ovale perfetto della vampira, gli occhi da gatta di un blu screziato di
grigio, e le labbra piene e rosse come se se le fosse mangiucchiate a lungo. Il suo sguardo viaggiò
lungo il collo snello e la linea sottile della spalla. La curva del seno che si alzava e si abbassava sotto
la fine maglietta per il respiro affrettato, gli fece passare la lingua sui denti, scoperti in un ghigno.
Tiana osservò un lampo crudele in quegli occhi verdi che sembravano di un predatore pronto a
sbranare la propria preda. I riccioli biondi contornavano il viso indurito dalla ferocia, mentre quel
corpo che aveva intravisto nella penombra, ormai si era fatta una sagoma distinta che la fece pensare a
un animale, fiero, indomito, elegante, ma letale. La vampira cominciò a tremare vistosamente
proteggendosi in un abbraccio che sapeva di disperata barriera contro l’uomo.
«Non ho fatto mai del male.» Singhiozzava senza sosta, cosciente che nessuno sarebbe venuto a
salvarla. «Lasciami andare, ti supplico.»
Chris ridacchiò. «Lasciarti andare è l’ultima cosa di cui mi puoi supplicare.» Si chinò su di lei, le
prese un braccio e tirò fuori una siringa con una piccola dose di estratto di biancospino, dalla tasca
della giacca; tolse il cappuccio all’ago con i denti e gliela iniettò senza tanti complimenti.
«Torno subito, tesoro, tu sta’ buona» disse allontanandosi per raggiungere le due guardie che
passeggiavano nel corridoio della prigione. Rifilò loro un centone comprando il loro silenzio. Ciò che
stava per fare alla vampira era decisamente contro le regole e Sophia, o peggio ancora, Lance, non
avrebbero mai dovuto saperlo.
Tiana si ritrovò accasciata a terra preda di terribili spasmi in tutto il corpo. Che accidenti le aveva
iniettato? Bruciava come fuoco liquido nelle vene. Le lacrime ormai le avevano bagnato il volto e la
maglietta, non riusciva ad arrestarle insieme alla paura più cieca.
Sentiva che stava per morire e cosa ancora peggiore, lo avrebbe fatto tra atroci sofferenze. Era
impotente, e si maledisse per non essere stata brava a imparare l’autodifesa quando Lance aveva
cercato di insegnargliela.
Chris la ritrovò tremante, preda delle convulsioni causate dal veleno. Le andò vicino e la tirò su con
poca delicatezza. Prese una museruola in stile Silenzio degli Innocenti dalla sua sacca, e gliela mise
sulla bocca per evitare che lo mordesse. La legò di nuovo per i polsi, poi se la caricò in spalla come se
fosse un fuscello.
«Vieni con me, ora io e te approfondiremo la nostra conoscenza.»
Si spostò in quella che i cacciatori chiamavano la stanza dei giochi. Dotata dei più moderni
strumenti di tortura (e anche antichi) anti-vampiro. La scaricò sul pavimento e chiuse la porta.
Con lo sguardo agghiacciato e l’impossibilità di muoversi, Tiana si ritrovò preda di un’infinita
angoscia. I suoi occhi si muovevano intorno frenetici, posandosi su oggetti che non avrebbe voluto
vedere.
«Non può essere vero.» Lo sussurrò appena, ormai senza forze a causa del biancospino e della ferita
che l’avevano fiaccata.
«Sarà divertente, vedrai.» Chris la spinse contro una parete. Sembrava non reagire, questo facilitava
di molto il compito. «Sei un vampiro molto giovane, vero? Sei debole come una bambina» le disse.
«Quanti anni hai? quattro? cinque?» Le tolse la museruola perché potesse parlare liberamente, mentre
la legava con delle catene al muro.
«Tre...» rispose Tiana con voce flebile, mentre con il corpo cercava di divincolarsi, ma inutilmente.
Sembrava un fantoccio nelle mani di lui, senza il controllo del proprio corpo. Si sentì terribilmente
patetica. «Co... cosa mi hai dato? Fa male.»
«Qualcosa creato proprio con lo scopo di far male. Ma c’è una cosa che farà ancora più male» disse