l`habitat secolare della fede ripresa e distanza ad opera dell`ethos
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l`habitat secolare della fede ripresa e distanza ad opera dell`ethos
L’HABITAT SECOLARE DELLA FEDE RIPRESA E DISTANZA AD OPERA DELL’ETHOS CRISTIANO Prof. Giuseppe ANGELINI I cristiani non si distinguono per paese, lingua, modi di vivere; e tuttavia si distinguono, addirittura si oppongono a questo mondo. L’opposizione ha di che apparire come una follia. Gli uomini secolari e “democratici” dicono che un tempo erano tutti matti; ormai siamo tutti un solo gregge, senza necessità di pastori. La questione dei rapporti tra senso comune civile e fede è di sempre; mai però ha trovato istruzione teorica adeguata. Oggi si propone in termini certo aggravati; e tuttavia disponiamo, virtualmente, di risorse concettuali più sofisticate per istruirla. 1. Fede e sapienza di questo secolo Quali rapporti tra fede e cultura? Tra visione del mondo scaturente dalla fede e visione raccomandata dall’ethos comune? In stagioni civili passate le formule usate sono state spesso tranchantes: stoltezza della fede contro sapienza di questo mondo (1Cor 1,20b21; cfr. anche Mc 8,4; 13,33; 7,18; 8,17). Paolo dice espressamente che la via del cristiano è alternativa rispetto a quella di questo secolo; e tuttavia, per poter discernere la volontà di Dio, quel che è buono, gradito a Dio e perfetto (cfr. Rm 12,1-2), non è possibile semplicemente uscire dal secolo. Paolo polemizza in maniera espressa con gli entusiasti di Corinto che pensano la novità cristiana come ordine sociale alternativo: ciascuno continui a vivere secondo la condizione che gli ha assegnato il Signore, come Dio lo ha chiamato (1Cor 7,17). Come conciliare la fede quale conversione con l’imperativo a rimanere nella condizione di prima? Paolo usa la formula del come se non (vedi 1Cor 7,29-31). Sarebbe semplicistico tentare di dividere le due condizioni, civile e spirituale, esteriore e interiore, come disgiunte. La condizione civile istituisce un compito, che soltanto mediante la fede può essere riconosciuto e adempiuto. Il rapporto tra le due condizioni è dialettico; il senso dell’una non può essere compreso senza riferimento all’altra. 2. Due diversi modelli: Agostino e Tommaso Per accedere alla verità dello spirito occorre passare attraverso le evidenze dischiuse dalla condizione civile; una tale verità è stata in molti modi rimossa dalla tradizione, in molti modi attraversata dall’ingenuo assunto, per il quale la conoscenza di Dio e della sua volontà sarebbe possibile a prescindere dalla cittadinanza terrena, dalle tradizioni di senso di cui il credente è partecipe grazie alla sua vita con gli altri. L’assunto che semplicemente separa le due sapienze è indice di ingenuità teorica o riflesso di un pregiudizio ascetico? Non è facile rispondere. Le forme tradizionali del pensiero cristiano hanno operato nel senso di suggerire una separazione tra le due sapienze, sia che esse fossero poi considerate come opposte o solo giustapposte. a) Oppone le due sapienze lo schema di Agostino: le due città costruite su opposti amori, amor sui e amor dei. La caritas non troverebbe fondamento nelle forme della prossimità configurate dai mores; avrebbe invece la forma dell’amor veritatis (philosophia). La sapientia è drasticamente separata dalla scientia, sapere relativo all’agire. Quando si tratti di cose create, criterio di giudizio è l’utile; di tali cose infatti ci si può solo servire, non ci si può in alcun modo compiacere. b) Decisamente diverso è il disegno della città terrena di Tommaso. Il criterio che presiede alla distinzione tra le due città è quello dei due ordini, natura e grazia, non quello dei due opposti desideri. La città terrena è esonerata dal sospetto d’essere edificata sul fondamento dell’amor sui; è accreditata invece del valore di espressione della giustizia naturale, nota alla ratio universale. Simile a quella di Tommaso è la prospettiva dal giusnaturalismo moderno in tutt’altro contesto storico, in polemica cioè con le Chiese e la concezione teocratica del potere. Uno schema simile a quello del giusnaturalismo moderno è proposto dal magistero cattolico per superare la polemica contro lo stato laico. L’obiettiva debolezza teorica della concezione giusnaturalista della giustizia è stata a lungo occultata da un alto grado di consenso civile garantito dall’ethos; era possibile l’illusione che quel consenso fosse garantito dalla ragione. 3. La consapevolezza nuova: la mediazione culturale L’illusione dura finché dura il consenso. I rapidi processi di deperimento del costume rendono evidente come non sia affatto la ragione a rendere accessibili i significati elementari del vivere, ma la cultura. Il progressivo imporsi di tale evidenza dispone condizioni propizie a una definizione della cultura, e quindi a una più attenta riflessione sul rapporto tra coscienza e società. Alla secolarizzazione il pensiero religioso ha risposto per lungo tempo indulgendo a una visione tragica della fede. Soltanto in anni recenti si afferma la consapevolezza di un nesso, che è di sempre: l’evidenza morale è propiziata dalle forme del vivere comune, che realizzano l’oggettivazione sociale dei significati elementari del vivere; appunto in tale oggettivazione consiste la cultura, mediazione necessaria tra coscienza e senso. E quindi anche tra fede e visione credente di tutte le cose. La fede certo anche critica la cultura; ma la critica non esclude la dipendenza da essa. La coscienza che crede non può cercare la città futura se non istruita dalla città presente. La distanza critica però consente alla fede di produrre un apporto non tautologico alla giustizia presente. Il rapporto dialettico tra coscienza credente e città terrena ha di che istruire sul tema generale dei rapporti tra coscienza e cultura. La coscienza ha bisogno di cultura, e tuttavia la sua percezione del reale non è la ripresa tautologica di essa; la ripresa è connotata in radice dalla memoria biografica; essa garantisce la referenza alla cosa, alla verità che sempre trascende la cultura. Grazie a tale referenza trascendente il singolo rigenera la cultura. 4. Una novità: la distanza tra cultura e coscienza Nelle stagioni civili precedenti il processo identitario si produceva propiziato dalle attese espresse dal contesto sociale. Rilievo fondamentale aveva la mediazione del sistema famiglia. Oggi il sistema famiglia è contratto sul registro affettivo; incontra sostanziali difficoltà ad articolare il suo messaggio in termini di cultura. L’apprendimento culturale minaccia di assumere modalità soltanto mimiche, ignare della referenza al reale, che la vicenda personale rende possibile. La cultura, anziché propiziare la percezione del reale, si sostituisce ad essa. Un paio di illustrazioni: (a) il passaggio dai mores alle buone maniere; (b) il comportamento solo mimico dell’adolescente. Cultura pubblica ‘ONU’ e ritiro del singolo nella clandestinità. Per rilevare un tale dinamica il ministero pastorale offre un punto di osservazione privilegiato (relazione decisamente ravvicinata alla coscienza); è però da rilevare il difetto di competenza dei ministri. Opportunità assolutamente privilegiate di annuncio del vangelo sono in tal modo mancate; il tratto convenzionale di rapporti destinati ad essere tutt’altro che convenzionali aggrava il sospetto nei confronti del ministero ecclesiastico. Le ragioni che aiutano ad intendere queste occasioni mancate sono molteplici. La ragione fondamentale è il difetto delle risorse necessarie. Ma ce n’è un’altra più sottile: quando debba dire di quel che ordinariamente è taciuto (i vissuti più personali, morali e religiosi), il singolo ricorre a una lingua stereotipa, che manca di esprimere quel che egli davvero vive; alla finzione il ministro facilmente si arrende, non solo per difetto di risorse, ma anche per discrezione. 5. Un luogo privilegiato: rapporto tra genitori e figli La distanza che inquieta, prima ancora che tra ethos secolare ed ethos cristiano, è tra ethos e coscienza in genere. Compito obiettivo dell’ethos è di istituire il rapporto con la verità; soltanto a condizione che istituisca tale rapporto l’ethos propizia la formazione del- la coscienza. L’ethos secolare vede questa sua attitudine decisamente compromessa. L’illustrazione più eloquente è offerta dai rapporti famigliari; la densità simbolica delle figure parentali per rapporto alla coscienza del figlio appare alla cultura secolare eccessiva; è infatti densità religiosa; sicché è rimossa. I rapporti famigliari tutti soggiacciono a rimozione con l’età adolescente. I genitori sono esonerati dal compito educativo, da ogni esercizio di autorità. Essi solo accolgono e rassicurano, non assumono il compito di attestare la verità. Se manca di realizzarsi la mediazione parentale della tradizione culturale l’apprendimento si realizza in forme soltanto materiali. Il figlio impara come ci si comporta, le buone maniere, ma non la verità della promessa che ha udito all’origine della vita. Rimossa la consistenza archetipa della figura dei genitori, il codice culturale è come staccato dalla sua radice. Il rimando all’origine è cancellato; l’apprendimento culturale non spiega la ragione di bene della vita. La cultura secolare alimenta una visione del compito educativo irreale; l’idea stessa che si possa educare appare esagerata e prevaricante. Proprio la considerazione del tema religione porta ad evidenza la rimozione del compito educativo. Per i genitori di oggi è ormai normale dire: “Non posso e non voglio decidere per lui; non voglio fare di lui un cristiano; voglio soltanto dargli anche questa possibilità”… 5. Fede per tutti? Fede perché tutti si convertano L’effettiva esperienza della relazione col figlio realizza quel rimando all’origine, che la cultura secolare rimuove; le attese del figlio lo rendono urgente. Nel rapporto col figlio i modelli culturali noti si arricchiscono di un senso, che prima sfuggiva. Le grandi parole circolano anche nella società secolare, ma come cifre logore. Per riempire di verità quelle parole, occorre che intervenga la ripresa non tautologica ad opera del singolo propiziata da esperienze religiose. La ripresa porta alla luce il rimando religioso rimosso. La ripresa operata dai singoli invoca il supporto ecclesiastico. Ha bisogno, più precisamente, del rito, del sacramento, del culto in genere, inteso non come prestazione aggiunta, ma come momento nel quale trova esplicitazione il rimando religioso iscritto nelle forme secolari della vita morale. Il momento liturgico, confessionale, appare per sua natura discriminante. E tuttavia il suo concorso è essenziale a rendere possibile la fede per tutti. Il suo effettivo concorso in tal senso è legato a una circostanza, ch’esso espliciti il rimando religioso proprio delle forme della vita comune. Le forme del rito debbono assumere le forme storiche dell’ethos, e portarne alla luce il rimando trascendente; esso suggerisce insieme come la ripresa credente comporti una conversione rispetto ai luoghi comuni della vita comune secolare. La fede così testimoniata è per tutti? Certo, per tutti. Ma perché tutti si convertano, non per confermare tutti nel luogo comune.