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Aristotele e la pedagogia come sistema:
a 2400 anni dalla nascita. Nota
Franco Cambi
Università degli Studi di Firenze
Via Laura, 48 - 50121 Firenze
[email protected]
Premessa
Qualche nota preliminare per richiamare alla mente un problema ormai accertato e fondamentale nella
cultura classica. La pedagogia come riflessione teorica
sull’educazione nasce con Platone. Con quello più socratico e con quello più etico-politico, che ci ha offerto
una doppia lettura di tale pratica sociale: una più antropologica e una più istituzionale, elaborando così due
modelli massimi per capacità interpretativa e di larghissima influenza in Occidente. Con Socrate e il suo
agire di “maestro” fissa il metodo e il modello di formazione personale di ogni giovane, attivando processi
che ne sviluppano conoscenza-di-sé e crescita della
propria humanitas, attraverso l’ironia, la maieutica e la
dialettica, passando per il ruolo-chiave assegnato a
Eros. Ne La Repubblica saranno indicate invece le tre
scuole strutturate per formare le classi sociali necessarie nello stato ben ordinato: la bottega per i produttori;
l’educazione musaica per i guerrieri; la dialettica per i
reggitori dello stato. Due modelli veramente magistraEDUCAZIONE. Giornale di pedagogia critica, V, 2 (2016), pp. 7-16.
ISSN 2280-7837 © 2016 Editoriale Anicia, Roma, Italia.
DOI: 10.14668/Educaz_5202
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li, ma che non si interrogano affatto sul tipo di sapere
che è la pedagogia riportandola all’alveo riflessivo
unico della filosofia.
Prima di lui e di Socrate l’educazione era ethos:
connessa alla conformazione ai bisogni e ai valori di
quella specifica società. E si pensi a Sparta, società di
guerrieri. Sarà poi la crisi di tale ethos greco, scandito
nelle varie poleis, che produrrà una riflessione più alta,
generale e astratta, con cui nascerà la pedagogia come
sapere teorico, sottraendola anche all’avventura dei sofisti che la interpretano come pura techne: come tecnica-del-linguaggio rivolta all’aver-ragione nei dibattiti,
impoverendo però, così, sia la discorsività dell’uomo
sia la sua humanitas. Da questa doppia crisi, di ethos e
di techne, partirà l’operazione di Socrate e proprio per
contrapporsi ad essa. E Platone andrà sulle sue orme,
senza inoltrarsi in una ricerca epistemica sulla pedagogia pur indicata come sapere/agire fondamentale e per
l’uomo e per la società.
Sarà Aristotele, sì grande metafisico e logico e
teorico dell’etica e della politica, ma soprattutto il protagonista di una svolta scientifica della filosofia, che
con lui si fa analisi di struttura e di senso di tutte, e
proprio di tutte, le forme dell’essere, dell’agire e del
sapere. Così darà corpo a una enciclopedia organica e
saldamente fondata che, infatti, guiderà per secoli il
sapere occidentale. Lì, in quella enciclopedia, c’è anche
la prima lettura del sapere pedagogico come sistema,
operando in tal modo anche un salto rispetto a Platone.
1. Sul pensiero di Aristotele come sistema
Se Platone fu un pensatore inquieto e problematico (e si ricordi la scansione dei suoi scritti tra giovi8
Aristotele e la pedagogia come sistema: a 2400 anni dalla nascita. Nota
nezza, maturità e vecchiaia e, nella stessa fase finale, il
riaprirsi del problema del rapporto tra “l’uno e i molti”
e quello della diairesis), Aristotele, anche nella forma
del suo pensiero, fu profondamente diverso: fu uno
scienziato (che analizza il reale e ne studia le forme alla luce dei principi) e decisamente sistematico (e si
pensi alla sua visione organica dei saperi, disposti tra
pre-sistema e post-sistema, cioè tra l’organon che fissa
la metodologia del pensare e il suo modello di rigore e
la metafisica che fissa i “primi principi” che interpretano e governano tutto il reale e da pensare oltre le
scienze). Anche le ricostruzioni più recenti del suo
pensiero hanno seguito tale esposizione della sua filosofia, come essa resta sullo sfondo di tutte le monografie dedicate alla ricostruzione della filosofia aristotelica, se pure rivolte ad aspetti di essa più settoriali. C’è
in Aristotele una visione sistemica del reale tutto e dei
suoi saperi che ha fatto scuola, e molto a lungo. Una
visione che è postulata dal suo realismo e al tempo
stesso dal suo pensare-per-insegnare ben connesso alle
opere esoteriche, che sono le sole che di Aristotele ci
sono rimaste e sulle quali pensiamo il suo pensiero. Lì
si collocano la logica e la metafisica, con al centro la
fisica, l’antropologia, l’etica, la politica e la poetica. E
su tale visione sistematica hanno fissato lo sguardo anche e proprio gli interpreti generali più recenti, da Robin a Dal Pra, a Geymonat, a Penzo, a Eco stesso nei
loro manuali del pensiero antico. Lì è il sistema a reggere tutta l’esposizione, mostrandone la ricchezza e la
lunga durata, la sua stessa forza nella tradizione occidentale, come pure i limiti di tale visione del reale e
dei suoi saperi, indicati anche alla luce della nostra
sensibilità di moderni. Comunque Aristotele fissa un
paradigma che unisce specialismo e organicità sistemica e che viene indicato come la regola aurea del fare9
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sapere, riflessivo e empirico al tempo stesso. E fu ciò
che lo rese appunto «il maestro di color che sanno» fino ai tempi di Dante e dopo, anche molto dopo.
Tra le scienze trattate da Aristotele un posto a sé
occupa la pedagogia. Essa non ha in tale sistema di saperi una propria autonomia, anzi è rigorosamente trasversale e si nutre di sollecitazioni e prestiti e dati accolti dai diversi settori del sapere, tenendo al centro la
formazione spirituale e sociale del soggetto (paideia)
da far maturare attraverso le informazioni che ci vengono dai molteplici fronti del sapere. Questo ci hanno
ricordato anche i più recenti studi sulla pedagogia aristotelica: per dirne alcuni, Marrou o Hourdakis. Tutto
ciò rende la pedagogia un sapere-di-saperi (e qui siamo
davanti a un richiamo ancora attualissimo, se pur da reinterpretare), appunto trasversale e interdisciplinare
orientato a fissare principi e norme per quel bisogno (e
personale e sociale) che verte su educazione/istruzione/formazione il quale innerva in modo primario la
vita umana, sempre. Proprio il principio sistemico e interdisciplinare ci illumina su tale processo formativo
(per dirlo in sintesi) sottolineandone la ricchezza, la
centralità, la problematicità e il pluralismo sintetico:
aspetti che dobbiamo riconoscere come ancora attuali
sul piano formale.
Certo in Aristotele tale sistematicità generale come carattere dominante del suo pensiero ha spesso
aspetti di sistematicismo quasi ossessivo, forse anche
legato alla didattica del suo insegnamento nel Liceo (e
si pensi solo alla Poetica che si articola in distinzioni,
in enumerazioni, in indicazioni di parti etc., sviluppando un discorso analitico sì ma che guarda soprattutto al
dare-ordine e a fissare-regole). Per la pedagogia la sistematicità è invece interpretativa, attinge a molti saperi e
si regola sul formarsi-umano-dell’-uomo come proprio
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vettore, unendo dati empirici (diremmo oggi) e norme
critico-regolative.
2. Trasversalità e centralità della pedagogia
In Aristotele la pedagogia come sapere della formazione umana dell’uomo nella sua integralità si dispone all’incrocio di tutte le opere per declinare l’io e
la mente, la sua coscienza e il suo pensiero assunto secondo nette idee di rigore, la visione del mondo reale
che esso deve interiorizzare e quella del mondo etico
connesso all’agire e per sé e nel mondo sociale stesso
ripensato oltre la polis e in tutte le sue “agenzie” formative, dalla famiglia allo stato, dal teatro alla letteratura. Sì, ma tale pedagogia ha uno statuto nettamente
implicito. C’è, ma è sommersa dentro il sistema enciclopedico stesso. Essa si fa esplicita se tale sistema
viene riletto dalla parte dell’anthropos e lì mostra tutta
la sua ricchezza e attualità, come ricordato sopra.
L’antropologia aristotelica si colloca, a una lettura
pedagogica in particolare, tra il De anima, l’Organon e
la Retorica, passando per le Etiche e declinando l’io, la
mente, il modello di sé. La visione del mondo da far
propria in tale mente e da trasmettere nella formazione
cognitiva e poi etica si lega alla Fisica e alla Metafisica, ma allargandosi anche al De coelo, al De generatione et corruptione etc. L’antropologia come etica sociale e organizzazione storica della società da interiorizzare si sviluppa nella Politica, nelle Costituzioni,
nella stessa Poetica. Sono le linee forti che aggregano
le varie opere intorno a quel focus che alimenta tutto il
sistema e che proprio la pedagogia sottolinea come
centro motore. Ovvero l’uomo che è colui che pensa il
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sistema, lo riflette in sé e lo anima poiché lo usa e lo
deve usare per il suo stesso stare-nel-mondo.
Qual è l’uomo per Aristotele? Un’anima che si
qualifica al livello più proprio alla quota intellettiva,
che opera sì in simbiosi col corpo, ma sale verso un
modello di vita mentale regolata da principi rigorosi (e
in più modi: il sillogismo, l’argomentazione, la retorica
rivolta a formare alla comunicazione efficace) e di coscienza di sé da coltivare e potenziare nella direzione
regolativa del bios theoretikos che prende corpo attraverso l’esercizio delle virtù e concentrandosi in particolare sull’otium o scholè che esalta la vita contemplativa,
dedicata al pensiero e ai molteplici riti del pensare, dal
meditare alla stessa elaborazione della scienza come
conoscenza pura.
Tale io deve darsi anche una precisa visione-delmondo, come ricordato, rigorosa e organica. Che si
tende tra empiria, ontologia e cosmologia. L’empiria è
contrassegnata dal movimento/mutamento che si spiega attraverso i principi della potenza e dell’atto e del
loro costante passaggio, della generazione e della corruzione, in cui permane però il “sostrato” che è il “diveniente” stesso articolato tra materia e forma. Così
Aristotele ci offre un quadro della fisica che mette al
centro il vivente e il suo sviluppo. Nel V libro della Fisica sono poi studiati i vari tipi di movimento e si fissano
anche gli elementi che formano le “cose” (terra/acqua/aria/fuoco) e del loro tendere al “luogo naturale” e
della loro capacità esplicativa dei vari fenomeni fisici:
ad esempio la “caduta dei gravi”. Intervengono poi le
quattro cause (formale, materiale, efficiente, finale)
che articolano un’ontologia scientifica per passare poi
alla teorizzazione dell’essere e delle sue accezioni,
concentrandosi sul Primo motore immobile che è Dio e
in sé puro Nous ovvero pensiero sempre in atto, come
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fissa la metafisica. E quel mondo di cui Dio è motore è
un cosmo. Un insieme ordinato di enti celesti descritti secondo il modello cosiddetto aristotelico-tolemaico: geocentrico e gerarchico proprio rispetto alla corruttibilità e
al cambiamento. L’uomo che si forma secondo la sua
paideia deve assimilare tale visione del mondo e farne
il suo orizzonte intellettuale, di quell’intelletto che è la
forma della sua natura portata alla pienezza del proprio
telos.
Ma l’uomo è sempre socius: vive con altri e con
essi opera e progetta il modello di società da abitare. In
cui stanno istituzioni e pratiche di vita sociale. La famiglia patriarcale. Lo stato monarchico, con alla base
un fascio di leggi che regolano (ovvero educano) la società e i soggetti. Ma nella società come comunità+stato+società civile si educa anche attraverso il controllo dei comportamenti: col teatro in particolare,
poiché lì si rappresenta la società stessa sia nelle proprie regole fondative – la tragedia – sia nelle dinamiche della doxa e dell’ethos comuni, da sanzionare e
correggere come fa la commedia. Qui è però la tragedia, tramite la catarsi, a emancipare l’uomo dalle passioni e ad aprire in lui la prospettiva della riflessione,
come ci ricorda con decisione la Poetica, nella sua parte rimastaci nota. Non solo: si educa anche attraverso
la scuola come luogo di formazione dei giovani e che li
innalza verso la coscienza-di-sé, della vita-buona (guidata dall’intelletto), di una vera conoscenza del mondo
e delle regole della organizzazione sociale.
Sì, tutto il sistema aristotelico è tramato di pedagogia e pensato proprio per una paideia che poi lo
stesso filosofo mise in opera nel suo Liceo, scuola di
formazione alla filosofia in cui si seguivano le lezioni
e si discuteva insieme passeggiando (ovvero costruendo una comunità di ascolto e di intervento). Quel suo
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sistema enciclopedico Aristotele lo aveva prodotto
proprio per l’uomo greco, libero e contrassegnato dalla
volontà di conoscenza e dedito all’otium e niente affatto
ai negotia, alle technai, alla praxis. Lì si coltivava anche «una solida organizzazione dell’erudizione scientifica» (Robin, p. 531), secondo una “classificazione”
ben presente in «un programma di studi diviso in tre
cicli», rivolti i primi due all’“educazione liberale del
cittadino” e il terzo alla “formazione dell’uomo di
scienza” (idem, p. 424). Così con Aristotele e la sua
scuola prese corpo in modo organico quel piano di saperi e di studi delle «sette arti liberali che dovevano
formare le basi dell’educazione nei quindici secoli successivi» (Bowen, I, p. 150).
3. La pedagogia come sistema teoretico
Riflettendo sulla paideia di Aristotele e sulla organizzazione della sua scuola, che insieme educa e fa
scienza, appare in primo piano un aspetto di tale pedagogia che ci appare oggi assai significativo: quello di
un sapere sistemico e transdisciplinare, come si è già
ricordato, ma che va ancora sottolineato proprio nei
suoi aspetti formali. Principi che a ben guardare risultano in sintonia con le stesse regole formali del discorso pedagogico attuale, anche se, ovviamente, messo a
contatto con le scienze moderne e con quelle dell’educazione in particolare, come ben teorizzato da Dewey.
Una organicità più molare, diceva la Metelli di Lallo,
che si è imposta come modello internazionale: e si
pensi alle voci di Mialaret o di Visalberghi o di Laporta tanto per esemplificare. Un modello inoltre in costante crescita e riorganizzazione, ma sempre più centrato su quell’educare-come-formare che era già per
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Aristotele il focus stesso della pedagogia e da coltivare
attraverso tutte le scienze per fissare un modello paideutico da tener fermo come oggetto formale e da sviluppare
sempre nella sua materialità e storica e culturale.
Allora la pedagogia di Aristotele a 2400 anni di
distanza ci parla ancora e da “maestra”. Resta attuale
su due fronti, già detti ma vale ricordarli ancora: 1)
l’immagine formale del discorso pedagogico, sì via via
da aggiornare ma da confermare nella sua struttura di
base, tra enciclopedia ovvero pluralismo dei saperi e
transdisciplinarità; 2) il focus permanente della paideia, che è l’umanizzazione-dell’-uomo, da tutelare
sempre e da ri-pensare sempre epoca per epoca. Anche
nel nostro post-moderno, così saturo di costanti innovazioni, di derive anche e di inquietanti aperture. Anche qui tutelare l’uomo e declinare l’immagine di un
sapere formativo ipercomplesso (come fu detto) resta
un compito primario e imprescindibile. Mutatis mutandis? Ovviamente, ma con fedeltà a questi paradigmi.
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