Il migliore amico - estratti
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Il migliore amico - estratti
IL MIGLIORE AMICO Cristina Toniolo … Luca fermò l’auto davanti ad una casa in ristrutturazione e la fece scendere. “Villa Ciclamino” si poteva leggere su un’insegna troppo vecchia per non correre il rischio di essere tolta e sostituita. Luca spostò delle assi e spinse avanti Renata. La fece camminare lungo un corridoio finché non incontrarono delle scale. Al piano superiore una delle tante stanze, di quell'enorme casa, era in buone condizioni e, dalla porta socchiusa, si poteva intravedere un bagno. – Io dovrei andare proprio in bagno – disse Renata mettendo, titubante, la testa dentro la stanza. – Fai pure, l’acqua funziona. Però la porta non si chiude, io ti aspetto in corridoio. Luca si spostò per lasciare a Renata un po’ d’intimità. Aprendo l’acqua, per lavarsi le mani, a Renata tornarono alla mente le prime notti che aveva trascorso nel nuovo appartamento e alla sveglia all’alba che l’inquilina, del piano di sopra, le dava con le sue solite docce che non finivano mai. Uscendo dal bagno si guardò in giro, quella stanza sarebbe diventata una camera da letto ed era stata tinteggiata da poco. Un buon odore di colore, non ancora perfettamente asciutto, e di pulito aleggiava nell’aria. In un angolo vide un vecchio divano a due posti e vi si lasciò cadere sopra. Non immaginava di essere tanto stanca. Ma non capiva perché quel mobile fosse lì anche se non le importava un granché, l’importante era che ci fosse. Qualche molla scricchiolò ma lei neanche se ne accorse. Esausta si lasciò sprofondare ancora di più e chiuse gli occhi. Lanciò una ciabatta per aria, dopo averla fatta ruotare diverse volte su sé stessa, e si sfilò l’altra aiutandosi con il piede nudo. – Vedo che ti sei accomodata – le disse Luca rientrando nella stanza – stai attenta, ha qualche molla rotta. Renata ascoltava la sua voce a occhi chiusi e lo seguiva nei suoi movimenti per la stanza. Si sentiva sveglia e cosciente ma le palpebre le risultavano troppo pesanti per riuscire ad aprirle. Non le andava di fare quello sforzo. Stava troppo bene così. Sentì che Luca si era seduto accanto a lei, dallo scatto di una molla sotto la sua coscia. Poteva percepire il calore emanato dalla sua pelle, la sua vicinanza le piaceva, il suo odore le piaceva. Sentì il calore del suo respiro che le si avvicinava e le sue labbra che trovavano le sue. Fuori regnava il silenzio. Com’era bello non sentire macchine sfrecciare o gente urlare. Quello era l’incanto di una casa isolata, di una domenica mattina e di un bacio che le sembrava irreale. … I pensieri di Renata volarono a Luca. Se Laura rimaneva con il padre avrebbe potuto rivederlo la sera stessa. Si sentiva emozionata come una ragazzina alla prima cotta. Anche i sensi di colpa erano spariti, come se non fossero mai esistiti. Chiacchierò ancora un po' con la figlia, le mandò una montagna di baci e riagganciò. Un campanile, con un suono alquanto stridulo e stonato, chiamava i fedeli alla messa domenicale. Renata si sorprese a ripensare a Luca, lo vedeva seduto accanto alla moglie, sotto gli sguardi scrutatori di amici e parenti, forse le teneva anche la mano e la stringeva come aveva fatto con lei quella mattina. Una fitta di gelosia le trapassò il petto. Ma non si era innamorata. Non ci si innamora in una notte, per non parlare di una persona che non si ha mai preso in considerazione. Lo aveva sempre visto come un uomo troppo rude, rozzo, anche volgare. E dire che lei non era poi una gran raffinatezza. Corse davanti allo specchio e restò per diversi minuti a fissare la sua immagine. Era troppo magra, le braccia erano percorse da una miriade di striature azzurre che la rendevano simile ad un extraterrestre, e la faccia era troppo scura a causa delle tante lampade che l’avevano abbrustolita. Si mise di profilo e, in un momento di sconforto, si chiese che cosa un uomo potesse trovare in una come lei, una dal sedere piatto e dal seno quasi invisibile. Eppure quella mattina Luca aveva dimostrato di apprezzarla, e molto. Con lui si era sentita splendida, cosa che non le accadeva più dai primi mesi di matrimonio. E anche allora Marco non aveva mai elogiato i suoi lati migliori. Marco la paragonava sempre a qualcun’altra e la mortificava. Era colpa sua se non aveva più fame, se rifiutava il cibo come se fosse stato appestato, e se era passata da 55 chili a pesarne appena 44. Renata aveva 26 anni ma ne dimostrava molti di più e, per la prima volta, trovò la forza di ammetterlo anche con sé stessa. Anche quando le labbra ridevano gli occhi si raggrinzivano, formando piccole rughe che si irradiavano per tutto il volto. E se Luca l’avesse vista proprio come lei si vedeva in quello specchio: brutta, vecchia e poco desiderabile? L’avrebbe voluta ancora nel suo letto? No, l’avrebbe scaricata. E se quella sera lei non fosse andata all’appuntamento, lui l’avrebbe cercata ancora? E se, caso ancora più triste, lui non si fosse presentato, come avrebbe reagito lei? Cosa ne sarebbe stato di lei dopo un affronto simile? Stava diventando paranoica e si riempiva la testa con inutili domande. Doveva smetterla o sarebbe impazzita. Accese la televisione e passò in rassegna diversi canali prima di scegliere cosa guardare. Su due canali trasmettevano quei documentari che tanto piacevano a Marco, ma che annoiavano lei a morte. Trovò dei cartoni animati, un concerto di musica classica, la messa. Finalmente trovò una trasmissione che parlava di bellezza, di salute e di cucina, quella si che era di suo gusto. Seduta sul divano, con una tazza di caffè fumante in mano, facendo una smorfia dopo il primo sorso, lei il caffè lo beveva sempre amaro perché aveva paura di ingrassare anche se diceva a tutti che lo preferiva così, prese mentalmente nota dei consigli che le stavano propinando. Renata trascorse tutta la mattina su quel divano. Verso l'una, indolenzita dopo aver sonnecchiato a lungo in posizioni scomode, si decise ad alzarsi e a prepararsi il pranzo. Ma, aperto il frigo, si rese conto che non le andava niente. La sua testa correva sempre da Luca, tutto il suo corpo bramava solo lui, niente altro avrebbe potuto nutrirlo come la sua presenza. Doveva farsi bella. Fece scorrere l'acqua nella vasca e vi si immerse con soddisfazione. Com'era piacevole l'acqua fresca sulla pelle accaldata. Con un asciugamano sotto la testa, si lasciò scivolare fino a sentire l'acqua che le accarezzava il mento. Chiuse gli occhi, sentì lo stomaco vuoto brontolare, ma non lo badò molto, ormai era abituata a convivere con la sensazione di fame. Allungò un braccio e trovò subito il pacchetto di sigarette. Una di quelle avrebbe rimesso tutto a posto. Quale delizia provò quando ne aspirò l'aroma acre e adagiò il braccio gocciolante sul bordo della vecchia vasca ingiallita. In quel momento Renata si sentì una principessa alla vigilia del gran ballo con il suo principe azzurro. E già si vedeva danzare in un abito colorato e luccicante mentre tutti gli sguardi delle donne erano rivolti a lei invidiandole l'aitante cavaliere. … Luca la guardava e non sapeva se provare tenerezza per tutto quell'ardore o paura per quel suo modo ossessionante di amare. Perché lui aveva accettato da un pezzo il fatto che Renata fosse gelosa, possessiva e insicura. Ma lui era forte e, nel profondo, era sicuro di amarla, magari non proprio come lei, non così tonalmente, ma di sicuro l'amava. Quel rapporto inaspettato gli aveva sconvolto la vita, ma come era stato contento di tutto quello sconvolgimento, come si era sentito bene nuovamente tra le braccia di una donna che lo desiderava, di una donna che era gelosa di lui, di una donna che lo faceva sentire il centro di tutto il suo mondo. – Mi piacerebbe prendere un cane per Laura, uno piccolo, che non abbia bisogno di molto spazio. E poi dovremmo anche parlare con Laura, prima le parlo io, da sola, è meglio, poi lo faremo insieme, e tu le regalerai il cane. Vedrai come sarà felice. Renata era partita per un mondo tutto suo e fantasticava a ruota libera. Sarebbe stato difficile arrestarla. Era felice e quello era il solo modo che conosceva per esprimerlo. Pensava, parlava, ripensava e riparlava. Non stava più nella pelle tanti erano i progetti che le affollavano la mente. – Dovremo anche comprare un lettino per tuo figlio, per quando starà qui con noi. Luca la guardava e non poteva far altro che sorridere. Gli sembrava una cattiveria interrompere quel volo di fantasia per farla precipitare nella dura realtà. La lasciò volare lontano, libera e soddisfatta, almeno questo glielo doveva. Anche lui sentiva il bisogno di sognare, magari anche solo attraverso gli occhi di Renata. Non era mai stato un grande sognatore, viveva la realtà così come si presentava senza ricamarci troppo sopra. Ma i sogni di quella donna lo rendevano partecipe, gli davano forza e lo attraevano come una droga. Forse tutta la sua vita sarebbe stata migliore con qualche sogno in più. Pensò a quello che sarebbe stato di lui se non l’avesse incontrata, di sicuro avrebbe continuato a passare le sue serate ad ubriacarsi al bar. Per la verità lo faceva ancora, però almeno non lo faceva più da solo. E, quando se ne andava, sapeva che aveva sempre un letto caldo ad attenderlo. Quanto lo inteneriva guardarla diventare tutto rossa dall’agitazione, muovere quei suoi fianchi stretti che avevano così poco di femminile, ma che lo facevano impazzire, perdersi in quegli occhi scuri che lo fissavano con ardore. Ma il tempo dei sogni doveva finire e Luca doveva riprendersi e tornare alla realtà. Doveva tornare a casa, da sua moglie, e il suo distacco, anche se sarebbe durato solo poco più di un mese, sarebbe stato pesante per entrambi. – Adesso calmati e stammi a sentire. Devo tornare a casa. Non potremo vederci molto nel prossimo mese e mezzo. Però ti telefonerò sempre, almeno una volta al giorno e, anche se solo per pochi minuti, voglio vederti spesso. Renata si era fatta seria. Quello era il prezzo che doveva pagare per la sua felicità e, tutto sommato, non era molto alto. Poteva andare molto peggio. Ma era difficile separarsi da lui, tanto difficile. – Devi andartene subito, vero? Io speravo che almeno oggi saresti rimasto, che potevamo rinviare tutto a domani. Le lacrime fecero brillare gli occhi di Renata; neanche lei riusciva a capire se era per il dolore di veder andar via Luca o per la frustrazione di doverlo cedere alla sua rivale. Per il momento lei aveva vinto, ma non sarebbe durata molto la sua vittoria. – Fra un’ora la dimettono dall’ospedale e devo andarla a prendere. – Capisco – mentì ancora convinta che, qualsiasi cosa facesse, Marcella lo pianificasse per indispettire lei. – Stasera ti telefono. Se riesco ad uscire per qualche minuto, passo a trovarti. Avvertivano la reciproca paura, paura che quella storia potesse separarli. Paura di non essere abbastanza forti per superare quel momento difficile. – Forza, vattene! E con una mano lo aveva afferrato per un braccio e lo stava accompagnando alla porta. – Va via, Luca, o potrei ripensarci e non lasciarti uscire. Luca non sapeva se andarsene o aspettare ancora un po’. Aveva ancora qualche minuto a disposizione e avrebbe voluto usarlo per stringere Renata tanto forte da lasciarle impresso il suo corpo, il suo calore, il suo odore. Ma più avrebbe aspettato e più sarebbe stata difficile la separazione. Ma lei lo teneva a distanza. Era un po’ arrabbiata per il fatto che dovesse tornare a casa. Aveva bisogno di tempo per assorbire quel colpo. Renata aprì la porta e lo spinse avanti. Luca non sembrava capire perché tanta fretta, ma si rassegnò e si lasciò buttare fuori dall’appartamento. – Ricordati, una telefonata e qualche minuto per vederti, ogni giorno. E che la cosa non si trascini oltre Natale, le feste non voglio trascorrerle da sola – gli disse sorridendogli e chiudendogli la porta in faccia. Rimasta sola andò verso la finestra che dava sul portone. Voleva vederlo andare via, voleva riempirsi gli occhi della sua immagine. – A presto, Luca – sussurrò quando lo vide uscire dalla porta e alzare la testa verso la sua finestra alla ricerca del volto amato. Lui la scorse dietro la tenda e la salutò con la mano. Le mandò anche un bacio che lei ricambiò sorridendo e arrossendo. Era quasi arrivato all'auto e un nodo le serrò la gola. Era rimasta sola. Luca aveva chiuso la portiera della macchina e se ne era andato. Sentì un gran peso calarle sulle spalle e si liberò dal suo dolore scagliando un bicchiere contro il muro. Si abbassò per raccogliere i vetri ma si fermò sentendo il petto scoppiarle. Il dolore non le permetteva di respirare. Annaspando, alla ricerca di un briciolo d'aria, si rialzò e si abbandonò su una sedia. Ma cosa stava facendo? Perché aveva accettato una situazione simile? Perché era una debole, si rispose dopo un attimo, perché aveva paura di perderlo se lo avesse messo alle strette. Perché non voleva essere più sola. E quel pensiero la ridestò come se avesse preso una scarica elettrica. Renata non si era mai sentita così stanca ma era iperattiva. Solo tenendo occupate le mani avrebbe potuto evitare di pensare. Cominciò a pulire tutto quello che le capitava sotto mano, con rabbia. – Va al diavolo! – esclamò di colpo. Raccogliendo i pezzi del bicchiere rotto si era tagliata. Non aveva sentito dolore ma solo un bruciore profondo e, una goccia di sangue, cadde sul pavimento. – Maledetto bastardo! – e continuò ad insultare quel pezzo di vetro che l’aveva ferita. Parlava a quel vetro con tutta la rabbia che aveva dentro, quasi avesse avuto Luca davanti agli occhi e fosse stato lui a farla sanguinare. – Stupida, stupida e ancora stupida! Renata se la stava prendendo anche con sé stessa per essersi tagliata e per aver lasciato andare via Luca senza essersi fatta sentire prima. Passò il dito tagliato sotto l’acqua fredda e guardò, come ipnotizzata, il sangue che continuava a scorrere, goccia dopo goccia, schizzo dopo schizzo. Il taglio era più profondo di quanto aveva creduto in un primo momento. Pazienza, sarebbe rimasta la cicatrice. Sanguinava e piangeva. Cercò i cerotti ma non riusciva a ricordare dove li aveva messi. Quando finalmente li trovò, li sparse tutti sul pavimento. Andando in bagno passò davanti ad uno specchio e quello che vide non le piacque. Una donna ancora giovane la stava guardando, aveva gli occhi rossi e gonfi di pianto, il trucco della sera prima colato su tutto il viso e i capelli arruffati. Si fece impressione. Con una decisione violenta si diresse verso il bagno e si gettò sotto la doccia. Scelse qualcosa di carino da indossare e si truccò con cura. Quella sera sarebbe uscita o avrebbe rischiato di impazzire. Mise il profumo migliore che possedeva e si ammirò allo specchio. In quel momento quello che vedeva le piacque proprio. Si sorrise per ammorbidire la sua espressione e fu soddisfatta del risultato. – Forza, Renata, usciamo – si disse andando verso l'ingresso e richiudendosi la porta alle spalle. Era arrivata anche la fine di novembre e si cominciava a sentire odore di Natale nell’aria. Per le vie del centro si stavano allestendo le luminarie e i negozi erano ricolmi di luci e colori. L’allegria e la festa dovevano farla da padroni. Era sabato mattina e Renata passeggiava per il corso con Laura per mano. La bambina era deliziata da tanto movimento e pensava già a quanti regali avrebbe trovato, la mattina di Natale, sotto l’albero. Chiacchierava felice di quello che avrebbe voluto fare ma la madre non le prestava molta attenzione. Renata, ogni tanto, si limitava a sorriderle e a dirle di si ma i discorsi sciocchi della figlia non la interessavano per niente, cosa strana visto che di solito le piaceva tanto chiacchierare con lei. Quella era proprio una tipica mattina di autunno inoltrato: grigia, tetra, umida e fredda. Ma alla bambina non importava proprio nulla. Lei si godeva il fermento che vorticava nell'aria, si crogiolava nel rumore delle assi con cui avrebbero costruito la casetta di Babbo Natale, si inebriava dell'aroma di cioccolata calda che si sprigionava dai bar, nell'allegria contagiosa dei sorrisi delle tante commesse che addobbavano le vetrine. Girava senza sosta la sua testolina scura e cercava di acchiappare, con un solo colpo d'occhio, tutta quell'animazione e si sentiva felice, di quella felicità pura che solo un bambino ha la capacità di provare. Ma, intorno a loro, la giornata continuava ad essere tetra e sembrava che l’umore di Renata si fosse accordato con il tempo perché anche lei si sentiva così: scura e foriera di tempesta. Renata ripensava a Luca e a quanto poco si erano visti dopo quella domenica. Trascorrevano tanto tempo al telefono, ma quello non le bastava, non le bastava più da un pezzo. Provava uno strano presentimento, come un formicolio che non le dava pace, come una vocina che le diceva che qualcosa sarebbe andato storto e avrebbe sconvolto tutti i loro piani. Ma poi si diceva che era una stupida e che, molto presto, tutta quella sofferenza sarebbe finita. Ancora una manciata di giorni e il figlio di Luca sarebbe nato ponendo fine a quella situazione. E lei sarebbe rinata a nuova vita. Renata e Laura camminavano, intirizzite nel gelo di una mattina come tante, ognuna persa nei propri sogni o nei propri incubi. Agli occhi di tutti Laura era una bambina felice, non aveva patito molto dalla separazione dei genitori, forse perché entrambi avevano sempre pensato, per prima cosa, al suo benessere. Renata alzò gli occhi al cielo e sentì una grossa e gelida goccia di pioggia caderle proprio in faccia. Si asciugò la fronte con la mano ricoperta dal guanto e continuò per la sua strada. Di lì a poco cominciò a cadere una pioggia fitta e copiosa. Corsero sotto ad un portico e trovarono rifugio in un bar affollato. Si sedettero all’unico tavolo libero e ordinarono la colazione. Avevano bevuto solo il caffè latte quella mattina. – Guarda, mamma. Stanno facendo l’albero. Papà mi ha promesso un albero nuovo quest’anno, con le luci colorate e anche un angelo luminoso che scende dal soffitto. Mi ha detto che vuole fare anche il presepe e io lo devo aiutare. Non vedo l’ora di cominciare. Renata annuiva, con aria assente, alle parole della figlia. Intanto, si guardava intorno. Non molto lontano da loro, un padre stava giocando con il suo bambino di pochi mesi. Quello poteva essere Luca, e quella la sua famiglia. La tristezza prese ancora il sopravvento, anche se la ragione cercava di avere la meglio. Per Natale tutto sarebbe passato e anche lei avrebbe addobbato l’albero con l’uomo che amava e si sarebbe sentita felice come era giusto che fosse. Provò ad immaginarsi Luca accanto a Marcella, ma non ci riuscì, l’immagine non si materializzava nella sua mente. Vedeva Luca, i suoi capelli lunghi e ricci e il suo sorriso beffardo, e poi vedeva lei, un po’ robusta, alta e sempre con l’espressione triste. Ma non riusciva ad immaginarli insieme, forse perché li aveva visti così raramente insieme. Eppure anche loro dovevano aver avuto una storia, una storia d'amore e di passione come tante. Ma lei non ci poteva pensare. Nella sua mente ingenua, Luca aveva provato la vera passione solo con lei e non le restava che credere che l'amore tra lui e Marcella fosse un amore nato da ragazzi, quando ancora non si conosce la passione vera ma solo la bramosia del corpo di un altro tra le mani e la fantasia di farsi una famiglia felice ed eterna. Marcella non era una donna passionale, almeno non aveva mai dimostrato di esserlo, chissà cosa ci aveva trovato in lei Luca, si chiese con una smorfia di disgusto. Era nervosa, più del solito, e si torturava le unghie, come al solito. Era impaziente e continuava a guardare l’ora, come se quella situazione si fosse potuta sbloccare in pochi minuti. – Tu che ne pensi, mamma? Ci verrai? Alla domanda di Laura, Renata tornò alla realtà e guardò la bambina con aria interrogativa. Non aveva sentito una sola parola di quello che aveva detto. La fissò a lungo, cercando delle parole che potessero adattarsi alla situazione, ma non le trovò e restò a bocca aperta. Consapevole della propria mancanza, Renata indirizzò alla figlia un largo sorriso e cercò di salvare il salvabile portando l’attenzione della piccola su qualcos’altro chiedendole: – Ti piacerebbe un Babbo Natale con la slitta come quello? – e le indicò quello che un ragazzo stava attaccando davanti ad una finestra. – Certo, mamma. Però non mi hai ancora risposto. Verrai o no alla Messa di Natale con papà e me. Ha promesso che mi porterà a quella di mezzanotte. La Messa di Natale. No, non aveva voglia di andarci con Marco anche se avrebbe reso felice Laura. Quella notte la voleva dedicare a Luca. Avrebbero cenato da soli e si sarebbero presi cura l’uno dell’altra per tutta la notte. Il mattino dopo si sarebbero svegliati insieme e avrebbero gettato le fondamenta del loro futuro. Quella mattina sarebbero andati alla messa insieme e avrebbero gridato ai quattro venti che loro si appartenevano e che andavano fieri del loro amore. – Non so se potrò venire, tesoro – continuò Renata, divisa tra le parole che rivolgeva alla figlia e i suoi sogni, – però papà ti accompagnerà e, poi, ti porterà a bere una cioccolata calda e tu ti divertirai tanto. E, sorridendo, aggiunse: – Non ti preoccupare per Babbo Natale, passerà sia a casa del papà che a casa mia, così ti lascerà il doppio dei regali. E ti prometto che non curioserò finché non arriverai tu ad aprirli. …