libricino 2016
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libricino 2016
AUSER Volontariato di Forlì - Onlus Associazione per l'Autogestione dei Servizi e la Solidarietà XXVI Concorso letterario “DARE VITA AGLI ANNI” Organizzato da AUSER Volontariato di Forlì – ONLUS per racconti e poesie Col Patrocinio del Comune di Forlì Assessorato alla Cultura, Politiche Giovanili, Turismo, Pari Opportunità Elaborati premiati Anno 2016 In copertina: Dipinto di Kobi Rabenu Dare vita agli anni –2016 Nel ricordo di MARIO VESPIGNANI ALLA MIA DONNA Non conoscevo l’AMORE. Non avrei mai creduto si potesse amare tanto intensamente. Dalla notte dei tempi, dagli albori del mondo ci viene questa dolce parola: AMORE. A regolare le leggi dell’Universo, alla base di tutto il creato, c’era forse una sola parola: AMORE. Ma ben presto si trasformò in Odio, Invidia, Guerra e Dolore. Oggi l’AMORE che dovrebbe ispirare la vita di tutti gli uomini è una cosa negletta, meschina. Oggi è l’oro il padrone del mondo, è su lui che si fanno i baratti e l’AMORE è rimasto per pochi, per quegli esseri semplici e buoni che si stringono al petto felici. 3 Dare vita agli anni –2016 Forse è questo l’AMORE tanto tempo inseguito, forse è questo l’AMORE tante volte sognato, forse è questo l’AMORE che ci viene oltre l’arco del tempo, che ci fa esser simili ai primi abitatori della Terra. Come vorrei che la restante vita che ci attende, in perfetta comunione d’intenti, portasse solo e sempre: AMORE Mario Vespignani 25.10.1963 4 Dare vita agli anni –2016 Sommario Sezione “Racconto” 1° classificato: Di madre in figlia, Enza Valpiani p. 9 2° classificato: La casa del boia, Sara Zatelli p. 15 3° classificato: L’ora della coscienza alla fine del tempo incosciente, Gianluca Alberti p. 21 Segnalato: I due orfanelli, Stefania Zaccheroni p. 25 Sezione “Poesia” 1° classificato: Come cambiano i colori, Bruno Centomo 2° classificato ex aequo: Entusiasmo di madre, Giuseppe Mandia 2° classificato ex aequo: Echi dal passato, Irene Ricci 3° classificato: La mia età, Manuela Monti Segnalato: Le parole che non so dire, Stefano Baldini Segnalato: Inciampo, Daniela Cortesi p. 30 p. 32 p. 34 p. 36 p. 38 p. 41 Ringraziamenti p. 43 5 Dare vita agli anni –2016 Commissione giudicatrice: Sezione “Racconto” Davide Argnani Rosanna Ricci Viola Talentoni Graziella Valentini 7 Dare vita agli anni –2016 I CLASSIFICATO DI MADRE IN FIGLIA Enza Valpiani Motivazione: Lo scritto si è distinto per la capacità di interpretare al meglio le caratteristiche di un racconto. Coerenza, equilibrio di sequenze, caratterizzazione dei personaggi, in particolare quello della madre, diventano motivo di attenzione e di riflessione in chi legge. 9 Dare vita agli anni –2016 DI MADRE IN FIGLIA Enza Valpiani In coda a pochi chilometri dal casello di Piacenza, il continuo lampeggiare di ambulanze e polizia fanno presagire lunghi tempi di attesa, perciò lancia uno sguardo rassegnato alla fila di veicoli che la precede e spegne definitivamente il motore. Appena a metà di questo viaggio, così difficile da affrontare, già un imprevisto la costringe a fermarsi; per fortuna l’appuntamento che l’attende a Torino è fissato per domani, così ha tutto il tempo di accettare con calma anche il ritardo che si prospetta. Alcuni automobilisti davanti a lei, invece, hanno lasciato la vettura e sono andati a curiosare, camminano avanti e indietro, sbraitando a passi lunghi; lei no, non pensa proprio di chiedere notizie sull’incidente, per una sua forma di pudore di fronte alla sofferenza. Solamente in Italia ha imparato che cos’è il dolore, non ci sono state ferite nella sua adolescenza, impressa nella sua memoria come un’altra vita, vissuta in Brasile tra le fazende sperdute nel Rio Grande del Sud, a Garibaldi. Curioso, pensa, a Garibaldi, eroe nazionale, in Italia sono state dedicate ovunque piazze, monumenti, strade, ma neanche mai una piccola città o paese. In Brasile, invece, l’eroe aveva avuto questo onore, ed in fondo quando lei viveva laggiù, grazie a quel nome si sentiva un poco più vicina all’ Italia che aveva lasciato con l’inconsapevolezza dei suoi cinque anni. Si era sempre chiesta che cosa aveva spinto suo padre a fare questo passo, abbandonare i parenti e gli amici a Torino ed emigrare con la famiglia in Brasile; la fine della guerra lo aveva lasciato in fondo piuttosto benestante, aveva tuttavia voluto mettere radici ed attività commerciali in un luogo così sconosciuto e lontano. Lei aveva vissuto quel tempo come una fiaba, per la magia di quella natura ancora selvaggia e lussureggiante. Uno sguardo allo specchietto retrovisore per controllare la lunga fila di veicoli che si è formata dietro di lei, poi i suoi occhi indugiano a scrutarsi, ravviando con un gesto abitudinario il biondo ciuffo di capelli un po’ ribelli. L’immagine che le rimanda lo specchio è quella, rassicurante, di una donna matura molto giovanile, grandi occhi azzurri, zigomi alti nell’incarnato delicato. Si era chiesta tante volte perché mai così bionda e chiara di carnagione l’avevano chiamata “Morena”, quando non c’erano state mai nemmeno altre donne con quel nome in famiglia. Lei invece per le sue figlie aveva scelto due nomi luminosi, (come quello di sua madre) ed il ruolo di madre era forse per lei il più importante che aveva voluto assumere nella vita. Donna impegnata, colta, 10 Dare vita agli anni –2016 ricca di amicizie, moglie, soprattutto madre, ma non una madre prevaricatrice bensì “presente”, questo sì, questo per lei significava la maternità. Premurosamente le figlie si erano dichiarate disponibili ad accompagnarla in questa prova, se lo avesse desiderato, ma lei aveva rifiutato, con affettuosa fermezza; era del resto una cosa che la riguardava intimamente e voleva affrontarla da sola. Aveva così cominciato questo viaggio verso Torino con piena coscienza che non sarebbe stata una passeggiata, non un ritorno alla città delle origini per svago e tantomeno per una rimpatriata coi parenti, ormai tutti deceduti. La chiamata le era giunta improvvisa e l’aveva davvero turbata. Per di più non amava troppo guidare a lungo ed un viaggio di 400 chilometri non era forse la scelta più comoda; eppure aveva preferito non prendere il treno, le avrebbe lasciato troppo tempo per riflettere sull’ incontro. Questa sosta forzata ora, invece, la costringe a rimanere in attesa, sola coi suoi pensieri al bordo dell’autostrada. Si deve rilassare un po’, è sul punto di chiamare le figlie, sorridenti coi nipotini sullo sfondo del display del telefonino, poi rinuncia per non allarmarle; ora, mentre fissa lungamente il nastro di asfalto accanto alla fila di veicoli, si snodano i suoi pensieri in una direzione incontrollata. Dei tanti viaggi fatti nella sua vita verso Torino, le si presenta alla memoria il primo, purtroppo indimenticabile. Un viaggio comodo, in un piroscafo che attraversava l’oceano. Sfilava davanti ai suoi occhi una lunga teoria di immagini luminose, di acque azzurre, solcate da branchi di pesci che seguivano la bianca schiuma della nave; di notte poi, in quel silenzio che soffocava anche i minimi rumori, dominava il rollio delle onde e le luci delle città costiere si riflettevano sull’acqua come un presepe animato. Se fosse stata una crociera di piacere sarebbe stata una esperienza esaltante, ma la dimensione in cui la viveva era tutt’altra, era e sarebbe rimasto per sempre il viaggio della vita, quello che chiudeva la porta del passato e lasciava di fronte una incognita totale. Tutto il giorno, tutti i giorni di quel lungo viaggio, rimaneva rivolta verso l’oblò della cabina, che le riempiva le ore di azzurro, anche perché nella direzione opposta una piccola vetrage le rimandava sempre e solo l’immagine della porta di fronte, perennemente chiusa e buia. Bastavano gli occhi di suo padre, continuamente fissi in quella direzione, a imporle di volgere la testa altrove e fingere di leggere uno dei libri che aveva con precisione impilato sul sedile vuoto alla sua destra, una fila in portoghese ed una in italiano, già in bilico in quella realtà a doppia direzione. Amava tanto la lettura, era stata per lei una finestra aperta sul mondo, in quegli assolati pomeriggi brasiliani, sotto la chioma della grande palma, accanto alla villa. I suoi le avevano procurato anche tanti libri in italiano, per tenere viva la lingua madre che rischiava di dimenticare, o di falsare, con quelle inflessioni piemontesi che cinguettavano in 11 Dare vita agli anni –2016 casa. Glieli portava trionfante suo padre la sera, quando rincasava abbracciando teneramente le sue donne, lei e soprattutto sua madre: scambiava occhiate complici e felici con quella giovane moglie, bella e prosperosa, che viveva in adorazione per lui, preparandogli i più gustosi manicaretti. Era proprio così che lei aveva sempre pensato a sua madre, l’archetipo della Madre, portatrice di cibo e forse per questo, crescendo, le aveva lasciato intatto il suo regno, la cucina, e si era dedicata ad altro, ad esempio alla lettura di libri di storia dell’arte. Così aveva imparato ad identificare gli stili nel tempo e anche i monumenti di quella Italia lontana. Per questo, appena entrata nella cabina della nave, anche senza leggerne la didascalia, aveva subito riconosciuto i soggetti delle foto in bianco e nero che ornavano le pareti: il Colosseo, il Duomo di Milano, la torre di Pisa e, quasi un gioco del destino, la mole Antonelliana e la Basilica della Grande Madre di Torino ... Si era soffermata poi, in quei dodici giorni terribili, a contemplare a lungo l’architettura della basilica di San Pietro; come la definiva il suo libro? Il più importante esempio di arte Barocca. Adesso anche lei aveva esperienza viva di questo stile: aveva accarezzato a lungo la decorazione a putti e volute barocche della cassa che suo padre aveva scelto pochi giorni prima e che insieme ad alcune suppellettili riempiva di sé la cabina di fronte. Aveva avuto tutto il tempo in quel viaggio di immaginarsela, la magica e raffinata Torino, anche lei con i suoi palazzi barocchi e le sue regge, ma ancora non sapeva quanto l’avrebbe amata; avrebbe imparato col tempo a riconoscerne i profumi segreti, nelle caffetterie d’epoca dove dalle preziose tazzine col bordo dorato si espande l’aroma del cioccolato o del “bicirin”. Che abisso dal clima solare e ridente delle terre del Rio Grande agli inverni nebbiosi e bui! Solo la neve le sarebbe piaciuta, come una soffice rivelazione. Certo, anche lei da bambina sapeva che cosa era la neve, come una cosa che tutti sanno, vista sui libri, nelle fotografie, nei biglietti di Natale che come uno stereotipo anche in Brasile erano decorati di slitte, pupazzi e bianchi fiocchi, ma in realtà in tutti gli anni in cui aveva vissuto laggiù non aveva mai visto la neve. Solo a Torino e poi a Forlì sarebbe stata affascinata dalla sua leggerezza ed inconsistenza, e, mentre tutti la consideravano un peso ed una difficoltà, lei avrebbe sempre amato quella sensazione nuova e lieve, di scioglierne un poco tra le dita. Come era stato doloroso quel viaggio in nave, che azzerava la sua vita a nemmeno diciotto anni! Le sembrava di avere perduto per sempre la gioia di vivere e la leggerezza, chiusa tra quelle pareti ondeggianti, in un tempo dilatato dal mutismo di suo padre e lo sguardo perduto oltre quella porta, nella cabina chiusa a chiave, dove il corpo di sua madre, poco più del doppio dei suoi anni, impallidita all’improvviso e perduta in un istante, era rinchiuso per sempre in una splendida cassa di noce intagliata a volute barocche. La riscuotono suoni 12 Dare vita agli anni –2016 di clacson; lo sventolio di bandierine segnaletiche le indica che il flusso del traffico sta riprendendo e la colonna di veicoli avanza; dell’incidente non restano che pochi indizi, sull’asfalto è facile cancellare con perizia tutte le tracce, come è difficile invece rimuovere le ferite dell’anima -pensa- anche a distanza di cinquant’anni. L’arrivo a Torino la coglie quasi di sorpresa, tanto l’assorbe l’impegno nella guida. Non aveva scelto il solito albergo nei pressi di piazza Vittorio, ma uno più decentrato, vicino al luogo dell’appuntamento. Alla reception l’impiegato, cortese ma un po’ distratto, dopo una rapida occhiata alla foto del documento d’identità, si accinge a trascrivere i dati, numero e luogo del rilascio. “Dunque è romagnola” dice e poi, senza nemmeno aspettare la risposta, “si sente dall’accento”. Lei non ha coraggio né voglia di rispondere che no, che la Romagna è terra di residenza ma lei è torinese e se lo sente ancora dentro un poco di “compostezza piemontese”. La parlata poi, figurarsi, se il portiere avesse avuto più orecchio avrebbe potuto distinguere una esse dolce, un suono strascicato, musicale come una samba, altro che “esse” romagnola! Sorride comunque all’impiegato che, credendola turista, le chiede se è interessata ad una visita guidata al Museo Egizio, da poco ristrutturato. La coglie un brivido. Un flash le ricorda quando l’aveva visto la prima volta, in gioventù, appena arrivata a Torino, in compagnia delle zie che non aveva mai conosciuto prima e che volevano farle da guida in città; con le loro buone intenzioni l’avevano accompagnata in una lunga teoria di sale e teche piene di gioielli, geroglifici, reperti, ma anche di corpi mummificati e male conservati… Risponde cortesemente di no, accenna di essere a Torino per un impegno preciso e dice che vedrà certamente questo restauro in una occasione migliore. Con un largo anticipo l’indomani si avvia a piedi al vicino luogo dell’appuntamento, mentre cammina si sofferma a frugare con lo sguardo le numerose statue di stile neoclassico che spuntano qua e là tra le piante ormai spoglie ed intirizzite nei vialetti silenziosi ed ordinati. Quando entra nell’edificio espone all’usciere la sua pratica e viene indirizzata allo studio del dottore che ha firmato la lettera di convocazione; mentre lui si alza cortesemente per stringerle la mano, lei si stupisce un poco per la mascherina protettiva, appesa al collo sul lungo camice bianco, poi pensa che, anche se piuttosto particolare, è pur sempre un medico, attento alle precauzioni. Parlano brevemente degli aspetti formali, burocratici della questione, delle date, delle cifre; il dottore quasi si scusa della necessità di questa operazione … lo spazio … le richieste … il tempo. Lei annuisce accondiscendente, adesso ha fretta di concludere questo incontro. Entrano da una porta laterale nella grande sala bianca, dove già li aspettano gli addetti, che si posizionano le rispettive mascherine sulla bocca, con sussiego, smorzando le oziose chiacchiere sportive che avevano scambiato nell’attesa. 13 Dare vita agli anni –2016 L’atmosfera è strana, quasi onirica, ma le sensazioni sono reali, scandite dallo stridio dei trapani con cui questi uomini armeggiano; pochi minuti ed il pesante coperchio di noce intagliato viene sollevato non senza fatica. Il dottore, anatomo-patologo, le chiede di eseguire il riconoscimento, e lei guarda: a contatto con l’aria, il velo e parte dell’abito si dissolvono in una nuvola di polvere e, come in una visione irreale, le appare dopo cinquant’anni quel volto, tanto sognato e pianto, straordinariamente intatto. Avevano fatto un lavoro perfetto, laggiù nel Rio Grande, preparando il suo corpo per conservarlo a lungo, durante il rimpatrio, nel viaggio per mare e poi fino al cimitero monumentale di Torino. Il dottore, vedendo il suo sguardo fisso ma “assente”, attende con discrezione, poi è titubante nel ripetere di nuovo la domanda di riconoscimento, necessaria per poter operare poi la cremazione del corpo prescritta dalla legge dopo un determinato numero di anni, ed aggiunge con discrezione “Capisco … l’emozione … è … naturale”. No, non può capire, e non è affatto “naturale”, perché quello che rende lucidi i suoi occhi non è solo l’emozione di questo ultimo incontro con sua madre; in fondo lei aveva sempre saputo che mentre cresceva, amava, aveva figlie, ed amici e carriera e viaggi, sua madre in questo cimitero era rimasta intatta, preservata dallo scorrere del tempo. Lo sapeva, ma ora lei, madre e nonna, si trova catturata in un labirinto di specchi, fissando quel taglio di occhi e quegli zigomi armoniosi, quasi un marchio per le donne della sua famiglia, e pensa che non è affatto naturale che appartengano ancora (e per qualche ora solamente) all’immagine di sua madre, più giovane di ciascuna delle sue figlie, in un gioco assurdo di matrioske che non riesce a rimettere l’una in grembo all’altra. Indugia per un attimo, frastornata, poi risponde allo sguardo interrogativo dei presenti “ Sì, certo, è lei, potete procedere … naturalmente”. 14 Dare vita agli anni –2016 II CLASSIFICATO LA CASA DEL BOIA Sara Zatelli Motivazione: Il corpus narrativo, ricco di dialogo, ha radici nel fantastico, ma è anche una metafora della realtà. Il racconto scorre agile e nitido e propone sensazioni e sentimenti senza tempo. 15 Dare vita agli anni –2016 LA CASA DEL BOIA Sara Zatelli La bassa nebbia avvolgeva tutto, mentre le prime luci dell’alba cercavano di illuminare il cielo confuso. Il silenzio era totale ed ogni passo era un azzardo. I ciottoli scivolosi avevano lasciato posto ad un ghiaino fine, sul quale le sue suole di cuoio tendevano a scricchiolare. Di fianco solo erba alta, bagnata, costellata di erbacce. Meglio i sassi, alla fine. Avanzò lentamente, respirando l’umidità bassa. Era quello il giorno, non c’era alternativa, la sfida era stata lanciata e non poteva tirarsi indietro. L’alta fila di pioppi si faceva vicina e la sagoma della torre massiccia si delineava, spiccando sopra il contrafforte. Una luce fioca si espandeva da dietro le sue mura, sicuramente una torcia che ardeva ad illuminare il bastione. Trattenne il respiro, mentre il sentiero si insinuava nel tratto che accedeva al contrafforte. Solo silenzio, solo nebbia. Nemmeno gli uccelli uscivano con quel tempo, solo le lumache, silenziose e viscide come il fossato in cui sarebbe finita se fosse caduta dalla torre. La vide, nera nel buio, con le sue piccole feritoie e la luce sinistra che illuminava l’aria attorno. Conosceva ciò che si diceva di quel posto: se la avesse sentita chi stava all’interno probabilmente la avrebbe infilzata con una scure senza tanti complimenti. Rabbrividì, mentre le sue mani stringevano forte l’arco che teneva in mano. Pensò che se fosse riuscita ad arrampicarsi sulla rocca raggiungendone la sommità e a scoccare la sua freccia nessuno avrebbe più dubitato delle sue capacità. Guardò le mura, imponenti e silenziose: in fondo la costruzione non era così alta. Il suo respiro si fece nebbia, mentre osservava il punto in cui alcuni mattoni erano franati a terra, offrendole una piccola rampa per salire sulle mura e da lì iniziare a scalare la severa facciata. Sospirò e mise l’arco a tracolla, maledicendo l’assenza di vegetazione. Alla fine la nebbia era sua alleata, forse. Ma come avrebbe potuto prendere la mira verso il camminamento in quelle condizioni? Sperò che la luce della torcia non fosse sulla traiettoria, altrimenti avrebbe dovuto aspettare che facesse definitivamente giorno, ed il rischio di brutti incontri sarebbe cresciuto notevolmente. Prese un lungo respiro e corse rapida e leggera fino al muro. Silenzio ed il cupo canto di un upupa tra gli 16 Dare vita agli anni –2016 alberi. Dicevano portasse male. Dicevano che oltre alla lunga fila d’alberi, dove le mura iniziavano a curvare ci fosse il cimitero delle vittime del Boia, le cui anime vagavano inquiete nei giorni di nebbia. Nessuno di loro si era mai avventurato laggiù, dove nessuna torcia ardeva e nessun sentiero di sassi era tracciato. Volse lo sguardo all’edificio vicino: ad occhio poco più di dieci metri di altezza. Era abbastanza brava con le distanze, l’occhio era allenato dai lunghi pomeriggi a tirare sui lontani covoni, i movimenti divenuti rapidi dopo le innumerevoli corse a recuperare le sue poche frecce senza farsi prendere, senza farsi vedere. Il chiarore della torcia situata sulla facciata che guardava i campi fuori dalla città faceva risaltare le file di mattoni, mostrandole le sporgenze utili. Doveva salire in cima all’edificio formato da due parti, sulla torretta, con la sua zona di avvistamento. Da lì avrebbe potuto agevolmente mirare al camminamento ed infilare la freccia sul legno della palizzata che reggeva l’esile ponte che sembrava sospeso su un mare di nebbia. Sistemò le protezioni dei polsi, si assicurò che l’arco fosse posizionato bene e strinse la cintura, cui erano legate le frecce. Si alzò in piedi e iniziò ad arrampicarsi piano, facendo molta attenzione agli appoggi. I mattoni facevano odore di muffa e terra e l’umidità rendeva tutto più scivoloso. Le strette finestrelle vicino a lei erano buie e sperò che non fossero quelle della camera da letto. Le superò con cautela e vide che gli ultimi mattoni erano dannatamente lisci. Si sposò sullo spigolo della costruzione, troppo vicino alla luce della torcia, troppo a rischio di proiettare la sua ombra nei dintorni. Trovò un paio di appoggi e si issò velocemente verso l’alto, raggiungendo la zona di avvistamento e saltando all’interno. Il mondo fuori dalla città era un grigio muoversi di nebbia bassa ed erba che frusciava al vento. Si immaginò i nemici, che scivolavano piano attorno alla città e la fila di arcieri appostati sulle mura, pronti ad accoglierli. Quante battaglie avevano visto quelle mura? Quante frecce erano volate leggere da lassù configgendosi nel petto di soldati poco accorti? Quanti cavalieri erano stati bloccati e ricacciati indietro, sconfitti? Alcuni uccelli partirono in volo dal un grande albero vicino, facendola sobbalzare. Tremò e sfilò l’arco, poi slegò un paio di frecce: doveva fare in fretta, ma quella maledetta nebbia non accennava ad alzarsi. Scrutò in basso e vide la sagoma del ponte di legno, confusa nell’umidità. Doveva lanciare, prima che qualcuno iniziasse a muoversi nella rocca. Sospirò e alzò l’arco, 17 Dare vita agli anni –2016 tendendolo piano, testandolo. Prese una freccia e la infilò, poi tese le braccia. Tremarono per un attimo, poi il suo sguardo frugò nella nebbia, la sua mente calcolò la distanza, mentre la sua pelle percepiva il vento lieve e ne valutava la portanza. Il braccio si tese fino in fondo, poi la freccia partì, fluttuando sicura nell’aria. Si sentì un colpo secco e la sua bocca si increspò in un lieve sorriso. “Ottimo tiro”, nel silenzio, una voce cupa risuonò dietro di lei che si voltò tremando. Una sagoma enorme si stagliava nella fioca luce. Eccolo, il Boia era davanti a lei. Infilò l’arco a tracolla e strinse la sua freccia nella mano in silenzio, spostandosi piano verso il muretto laterale. “Dove credi di andare, giovanotto?” chiese la voce. Lei si voltò velocemente ma una grande mano le afferrò la giubba. Sentì il suo sangue gelarsi e il suo cuore battere all’impazzata. “Chi ti ha mandato?” chiese la voce profonda, vicinissima a lei. “Nessuno” rispose lei con filo di voce. “Non mentire, ragazzo. Nessuno viene mai quaggiù. Voltati e guardami in faccia” Lei deglutì e si voltò verso l’uomo. “Per favore non uccidetemi con la vostra scure. Nessuno mi ha mandato, sono qui per una sfida” rispose imitando la voce di un ragazzo. L’uomo rise sonoramente. “Non ho mai ucciso nessuno con una scure, chi credi che io sia?” Lei tremò. “Si dice che questa rocca sia abitata dal Boia” sussurrò piano, come se la parola stessa potesse valere una condanna. Il volto dell’uomo si trasformò in ghigno. “E dunque tu sfideresti il Boia in persona?” “Hanno detto che chi fosse riuscito ad infilare da qui la sua freccia nel primo legno del ponticello dalla torre avrebbe avuto diritto di entrare alla scuola del Bardo” disse lei con un filo di voce. “Tu non entrerai mai in quella scuola” decretò l’uomo lasciando andare la sua giacca. “E perché?” lo sfidò lei, nonostante la paura le facesse tremare le gambe. “Perché sei una ragazza” rispose lui incrociando le braccia. Lei rimase in silenzio ad osservare l’uomo, alto e muscoloso, con in volto un sorriso beffardo. 18 Dare vita agli anni –2016 “Magari il Bardo non la pensa come voi” gli disse, scossa dalla rabbia. Il tiro era stato fatto, la sua freccia era infilata nel legno, nonostante la poca luce, nonostante la nebbia. Il sorriso dell’uomo di allargò e lui allungò il suo braccio. “Dammi il tuo arco” le disse. Lei strinse la mano attorno ad esso. “L’arco non si cede a nessuno. È la prima regola di un arciere.” L’uomo la osservò con attenzione e lei vide un lampo nei suoi occhi. “Se io fossi il Bardo me lo daresti?” “Se voi foste il Bardo vi darei il mio arco e le mie frecce” rispose lei. “Allora dammelo ed io ti dimostrerò che quanto ti hanno detto a mio riguardo è falso e ciò che io affermo è vero.” Lei esitò. Il Bardo per tutti loro era una vera leggenda, ma lei, che abitava nelle borgate della città bassa, non lo aveva mai visto da vicino. Pensò che di certo se lo avesse voluto l’uomo che le stava di fronte avrebbe potuto staccarle il braccio dal corpo e prendersi l’arco in ogni momento. Se lo sfilò dalla spalla e lo porse all’uomo, che lo soppesò e poi tese verso di lei l’altra mano. Lei aprì la sua mano e gli porse la freccia. Lui la prese e si posizionò vicino al muretto che circondava la sommità della torretta, tese l’arco un paio di volte, poi infilò la freccia. Lei lo osservò e vide il suo volto concentrarsi, il suo naso dilatarsi, i suoi occhi farsi due fessure sottili. La freccia partì, leggera e veloce, fluttuando nell’aria ed andò a conficcarsi addosso a quella che lei aveva lanciato. L’uomo rigirò in mano l’arco e la guardò. “Gran bell’arco, a chi lo hai rubato?” le chiese. Lei lo osservò: c’era solo un uomo capace di fare quello che lui aveva appena fatto e quello era il Bardo. L’uomo che per tutti loro era leggenda era lì davanti a lei e la aveva vista tirare il suo colpo migliore. “Era di mio padre. Lo ha costruito lui. Mi è spettato di diritto”. L’uomo le lanciò l’arco e lei lo prese al volo, stringendolo saldamente. “Non è cosa da donne” le disse. “Tuo padre era un gran artigiano. È un vero peccato tu non sia nata maschio” affermò voltandosi ed osservando il ponticello. “Il Bardo un giorno ha detto che per un arciere la potenza fisica non è tutto” disse lei con foga. 19 Dare vita agli anni –2016 L’uomo si voltò verso di lei con il suo sguardo penetrante “Hai coraggio, ragazza, ed al giorno d’oggi è un pregio raro. I rampolli che vivono nei palazzotti là avanti non sanno cosa significhi osare”. Il vento passò attraverso la torretta, muovendo l’aria fredda ed umida attorno a loro e lei sentì un lungo brivido che la attraversava. “Va’ a casa, il tuo coraggio oggi ti ha salvato la vita. Ma non dovrai fare menzione di ciò che hai fatto né di ciò che hai visto” disse l’uomo. Lei sbarrò gli occhi. “Vorrebbe dire aver rischiato per niente”. L’uomo si avvicinò di un passo. “Volevi conoscere il Bardo? Lo hai fatto. Hai scalato la rocca ed hai messo a segno la tua freccia. Ciò che volevi fare lo hai fatto. Ma nessuno dovrà sapere che hai violato questo posto e sei tornata a casa viva. Se dirai qualcosa conoscerai la mia ira. Ora scendi da dove sei venuta e vattene in silenzio”. Lei tremò, ma non sapeva se fosse più grande la rabbia o la paura. Mise l’arco a tracolla, si appoggiò sul muretto, sporse i piedi verso il vuoto e cercò un appoggio, scendendo lentamente lungo la parete, con attenzione. Quando giunse a terra vide una freccia partire dall’alto e piantarsi su un albero davanti a lei. La osservò e vide che vi era legato un foglio. Lo slegò e lo aprì. “Non potrai mai entrare alla scuola del Bardo. Queste mura saranno il tuo campo di allenamento. Se ne hai il coraggio ritorna stasera e vedremo di cosa sei capace”. Lei sorrise e guardò verso la torre, mentre un’ombra si muoveva leggera in cima ad essa e spariva nel nulla. Corse veloce lungo lo stradello di ghiaia, mentre il suo cuore batteva forte dentro la giubba, sotto la tasca dove aveva riposto il messaggio. Nessuno avrebbe saputo, ma non le importava: la sfida era stata colta ed ora nessuna ombra la avrebbe più fermata. Si voltò un’ultima volta e vide la torre che tutti chiamavano la Casa del Boia delinearsi chiaramente sul percorso delle mura. Nulla era davvero come le era sembrato, ma per quanto le riguardava la leggenda avrebbe continuato ad esistere, là dove la città lasciava il posto al silenzio. 20 Dare vita agli anni –2016 III CLASSIFICATO L’ORA DELLA COSCIENZA ALLA FINE DEL TEMPO INCOSCIENTE Gianluca Alberti Motivazione: Avvertiamo, in questo racconto, tutte le vibrazioni ed emozioni evocative di un passato non ancora chiuso. Sotto la forma di lettera, l’autore rivive con palpabile immedesimazione quello che rimarrà, forse, il tempo migliore della sua vita. 21 Dare vita agli anni –2016 L’ORA DELLA COSCIENZA ALLA FINE DEL TEMPO INCOSCIENTE Gianluca Alberti «Quando ci si chiede se si è felici, in quel momento si smette di esserlo» (John Stuart Mill) Cara ... eccomi qui. Ancora qui che scrivo, ancora rivolgendomi a te. Ti ricordi? Quanto tempo ho passato nel rivolgermi a te? Tempo, questo, passato invano, forse, ora che è andato. E tu con lui. Anzi, ancor prima di lui. Ma ti ricordi di quello, invece, speso insieme? Tu spesso mi hai ripetuto, poi, che fu futile anche quel tempo che ci ha visto solo così come eravamo, incoscienti, a sprecare il tempo della nostra vita migliore. Possibile che non abbiamo fatto altro, così come eravamo, alle prese l’un dell’altro, se non ammazzare il tempo che ci era dato? Era davvero forse già esso morto, perché privo di un senso? Davvero è così inutile un tempo dove non si segue nessuna direzione, ma semplicemente si sta, tanto per stare, come fermi in mezzo ad una piazza, in un’ora meridiana, ad altre ore meridiane uguale? È stato davvero un tempo senza consistenza, soltanto perso vanamente, il nostro? Eppure tu ridevi, eppure ti vedevo ridere, e ridevo. Ricordo la sensazione del mio cuore che rideva, allegro, delle tue risa allegre, dei tuoi occhi lucenti d'allegria. Quanto, ah, ho gustato di quel mio gioire per quella tua ebbra gioia vitale! Allora, non davo un nome all'ammirazione che provavo per questa nostra vita, sorridente, felicemente sussurrante di entusiasmo, contentezza, per il nostro volerci e volerci così, a giocare, rincorrerci, tra sedie in cucina, o dal divano della sala fino al letto delle nostre più caste passioni. Né mai mi chiesi quale nome avrei potuto dare a quel tuo ridere effervescente. Ai miei occhi, noi, così come eravamo, incoscienti, sembravamo felici. Ma ci 22 Dare vita agli anni –2016 può essere una felicità senza nome? Davvero si è felici quando non si ha coscienza di esserlo? Davvero c’è bisogno di capire il tempo che si vive per una piena felicità? Davvero la consapevolezza è necessaria al tempo della gioia? Oppure, forse, proprio questo è il segreto di tale tempo, che non si possa proprio chiedere conto a se stessi di quei momenti spensierati, vissuti a respirare a pieni polmoni l'aria fresca di una vita ad alta quota, mentre la si sta vivendo, quella vita là! Forse proprio per questo, quando ci si rende conto di essere stati felici, ormai è troppo tardi. Ormai si è fuori da quel tempo che ci ha visto solo così come eravamo, incoscienti, a sprecare il tempo della nostra vita migliore, ad essere felici e null'altro. Fu così che tu, un giorno, smettesti di ridere e iniziasti a chiedermene il conto. Il conto di quel tempo andato, di quel tempo ormai lontano nel nostro passato. Purtroppo, per quanto bravi si possa essere nel tirare le somme, i conti non tornano mai alla fine del calcolo. Si sarebbe potuto dire ... si sarebbe potuto fare ... si sarebbe potuto cambiare il mondo o anche solo realizzare qualche sogno, magari di quelli nostri stravaganti, che in quel tempo tanto ci facevano ridere. Il tempo di sognare, però, è ormai finito, così come quello, andato, di ridere, senza nome, senza senso alcuno. Tempo ormai che non c’è più, quello del tuo ridere. Sì, del tuo! Perché io non avrei smesso, mi bastava quello, mi bastava vederti ridere, per essere felice e ridere a mia volta, anche senza saperne il perché, anche senza un senso, un benedetto senso, magari unico, nel quale indirizzare tutto il nostro vivere! Invece, tu non tollerasti più questo nostro procedere a zonzo, a vuoto, come iniziasti a dire. Un procedere che basti a sé, che va avanti lo stesso, seppur lasciando il mondo com'è, lo stesso di prima, di adesso, di sempre. Sentisti il bisogno di cambiarlo, almeno il tuo di mondo, e per questo te ne andasti. Un giorno te ne andasti, cambiando il mio, di mondo. Se ora sono qui che scrivo, è per dare un nome a quel tempo speso, a ridere senza alcun senso, alcuno senso di marcia. Forse, ora è il momento per trovarcene uno, o almeno un alcunché che mi faccia intendere cosa esso abbia significato per me. È giunta l'ora della coscienza alla fine del tempo incosciente. Perché ormai è tardi, ormai 23 Dare vita agli anni –2016 non potrà più tornare un tempo come quel tempo che ci ha visto solo così come eravamo, incoscienti, a sprecare il tempo della nostra vita migliore. Comunque, quello rimarrà sempre il tempo, della mia vita, il migliore. 24 Dare vita agli anni –2016 SEGNALATO I DUE ORFANELLI Stefania Zaccheroni Motivazione: Una storia quotidiana è narrata con una profonda e coinvolgente carica affettiva. La definizione dei personaggi, la forma espressiva piana e chiara, i particolari eloquenti, la sensibilità della vicenda generano intense emozioni. 25 Dare vita agli anni –2016 I DUE ORFANELLI Stefania Zaccheroni Di solito la parola orfano, “orphanós” in greco antico, ci ricorda celebri orfani della letteratura, come Oliver Twist, David Copperfield, Tom Sawyer o il più recente Harry Potter, oppure qualche bambino, che ha perduto uno o entrambi i genitori. Io, invece, sto parlando di due orfani, rispettivamente di 93 e 87 anni, che hanno perso il padre e la madre molti anni fa, ma, grazie a me, il loro stato di “orfanitudine” (spero che l’Accademia della Crusca, dopo petaloso, accetti anche questo termine) è riaffiorato in tutta la sua drammaticità. I miei genitori, infatti, dopo gli ottanta, sono diventati i miei figli. Io sono quasi sempre presente, ma appena mi concedo una vacanza, una gita, un viaggio, una permanenza montana o marina, scatta in loro il senso dell’abbandono. Lo spazioso appartamento, luminoso, pulito, caldo ed accogliente si trasforma allora nel più squallido, triste e deprimente orfanotrofio! Vengo così raggiunta ovunque! A San Pietroburgo, ad esempio, davanti al famosissimo ed imperdibile Hermitage, ho dovuto fermarmi sulla trafficatissima strada che corre lungo il fiume Neva e separarmi dal gruppo per dirimere un loro litigio, perché mio babbo dopo 66 anni di matrimonio persevera nel non voler assaggiare un risotto e nel pretendere, invece, ogni giorno, pasta fresca, fatta in casa, condita sempre con il classico ragù di carne, che spande il suo profumo per tutta la scala del condominio. In Scozia, invece, sulle rive del misterioso Lockness, mentre gli altri turisti si godevano l'atmosfera delle Highlands e il magico e incantato paesaggio del lago, io dovevo ascoltare le tristi vicende di una loro amica coetanea, che il giorno prima aveva versato calde lacrime per il mutismo della nuora, che da anni rifiuta di conversare con lei e si limita ad un breve saluto di circostanza tutte le volte in cui la incontra. In quell'occasione confesso di aver sperato che il mostro emergesse dalle acque e con un repentino colpo di coda si impossessasse del mio 26 Dare vita agli anni –2016 cellulare, e quindi una forza maggiore ed imprevedibile ponesse fine alla telefonata. Fra l’altro, affinché l’abbandono abbia conseguenze meno funeste, quando la mia assenza raggiunge i fatidici otto giorni dei viaggi organizzati, le giornate precedenti sono occupate da frenetici preparativi che avrebbero fatto desistere anche Marco Polo dall’avventurarsi nel lontano Oriente e “Il Milione” avrebbe, ora, solo un significato pecuniario. A novant’anni ogni cambiamento è fonte di preoccupazione e di disagio, per cui tutto deve rimanere inalterato, partendo dai cosiddetti beni di prima necessità, il pane per esempio. Per mio babbo esiste solo il pane “della Lara”, che non ha niente a che fare con la seduttiva amante del dottor Zivago, ma è il nome di una gentile e sorridente fornaia del paese natale e di residenza dei due orfanelli. Ebbene, prima della mia partenza, prima del fatale distacco, chili di pane vengono acquistati, affettati, sistemati poi in vari sacchetti e rigorosamente congelati, perché proverbialmente “le disgrazie non vengono mai sole”, per cui l'abbandono potrebbe essere seguito da catastrofi climatiche e cataclismi naturali che impedirebbero l'approvvigionamento giornaliero di viveri come latte, carne, vino e soprattutto pane! Mentre le preoccupazioni di Omero sono solo mangerecce, quelle di Augusta riguardano in particolare il campo della medicina. Si suppone che, nei fatidici sette giorni di assenza, non possano esaurirsi confezioni da trenta compresse, fra l'altro già stipate e pronte all'uso nel cassetto del comodino, ma l'ordine da eseguire è perentorio ed è quello di far prescrivere dal medico di base, di nuovo, tutte le medicine assunte, “per non rimanere senza, quando non ci sei”, precisa mia mamma con voce malinconica ed espressione da lutto, che farebbe sentire in colpa anche il più egoista e ingrato dei figli. Apriamo ora il capitolo “Finta badante”. Per essere più tranquilla, in occasione delle mie assenze, ho preso accordi con Concetta, un’amica d’infanzia che è una delle poche badanti italiane del paese. È allegra, ciarliera ed efficiente, conosce bene i miei genitori ed ha capito perfettamente la situazione. 27 Dare vita agli anni –2016 Finge di andare semplicemente in visita, controlla la pressione, l'assunzione dei farmaci e trascorre un po' di tempo con loro, raccontando qualche vicenda cittadina o, a sua volta, ascoltando racconti nostalgici di ricordi giovanili, di famiglia o di lavoro. Al mio ritorno Concetta computa le ore trascorse presso gli orfanelli ed io, a loro insaputa, saldo il conto. Tutto questo fino a poco tempo fa, perché ultimamente Concetta rifiuta il suo onorario. È molto onesta, mi ha affrontato e mi ha descritto minuziosamente la situazione. Quando va in “visita”, le sono talmente grati che la attendono con tè, caffè, biscotti, cioccolatini, zuppa inglese e se è ora di pranzo o cena, le fanno anche qualche cotoletta o polpette al sugo, un piatto di polenta alla salsiccia o “due” tagliatelle, da portare a casa, perché “con tutti quei vecchi che ha da badare non può avere tempo anche di cucinare, quindi l'aiutiamo noi”. A tutto questo si aggiunge anche la piena disponibilità a cucirle qualcosa (erano entrambi sarti!): un orlo ad una gonna o ad un paio di pantaloni, sostituire una cerniera, una piccola riparazione in una giacca o addirittura in un cappotto. Concetta non si sente più badante, ma le sembra di essere in famiglia e un tale trattamento di spontaneo calore e di sincero affetto, che non ha prezzo in un mondo egoista ed individualista come quello che purtroppo ci circonda, la fa sentire debitrice e far loro visita è un modo per ripagare tanta tenerezza. I miei amatissimi orfanelli non sono quindi mai lasciati soli e, anche se qualche volta “la mamma” si allontana, li porta sempre con sé nel proprio cuore e non potrebbe mai dimenticarli, infatti il cellulare sta già squillando … sono loro! 28 Dare vita agli anni –2016 Commissione giudicatrice: Sezione “Poesia” Davide Argnani Cesarina Lucca Rosanna Ricci Viola Talentoni Graziella Valentini 29 Dare vita agli anni –2016 I CLASSIFICATO COME CAMBIANO I COLORI Bruno Centomo Motivazione: Sono versi di grande ricchezza immaginativa, accompagnati da scorrevolezza nel lessico a testimonianza di un tono sicuro e forte. Sono ricordi legati a ciò che è stato già vissuto e a ciò che rimane da vivere; il tutto è analizzato con partecipazione, placando le paure del passato ma senza mai dimenticarne il respiro. 30 Dare vita agli anni –2016 COME CAMBIANO I COLORI Bruno Centomo È un refolo di vento che disarma il mio ricordo, in un’ora della notte, qui sotto finestre fuggiasche all’agguato del più piccolo pensiero che s’affaccia, come foglia morta, a coprire un addio, un bacio frettoloso. Un viaggio d’inverno cominciava, sotto stelle che si indovinavano uguali dall’altra parte del mondo, oltre le ragnatele che adesso inghiottono la casa, nascondono la memoria effimera delle cose. Com’erano? Il colore, gli odori che trattenevano. Parevano giorni da percorrere. Oggi si rincorrono le stesse miserie ritrovate per essere rammendate con cura. A cosa ripensare? Giochi, rumori, bambini che gridavano, vecchi che brontolavano, polente che si rovesciavano sopra lorde tavole gremite di mani, d’occhi, di speranze. Galline stantie che razzolavano nelle aie polverose, gatti che si rivoltavano al sole, il cane che abbaiava a farfalle e alle ombre sopraffanti della cataratta. Ritornare ha significato ricucire la pazienza, graffiare via le paure, assolvere questa povertà, respirando il parabordo impreciso del perdono. Guarda adesso. Come cambiano i colori, come passato e presente s’affollino di tenebre e sedie spagliate e vetri frantumati e muri sgretolati si nascondano in un macramè di lacrime che da troppo aspettavano. 31 Dare vita agli anni –2016 II CLASSIFICATO EX AEQUO ENTUSIASMO DI MADRE Giuseppe Mandia Motivazione: La poesia è completamente dedicata all’amore di una madre in tutte le sue sfaccettature. Attraverso una narrazione lucida, evocativa e pervasa da una tensione costante, l’anima grida non soltanto il dolore e la solitudine, ma anche la bellezza dell'amore che sa donare e ricevere. 32 Dare vita agli anni –2016 ENTUSIASMO DI MADRE Giuseppe Mandia Non hai smarrito la regola del sorriso né consegnato le tue pupille minime agli anni mamma che scopri le pagine della vita con un diaframma ancora appassionato. Ti ho chiesto dei giorni andati, mi hai detto che è bene immaginare un quadro immerso nel colore o stupirsi per le acrobazie di un gabbiano non raccontare di bombe e strazi e povertà gratuite. Positivo è il tuo angolo d’osservazione, luce vivace che mi induce a viaggiare con te tra le immagini di brevi paesaggi intirizziti, canzoni lente o piatti di pane e zuppe d’altri tempi. Aperto è sempre il mattino dei tuoi occhi che non vogliono smettere d’insegnarmi l’allegria che meritano il dono di un’alba nuova, il gioco del salto del sole in un lago al tramonto. Diorama di sguardi buoni poni nelle mie mani anche se sai che per molti e molti giorni saranno approdi lontani. Gioiosa la speranza colora le tue guance mentre mi affidi un’altra carezza. Si schiude una rosa multicolore. Entusiasmo di madre. 33 Dare vita agli anni –2016 II CLASSIFICATO EX AEQUO ECHI DAL PASSATO Irene Ricci Motivazione: L’autrice testimonia, con parole vissute e sofferte, i ricordi e l’ebbrezza del passato. Il continuo susseguirsi di immagini di straordinaria densità rende la poesia struggente e luminosa al tempo stesso. 34 Dare vita agli anni –2016 ECHI DAL PASSATO Irene Ricci Vi è un’aria sacrale al tramonto Quando suonano le campane, Disegnando echi nell’aria Come tonfi di pietra sull’acqua. Cigolava l’altalena Nel cortile di S. Lucia, Tra il vociare dei bambini E i rintocchi dei biliardi. Ricordi? Danzavano le rondini Intorno al campanile, Neri voli, ebbri di primavera. In piedi sull’altalena, Volavo in alto, Sempre più in alto, Rondine anch’io … Poi, la voce di mia madre Per la cena. 35 Dare vita agli anni –2016 III CLASSIFICATO LA MIA ETÀ Manuela Monti Motivazione: Il tema, profondamente partecipato, è quello dell'età e dello scorrere della vita. In un serrato confronto tra passato e presente, alla nostalgia per gli anni della gioventù si contrappone la coscienza di una raggiunta maturità riflessiva. 36 Dare vita agli anni –2016 LA MIA ETÀ Manuela Monti Se dovessi descrivere i miei cinquant’anni direi che sono gli anni delle prime rughe, gli anni di quei piccoli cedimenti fisici. Se dovessi descrivere i miei cinquant’anni direi che sono gli anni della nostalgia, gli anni dei bilanci e dei cambiamenti. Se dovessi descrivere i miei cinquant’anni direi che sono gli anni della malinconia, gli anni dei ricordi felici di gioventù. Se dovessi dare valore e vita a questi anni apprezzerei la vera e grande libertà dopo anni di vorticosi impegni familiari. Se dovessi dare valore e vita a questi anni mi fermerei ad osservare il tramonto, il volo fantasioso di un bianco gabbiano, una quercia dai rami protesi verso il cielo. Se dovessi dare valore e vita a questi anni riscoprirei le amicizie e gli affetti più veri. Se dovessi dare valore e vita a questi anni cercherei di essere di aiuto a chi è vicino, e ammirerei la bellezza e la fantasia di questa età della vita. 37 Dare vita agli anni –2016 SEGNALATO LE PAROLE CHE NON SO DIRE (o canto di un ragazzo autistico) Stefano Baldini Motivazione: Il testo si compone di intense emozioni che spaziano dalla nostalgia allo sconforto, dalla speranza alla delusione, dalla paura al coraggio. Un viaggio quindi faticoso verso la scoperta del proprio io, della propria diversità, delle proprie emozioni, delle parole non dette e del grande mistero della vita. 38 Dare vita agli anni –2016 LE PAROLE CHE NON SO DIRE (o canto di un ragazzo autistico) Stefano Baldini Ogni notte io sogno di essere un pesce qualunque per nascondermi nell’immensa profondità del mare fino a dove si possa imitare il canto delle balene. Da quando le fate mi hanno generato un minuto prima della mezzanotte il mio mondo è rimasto quel fermo immagine di silenzio che mi fa rimanere sospeso dentro una bolla di sapone un tempo, un luogo, una pianura sconfinata che io solo conosco incapace di contenere tutte quelle parole che non so dire una stanza deserta dove ogni giorno mi sorprendo a rimettere in ordine una sintesi di gesti e ali frantumati dai miei atti furibondi all’apparenza distanti. Se il mio sguardo scende altrove come l’orma eclissata di un abbraccio immaginato a fissare le cose in fondo all’infinito è perché io non so tendere la mano ad ascoltare questo mio silenzio e camminarvi accanto come una mollica d’aria per mano al vento. Lo so, per voi non sarò mai completamente adulto mi considerate un errore di ortografia lunare fra le righe del cielo, una parola intraducibile del vostro dizionario solo perché siete così complicati da non saper distinguere nell’inerzia delle mie labbra ingenuamente esposte agli altri la sottile bellezza delle parole senza voce celate dalla mia diversità quando, senza veli né bugie, nelle immense profondità oceaniche dell’anima mi sforzo ogni notte di sognare il canto delle balene. 39 Dare vita agli anni –2016 SEGNALATO INCIAMPO Daniela Cortesi Motivazione: Nei versi traspare sempre la luce di un varco e tutto diviene desiderio e spinta verso la visione positiva della vita, poiché tutto è poesia, basta saperla riconoscere. 40 Dare vita agli anni –2016 INCIAMPO Daniela Cortesi La poesia è nei giorni dove tutto accade per amore e lo sguardo si perde in controluce, da zolla a zolla, sui fili tessuti da ragni sapienti. L’inciampo delle ore non conta. Contano le parole sussurrate alla Terra ancora sofferente di aratura ma già pronta a perdonare uomini, ragni e poeti. 41 Dare vita agli anni –2016 Ringraziamenti Si ringrazia il Comune di Forlì per il Patrocinio e per la gentile concessione della Sala Santa Caterina. Si ringraziano i componenti della Giuria. Si ringraziano i partecipanti al Concorso. Si ringraziano Paola Contini e Annamaria Cortini. Un affettuoso ricordo, infine, all’ideatore del Concorso letterario “Dare vita agli anni”, Mario Vespignani. Maggio 2016 La Curatrice del Concorso Flavia Bugani 43 Dare vita agli anni –2016 forlì XXVI Concorso Letterario “Dare vita agli anni” L’Associazione, iscritta al registro regionale del Volontariato, opera prevalentemente con e per gli anziani – o, meglio – diversamente giovani. Promuove, nell’ambito della cultura, l’incontro fra generazioni, affinché l’anziano possa esprimere nella società le sue conoscenze e capacità a favore del prossimo. L’Auser è una “Associazione di Progetto” tesa alla valorizzazione delle persone e delle loro relazioni ed è ispirata ai principi di equità sociale e di rispetto delle differenze, di tutela dei diritti, di sviluppo delle opportunità e dei beni comuni. 45 Stampato in proprio Maggio 2016 c/o Digicopy Forlì