numero 7 anno VII – 18 febbraio 2015
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www.arcipelagomilano.org numero 7 anno VII – 18 febbraio 2015 edizione stampabile www.arcipelagomilano.org PIAZZA XXIV MAGGIO. UNA PIAZZA “MILANESE”. PECCATO Luca Beltrami Gadola Tra qualche tempo, almeno per l’apertura di Expo, sia la Darsena sia Piazza XXIV Maggio dovrebbero essere sistemate ma anche oggi, incomplete, meritano alcune considerazioni, soprattutto per quel che riguarda la piazza. Come molte vicende milanesi anche questa parte da lontano, da un concorso internazionale bandito dal Comune di Milano nel 2004 che ha visto vincitori un raggruppamento composto dall’architetto Paolo Rizzato, l’architetto Sandro Rossi, la società Bodin et Associés, la società d’Appolonia S.p.A. e la società Manens Intertecnica S.r.l, al quale è stato dato l’incarico per la redazione dei progetti preliminare, definitivo ed esecutivo. Ci sono voluti otto anni per arrivare all’approvazione del progetto esecutivo e solo nell’agosto 2013 i lavori sono cominciati e il progetto è stato preso in carico da Società Expo 2015. Perché questo lunga premessa? Perché nove anni sono molti nella realtà di oggi e molte cose sono cambiate nella società milanese e soprattutto nella sua percezione della vita cittadina, nei suoi aspetti di uso degli spazi aperti e dei rapporti tra pedoni, mezzi privati e mezzi pubblici. La giuria era senz’altro competente e non voglio qui esprimere giudizi sul progetto vincitore che non finisce però di piacermi, soprattutto per la parte che riguarda il mercato coperto; così come non capisco perché si sia mantenuto e addirittura ampliato il chiosco della pescheria, esterno rispetto al mercato comunale: un mero ossequio a diritti acquisiti, la palla al piede del nostro Paese. Ma di tutto l’insieme la parte meno convincente è proprio la sistemazione della Piazza XXIV Maggio nella parte verso Corso San Gottardo. Il bando stesso del concorso e di conseguenza tutti i partecipanti hanno guardato verso la Darsena e i caselli daziari e la Conca del Naviglio con un atteggiamento tipicamente duomocentrico, senza prestare grande attenzione a quella parte di piazza che volge le spalle alla Darsena e guarda verso la periferia. Basta osservare i rendering del concorso pubblicati dall’Ordine degli Architetti o quelli di Società Expo SPA o del Comune per rendersene conto. Il nodo da sciogliere era, ed è, tipicamente milanese. Noi chiamiamo “piazze” nella maggior parte dei casi spazi destinati a essere solo svincoli di traffico: il problema di oggi è proprio farne invece delle piazze. La soluzione proposta per Piazza XXIV Maggio è stata invece di accentuarne questo carattere di svincolo: corsie per il traffico su gomma e corsie per i mezzi dell’Atm limitati da alti cordoli e passaggi pedonali, aiuole dalle forme stravaganti e funzionali più al traffico che al paesaggio verde. Mancano dunque tutte le caratteristiche della piazza: la complanarità della superficie, la mancanza di ostacoli per una libera circolazione pedonale, l’omogeneità della pavimentazione, un arredo urbano (pali, segnaletica, inserti vari) disegnato anche nel dettaglio e non casuale, un verde pensato in quanto tale e l’attenzione alle attività commerciali che si affacciano sotto i portici. Anticipo, perché le immagino e le conosco, le obiezioni: Piazza XXIV Maggio ha comunque un problema di transito di flussi veicolari che va regolato. Si tratta invece di scegliere una gerarchia tra veicoli e pedoni e qualità della vita di questi ultimi. Non siamo la sola città al mondo che si è trovata ad affrontare questo problema e di solito altrove si è privilegiato il pedone e lo si poteva fare anche qui, cominciando a istituire una “Zona 30” (meglio una “Zona 20”) e dando la precedenza ai pedoni in questa parte della piazza, delimitando le corsie solo con dei segni superficiali sulla pavimentazione come le righe gialle e le righe blu. Si poteva fare e non si è fatto, ormai è tardi e non mi si dica che sarebbe stato un sogno non vedere le auto parcheggiate ovunque: l’arroganza e la disubbidienza degli automobilisti va vinta, la vita va migliorata. Siamo la città europea leader per diffusione di interdittori del parcheggio selvaggio, catenelle, archetti e panettoncini. (Perché nessuno parcheggia sul sagrato del Duomo che pure è accessibilissimo?). Quel che si può ancora fare è risistemare l’arredo urbano come scelte, come posizione, come finiture, come progetto. Oggi, per quel che si vede, Piazza XXIV Maggio è all’insegna del mal fatto, della folle sovrapposizione di competenze, dello spreco d’inutili cordoli monumentali, di selva di pali, alcuni verde ramarro altri grigi, collocati a caso e con una varietà di pavimentazioni che ricordano la giubba di Arlecchino. Si è persa una bella occasione: dopo otto anni di dibattiti e scontri culturali e politici si arriva a una realtà che nega qualsiasi tentativo di cambio di passo nell’arredo urbano. CONTA DAVVERO IL NOME DEL NUOVO SINDACO DI MILANO? Emanuele Telesca La scadenza elettorale della primavera 2016 già sta fomentando una ridda di voci e commenti. La questione più dibattuta è la necessità o meno di una ricandidatura del sindaco Pisapia, dando per scontata una vittoria della compagine di centrosinistra che ha amministrato Milano dal 2011. Una premessa nient’affatto ovvia considerando che in un anno, in politica, può accadere di tutto e il contrario di tutto. Ciò detto, non ritengo che il fulcro del discorso stia nel nome di chi n.7 VII 18 febbraio 2015 guiderà la coalizione di centrosinistra. La vittoria di Giuliano Pisapia alle primarie del 2010 fu una vera sorpresa politica, che scosse il PD e la sinistra meneghina e lombarda. Una vittoria figlia del desiderio di ribaltare completamente la prospettiva morattiana, di portare la città a sinistra dopo anni di destre, di mettere al centro temi quale la partecipazione, l’ecologismo, la sostenibilità. Il tutto inserito in un contesto nazionale di svolta “arancione”, di berlusconismo già in fase discendente, di crisi economica che avrebbe portato a fine 2011 al governo tecnico di Monti. Oggi il panorama è stravolto. La città di Milano nel 2016 dovrà fare i conti con le vestigia di Expo, con una prospettiva di crescita ancora figlia del PGT della giunta Moratti, con la spinta di entrare con la testa nel XXI secolo. A Roma il PD di Renzi porta avanti le sue riforme, con riflessi imprevedibili sui candidati locali. La spinta antiberlusconiana si è esaurita, sostituita dalla 2 www.arcipelagomilano.org spinta antirenziana delle opposizioni. Ecco che saranno i contenuti a far la differenza, non il leader che ne impersonerà slogan e utopie. La carne al fuoco certo non manca. Innanzitutto come si intende gestire il dopo Expo: problema che non riguarda esclusivamente gli spazi della fiera, ma che si riferisce a tutti i cantieri che occuperanno Milano nei prossimi anni a partire dalla M4. L’esposizione universale avrà un peso specifico notevole nella battaglia elettorale. Ereditata da Pisapia, è stata governata e portata avanti tra avvisi di garanzia, proteste di una parte della cittadinanza ed investimenti altalenanti. Se Expo non dovesse rivelarsi un successo sarebbe un boomerang difficile da schivare per il candidato di centrosinistra. La necessità, poi, di un nuovo PGT per Milano. Quello varato dal centrodestra nel 2010 aveva una impostazione vecchia, incardinato sullo sviluppo e la crescita immobiliare, credendo che la crisi già accesasi negli USA non sbarcasse mai sulle coste nazionali. Oggi la filosofia deve essere stravolta: efficienza ambientale, recupero e ristrutturazione dei vecchi edifici, estensione delle aree verdi, prolungamento e raccordo delle piste ciclabili, ampliamento dell’Area C. La coalizione di centrosinistra, già oggi, ha il dovere di proporre il proprio progetto di città del futuro sul quale giocare la propria partita nelle elezioni amministrative del prossimo anno. Infine l’impegno costante per un capoluogo accogliente, multietnico, multicentrico, in cui la cultura sia un bene diffuso. In tal senso bisognerà tenere duro nel progetto di asse- gnazione di diverse aree per la realizzazione di luoghi di culto: sarà, questo, una clava che la coalizione di centrodestra menerà per aria, giocando sulle paure e sull’ignoranza. Una tattica che nel 2011 fallì miseramente, ma che difficilmente verrà abbandonata. Davvero, quindi, la questione chiave è Pisapia o non Pisapia? Ridiamo centralità al progetto politico, alla visione della metropoli, al coraggio di scelte chiare che guardino al prossimo quinquennio. Una costruzione così solida e strutturata da far passare come secondario il nome del candidato sindaco. Se poi l’attuale sindaco di Milano decidesse di ricandidarsi sarebbe un ulteriore valore aggiunto: l’esperienza del primo mandato potrebbe evitare di cascare in qualche trappola e in grossolani errori. PISAPIA, I COMITATI E IL PERCORSO INIZIATO: I DILEMMI DI CHI ATTENDE Eleonora Poli Sentirsi a metà strada. Tra chi “si è fatto tutto il possibile, meglio di così non si poteva” e chi “la Giunta arancione non è stata all’altezza, tutto da buttare”. In bilico tra due estremi, l’ottimismo cieco, quasi arrogante, di alcuni e la polemica sterile e rabbiosa di altri. Ma una certezza fa propendere più da una parte: per il dopo-Pisapia è troppo presto, a Milano. Il cambiamento è appena cominciato, per quanto lento, non privo di errori e non suffragato da quella condivisione in cui si era sperato quattro anni fa. Settimane intense, in città, attesa e preparazione: ma preparazione a che cosa ancora non è dato sapere, ed è questo che spiazza; il problema, il dubbio sulle possibili scelte, personali e collettive, si radica nel limbo dell’attesa. Ricandidatura o ricerca di un nuovo candidato? Intanto si prendono le misure, innanzitutto di se stessi come cittadini: c’è tempo, anche troppo, per domandarsi se l’impegno di un passato che sembra lontano avesse come obiettivo una persona o un progetto. Insomma, se la persona non ci fosse più, il percorso iniziato esisterebbe ancora? La risposta è tutt’altro che scontata e univoca. In questi giorni i ComitatixMilano tornano a riunirsi e a discutere, a ricordare di essere stata la forza che più di ogni altra ha contribuito, nel 2011, all’elezione di Pisapia. Si incontrano per contarsi, rifare il punto: non del tutto spontaneamente, n. 7 VII - 18 febbraio 2015 pressati come tutti dall’impellenza del momento, dal nuovo compito che (forse) li attende. Eppure quest’operazione di sintesi - ed eventuale riposizionamento - sarebbe stata comunque necessaria, prima o poi. Non si può trascurare che, come in ogni storia, il tempo ha scavato dei solchi e fingere di tornare semplicemente indietro non sarebbe d’aiuto, neppure nel caso di un analogo obiettivo da perseguire. In quattro anni sono successe molte cose. Le strade dei Comitati si sono diramate sul territorio, perché in questo era stata individuata la loro missione, e in molti casi con ottimi risultati. Non pochi sostengono che senza lo stile, il metodo dei ComitatixMilano tante esperienze locali positive non avrebbero mai visto la luce, mai trovato l’energia e le condizioni per fare incontrare le persone e convincerle a lavorare insieme su iniziative concreti: da quelle del gruppo che si occupa dei magazzini raccordati di via Ferrante Aporti a tante altre contro il gioco d’azzardo e le ludopatie, solo per fare due esempi. Tuttavia se i Comitati sul territorio proseguono con successo un cammino, anche integrati con altre realtà, non sono mai diventati una forza “politica” in grado di incidere sulla città nel suo complesso. Scelta deliberata o doppio errore di valutazione, dei Comitati stessi e dell’amministrazione, magari persino del Sindaco? Ora non ha più importanza appurarlo. Fatto sta che la forza che avevano i Comitati nel 2011 si è in larga parte dispersa. Quasi con la paura di poter diventare, o almeno essere scambiati per, “il partito del Sindaco” e di godere di eventuali privilegi nel rapporto con la Giunta, i Comitati si sono lasciati invece trascinare nella deriva opposta che li ha portati a restringere il loro campo d’azione. Ci si aspettava forse, un po’ ingenuamente, che l’associazionismo, i movimenti e i comitati stessero per diventare il vero ago della bilancia della politica milanese, il maggior polo aggregante; si è dovuto ammettere (più o meno apertamente) che sono ancora i partiti, diciamo il PD, a fare l’andatura. Non si tratta adesso di contare gli attivisti e i simpatizzanti dei ComitatixMilano, zona per zona, non è così rilevante censire quanto siano ancora numerosi; meglio chiedersi a quante persone, cittadini “esterni”, riuscirebbero a parlare da oggi in poi, quando il nodo della ricandidatura sarà sciolto. L’impresa è ardua. Perché in una città piena di problemi, alla vigilia di un Expo controverso e con tante incertezze nel futuro, niente viene più facile che seguire l’onda del “tutto va male”, più difficile è contrastarla. In ogni situazione il negativo ha visibilità maggiore e l’istinto autodistruttivo sta in agguato, senza concedere il minimo riconoscimento ai passi avanti compiuti. D’altra parte anche l’eccessiva ostentazione dei risultati raggiunti - 3 www.arcipelagomilano.org come se non ci fosse niente da migliorare perché è tutto perfetto - e la totale impermeabilità alle critiche, neppure questo aiuta, rischia addirittura di innescare una reazione contraria. Da dove ripartire allora? Non ci sarà mai più la piazza del 2011, non è detto però che non potrà essercene un’altra, di diversa bellezza: i cittadini crescono, anche i Sindaci crescono, e i progetti subiscono modifiche nel confronto con la realtà, ridimensionati o ampliati. Non è detto che il percorso sia rettilineo. Si possono anche ammettere limiti in passato ignorati: limiti della stessa ideaguida di partecipazione e della sua attuabilità, per esempio; in considerazione del fatto che è stata largamente travisata e strumentalizzata a uso e consumo degli uni o degli altri, e si è toccata con mano la difficoltà di trarne benefici per il bene comune. Non è detto che una nuova esperienza non si possa impostare su altri presupposti. A questo punto però i Comitati una cosa dovrebbero proprio pretenderla: di non essere uno strumento, un totem per chiunque, politico di turno, abbia bisogno di rimarcare quanto sia stato e sarà importante il contributo della società civile; dovrebbero pretendere di essere un soggetto attivo che decide e valuta le modalità di un proprio possibile ma non scontato contributo. Siamo quasi in campagna elettorale, è vero, ma andiamoci piano! Una città non si cambia in uno o pochi anni, se non altro perché la mentalità della gente non cambia così in fretta. Estendere a molti un’idea che è ancora di pochi: molti cittadini sono disposti a riprovarci, in vista del 2016, certo con una consapevolezza diversa. Non siamo più i “volantinatori” e sbandieratori folli sguinzagliati nei quartieri della città, il quotidiano ha preso il posto dell’ebbrezza, le aspettative sono mutate, c’è chi ha avuto piccole e grandi delusioni, subìto tradimenti, affrontato brutte sorprese. Siamo cambiati, tutti, non ci attendiamo più miracoli. Personalmente sono convinta che anche Giuliano Pisapia - dal suo punto di vista - potrebbe forse pro- vare, o aver provato, qualcosa di simile. Che come noi possa essere veramente indeciso, se valga o non valga la pena sottoporsi di nuovo ogni giorno al rischio di una sconfitta anche dopo avere vinto, alla solitudine di sbagliare in ogni caso, qualunque decisione si prenda, nella troppa visibilità mediatica o nel silenzio, nel mostrarsi strasicuro come nell’apparire incerto. Non deve essere facile accettare il rischio di perdere consensi per strada, di non essere mai davvero libero e di trovarsi spesso a fare scelte non del tutto volute. Una cosa è certa, una persona senza idea e senza progetto è vuota, ma ancora di più un progetto o programma senza una persona in cui credere è del tutto inutile. Ripartiamo dai nostri successi e anche dai nostri errori, senza sottovalutarli. Ecco, io semplicemente chiederei a Giuliano Pisapia di riprovarci, con noi, e gli direi che ne vale la pena. LA CONSULTA SUI 5 REFERENDUM: SUL VERDE UN GIUDIZIO SUPERFICIALE Elena Grandi Qualche giorno fa è stata resa pubblica la relazione della Consulta per l’Attuazione dei 5 Referendum Ambientali. La Consulta, nominata dal Sindaco di Milano, ha il compito di monitorare lo stato di attuazione di quelle richieste che i Milanesi hanno approvato con entusiasmo e con voto unanime e di sollecitare l’Amministrazione a intraprendere azioni che le possano portare a compimento. Personalmente, a sostegno del comitato dei referendum, ho speso molte energie per promuoverli e in tutta la faticosa fase di raccolta delle firme necessarie per poterli indire; e tuttora credo fermamente che in quei 5 quesiti siano raccolti temi e idee fondamentali, in grado di rendere la nostra città davvero sostenibile, accogliente, bella e vivibile. La relazione della Consulta, molto circostanziata (nella sua quasi totalità) e giustamente incalzante nei confronti dell’Amministrazione cittadina, pone l’accento con riferimenti puntuali e oggettivi su quanto è stato fatto (troppo poco) e quanto resta da fare (molto) per l’attuazione dei quesiti referendari: si tratta perciò di uno strumento utile ed efficace che andrà preso in seria considerazione e di cui fare tesoro. n. 7 VII - 18 febbraio 2015 Molte sono le questioni sollevate e per ogni quesito sarebbe interessante (e opportuno) un confronto aperto e costruttivo; ma oggi mi vorrei soffermare sul giudizio espresso in merito all’attuazione del secondo quesito referendario, quello che chiede di raddoppiare gli alberi e il verde pubblico e di ridurre il consumo di suolo. Qui il giudizio della commissione è molto negativo e, spiace dirlo, senza giustificazione: poiché non è sostenuto da dati oggettivi, presenti invece negli altri capitoli della relazione (dati che sono, disponibili a chiunque si prenda la briga di andare a consultare il sito del Comune e che potevano sempre essere integrati con le informazioni provenienti dai Settori competenti). Un giudizio, perciò, superficiale, frettoloso e, in sostanza, errato. Il 14 gennaio 2015 ho scritto su queste pagine un articolo dedicato alla positiva metamorfosi del nostro verde urbano. Lì parlavo di come in questi ultimi tre anni sia cambiata non solo la visione del verde urbano, ma anche la sua gestione; e di come si stia incrementando e valorizzando il verde pubblico, promuovendo azioni che vanno nella direzione della tutela del verde e della biodiversità. Con tali affermazioni non si voleva intendere che non vi siano tuttora gravi problemi, la cui soluzione appare ancora lontana; ma si prendeva atto di uno sforzo di miglioramento che non è fatto solo di parole vane. Ora, se si legge quell’articolo e, subito dopo, la relazione della Consulta, non par vero che si stia parlando della stessa città e della stessa Amministrazione. Da una parte si sente dire della volontà dell’Amministrazione di sviluppare, incrementare, salvaguardare il patrimonio del verde urbano e di restituire alla città aree e spazi oggi sottoutilizzati; dall’altra della totale mancanza di interventi e di progettualità in questo campo. L’afferma-zione degli estensori della relazione, che dicono di non avere avuto dati utili dal Comune, appare francamente poco credibile (perché mai solo in questa occasione, e proprio da parte del Comune che ha istituito questa commissione?). Peraltro, il confronto tra l’elenco dei temi su cui non è stato possibile avere indicazioni (aumento delle aree verdi e delle alberature, riduzione del consumo di suolo, preservazione delle aree verdi esistenti, interconnessione fra le aree verdi, disponibilità per abitanti di giardini pubblici e aree attrezzate per i 4 www.arcipelagomilano.org bambini ) e quello dei maggiori rischi (alberature, reimpianti, rischi di urbanizzazione di grandi aree) è la prova di un’analisi piuttosto superficiale, o almeno frettolosa. Ecco comunque di seguito alcuni numeri, che chiunque può trovare sul sito del Comune con un po’ di pazienza: dal 2011 al 2014 sono stati creati 3 milioni di mq di verde pubblico realizzato su aree sia di proprietà comunale che privata; 7 nuovi parchi di oltre 10.000 mq di superficie; 20.000 di mq in più dedicati agli orti urbani; 10 nuovi giardini condivisi (alcuni dei quali di ragguardevoli dimensioni) e altri in fase di convenzionamento; 50.000 alberi sono stati messi a dimora (non tutti e non sempre in sostituzione di quelli abbattuti); in 32.000 mq di aiuole i fiori e le piante stagionali sono state sostituite da piante perenni (più in linea con il concetto di biodiversità, oltre che meno costose). Ma non si tratta solo di numeri. L’Assessorato al Verde ha inoltrato (due settimane fa) ai Consigli di Zona per il necessario parere, il testo del nuovo Regolamento del Verde, che si chiamerà Regolamento d’Uso e di Tutela del Verde Pubblico e Privato (e già nel titolo sono contenute le profonde novità del documento rispetto al passato), uno strumento molto importante che trasformerà completamente l’approccio dell’Amministrazione rispetto al patrimonio del verde cittadino: non so- lo per i fruitori ma anche, e soprattutto, per chi (funzionari, appaltatori, …) il verde lo deve mantenere e curare; e non solo con riferimento al verde pubblico ma anche a quello privato. I futuri capitolati d’appalto per la manutenzione del verde dovranno d’ora in poi tenere conto di queste regole, per quanto sia possibile precise e inderogabili. E non è poca cosa. La convenzione tipo per i giardini condivisi e quella per gli orti comunitari danno la possibilità ai cittadini di vivere, condividere, lavorare, incontrarsi, in spazi che vengono così recuperati al degrado e ridati alla città. Sono moltissimi i progetti portati avanti dal Comune con Enti e Associazioni: da Italia Nostra al WWF, da Legambiente all’Università, tutti tesi alla costruttiva collaborazione tra cittadinanza attiva e Amministrazione. Per fare un esempio, è allo studio un grande progetto di connessione tra le aree verdi urbane e periurbane attraverso il sistema dei binari ferroviari (Rotaie Verdi). Si è appena chiuso un bando pubblico (che ha visto la partecipazione di diversi concorrenti) per l’assegnazione di un grande spazio all’interno del Parco Sempione, che diventerà a breve una sorta di enclave del verde cittadino. L’Assessorato all’Urbanistica sta lavorando su diversi piani per recuperare aree sia pubbliche che private e trasformarle in aree a verde (in alcuni casi anche trasferendone l’edificabilità altrove). Alcune diventeranno entro la primavera nuovi giardini condivisi. Certo, molto c’è ancora da fare ed è evidente che il cammino intrapreso è solo all’inizio e che ancora sussistono forti criticità che dovranno essere risolte (il tema degli abbattimenti degli alberi è certamente uno tra questi: e, difatti, nel nuovo regolamento del verde molti capitoli sono dedicati alla tutela degli alberi esistenti e alla loro cura e salvaguardia; a questo si aggiunga il problema degli utilizzi non opportuni di alcuni parchi, ad esempio per giostre o concerti, e quello delle aree sottoutilizzate, o da bonificare o a rischio di urbanizzazione): per questo chiunque abbia a cuore i temi dell’ambiente non dovrà abbassare la soglia di attenzione. Ma bisogna riconoscere che, a oggi, gli interventi dell’Amministrazione nell’ambito del verde sono stati, e saranno, tanto incisivi da avere, ne sono certa, ripercussioni positive sia a breve che a lungo termine. In sostanza, credo si possa affermare, che il secondo quesito referendario sia forse, tra tutti quelli approvati, il più prossimo alla sua attuazione: perciò dispiace che, proprio su questo, un organo consultivo della nostra Amministrazione abbia dato un giudizio che appare ingiustificatamente drastico e, soprattutto, espresso senza cognizione di causa. LA MOBILITÀ NELLA CITTÀ METROPOLITANA: NEBBIA IN VAL PADANA Giorgio Goggi La prima giornata della Mobility Conference di Assolombarda 2015 è stata dedicata al “Governo delle città metropolitane”. In realtà, benché lo statuto della città metropolitana milanese sia già stato approvato, del governo e delle sue modalità non parla nessuno. Si parla, invece, molto dei problemi di mobilità di area vasta e sul tema emerge, nel non detto, la contraddizione tra la vera dimensione dell’area urbana e del bacino di mobilità milaneselombardo e i confini istituzionali della Città metropolitana costituita. È un fatto che l’area urbana milaneselombarda abbia ormai dimensioni dell’urbanizzato e, soprattutto, del bacino di mobilità ben superiori all’ambito dell’ex-provincia e che questo riproponga non semplici problemi di governo del sistema. Tuttavia tutti si dichiarano contenti della città metropolitana conside- n. 7 VII - 18 febbraio 2015 randola, a quanto pare, una necessaria semplificazione istituzionale. Questa contraddizione sfugge al Sindaco Pisapia, che vanta i risultati conseguiti da Milano con l’Area C nella riduzione della congestione (dimenticando il contributo della crisi che ha fatto crollare i consumi di carburante in tutta la regione e non solo a Milano) e che annuncia l’istituzione del bike-sharing a pedalata assistita e del moto-sharing come strumento della mobilità della città metropolitana. Per fortuna dice che occorre guardare al di là della cerchia dei Navigli! Nell’ascoltatore malizioso viene evocata l’immagine di sciami di pendolari in bicicletta, che, grazie alla pedalata assistita, si precipitano verso Milano fin dai confini dell’ex-provincia, come in una rediviva Pechino dei tempi di Mao. In fondo, è un’ammirevole coerenza per un Sindaco che ha espunto dal PGT, anche dalle ipotesi a più lungo termine, la previsione del secondo passante ferroviario. Segue un concreto intervento di Carlo Sangalli , presidente della Camera di Commercio di Milano, che, a conferma della immanente contraddizione di cui prima si è detto, si riferisce a una città di otto milioni di abitanti, qual è l’intera area urbana milanese lombarda, ma non la ben più angusta città metropolitana. Il Presidente di Assolombarda, Gianfelice Rocca, vola più alto. Anche lui esordisce, con corretta visione urbanistica, parlando di un raggio di 60 chilometri intorno a Milano “che comprende anche Novara” (e che per questo ascoltatore, implicitamente relega la città metropolitana tra i meri strumenti amministrativi). Ma alla città metropolitana, che tuttavia definisce “una occasione storica”, chiede un Piano Strategico con obiettivi definiti e comuni con la Regione Lombardia 5 www.arcipelagomilano.org e in quest’ultima richiesta c’è l’unico -e pertinente- accenno di tutta la giornata ai problemi di governo. Sul sistema aeroportuale il discorso diviene più esplicito, Rocca chiede che non si voglia più costringere gli aeroporti in ruoli “contro il mercato”, avverte che avere un sistema con aeroporti in concorrenza tra loro è un vantaggio per tutti i cittadini e per l’economia. A quindici anni dall’apertura di Malpensa 2000 è notevole che qualcuno abbia finalmente avuto questo coraggio. Chiede anche che la SEA sia privatizzata, unica notizia su cui il giorno dopo si è concentrata la stampa, ma che in fondo non è la più importante. Non arriva a proporre che ci siano due SEA in concorrenza, una per Malpensa e una per Linate, come sarebbe piaciuto a questo ascoltatore, ma chiede che Linate non sia più limitato (“basta con l’illusione che limitare Linate serva a reggere meglio Malpensa”). La concezione di un sistema aeroportuale in concorrenza e rispondente alla domanda di mercato è già un grande passo avanti. Rileva inoltre il processo, già in atto da tempo, di progressiva diminuzione dei pendolari su Milano, a conferma dell’allargamento del bacino di mobilità urbana, e la necessità che i collegamenti non siano più solo radiali. Segue un interessante intervento del professor Senn che fa il bilancio delle risorse disponibili per la città metropolitana, ma anche nelle immagini da lui proiettate, che mostrano l’addensamento del costruito in Lombardia tra Ticino e Adda, si fa fatica a scorgere i confini della città metropolitana. Il rappresentante del Sindaco di Londra parla diffusamente di biciclette e di mobilità dolce, in ossequio allo spirito del tempo, ma lascia anche cadere quasi con noncuranza che a Londra si sta costruendo il Crossrail, ossia il pas- sante ferroviario Est-Ovest: 42 chilometri di ferrovia sotterranea sotto tutta Londra (il più grande progetto in costruzione di tutta l’Europa, circa 20 miliardi di euro) che integrerà il già potente sistema ferroviario. Altro che pedalata assistita. Deludono, invece, le Ferrovie dello Stato, che esibiscono una presentazione standard, verosimilmente predisposta per tutta Italia, in cui si afferma che “gli investimenti nei nodi urbani ad alta concentrazione abitativa sono prioritari”, cosa che si sapeva molto bene e si diceva già quindici anni fa, mentre loro pensavano solo all’Alta Velocità. Si parla di bassi coefficienti di riempimento dei posti offerti sui treni FS, cosa che non riguarda certo l’area milanese, per finire poi nella proposta di un generico sistema di mobilità “hub and spokes” imperniato sulle stazioni, che evidentemente richiederebbe un incremento delle frequenze e della capacità, ma senza dire con quali treni, quanti, e pagati da chi. Il Sindaco di Torino e Presidente dell’ANCI, Piero Fassino, illustra la situazione dell’area torinese, opposta a quella milanese: 40 comuni circa nell’area urbana torinese e oltre 300 comuni nella città metropolitana. Si conferma quindi l’impressione che il grande tema, non trattato esplicitamente da nessuno, ma emergente in tutti gli interventi, sia l’antinomia fra città metropolitana e vera dimensione funzionale dell’area urbana e del suo bacino di mobilità, e che i connessi problemi di governo non siano ancora stati affrontati. Il pomeriggio è dedicato alle “connessioni aeree e sviluppo aeroportuale” e si segnala per un intervento introduttivo di Stefano Paleari, rettore dell’Università di Bergamo, che rileva come i bacini dei tre aeroporti lombardi si sovrappongano in buona parte e come diminuisca la vocazione dei singoli aeroporti, confi- gurando di fatto un livello di possibile concorrenza secondo solo al sistema aeroportuale londinese. Avverte che non bisogna aver paura della concorrenza tra aeroporti. Ma il resto del dibattito non sembra aderire a questo concetto di sistema aperto e concorrenziale; covano ancora molte speranze dirigistiche, si parla ancora di “razionalizzare gli scali”, si sogna di ricostituire l’hub di Malpensa in qualche oscuro modo. Sembra si continui a dimenticare che non esistono aeroporti hub, ma solo compagnie che fanno operazioni hub in un dato aeroporto (concentrandovi tutti i voli d’apporto, ovvero gli spokes) e che senza una compagnia che abbia questa forza (che Alitalia non ha mai davvero avuto) l’hub non può esistere. Solo con la crescita del traffico e dei collegamenti (anche se partono dallo scalo che qualcuno giudica “sbagliato”) una siffatta compagnia può essere attratta. Si dimentica anche che questa possibilità si era già concretamente manifestata, ma fu fatta miseramente fallire quando a Lufthansa furono rifiutati alcuni slot su Linate. L’Assessore regionale alle infrastrutture, Alessandro Sorte, ha parlato di un tavolo ministeriale con lo scopo di incrementare i collegamenti su Malpensa. A questo però non partecipano le compagnie, che i collegamenti dovrebbero operare e che hanno gli aerei. In compenso, silenzio totale sulla liberalizzazione degli accordi bilaterali, che sono il vero nodo della questione, unico modo per incrementare i voli intercontinentali a Malpensa (tanto invisi a Alitalia e quindi, seppur ingiustamente, anche al Governo). Solo Gianfelice Rocca, in apertura, li ha opportunamente citati. In conclusione, ci sono squarci di sole, ma ancora un bel po’ di nebbia, in Val Padana. PREZZI DELLE CASE E CONSUMO DI SUOLO Marco Ponti Martin Wolf ha scritto sul Financial Times un articolo molto reazionario, sul fatto che nell’area londinese i prezzi dei terreni edificabili sono dell’ordine di 100 volte quelli dei terreni vincolati all’agricoltura, con effetti catastrofici sui prezzi delle case entro la “green belt”, cioè nella Londra “storica”, che è diventato un posto per soli ricchi, costringendo un sacco di lavoratori a estenuanti mo- n. 7 VII - 18 febbraio 2015 vimenti pendolari. Lo sciagurato propone di allentare i vincoli edificatori sui suoli agricoli, facendo pagare ai costruttori i costi di urbanizzazione, e liberalizzando il mercato, impoverendo di colpo i poveri londinesi del centro, che tanto ne soffrirebbero! In Lombardia probabilmente le differenze di prezzo non sono così abissali, ma comunque c’è da credere che siano rilevantissime. Questo spiega la pressione quasi irresistibile dei proprietari per trovare il modo di modificare comunque la destinazione d’uso dei suoli agricoli, con mezzi legali o corruttele di ogni tipo, al fine di costruire capannoni o case, anche se rimangono vuote, con gran consumo di suolo. Di tutto e di più, piuttosto che lasciare la destinazione agricola. 6 www.arcipelagomilano.org Questo poi dà luogo a prezzi d’attesa che stentano a scendere, perché quelli che riescono a costruire si trovano comunque in una posizione di monopolio relativo rispetto a tutti gli altri proprietari di suoli agricoli: gli conviene aspettare la “preda”, costretta dal bisogno. Da qui la posizione catastrofica che ha l’Italia rispetto all’indice di socialità delle abitazioni, che valuta a tre annualità di stipendio come una buona soglia per l’acquisto di una casa. Difficile fare calcoli comparativi, ma credo che non siamo troppo lontani dal vero se stimiamo in Lombardia di essere intorno a valori intorno a dieci annualità: dato un reddito monetario annuo di 20.000€ (da non confondere con il costo del lavoro, che è circa doppio), occorrono 10 anni per acquistare una casa da 200.000€, diciamo di 65 metri quadrati a 3.000€ il metro quadro. Da qui l’acutissimo problema sociale per le classi a reddito più basso, che, per sfuggire alla rendita urbana, contribuiscono alla dispersione insediativa, generando così una al- leanza di fatto con gli infami speculatori che tendono a costruire ovunque. Che fare per far crollare davvero i prezzi delle case per le categorie meno abbienti, visto che le soluzioni tipo ALER non sembrano né percorribili, né foriere di benessere sociale, dato il dominio di meccanismi clientelari, o peggio delinquenziali? Non è che la casa sia come la droga, per la quale i maggiori nemici della liberalizzazione sono proprio le bande criminali che si arricchiscono grazie ai suoi alti prezzi, creati dalla “scarsità artificiale” creata dai vincoli normativi? Lo speculatore, per le ragioni già viste, ha nella liberalizzazione dell’uso del suolo il suo peggior nemico. Si augura vincoli “selettivi” in suo favore, e generalmente riesce benissimo a ottenerli. Allora forse conviene davvero distruggere i prezzi d’attesa, annunciando una programmazione molto generosa e liberale delle possibilità di costruire (in modo ordinato e pagandone i costi), in modo che case e capannoni vuoti diventino un vero rischio sia per i costruttori sia per gli interessi sia vi ruotano attorno. E smettiamo una volta per tutte con questa fola, di ventennale memoria, della produzione agricola compromessa, fola propagandata ossessivamente in nome di un’agricoltura super-inquinante, che vive di sussidi pubblici (senza che ciò si possa dire impunemente, pena i furori di Confagricoltura e dei suoi alleati di cuore tanto verdolino), affama i paesi poveri, e richiede continui interventi normativi per limitare la produzione, che altrimenti sarebbe eccessiva (si vedano le quote latte). Tutto per non far scendere ulteriormente i prezzi dei beni alimentari, prezzi il cui abbassamento, sembra di capire, interesserebbe più le classi a basso reddito che i ricchi. Esattamente come li farebbe scendere la riduzione dei vincoli alla grande distribuzione, la liberalizzazione dei taxi e dei trasporti pubblici ecc. Ma il paese erede della cultura corporativa fascista difende da sempre l’offerta. La domanda si arrangerà. M4: I CANTIERI DILAGANO, IL COMUNE È ASSENTE (A FUTURA MEMORIA) Caterina Gfeller “Mettiamo la quarta” recitano i manifesti che il Comune ha affisso in tutta la città per pubblicizzare l'avvio dei lavori della metropolitana M4 utilizzando, ci si chiede perché, una poco brillante metafora automobilistica. In realtà i cantieri sono aperti da tempo, come sanno bene i residenti della zona est Milano, tra via Pannonia e via Mezzofanti. Qui la M4 ha già occupato il “pratone”, una delle aree verdi più frequentate del quartiere e, lungo la vicina via Cavriana, è stato realizzato il campo base del cantiere sottraendo preziose superfici coltivate al Parco Agricolo Sud e al progetto del Grande Forlanini. Da questa settimana però lo scenario si fa ancora più preoccupante. Estese recinzioni hanno reso inaccessibile quasi tutta la parte centrale di viale Argonne, il grande viale alberato novecentesco che disegna il confine tra le zone 3 e 4 della città ed è risorsa di spazio essenziale per la vita di questi quartieri: una sequenza di prati, campi da gioco, aree per bambini e perfino una piccola bocciofila diventati off limits. Il cartello informativo parla di “lavori propedeutici agli scavi della M4” precisando che si tratta di “spostare alcuni sottoservizi (acqua, fognatura, ecc...)”. La recinzione è definita“provvisoria”, ammonendo però n. 7 VII - 18 febbraio 2015 che “nella successiva fase di cantiere sarà sostituita da una definitiva”. Di provvisorio quindi c'è poco, perché si parla di ben 78 mesi, vale a dire quasi 7 anni! Lo stesso cartello afferma che si sta lavorando “per ridurre al minimo i disagi”, ma di fronte a una simile occupazione di spazio pubblico sorgono spontanei alcuni dubbi. È questo l'unico modo di allestire un cantiere? Davvero operai e macchine saranno contemporaneamente al lavoro su tutta la superficie del viale per tutto il tempo? Non si poteva immaginare un cantiere strutturato su lotti “modulari”, mantenendo la fondamentale percorribilità pedonale e ciclabile (appena 2,5 m per lato su una larghezza di 50), e lasciando il più possibile libere le aree verdi e i campi gioco? I sottoservizi da rimuovere appartengono a sistemi a rete, di cui sicuramente il Comune e le Società di servizi dispongono di una dettagliata mappatura. È credibile che per spostare qualche tubo dell'acqua, i canali di raccolta delle acque piovane, i cavi dell'illuminazione si debbano recintare oltre 3 ettari? Evidentemente è la cosa più semplice e banale. Non c'è alcuno sforzo progettuale per fare in modo che questo grande spazio pubblico rimanga, almeno in parte, ai cittadini della zona per i prossimi 7 anni. E non sembrano nemmeno essere state predisposte delle “compensazioni”, neppure un percorso ciclopedonale alternativo. I molti ciclisti che percorrono quotidianamente il viale sono ora costretti a pedalare pericolosamente in mezzo al traffico a due corsie, mentre i pedoni sono obbligati a camminare lungo i marciapiedi esterni, senza poter più beneficiare dell'area verde. Si sta ripetendo a una scala molto più ampia quello che avviene da quasi un anno e mezzo lungo lo stesso asse urbanistico, in corso Plebisciti, dove è stato aperto un altro cantiere “propedeutico” agli scavi della M4, che ha comportato la chiusura della pista ciclabile. Un'area recintata e poi per lungo tempo abbandonata, con lavori saltuari (pochi giorni su 15 mesi), ripresi a rilento nelle ultime settimane. Anche qui nessuna forma di compensazione per i ciclisti, nessun percorso sui marciapiedi vicini. Dal Comune e M4 arriva un’unica rassicurazione ai cittadini: “non vi saranno sostanziali modifiche alla viabilità del quartiere”. Ma si sta parlando solo di auto, come se pedoni e ciclisti fossero cittadini di serie B, proprio nel momento in cui si fa retorica sulla città smart e sullo svi- 7 www.arcipelagomilano.org luppo di modalità di trasporto alternative e sostenibili. Nelle grandi città europee i cantieri sono spesso “aperti” e “trasparenti”, con sistemazioni paesaggistiche provvisorie ma di qualità, mappe e cartelli informativi che spiegano in dettaglio cosa verrà realizzato, punti in cui è possibile osservare le macchine e gli operai al lavoro. A Berlino, Londra, Parigi, ma anche in alcune città italiane, i cantieri diventa- no parte dello spazio pubblico, non la loro negazione. La M4 riguarda tutta la città, da est a ovest. È quindi fondamentale che il cantiere non sia solo una sequenza di aree recintate, ma sia in grado di dialogare con il paesaggio urbano e lo spazio pubblico, salvaguardando la continuità dei percorsi, l'uso delle aree verdi, informando i cittadini, affinché i disagi possano essere accettati e acquistare senso, an- ziché trasformarsi in rabbia impotente e sfiducia nelle istituzioni. Nulla di tutto questo si riscontra in queste prime settimane. Ci si chiede dove sia il committente del progetto, il Comune di Milano. Possibile che dopo mesi di polemiche, di discussioni sui costi e sull'utilità dell'opera - di cui ArcipelagoMilano ha parlato diffusamente - i cantieri siano realizzati in questo modo? È accettabile che per 7 anni la città resti chiusa per lavori? RICOSTRUIRE IL BURRI: UNA DECISIONE ERRATA NEL MERITO E NEL METODO Walter Monici* Il proposito della Giunta Comunale di ricostruire una copia del teatro Burri al centro del parco Sempione , una iniziativa importante ed estremamente delicata considerato il luogo e l'interesse del progetto, non ha minimamente considerato l’opportunità, se non il dovere, di creare una occasione per ascoltare la voce della città. La delibera di accettazione venne assunta il 31 luglio nell'ultima seduta prima delle vacanze e una conferenza stampa di presentazione venne fatta il 2 ottobre. Ciò che ha caratterizzato questa presentazione é stata la assoluta mancanza di dubbi sulla opportunità di tale scelta, come se fosse un fatto dovuto la costruzione di una copia di quello realizzato nel 1973. Se agli amministratori appariva ovvia e scontata la decisione di ricostruire il teatro, a noi, cittadini milanesi, frequentatori del parco appariva ovvia e scontata, neppure ipotizzabile, qualunque ipotesi di una sua ricostruzione. Il teatro Burri era un oggetto nella memoria, collocato in una sua epoca e in uno spazio, il parco, che è oggi diverso da allora, il prato è più stretto e il teatro ne occuperebbe quasi per intero l'ampiezza, diverso è il contesto storico, sociale e politico in cui allora si era collocato, diverso è il senso di questa operazione che mentre allora era inserita in un progetto artistico sperimentale complessivo, oggi risulta avulsa dal contesto e andrebbe a confliggere col vincolo monumentale posto nel 1986 dall'allora sovrintendente Lionello Costanza Fattori che definitivamente poneva il Parco sotto la tutela della Legge 1089 che esplicitamente considera “i parchi e i giardini che abbiano interesse artistico o storico.”, e prescrive che “Le cose medesime non possono essere adibite ad usi … tali da recare pregiudizio alla loro conservazione ed integrità.” n. 7 VII - 18 febbraio 2015 Evidentemente si sono dimenticate le polemiche e le critiche seguite alla realizzazione del teatro nel 1973 che era stata concessa in via temporanea, la impossibilità di una corretta gestione, il degrado provocato al verde del parco e il senso di sollievo che era seguito alla sua demolizione. Come la scoperta di un affresco antico sotto un intonaco, così la riscoperta della veduta che unisce l'Arco della Pace al Castello, libera da ingombri e fratture, fece comprendere il senso di armonia, coerenza e magnificenza monumentale che era stato immaginato da Emilio Alemagna alla fine '800. Fu questo uno dei tasselli per la rinascita definitiva del Parco Sempione, che da spazio degradato qual'era è diventalo il luogo che oggi conosciamo, rappresentato in tutto il mondo proprio con quella veduta prospettica che ampia e libera si vorrebbe di nuovo sacrificare agli interessi di un soggetto privato che da quella collocazione trarrebbe enormi vantaggi di visibilità, prestigio e valorizzazione economica. Ma certamente anche i sostenitori della ricostruzione hanno argomenti da portare a sostegno della propria proposta, ma non vi è stato il modo, il tempo, l'occasione di confrontare le reciproche posizioni in modo esauriente. A tutte le nostre critiche e obiezioni si è sempre risposto invocando la figura dell'artista demiurgo cui tutto è permesso, richiamandosi alla memoria nostalgica della propria fanciullezza, come se questa fosse una giustificazione, o negando l'evidenza dei fatti come nel giudizio della Sovrintendenza del 7 gennaio 2015 che tautologicamente afferma che il teatro è “una valorizzazione del luogo e non certo in intervento invasivo ed incongruo”, ma senza spiegare in nessun modo perché non sarebbe invasiva una struttura che occupa il centro di “una composizione prospettica di no- tevole importanza urbanistico - monumentale”, e perché non sia incongrua una struttura di cemento armato e acciaio dipinto di bianco e di nero al centro di una veduta romantica ottocentesca. Soprattutto nelle sue risposte l'assessore Del Corno si è richiamato il diritto della Giunta di amministrare e di “compiere scelte e atti conseguenti”. Ma compito dell'amministratore dovrebbe essere di assumere decisioni rapide ed efficaci in tutto ciò che riguarda la manutenzione , la conservazione, l'organizzazione della città, non di compiere autocraticamente e senza confronto coi cittadini, i comitati e le associazioni, modificazioni che andranno a incidere fortemente e in perpetuo, come più volte ribadito sulla delibera, sull'ambiente e la percezione dei luoghi. In questi casi l'amministratore dovrebbe comportarsi da arbitro neutro e favorire il raggiungimento di una soluzione condivisa. E in ogni caso bene sarebbe per l’Amministrazione attenersi a principi di precauzione, di rispetto della legalità e di salvaguardia dei beni più prestigiosi che appartengono alla collettività intera. Forse siamo ancora in tempo, il nostro comitato, cui fanno capo diversi comitati e associazioni cittadine, ha proposto soluzioni alternative alla collocazione del teatro perché i 40 anni passati sono una intera era geologica, ciò che allora aveva senso oggi è totalmente fuori contesto, superato, e quella che è presentata come una operazione moderna e dinamica è al contrario un inutile sussulto nostalgico. *Comitato Parco Sempione col contributo di: Edoardo Croci, Franco Puglia, Ivan Salvagno, Luigi Santambrogio. 8 www.arcipelagomilano.org POLITICA MONDIALE: LO SGUARDO DELLE ASSICURAZIONI Massimo Cingolani Se vuoi sapere le abitudini di guida di un paese è sufficiente chiedere a un assicuratore come elabora la tariffa RC Auto, ma forse ci si può rivolgere a loro anche per sapere quali rischi sta correndo in questo momento il nostro pianeta. Infatti nell’ultimo rapporto annuale, Allianz Risk Barometer 2015 si afferma che le aziende si trovano di fronte a nuove sfide provenienti da scenari imprevedibili e da un ambiente sempre più interconnesso, l'interruzione delle attività e della filiera produttiva corrono nuovi tipo di rischio. In molti paesi, inclusa l’Italia, i rischi informatici e quelli geo-politici registrano i maggiori tassi di crescita. “La crescente interdipendenza di molti settori e processi implica che oggi le imprese siano esposte a un numero crescente di situazioni di crisi. Gli effetti negativi possono moltiplicarsi rapidamente, e un rischio può provocarne a catena molti altri. Le calamità naturali o gli attacchi informatici possono causare interruzioni delle attività non solo per un'azienda, ma per intere aree di infrastrutture", sottolinea lo studio di Allianz. Il cyber-risk è cresciuto molto e quest’anno, per la prima volta, è entrato nella “Top” dei peggiori per le aziende nella graduatoria globale. In Germania, Regno Unito e Stati Uniti, i rischi informatici si collocano addirittura nelle prime posizioni in classifica, anche se la consapevolezza sta aumentando, si ritiene che molte aziende ne sottovalutino i diversi impatti. "Il numero crescente e sempre più sofisticato di minacce informatiche fa sì che sia impossibile, per qualsiasi organizzazione, garantire una protezione completa dal cyber-risk". Nel mondo aumentano i rischi geopolitici, sempre secondo il rapporto, le situazioni di crisi politiche e sociali sono un problema sempre più importante per le imprese. Il rischio geo-politico appare tra i principali nella regione EMEA (Europa, Medio Oriente e Africa), in Brasile, è considerato uno dei peggiori in Russia e in Ucraina. È la seconda causa principale di interruzione della filiera produttiva dopo le calamità naturali. Un'altra fonte di tensione politica nel 2015 potrebbe derivare dal basso costo del petrolio, che potrebbe destabilizzare quei Paesi che dipendono molto dai profitti basati sul greggio. La lotta contro il terrorismo e i rischi geo-politici sono identificati tra gli interventi più importanti. Ad esempio gli assicuratori francesi dopo i gli assalti a Charlie Hebdo suggeriscono di implementare "Vigipirate" un protocollo di sicurezza che rafforza la protezione a un numero di siti chiave: organizzazioni di media, grandi negozi e aree commerciali, trasporto, siti religiosi,scuole, edifici governativi ufficiali. Mentre è impossibile prevedere gli attacchi, tendenze recenti suggeriscono un movimento verso 'tactical low-tech' anche se ancora sono possibili gli assalti spettacolari di alto impatto con armi automatiche e veicoli. I livelli di minaccia nel Regno Unito, nel resto d’Europa e negli Stati Uniti sono elevati da qualche tempo e così rimangono. Tuttavia, altri settori, come Nord Africa, il Medio Oriente, il Sud e il Sudestasiatico (tra cui l'Australasia) così come parti della Cina occidentale, sono sempre più esposti al terrorismo ”jihadista". I tre rischi principali per le imprese evidenziati nello studio - interruzione dell’attività e della filiera produttiva, calamità naturali e incendi/esplosioni - sono gli stessi nell’area Europa, Medio Oriente e Africa (EMEA), nel continente americano e nella regione Asia Pacifico. Vi sono comunque alcune differenze tra le aree geografiche. In Italia, il principale rischio è quello causato dalle catastrofi naturali e, in discesa rispetto al 2014, la mancata crescita economica. Inoltre la combinazione tra mancanza di talenti e una forza lavoro non più giovane è causa di un aumento di preoccupazione e rientra tra i 10 rischi maggiori. Le aziende poi sono preoccupate dall’ambiente commerciale e il timore di una stagnazione e di un declino dei mercati entra nella classifica. Il cambiamento climatico insieme alle innovazioni tecnologiche come la stampa in3D e le nanotecnologie dominano ”l’agenda rischi“ sul lungo periodo. Se questa non è un’agenda anche per la politica … . LUIGI BERLINGUER A MILANO. LA SCUOLA DEVE CRESCERE, ANCHE CON LA MUSICA Rita Bramante L’uomo a cui Romano Prodi e Massimo D’Alema affidarono il Ministero della Pubblica Istruzione e dell’Università dal 1996 al 2002 era allora un entusiasta della Scuola e oggi il suo entusiasmo e il suo vigore sono immutati. L’animo e il piglio sono quelli di un guerriero del bene che vuole vincere la sua battaglia per la scuola pubblica italiana e le sue parole incarnano il messaggio che è stato di don Milani, scolpito per sempre nel vangelo laico della Lettera a una professoressa (1967): una scuola senza burocrazia, orientata al riscatto da ogni discriminazione sociale e emarginazione culturale, alla presa di coscienza e n. 7 VII - 18 febbraio 2015 all’apprendimento per una cittadinanza attiva e consapevole nella società. La funzione del buon educatore, per don Milani come per Luigi Berlinguer, è quella di trasmettere la gioia di vivere, di combattere e di conoscere; il maestro deve essere per quanto può profeta,scrutare i “segni dei tempi”, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in modo confuso (…) e inculcare il piacere di sapere per non essere subalterni. Ospite a Milano della tredicesima Giornata Europea dei Genitori della Scuola, Luigi Berlinguer è intervenu- to sul tema Una scuola di qualità per tutti e per ciascuno, ponendo come assunto principale la necessità di cambiamento: bisogna cambiare la scuola, perché l’impianto vecchio continua a resistere e fa perdere gran parte dell’energia! E fa questo appello al cambiamento, al superamento dell’ipercognitivismo, parlando da storico del diritto italiano e rivendicando il principio che la scuola di massa deve essere destinata a tutti e deve saper tutelare per tutti il bisogno interiore di crescere. Rivendica a gran voce il diritto di tutti a imparare non solo a sapere, ma a capire, a scegliere, a diventare cittadine e cittadini e a vivere da 9 www.arcipelagomilano.org protagonisti la propria esistenza. La scuola trascina avanti se stessa, con un apparato invecchiato in cui solo alcuni studenti eccellono, alcuni che sarebbero eccellenti comunque, anche in un’isola deserta! E intanto l’Italia sta perdendo opportunità di crescita culturale collettiva e terreno nella ricerca scientifica. Non si può tardare oltre a spingere avanti il protagonismo discente, facendone la bandiera dell’autonomia scolastica che deve ancora svilupparsi compiutamente. Bisogna insegnare per problemi e non per epistemi, non fermarsi alla vernice delle nozioni e all’ipercognitivismo, che è soltanto conoscenza attraverso la trasmissione. Basta con una scuola iperlogocentrica, dove si educa la ragione, perché l’uomo e la donna hanno anche una parte destra del cervello: l’elemento primo del pensiero critico è l’immaginazione, la fantasia, la creatività. Molti ragazzi non sono portati per essere filosofi, ma hanno una prorompente creatività: per questo bisogna dare piena dignità all’arte a scuola. È paradossale che in Italia, la culla dell’arte, l’arte possa non essere considerata cultura. Se entra la musica nella scuola, tutta la scuola è destinata a beneficiare di un radicale cambiamento. L’apertura all’arte porta con sé l’effetto Mozart: recenti esperimenti sulle viti di Montalcino, patria del famoso Brunello, attestano che persino l'uva arriva a maturazione prima e migliora la protezione da insetti patogeni, quando è coltivata al suono della musica di Mozart (1). E in una scuola a indirizzo musicale (2) si conclude la giornata milanese dell’onorevole Berlinguer, che presenzia soddisfatto all’inaugurazione della prima aula bonificata acusticamente. C’è da sperare che questa iniziativa pionieristica possa far germogliare innovazioni nel campo ancora inesplorato del benessere acustico a scuola e che presto si rivelino i grandi effetti di cambiamenti finora inattuati, ma possibili (3). (1) S. MANCUSO - A. VIOLA, Verde brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale, Giunti, 2013 (2) IC Cavalieri scuola primaria e secondaria a indirizzo musicale (3) M. GLADWELL, Il punto critico. I grandi effetti dei piccoli cambiamenti, Rizzoli, 2000. Scrive Mario Marin a proposito della futura campagna elettorale Vi inoltro un mio post (*) scritto su Facebook. Mi pare che il vostro sito sia più adatto nell'impostazione intelligente della futura campagna elettorale. Coordinate voi gli interventi di apprezzamento dei cittadini per l'operato della Giunta; questo è il feed-back valido, quello degli Assessori è di parte come pure quello della opposizione. Sotto ho dato degli esempi positivi, come pure il miglioramento di Ponte Lambro. Cose evidenti, senza se e senza ma. Ma tante cose, come rendere la città più amica dei bimbi ad es. non si vedono ancora. Va fatta una analisi laica della situazione, con una ammissione sincera delle difficoltà incontrate dagli amministratori. (*) "Paolo Limonta e tutti, per me varrebbe la pena di fare, magari su un apposito sito, il consuntivo di ciò che è stato realizzato da Pisapia dal 2011. Limonta sa meglio di me che i vari Assessori ora sono impegnati al 100% su Expo che inizierà in maggio; dunque non hanno né testa né tempo per pensare alla prossima campagna elettorale del Comune di Milano. Il consuntivo va fatto zona per zona e devono essere i cittadini a stilarlo. Perché il vantaggio di chi ha governato è di poter fare vedere cosa ha realizzato, a differenza del competitore che si deve limitare solo a delle promesse. Io per la Zona 4 posso dire che la signora Castellano ha bloccato il progetto dei box sotterranei in Piazzale Libia, senza che il Comune dovesse sborsare un solo euro di penali. Per questa estate la piscina Caimi verrà recuperata all'uso pubblico grazie alla sua ristrutturazione, poi stanno realizzando l'isola ambientale a Porta Romana, che limiterà la velocità delle auto ma non solo. Ho detto 3 cose e forse ne sono state fatte altre. Ripeto, l'importante è che siano i cittadini a raccontare, non l'Amministrazione. Direi che sarebbe una buona base di partenza! Limonta rimboccati le maniche, ma niente propaganda, che ci son tanti dubbiosi." Scrive Adriana Grippiolo a Giuseppe Longhi a proposito delle aree Expo Sono una vecchia milanese (di padre e nonno, poi si va ad Alessandria), oggi davvero spiacente di non conoscerla. Potrei infatti - sapendo che cosa fa nella vita oltre a scrive- re splendidamente - essere più puntuale nel ringraziarla. Testo chiaro, ironia ancora più chiara, quadro di ipotesi esplicito. Mi dica però: lei, personalmente, ha messo la ciliegi- na alla fine della torta, è la soluzione che preferisce? Io farei un bel mix di 3 e di 4. MUSICA questa rubrica è a cura di Paolo Viola [email protected] Lo slancio romantico n. 7 VII - 18 febbraio 2015 10 www.arcipelagomilano.org Milano Classica – l’istituzione promossa e diretta da Marica Morosini che organizza la bella stagione di concerti domenicali nella Palazzina Liberty di Largo Marinai d’Italia – ha proposto con l’accattivante titolo “Lo slancio romantico” un colto confronto fra due opere particolari del panorama della musica da camera dell’ottocento: i due Quintetti per archi e pianoforte di Schumann (1864) e di Dvořák (1887). Benché lo stesso genere, nella seconda metà dell’ottocento, sia stato frequentato anche da Saint-Saëns, Frank e Fauré, possiamo dire che ai due mancava solo quello di Brahms (1884) per completare il quadro poiché il clima musicale “asburgico” o “mitteleuropeo” che li caratterizza ha ben poco a che fare con quello francese. Sono tre compositori le cui vite hanno ruotato in gran parte intorno ai Carpazi (Lipsia, Vienna, Praga) e si sono molto incrociate fra di loro (i rapporti fra Schumann e Brahms sono arcinoti, quelli fra Brahms e Dvořák quasi altrettanto); si sentivano orfani di Beethoven e di Schubert, e questa loro comune discendenza, a dispetto delle diverse ispirazioni tematiche e dei trent’anni di differenza fra le loro età, è assai facile da percepire. Diciamo subito che il confronto propostoci dall’ottimo Quartetto Stradivari con l’aggiunta della brava Francesca Rivabene al pianoforte viene vinto alla grande da Dvořák che con il Quintetto in la maggiore ci offre una delle sue creature migliori: due “allegro” - primo e quarto tempo - costruiti su un unico tema intriso i nostalgia e di calore slavi, che incastonano i due tempi centrali fra loro diametralmente opposti. Il secondo tempo è una “dumka” (canto popolare lento di origine ucraina con un carattere normalmente narrativo ed elegiaco che in questo caso diventa languido e struggente) e il terzo è un “furiant” (valzer di tradizione popolare boema, vivacissimo e con frequenti mutamenti di battuta); Dvořák con un colpo di genio non solo li accosta ma avvolge l’intero Quintetto in una sorta di vaga reminescenza schubertiana e lo conclude con una magnifica fuga. Un vero, grande capolavoro. Non altrettanto si può dire del Quintetto in mi bemolle maggiore di Schumann, di derivazione più beethoveniana che schubertiana, che ha il merito di inaugurare il particolare organico costituito dal pianoforte con i quattro archi classici (due violini, viola e violoncello); Beethoven non ci si era cimentato mentre Schubert - nel Quintetto detto “della trota” - aveva usato il contrabbasso senza raddoppiare il violino. Una innovazione importante, che porterà molto lontano, ma questo primo esempio è purtroppo debole; nonostante alcuni momenti sublimi, di grande lirismo e dolcezza (come la marcia funebre del secondo tempo) o di travolgente eccitazione (come lo scherzo del terzo tempo), il Quintetto schumanniano rimane slegato e fondamentalmente poco ispirato. Siamo abituati a portare in palma di mano Robert Schumann, attratti non solo dalla grande eleganza della sua scrittura ma anche dal fascinoso romanzo della sua vita, e a considerare Antonìn Dvořák un musicista di rango minore. Credo che questo giudizio sul compositore boemo vada radicalmente rivisto: le sue nove sinfonie, i concerti per violino, per violoncello e per pianoforte e orchestra, la sua musica da camera (trii, quartetti, quintetti) per non dire della sua musica sacra (Stabat Mater, Messa in re, Requiem), sono altrettanti capolavori che appartengono a pieno diritto alla grande storia della musica della seconda metà dell’ottocento. Aver messo vis-à-vis i due Quintetti ha ben illuminato quella differenza fra cultura sassone e cultura boema che colpisce enormemente chi percorre l’itinerario che da Praga porta a Dresda scendendo dapprima lungo la Moldava e poi lungo l’Elba; il mondo cambia profondamente nel parco nazionale della cosiddetta “Svizzera Sassone” quando alla “Gola del lupo” si attraversano i Carpazi nel mitico luogo in cui Carl Maria von Weber ha ambientato “Il franco cacciatore”. Finisce il mondo slavo, inizia quello germanico. Di altissima qualità l’esecuzione dei due Quintetti affidati a una compagine che ha una bella e curiosa storia alle spalle, la storia di due famosi musicisti rumeni - il marito è un violoncellista, la moglie una violinista che da anni vivono in Italia su un piccolo lago a metà strada fra il lago Maggiore e il lago di Varese, e che si sono guadagnati una solidissima fama internazionale sia come interpreti che come insegnanti; lei è Mariana Sirbu, lui Mihai Dancila, fondatori nel 1968 del Quartetto Academia, e nel 1994 del Quartetto Stradivari di cui fanno tutt’ora parte. Mariana Sirbu, il primo violino che va avanti e indietro da Lipsia dove insegna il suo strumento, ha fatto parte con Bruno Canino e Rocco Filippini del “Trio di Milano”, e con Salvatore Accardo della famosa orchestra da camera “I Musici”; Mariana e Mihai, insieme, hanno avuto da sempre come compagno di strada il bravissimo violista, compositore e direttore d’orchestra Massimo Paris e da qualche anno, nel ruolo di secondo violino, la loro figlia Cristina Dancila. Infine in questa occasione sono stati ottimamente accompagnati da una pianista nota per molte egregie cose ma soprattutto per aver indagato, studiato e raccontato delle “donne musiciste“ nella Milano del primo ottocento! Una storia, appunto, bella e curiosa. ARTE questa rubrica è a cura di Benedetta Marchesi [email protected] Google entra nei musei: Art Project La grande sfida dei musei oggi è quella di stare al passo con l’avanzare incessante delle tecnologie, mantenendo al contempo il ruolo di conservatore della tradizione e del patrimonio che la società gli chiede. Google ha preso coscienza di questa necessità dei musei e ha dato vita al Google Art Project: un accordo con più di 600 istituti cultu- n. 7 VII - 18 febbraio 2015 rali in tutto il mondo che ha consentito, attraverso due fasi, la digitalizzazione delle collezioni prima e del percorso museale poi. Unico nel suo genere, Art Project è prova dell’impegno di Google nella diffusione e promozione della cultura online a un pubblico il più ampio possibile. Sotto l’egida del Google Cultural Institute e nel segno di questo ambizioso obiettivo, Google ha già realizzato moltissimi progetti, tra cui la digitalizzazione degli archivi di Nelson Mandela, dei manoscritti del Mar Morto e la messa online di archivi storici di grande valore, come quelli dell’Istituto Luce Cinecittà relativi alla Dolce Vita italiana degli anni ‘50-’60. 11 www.arcipelagomilano.org Nella città di Milano tre sono stati i musei coinvolti: il Museo Bagatti Valsecchi, il Museo Diocesano e il Museo Poldi Pezzoli che tra il 2012 e il 2013 hanno messo online immagini ad altissima risoluzione delle proprie collezioni sulla piattaforma dell’Art Project. La grandezza del progetto però non sta nella digitalizzazione delle collezioni, quanto nel sistema d’archiviazione che consente di ricercare l’opera per nome dell'artista, titolo, tipo di arte, museo, Paese, città e collezione. Una volta selezionata un'opera d'arte tra le 60.000 disponibili, assieme al dettaglio che si preferisce, si può creare la propria galleria personale. E ancora, è possibile aggiungere commenti a ogni dipinto e l'intera collezione può essere condivisa sui social network. La seconda fase, appena conclusasi per i musei milanesi, ha consentito la realizzazione di un tour virtuale per ciascuna istituzione. È stata coinvolta una particolare telecamera di Street View che ha scattato immagini a 360° degli interni, unite poi con l’obiettivo di consentire un'esplorazione continuativa all'interno delle stanze. Dal 10 febbraio il visitatore virtuale può esplorare le 18 sale del Museo Bagatti Valsecchi simulando una vera e propria passeggiata nella dimora dei due fratelli Fausto e Giuseppe, ammirandone i soffitti, i preziosi oggetti raccolti dai baroni sul finire dell’Ottocento e vivendone, anche se virtualmente, la magia. Grazie al Museum View anche nel caso del Museo Diocesano è possibile visitare integralmente i tre livelli, le opere e il chiostro direttamente da casa propria: dalle sale dedicate a Sant’Ambrogio, alla Sala Fontana, alla collezione Sozzani coi suoi 106 disegni e ricche cornici. Il Museo Poldi Pezzoli, il primo milanese che aderì al Google Art Project nell’ottobre del 2012, con 185 immagini di altissima qualità. Tra le opere visibili sulla collezione digitale dedicata al Museo di via Manzoni, in particolare l’Artemisia del Maestro di Griselda, dipinto tardo quattrocentesco raffigurante un’eroina dell’antichità anch’essa fotografata a una risoluzione di circa 7 miliardi di pixel. Walter Bonatti. Fotografie dai grandi spazi Quella al Palazzo della Ragione non è solo una mostra di fotografia sui grandi spazi, come riporta il titolo, è un’ode alle avventure e alle montagne di Walter Bonatti. 97 gli scatti presentati in quella che si sta imponendo sempre di più come una sede espositiva di valore della città di Milano. Ma alle grandi fotografie del mondo, alle riproduzioni audio e video si affiancano alcuni degli oggetti che hanno da sempre accompagnato Bonatti: gli scarponi di cuoio oramai consunti, la Ferrania Condoretta, una piccola macchina fotografica che usò sul Petit Dru, e la macchina per scrivere: una Serio, modello Everest-K2, che gli venne regalata dalla stessa azienda produttrice perché raccontasse la vera storia di ciò che successe sul K2 nel 1954. È forse grazie a quel dono che Bonatti prese ad affiancare all’alpi- nismo e all’esplorazione delle vette anche la narrazione. Acuto e attento osservatore del mondo, Bonatti attraverso i suoi reportage darà voce a realtà lontane appassionando i lettori delle più grandi riviste italiane, prima tra tutte Epoca. Un uomo decisamente in controtendenza rispetto al contesto nel quale viveva: nell’Italia post-bellica del boom economico Bonatti sceglie l’allontanamento dalla realtà per andare a scoprire mondi nuovi e inesplorati. Mai lo sfiora il pensiero di rimanere, anzi torna sempre a casa per raccontare il suo vissuto: da ciascun viaggio porta con sé racconti, riflessioni e tante, tantissime immagini per far sognare chi non riesce a partire con lui. Le immagini in mostra raccontano dei grandi viaggi, della sua capacità di errare solo e della sua grande ammirazione per la potenza della natura. Emerge anche una certa consapevolezza di sé: durante i suoi viaggi Bonatti escogita una serie di tecniche con fili e radiocomandi che gli consentono di essere non solo parte delle proprie fotografie, ma romantico protagonista, quasi ultimo e affascinante esploratore del mondo.Una mostra che coinvolge il visitatore mescolando avventura, fotografia e giornalismo, giungendo a delineare il profilo di un grande uomo che ha contribuito a fare la storia del Novecento. Walter Bonatti. Fotografie dai grandi spazi Palazzo della Ragione Milano fino all'8 marzo 2015 - Orari Tutti i giorni: 9.30 - 20.30 // Giovedì e sabato: 9.30 - 22.30 La biglietteria chiude un’ora prima dell’orario di chiusura Lunedì chiuso Ingresso 10 euro A pranzo con il soldato: Razione K alla Triennale di Milano La razione K (ingl. K-Ration) è una razione da combattimento individuale giornaliera introdotta negli Stati Uniti d'America nel 1942 nel corso della seconda guerra mondiale. Era inizialmente intesa come razione da utilizzarsi per brevi periodi da parte di unità mobili (truppe aviotrasportate, corpi motorizzati) ed era suddivisa in tre moduli separati per colazione, pranzo e cena. RAZIONE K è anche il titolo della mostra a cura di Giulio Iacchetti allestita negli spazi della Triennale di Milano fino al 22 febbraio dove sono messi a confronto 20 kit alimentari per i militari provenienti da altrettanti paesi diversi. L’allestimento nell’ingresso n. 7 VII - 18 febbraio 2015 del Palazzo consta di 10 grandi tavoli sui quali sono disposti con simmetrie ed equilibri i contenuti delle razioni, suddivisi per nazionalità e corredati da un pannello che ne enuclea il contenuto nel dettaglio e l’apporto calorico. Per chi non si sia mai posto il problema dell’alimentazione del soldato in azione, come recita il sottotitolo della mostra, l’esposizione apre gli occhi su un mondo dove cucina, design ed ergonomia si fondono: piccole scatole, sacchetti e sacchettini contengono quello che ciascun paese ritiene essenziale per il proprio soldato (chi per un solo pasto, chi per le intere 24 ore). Non solo alimenti, c’è chi fornisce anche posate, fiammiferi, fazzoletti, gomme da masticare o spazzolini da denti (per ricordare che l’igiene dentale è importante) o chi il kit lo prepara a prova di forza di gravità. Chi come la Nuova Zelanda si distingue per l’omogeneità del packaging (tutto è color sabbia), gli italiani per l’inserimento di caffè, ravioli al ragù e caramelle, chi invece per l’esiguità del quantitativo di cibo (Thailandia). Indipendentemente dall’interesse personale per le questioni militari e tutto ciò che concerne si tratta di una mostra curiosa e interessante, oltretutto gratuita, e utile per cominciare ad allenare lo sguardo sulle 12 www.arcipelagomilano.org mille declinazioni sul tema alimentazioni che nel 2015 in occasione di Expo ci sommergeranno. Razione K - Triennale di Milano, viale Alemagna 10 Orari Martedi - Domenica 10.30 - 20.30 Giovedi 10.30 - 23.00 Ingresso Libero Quando il cibo si fa mostra Food | La scienza dai semi al piatto, non è solo una mostra dedicata all’alimentazione: è un percorso di avvicinamento e scoperta del processo di produzione di ciò che mangiamo. Anche questa definizione è riduttiva: le quattro sezioni accompagnano il visitatore dalla scoperta dei cibo, dall’origine quando è seme fino alle reazioni chimiche che sottendono la cottura, passando attraverso dettagliate spiegazioni su provenienza storico-geografica, suggerimenti sulle modalità di conservazione o exhibit interattivi. La mostra, in corso fino al 28 giugno 2015 e allestita nelle sale del Museo di Storia Naturale Milano, rappresenta il più importante evento di divulgazione scientifica promosso dal Comune di Milano sul tema di Expo 2015. “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” e costituisce una delle più importanti iniziative del programma di “Expo in Città”. Tutto nasce dai semi è il titolo della prima sala, nella quale vengono raccontate le diverse classi e fami- glie con caratteristiche, provenienza e utilizzo. Decine e decine di barattoli mostrano, portando, in alcuni casi per la prima volta, esemplari che appartengono alle più importanti banche dei semi italiane. Si prosegue poi con Il viaggio e l’evoluzione degli alimenti dove mele, agrumi, riso, caffè e cacao non avranno più segreti: tra giochi interattivi e alberi genealogici, tutto è facilmente accessibile e non superficiale. Grande elemento positivo della mostra è infatti la capacità di rendere fruibili le nozioni più scientifiche a un pubblico differenziato, senza per questo incorrere nel rischio di semplicismo. Che la cucina sia un’arte è risaputo da tempo, ma che alla base di tante ricette vi siano principi di chimica e fisica passa spesso inosservato: la terza sezione della mostra illustra come funzionano alcuni degli elettrodomestici più comuni, con consigli sulla conservazione degli alimenti (sapevate che i broccoli hanno un metabolismo più veloce delle cipolle e che per meglio conservarli andrebbero avvolti in una pellicola di plastica?!) e soluzioni fisicochimiche ai problemi di chi cucina (cosa fare se la maionese impazzisce?). Quando poi sembra che niente in materia di cibo possa più sorprenderci si giunge all’ultima sala I sensi. Non solo gusto ovvero niente è come sembra: vista, olfatto e tatto anche nel mangiare giocano un ruolo determinante, al punto talvolta di allontanare il gusto dalla reale percezione. Il costo del biglietto è medio alto (12/10 euro), ma la visita merita davvero il prezzo d’ingresso se non altro per cominciare ad affacciarsi nel tema che, grazie ad Expo, ci accompagnerà per tutto il 2015. Food. La scienza dai semi al piatto fino al 28 giugno 2015 Lunedì 09.30 – 13.30 / Martedì, Mercoledì, Venerdì, Sabato e Domenica 9.30 – 19.30 / Giovedì 9.30 – 22.30 Biglietto 12/10/6 euro L’arte di costruire relazioni: Céline Condorelli all’Hangar Bicocca Se un pomeriggio d’inverno un viaggiatore avesse voglia di scoprire Milano attraverso uno dei luoghi simbolo della storia industriale e artistica della città, potrebbe recarsi all’Hangar Bicocca. Una delle mostre recentemente inaugurate nello spazio è la personale di Céline Condorelli, un’artista che vive e lavora fra Londra e Milano. L’esposizione ha un titolo che non passa inosservato: bau bau. L’espressione, che ludicamente richiama al verso di un cane, è anche un omaggio al significato della parola in lingua tedesca, costruzione, e all’esperienza della scuola del Bauhaus. Effettivamente, superate le difficoltà iniziali di approccio all’apparente incomunicabilità dell’arte contemporanea, il percorso espositivo si rivela ricco di spunti sul tema della costruzione e dell’amicizia, sviluppati attraverso sculture, installazioni, video e scritti. L’artista ha una formazione relativa all’architettura e alla cultura visuale, e ha riflettuto a lungo sulle “strutture di sostegno”, ovvero su ciò che supporta, sostiene, appoggia e corregge, sia in senso strutturale che relazionale. L’amicizia diventa per l’artista una dimensione di lavoro e una forma d’azione. I suoi pensieri sull’amicizia sono condensati nel libro The company she keeps, offerto ai visitatori su una scrivania: chiunque può accomodarsi e leggerlo, e chi vuole può anche salire sul tavolo per osservare dall’alto la visuale all’esterno, attraverso l’unica finestra dell’ambiente espositivo, aperta appositamente dalla Condorelli in occasione della mostra. Un altro tema forte è infatti il dialogo con gli spazi dell’Hangar. La mostra è stata pensata in relazione alle precedenti esposizioni (il pannello di legno all’ingresso è lo stesso della mostra precedente di Gusmão e Paiva, e Céline vi ha posto una ven- tola che produce un vento che sospinge lo spettatore attraverso la scoperta delle opere; i video in onda su una piramide di televisori ricordano la babelica torre di Cildo Meireles) così come l’installazione Nerofumo è stata appositamente prodotta attraverso la collaborazione con lo stabilimento Pirelli di Settimo Torinese. Musica che fa da sottofondo nell’ingresso e nei bagni, installazioni che diventano sedute su cui i visitatori possono accomodarsi e colloquiare, tende dorate mosse dal vento: bau bau è una mostra irripetibile in qualsiasi altro luogo, in grado di seminare silenziosi spunti di riflessione negli interessati, curiosità negli scettici, stupore negli appassionati. Giulia Grassini Céline Condorelli, bau bau Hangar Bicocca via Chiese 2, Milano fino al 10 maggio 2015 – da giovedì a domenica 11:00 – 23:00 Ingresso gratuito Nel Blu di Klein e Fontana al Museo del Novecento Uno straordinario racconto di un dopoguerra animato da artisti, colle- n. 7 VII - 18 febbraio 2015 zionisti, intellettuali e mercanti è lo scenario che si immagina faccia da sfondo alla relazione di amicizia tra Yves Klein e Lucio Fontana raccon- 13 www.arcipelagomilano.org tata nella mostra in corso al Museo del Novecento e che immergono chi vi è coinvolto con stimoli visivi e suggestioni intellettuali. Due città, Milano e Parigi, e due artisti, distanti per età anagrafica, provenienza, formazione e stile ma con in comune la ricerca artistica che si articola verso nuove dimensioni spaziali e concettuali. Ripercorrendo il tradizionale allestimento cronologico del Museo ci si accosta progressivamente al rapporto tra i due: più questo si fa intenso e più aumenta la densità di opere che si incontrano dei due artisti. L’apice del sodalizio si raggiunge quando si spalanca la vetrata sopra piazza del Duomo con la Struttura al neon di Lucio Fontana sul soffitto e la distesa blu di Pigment Pur di Klein. Un dialogo straordinario all’interno del quale il visitatore non può che sen- tirsi coinvolto ed estasiato ammiratore. Cinque sono gli anni cui la mostra è dedicata: dal 1957, anno in cui Yves Klein espone per la prima volta a Milano alla Galleria Apollinaire una serie di monocromi blu, al 1962, anno della morte dello stesso Klein. L’inaugurazione della mostra in Brera è l’occasione in cui i due artisti si incontrano per la prima volta e Fontana è tra i primi acquirenti di un monocromo dell’artista francese, diventando poi uno dei suoi più importanti collezionisti in Italia. Nell’esposizione sono documentati cinque anni di lettere, incontri, viaggi e condivisione di due artisti che hanno segnato profondamente, ognuno a modo proprio, la storia dell’arte novecentesca. L’affinità intellettuale e artistica emerge laddove le aperture spaziali di Fontana (fisiche e concettuali) trovano corrispondenza nel procedere di Klein dal monocromo al vuoto. Entrambi perseguono uno spazio immateriale, cosmico o spirituale, che forse appartiene a un’altra realtà. Una mostra da non perdere “Yves Klein Lucio Fontana, Milano Parigi 1957-1962”, che per la ricerca storico-artistica e le scelte curatoriali non appaga solo la fame conoscitiva del visitatore, ma soprattutto fa sì che venga immerso in un mondo blu splendente che offre un profondo godimento emozionale. Klein Fontana. Milano Parigi 1957-1962 Museo del Novecento piazza Duomo fino al 15 marzo 2015 lunedì 14.30 – 19.30 martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30 – 19.30 giovedì e sabato 9.30 – 22.30 Biglietti :10/8/5 euro Tra Leonardo e Milano prosegue felicemente il sodalizio Se in una pigra domenica sera emerge nel milanese un’incontenibile voglia di visitare una mostra, quali sono le proposte della città? Intorno alle 19.30 non molte in realtà: Palazzo Reale così come i grandi musei del centro sono già in procinto di chiudere. Una però attira l’attenzione, sarà per la posizione così centrale o forse proprio per il fatto che è ancora aperta. Quella dedicata al genio di Leonardo Da Vinci, affacciata sulla Galleria Vittorio Emanuele, è una mostra in continua espansione che periodicamente si arricchisce di nuovi elementi frutto delle ricerche dal Centro Studi Leonardo3, ideatore e organizzatore della mostra nonché gruppo attento di studiosi. Se Leonardo produsse durante la sua vita un’infinità di disegni e schizzi, L3 si pone come obiettivo quello di studiare a fondo la produzione del genio tostano e renderla fruibile a tutte le tipologie di pubblico con linguaggi comprensibile e divulgativi offrendo un momento ludico di intrattenimento educativo, adatto sia per bambini che per adulti. Quasi 500 mq ricchi di modelli tridimensionali e pannelli multimediali che permettono realmente di scoprire le molteplici sfaccettature del pensiero e dell’operato leonardesco: macchine volanti o articolati strumenti musicali possono essere smontate e rimontate; riproduzioni del Codice Atlantico e di altri manoscritti sono tutte da sfogliare, ingrandire e leggere; ci sono giochi di ruolo a schermo nei quali i visitatori vestono i panni dello stesso Da Vinci. La produzione artistica non è dimenticata, anzi: un’intera sala è dedicata ai più famosi capolavori dell’artista con un grande pannello e due touchscreen dedicati al restauro digitale dell’Ultima cena, alla Gioconda e a due autoritratti dell’autore. Inaugurata nel marzo 2013, prorogata prima fino a febbraio 2014 e ancora fino al 31 ottobre 2015, la mostra ha superato le 250 mila visite imponendosi come centro attrattivo per turisti e cittadini. Un buon risultato, ma forse basso considerando l’alta qualità della mostra e la posizione decisamente strategica. Il successo di pubblico sarebbe stato migliore (forse) con un maggiore rilievo dato dalla stampa e dei social network, e da un costo del biglietto più calmierato. Ma c’è ancora tempo, e l’occasione giusta è alle porte: non perdiamola e anzi, dimostriamo che anche a Milano ci sono centri di ricerca capaci di produrre mostre interessanti senza necessariamente creare allestimenti costosi ed esporre opere o modelli originali. Leonardo3 - Il Mondo di Leonardo 1 marzo 2013 - 31 ottobre 2015 Piazza della Scala, Ingresso Galleria Vittorio Emanuele II Aperta tutti i giorni, dalle 10:00 alle 23:00 compresi festivi Biglietti: 12/10/9 euro LIBRI questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero [email protected] Carlo Rovelli Sette brevi lezioni di fisica Piccola Biblioteca Adelphi Milano 2014 pp.88, euro 10 Le sette lezioni riprendono, ampliandoli, una serie di articoli pubblicati da Rovelli sul Supplemento domenicale del "Sole 24 Ore", cura- n. 7 VII - 18 febbraio 2015 to da Armando Massarenti. L'autore, noto fisico teorico e brillante divulgatore di temi scientifici, è, tra l'altro, responsabile dell'Equipe de gravitè quantique del Centre de phisique thèorique dell'Università di AixMarseille. Nei primi sei capitoli il lettore viene condotto quasi per mano, 14 www.arcipelagomilano.org con un linguaggio ammirevolmente limpido, attraverso alcune tappe "inevitabili" della rivoluzione che ha scosso la fisica dalle sue fondamenta nel corso del secolo XX. La prima lezione è dedicata alla teoria della relatività generale, di Albert Einstein, la "più bella delle teorie". La seconda, alla meccanica quantistica, là dove si annidano gli aspetti più sconcertante della fisica moderna. La terza lezione è dedicata al cosmo: l'architettura dell'unìverso che abitiamo o che crediamo di abitare. La quarta alle particelle elementari, che il fisico americano Murray Gell - Mann ha battezzato "quarks" ispirandosi a una parola senza senso in una frase senza senso:"Three quarks for Muster Mark!" che appare nel Finnegams Wake di Joyce. La quinta lezione è legata alla gravità quantistica, cioè al tentativo degli scienziati, attualmente in corso, di costruire una sintesi unitaria delle grandi scoperte del secolo scorso. La sesta alla probabilità, al tempo e al calore dei buchi neri. Le poco più di 80 pagine si chiudono con la settima lezione dove ci si domanda come sia possibile all'uomo riuscire a pensarsi nello strano mondo della fisica moderna. La densità delle pagine di Rovelli renderebbe piuttosto difficile e poco fedele ogni tentativo di riassunto o di schematizzazione. Ci limiteremo, perciò, a riprodurre la prima inebriante pagina della lezione dedicata alla relatività generale: "Da ragazzo, Albert Einstein ha trascorso un anno a bighellonare oziosamente. Se non si perde tempo non si arriva da nessuna parte, cosa che i genitori degli adolescenti purtroppo dimenticano presto. Era a Pavia. Aveva raggiunto la famiglia dopo avere abbandonato gli studi in Germania, dove non sopportava i rigori del liceo. Era l'inizio del secolo e in Italia l'inizio della rivoluzione industriale. Il padre, ingegnere, installava le prime centrali elettriche nella pianura padana. Albert leggeva Kant e seguiva a tempo perso lezioni all'Università di Pavia: per divertimento, senza essere iscritto né fare esami. È così che si diventa scienziati sul serio". Buona lettura. Paolo Bonaccorsi SIPARIO questa rubrica è a cura di E. Aldrovandi e D.Muscianisi [email protected] Shĕn Wĕi a Milano: l’intersezione tra oriente e occidente I prossimi 20 e 21 febbraio a Milano la compagnia di danza Shĕn Wĕi Dance Arts porterà in scena due coreografie del coreografo (e artista completo) sinoamericano Shĕn Wĕi: Folding (2000), capolavoro acclamato in tutto il mondo, e Collective Measures (2013), prima europea qui a Milano. Shĕn Wĕi proviene da una famiglia di artisti: il padre calligrafo e regista, la madre produttrice teatrale, i fratelli pittori. Anche se ha scelto come sua arte la danza, Shĕn Wĕi non dimentica la tradizione artistica della famiglia e nelle sue creazioni cura personalmente le scenografie, sceglie le musiche, disegna i costumi. La sua formazione coreutica presenta da un lato la tradizione tecnica e mimica della danza classica cinese e del balletto occidentale, dall’altro la specializzazione newyorkese della modern dance e della danza contemporanea, caratterizzata dalla particolare attenzione all’interiorità e la ‘frattura’ delle linee pure per nuove linee spezzate. Un’arte globale in senso sia qualitativo sia geografico: dalla Cina attraverso gli Stati Uniti fino a Milano, dove l’arte di Shĕn Wĕi trova il punto di intersezione. La coreografia Folding (pieghevole, flessibile) del 2000 è stata presentata per la prima volta all’Opera di Guangdong e ha riscosso immediato successo. Nella durata di 35 minuti, sulle note di Last Sleep of the Virgin for Bells and String Quartet (La dormitio della Vergine per campane e quartetto d’archi) di John Tavener e di alcuni canti e mantra dei monaci buddhisti tibetani si fondono due preghiere, due mondi in una spersonalizzazione voluta dal coreografo-regista. I danzatori indossano solo ampie vesti nere e rosse che coprono solo la metà bassa del corpo e presentano crani lisci dolicocefali, che ricordano gli alieni di molti film. La flessuosità e flessibilità del titolo si nota nei movimenti contratti e continui, che danno anche un senso di morbidezza. Il senso del metafisico è dato anche dalla spersonalizzazione del luogo, una neutra scenografia minimalista che lascia spazio allo spettatore di essere disegnata. Collective Measures (Misure d’insieme) del 2013, per la prima volta in Europa, presenta le relazioni di oggi e le misure che ognuno prende nelle relazioni con gli altri. Nei 35 minuti si susseguono alcuni brani di alcuni compositori contemporanei americani, Daniel Burke (che ha anche la direzione generale della musica) e Jerry Feller. Alla danza si mescolano le tecnologie della videoproiezione, che dà agli spettatori anche la visuale dal focus opposto. La maturità del coreografo-regista si denota da questa volontà di sperimentare la fusione della danza contemporanea e della tecnologia. Il risultato che lo spettatore vede si configura come un disegno bidimensionale, come se il palco non avesse profondità, ma fosse una tela cinematografica, su cui i corpi dei danzatori (vestiti di color pelle) creano linee in uni disegno continuo con varietà cromatica dettata dal gioco di luci e videoproiezione. Domenico G. Muscianisi In scena il 20 e 21 febbraio 2015 al Teatro degli Arcimboldi di Milano. CINEMA questa rubrica è curata da Anonimi Milanesi [email protected] BIRDMAN o L’Imprevedibile Virtù dell’ignoranza di Alejandro Inarritu [USA, 2014, 120'] con Michael Keaton, Edward Norton, Emma Stone, Naomi Watts, Lindsay Duncan n. 7 VII - 18 febbraio 2015 15 www.arcipelagomilano.org Per il bisogno profondo di sentirsi apprezzato, rivalutato e amato, Riggan Thompson, stanco di essere solo identificato come il popolare interprete di un supereroe cinematografico con le sembianze di uccello, sceglie di darsi una seconda, e forse ultima, occasione a teatro. Caparbiamente rischia tanto, tutta la sua fama e anche il ridicolo, portando in scena da autore e protagonista, l’adattamento di un testo difficile e colto di Carver: “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore”. Conduce la sua personalissima impresa ‘a perdere’ per rifarsi la pelle e la reputazione, circondato da un clan di caratteri: l’ex moglie ancora affezionata, la figlia ex tossica, l’attore talentuoso e insopportabile (Edward Norton molto sopra le righe), il socio d’impresa che si carica addosso tutte le grane, la critica teatrale snob e spietata. La macchina da presa tallona senza sosta il protagonista, un Michael Keaton generoso che regala spes- sore e fragilità allo stralunato personaggio, sottolineandone le azioni ossessive, accompagnata da una colonna sonora di percussioni molto presente. Per l’ultimo film di Alejandro Gonzalez Inarritu, che mescola riflessioni sul mestiere dell’attore e sul mondo dello Starsystem, sono stati fatti parecchi riferimenti alti richiamando autori cinematografici scomparsi e rimpianti. Si è parlato di Hitchcock, ripensando al virtuosistico linguaggio senza stacchi della macchina da presa di “The Rope" (Nodo alla gola), ma siamo lontani dai tributi al maestro del brivido portati sullo schermo da De Palma. Si è citato Robert Altman, quello di “Short Cuts" (America Oggi), film lungo di grandezza infinita nel suo meraviglioso e naturale alternarsi di storie ispirate ai racconti di Raymond Carver, autore portato in scena anche in Birdman, e l’Altman del racconto corale di pezzi di Starsystem come “Nashville”. Ma i film dei grandi citati erano film risolti e dalla naturale scorrevolezza, mentre Birdman è una corsa affannosa verso una meta, che poi non si chiude una volta per tutte ma arranca in un doppio finale confuso e che indebolisce il film. Qualcosa manca, o forse qualcosa è di troppo, come gli insistiti riferimenti al mondo dei social e l’abbondanza di qualità soprannaturali del protagonista. Ed è un peccato perché il cast è straordinario, con interpretazioni notevoli che portano dentro anche riferimenti autobiografici (Keaton è stato Batman) e la fotografia di Emanuel Lubezki incalzante di grande livello tecnico anche nei movimenti di macchina. Presentato a Venezia, è in corsa per nove Oscar: film, regia, sceneggiatura, attore protagonista e attori non protagonisti, fotografia, sonoro. E potrebbe portare a casa un bel bottino tra premi tecnici e di recitazione. Marnie IL FOTO RACCONTO DI URBAN FILE PIAZZA XXIV MAGGIO: UNA NON PIAZZA http://blog.urbanfile.org/2015/02/10/zona-ticinese-i-lavori-in-piazza-xxiv-maggio-2/ MILANO ZONA 2 secondo [ Mario ] Mario Villa LA ZONA 2, UNA DELLE PIU DIFFICILI DI MILANO http://youtu.be/AJv8GqsjWa0 n. 7 VII - 18 febbraio 2015 16