2015.04.25 CdT continuazione articolo di Lino Terlizzi
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2015.04.25 CdT continuazione articolo di Lino Terlizzi
4 COMMENTI&OPINIONI ❚❘❙ DALLA PRIMA PAGINA LINO TERLIZZI Il franco nella guerra delle valute tassi. A questo punto, è utile sottolineare due capitoli importanti della vicenda: le conseguenze reali del superfranco sull’economia svizzera; il peso del contesto internazionale, caratterizzato ormai da tempo da una guerra tra le valute principali in cui l’obiettivo di ciascuna area economica è avere una moneta più debole, in modo da facilitare il proprio export. Non c’è dubbio sul fatto che il superfranco contribuisca al rallentamento di una parte dell’export e quindi dell’economia svizzera nel suo complesso. Non bisogna cadere nella trappola delle previsioni troppo negative, come è accaduto agli istituti di ricerca che hanno parlato affrettatamente di recessione salvo poi ricredersi, ma un colpo di freno si sta inevitabilmente registrando. La Svizzera fortunatamente ha accumulato «riserve» in questi ultimi anni: tra il 2004 e il 2014 il Prodotto interno lordo è arretrato (-2,1%) solo nel 2009, negli altri dieci anni considerati è salito, con un massimo del 4,1% nel 2007 e con un minimo dell’1,1% nel 2012. L’anno scorso il PIL è cresciuto del 2%. Una buona posizione che invita appunto a non essere catastrofisti, ma che non autorizza l’immobilismo, tanto più considerando l’impatto del superfranco. Se la Banca nazionale deve cercare di fare la sua parte, le imprese dal canto loro devono tentare di giocare le carte che già in passato hanno permesso all’economia elvetica di avere un buon passo: innovazione, qualità dei prodotti e dei servizi, diversificazione dei mercati. La mano pubblica d’altronde deve cercare di garantire buone condizioni quadro per le attività economiche. La Banca nazionale punta sui tassi negativi e su acquisti mirati (non più sistematici dopo l’abbandono della soglia di cambio) di altre divise per frenare il franco. Ma una parte importante della partita si gioca fuori dai confini elvetici. Con la maxiliquidità degli anni scorsi, la Federal Reserve americana ha ottenuto un ribasso del dollaro. Ora il dollaro risale, ma ci sono le iniezioni di liquidità della Banca centrale europea, che hanno tra i loro effetti il ribasso dell’euro, che favorisce l’export dell’Eurozona. In questa guerra che abbassa l’una o l’altra valuta, il franco dunque tende a rafforzarsi, ora su un versante ora sull’altro. È auspicabile che la ripresa dell’Eurozona si rafforzi, in modo che la Svizzera possa almeno in parte compensare l’impatto del superfranco. Ed è auspicabile che le tensioni geopolitiche e le incertezze economiche globali si attenuino, limitando l’effetto bene rifugio per il franco. Ma in attesa che i cambi principali, soprattutto l’euro-dollaro, trovino una maggiore stabilità, la Svizzera deve cercare di limitare i danni. Senza adottare catastrofismi sbagliati e però anche senza dormire sugli allori acquisiti. CENT’ANNI FA 25 aprile 1915 Cosa fa l’Italia? – Si ha da Berna che ieri sera e stamane il Consiglio federale ha tenuto due riunioni straordinarie nelle quali si sarebbe occupato – a quanto si afferma – della situazione che verrebbe a crearsi in Issvizzera nell’eventualità di un’entrata dell’Italia nel conflitto europeo. L’urgenza colla quale il Consiglio è stato convocato induce a ritenere che le notizie giunte in questi ultimi giorni al Palazzo federale abbiano avuto un carattere insolitamente preoccupante. Imposta di guerra – Il Consiglio federale ha elaborato un decreto a proposito della procedura che sarà seguita nella votazione popolare sull’imposta di guerra, fissata per il 6 giugno. La cancelleria federale è stata incaricata di far stampare in numero sufficiente, il decreto federale concernente l’esazione dell’imposta di guerra, onde poterne dare un esemplare ad ogni cittadino svizzero almeno quattro settimane prima della votazione. Francia – Nel pomeriggio poco dopo le ore 17, un Taube tentò di volare su Belfort. Vivamente cannoneggiato dai forti, dovette ritornare indietro senza aver potuto lanciare nessuna bomba. Banca Stato – La Commissione degli 11 ha continuato i suoi lavori. Continuando nella disamina dei singoli articoli, dice il Dovere, si soffermò a lungo specialmente su quelli che trattano dei compiti e della cerchia di attività del nuovo istituto che taluni commissari vorrebbero ridotta entro ristrettissimi confini del credito fondiario e magari anche agricolo soltanto, altri estesa a confini alquanto più lati onde darle campo di poter soddisfare alle esigenze generali, non esclusi quelli del commercio e dell’industria, tutti però circoscritti per modo da impedire efficacemente qualsiasi abuso o tentativo di abuso e di ricaduta nei gravi errori da cui nacquero i disastri dello scorso anno. Corriere del Ticino SABATO 25 APRILE 2015 L’OPINIONE ❚❘❙ OSCAR MAZZOLENI* I partiti, le sconfitte e l’organizzazione ❚❘❙ Quale ripensamento per i partiti politici dopo le sconfitte elettorali? È una domanda ricorrente in Ticino, come ha ricordato Fabio Pontiggia nel suo editoriale di giovedì 23 aprile («Accadeva a Bellinzona 13 seggi fa»), evidenziando riflessioni sorte già negli anni Ottanta. Così come, in generale, il successo elettorale è il risultato di una composita alchimia, lo è pure la sconfitta, soprattutto se le ragioni della sconfitta nascono da lontano. Più le ragioni appaiono varie e non sempre d’immediata cognizione, più i partiti tendono, per vari vincoli, compresi quelli derivanti dalle scadenze elettorali incombenti, a semplificarsi il compito puntando su ciò che appare più facile risolvere, ad esempio su un cambio di dirigenza. La questione della leadership non è certo secondaria, ma può rivelarsi anche un modo per procrastinare la soluzione dei problemi, ossia di rendere aleatorie le possibilità di un reale rilancio. Forse che un’impresa in difficoltà di fronte ad un mercato vieppiù concorrenziale si accontenta di cambiare il proprio direttore lasciando immutato il resto? L’analogia con l’impresa, si dirà, vale fino ad un certo punto: il partito è un’associazione e non è un’azienda. D’accordo. Tuttavia, questo modo di ragionare, se assolutizzato, impedisce di capire come i partiti, di fronte ad una competizione sempre più accesa – e lo sarà, senza dubbio, anche alle prossime elezioni cantona- li del 2019 –, siano di fronte a sfide ben più ampie. Non da oggi, i partiti in declino che intendono impostare un ripensamento complessivo si ritrovano a dover ragionare su molti aspetti. In causa, ci sono, oltre alla leadership, tutte le funzioni e gli scopi del partito: i contenuti del programma e dell’agenda, il rapporto con l’elettorato (fra voto di appartenenza e di opinione), la comunicazione, le relazioni con le sezioni locali e i gruppi di riferimento (giovani, donne, eccetera), le alleanze con altri partiti, la selezione e l’appoggio alle candidature per le elezioni, il rapporto fra partito e suoi rappresentanti nelle istituzioni, senza dimenticare la struttura organizzativa. Sebbene sia un aspetto scarsamente posto sotto i riflettori dell’opinione pubblica, l’organizzazione è, fra tutti, l’elemento più importante: è il perno attorno a cui ruota e viene coordinato l’insieme degli altri aspetti. Organizzazione significa posizioni, risorse, compiti, regole formali e informali, processi di lavoro e decisionali. Volenti o nolenti, senza un’adeguata struttura organizzativa, i tentativi di ripensare il partito in crisi e costretto ad agire in un ambiente competitivo possono rivelarsi insufficienti sul medio-lungo termine. In mancanza di un’ossatura organizzativa robusta, flessibile, efficace, efficiente, capace di fornire i necessari incentivi; in sintesi, senza un’organizzazione professionale, il lavoro politico diventa una corsa ad ostacoli, gli entusiasmi di chi vuole impegnarsi risultano inibiti, mentre l’immagine stessa del partito appare alla lunga sfuocata. Non ci sono ricette semplici o univoche per un ripensamento organizzati- vo adatto alle funzioni e agli scopi del singolo partito. Alcune sono più accentratrici, altre più partecipative. Non c’è nemmeno un unico modo per transitare da un modello organizzativo ad un altro. Certi diagrammi organizzativi sono costruiti a tavolino, altri vengono ridefiniti in un processo ampio di consultazione. Di certo, una volta trovato l’assetto più adeguato – e quindi gradito anzitutto da tutti coloro che hanno o ambiscono ad avere un ruolo nell’organizzazione – quest’ultima dovrebbe, in linea di principio, consentire di supportare meglio l’elaborazione dei temi forti scelti dal partito, di essere percepita come un mezzo facilitatore da un’ampia parte dei membri, di contribuire ad affinare i flussi di comunicazione dentro e fuori dal partito. Una siffatta organizzazione dovrebbe permettere alla dirigenza di agire in modo efficace e tempestivo, di coordinare e stimolare la presenza sul territorio e di essere interfaccia con un ambiente circostante viepiù complesso, dove troviamo anche l’universo dei media, tradizionali e nuovi. Per alcuni partiti, vista la forza esercitata dai retaggi storici e dalla centralità tradizionalmente attribuita ai ruoli istituzionali, un ripensamento organizzativo può rivelarsi oggi una sfida piuttosto complicata. Il contesto in cui sono chiamati ad agire non è quello dell’associazionismo politico a cavallo fra Ottocento e Novecento, nel quale questi partiti sono stati fondati e hanno acquisito le loro rispettive matrici culturali, anche dal punto di vista organizzativo. Ma la sconfitta può anche rivelarsi un’opportunità. * docente di scienza politica all’Università di Losanna DALLA PRIMA PAGINA ❚❘❙ EMANUELE GAGLIARDI E se l’autostrada un giorno si stufasse? avvenuto poco prima) agguantano allora i cellulari ed iniziano a telefonare per segnalare a chi di dovere l’imbarazzante e seccante situazione in cui sono. Il fatto che sia una bella giornata, poi, non aiuta in questi casi: del panorama non importa nulla. Conducente e passeggeri sbuffano e guardano con cadenza maniacale l’orologio al polso o sul quadrante del cruscotto. L’autostrada resta sempre in silenzio: i suoi timpani sono rodati a sentirne di tutti colori e in tutte le lingue. Da parecchio, forse troppo tempo. Ascolta gli automobilisti, i poliziotti, i soc- corritori, i pompieri e i feriti; per mesi e mesi sopporta poi i cantieri che puntualmente entrano in azione (sezionandola) per allargare le corsie, per cambiare i guard rail e altro ancora. Vede anche i tragici incidenti che avvengono sul suo territorio. Digerisce a fatica colonne di automobili in periodi ben precisi (e non) dell’anno; impotente, subisce coloro che si dilettano ad utilizzarla come una pista da corsa. Quotidianamente è pressata da centinaia, da migliaia di automezzi, di tutte le dimensioni. Come avviene dappertutto, in Svizzera ed all’estero. «Ma se un giorno l’A2 si stufasse, in special modo in quei tratti dove la situazione a livello di circolazione sembra ogni giorno più difficile da affrontare?». «Impossibile», diranno i più. Qualcuno, però, fuori dal coro, potrebbe dire quella frasetta corta corta che suona: «Mai dire mai». Una frase coraggiosa. Se poi a pronunciarla fosse qualcuno in grado di operare, iniziare a pensare come intervenire al proposito, vedendo lontano e riuscendo a ottenere sempre più consensi, forse l’A2 comincerebbe a tirare un po’ il fiato e ad acquietarsi. Anche se è solo un’autostrada. DALLA PRIMA PAGINA ❚❘❙ RAFFAELLA CASTAGNOLA Il vascello diretto dal vento che faccia cultura nel Paese, che porti turisti e che sia un punto di riferimento nazionale e internazionale: sono le parole che tutti i protagonisti della prima conferenza stampa hanno cantato in coro all’unisono. Dunque suona proprio come una stonatura la lettera che Michel Gagnon ha inviato a Giovanna Masoni, per lamentarsi, a quattro mesi dall’apertura del polo culturale, dei problemi legati alla gestione della struttura. Canadese, giunto a Lugano dopo essere stato nominato direttore del LAC, per molti mesi è rimasto silente: gli abbiamo dato fiducia, perché bisognava dargliene, in un momento di delicata progettazione. Ma le poche volte che ha fatto parlare di sé, lo ha fatto a causa di vistosi scivoloni: il caso Burgarella dimostra che non conosce nemmeno la vicina struttura universitaria dell’USI, un serbatoio umano e intellettuale più che attendibile, dal quale avrebbe potuto trarre candidature per la comunicazione e per l’orga- nizzazione di eventi. Poi, a quattro mesi dall’inaugurazione, forse preso dall’ansia per il grande evento, ha fatto nuovamente notizia la sua scelta, non condivisa dal Municipio, di un mandato esterno ad una persona da inserire nell’équipe. Due scivoloni eclatanti, al quale si aggiunge ora quello della lettera, che dimostra debolezza e incertezza e che sembra voler chiedere – come un bambino indifeso – il braccio di Monna Vanna, di mago Merlino e dell’amico Guido. Insomma: questa brutta storia sta a dimostrare che un vero capo non c’è e che il vascello va senza timoniere, mentre andrebbe diretto con sicurezza, soprattutto al momento delle prove in acqua e del successivo varo ufficiale. Purtroppo fin da subito non sono state chiarite le cose: che cosa è, di fatto, il direttore del LAC? È opinione diffusa che il direttore sia il vero capo struttura e che a lui si debba una strategia, che unisca e consolidi i singoli progetti dei direttori di musica, teatro e musei (che invece hanno le idee molto chiare). Un momento per fare luce sulla direzione generale avrebbe potuto essere quello della prima conferenza stampa, che è stata una festa, sicuramente partecipata e felice, ma appunto una festa, non una conferenza stampa. Nessuna possibilità di fare domande in sala; una strategia sbagliata nella scelta della successione delle persone che salivano sul palco (fra i primi il direttore della RSI, ultimo il direttore dei due musei congiunti, comunale e cantonale); sbagliato il momento della convocazione, a due giorni dalle elezioni, quando l’attenzione della stampa locale e nazionale era concentrata sul balletto delle poltrone, non certo quelle del LAC. Gagnon ha iniziato a deludere lì, con quel suo modo informale e non adatto all’occasione, di chiamare sul palco Giovanna e Marco e per ben due volte tale sconosciuta Cécila, limitandosi a fare il presentatore. Quotidiano indipendente della Svizzera Italiana EDITORE Società editrice del Corriere del Ticino SA, via Industria, 6933 Muzzano Amministratore delegato: Marcello Foa Direzione, Redazione centrale e Amministrazione, via Industria, 6933 Muzzano, tel. 091.960.31.31 Recapito postale c.p. 620, 6903 Lugano CdT online: http://www.corriere.ch Sito mobile: http://m.cdt.ch Versione testuale: http://wap.cdt.ch E-mail: [email protected] Direttore responsabile: Giancarlo Dillena Condirettore: Fabio Pontiggia Vicedirettore: Lino Terlizzi Responsabili redazionali: Estero: . . . . . . . . . . . . . . . . . . Osvaldo Migotto Primo piano: . . . . . . . . . . . . . . . . . . Carlo Silini Confederazione: . . . . . . . . . . . . . Giovanni Galli Cantone:. . . . . . . . . . . . . . . . .Gianni Righinetti Cronache regionali: . . . . . . . . .Bruno Costantini Redazione Lugano: . . . . . . . . Bruno Costantini Redazione Bellinzona: . . . Spartaco De Bernardi Redazione Chiasso:. . . . . . . . . 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