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GIOVANNI ARTERO
FIGURE DEL SOCIALISMO RIFORMISTA
TRA LOMBARDIA E PIEMONTE
1
Stampa: Youcanprint, aprile 2015
Editing: Loredana Spairani
Memoriediclasse Buccinasco (MI) [email protected]
2
La tradizione del socialismo riformista, corrente che occupa nel
Partito socialista italiano, dalla fondazione nel 1892 al 1912, un posto
centrale che ne fissa i caratteri fondamentali 1 è il filo che lega questi
personaggi2 che appartengono a generazioni diverse.
All'accusa di "opportunismo", di "trascurare la propaganda e la
formazione della coscienza socialista", di caratterizzarsi solo in
iniziative imbevute di spirito utilitario, i riformisti contrappongono
1 F. Manzotti Il socialismo riformista in Italia, Firenze, 1965; O. Pugliese (a
c.) Il riformismo socialista italiano Venezia, 1981-1982 8 volumi; T. Detti Il
socialismo riformista in Italia Milano, 1981; A. Riosa (a c.) Il socialismo
riformista a Milano agli inizi del secolo / Milano, 1981; Scuola e societa nel
socialismo riformista (1891-1926) : Battaglie per l'istruzione popolare e
dibattito sulla "questione femminile" Firenze, 1982; P. Favilli Riformismo e
sindacalismo : una teoria economica del movimento operaio: tra Turati e
Graziadei Milano, 1984; N. Dell'Erba Storiografia e socialismo riformista in
Il socialismo riformista tra politica e cultura, Milano, 1990; P. Favilli
Marxismo e riformismo nell'Italia del primo '90 in “Alessandro Schiavi :
indagine sociale, culture politiche e tradizione socialista nel primo '900”,
1994; G. B. Furiozzi Il partito del lavoro : un progetto laburista nell'Italia
giolittiana, 1997; M. Salvitti (a c.), Il socialismo riformista: atti del
convegno, 2002; M. Gervasoni (a c.) Riformismo socialista e Italia
repubblicana Milano, 2005: P. Mattera Le radici del riformismo sindacale :
società di massa e proletariato alle origini della CGdL, 1901-1914, Roma,
2007; F. Colucci (a c.) Nella democrazia con il riformismo socialista :
antologia del riformismo socialista 2005 e 2010
2 Due biografie sono già pubblicate: Dino Rondani “commesso
viaggiatore” del socialismo in “Apostoli del socialismo nell’Italia
nordoccidentale”, 2009 Fausto Pagliari tracce per una biografia politica, in
“L’albero e le fronde”, 2013
3
esperienze come quella reggiano-emiliana3 e quella genovese4,
presentate come un modello, dove i dibattiti ideologici, "ampolle di
alchimia politica così cara agli anarcoidi senza oriente", non
intaccavano l'attività di organizzazione e l'incremento costante delle
istituzioni di classe, un modello di crescita civile non faziosa o
turbolenta a cui si opponevano le teorie velleitarie di "quello scarso
socialismo catastrofico" che trova la sua origine nel "mezzogiorno
3 Si veda: Prampolini e il socialismo riformista : atti del Convegno di
Reggio Emilia, ottobre 1978; F. Casadei Socialisti e social riformisti
nell’area mantovano-reggiana “Rassegna di storia” dell’Istituto di storia del
movimen-to di liberazione di Modena, nov. 1991; M. Vaini, L'azione politica
di Ivanoe Bonomi nel Mantovano dal 1912 a1 1921, “Movimento operaio e
socialista”, apr.-set. 1963; F. Montella Confucio Basaglia e il socialismo
riformista modenese, Modena, 2012; F. Achilli, Socialismo riformista e
movimento operaio a Piacenza : 1890-1905, Venezia, 1982; L. Gualtieri,
Romeo Romei fra democrazia, socialismo riformista ed associazionismo
operaio, 1998
4 M.Degl’Innocenti Alcune considerazioni sulla cooperazione
nell’età giolittiana: cultura di lotta e impresa nell’
associazionismo ligure, in L. Borzani “Tra solidarietà e
impresa: aspetti del movimento cooperativo in Liguria 18931914”Genova, 1993"Nell'abito della svolta liberale...prese
corpo un modello riformista socialista ligure che ebbe larga
fortuna non solo localmente.....esso trovò ampia
sperimentazione in forme di interrelazione tra l'istanza
mutualistica, cooperativa e sindacale. Fu dato vita a un sistema
riformista che per la sua rilevanza ebbe analogie con il polo
riformista reggiano diretto da Camillo Prampolini e di cui
massimi rappresentanti furono in sede parlamentare Giuseppe
Canepa e Pietro Chiesa, nel movimento associativo Ludovico
Calda e Gino Murialdi. Tra il 1903 e il 1904 tale sistema si
strutturò organizzativamente dando vita all'Unione regionale
ligure fra le associazioni di resistenza, mutualità e
cooperazione, formula che anticipò la creazione su scala
4
feudale..dove non resta che giocare un terno al lotto della rivoluzione
e aspettare"5..
Dino Rondani “commesso viaggiatore” del socialismo
Turati lo descriveva: “Invidiabile tipo, son tre settimane che tiene
quattro conferenze al giorno ed è fresco come una rosa!”6 un
corrispondente veneziano dell’”Avanti!” scrisse “Nessuno se l’abbia a
male, il giovane deputato di Cossato è il più simpatico dei
conferenzieri socialisti. Il suo facile eloquio è tutto infiorato di
osservazioni argute, di facezie brillantissime”7 e così Morgari ne
schizzava il ritratto: "sempre giovanissimo, svelto, piccino, con gli
eleganti baffetti neri, con braccia, gambe e lingua in movimento
perpetuo"8 tanto da consentire di caratterizzarlo come il commesso
nazionale della cosiddetta Triplice del lavoro, all'indomani
della fondazione della CGdL (1906)". Anche M. Bettinotti,
“Vent'anni di movimento operaio genovese : Pietro Chiesa,
Giuseppe Canepa, Lodovico Calda”, Milano, 1932
5 Ma c'e qui anche un pregiudizio antimeridionale esistendo anche
esperienze riformiste nel Mezzogiorno: L. Nieddu Le origini del socialismo
riformista in provincia di Sassari; Sassari, 1992; F. Manconi , Angelo Corsi:
L'esperienza del socialismo riformista in Sardegna e in Abruzzo “Rivista
abruzzese di studi storici dal fascismo alla Resistenza” 1986, n. 3; D. Sacco.
Socialismo riformista e Mezzogiorno : questione agraria, istruzione e
sviluppo urbano in Basilicata in età giolittiana, Manduria 1987; G. de
Gennaro, S. Merli Una scelta storica : Eugenio Laricchiuta e il socialismo
riformista in terra di Bari; Bari, 1993; P. Amato, M. D'Angelo Radici del
socialismo riformista a Messina, Messina, 1982
6 Democrazia e socialismo nei carteggi di N. Colajanni, Milano,
1959, p.243
7 Dalla laguna la conferenza di Dino Rondani "Avanti!", 20.10.1900
8 O.Morgari, Fiori di maggio, 1905, p.28. Id. L'Europa vista a
volo di ...Rondani, "Avanti!", 16.9.1900 "parla come lavora:
v'accenna cento cose in un istante sottintendendo metà delle
parole. Non ama fermarsi su un argomento più di due minuti, nè
star seduto più di quattro. Parla come lavora e come si diverte:
5
viaggiatore del socialismo9
Come osservò Rinaldo Rigola, che lo conosceva dal 1895, “non era
temperamento di sedentario e uomo di penna. Ingegno brillantissimo e
organizzatore di prim’ordine, aveva un sano orrore per le dottrine e le
polemiche”10. Gli incarichi ufficiali e direttivi non ebbero per lui
particolare rilevanza: ammirava il grandioso slancio creatore del
progresso industriale e preferiva impegnare il suo estro individuale al
contatto con i protagonisti proletari della nuova civiltà.
Intervenne poco nei dibattiti alla Camera e non si preoccupò di
trasferire sul piano ideologico o in scritti di qualche respiro la sua
con poco ordine ma brillantemente e con intensità. Ha seminato
il suo collegio, il novarese. la Lombardia, l'Italia, l'estero di un
numero favoloso di conferenze. Egli è il moto perpetui ed ha il
dono dell'ubiquità. Sotto i suoi passi i circoli, le leghe e
comitati, le cooperative, i giornali crescono come la gramigna.
Con ciò non posa a seminatore mistico...perchè di preferenza
semina le barzellette. Parla a saltelli facendo ridere...ha un
grande senso della praticità. Disorienta la gente compassata fa
crepare le bolle dell'ampollosità e ai retori. E' interessante la
sua teoria degli uomini illustri: Evitare i grandi nomi, ci vuole
gente media che lavori. Schiacciano tutto...Non è uno stinco di
santo. Non posa a martire...Ai nostri occhi è un uomo completo,
sano nello spirito e nel corpo, forte di muscoli e nervi, che
perciò ha bandito la melanconia e ama vivere in tutte le
direzioni sia coi sensi che con la mente e col cuore,
beneficiando gli altri senza pregiudizio per sè. Tipo
raccomandabile come uomo moderno e felice. [viaggia] sempre
in terza classe per due ottime ragioni: che i viaggiatori di prima
si mostrano annoiati, stupidi, presuntuosi sotto tutte le
latitudini..e anche un po' per economia"
9 G.Manfrin, Rondani Dino: Il commesso viaggiatore del
socialismo, "Avanti! della Domenica", 22.12.2002
10 R.Rigola, Rinaldo Rigola e il movimento operaio , cit.
6
vasta esperienza umana e sociale.11 Per la sua avversione alle lotte di
tendenza e alle polemiche interne, propenso a interpretarle come
chiacchiere inconcludenti, non ebbe ruoli di protagonista nei
Congressi del PSI, nè si attivò per crearsi un seguito personale. Tutto
questo spiega, anche se non giustifica, l'oblio di questo pioniere del
socialismo italiano.
1. Gli inizi dell’attività politica nel movimento socialista milanese
Dino Rondani nasce il 20 gennaio 1868 a Sogliano al Rubicone, nella
Romagna culla dei partiti sovversivi, dal repubblicano12 all’anarcointernazionalista, al Partito Socialista Rivoluzionario di Andrea
Costa,13 in una famiglia repubblicana benestante. La madre Angelina
Bravetta era figlia di Sante, tipografo delle edizioni di Capolago, in
Svizzera, che stampavano libri proibiti dalla censure degli stati
preunitari, da introdurre clandestinamente in Italia 14. Egli restò sempre
molto legato alle sue due sorelle e ai suoi genitori, che perse però
prematuramente nel giro di pochi anni: nel 1908 morì sua sorella
Eugenia, nel novembre 1913 il padre Eugenio e pochi mesi dopo la sorella
Evelina. Nel 1915 infine morì la madre Angelina15
11Si ricorda solo l'opuscolo anticlericale "Le massime di S. Ambrogio", del
1897. in risposta ai festeggiamenti per il 15. centenario della morte.
12 M. Ridolfi, Il partito della Repubblica: i repubblicani in
Romagna e le origini del Pri nell'Italia liberale (1872-1895)
Milano, 1990
13 V. Evangelisti, E. Zucchini Storia del partito socialista
rivoluzionario 1881-1893; Bologna, 1981
14 R. Caddeo, Le Edizioni di Capolago. Storia e critica.storia e
critica : bibliografia ragionata, nuovi studi sulla tipografia
elvetica, il Risorgimento italiano e il Canton Ticino : documenti
inediti, Milano, 1934; F. Bernasconi Per un catalogo delle
edizioni di Capolago - Bellinzona - 1984
15 "Corriere Biellese", 8.1.1909, Dino Ròndani a Messina; Id.
7.11.1913, Egidio Rondoni è morto, 15.4.1914, Un nuovo lutto
dell'on. Rondoni', "Avanti"!, 24.8.1915
7
Il padre lavorava nell’amministrazione finanziaria del nuovo Stato e questo
spiega i frequenti spostamenti di sede: nel 1870 si trasferisce a
Portomaggiore, poi a Novara dove il giovane Dino frequenta il liceo
Carlo Alberto e inizia ad interessarsi alla politica iscrivendosi alla
repubblicana Società democratica di Novara.
Si iscrive alla facoltà di giurisprudenza di Torino, sul finire dell’800
uno dei maggiori centri di diffusione del materialismo evoluzionistico
oltre che del “socialismo dei professori“
Arriva a vent’anni nel 1888, in seguito al trasferimento del padre, a
Milano, negli anni a cavallo tra '800 e '900 il maggior centro
economico del Paese, le cui industrie attiravano una massa crescente
di manodopera dalle campagne che ingrossava le fila di un proletariato
che si andava organizzando in Leghe di mestiere, Società di mutuo
soccorso, Cooperative di consumo e di lavoro, Camere del lavoro. In
questo periodo si costituiva ad opera di Osvaldo Gnocchi-Viani e di
Costantino Lazzari il Fascio operaio, organizzazione a carattere
esclusivamente classista, che contese ai radicali la rappresentanza
politica del mondo del lavoro, assorbendone il Consolato operaio e
dando vita al Partito Operaio Italiano (1885) 16. La fusione con la Lega
socialista di Turati, composta da intellettuali di provenienza
repubblicana e "scapigliata", e la fondazione del Partito Socialista su
base nazionale a Genova nel 1892 diede all'organizzazione più ampio
respiro ma fu anche l'inizio di una lotta per l’egemonia con alterne
vicende tra rivoluzionari e riformisti, i quali disponevano della rivista
“Critica sociale” cui collaboravano professionisti e studiosi di
spessore culturale e morale come Alessandro Schiavi 17, Fausto
16 M.G.Meriggi Il partito operaio italiano : attività
rivendicativa, formazione e cultura dei militanti in Lombardia,
1880-1890 Milano - c1985
17 M. Ridolfi, Alessandro Schiavi: indagine sociale, culture
politiche e tradi-zione socialista nel primo '900, Cesena, 1994;
Q. Versari, Un riforma-tore: Alessandro Schiavi nella storia del
socialismo italiano, Bologna, 1986; G. Silei Alessandro Schiavi
: il socialista riformista Manduria, 2006
8
Pagliari18, Luigi Montemartini19 di impronta più radical-democratica
che marxista. A Milano inizia la sua attività politica 20 nel circolo di
Dario Papa, repubblicano “avanzato” e
disponibile alla
collaborazione col socialismo, ma nel 1890 incontra Turati e si iscrive
alla sua Lega socialista milanese21 e per la sua rivista scrive un
articolo “dottrinario” piuttosto schematico 22.Nel 1891 è al centro delle
diffidenze degli ambienti del Partito Operaio non ancora superate per
gli «avvocati e i dottori»23 e nel 1892 partecipa al congresso costitutivo
del partito socialista a Genova rappresentando la “Società braccianti
della provincia di Milano”.Nel 1892 a 24 anni è contemporaneamente
segretario della Lega Cooperative, consigliere del circolo socialista di
Porta Genova «Fate largo alla povera gente», redattore della “Lotta di
classe”, organo del partito. Il suo attivismo è dimostrato anche dai giri
propagandistici tipici di questa fase pionieristica di primo impianto del
18 G. Artero F. Pagliari: tracce per una biografia politica, in
“L’albero e le fronde” , 2013 e in questo volume.
19 A. Magnani, Luigi Montemartini nella storia del riformismo
italiano Firenze, 1990; La cultura delle riforme in Italia fra
Otto e Novecento: i Montemartini: atti del Seminario, Pavia 15
dicembre 1984 - Pavia 1986
20 D.Rondani Ancora, ancora. Ricordi di propaganda in "La
lotta di classe", 14-15.1.1899
21 G.Cervo, in A. Riosa, Il socialismo riformista a Milano agli
inizi del secolo Milano, 1981, pag.35, A. Nascimbene, Il
movimento operaio lombardo tra spontaneità e organizzazione :
(1860-1890), Milano, 1976 , pag.394
22 D.Rondani, Un pane socialista, "Critica sociale", n.15, 1891
(è l'unico che pubblica su questa rivista) Pubblica anche "I
ferrovieri inglesi e l'organizza-zione" in "Rivista popolare di
politica, letteratura e scienze" 1888-89.
23 Lettera di Angelo Cabrini all'operaista A. Casati in cui gli
chiede se intende escludere il gruppo Rondani (e intellettuali)
del futuro partito. In Manacorda, cit., p. 427
9
partito e di proselitismo: nell’autunno 1892 inaugura due circoli a
Voghera24 e tiene conferenze a Treviglio, Novara, Rho, Lodi 25.
Per una collaborazione al giornale socialista di Firenze “La Difesa”
viene denunciato e subisce una condanna a 29 giorni emessa dal
pretore di Cecina. Coimputato nel 1895 con 38 socialisti milanesi in
un processo che vide 10 assoluzioni e 27 condanne al confino, fu
colpito con 5 mesi di confino a Domodossola 26 utilizzando questo
periodo per proseguire la sua opera di organizzatore e propagandista
del socialismo, nonostante le ammonizioni delle autorità 27 Nel luglio
1895 da Domodossola raggiunse i genitori in vacanza ad Adorno
Micca dopo aver scontati i sei mesi di confino. Di lì si recò a Biella
con l’intenzione di ispezionare le cooperative della zona iscritte alla
“Lega” di cui era segretario, ma subito il suo interesse per il Biellese
andò oltre e quel viaggio fu determinante anche per lo sviluppo del
movimento socialista della zona28
2. Le origini del movimento operaio e socialista biellese
La vita del Biellese, caratterizzata sin alle soglie dell’età contemporanea da una forte influenza dell’istituto comunitario, dall’economia
24 "La lotta di classe", 8-9 ottobre e 4-5 novembre 1892
25 ACS, CPC, b. 4405
26 " La lotta di classe", 5-6.1.1895
27 "la condotta del Rondani fu scorrrettissima.Appena qui
arrivato trovò modo di infiltrarsi presso la parte meno
rispettabile della popolazionee stringe intima amicizia con
diversi giovani che professano idee esaltate...si diede anima e
corpo alla propagazione delle dottrine socialiste riuscendo
persino a costituire un circolo socialista di cui fanno parte 30
associati. Dal Presidente del Tribunale venne ammonito a
meglio comportarsi e di non dar luogo a nuovi rimarchi, ma
tutto risultò inutile" relazione del sottoprefetto di Domodossola
11.4.1895, in ACS CPC, b.4405
28 R.Rigola, Rinaldo Rigola e il movimento operaio , cit., p. 137-9.
10
mista di “terra e telaio”, 29 da una costante emigrazione verso l’estero,
entrò con la prima metà dell’800 nel pieno della rivoluzione
industriale. Forti di un loro antico potere che l’ordinamento corporativo aveva tutelato fino al 1845, i tessitori all’indomani dello
Statuto Albertino che proibiva le “coalizioni” avevano ritrovato che le
Società di Mutuo Soccorso composte su base di mestiere erano la
formula con cui ridare istituzionalità al loro forte statuto professionale.
Tra il 1864 e il 1865 e poi tra il 1877 e il ‘78 i tessitori scesero in
sciopero in Valle Mosso, nel Triverese e nella Valle dell’Elvo. Nel
1884 diffuse in 42 dei 95 comuni biellesi si contavano 64 SOMS con
9789 iscritti (8972 maschi e 817 femmine). Delle più antiche
sopravvivevano quelle di Biella (fondata nel 1851) di Bioglio (1852),
di Cossato (1853), dei cappellai di Sagliano (1853) Nello stesso
periodo 890 circoli vinicoli, frazionali e di fabbrica, e una quarantina
di cooperative di consumo estendevano la loro rete di servizi. A
differenza di altre zone d’Italia nel biellese 30 fin dagli anni ‘60 i
confronti più duri si accendevano sugli aspetti normativi dei
regolamenti di fabbrica più che sulle questioni salariali. Per arginare
gli scioperi le autorità governative ricorsero ai provvedimenti
repressivi, dal confino per una settantina di operai allo stato d’assedio
nella vallata allo scioglimento della “Società dei tessitori di
Crocemosso” che, più volte soppressa e pù volte ricostruita, sfociava
nel 1898 nella “Lega di resistenza tra i tessitori della Valle Strona e del
29 F.Ramella "Terra e telai. Sistemi di parentela e manifattura nel biellese
dellOttocento", Torino, 1983
30 M.Neiretti, G.Vachino "La lana e le pietre: il biellese nell'archeologia
industriale", Biella, 1987; "Archeologia e storia industriale nel biellese:
archivio e fonti, Biella, 1988; P.Secchia “Capitalismo e classe operaia nel
centro laniero d’Italia”, Roma, 1960; “L’altra storia. Sindacato e lotte nel
biellese. 1901-1986”, Roma, 1987; R. Gremmo: "La repubblica di Sala
Biellese del 1896: dalla rivolta popolare alle lotte di anarchici, socialisti,
sindacalisti rivoluzionari e comunisti nei paesi della Serra", Biella, 1996;
L.Moranino "Le donne socialiste nel biellese: 1900-1918", Vercelli, 1984;
M.Neiretti "Le radici e il fondamento: dall’ opinione pubblica alla forma
partito nel biellese di fine Ottocento" "L'impegno", 1993 n.3 = "Democratici
e socialisti nel Piemonte di fine Ottocento", Milano, 1995
11
Ponzone”, che svolse un ruolo di guida 31 Negli anni ‘80 si ha una
trasformazione della “società operaia” in “lega di resistenza” prima ed
in “lega professionale” poi, con il passaggio dall’aggregazione
episodica delle associazioni locali alla costituzione di organismi stabili
sia professionali che territoriali (di vallata), nel comprensorio dei 23
comuni biellesi in cui verso fine secolo erano concentrati circa 14.000
operai nel sistema di fabbrica. In campo mutualistico sono presenti nel
circondario 47 SOMS di cui 6 nel capoluogo, 2 a Crocemosso, 2 a
Cossila, 4 a Occhieppo, 2 a Sagliano, 2 a Andorno, 2 a Pollone, ecc. 32
Dopo la parentesi della repressione di fine secolo, la Camera del
lavoro venne fondata nel febbraio 1901, con l'adesione delle leghe
locali che si erano collegate con quelle nazionali. Per alcuni mesi si
tennero riunioni preparatorie, promotrici le Associazioni di
miglioramento, Unioni pannilana, cotonieri, fonditori, metallurgici
lavoratori del libro, che associavano oltre 1200 iscritti. La riunione di
fondazione della Camera del lavoro ebbe luogo il 4 febbraio 1901 con
una relazione introduttiva di Giulio Casalini 33 e conferenza di Angiolo
Cabrini.34 Notevole apporto lo diede Felice Quaglino con l’adesione
della sezione edili forte di 300 iscritti. Alla fine di aprile gli associati
erano ormai 2500. Il 2 giugno si celebrò l’inaugurazione ufficiale con
corteo e discorso di Quirino Nofri. La domenica successiva si radunò
a Biella un congresso delle leghe tessili per dar vita alla Federazione
arti tessili35
A far da contraltare alla “riformista” CdL biellese, nel giugno 1902 si
costituì la CdL di Cossato ad opera di socialisti rivoluzionari tra cui
31 P.Ferraris "Sviluppo industriale e lotta di classe nel biellese", Torino,
1972
32 L. Petrini "Le SOMS biellesi nel secolo scorso 1851-1872", Biella, 1996
33 I buoni artieri : Parte I Roma 1957
34 F.Fabbri Angiolo Cabrini (1869-1937): dalle lotte proletarie alla
cooperazione fascista. In “Cooperazione e società”, 1971, n. 1-2; F. Borrelli
Angiolo Cabrini ; relatore E.R. Papa, Università di Torino Facolta di Scienze
politiche, A.A. 1985-1986 ; E.Santarelli voce in: Dizionario biografico degli
italiani, vol. 15
35 R.Rabaglio, I.Zamprotta “L'azione sociale, culturale e di educazione
permanente dell'Università Popolare di Biella”, Biella, 1992,
12
spiccano i fratelli Mario e Oreste Mombello, con l’adesione dichiarata
di associazioni che rappresentavano 2000 iscritti contro i 2600 biellesi
svolgendo un’attività vertenziale modesta a differenza dell’intensa
propaganda anti-sistema. Quirino Rosso segretario della CdL di Biella
sfruttando le difficoltà organizzative dei rivoluzionari, svolgerà un
paziente lavoro di recupero che culminerà nella unificazione nel 1905.
Nel 1904 fu istituito su proposta della CdL e della Federazione edilizia
il Segretariato dell’emigrazione36
Dopo la riforma elettorale del 1882 che aveva permesso a una parte
della popolazione operaia di prendere parte alle competizioni elettorali
la democrazia radicale divenuta protagonista della lotta politica
biellese. I mazziniani favorivano il movimento cooperativo e si
battevano per sganciare le società di mutuo soccorso dalla tutela degli
industriali e dal 1881, per quattro anni, il settimanale “La Sveglia”
contribuì alla diffusione di una coscienza nuova tra le classi popolari
soprattutto artigiane37. Il loro scopo era di acquisire attraverso il
controllo delle società operaie una solida base elettorale per il loro
programma di riforme politiche, ed anche le società operaie avevano
interesse a ricercare il loro appoggio, avendo la repressione dello
sciopero dei tessitori del 1877 reso evidente che “per non esporsi più
ai rischi di una repressione indiscriminata, dovevano battersi per il
loro riconoscimento e la loro legittimazione con una campagna di
agitazione politica che la sola democrazia radicale aveva allora le armi
per svolgere”38.
Nelle elezioni del 1882 i democratici biellesi presentarono una lista
capeggiata da Agostino Bertani e da Luigi Guelpa 39; nessuno dei due
36 P.Corti "Il segretariato biellese dell'emigrazione. Strutture organizzative,
tradizione migratoria, spazi istituzionali" In "Democratici e socialisti nel Piemonte dell'Ottocento", Milano, 1995. All’epoca ne erano stati istituiti già 13.
37 M. Nejrotti, La stampa operaia e socialista 1848-1914, in Storia del movimento operaio del socialismo e delle lotte sociali in Piemonte, Bari, 1975,
vol. I, p. 412; R. Rigola, Rinaldo Rigola e il movimento operaio..., cit., p. 73.
38 G.Berta, La formazione del movimento operaio regionale: il caso dei
tessili in “Storia del movimento ..”., cit., p. 310.
39 Luigi Guelpa (1843-1911) avvocato mazziniano esponente della democrazia biellese. Candidatesi per la prima volta nel 1882 contro Sella, fu eletto nel
13
fu eletto ma la contesa convogliò l’attenzione di molti operai che si
affacciavano alla vita politica e che nel 1883 elessero per la prima
volta un presidente di estrazione non borghese alla Società generale di
mutuo soccorso di Biella40. Nel 1883, promosso dai cappellai, si
celebrò a Biella il primo congresso operaio democratico seguito
l’anno successivo dalla costituzione del Consolato Operaio. Nel
febbraio 1884 si tenne un convegno di 34 società operaie che respinse
il progetto di legge Berti sulla regolamentazione degli scioperi,
secondo la linea del Partito operaio italiano.
Nel biellese degli anni ottanta erano presenti associazioni politiche di
varia appartenenza ma unificate dalla tematica della questione sociale,
mentre l’emigrazione di ritorno diffondeva idee rivoluzionarie e di
utopia sociale, rafforzando l’anticlericalismo militante (con battesimi,
matrimoni, funerali “proletari”). In quella fase, schematizzando, i
dirigenti provenivano in prevalenza dall'anarchismo approdando a
posizioni più moderate, mentre l'elettorato di estrazione “democratica”
si radicalizzava.
Negli anni successivi la democrazia radicale condivise la guida del
movimento operaio con il POI, cui aderirono diverse società del
biellese e col socialismo anarchico propagandato da Luigi Galleani. Il
movimento operaio era in continua crescita, e nelle amministrative
del 1889 per la prima volta fu eletto un operaio nel consiglio
comunale a Biella41, mentre in vari comuni vennero eletti sindaci della
democrazia.
Il primo maggio 1890 era stata convocata una grande manifestazione
mondiale a sostegno delle otto ore lavorative e anche Biella rispose
all’appello con un comizio in cui l’oratore di maggior successo fu
l’anarchico Pietro Vigliani42 seguace di Galleani.
1990 e riconfermato nel 1892. Sconfitto tre anni dopo si ritirò dalla politica
attiva.
40 P. Secchia, Capitalismo e classe operaia …, cit., Roma, 1960, p. 139
41 Il fonditore Camillo Gioggia, allora seguace di Guelpa, ma che all'inizio
degli anni '90 aderì al socialismo, occupandosi in particolare del movimento
cooperativo. Vedi Linee di storia del socialismo biellese, Biella, Federazione
del PSI, 1962
14
I rappresentanti di ventidue società operaie si riunirono il 7 agosto
1892 a Biella in vista del Congresso di Genova che portò alla
fondazione del PSI . Gli anarchici contestarono la partecipazione
dell’onorevole Guelpa, e democratici, repubblicani, socialisti
proseguirono il pre-congresso da soli nominando Luigi Fila 43 e Luigi
Sola44 delegati a Genova dove però entrambi si schierarono con gli
anarchici. Ma un anno dopo nel biellese la guida del movimento
socialista cadde nelle mani dei “marxisti”, che assorbirono nelle loro
fila guelpisti, operaisti e anarchici, tra cui Rigola.
Circoli anarchici sono diffusi nel Biellese negli anni novanta e nella
pubblicistica locale anarchismo e socialismo non compaiono in
antitesi. Nel luglio 1895, Dino Rondani, rilevò la singolarità:
“Piuttosto vi dirò crudo che in nessuna regione d’Italia si sente correre
per le vie la parola socialismo, socialista, anarchico anche, così
facilmente come da voi, e corrispondervi spesso una sostanza di gran
lunga diversa dal nome”. Altra evoluzione delle forme di
organizzazione degli anni ottanta è data dalla trasformazione della
“società operaia” in “lega di resistenza” prima ed in “lega
professionale” L’organizzazione del partito venne impiantata secondo
lo schema della socialdemocrazia tedesca, con statuto, tesseramento,
sezioni di base, federazioni territoriali, congressi periodici. Nel 1893 il
partito cominciò a organizzare nei centri maggiori le prime sezioni,
senza trascurare iniziative collaterali, per dare una risposta anche ai
bisogni sociali degli iscritti e della popolazione, quali cooperative di
consumo, circoli ricreativi, iniziative culturali e istruzione
professionale. Con il 1896 si avviò una campagna capillare per avere
in ogni comune una sezione.
42 P.Vigliani, muratore autodidatta e apprezzatissimo oratore, fondatore della
cooperazione e della lega muraria a Ponderano, fu il primo sindaco socialista
di questo comune. .. Vedi Linee di storia del socialismo biellese, cit.
43 Operaio tessile, già al congresso di Reggio Emilia del 1893 si trovò su
posizioni "marxiste". La "Lotta di classe" del 26-27 novembre 1892 pubblicò
“Un 'inchiesta sulla tessitura nel Biellese",
44 Operaio meccanico, seguace di Guelpa, socio fondatore e presidente della
Unione Cooperativa Biellese, all'inizio degli anni '90 abbracciò le idee socialiste. Fu il primo socialista ad essere eletto al Consiglio comunale di Biella.
15
Il movimento socialista biellese, sviluppatosi dalle origini con
caratteri di massa, affondava le radici in una società locale ad elevata
integrazione comunitaria alimentata da una “ideologia del lavoro”.
L’impronta di fondo si espresse sostanzialmente in termini riformisti e
gradualisti. Nel 1893 al Congresso di Reggio Emilia l’adesione di
Rinaldo Rigola (che verrà eletto consigliere comunale di Biella nel
'95), attraverso gli operaisti di Angiolo Cabrini e Costantino Lazzari,
rappresentò per il socialismo biellese una importante acquisizione.
Alle elezioni del marzo 1895 il Partito socialista presentò al collegio
di Biella Giuseppe De Felice in carcere per la sua partecipazione al
movimento dei Fasci siciliani che raccolse 967 voti contro i 2.981 dei
demo-liberali, mentre nel collegio di Cossato il liberale Giovanni
Garlanda45 con 3.581 voti sconfisse Luigi Guelpa, (2.102) ed il
socialista Nicolò Barbato, candidato di bandiera. In alcuni comuni i
socialisti conquistarono la maggioranza.
La sconfitta di Guelpa, che si era alienato le simpatie operaie
appoggiando in un primo tempo Crispi, provava che nel biellese la
democrazia radicale aveva fatto il suo tempo e che solo il partito
socialista aveva le potenzialità per mobilitare la massa di operai
ancora estranei alla vita politica, come capì lo stesso Guelpa secondo
cui di lì a poco il collegio di Cossato sarebbe stato conquistato da un
“giovane seguace di Carlo Marx” 46 Infatti dopo il periodo della
repressione il Partito socialista conquistò alle elezioni del 1900
entrambi i collegi biellesi.
3. La "conquista" del biellese
A Biella Rondani conobbe i principali organizzatori locali del
socialismo e tra questi Rinaldo Rigola 47, che allora alternava ancora
45 Federico Garlanda (1867-1913), docente di inglese a Roma, dove fondò
la rivista "Minerva". Eletto nel 1895 nel collegio di Cossato appoggiò il
governo Crispi. Sconfitto nel 1897, si ricandidò nel 1909 a Biella ma fu
sconfitto da Quaglino.
46 R.Rigola, Commemorazione di Luigi Guelpa Biella, 1912, p. 11.
47 C.Cartiglia “Rigola e il sindacalismo riformista in Italia”, Milano, 1976;
R. Coriasso Rinaldo Rigola a Biella : storia di un apprendistato politico e di
una città industriale tra '800 e '900, Biella, 2009 P. Mattera Rinaldo Rigola,
16
l’attività politica con la sua professione di ebanista e che trentacinque
anni dopo tracciò questo ritratto del suo primo incontro: “Una mattina
di luglio del 1895 venne nella mia bottega un amico in compagnia di
un individuo a me ignoto vestito alla “touriste”, con cappello di
paglia e “pince-nez” all’occhio. Lo sconosciuto mi viene presentato
per il dottor Dino Rondani di Milano ... E’ un parlatore amabilissimo
e briosissimo. Tra una arguzia ed un paradosso, ti snocciola tutto un
rosario di piani e di progetti. E’ un visibilio. Perché non si farebbe
questo? Perché non si farebbe quest’altro? A che punto siamo con le
leggi protettive del lavoro? S’è mai tentato di dare esecuzione alla
legge dei probiviri in vigore oramai da ben due anni? E se questa
legge non si applica ai 40.000 operai delle industrie biellesi, a chi la
si applicherebbe? C’è da fare tutta l’organizzazione di resistenza, c’è
da fare la Camera del Lavoro. Abbiamo noi una conoscenza esatta
della situazione industriale, delle condizioni economiche, igieniche e
morali in cui versa la classe lavoratrice? S’è mai fatta un’inchiesta,
dopo quella famosa sugli scioperi, per rilevare lo stato dei salari,
degli orari, della disoccupazione nell’industria tessile, le cui
maestranze sono oggi composte di donne in prevalenza? Sappiamo
grosso modo che la degenerazione fisica è preoccupante, che su 3.000
coscritti dell’ultima leva, soltanto 300 furono dichiarati abili, e tutti
gli altri riformati o dichiarati rivedibili per gracilità o deformazione
scheletrica, ma siamo noi in grado di fare una diagnosi esatta di
questa terrificante malattia sociale? Indagini positive ci vogliono.
Non cadiamo negli errori della democrazia, la quale agiva
dall’esterno, in base ad astratte ideologie, invece di far leva sui reali
bisogni della classe, resa consapevole dei mali di cui soffre. Basta con
la retorica. Ricordiamo il metodista inglese che predicava essere
quello degli operai “un problema di coltello e di forchetta”. “Wery
well”! ... “Prima bisogna fare il giornale ... il giornale locale è
un’imprescindibile necessità”. 48
Questo ritratto mette in luce alcuni tratti caratteristici: una certa
eccentricità nei modi e nel vestire, una vivacità di discorso e
una biografia politica, Roma, 2011
48 R. Rigola, Rinaldo Rigola e il movimento operaio ..., cit,
17
soprattutto una propensione ad analizzare i problemi dal punto di vista
delle possibili soluzioni per risolverli. Il suo è già il linguaggio
dell’organizzatore, del sindacalista, ancora poco usato in una zona
dove socialismo era stato sinonimo di anarchismo e quindi di un
concetto di rivoluzione come atto unico e violento49.
Egli era giunto a Biella nel pieno dell’ondata repressiva scatenata da
Crispi, reduce dal domicilio coatto, istituto che paradossalmente si
rivelò fondamentale per la diffusione del socialismo nelle zone
periferiche, di cui egli si era reso conto: “[Rondani] ha scontato
alcuni mesi di confino ... Sentenza provvidenziale, secondo lui perché
ha il vantaggio di ovviare ai difetti della nostra ancor debole
organizzazione, e di frustrare, al tempo stesso, gli scopi che il
Governo si è proposto di raggiungere con la promulgazione delle
leggi eccezionali.. Finché i socialisti godevano delle libertà comuni,
la nostra propaganda nelle campagne quasi non arrivava; e ciò era
dovuto in parte alla scarsità dei mezzi e in parte all’innata pigrizia
dei compagni delle città. Con le leggi eccezionali il Governo si è
proposto di distruggere i focolai di infezione già esistenti nei centri
urbani, ma si inganna. I nostri non andavano fuori, il Governo
provvede lui a mandarveli. Una cinquantina di compagni milanesi
sono già stati processati e spediti in tutte le direzioni, con l’obbligo di
risiedere per un certo tempo in comuni nei quali non c’era per ora
speranza di farvi penetrare l’idea socialista. Quanto più uno è attivo
propagandista, tanto più deve rimanere a Domodossola, a Biandrate,
ad Ivrea od a Peretola, dove non esiste traccia di socialismo. Invece
di isolare gli appestati nel lazzaretto, si sparpagliano nei centri
tuttora immuni da contagio. Che cosa si potrebbe domandare di
più?”50
49 Nel luglio 1951, commemorando Rondani appena scomparso, Rigola
tornò su quel primo incontro e sulla rievocazione da lui fattane più di
vent'anni prima: "[Era] un ritratto un po' caricaturale, il mio, del giovane
lottatore che non sta nella pelle. Ma sta di fatto che egli mi parlava un
linguaggio diverso dai soliti. Oggi lo chiamano linguaggio sindacalista.
R.Rigola, “Dino Rondani nella commossa rievocazione dell'on. Rigola”, in
"Tribuna Socialista", 14.7.1951
18
Rondani si presentò agli operai biellesi con una conferenza a Croce
Mosso in cui puntò soprattutto a differenziare i socialisti dagli
anarchici, dal momento che intorno a questi due termini si faceva
ancora molta confusione: “Non siamo del parere delle legnate, né
tanto meno delle revolverate o delle pugnalate, perché questo è il
parere dei nostri avversari, e sono essi che hanno l’esercito, la
polizia, la magistratura, le strade, le città, le manette, le carceri... La
lotta è economica ed umana, le armi devono essere economiche ed
umane. .. Se noi esercitiamo la scheda elettorale con tenacia,
coraggio e vigore, noi contendiamo, senza crisi serie e senza
procurare alcun massacro su di noi, palmo palmo il terreno ai nostri
avversari”51.
Per assicurarsi un’efficace capacità di penetrazione nelle masse era
necessario disporre di un giornale, la cui fondazione era stata posta
come prioritaria nel colloquio tra Rigola e Rondani
Nonostante la difficoltà di riunire i socialisti del circondario in tempo
di leggi eccezionali, il 15 agosto 1895 sulla vetta del monte Rubello,
luogo mitico della ribellione nella memoria collettiva locale perché vi
era stato catturato l’eretico Fra’ Dolcino, si radunarono 150 socialisti
del biellese, valsesia e vercellese; la relazione svolta da Rondani sulla
nascita di un settimanale circondariale fu approvata all’unanimità 52. Il
raduno sul monte Rubello costò un nuovo processo in pretura
concluso con l'assoluzione53 ma assunse nella memoria storica dei
50 R. Rigola, cit, pp. 136-137. Queste considerazioni non gli impedirono di
firmare, nel settembre 1897, un manifesto di protesta promosso da Cavallotti
contro il progetto governativo. Anche un altro protagonista del socialismo
biellese arriva alle stesse conclusioni: "A Varallo si è incominciato a parlare
di socialismo e di socialisti, perché con le leggi ec-cezionali di Crispi alcuni
socialisti e anarchici erano stati mandati al confino lassù". (O.Mombello,
Sessant 'anni di vita socialista, Biella, 1952, p. 6)
51 La conferenza di Dino Rondani in Croce Mosso"Il Corriere Biellese", 3.8.
1895; La prima pubblica conferenza di Dino Rondani "Il Corriere Biellese",
20.8.1920
52 Ibid, pp. 140-42; P. Secchia, Capitalismo e classe operaia cit., p. 162.
Secchia indica per errore come data della riunione il 15 maggio 1895
53 lbid , Linee di storia del socialismo..., cit.
19
socialisti biellesi un’aura leggendaria e il raduno del 15 agosto
divenne un punto di riferimento per le generazioni dei socialisti
biellesi, rinverdito dalle “scampagnate” di rievocazione che si tennero
negli anni successivi.
L’avvocato repubblicano Giuseppe Ubertini54 che aveva pubblicato nel
1895 il settimanale “Il Corriere Biellese” in appoggio alla candidatura
di Guelpa, cedette gratuitamente la testata ai socialisti 55 e il 9 febbraio
1896 uscì il primo numero del “Corriere Biellese”, diretto da Rigola,
privo di esperienza giornalistica ma scelto per mancanza di
alternative. Si era pensato a Rondani che era stato redattore della
“Lotta di Classe” ed era il solo laureato, ma non risiedeva a Biella e
avrebbe potuto offrire solo una collaborazione saltuaria.
Rondani, la cui provenienza milanese e il suo essere a contatto coi
maggiori esponenti del partito conferiva autorevolezza, per tutta
l’estate girò il circondario destando la preoccupazione delle autorità
che notarono che “dal luglio al settembre 1895, [Rondani] contribuì
assai allo sviluppo del movimento socialista, che andò accentuandosi
per opera specialmente di lui e di altri fanatici correligionari”56 e nel
settembre 1895 sciolsero il Circolo Ricreativo del lavoratori di Biella
denunciando i sette soci fondatori, tra cui Rigola e Ubertini.
L’“attenzione” delle autorità verso i socialisti dopo l’arrivo di Rondani
fu così commentata dal settimanale liberale “La Tribuna Biellese”:
54 Giuseppe Ubertini (1859-1916) avvocato e industriale, fu uno dei
fondatori del movimento mazziniano di Biella; collaboratore della "Sveglia",
fondò "Il Corriere Biellese". Fervente irredentista, a 57 anni si arruolò
volontario quando l'Italia intervenne nella prima guerra mondiale, e sul fronte
contrasse il tifo che lo portò alla morte.
55 Dopo l’avvio come supplemento del “Grido del Popolo” di Torino, il
giornale, diretto da Rigola, ebbe vita propria, passò da settimanale a bisettimanale, raggiungendo ai tempi della prima guerra mondiale quindicimila
copie di diffusione. Il giornale fu determinante nell’affermazione del partito e
dell’azione sindacale, creando una rete di corrispondenti attraverso la quale
si diffuse anche l’organizzazione del partito e si avvicinarono categorie di
operatori culturali, in specie gli insegnanti
56 ASB, Sovversivi e socialisti, mazzo 6, fasc. 54, Denuncia del Procuratore
del Re contro Dino Rondani e altri
20
“tempo fa, quando le cose venivano dai socialisti fatte – diremo così –
in famiglia, le autorità non si erano allarmate. In questi ultimi tempi,
invece, venuto da Milano a passare l'estate fra noi – ad Andorno – il
dott. Dino Rondani, ecco che le autorità riconoscono motivi di
pericolo in questi pochi, rumorosi, ma punto pericolosi socialisti”57
Rondani comunque non lasciò più il biellese e pur continuando a
vivere a Milano, prese a percorrere il circondario con assiduità 58
Partecipò alla costituzione del Circolo elettorale di S. Germano, l’11
agosto 1895, in occasione del 26. anniversario della Società operaia
57 “La Tribuna Biellese”, 26.9.1895, La repressione socialista a Biella. Il
giornale liberale appoggiava in quegli anni il prof. Garlanda, ma fino al
maggio 1898 mantenne verso i socialisti un’opposizione rispettosa. Era stato
fondata nel 1891 da Alfredo Frassati (L. Frassati, Un uomo, un giornale.
Alfredo Frassati. Roma, 1978, p. 8).
58 Riportiamo questa testimonianza, anche se imprecisa e tendente al pittoresco: “Nell’ultima decade del secolo scorso un giovane propagandista,
preparato e buon oratore, agiva circospetto, ma con pertinacia e gran
coraggio, nel mio paese ed in quelli appartenenti al collegio elettorale di
Cossato...Veniva dalla Romagna, terra calda di sole e di fermenti politici.
Appartenente a buona famiglia, l’aveva abbandonata per l’idea dandosi a
una vita grama, randagia, braccato dai carabinieri, dimenticato dalla
famiglia, dileggiato dagli avversari. Divideva un magro pane ed un piatto di
minestra coi seguaci più intimi, modesti operai, e dormiva sovente nei fienili
e nelle stalle al par d’un mendicante, ora in una borgata, ora in un’altra,
cambiando di continuo per disperdere le tracce ai carabinieri che aveva
ognora alle calcagna. Veniva spesso anche nella mia borgata, dove arrivava
di notte e ripartiva prima dell’alba. Io ero bambino e ne sentivo parlare in
casa e fuori, sottovoce. Non capivo; naturalmente. Teneva le sue riunioni nei
boschi, su alture impervie, in gran segretezza. Un giorno mio padre, che non
era dei suoi ... volle partecipare a titolo di curiosità ad una di dette
riunioni ... Al ritorno raccontò ai vicini com’era andata “Sapete?
Quell’ometto là non è mica uno stupido come qualcuno pensa. Io, vecchiotto,
mi son trovato in mezzo ad una cinquantina di giovani e giovinetti che
l’ascoltavano con grande attenzione. Parlava bene, bisogna riconoscerlo;
diceva cose giuste, ma che a noi, anziani, non fanno molto effetto. Ai giovani,
sì. Ed è appunto ai giovani che l’uomo si rivolge. Se li coltiva per il domani.
Saranno essi, fatti elettori, a dargli il voto” G.Garlanda, “Biellese mio”,
Biella, 1971, p. 61-63
21
dei contadini giornalieri; l’8 marzo del '96 fu fondato il “Circolo
Popolare Vercellese”, con 33 iscritti, che Rondani inaugurò con una
conferenza.
Il 7 giugno 1896 si svolse a Novara il primo Congresso provinciale,
sotto la presidenza di Morgari, con delegati di 27 sezioni. Rondani,
rappresentante di S. Germano tenne la relazione sul movimento
provinciale degli ultimi tre anni: da 656 gli iscritti superavano ormai il
migliaio, organizzati in una ventina di circoli in tutti i collegi
elettorali, e la provincia era quella che in Piemonte vantava il maggior
numero di adesioni. Il “Corriere Biellese”, nato da soli quattro mesi,
diffondeva 1.700 copie e aveva 300 abbonati. Terminò dichiarando:
“Avendo abbastanza bene sgobbato durante quest’ultimo anno ... è
naturale che non ci sia rimasto tempo per discutere della tattica. ..
Per noi la migliore delle tattiche è ancora una sola: lavoro, lavoro,
lavoro. La peggiore è certamente quella che impiega più della metà
del già scarso tempo consacrato al partito nel discutere sino alla noia
di transigenza e di intransigenza, quasi fossimo alla vigilia di chissà
quali avvenimenti politici, in una nazione in cui ventinove milioni e
tre quarti su trenta milioni non sanno ancora cosa realmente i
socialisti vogliano”. Al termine dei lavori venne costituita la
Federazione provinciale designando nel Comitato federale Rigola per
il collegio di Biella e Oreste Mombello per quello di Cossato, mentre
Rondani veniva nominato con Giuseppe Ballario nel Comitato
regionale piemontese.
Il terzo congresso dei socialisti biellesi (27 luglio 1897) nominò
direttore del “Corriere” Umberto Savio (poi deputato di Santhià) ed
amministratore Giulio Casalini.
Nel 1897 venne eletto deputato59 nel collegio di Cossato (Biella) ma
l’elezione fu annullata non avendo Rondani i trent’anni di età richiesti.
Dopo due suffragi annullati nel 1897 e nel 1898, fu eletto deputato nel
1900 (con 3.192 voti, il doppio del candidato moderato) per tale
collegio che lo riconfermò al primo scrutinio sia il 6 novembre 1904
59 Ernesto Bignami si congratulò in una lettera del 17.8.1897 della “STREPITOSA vittoria a Cossato che tu saprai certamente consolidare” in Fondo
Rosselli, cit. da G.Carazzali, Enrico Bignami, Milano, 1992
22
che il 7 marzo 1909. Il 26 ottobre 1913 è rieletto per la quarta e
ultima volta
4. La svolta reazionaria di fine secolo
Nei difficili anni di repressione dal 1892 al 1900, libero da vincoli
familiari e aiutato economicamente dai proventi dell’attività
professionale, fu in prima fila ovunque: il suo gusto per l’azione
dimostrativa, le sue doti di efficace parlatore, il suo desiderio di
cimentarsi in prima persona potevano servire: conferenze e
contraddittori in ogni grande e piccolo centro in Lombardia, in
Liguria, in Toscana, manifestazioni per il 1° maggio, per i Fasci
Siciliani, stampa clandestina di volantini, e come conseguenza
ammonizioni arresti e condanne60.
Collaborava al “Corriere Biellese” inviando interventi e articoli, e da
uno di questi scaturì un duello giornalistico: l’articolo in questione
uscì, anonimo, nel numero del 28 marzo 1896 con il titolo “Al
Corriere di Novara“, un settimanale liberale da poco convertitosi al
repubblicanesimo, che sullo stesso numero pubblicava un editoriale di
complimenti all’onorevole Ferri per le dichiarazioni di “transigenza”
verso le altre forze dell’estrema (radicali e repubblicani) espresse alla
Camera e per la sua attenzione al problema istituzionale 61 mentre un
altro articolo, prendendo spunto dai numerosi casi di renitenza alla
leva verificatisi dopo la sconfitta di Adua per timore di essere mandati
in Africa, si scagliava con disprezzo verso i disertori, definendoli
“anime di coniglio, cuori e cervelli malandati e vuoti”, non potendosi
comprendere come “per un istinto di paura, che offende ogni civil
60 Nel 1898 il tribunale di Biella condannò Oddino Morgari a tre mesi e 26
giorni e ad una multa di 100 lire per eccitamento all'odio fra le classi sociali,
in seguito alle parole pronunciate in una conferenza elettorale a Cossato in
appoggio alla candidatura di Dino Rondani. Nel 1998 partì per Palermo con
Oddino Morgari per sostenere la locale sezione nella lotta contro la mafia
palermitana che garantiva l'elezione di Crispi e che il 16 aprile li aggredì a
colpi di rivoltella.
61 Buon sintomo, "II Corriere di Novara", 23.3.1896,
23
sentire, un essere, che non sia stolto o pusillo, possa attentare alla
propria rovina”62
Rondani, commentati con una certa ironia i complimenti all’onorevole
Ferri, denunciò il contrasto con l’articolo successivo dove “si svescia
tutta la bolsa retorica propria di questo disgraziato periodo
monarchico del nostro paese”. Dei disertori scrisse che erano “della
gente di buon senso e di coraggio e valeva molto di più di tutti i
bellicosi che se ne stan a casa a blaterare di guerra”, aggiungendo che
se il mercenario ascaro, brutale e selvaggio, restava fino all’ultimo
sotto il fuoco, lo stesso non si poteva chiedere al contadino “che sa di
avere a casa dei vecchi che contano su di lui, dei bambini da allevare
e da mantenere, e a cui nessuno degli eroi colla pelle degli altri
penserà”63.
Egli esprimeva il concetto che, a prescindere dal rifiuto opposto dai
socialisti alla guerra in genere e a questa in particolare, era
profondamente ingiusto scagliarsi in nome di concetti come il
“sacrificio per la patria” contro individui che non conoscevano
neanche il concetto di patria e che erano mandati a combattere una
guerra che non comprendevano, mentre la loro partenza significava
spesso per la famiglia la sconfitta nella battaglia giornaliera della
fame. Nell’articolo del giornale repubblicano Rondani ritrovava quello
che per lui era il limite dell’estrema sinistra borghese, ossia
l’ostinazione ad applicare schemi astratti e irrealistici su un popolo
che si preferiva idealizzare piuttosto che cercare di comprendere nelle
sue reali necessità, che erano spesso di pura sopravvivenza.
La polemica con il giornale novarese era poi l’occasione per esprimere
la recisa opposizione al proseguimento della guerra in Africa, e già in
un altro articolo era stato chiaro: "Ecco qui l' “Eco dell’industria”64
che pensa che l’Italia mostrerebbe non aver fibra, di non saper
62 Herreros, I disertori, "Il Corriere di Novara, 23.3.1896
63 Uno, Al Corriere di Novara “Corriere Biellese", 28.3.1896
64 Settimanale liberale biellese fondato nel 1872. Nel 1891 ne divenne proprietario l'industriale G.B. Serralunga che ne spostò a destra la linea politica
rispetto al periodo precedente, in cui era stato redattore e comproprietario
Alfredo Frassati.
24
ritemprarsi a nuova energia se accettasse l’eccitamento alla fuga e
alla viltà ritirando le truppe dall’Africa, secondo la volontà di
migliaia e migliaia di italiani. La causa è ingiusta, tutti lo sanno, è
barbara e stolida, non importa, “le abbiamo prese”: è “coraggioso”
ed “eroico” cercare di restituirle servendosi prima di tutto del
tradimento, poi dei mezzi di guerra perfezionati" 65
Se quest’ultimo articolo non ebbe strascichi giudiziari, lo stesso non
accadde per il precedente, nel quale il procuratore del Re ravvisò il
reato di apologia della diserzione e processò con questa accusa il
gerente del giornale, Fortunato Galletto, che fu condannato a quattro
mesi e quindici giorni di reclusione; Rondani, inviato in Svizzera dal
partito per un giro di conferenze non potè essere presente 66.
"Il Corriere di Novara” espresse il suo plauso per la condanna e irrise
l’autore che, nascondendosi dietro l’anonimato, adottava la medesima
filosofia dei disertori che aveva difeso, “risparmia la pancia per i
fichi e lascia gli altri nelle panie a cui egli [aveva] fornito il
...vischio!”67
Ciò lo indusse a pubblicare un nuovo articolo dove dichiarò la sua
responsabilità, senza rinnegare quanto scritto ma respingendo l’accusa
di aver fatto un’apologia della diserzione 68; una difesa che Rondani
adottò anche al processo che inevitabilmente seguì la sua auto
denuncia, in cui spiegò come intendesse solo difendere “le ragioni
che militavano in favore di uomini che aveva visto in Svizzera lottare
eroicamente colla vita per guadagnare un pezzo di pane per sé e pei
loro congiunti”69. La corte lo condannò a sei mesi di reclusione e
65 D.R. Nel paese di Gasparone, "Corriere Biellese", 4.4.1896.
66 ASB, Sovversivi e socialisti, mazzo 4, fasc. 32.
67 Herreros, Il Corriere di Novara causa involontaria della condanna del
Corriere Biellese, "Il Corriere di Novara", 10.5.1896. Riportando brani
dell'articolo di Rondani, Herreros gli attribuiva la frase: "è meglio salvare la
pancia per i fichi e rinunciare alla gloria di combattere per l'onore del
paese"; frase che in realtà il nostro non aveva mai scritto
68 Oh il repubblicano!, "Corriere Biellese", 16.5.1896,
69 ASB, Sovversivi e socialisti, mazzo 4, fasc. 32, verbale di interrogatorio,
5.6.1896
25
cento lire di multa. La condanna venne confermata tre mesi dopo dalla
corte d’appello di Torino e successivamente dalla Cassazione, e solo
l’amnistia promulgata il 24 ottobre 1896 in occasione delle nozze del
principe ereditario gli evitò di scontare la pena.
5. Il “novantotto” a Milano
All'origine dei moti del maggio 1898 vi fu la congiuntura economica
recessiva e un raccolto agricolo insufficiente aggravato dalla
reintroduzione della tassa sul macinato che gravava soprattutto sui ceti
proletari.
I moti nacquero spontaneamente in vari centri: a Milano si mossero
per primi i “barabba” cioè il sottoproletariato urbano che viveva di
espedienti, a cui si mescolarono gli anarchici che tennero viva la
tensione polemizzando con i consigli alla calma dei socialisti, i quali
invece tendevano a ridimensionare i moti osservando che “le
sommosse, i combattimenti di strada, le insurrezioni chiamano alla
superficie i bisognisti, gli affamati, la plebe che vive come vive, i
poveri diavoli che crescono fra un furto e l'altro" 70 riferendosi anche
ai molti immigrati che non riuscivano a inserirsi nel tessuto operaio e
simpatizzavano con gli anarchici più che coi socialisti, identificati con
quelle "aristocrazie operaie" che si collocavano un gradino più in alto
perché avevano un posto in fabbrica.
Come scrisse il conservatore Pasquale Villari "Milano è divenuta una
grande, forte, laboriosa e prospera città, la cui popolazione è
enormemente cresciuta per la continua immigrazione di gente che
viene d'ogni parte d'Italia a cercarvi lavoro. E così in essa si vanno
accumulando tutto lo scontento, tutti i rancori, tutto l'odio di classe
sparso nella Penisola. Il Romagnolo educato alle cospirazioni ed alle
società segrete; il contadino veneto che lascia la sua lurida capanna
di paglia e di fango; il contadino lombardo continuamente minacciato
70 ACS, Ministero dell'Interno, Direzione Generale di PS, Ufficio riservato
(1879-1912), b. 4, fasc. 10, sottofasc. 1, Denuncia dei caporioni del movimento insurrezionale in Milano 19 maggio 1898; Relazioni della Autorità
militare sulla sommossa di Milano (6-9 maggio 1898); Relazione Bava; N
Colajanni, L'Italia nel 1898: Tumulti e reazione, Milano-Lodi, 1898; E.
Caldara, F. Ercole, A. Cabrini La storia di un delitto, Lugano, [1898?]
26
nelle risaie dalla febbre e dalla pellagra; la giovanetta che lascia in
campagna la famiglia, e che già in parte esaltata, sovvertita da idee
socialiste o anche anarchiche, si trova nella città, in mezzo a
compagne più di lei esaltate, e sempre più s'esaltano, s'accendono fra
loro nei convegni serali"71
Concordava il fondatore del Corriere della sera Eugenio Torelli
Viollier: queste masse analfabete "non altro hanno capito se non che
tutto ciò che i padroni possiedono è tolto agli operai, e che il giorno
della spartizione è prossimo. Anche le campagnole immigrate
s'infiammano la sera nei loro ritrovi con ogni sorta di fantasticherie
comunistiche, e si preparano alla gran giornata, imparando la
strategia: andare pacificamente davanti ai combattenti, non mostrare
paura dei fucili né della cavalleria, sedere sui binari delle ferrovie
per non lasciar partire i treni"72. La paura che la gerarchia sociale, i
rapporti di proprietà fossero minacciati dai "barabba" che ritenevano
venuto "el dì de spartì" è ben rappresenta dall'episodio dell'industriale
Grondona così apostrofato da un operaio:"L'è vegnuda l'ora che nun
lavorem pù, ve toccarà a vialter adess a sgobbaa"73
Il 6 maggio 1898 i poliziotti arrestarono due giovani che distribuivano
agli operai usciti dallo stabilimento Pirelli per consumare il pranzo un
manifesto firmato "I socialisti milanesi" in cui erano denunciate le
cause di fondo del rincaro del pane e si raccomandava la calma. La
folla di operai presenti reclamò il rilascio degli arrestati, mentre il
sindacalista Dell'Avalle cercava di ricondurre alla calma.
Alla ripresa del lavoro il grosso rientrò in fabbrica, ma restò fuori dai
cancelli una folla di donne e disoccupati, cui si mescolano anarchici
che mantenne viva l'agitazione invitando gli operai ad abbandonare il
lavoro, mentre Rondani venne con Turati a raccomandare la calma,
interrotto da proteste, con la considerazione che non era ancora venuto
il momento dello scontro frontale con la borghesia.
71 P. Villari, Scritti sulla questione sociale in Italia, Firenze, 1902
72 L.Villari, I fatti di Milano del 1898 ”Studi storici”, 1967 n.3, p. 541.
73 L'insurrezione a Milano.Nuovi particolari sulla giornata del 7
maggio.Ciò che si vuole! "L'Italia Reale," 9-10 maggio 1898
27
Quando Rondani annunciò all'uscita delle 18 degli operai della Pirelli
il rilascio dell'arrestato e la soppressione del dazio sul pane, la protesta
pareva terminata, ma un gruppo di dimostranti si scontrò con alcune
guardie di PS che ripiegarono inseguite dalla folla verso la caserma e,
dopo essersi barricate, uscirono sparando sui dimostranti mentre
giungeva un reparto dell'esercito che a sua volta aprì il fuoco. Due
operai rimasero sul terreno, con quattordici feriti gravi insieme a una
guardia colpita dai commilitoni. I dimostranti issarono i corpi dei
compagni morti su una carrozza tranviaria e attraversarono la città
fino al Cimitero monumentale, in una protesta rabbiosa.
La mattina seguente gli operai si presentarono al lavoro, ma la
consorteria moderata insediata in municipio, fece imporre dall’autorità
militare la chiusura degli stabilimenti, per spingere i lavoratori nelle
strade e avere così un pretesto per la repressione. Gli operai messi in
libertà si ritrovarono così nelle vie adiacenti le fabbriche a
commentare gli avvenimenti e verso le dieci si formò un corteo imponente di migliaia di persone che si incamminò verso il centro.
Mentre il corteo si avviava verso piazza Duomo, l'autorità politica
passò le consegne dell'ordine pubblico al comandante del corpo
d'armata che in un manifesto annunciò la proclamazione dello stato
d'assedio, ma l'apparato repressivo militare era già pronto da tempo. In
caso di tumulti era previsto un coordinamento tra questura e comando
militare secondo un preciso disegno strategico: nella notte del 5,
dodici ore prima dell'inizio della protesta, i comandi militari furono
informati dal prefetto della possibilità di dimostrazioni popolari per il
giorno seguente, e alle 4 di mattina del 6 maggio Bava comunicò che
“ai soldati saranno distribuite cartucce a pallottola. Uscendo oggi, in
servizio di pubblica sicurezza, al comando dato, la truppa farà fuoco.
Gli ufficiali e i soldati siano preparati e ricordino che colui che non
obbedisce sarà punito come dal codice penale militare”. 74
74 ACS, Ministero Interno, Direzione Generale di PS, Uff. riservato (18791912), b. 4, fasc. 10, sottofasc. 1, Relazioni della Autorità militare sulla sommossa di Milano (6-9 maggio 1898), relazione Bava; relazione Del Majno;
ACS, Ministero Real Casa, Uff. 1. Aiutante di Campo del Re, Affari generali,
1898, b. 50, fase. 146, Notizie relative a disordini in Torino e in altre città,
telegramma ministro della guerra al comandante 1. corpo d'armata, 7.5.1898
28
Per porre riparo alle cariche della cavalleria sorsero barricate
improvvisate da gruppi di giovani 75, mentre il grosso dei dimostranti si
sparpagliava nelle strade laterali per poi ricomporsi in un tentativo più
volte rinnovato fino a sera di giungere in piazza Duomo. Nuclei di
dimostranti assalirono la caserma dei bersaglieri, entrarono nelle case
prospicienti le barricate per bersagliare i soldati, invasero la stazione
per impedire l'arrivo delle truppe mentre i macchinisti abbandonavano
le locomotive per solidarietà.
I militari concentrarono le forze in piazza Duomo e sospesero la
circolazione tranviaria per consentire alla cavalleria un rapido
movimento sulle direttrici che tramite i bastioni conducevano in
periferia. Gli uffici pubblici e gran parte dei negozi chiusero, mentre
dalle stazioni ferroviarie borghesi e aristocratici fuggivano per le
residenze di campagna. Alle 23 del 7 ogni scontro cessò. Domenica 8
si registrarono ancora scontri e l'esercito ricorse al cannone. Restavano
come focolai di protesta Porta Garibaldi e Porta Ticinese, dove
l'arresto di studenti sconosciuti nel quartiere fece favoleggiare le
gazzette dell'arrivo da Pavia, Bologna, Padova e Torino di universitari
"in bicicletta" (sic!) armati di rivoltelle.
Le truppe estesero l'occupazione fino alla linea delle porte, occupando
i sobborghi per impedire qualsiasi tentativo d'irruzione in città,
immaginando bande di saccheggiatori formate da "tutti gli elementi
torbidi delle vicine campagne" muniti di un sacco e di un bastone
venuti a Milano per riempire il sacco dopo aver bastonato i portinai 76
mentre la polizia procedeva alla soppressioni dei giornali di
opposizione e all'arresto dei redattori, alle perquisizioni e scioglimenti
di circoli e associazioni, all'incarceramento degli esponenti socialisti e
repubblicani.
La giornata di lunedì 9 culminò nel cannoneggiamento del convento
dei cappuccini di Porta Monforte, in cui si trovavano i frati e una
75 N.Colajanni, L'Italia nel 1898, cit., p. 75-6; P.Valera, La sanguinosa
settimana del maggio '98, cit., p.172-3.
76 La situazione sempre grave a Milano "Gazzetta del Popolo" 10.5.1898;
La giornata di ieri in Italia. La calma ritorna. "La Stampa" 12 .5.1898
29
quarantina di mendicanti in attesa della ciotola di minestra. 77 Solo il
10 fu autorizzata la riapertura degli stabilimenti industriali .78 Nei giorni
successivi si aggiunse il pattugliamento, ad opera di colonne mobili,
nelle zone industriali col compito di arrestare sobillatori e "promotori
di sciopero" Il bilancio delle giornate del '98, ufficialmente di 80 morti
e 450 feriti, si può stimare in alcune centinaia di civili uccisi e in un
migliaio di feriti; per contro il comando militare registrò una guardia
di PS uccisa dal fuoco dei commilitoni e un solo soldato morto, con 22
feriti. Tra i rivoltosi uccisi vi furono bambini di 3, 9, 12 anni
ammazzati in casa o cannoneggiati per aver fischiato i soldati, donne,
vecchi di 60 e 70 anni freddati nell'atto di chiudere porte e finestre. Il
Tribunale di guerra di Milano distribuì 1.435 anni e 8 mesi di galera in
129 processi contro 828 imputati di cui 688 condannati, un terzo dei
quali minorenni.
6. Dall'esilio al ritorno nell'Italia giolittiana
Rondani aveva compiuto un primo breve espatrio in Svizzera nel
1894. La sua popolarità tra i lavoratori delle vallate prealpine
lombarde e piemontesi, costretti a emigrare nella vicina Confederazione, gli fu utile quando, dopo i moti di Milano del maggio ‘98
sfugge alla cattura saltando dal treno in corsa (mentre Turati e Morgari
vengono arrestati) rifugiandosi nella repubblica elvetica dove svolse
opera di propaganda per l’organizzazione sindacale e contro il
crumiraggio come membro della commissione esecutiva dell’Unione
socialista di lingua italiana e come collaboratore del suo organo, “Il
Socialista”. Nonostante l’opera di pacificazione svolta con Turati e
Carlo Dell’Avalle durante i moti, venne condannato in contumacia a
sedici anni di reclusione dal Tribunale militare 79.
77 P.Valera cit., pp. 284-346; dello stesso, L'assalto al convento, Milano
1899; L.Villari, I fatti di Milano del 1898. La testimonianza di Eugenio
Torelli Viollier, cit., pp. 545-6.
78 ACS, Ministero Real Casa, Uff. Primo Aiutante di Campo del Re, Affari
generali, 1898, b. 50, fasc. 146, Notizie relative a disordini in Torino e in altre
città, telegramma di Rudinì a Bava, 8.5.1898.
79 Il tribunale militare di Milano, incurante delle testimonianze di uomini
d'ordine elvetici e italiani, si attenne alla versione delle “bande armate” del
30
Lasciata la Svizzera nel settembre 1898, intraprende un giro di otto
mesi sotto falso nome, in cui tiene delle conferenze, comprendente
Germania, Danimarca, Svezia. Nel maggio 1899 partecipa alle
conferenze di Amsterdam e Bruxelles, preparatorie del Congresso
dell'Internazionale socialista da svolgersi a Parigi. Trasferitosi in
Inghilterra, il 15 giugno si imbarca per gli Stati Uniti sbarcando a New
York il 21, invitato dal Partito Socialista Italiano della Pennsilvania
consolato di Bellinzona, coinvolgendovi anche Rondani, Vergnanini e gli
altri principali esponenti socialisti e repubblicani rifugiati a Lugano. Ved.
F.Manzotti I rapporti italo-svizzeri e la crisi italiana del '90, in “Atti...accademia nazionale di scienze lettere e arti”, 1962) Sulla tentata invasione di
bande armate dalla Svizzera, F. Berutti “Le bande svizzere: episodio tipico
dei moti di maggio 1898”, Arona, 1904. Per quanto riguarda le “bande
armate” così Umberto Levra smonta la leggenda (“Il colpo di stato della
borghesia", Milano, 1975): “poco più di duecento operai italiani abbandonano il lavoro e, grazie a collette improvvisate, si dirigono senz'armi e senza
bagagli in treno alla volta del Sempione. Prima del confine intervengono
però le autorità cantonali, dirottano il treno su un binario morto, arrestano
gran parte dei componenti della banda rimasti senza cibo e senz'acqua, li
ammassano in un campo di concentramento improvvisato e li caricano poi su
un treno speciale, dai cui finestrini spuntano malinconiche le bandiere rosse
dei rivoltosi e li trasferiscono sotto scorta fino a Chiasso dove li consegnano
a una compagnia di bersaglieri, tra le vivaci proteste di gran parte dell'opinione pubblica svizzera colpita dalla procedura indegna delle tradizioni
liberali elvetiche (…) Al Sempione poche decine di italiani sfuggono
all'arresto in territorio svizzero, disperdendosi sui monti; la maggior parte di
essi torna indietro e alcuni altri tentano di passare il confine a piccoli gruppi
(…) Tre sole guardie di finanza sono perciò sufficienti per arrestare, senza
incontrare resistenza, il 13, il 14 e il 15 maggio, ben 49 "rivoltosi," privi di
armi e spossati dalla fatica (…) Gli arrestati, quasi tutti in età compresa fra i
15 e i 30 anni e per lo più originari della provincia di Novara e, in subordine, del Canavese, di Torino, di Milano e di Pavia, sono immediatamente
deferiti al tribunale militare di Milano con ordinanza del 19 maggio del
tribunale di Domodossola, il quale si preoccupa, da un lato, di "legittimare
completamente l'operato della truppa" che ha arrestato i 49 individui e,
dall'altro, di far risaltare con evidenza la connessione fra i fatti criminosi di
Milano e la formazione e marcia delle bande In discorso; uno era lo scopo,
la rivoluzione sociale; identici i mezzi, la rivolta armata ai poteri dello Stato,
31
che gli affida la direzione del “Proletario”, pubblicato a Paterson sotto
la direzione di Paolo Mazzoli dal novembre 1896, cessando la
pubblicazione nel 1987. Rondani risollevò le sorti del giornale 80 che
divenne il più diffuso settimanale italo-americano, appoggiandolo alla
rete delle sezioni del Socialist Labor Party di Daniel De Leon e
inquadrandolo in una prospettiva chiaramente anti-anarchica e
unionista.
Dopo l'elezione alla Camera nel collegio di Cossato (Biella) nel luglio
1900 tornò in Italia e, nonostante avesse subito a Paterson feroci
attacchi dei gruppi anarchici, venne coinvolto nelle indagini per
l’assassinio di Umberto I, con il pretesto che vi si era trovato contemporaneamente a Bresci. Nella veste di deputato socialista svolse
interpellanze ed interrogazioni sullo scioglimento di una pubblica
riunione a Quistello (Mantova); sulle proibizioni di comizi a Biella e a
Massa Carrara; sugli espulsi nel Transvaal; sull’afta epizootica,
unendosi all’interrogazione di Bissolati, per chiedere al ministro
dell’Agricoltura un’indennità per quei contadini che dalla legge
sanitaria si trovavano espropriati del loro bestiame colpito, ma
nonostante ciò venne attaccato, in quanto rappresentante di un gruppo
parlamentare troppo transigente col governo, dagli ambienti operai del
biellese e dal vecchio compagno emigrante Oreste Mombello.
Continuò i suoi consueti giri di conferenze e nel febbraio 1901 lo
troviamo in Puglia. «Parla come lavora, come si diverte: con poco
il saccheggio, la distruzione. Quindi è che qualunque è la denominazione
giuridica a darsi ai fatti attribuiti agli arrestati, e gli articoli del Codice da
applicarsi, sembra che tali fatti non possano non appartenere alla competenza dell'Autorità Militare di Milano funzionante da Tribunale Militare di
Guerra, tanto per il proseguimento dell'istruttoria quanto pel giudizio”. Il
tribunale militare di Milano, incurante delle testimonianze oculari di uomini
d'ordine elvetici e italiani, si atterrà alla versione delle bande armate, coinvolgendovi anche i principali esponenti socialisti e repubblicani rifugiati a
Lugano
80 A. M. Martellone Una little Italy nell'Atene d'America : la comunità
italiana di Boston dal 1880 al 1920, Napoli 1973 p.156-7; Id. La questione
dell'immigrazione negli Stati Uniti, Bologna, 1980; G. Dore, La democrazia
italiana e l'emigrazione in America Brescia, 1964.
32
ordine, ma brillantemente e con intensità», scriveva Morgari
sul!’’Avanti!, in una intervista a Rondani sui suoi viaggi e sul
«favoloso» numero di conferenze tenute, e ne citava la massima:
«Evitare i grandi uomini... Regolarsi in modo come se la posterità
non esistesse».
Tiene un comizio a Cossato il 28 maggio 1907 di protesta per la
condanna a tre mesi del sindaco che aveva fatto togliere i crocefissi
dalle aule, ma affronta il problema della scuola in modo pragmatico e
non dottrinario anticlericale: “bagni e docce, refezione, aule belle e
sane, giardini, maestri ben pagati“ e polemizza con il nuovo direttore
del ”Corriere Biellese” Mario Guarnieri per il taglio anticlericale e
antimilitarista impresso al giornale.
Se nell'ambito locale cresce la sua influenza e alle elezioni del maggio
1909 ottiene più del doppio dei voti dell'avversario (4790 contro
2279), invece declina la sua presenza ai vertici del Partito nazionale,
che lo avevano visto eletto nell’esecutivo con Lazzari, Dell’Avalle,
Enrico Bertini e Garzia Cassola al quarto congresso (Firenze 11-13
luglio 1896), e riconfermato al quinto (Bologna 18-20 settembre 1897)
con Bertini e Dell’Avalle, segno di un suo defilarsi dalla lotta per il
potere e anche delle lotte di corrente.
All’8 congresso (Bologna 8-11 aprile 1904) è firmatario della mozione ”“intermedia” o di centrodestra, con Rigola, Morgari, Cabrini,
Reina, Scaramuzzi, Lollini e Sacco. Nel 1910 all’interno della vasta
maggioranza riformista si verifica una divaricazione tra Bissolati e
Bonomi da un lato e Modigliani e Salvemini dall’altro. Con 5 voti
contro 4 prevale l’OdG che rispetta l’autonomia del Gruppo
Parlamentare, e Rondani si schiera con la maggioranza del GPS per
l’appoggio al ministero Luzzatto che aveva promesso un allargamento
dell’elettorato. Di fronte all’alternativa tra una riforma parziale ma
immediatamente realizzabile e una campagna per il suffragio
universale proposta da Salvemini che rischiava di rimanere
testimonianza, si schiera con la prima, benchè due mesi prima avesse
approvato l’OdG Canepa-Salvemini che negava l’appoggio a qualsiasi
governo che non avesse nel programma il suffragio universale. Dietro
l’incoerenza apparente c’era la ricerca delle riforme possibili, cui si
aggiungeva la concezione del gruppo dirigente riformista
33
settentrionale dubbioso della maturità rispetto al voto della
popolazione meridionale.
Alla riunione del GPS del 7 aprile 1911 sul caso Bissolati si schiera
coi destri, frenato nell'adesione alla loro linea perchè non condivideva
l’intento di dissolvere il PSI in un Partito del lavoro.
Interviene per l'ultima volta a un congresso nazionale a Reggio Emilia
(7-10 luglio 1912) dove è relatore con Montemartini sull’attività del
GPS, ed emblematicamente, col passaggio della guida del Partito dai
riformisti agli “intransigenti”, resta testimone di un'altra epoca, anche
se sarà rieletto nel 1913 e resterà fedele militante del socialismo fino
all'ultimo.
7. “Ispettore “ dell'emigrazione
Il fenomeno dell’emigrazione assunse in Italia caratteri di massa nel
decennio 1880-90 per la crisi agraria innescata dall’arrivo del grano
americano, divenuto competitivo sui mercati europei con
l'introduzione della navigazione a vapore, e perdurò per la diffusa
povertà di vaste zone dell’Italia fino alla grande guerra.
Il primo provvedimento dello Stato in merito fu nel 1888 la legge n.
5877 del governo Crispi; con la legge n. 23 del 1901 fu poi istituito il
Commissariato Generale dell’emigrazione, che si interessò prevalentemente a quella transoceanica.
Nel 1900 nasce con origine e finalità religiose 81 l’ ”Opera di assistenza
degli operai emigranti italiani in Europa e nel levante” (nota come
Opera Bonomelli dal nome del vescovo di Cremona che la patrocinò).
Lo stesso anno al sesto congresso del Partito Socialista (Roma 8-11
settembre) l’11. punto dell’OdG riguarda l’emigrazione e Rondani,
81 P. Borzomati Giovanni Battista Scalabrini : il vescovo degli emarginati,
1997; Centro studi emigrazione La societa italiana di fronte alle prime migrazioni di massa: il contributo di mons. Scalabrini e dei suoi collaboratori
alla tutela degli emigranti, Roma 1968; S. Tomasi, Scalabriniani e mondo
cattolico di fronte all’emigrazione italiana (1880-1940) e G. Rosoli, L’emigrazione italiana in Europa e l’Opera Bonomelli (1900-1914), in “Gli italiani
fuori d’Italia”, Milano, 1983.
34
propagandista tra i lavoratori italiani in Svizzera e in America negli
anni dell’esilio, ne è il relatore con Cabrini e Majno. 82
Gli emigranti partivano ignorando lingua, costumi, leggi, tariffe,
affidandosi a speculatori o “caporali”: da ciò violazioni del contratto
del lavoro, speculazioni sugli alloggi e i viveri, premi di assicurazione
pagati dagli operai anziché dall’imprenditore e la frequente perdita
dell’ indennità di infortunio, poiché l’operaio non poteva fermarsi fino
alla conclusione di lunghe pratiche.
Inoltre. nel settore edilizio vari scioperi in Svizzera e Germania si
erano conclusi con un insuccesso a causa dell’intervento di crumiri
italiani. L’intervento in favore dell’emigrazione italiana non era quindi
dettato solo da motivi umanitari ma anche da un impegno di
solidarietà verso il movimento operaio europeo, con cui quello italiano
poteva conservare i rapporti solo adoperandosi a debellare il
crumiraggio.
Per l’emigrazione temporanea in Europa le statistiche ufficiali davano
la cifra di 222.725 83 unità nel 1902. Si trattava di un fenomeno in
espansione, visto come positivo perché creava ricchezza e diminuiva
la disoccupazione84 senza privare il paese di energie come invece
accadeva per l’emigrazione permanente. I socialisti erano persuasi che
non si poteva arrestare il fenomeno, ma si poteva disciplinarlo per
farne un fattore di emancipazione e di progresso sociale e civile 85.
82 Pedone I congressi del PSI, cit.
83 “Bollettino dell'emigrazione”, n. 8, 1903. Ma secondo Schiavi tali cifre
andavano più che raddoppiate. Ved. F. Assante Il movimento migratorio
italiano dall’Unita nazionale ai giorni nostri 1978
84 perchè “i lavori che offre il mercato dell'Europa continentale diventano
come una fonte di reddito fisso e sul quale si fa conto, per una grande massa
della nostra classe lavoratrice, così che, un fenomeno determinato da
condizioni anormali, tende a diventare normale ed a entrare come fatto
ordinario nella vita della nazione". G. Montemartini in Resoconto del 2.
Congresso dell'Emigrazione temporanea tenutosi in Milano nei giorni 13 e 14
gennaio 1907 promosso dalla «Società Umanitaria», Milano, 1907
85 Era l'opinione dei socialisti, espressa nell' OdG votato al congresso di
Firenze, che riprendeva la mozione Ellenbogen al congresso di Stoccarda del
1907 dell'Internazionale (10. congresso nazionale del PSI, Firenze, 19-22
35
Poiché il Commissariato Generale dell’emigrazione si occupava quasi
esclusivamente di quella transoceanica, a sopperire alla mancanza di
un’organica iniziativa dello Stato in materia di emigrazione
temporanea continentale (in Francia, Lussemburgo, Svizzera,
Germania, Austria), sorgono i Segretariati per l’assistenza
all’emigrazione86 nelle località in cui era particolarmente rilevante,
primo fra tutti nel 1990 quello di Udine87 fondato da Giovanni
Cosattini,88
I Segretariati e sindacati di categoria come la “Federazione
dell’edilizia” proposero di costituire un ufficio di coordinamento da
affidare all’Umanitaria89, coinvolgendo studiosi e organizzatori del
mondo socialista: Dino Rondani, Giovanni Montemartini, Angiolo
Cabrini, Antonio Vergnanini, Felice Quaglino, Augusto Osimo,
Alessandro Schiavi. Al 1. congresso nazionale dell’emigrazione
temporanea, svoltosi il 22-23 settembre 1903, Osimo a nome
dell’Umanitaria presentò il progetto di un Ufficio fondato sulle
organizzazioni professionali locali e sui Segretariati invece che su
personale stipendiato e della ricerca del concorso finanziario di altri
enti e di un’intesa col Regio Commissariato dell’emigrazione.
settembre 1908. Il Partito Socialista Italiano e la politica dell'emigrazione.
Angiolo Cabrini relatore. Roma. 1908).
86 D.Franchetti "Il segretariato di emigrazione della CdL di Varese. (19041924)" In "Emigrazione e territorio", Varese, 1999; P.Corti "Il segretariato
biellese dell'emigrazione. Strutture organizzative, tradizione migratoria,
spazi istituzionali" In "Democratici e socialisti nel Piemonte dell'Ottocento",
Milano, 1995
87 L'opera della Società Umanitaria dalla sua fondazione ad oggi, I.
maggio 1906, Milano, 1906, pp. 49-51. La provincia di Udine era alla testa
dell'emi-grazione temporanea. Secondo stime ufficiali nel 1902 aveva dato
45.125 emigranti temporanei, su un totale di 222.725 (“Bollettino della
emigrazione”, n. 8. 1903).
88 P. Alatri Giovanni Cosattini (1878-1954) : una vita per il socialismo e la
libertà, Udine, 1994
89 M. Punzo La Società' Umanitaria e l'emigrazione. dagli inizi del secolo
alla prima guerra mondiale, in A.Riosa “Il socialismo riformista a Milano
agli inizi del secolo”, Milano, 1981
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Lo statuto fissava come scopo l'istituzione di uffici per l’emigrazione
temporanea in Europa nei paesi da cui partiva l’emigrazione e in
quelli verso cui era diretta, ma si puntò anche sulla propaganda da
svolgere all’interno per far conoscere le condizioni di lavoro e la
legislazione sociale dei paesi di destinazione e per informarli della
situazione del mercato del lavoro, onde evitare i luoghi in cui erano in
corso scioperi dei lavoratori, ciò che implicava accordi con le
organizzazioni operaie dei paesi europei.
Alla fine del 1903 il servizio in via sperimentale fu affidato all’Ufficio
del lavoro dell'Umanitaria diretto da Alessandro Schiavi, che,
disponendo di una somma appositamente stanziata, si valse dell’opera
degli ispettori viaggiatori dell’Ufficio del lavoro Ernesto Piemonte,
O.Schiassi, Nino Mazzoni, A.Toscani, M.Todeschini, A.Rivolta e Dino
Rondani. Mentre Felice Quaglino, segretario della Federazione
dell’edilizia, già aveva iniziato un’azione basata sulle campagne
invernali nell’Ossola e lago Maggiore, nell’inverno tra il 1903 ed il
1904 furono visitati il Friuli e le provincie di Sondrio, Belluno,
Padova, Parma, Bologna, Rovigo, Mantova.
Il Consorzio tra l’Umanitaria, le province di Reggio Emilia, di
Mantova (entrambe amministrate dai socialisti) e di Sondrio e i
Segretariati per l’emigrazione venne istituito il 23 settembre 1904
presso l’Umanitaria per un periodo di cinque anni, diretto da un
consiglio di nove membri90 Dino Rondani coadiuvato da Benedetto
Giani fu assunto dal Consorzio che gli affidò come compito principale
le ispezioni all’estero. I compiti degli ispettori, il cui numero era
limitato a causa del bilancio di 15.000 lire annuali, erano immensi: in
Italia avrebbero visitato durante l’inverno i centri di emigrazione per
assumere le necessarie informazioni sul presunto esodo della stagione
estiva e sulla sua destinazione91, diffondere notizie, fornire gli indirizzi
90 Comprendeva Giovanni Montemartini (presidente) Angiolo Cabrini ed
era affiancato da un comitato in cui erano rappresentate le organizzazioni
professionali. di cui facevano parte Cosattini e Quaglino. Le province aderenti passarono da 3 a 11 ma il loro contributo fu assai scarso a confronto
dell’impegno finanziario dell’Umanitaria.
91 Scrivendo a Rondani, che in quel momento si dedicava alla propaganda
invernale in Italia, Schiavi sottolineava l'importanza delle statistiche: «A me
37
delle persone e delle organizzazioni cui fare riferimento nelle varie
località, adoperarsi per l’istituzione di scuole popolari e di scuole
professionali, cercare di fondare nuovi segretariati. All’estero
avrebbero dovuto occuparsi del collocamento e della tutela degli
emigranti, assumendone anche il patrocinio
Cabrini però riteneva che l’azione dovesse basarsi sulla rete di
segretariati in Italia e di organismi analoghi all’estero e insisteva che
«Il lavoro che si compie all’estero, forzatamente slegato, incerto,
insufficiente, non vale quello compiuto nella stagione invernale,
quando gli emigranti son tornati alle proprie case», consigliava di
collaborare con le organizzazioni tedesche e proponeva che
sull’azione del Consorzio vigilasse il Segretariato nazionale della
resistenza (dal 1906 Confederazione generale del lavoro CgdL) 92
Sull’idea che l’azione del Consorzio dovesse basarsi «sul perno
dell’organizzazione operaia» concordavano sia il presidente Giovanni
Montemartini sia Alessandro Schiavi, che ne aveva avviato il
funzionamento.
Il lavoro del Consorzio rivolto all’estero, iniziato con la
corrispondenza con le organizzazioni operaie svizzere, austriache,
tedesche, proseguì nell’estate del 1904 con i viaggi di Cabrini in
Germania, di Rivolta in Francia in Svizzera e di Rondani in
Lussemburgo e in Germania, che consentirono di delineare una mappa
dei problemi dell’emigrazione temporanea nei diversi paesi e di
individuare gli interlocutori: erano pronti a collaborare i sindacati
svizzeri, tedeschi e austriaci, a patto che parte italiana vi fosse
l’impegno di favorire l’iscrizione alle federazioni di mestiere ma in
Francia non fu possibile stabilire accordi con la Federazione delle
borse del lavoro di Parigi.
poi occorre avere per ogni centro che visiterai una inchiesta sommaria del
numero degli emigranti abitualmente ogni anno, sul mestiere che fanno in
patria e relativo salario, sul paese dove emigrano mestiere che vanno a fare,
salario che percepiscono e pericoli che ordinariamente incontrano (Archivio
Società Umanitaria (da ora ASU), f. 2 e., lettera in data 8.12.1903).
92 ASU, b. E XXVI11-3. f. 764. Seduta del Consorzio dell' 8 settembre
1904.
38
Erano state previste due agenzie sul confine italo-svizzero e due su
quello svizzero-tedesco, con funzione sia di patronato che di statistica,
per individuare i luoghi di destinazione; esse furono istituite a Basilea
(gestito dalla comunità italiana), a Chiasso (affidato alla Camera del
lavoro di Lugano), a Losanna (curato dalla “Federazione muraria di
lingua italiana” che assunse una grande importanza per l’apertura del
Sempione), e a Bellinzona. La funzione degli uffici di confine era di
aiuto agli emigranti nelle pratiche ferroviarie, facendo loro ottenere le
tariffe preferenziali cui avevano diritto, fornendo loro informazioni e
in qualche caso fungeva da ufficio di collocamento, suscitando le
diffidenze degli organizzatori operai.
Nel 1906 col contributo del comune di Milano cominciò a funzionare
presso la stazione centrale la Casa degli emigranti che offriva un
ricovero gratuito, cucina, informazioni sugli itinerari e i mercati del
lavoro con una media annua di 40-50 mila passaggi,, con punte di
90.000 nel 1911.
A Fontaneto d’Agogna (Novara) fu organizzato un Congresso
dell’emigrazione il 1 gennaio 1907, presieduto da Dino Rondani. Si
discusse della partecipazione degli emigranti alle elezioni invernali,
degli uffici di confine, dell’adesione alle organizzazioni economiche
all’estero e dell’emigrazione interna. Il Congresso collegiale socialista
di Borgomanero espresse voti per l’istituzione di un Segretariato
d’emigrazione in collaborazione con l’Umanitaria e, nello stesso anno,
sorse ad Arona il Segretariato d’emigrazione per il Lago Maggiore,
L’Umanitaria all’inizio del 1906 costituì il Segretariato per
l’emigrazione interna, per il collocamento e l’assistenza dei lavoratori
dei campi durante i mesi di sosta dell’emigrazione europea, e
nell’ottobre coordinò tra loro le attività dell’Ufficio dell’emigrazione
interna, del Consorzio per l’emigrazione temporanea in Europa e
dell’Ufficio di collocamento gestito assieme alla Camera del lavoro,
affidandone la supervisione ad Angelo Cabrini.
Rondani veniva a trovarsi in una posizione delicata, poiché
l’Umanitaria assumeva di fatto la direzione del Consorzio e Cabrini
39
nella primavera del 1907 preparò un progetto 93 che ne prevedeva lo
scioglimento. I segretariati dell’emigrazione sarebbero passati al
nuovo ufficio per diventare «una delle tante branche», con questi
obiettivi: “Azione netta precisa concreta. Cardine dell’azione stessa
sia questo concetto: l’Ufficio sorge a integrare l’azione delle
organizzazioni proletarie in quella parte che riguarda l’emigrazione
temporanea in Europa. L’Ufficio non deve pretendere di sostituirsi
alla divina provvidenza per ridursi a sfarfalleggiare su mille questioni
diverse e non esaminarne alcuna ... Le funzioni di «Croce Rossa» si
lasci ad altri Istituti: è al mercato del lavoro che si deve tendere lo
sguardo e dirigere l’opera. L’asilo-ricovero, la riduzione ferroviaria,
l’assistenza infortuni siano funzioni accessorie: l’Ufficio si applichi a
disciplinare il collocamento insieme con le organizzazioni di mestiere;
a rimuovere le cause del crumiraggio; agevolare alle organizzazioni
di mestiere la stipulazione di convenzioni internazionali; a
promuovere nei diversi Stati accordi legislativi favorevoli agli
emigranti”.L’ufficio di Milano compilò guide dei singoli paesi e un
servizio di informazione sulle offerte di lavoro e sulle condizioni di
vita delle singole località.
Il 19 luglio 1907 Cabrini, Della Torre, Osimo, Pagliari, Schiavi e
Samoggia decidevano, d’accordo con l’Umanitaria, di procedere allo
scioglimento del Consorzio. Il Direttivo il 30 luglio 1907 della CGdL
espresse parere favorevole e il 17 settembre era ratificava la decisione.
Mentre si procedeva alla chiusura degli uffici di confine 94, si svolse
un’indagine. Rondani veniva accusato di privilegiare le funzioni
ispettive a scapito di quelle direttive 95 del Consorzio. I corrispondenti
di Berna e di Basilea lo accusarono di avere svolto con le sue
ispezioni un lavoro inconcludente, secondo quelli di Berna sarebbe
stato meglio istituire nei centri principali della Svizzera degli uffici
93 ASU b. E XIV 1. f. Interrogatori a Milano, Reggio, Udine ecc. Rondani,
Cabrini, Schiavi, Pagliari, Ciani, Mazzoni, Quaglino, Vergnanini, Cosattini,
relazione e proposta di Cabrini.
94 Continuarono a funzionare l'ufficio di Chiasso e la Casa degli emigranti
di Milano. Nel novembre 1908 venne aperto anche un ufficio a Pontebba dal
Segretariato di Udine.
95 ASU, b. E XXVI11-3 f. 764, seduta del Consorzio 12 gennaio 1907.
40
con personale fisso, ciò avrebbe permesso di affrontare con maggiore
serietà anche il collocamento, che veniva considerato la funzione più
difficile. Da un altro lato giungeva l'accusa di Serrati di interventi
assistenziali non classisti e dell'assenza degli emigranti al convegno
organizzato dalla Camera del Lavoro con l’Umanitaria. Per Rondani
queste parole sono il frutto di un temperamento critico e ingiusto, che
lo portava “a commettere delle azioni che per un nemico sarebbero
delle bricconate letterari e per un amico delle bricconate
autentiche”96
Rondani protestò per il licenziamento da direttore ma accettò di
collaborare svolgendo il compito, per cui veniva ritenuto più adatto, di
ispettore97 e l’Ufficio dell’emigrazione dell’Umanitaria, sotto la
direzione di Osimo e di Cabrini 98, proseguì il lavoro in precedenza
svolto dal Consorzio senza spezzarne la continuità. 99
Le ispezioni di Rondani costituirono nel corso del 1908 e 1909
un’attività fondamentale del nuovo ufficio. 100 Il loro scopo doveva
essere quello di organizzare in Italia uffici e segretariati per l’emi grazione e il collocamento dei contadini, in collaborazione con
l’Ufficio agrario, cooperando al buon andamento ed all’incremento
degli uffici e dei segretariati già esistenti. Gli ispettori dovevano anche
effettuare visite, sia in Italia sia all’estero, per importanti collocamenti
di mano d’opera e per assumere notizie dirette sulle condizioni del
mercato del lavoro. Non vi era quindi, a parte la collaborazione tra i
vari uffici dell’Umanitaria che si occupavano di collocamento,
nessuna sostanziale novità rispetto alle linee generali di azione del
96 D. Rondani, in ” L’Avvertire del lavoratore”, Lugano, 19.1.1907
97 ASU, b. E XIV-1, f. 1040, lettera di Rondani del 16 novembre al
presiden-te dell'Umanitaria
98 Nel novembre 1906 Cabrini si era dimesso dal CdA del Consorzio, in
seguito all'incarico affidategli dal consiglio dell'Umanitaria «per lo sviluppo
dell'assistenza all'emigrazione per l'interno e l'estero»
99 Sull'ordinamento del nuovo ufficio, L'Umanitaria e la sua opera, p. 90;
Note illustrative del Bilancio preventivo per l'esercizio 1908, s.d., « II nuovo
ordinamento dei servizi di emigrazione ».
100 In ASU, b. E XIV-2 sono contenute le relazioni delle ispezioni di
Rondani e altri nel 1907-08
41
Consorzio, segno che una volta eliminata la causa che ne aveva
inceppato lo sviluppo, la sua opera veniva considerata nel complesso
positiva.
L’esperienza del Consorzio aveva consigliato di porre limiti precisi ai
poteri d’intervento degli ispettori e di assicurare con una
specificazione dei compiti l’organizzazione del servizio, al cui
funzionamento doveva provvedere la Direzione cui spettava assegnare
le zone di lavoro agli ispettori, che dovevano inviare giornalmente un
rapporto dettagliato, la corrispondenza e le trattative con l’estero. Un
accordo sulle competenze fu raggiunto l’11ottobre 1908 a Torino tra il
Direttivo della CgdL, i Segretariati laici dell’emigrazione e
l’Umanitaria, stabilendo “spettare alla CgdL e alle federazioni
nazionali di mestiere la direzione della politica sindacale
dell’emigrazione (organizzazione, tariffe, convenzioni internazionali,
ecc.) e agli uffici e segretariati degli emigranti quell’opera di
assistenza che si estrinseca con iniziative di istruzione popolare, di
patrocinio legale, di rilievi statistici. Tali uffici e segretariati devono
peraltro integrare l’azione dei sindacati di mestiere anche nel campo
dell’organizzazione di classe, procedendo però sempre d’accordo con
la Confederazione generale del lavoro e le federazioni interessate”.
Questa formulazione rigida del principio di non scavalcare i sindacati
concedeva in effetti ai segretariati e all’Umanitaria un margine di
iniziativa una volta che si fossero dichiarati ligi alle loro direttive e in
questo modo fu possibile che il collocamento, su cui la Federterra si
era espressa in termini rigidi, 101 divenisse poi il campo di un'iniziativa
dell’ Ufficio emigrazione102, in collaborazione con il settore cooperativo103.
101 3.Congresso nazionale lavoratori della terra, Reggio Emilia, 7-8-9
marzo 1908. I problemi dell'emigrazione e i lavoratori della terra. Angiolo
Cabrini, relatore per l'Ufficio dell'Emigrazione dell'Umanitaria, Milano,
1908.
102 Società Umanitaria. Ufficio di emigrazione, IV Convegno annuale dei
segretariati laici di emigrazione, Milano, 24 febbraio !911. Verbale del
convegno e relazioni sommarie dei Segretariati aderenti per l'anno 1910,
Milano, 1911, Relazione di Vaiar, pp. 17-19.
42
Al 3. Convegno degli uffici e segretariati dell’emigrazione 104 l’Ufficio
centrale poteva mostrare di aver superato il periodo iniziale della
propria attività e di attraversare una fase di ulteriore espansione: erano
ormai in funzione 21 tra segretariati e uffici locali dell’emigrazione,
mentre si infittiva la rete dei corrispondenti all’estero 105. Grande era
anche la mole del lavoro di assistenza per infortunio, collocamento,
vertenza coi padroni per salari, maltrattamenti e altre eventualità e per
la compilazione di pratiche per cui vi era bisogno di un interprete 106. A
questo si aggiungeva il costante sforzo per costituire biblioteche per
emigranti107 e quello per una legislazione a favore dell’emigrazione,
per la quale si prodigò soprattutto Cabrini. Per sviluppare questo
settore nel 1909 Cabrini fondò un ufficio romano per l’azione
parlamentare
e legislativa108. I segretariati laici dell’emigrazione
continuavano a svilupparsi109 anche nel Sud. La propaganda invernale,
103 ASU. b. XIV 17, f. 548, lettera di Cabrini e C. De Michelis, regio
addetto dell'emigrazione italiana in Svizzera, in data 15 ottobre 1908; f. 1038,
pratiche di intesa colla Lega nazionale delle cooperative di Milano per un servizio di ispezione alle cooperative di consumo italiane in Svizzera.
104 Società umanitaria. Ufficio dell'emigrazione, L'assistenza laica dell'E migrazione temporanea in Italia e all' estero. Relazioni al 3. convegno degli
Uffici e Segretariati dell'Emigrazione, Milano 15,11.1909, Udine, 1910.
105 ASU, b. E XIV-7 e 12.
106 ASU, b. XIII 1.
107 Già il Consorzio aveva istituito le biblioteche per gli emigranti
“Edmon-do De Amicis”, finanziate con il concorso del regio commissariato
dell'emi-grazione (L'Umanitaria e la sua opera, cit., p. 91).
108 Relazioni di Cabrini al IV (op. cit.. pp. 23-36) e al V congresso: Società
umanitaria, Ufficio di emigrazione, V Convegno annuale dei segretariati laici
di emigrazione, Milano 3-4 dicembre 1911. Verbali del Convegno e relazioni
annuali dei Segretariati aderenti, Milano, 1912, pp. 29-32
109 IV Convegno nazionale dei segretariati laici di emigrazione, cit., pp. 323; V Convegno annuale dei segretariati laici di emigrazione, cit., pp. 16-27;
40-49;64-65. ASU, b. R 111 1 f. 1912, VI convegno dei segretariati laici dell'
emigrazione, Milano, 4-6 dicembre 1912; b. R III 2, f. 1914. deliberazioni del
VII convegno dei segretariati laici di assistenza agli emigrati (Milano, 20-2122 dicembre 1913); b. R IV 1, f. 1914, relazione al regio commissario per
43
fulcro dell’attività dell’Ufficio, stava dando buoni risultati: gli italiani
avevano finalmente perso la fama di crumiri, di cinesi d’Europa e di
rompi-sciopero.
8. Tra impresa libica, grande guerra, dopoguerra
L'impresa libica ebbe gravi ricadute sul socialismo italiano che al
congresso di Reggio Emilia del 1912 espulse dal partito i riformisti di
destra filotripolini, mentre i riformisti di centro (Turati) e di sinistra
(Modigliani) furono colti di sorpresa e spiazzati da questa svolta della
politica giolittiana che bloccava il loro avvicinamento al presidente
del consiglio e finirono per adottare l'impostazione salveminiana e
liberista dell'antitripolismo, che proponeva un criterio differenziato
nella valutazione del colonialismo in rapporto al modello
liberoscambista inglese, e sulla stampa e nei comizi usarono le accuse
di «tradimento» e «ingiustificata pazzia». Solo la frazione
intransigente si oppose all'impresa libica rivendicando la concezione
dottrinaria del socialismo.
Prima del congresso la guerra aveva provocato una momentanea
scissione nel Gruppo Parlamentare (GPS) nel febbraio con la
contrapposizione di due linee: mentre Pescetti proponeva di prendere
la parola alla Camera per esprimere l’omaggio ai caduti, Turati
sosteneva che si dovesse essere presenti senza però partecipare alla
cerimonia di omaggio, e il suo OdG venne votato da Rondani, che
votò anche, a differenza del resto del Gruppo Parlamentare,
l'annessione della Tripolitania e della Cirenaica al Regno d'Italia. 110
Con lo scoppio del conflitto mondiale la sua fedeltà al riformismo
turatiano, sorretta dal legame con il movimento dei lavoratori
socialisti, gli impedì le ambiguità interventiste del deputato socialista
di Santhià Umberto Savio. Il suo impegno politico fu particolarmente
rivolto ai doveri elettorali ed agli incarichi di natura sociale svolti per
l’Umanitaria, e rivolti all’assistenza ai disoccupati e, a guerra finita, al
rimpatrio dei profughi e dei prigionieri.
l'emigrazione sull'attività svolta nel 1913, in data 14 maggio 1914.
110 "perchè leggero" secondo Turati. Carteggio T.-Kuliscioff, Vol.3, p.680 e
44
703.
Dopo la guerra fu rieletto alla Camera dei deputati nel 1919 e 1921
non più per il collegio uninominale di Cossato ma, nelle prime
elezioni a suffragio universale maschile con il sistema proporzionale,
per il collegio della provincia di Novara.
Nel febbraio 1920 si recò in Calabria presso la Lega di S.Giovanni in
Fiore111 per verificare l’applicazione del decreto Visocchi 112 a marzo in
Svizzera per i renitenti e disertori lì rifugiati, poi a Trento e di nuovo a
maggio in Sicilia e Calabria
Fece parte della delegazione del PSI al II Congresso
dell’Internazionale comunista (Mosca, luglio 1920) come
rappresentante del gruppo parlamentare, ma la sua voce nei dibattiti
interni del partito risuonava sempre meno: partecipò senza intervenire
ai congressi di Roma (1918), Bologna (1919), Livorno (1921), Milano
(1921), Roma (1922). Al congresso di Milano aderisce alla mozione
intermedia (tra Serrati e Turati) di Cesare Alessandri, a quello di
Roma vota la mozione riformista aderendo al Partito Socialista
Unitario (PSU) di Turati, Treves, Matteotti come quasi tutta la
dirigenza piemontese del PSI con l'eccezione di Romita, Barberis,
Amedeo e pochi altri. Fa parte con altri sei (Caldara, ecc.) della
Direzione del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI) che
sostituisce nel 1925 il PSU sciolto all’indomani dell’attentato
Zaniboni.
9. Esilio a Nizza
Il fallito attentato di Bologna contro Mussolini del 31 ottobre 1926,
attribuito al giovane Anteo Zamboni, fu utilizzato per deliberare il 5
novembre la soppressione dei giornali antifascisti, lo scioglimento dei
partiti, l’istituzione del confino di polizia e del Tribunale speciale per i
reati contro il regime113. Come in occasione dei fatti del ‘98, quando
era riuscito al espatriare in Svizzera prima dell’arresto saltando da un
111 “Corriere Biellese” 24.2.1920
112 Decreto Visocchi (2 settembre 1919) sulle concessioni di terreni incolti a
cooperative da parte dei prefetti.
113 C.Longhitano, Il Tribunale di Mussolini: storia del Tribunale Speciale
1994; A.Aquarone, L'organizzazione dello Stato totalitario, Torino, 1978
45
treno in corsa, così ora evitò il confino inflitto a tutti gli antifascisti
noti grazie alle sue doti di prudenza e preveggenza. Ad ottobre aveva
richiesto un passaporto per Londra come esportatore e giusto in tempo
prima dell'introduzione delle leggi eccezionali, evitando l’espatrio
clandestino cui dovette ricorrere Turati, riparò a Nizza, dove con
Baldini, Turati, Treves, Buozzi, Modigliani e altri fuorusciti collaborò
alla ricostruzione del Partito socialista unitario del lavoratori italiani
(PSULI).
Il PSULI ha un numero di iscritti inferiore a quello dei massimalisti e
dispone di tre sezioni (Parigi, Tolosa e Lione) contro le sette
massimaliste, ma poteva contare su dirigenti di notorietà
internazionale e godeva dell'appoggio del partito francese (SFIO) e
delle sovvenzioni dell'Internazionale socialista (IOS). Inoltre erano in
maggioranza riformisti i dirigenti della ricostituita CgdL. Collabora,
oltre che a ""Rinascita socialista" al «Corriere degli Italiani», fondato
da ""popolare" Luigi Donati.
Già nel 1927 divenne presidente per la regione delle Alpi marittime
(Nizza) della ""Lega italiana dei diritti dell'uomo" (Lidu) 114 fondata da
Luigi Campolonghi e Alceste De Ambris, entrando quindi nella
Concentrazione antifascista che, con il suo programma di propaganda
e di assistenza, le sue radici liberal-massoniche, i suoi legami con
Turati, Treves e Modigliani sembrava ricostituire l'ambiente della sua
giovinezza di propagandista viaggiante e di esule politico: raccolta di
sottoscrizioni per i giornali antifascisti, conferenze e feste familiari per
il 1. maggio, per commemorare Garibaldi o Matteotti, aiuto ai
connazionali e contemporaneamente una serie svariata di contatti e
incontri dal 1927 al 1930 soprattutto con gli ambienti inglesi del
Labour Party e del gabinetto di Ramsay Mac Donald, ma anche con il
duca di Canterbury zio del re d'Inghilterra che villeggiava a St. Jean
Cap Ferrat.
Nel 1927, organizzò con il giovane Sandro Pertini, a Nizza, un ufficio
di assistenza legale per gli emigrati e, insieme a Francesco Cicciotti,
fu difensore dello stesso Pertini nel processo del 1929 per la radio
clandestina.
114 Dove è attestata una sua conferenza il 24 giugno 1927
46
Fece parte del ""Comitato per l'azione in Italia" costituito nel 1928, e
nel 1929 della ""Commissione per la propaganda in Italia", presiedute
entrambe da De Ambris.
E' delegato della sezione di Nizza al 21. Congresso (primo dell'esilio)
tenuto a Parigi il 29-30 luglio 1930, che è anche il congresso della
riunificazione con il partito massimalista (o meglio con l'ala guidata
da Nenni, mentre una parte con Angelica Balabanoff ne rimarrà fuori)
(segretario politico Ugo Coccia).
Si occupò con alterna fortuna in traffici commerciali che, come
membro dell’Alleanza cooperativa internazionale, agli inizi della
stagione calda lo portavano regolarmente nel nord dell'Europa e in
particolare a Londra. Vera Modigliani ne tracciò un ritratto: 115
Dal 1931, dopo la proclamazione della Repubblica in Spagna, gli esuli
italiani guardavano a Madrid, e molti vi si erano trasferiti, da Rosselli,
Bassanesi, De Rosa, Tarchiani, al repubblicano Natoli, allo stesso
Rondani 116
Con il 1933-34 la vita politica europea subisce un'accelerazione: in
Germania arriva al potere Hitler e viene inaugurata la politica dei
fronti popolari. Per il partito socialista furono gli anni dello
scioglimento della Concentrazione e della nascita del Centro Interno,
del patto di unità d'azione con i comunisti e dell'impegno in Spagna. Il
115 Vera Modiglioni: Esilio. Milano, 1946 pag. 159-60 “Se il suo fisico vi si
prestasse, se fosse, cioè, più alto e meno rotondetto, potrebbe passare per il
«gentleman» inglese di cui ha tutto il modo di fare. Vissuto a lungo in
Inghilterra (è, come Bocconi; un veterano dell’esilio: era già stato profugo
nel ‘98) trova che tutto ciò che è inglese è buono e bello. Elegante,
inappuntabile, per un difetto della vista porta spesso la caramella all’occhio,
si ostina – e ci riesce! - a non voler invecchiare. Porta con disinvoltura la
sua calvizie ed i suoi capelli grigi; sempre perfettamente raso, tiene appena
due baffetti tagliati con arte sapiente. È un igienista: adora i frutti, i fiori, le
lunghe camminate per le strade di montagna. Vive bene nel clima di Nizza
non si è lasciato adescare da Parigi e fa vivere bene quelli che gli stanno
intorno perché, non sprovvisto di mezzi, è generoso e buono. E siccome è
anche in buona salute, si mantiene speranzoso e studia e fa studiare i
problemi della ricostruzione italiana nel dopo fascismo e dopo guerra nella
luce del proprio ottimismo”
116 E.Santarelli, Pietro Nenni, Torino, 1988, pag. 182
47
tradizionale pacifismo perde il carattere di intangibilità per diventare
oggetto di discussione.
Al 22. Congresso, tenuto a Marsiglia nell'aprile 1933 non è presente
ma invia un telegramma di adesione da Barcellona.
Nel 1934, dopo il patto d'unità d’azione con i comunisti, quando si
accende il dibattito sul pacifismo socialista, fa sua la parola d'ordine
della difesa dell'URSS che riteneva per la sua stessa natura sociale non
potesse impegnarsi in guerre d'aggressione e propugna il «disfattismo
rivoluzionario» da opporre ai regimi fascisti in caso di guerra.
Al 23. congresso, tenuto a Parigi dal 26 al 28 giugno 1937 è delegato,
con Filippo Amedeo e Saragat, della Federazione del Sudest e Centro
che conta più di 50 sezioni. Presenta un OdG che dice ""il congresso
invita la Direzione a nominare un Comitato che prepari i materiali
teorici e tecnici per lo studio dei problemi italiani e internazionali. Ed
a pubblicare su questi problemi una serie di opuscoli per orientare il
lavoro intellettuale del partito" 117
Amareggiato dalle discordie che dividevano i fuorusciti antifascisti,
dopo il 1937, rallentò la sua attività: lasciò la Lidu per diventare
presidente della sezione di Nizza della Unione popolare italiana, a cui
aveva aderito anche Campolonghi.
Alla fine del 1939 la direzione socialista emana un documento 118 stilato da Tasca, in cui l’URSS e i regimi fascisti sono accomunati dallo
stesso carattere totalitario e dice Morgari in un suo documento 119 che
la politica socialista è perciò compatibile con l’alleanza anglo-francese
ma esclude per ciò stesso i comunisti dal campo antifascista. Nel 1940
quando il regime di Vichy sciolse d’autorità le autorizzazioni politiche, era segretario della sezione socialista di Nizza.
Ha 73 anni quando, il 7 dicembre 1940, spinto dalla sua compagna
Dorina Segala si reca dal commissario di P.S., fa atto di sottomissione
al regime e chiede di poter rientrare in Italia., ma non attua questo
117 Pedone, cit., vol 4, pag. 151
118 Il PSI e la situazione internazionale, “Il nuovo Avanti”, 23.12.1939 e
“Libera stampa”, 2 e 4.1.1940
119 O.M., Criteri realisti di una politica dell'antifascismo italiano”, cit. in
L.Rapone, Da Turati a Nenni, pag.282
48
proposito:“Prudentissimo ma dignitoso nel riaffermare i suoi ideali
socialisti” lo ricordava Giorgio Amendola 120 che lo conobbe a Nizza
nel 1942.
In risposta allo sbarco anglo-americano nell’Africa settentrionale,
Hitler abolisce lo stato fantoccio di Vichy e lo occupa militarmente.
Gli oppositori del fascismo vengono arrestati e consegnati alla polizia
italiana. Con la medesima dignità attraversò alla fine dello stesso
anno, settantacinquenne e semicieco, la durissima e umiliante prova
della estradizione nell’Italia fascista, degli interrogatori, delle
minacce, del carcere, del domicilio coatto. E’ catturato il 29 novembre
di quell’anno; dopo 18 giorni nel carcere di Mentone è trasferito a
Forlì dove, semicieco, scrive una domanda di grazia a Mussolini,
senza pronunziare mortificanti abiure. Viene scarcerato il 27 dicembre
con obbligo di residenza a Milano presso una parente. Dopo la caduta
del regime, nel luglio 1943, si trasferisce a Villaguardia (Como) e poi
in una casa di cura di Como, sotto sorveglianza. Dimesso a febbraio
riprende l’attività clandestina ed è arrestato a marzo e si salva dalla
deportazione in Germania, liberato fortunosamente il 25 aprile.
10. Nel secondo dopoguerra
Espatriato da Biella nell’ottobre 1926, poco prima che fossero
emanate le leggi eccezionali, vi ritorna dopo un ventennio e si
inserisce nella attività del Partito tenendo conferenze con Ernesto
Carpano e Virgilio Luisetti in occasione delle elezioni per la
Costituente. Torna poi però a Nizza, dove era stato nominato
commissario per le opere assistenziali del Consolato italiano 121 e dove
presiede la “Società amici della Francia”
E’ presente comunque al congresso straordinario del PSI tenuto a
Genova dal 27 giugno al 1° luglio 1948, dopo la sconfitta elettorale
del fronte popolare avvenuta il 18 aprile. Aderisce alla mozione “Per il
socialismo” firmata da Giuseppe Romita, secondo cui occorreva un
partito socialista riunificato, autonomo e sciolto dall’unità d’azione
col PCI, con cui erano possibili intese per la difesa delle libertà
120 G.Amendola, Lettere a Milano, Roma, 1973, pp 66
121 “Corriere Biellese”, 7.3.1946
49
democratiche, che ottiene il 26% dei voti, conto il 42% di “Riscossa
socialista” e il 31% della Sinistra.
Al successivo 28. Congresso di Firenze nel maggio 1949 la “Sinistra”
conquistò la maggioranza e Rondani come gli altri seguaci della
mozione di Romita che aveva ottenuto solo il 9% dei voti uscì dal PSI,
confluendo dopo breve tempo nel PSDI di Saragat. Fu questa la sua
ultima presenza attiva nel socialismo italiano.
Ritiratosi definitivamente a Nizza, qui si spense il 24 giugno 1951,
all'età di 83 anni122
122 Viene commemorato nella seduta di giovedì 28 giugno 1951 da Pirazzi
Maffiola. Atti della Camera p. 29037
50
Fausto Pagliari: tracce per una biografia politica
Nato a Cremona nel 1877, si forma negli ambienti della democrazia
positivista lombarda; laureatosi in scienze economiche alla scuola
superiore di commercio Ca’ Foscari di Venezia, si perfeziona a Vienna
e nel 1902 Giovanni Montemartini 123 lo chiama a Milano a
collaborare all'Ufficio del lavoro della Società Umanitaria 124.
Nel 1905 vi costituisce l'Ufficio d'informazioni e traduzioni, poi cura
gli Uffici di collocamento e la Cassa di sussidio alla disoccupazione,
infine ne diventa Segretario nel 1911. Quasi giornalmente interviene
con articoli, rubriche fisse, recensioni su “Critica Sociale” e la
“Confederazione del Lavoro”. E’ questa imponente opera di documentazione sugli eventi e problemi del movimento operaio internazionale
e italiano compiuta sulle riviste e i libri che pervenivano all’
Umanitaria, l’asse centrale della sua attività.
1. La Società Umanitaria e le riforme nella società industriale
A cavallo tra XIX e XX secolo riformismo socialista, “scuole”
universitarie di economia125 e alcuni innesti della burocrazia giolittiana
123A. Cardini Marginalismo, liberismo e socialismo: Giovanni
Montemartini “Annali Feltrinelli, 1999; “La cultura delle
riforme in Italia fra Otto e Novecento: i Montemartini” atti
Seminario, Milano, 1986
124 Fondata a Milano nel 1983 dal finanziere Mosè Loria, diede vita a
iniziative come corsi professionali e quartieri modello di edilizia popolare;
R. Bauer “La Società Umanitaria, Fondazione P. M. Loria” Milano, 1964;E.
Decleva “Etica del lavoro, socialismo, cultura popolare: Augusto Osimo e
laSocietà Umanitaria”, Milano, 1985. Il fascicolo personale di Pagliari è in
ASU (Archivio Società Umanitaria), c. B. VII. 21
125 Specialmente a Torino: R. Marchionatti , G. Becchio “La scuola di
economia di Torino: da Cognetti de Martiis a Einaudi”, Torino, 2005; M.
Guidi, L. Michelini Marginalismo e socialismo nell'Italia liberale, 18701925 “Annali Feltrinelli”, 1999. IlLaboratorio di Economia Politica, fondato
nel 1893presso l’Università di Torino conduceva ricerche di economia
applicata alle questioni del lavoro, dell’emigrazione, ecc. Allievi del
Laboratorio furono tra gli altri Luigi Einaudi, Attilio Cabiati, Antonio
51
convergono nello sforzo di trasformare le istituzioni liberali in modo
da farle convivere con la struttura conflittuale della società industriale,
elaborando una teoria «aperta» del movimento operaio aperta ad una
politica di riforme che includeva un certo tasso di conflittualità
operaia.
Attilio Cabiati126 era stato il primo direttore dell'Ufficio del Lavoro
dell' Umanitaria e uno degli intellettuali della «Riforma Sociale»
mentre Montemartini negli anni ’90, tenutosi ai margini
dell’eclettismo metodologico dell'«economia sociale» italiana di
Achilli Loria127aveva tentato il recupero della «lotta di classe» nella
sfera delle «precondizioni» dell'equilibrio economico generale: «Far
progredire la scienza con ricerche che delineano con sempre maggior
precisione le 'leggi' dell'economica ed insieme agire politicamente per
ridurre ed eliminare progressivamente gli squilibri causati dalle
coalizioni d'interessi che stanno dietro ai diversi fattori di produzione,
questo, secondo il giovane professore di Pavia, il compito per chi
volesse essere, nella pienezza di tutti e due i termini, economista e
socialista».128
Si instaurò una fattiva collaborazione tra Cabiati, Riccardo Bachi 129 e
Montemartini (che lo affiancò alla direzione dell' Ufficio del Lavoro
del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio) anche sulla
questione delle municipalizzazioni dei sevizi pubblici comunali 130
Graziadei, Riccardo Bachi. Dal 1903 al 1932 fu diretto da Achille Loria.
Gran parte delle ricerche del laboratorio furono pubblicate su “ La Riforma
Sociale”, fondata nel 1894 da Francesco Saverio Nitti cui si affiancò dal
1901 Einaudi fino al 1935 quando la rivista cessò le pubblicazioni.
126G. Becchio Attilio Cabiati fra socialismo cooperativo e marginalismo in
“Annali Feltrinelli”, 1999, p.137-150
127A. d'Orsi “Achille Loria”, Torino 2000
128 P. Favilli, “Il socialismo italiano e la teoria economica di Marx” (18921902), Napoli, 1980, p. 107.
129A. M. Ratti “Vita e opere di Riccardo Bachi” Milano, 1960
130A. Berselli, F. Della Peruta, A. Varni “La municipalizzazione
nell'area Padana : storia ed esperienze a confronto”, Milano,
1987
52
Alessandro Schiavi131, che sostituì Cabiati alla direzione dell'Ufficio
del Lavoro, curava una rubrica sindacale per «La Riforma Sociale»
che come motivo portante aveva la regolamentazione legislativa dei
conflitti tra capitale e lavoro.132
Nel progetto del 1902 per l'Ufficio del Lavoro dell’Umanitaria si
prevedeva il coinvolgimento diretto delle organizzazioni operaie nel
processo decisionale della ricerca, che avrebbe dovuto svilupparsi
seguendo la linea della «modernizzazione» delle relazioni industriali.
Lo sforzo per la penetrazione dell'elemento «lavoro» nell'amministrazione dello Stato, per la professionalizzazione degli strumenti di
analisi del movimento operaio, per la creazione di una rete di rapporti
ed istituzioni in grado di mettere il fattore lavoro su un piede di parità
col fattore capitale, accomunarono ancora a lungo economisti liberali
e socialisti.
2. Il salotto della signora Anna e il sindacato di Rigola
Apprezzato da Anna Kuliscioff 133 si inserisce rapidamente nell'ambiente riformista milanese. Da Turati deriva la concezione del socialismo come umanità che si riscatta dalle tare della società borghese e
come riorganizzazione della società sulla base della superiore capacità
tecnica, politica e morale dei lavoratori.
131 M. Ridolfi “Alessandro Schiavi: indagine sociale, culture
politiche e tradizione socialista nel primo '900”, Cesena, 1994;
Q. Versari, “Un riforma-tore: Alessandro Schiavi nella storia del
socialismo italiano”, Bologna, 1986; G. Silei “Alessandro
Schiavi: il socialista riformista”, 2006
132 A. Schiavi, Due anni di agitazioni proletarie «La Riforma Sociale»,
1902, p. 153-180; Lavoratori e padroni nel1902, ivi, 1903, p. 118-145/297319.
133Lettera a Turati del 28.7.1905: “Oggi venne Pagliari e più lo
conosco, e più mi piace; mi pare un giovine di animo aperto,
schietto e generalmente benevolo, perciò ottimista e molto
socievole” Carteggio Turati-Kuliscioff, parte II, Tomo I, p. 279;
M. Addis Saba “Anna Kuliscioff : vita privata e passione
politica” Milano, 1993
53
Nella Confederazione del Lavoro (CGdL) diffuse le idee e le esperienze del laburismo e del fabianesimo e si adoperò perché la CGdL intervenisse anche sul piano politico, diventando ispiratore tra il 1907 e il
1910 del progetto di un «partito del lavoro»134.
Si richiamava a Bernstein, ai laburisti inglesi e anche a Sorel, rivendicando al sindacato il compito di socializzare la fabbrica e di democratizzare lo Stato e la società e di preparare quella aristocrazia operaia
che, per capacità tecnico-professionali, fosse in gradö di dirigere il
movimento socialista. Un sindacalismo che «ricostruisce la società su
basi tecniche; sostituisce alla democrazia politica la democrazia
professionale».135 Questo progetto testimoniava il carattere trasversale
tra le tendenze revisionistiche di destra e di sinistra.
All’inizio del 1907 si accese la polemica sul localismo delle Camere
del lavoro, considerate frutto della «propaganda socialista» più che
dello sviluppo industriale di un paese avanzato, organismi non
riconducibili a funzioni economico-sociali e quindi passibili di far
«degenerare degli organi del movimento di resistenza in organismi
prevalentemente politici» 136.
Da seguire era il modello tedesco che proprio quell'anno era riuscito a
battere il sindacalismo rivoluzionario restringendo gli spazi del
localismo camerale, in quanto anche autorevoli membri della SPD
(Bebel) avevano appoggiato le posizioni dej sindacati, isolando l'ala
intransigente (Kautsky). In Italia invece «la frazione intransigente del
Partito guardò fino a ieri cotesti sindacalisti con occhio di profonda
134 «Il partito socialista deve diventare sempre più l'espressione e lo
strumen-to politico della classe operaia organizzata ... Il partito, anziché
voler essere un organismo più evoluto e superiore all'organizzazione, deve
considerarsi, sempre più e in misura in cui l'organizzazione operaia si
rafforza, come uno strumento dell'organizzazione perché nell'organizzazione
operaia e nella sua politica è tutto quanto il socialismo e la forza socialista»
F. Pagliari, Il partito socialista e l'organizzazione operaia, «Confederazione
del Lavoro», 25.4.1908.
135 F. Pagliari Le organizzazioni dei funzionari e il
sindacalismo riformista, «Critica Sociale », 1908, p. 216-218.
136 F. Pagliari, L'organizzazione di resistenza in Italia, «Critica Sociale»,
1907, p. 124.
54
simpatia e li guarda ancora oggi come figli ribelli per esuberanza e
generosa giovinezza. Sono tutt'al più, una esagerazione del
movimento operaio e socialista. Ma la«Confederazione del Lavoro »
però anch'essa - secondo quegli intransigenti - una esagerazione nel
senso del trade unionismo »137. Perciò é difficile battere il sindacalismo in Italia, perciò la CGdL deve usare tutti i mezzi a sua disposizione per rendere sterile il terreno ove può svilupparsi la pianta del
rivoluzionarismo, perciò la centralizzazione deve essere integrale . 138
La proposta del partito del lavoro nasceva da una analisi severa del
PSI, considerato responsabile di sacrificare ai problemi del parlamentarismo e del ministerialismo la tutela e il consolidamento dell'organizzazione di classe, sempre più «un movimento di bisogni incomposti, indisciplinati, mal definiti, di sentimentalità generose, di ribellioni
violente e di vaghe ispirazioni messianiche 139» e in una lettera a
Salvemini del novembre 1909 lo giudicava «senza bussola ed
ammalato di asineria e di mancanza assoluta di idee generali e
speciali».
Soprattutto il partito gli pareva inquinato da «intellettuali capipopolo» viziati di «rivoluzionarismo acchiappanovole», incapaci di
salvaguardare l'organizzazione di classe dai pericoli dell'individualismo anarchico e dalla tentazione del «grande colpo» insurrezionale.
137 Id., La fine del sindacalismo in Germania. Annotazioni e confronti,
«Critica Sociale», 1908, p. 79.
138 Pagliari, Oligarchia e democrazia nell'organizzazione
operaia, « Critica Sociale », 1909, nega le tesi di Mosca, Pareto
e Michels che centralizzazione e professionalizzazione del
sindacato significassero necessariamente la formazione di
un'oligarchia.
139Archivio Rigola, lettera di Pagliari a Rigola, 13.5.1908; Vedi anche P.
Fa-villi Il sindacato riformista nelle lettere di Fausto Pagliari a Rinaldo
Rigola, (1907-1911) in “Ricerche storiche”, mag.-ago.1983, p.437-92
55
Nel 1909 In polemica con Angiolo Cabrini 140 si accostò a Salvemini,
dichiarandosi contrario all'appoggio concesso dai deputati socialisti al
ministero Luzzatti e polemizzò contro «le tendenze egoistiche» del
cooperativismo in nome di un riformismo che facesse «opere reali,
concrete, solide».
Collocava i problemi in un'ottica rigidamente economicistica, ritenendoli risolvibili attraverso l'organizzazione economica e all'interno
delle strutture sindacali, ma fu tra i più solleciti a denunciare i pericoli
di una trasformazione del sindacalismo riformista in senso
democratico-radicale,
con
conseguente
corpo-rativismo,
opportunismo, subordinazione alla politica governativa del
movimento operaio italiano, proprio nel momento in cui si
accantonavano le riforme sociali per l’avventura libica.
3. Gli impiegati delle organizzazioni operaie
Il riferimento teorico della sua dissertazione di laurea a Ca' Foscari e
poi all'Ufficio del Lavoro della Società Umanitaria era «La Produzione Capitalistica»141 di Antonio Graziadei142, un libro di rigorosa
teoria a-marxista che proveniva dall'interno del socialismo italiano.
Rielabora alcuni aspetti dell'analisi di Graziadei applicandoli alla
funzione impiegatizia all'interno delle organizzazioni operaie: la
«professionalizzazione» dei funzionari diventa condizione necessaria
per la crescita e l'incidenza di un movimento operaio altrimenti condannato alla subalternità nei confronti della professionalità borghese e
perciò indotto alla deriva rivoluzionaria.
140E. SantarelliAngiolo Cabrini in “Dizionario biografico degli
italiani”; F. Fabbri Angiolo Cabrini. Dalle lotte proletarie alla
cooperazione fascista “Cooperazione e società”, N. 1-2 gennaio-giugno 1972
141Torino : F.lli Bocca, 1899
142 Imola 1873-Nervi(GE) 1953. Docente di economia, partito da posizioni
riformiste, dopo la guerra aderì al PCd’I. Espulso nel 1928 e reintegrato nel
1945, fece parte della Consulta. Pagliari in una lettera a Graziadei del 24-1049 continua sempre a considerarsi discepolo. Archivio Storico della
Biblioteca Comunale d'Imola - carte Graziadei.
56
Personale specializzato per una lotta di classe che, superate le fasi primitive, avrebbe assunto aspetti sempre più tecnici e meno politici. La
«produttività» dal personale impiegatizio doveva anche essere
stimolata con una politica retributiva ispirata alla teoria degli «alti
salari».143
Progettò di utilizzare nel processo di professionalizzazione del sindacato la struttura dell’«Umanitaria»144 e, pur scontando i mezzi limitati
e le incomprensioni interne, l'Ufficio del Lavoro e poi quello di Informazioni e Traduzioni, costituito e diretto da Pagliari nel 1905,
funzionarono come uffici «tecnici» della C.G.d.L. dalla sua
fondazione.
Nel 1907 la C.G.d.L. chiese a Turati, che appoggiò la proposta indicando Pagliari per l’attuazione, di poter contare su alcune strutture
dell' Umanitaria,145 cosa essenziale nell'economia della Confederazione in quei suoi primi anni di esistenza data la pochezza di mezzi.
143 F. Pagliari, La Democrazie e gli impiegati, in « Critica Sociale », 1905,
p. 68-70; ivi, 1 segretariati operai delle organizzazioni socialiste tedesche,
pp. 57-59178-76186-88; ivi, Organizzaziöne e organizzatori: a proposito di
un sindacato italiano fra gli addetti dell'organizzazione operaia, 1906, p.
176-178; ivi, Organizzatori e partito socialista: un problema urgente, 1907,
p. 83-84; ivi, Le organizzazioni e i loro impiegati, ivi, 1908, p. 251.
144 E. Decleva, “Socialismo e etica del lavoro …” cit.
145 In una lettera del 2.11.1907 Rigola chiede a Turati di interessarsi presso
l'Umanitaria «perché la Confederazione abbia l'appoggio e la collaborazione
tecnica dej suoi uffici emigrazione, agrario e del lavoro, oltre a quello delle
informazioni e traduzioni ». Turati risponde che « si pub contare su Pagliari
col quale sono perfettamente all'unisono e che lavora nel nostro senso ». Cfr.
Lettere di Rigola a Turati del 2.11.1907 e di Turati a Rigola del 24.11.1907 in
G. Bosio, Nascita e sviluppo delta Confederazione Generale del Lavoro nel
carteggio Turati-Rigola”, «Rivista Storica del Socialismo», 1958, p. 81-97.
57
Infatti su Rinaldo Rigola,146 a lungo funzionario centrale unico della
C.G.d.L., ricadeva l'onere della direzione politica e organizzativa della
Confederazione e la redazione del suo organo settimanale. In una
lettera a D'Aragona, Rigola precisa i compiti del segretario-aggiunto:
«il trait d'union, tra la nostra sede e le sezioni, tra noi e gli altri
gruppi, l'uomo dej sopraluoghi, dell'intervento nej congressi e nei
convegni e l'ispettore incaricato di invigilare e tenere in redini le
organizzazioni. In media metà del tempo in viaggio e metà in ufficio
dove mi coadiuveresti nel lavoro di concetto, nello studio delle leggi,
nella redazione del giornale e mi sostituiresti in caso do assenza” 147
All’evidente debolezza della Confederazione, rivelata da queste frasi,
non si poteva che contrapporre una forte determinazione: l'organizzazione é fine a sé finché non é riuscita a diventare una forza», e per
diventare una forza occorreva che il processo di centralizzazione fosse
sostenuto da una cassa alimentata da «alte quote» utilizzate per la
creazione di una stabile burocrazia di tecnici ed esperti.
Il rafforzamento dell'organizzazione è vista anche in funzione della
sua autonomia, intesa come via maestra per la fondazione di un
sindacalismo modellato sulle più avanzate esperienze europee: la
fondazione della C.G.d.L. è vissuta a lungo come fatto precario, uscito
quasi occasionalmente dal rivoluzionarismo del movimento operaio
italiano e sempre passibile di essere rimessa in discussione.
L'Umanitaria s'impegnò ad istituire corsi (che prevedevano nozioni di
statistica, economia politica, legislazione sociale, storia del movimento operaio) destinati ad organizzatori sindacali, nella prospettiva della
fondazione di una «università del lavoro» sul tipo del Ruskin College
di Oxford. I corsi sul movimento operaio con particolare riferimento
146Biella 1868-Milano 1954. Operaio ebanista, segretario della CGd dal
1906 al 1918. R. Rigola “Rinaldo Rigola e il movimento operaio nel
biellese”, Bari, 1930; C. Cartiglia “Rinaldo Rigola e il sindacalismo
riformista in Italia” Milano, 1976;R. Coriasso, “Rinaldo Rigola a Biella :
storia di un apprendistato politico e di una città industriale tra '800 e '900”
Biella, 2009; P. Mattera “Rinaldo Rigola, una biografia politica”, Roma,
2011.
147 C. Cartiglia, “Rinaldo Rigola…”. cit, p. 70
58
ad un'analisi comparata dell'organizzazione in Europa vennero curati
da Pagliari che riunì poi le lezioni in un volume.148
Disponeva di informazioni di prima mano conoscendo molte lingue
straniere e coltivava interessi non provinciali: ciò fece di questo
volume un utile strumento di conoscenza della realtà e delle radici del
movimento operaio europeo.
Intendeva però anche dimostrare che una sola ed obbligata era la via
dello sviluppo per un moderno movimento operaio indipendentemente
dal vari modelli sindacali: «Anzitutto il movimento sindacale dei
lavoratori dell'industria, per quanto in tutti i paesi, all'infuori
dell'Inghilterra, sia state promosso dalla propaganda socialista, non é
il frutto di un'ideologia, ma bensì dell'evoluzione industriale ... Le
organizzazioni operano, quindi, completamente all'unisono colle
tendenze evolutive dell'economia quando, come fanno dappertutto,
senza curarsi della frase fatta: abolizione del salariato, agiscono nel
senso di conservare la forma salario, perfezionandola nella sua
purezza e opponendosi al tentativi, diretti o meno, della
partecipazione agli utili ecc., a cancellare i rapporti di salario.
L'organizzazione operaia non deve maj dimenticare che essa é solo un
ingranaggio nel grande organismo dell'economia generale, che il
progresso é legato all'incremento della produzione, all'elevamento
della produttività, al miglioramento del gusto».149
Nel 1911 un congresso confederale riconobbe ufficialmente il ruolo
svolto da Pagliari e dagli uffici dell'Umanitaria e un paragrafo della
relazione di apertura fu dedicato al problema dej funzionari delle
organizzazioni operaie secondo le linee da lui elaborate 150.
148 F. Pagliari, “L'organizzazione professionale operaia in Europa”, Milano,
1908 e 1909. (La prima edizione è di 218 pagine, la seconda di 534).
149 F. Pagliari, “L'organizzazione …” cit., p. 515-516.
150 R. Rigola, La Confederazione Generale del Lavoro nel triennio 19081911, “Rapporto del consiglio direttivo all' VIII Congresso nazionale delle
Societå di Resistenza aderenti alla Confederazione”, Torino, 1911, p. 51 e 1112 rispettivamente.
59
4. “Beneficenza rossa”
Nel 1906 con tre articoli pubblicati sul giornale «Il Tempo», 151 apre
un’aspra polemica con alcune istituzioni filantropiche milanesi, che
non cita esplicitamente ma che sono l’Unione femminile 152, l'Asilo
Mariuccia153 e il Comitato contro la tratta delle bianche.
Nel primo articolo accusa di bigottismo vetero-cattolico quella che
definisce la «beneficenza rossa», accusa il «femminismo filantropico
laico» che con la sua carica moralista conduce «una guerra di
sterminio a tutte le cose illegittime, mogli illegittime, figli illegittimi»,
contraddistinto da «una concezione fosca, malinconica, piagnona,
noiosa della vita; una caccia furibonda alle gioie … Questo
bigottismo rosso, bacchettone, intransigente, fanatico, ridicolo,
spesso anche cattivo, questa ingiuria continua alla personalità e
dignità umana; questa propaganda francescana che invigliacchisce;
questa prepotenza prepotente e cattolica nelle cose altrui; questa
furia di Walkirie, sempre in cerca di nuove imprese benefiche, di
nuove vittime da tormentare, di nuovi allori da mietere; questo
esercito laico della salute! Chi ce ne libera? Chi beatifica queste
sante laiche? Chi le pensiona e le rimanda alle oneste penombre, a
biascicar rosarii e a far la calza, come le benefattrici nere? ... Niente
donne benefiche. Via, all'inferno! al diavolo questa beneficenza rossa!
Somiglia troppo a quella nera, che noi socialisti abbiamo mandato al
diavolo da un pezzo ».154
151 “Il Tempo: giornale della democrazia italiana”. Fondato nel
1899 a Milano, è diretto da Claudio Treves dal 1902 al 1910,
quando assume la direzione dell’ “Avanti!”
152 Fondata nel 1899 a Milano con il sostegno socialista. F. Imprenti “Alle
origini dell'Unione femminile : idee, progetti e reti internazionali all'inizio del
Novecento” Milano 2012; F. Pieroni Bortolotti, “Socialismo e questione
femminile in Italia1892-1922”, Milano, 1974; S. Murari “L' idea più avanzata del secolo: Anna Maria Mozzoni e il femminismo italiano” Roma, 2008;
153A. Buttafuoco “Le Mariuccine : storia di un'istituzione
laica : l'Asilo Mariuccia”, Milano 1998
154 F. Pagliari, Beneficenza rossa, «Il Tempo», 28.11.1906.
60
Due giorni dopo ribadisce le sue accuse di «bigottismo» utile solo alle
«annoiate della vita», centrando l'attenzione sul trattamento del
personale delle organizzazioni benefiche «scelto per la sua gratuità o
per il suo basso costo, e non per le sue attitudini specifiche ad
attendere all'opera alla quale è preposto» anzi «il personale è
addirittura sfruttato, sottopagato in forme che non sarebbero mai
tollerate - per altri lavoratori che non fossero propri dipendenti,
beninteso - dagli stessi imprenditori delle "aziende benefiche"»155
Le istituzioni sotto accusa erano nate con un orientamento radicalsocialista e laico-progressista e le osservazioni rivolte alle emancipazioniste avrebbero potuto esserlo alla stessa Società Umanitaria e in
genere all'intero movimento socialista. La nuova morale
socialista156«risulta in definitiva piuttosto povera: come sistema
teorico essa mostra non poche incertezze e lacune, costruita.com'é
con prestiti dal sistema kantiano degli imperativi morali cui si
aggiungono dosi massicce di evoluzionismo di marca darwiniana e
spenceriana »157
Gli interventi di Pagliari, col loro fondo di misoginia «di sinistra»,
non tenevano conto del valore del tentativo di costruire una identità
155 F. Pagliari, Gli impiegati e la beneficenza, «Il Tempo»,
30.11.1906; Id. Per concludere sulla «Beneficenza rossa». Gli
impiegati, ivi.
156 E. Decleva, Anticlericalismo e lotta politica nell'età giolittiana «Nuova
rivista storica», 1968 e 1969; Id., Anticlericalismo e religiosità laica nel
socia-lismo italiano, in “Prampolini e il socialismo riformista”, 1979; M.
Sylvers, L'anticlericalismo nel socialismo italiano, «Movimento operaio e
socialista», 2-3, 1970; Verucci, Anticlericalismo, libero pensiero e ateismo
nel movimento operaio. e socialista italiano, in “Chiesa e religiosità in Italia
dopo l'Uni-tà”, Milano, 1997;P. Audenino, Etica laica e rappresentazione del
futuro nella cultura socialista dej primi del Novecento « Societä e Storia» 18,
1982; Id., La cultura della classe operaia nell’età del decollo industriale,
“Studi storici” n.4, 1981; M. Torrini, Religione e religiositå nej primi anni
del '900, in “A.F. Formiggini, un editore del Novecento”; S. Pivato,
L'anticlericali-smo « religioso » nel socialismo italiano tra Otto e Novecento,
«Italia con-temporanea», 154, 1984
157 P. Audenino, Etica laica… , cit., p. 887.
61
della donna, in un processo di superamento dei condizionamenti
culturali, psicologici, politici di cui le emancipazioniste stesse erano in
larga misura portatrici.
Nel 1907 un’ispezione degli Uffici Indicazioni e Assistenza, formato
da Società umanitaria e Unione femminile, compiuta dalla delegata
per l’Umanitaria Santa Volonteri158 (che nel 1910 lo sposerà) rimuove
Pagliari dal Consorzio.
L'isolamento in cui i socialisti lasciarono l'Asilo Mariuccia fu una delle cause della sua deviazione dalle premesse teoriche: la ricerca di
consensi portò ad accentuare i caratteri più specifici dell'assistenzialismo accantonando il lavoro di sperimentazione politicopedagogica che in origine I'Asilo si era proposto.
Dal canto suo Ersilia Majno159 interpretò l'attacco, che in una lettera
definì ,”una coltellata in mezzo al cuore”, 160 come una sconfessione
dell'Unione femminile da parte di tutto il Partito socialista e cercò i
consensi della borghesia progressista, disposta a dare in beneficenza il
proprio denaro.
158 Santa Volonteri nasce nel 1876 e inizia giova-nissima a lavorare come
cucitrice e sarta. Segretaria della “Lega sarte da donna” dal 1895 al 1903, dal
1900 al 1902 è nell’esecutivo della Camera del Lavoro di Milano, nel 1904
entra nel Collegio dei delegati dell’Umanitaria, nel 1905 è probiviro per
l’industria del vestiario di Milano. Attiva nelle file riformiste del PSI,
collabora a giornali e riviste sui temi del lavoro e della legislazione sociale.
Nel 1907 diventa Ispettrice del lavoro (figura istituita dalla legge di tutela del
lavoro femminile e minorile del 1902), inserendosi nella nascente burocrazia
del lavoro di età giolittiana. Nel 1909 e 1910 è nel consiglio di
amministrazione dell’Opera Pia Cucine Economiche di Milano., Ottiene nel
1912 l’istituzione della Cassa Nazionale di .Maternità. Emargina-ta dal
fascismo, muore nel 1964. ww.enciclopediadelledonne.it
159 1859-1933 Fondatrice dell'Unione Femminile, moglie dell’avvocato
socialista Luigi Majno. C. Demi “Ersilia Bronzini Majno : immaginario
biografico di un'italiana tra ruolo pubblico e privato”, Bologna 2013
160 E.Majno a G.Montessi, 25.8.1907, Fondo Giuseppe
Montessi, Cart. C,b,1/b
62
Un altro episodio delle frizioni tra emancipazioniste e movimento
socialista ebbe protagonista Alessandrina Ravizza 161 che nel 1906
aveva avuto dall’Umanitaria l'incarico di direttrice della Casa di
lavoro (un istituto che offriva a bisognosi e disoccupati la possibilità
di reinserirsi attraverso l'istruzione e il lavoro).
La Ravizza dovette difendersi dagli attacchi di chi avrebbe voluto
chiudere la Casa dimostrando 162 che era stato un investimento in
attivo, valutando l'utilità sociale e non solo il profitto immediato, ma i
dirigenti dell'Umanitaria e della Camera del lavoro seguivano una
logica differente e nel 1913 la Casa di lavoro chiuse.
5. Il bolscevismo e i problemi del dopoguerra
La guerra aveva generato una gigantesca “economia regolata” in tutti
i paesi coinvolti e sottoposto la società civile e le strutture economiche a una tremenda tensione, non ultima la disciplina di tipo militare a
cui erano sottoposti i lavoratori impiegati nelle fabbriche di interesse
strategico.
La fine della guerra causò la smobilitazione dell’industria bellica con i
licenziamenti e i conseguenti problemi politico-organizzativi che
ebbero pesanti conseguenze per il movimento operaio.
Pagliari concentrò il suo interesse sui problemi occupazionali e salariali della smobilitazione industriale e sulla salvaguardia della legislazione sociale. Sul modello delle Trade Unions propose l’introduzione
di forme di controllo operaio, di «governo della produzione», che la
guerra aveva messo all’ordine del giorno e che erano state alla base
della proposta del partito del lavoro e del «concretismo riformista».
1611846-1915.Tra le prime donne laureate in medicina come Anna
Kuliscioff aderì alla Lega femminile milanese e alla Società pro-suffragio,
promosse l’Università Popolare e diresse la Casa del Lavoro per disoccupati
fondata dalla Società Umanitaria. E. Scaramuzza Una filantropa di
professione : Alessandrina Ravizza e la collaborazione con la Società
umanitaria ”Storia in Lombardia” n. 3, 1986; Id. “La santa e la spudorata :
Alessandrina Ravizza e Sibilla Aleramo : amicizia, politica e scrittura”,
Napoli 2004
162 A. Ravizza, “Sette anni di vita nella casa di lavoro”, Milano
1915
63
Nel 1926 pensava che la crisi postbellica poteva essere risolta con «la
solidarietà europea come l'elemento di un futuro ordine economico
internazionale».
Nella serie di articoli sulla rivoluzione russa, che erano basati su una
documentazione originale e inconsueta nel giornalismo italiano, dedicò particolare attenzione alle conseguenze economiche e sociali determinate dalla rivoluzione, ma sostanzialmente guardò ad essa come
tradizionalmente i riformisti avevano fatto nei confronti degli anarcosindacalisti e dei fautori della «grande ora». Sostanzialmente a loro si
riferiva quando parlava del bolscevismo come dell'espressione del
«governo giacobino» e del «socialismo dall'alto».
6. Bibliotecario all'Università Bocconi
Nel 1924 l’Umanitaria è commissariata dal fascismo e Pagliari è
licenziato. Allora l'Università commerciale Luigi Bocconi di Milano,
(fondata dall'imprenditore milanese Ferdinando Bocconi nel 1902) per
interessamento di Carlo Rosselli e Piero Sraffa lo nomina direttore
della Biblioteca universitaria. Questa, oggi con più di 600.000 volumi
tra le più importanti d’Europa nel suo campo disciplinare, era nata per
rispondere alle esigenze didattiche, ma anche per dotare l’Italia di un
Centro che raccogliesse i documenti della attività scientifica nel
campo delle dottrine economiche. Alla costituzione del patrimonio
bibliografico, che comprende anche collezioni di pubblicazioni
periodiche e statistiche internazionali, contribuirono con donazioni e
suggerimenti studiosi come Luigi Einaudi. Al primo responsabile della
Biblioteca, l’economista Ulisse Gobbi, subentrò Fausto Pagliari che
mise a frutto l’esperienza maturata all’Umanitaria riorganizzando gli
spazi e formando raccolte specia-lizzate.
Riportiamo la testimonianza di studiosi che ebbero occasione di
conoscerlo nel contesto della biblioteca: “Da quando, a fine 1949,
divenni assistente sedevo nella mensa, a un tavolo con gli amici e i
colleghi più cari; fra di essi era presente anche Fausto Pagliari
…..L’oretta trascorsa al tavolo era meraviglio-sa. era anche un
godimento intellettuale. Pagliari, che conosceva tutte le principali
lingue, ma che eleggeva il milanese-cremonese a “lingua per gli
64
amici”, quando si ricordava di un libro che avrei dovuto consultare,
cominciava: «Ti te düvereset vardà ...» (“Dovresti guardare ...”).
Qualche volta, il sabato, quando lo vedevo avviarsi verso casa, con
un fagottello di libri legati con una funicella a tracolla (da catalogare
nel fine settimana: questo era il suo weekend), mi offrivo di
accompagnarlo, per sollevarlo dal peso….»163.
“Il secondo che incontrai [alla Bocconi] fu Fausto Pagliari. Anche la
biblioteca vive per lui, il bibliotecario, che padrone di tutte le materie,
scorre la bibliografia, dai cataloghi di antiquariato alle notizie delle
riviste in tutte le lingue, e segnala volumi e articoli a ciascun
insegnante. Con Pagliari, poi, chi abbia l’abbonamento con
quell’agenzia di informazioni che procura tutti i ritagli delle
recensioni delle opere, può risparmiare la spesa. Sa tutto, e quando
capiti da lui ti fa trovare tutto pronto e magari copiato a macchina o a
mano con la sua calligrafia netta e intelligente. Se sei in vacanza ti
manda copie e riassunti fino a domicilio, e li accompagna con lettere
piene di gusto umanistico, a parte la grande dottrina. È cremonese,
parla in dialetto, e inciampa, direi meglio, accavalla le parole perché
le idee si affollano troppo rapide … Memoria di ferro, per lui le
schede sono un di più, e se si cerca qualche cosa si fa prima a
chiedergliela che ad andare agli schedari: ti porta sul posto e ti trova
anche il punto che ti fa comodo. Con me ha fatto lega forse più che
con ogni altro, perché nato archi-vista, sono anche un po’
bibliotecario: nel senso che sento il valore e la funzione della
biblioteca e il rispetto per il libro… »164
“l'Universitå Bocconi …[era] una specie d'oasi nella Milano del
consenso, un'oasi dove, grazie a Fausto Pagliari, prevaleva invece il
dissenso. Lo vedo ancora, come se fosse adesso, spuntare dietro una
barricata di libri, mettersi con le gambe larghe e le mani in tasca, ed
intrattenerci con il suo inconfondibile linguaggio, insieme dotto e
163L. Guatri Fausto Pagliari, un grande dell’Umanitaria in ”Li ho visti
così: protagonisti di università, industria, banca, professione nell'ultimo
mezzo secolo” Milano, 2009
164“Armando Sapori ricorda” vol.1: Mondo finito, Roma 1946,
Varese 1971
65
popolaresco, fatto d'italiano e di cremonese, ma sostenuto da citazioni
in tutte le lingue del mondo…. Da tempo l'esperienza l'aveva indotto
ad annacquare l'austro-marxismo della sua giovinezza, quando
studiava a Vienna, con abbondanti dosi di liberalismo. “165
Nel 1940 è arrestato e confinato ad Istonio, l'attuale Vasto. 166
Dopo la liberazione aderisce all’appello per la ricostituzione della
“Critica sociale” entrando a far parte del comitato di redazione e
riprendendovi soprattutto i temi sulla rivoluzione russa trattati nel
primo dopoguerra. Muore nell’estate 1960.
Concludiamo con questo ricordo: “con quel suo acume che, persino
nelle semplificazioni dialettali, sembrava confessarsi estemporaneo e
accidentale, personificava le più severe meditazioni e gli scrupoli di
una superiore responsabilità, di quella responsabilità tipica del
maestro socialista, che non tanto vuol essere il mentore dei propri
discepoli quanto la coscienza”167
Parole che fanno sorgere spontaneo un parallelo con un grande
maestro socialista e bibliotecario francese: Lucien Herr 168
165 Libero Lenti Le radici nel tempo: passato al presente e
futuro Milano, 1983, pag. 60-61
166 Rivedo pure Pagliari ed Oberdorfer alla stazione di Milano, nel '40,
poco prima della dichiarazione di guerra, incatenati ed avviati al confino:
uno a Vasto e l'altro a Lanciano. La Questura aveva operato in base ad un
elenco di sovversivi di molti anni prima Ritornarono poco dopo poiché
Mussolini, con i'invasione della Francia riteneva di aver già vinto la guerra,
e -così Pagliari continuò a lavorare sino al."passaggio a livello" dei suoi
"ottanta carnevali", e cioé, con socratica serenitå, sino all'ultimo. Lenti Le
radici nel tempo, cit.
167A. Greppi,“La coscienza in pace: cinquant'anni di
socialismo” ed,Avanti!, 1963, pag. 173
168 L. Herr (1864-1926) direttore della biblioteca della «École Normale
Superieure» dal 1888, fu consigliere e guida di molte generazioni di studenti
convertendo al socialismo personalità come Jean Jaures e Leon Blum. D.
Lindenberg, P.-A. Meyer «Lucien Herr, le socialisme et son destin», Paris,
1977; C. Andler «Vie de Lucien Herr: 1864-1926» , Paris, 1932 e 1977
66
Bibliografia: R. Conte Contributo alla biografia di Fausto Pagliari.
Tesi di Laurea. Univ.Mi 1986-87; F. Brambilla, A. Pagani Elementi
per una bibliografia di Fausto Pagliari Bollettino del Centro per la
ricerca operativa, Serie sociologica, 1960; F. Attore, Sindacato e
Riformismo : un profilo biografico di Fausto Pagliari; tesi di laurea;
Univ. Milano; Uno studioso del movimento proletario : Fausto
Pagliari La Critica sociale 1958
Alberto Jacometti, vita di un socialista “scomodo”
Con l’aggettivo “scomodo” si è voluta indicare la coerenza delle scelte
di vita di Alberto Jacometti, ispirate a principi etici e politici che
prescindevano da opportunità personali: pur provenendo da una
famiglia di affittuari della pianura padana, che come ceto
appoggiarono il movimento fascista, sposò la causa dei lavoratori e,
contrariamente alla maggior parte dei giovani socialisti della sua
generazione, sposò il riformismo anziché il massimalismo e il
67
comunismo.
Rinunziò agli affetti familiari e ad un lavoro interessante per non
piegarsi al regime, affrontando i disagi e le difficoltà dell’emigrazione.
Si caricò dell’ingrato compito di reggere la segreteria nazionale del
PSI dopo la sconfitta del Fronte Popolare e, con una Direzione che
comprendeva Riccardo Lombardi, Vittorio Foa, Ferdinando Santi,
anticipò temi (l’alternativa democratica, la strategia delle riforme, la
programmazione democratica) ripresi nel decennio successivo.
Dopo la generazione dei pionieri (i Lazzari, Turati, Treves, Morgari,
Prampolini...), dopo quella dei Matteotti, Serrati, Nenni, la terza
generazione socialista ha espresso militanti, passati attraverso il
carcere e l’esilio, della tempra di Pertini, Colorni, Mazzali, Basso,
Morandi, e non ultimo Alberto Jacometti.
Gli anni della formazione (1902-26)
1 L’infanzia in cascina e l’influenza tolstoiana
Alberto Jacometti nacque il 10 marzo 1902 alla Grampa, un cascinale
del comune di S. Pietro Mosezzo, in mezzo alle risaie della Bassa
novarese169, ultimo dei quattro figli di Giuseppe, già proprietario di
una macelleria e allora affittuario di una grossa tenuta coltivata a riso
di proprietà di una famiglia della nobiltà milanese, i marchesi
Crivelli.
Suoi compagni di gioco e di scuola nell’infanzia furono i figli dei
salariati che lavoravano nell’azienda paterna, e proprio la constatazione delle differenze tra la sua vita e quella dei suoi compagni, del
comportamento ossequioso dei contadini nei confronti del padre figura autoritaria con cui entra presto in conflitto nonostante l’affetto
169 A.Jacometti "Il filo d'Arianna", Firenze, 1957 " una delle
cascine più. pantanose e ranocchifere....Bella era la Grampa,
ombrosa, per i grandi pioppi centenari che vi spiegavano i loro
ombrelli davanti: un'isola avviluppata dai due bracci della
Crosa; e di là delle rogge, di là del frutteto e degli orti, a est e a
sud e a ovest, risaie a perdita d'occhio: con l'unica fuga dell'aie,
a nord, che davano sulle marcite."
68
filiale - che si manifestarono in lui i primi dubbi, si imposero quelle
domande a cui rispose aderendo al socialismo.
L’adesione al socialismo è mediata dall’incontro con Tolstoj negli anni
dell’adolescenza: quando aveva tredici anni il preside dell'Istituto
tecnico da lui frequentato, che aveva l'abitudine il sabato di distribuire
agli allievi i libri della biblioteca scolastica, gli diede da leggere "La
vera vita"170: "Tolstoi mi sconvolse. Mi faceva ritornare al Cristo dei
miei primi anni e nello stesso tempo mi slargava davanti orizzonti
immensi, risolveva dubbi. Con gran sorpresa di amici, compagni,
familiari, la mia vita cambiò da cima a fondo: smisi di bere vino,
rinunciai a tutti gli oggetti d'oro, vestii dimessamente e non so che
ancora. Feci un bagno d'umiltà. Ne nacquero spiegazioni difficili e
situazioni assurde. Come tutti i neofiti cercavo l'assoluto. Una grande
parola fiammeggiava nel mio cervello: amore. Sorsero i primi
problemi concreti; ritornando a casa in campagna mi guardai attorno
per la prima volta. I miei coetanei, quelli che avevano frequentato la
scuola con me al paese, erano diventati contadini e manzolai: erano
scarni, scamiciati, scalzi, avevan le dita dure come artigli. Perché io e
non loro? Perché io ero vestito da «signore» e loro no, potevo
continuare gli studi e loro no, avevo tre mesi di vacanza e non loro, mi
sedevo, il mezzogiorno e la sera, accanto a una tavola con tovaglia di
bucato e cibi svariati e copiosi, e loro trangugiavano una ciotola di
minestra serrata tra i ginocchi sulla soglia di casa? Tra di noi, ero io
che dovevo vergognarmi e curvare la fronte, il privilegiato. Si
possono rifiutare molte cose, il privilegio te lo porti attaccato alla
pelle come la rogna. Non restavano più, in cascina, [nel 1915] che
vecchi e ragazzi, i miei fratelli, entrambi, erano al fronte, il camparo
era stato mobilitato nella territoriale. Mio padre trascorsi appena
pochi giorni [dalla fine della scuola] m'invitò a dargli una
mano...D'altra parte, fin lì, m'era piaciuto l'andare nei campi con in
mano il bastone di castagno, ch'è un po', da noi, lo scettro del
comando. Avevo imparato a comandare naturalmente, come
170 La prima traduzione italiana è del 1902, pubblicata a Milano
dalla casa editrice Treves, cui seguirono ristampe nel 1905 e
1911. E' su una di queste edizioni che fece la sua lettura.
69
naturalmente s'impara a bestemmiare e ad accarezzare le spalle alle
ragazze. Adesso mi domandavo: perché? Che cosa, che meriti, che
qualità, mi avevano messo a quel posto? La qualità di essere figlio di
mio padre. Era poco. Era avvilente. Trovai una scappatoia che non
era del tutto una viltà: non rifiutai, ma decisi di assumermi, anch'io,
la mia parte di lavoro" 171
2 Lo sciopero agrario del 1920
La provincia di Novara (che allora comprendeva il vercellese) con
70.000 ettari coltivati a riso (con rese per quel tempo molto elevate di
30-40 quintali all’ettaro) forniva quasi metà della produzione
nazionale. Nella pianura irrigua era quasi scomparsa la piccola
proprietà, sostituita da aziende agricole intensive condotte
dall'affittuario (figura corrispondente all’imprenditore industriale) con
la formazione di un vasto proletariato composto da obbligati (residenti
nelle cascine), giornalieri, stagionali assunti per la monda, mungitori,
organizzatisi in società di mutuo soccorso e poi in leghe di resistenza.
Nel novarese il rapporto città-campagna era vicino al modello classico
delle zone bracciantili, nelle quali il capoluogo lungi dall'esprimere
una vita culturale e politica in grado di influenzare il circondario,
subiva il condizionamento di quest’ultimo. E’ nelle campagne che si
svilupparono prima e più rigogliosamente le organizzazioni proletarie
della cooperazione e delle leghe.172 Le tensioni accumulate durante la
guerra, che si aggiunsero alla proletarizzazione delle campagne, fecero
del novarese un epicentro della lotta di classe in cui alla conquista
171 A.Jacometti "Il filo d'Arianna", cit,, pag. 34-35. Sull'
inflenza di Tolstoi in quegli anni D. Mazzoni, La fortuna di
Tolstoj nel movimento operaio italiano, «Movimento operaio e
socialista», 1980, n. 2-3; "Una rondine fa primavera: scritti sulla
società senza governo con i giudizi degli anarchici italiani
(1894-1910)", S.Maria C.V., 2006.Ved.anche il socialista (classe
1894) Antonio Greppi in "La coscienza in pace", Milano,1963,
pag.22.
172 G. Facchinetti La lotta di classe nelle zone risicole del novarese e del
vercellese, in “Braccianti e contadini nella valle padana”, Roma, 1975.
70
socialista delle amministrazioni locali nel 1920 e soprattutto allo
sciopero delle campagne, si contrappose uno squadrismo fascista che
vide scontri feroci culminati nella battaglia di Novara” 173 svoltasi dal 9
al 24 luglio 1922.
"Con i soldati delle trincee traboccò nel paese la febbre … Si
sostanziò di una serie di scioperi. Ci furono, per la prima volta da
lunghissimi anni, gli scioperi della campagna, dei braccianti e dei
salariati. I salariati e i braccianti si facevano, si costruivano una
mentalità nuova, un nuovo modo di pensare; si mettevano
probabilmente a pensare per la prima volta; si costruivano un nuovo
aspetto fisico. Questa era forse la cosa piu inaspettata e curiosa:
cambiavano come crisalidi: gli veniva una nuova luce negli occhi che
si sprigionava, dal fondo degli occhi, gli veniva un nuovo modo di
comportarsi, di salutare, d’ interloquire, di mantenersi diritti davanti
al padrone; quand’erano davanti al padrone non facevano più girare
il cappello nelle mani con gli occhi chini e il mento puntato sullo
sterno; guardavano innanzi a sé, non il padrone, innanzi a sé, di là;
cambiavano come gli adolescenti che si fanno uomini: gli veniva una
voce più robusta, ancora selvaggia e indocile. Le loro donne avevano
smesso di piagnucolare e di bazzicare per casa; .....la domenica, le
giovani non andavano più a messa... Si sentiva ch’era giunta l’ora
della maturazione, un’ora attesa da secoli. Obbedivano, ma senza dir
nulla. Il carro, i buoi, il pungolo assumevano per loro un significato
diverso e ancora oscuro. Erano circondati da cose oscure che si
muovevano ed essi facevano sforzi per rappresentare la loro parte nel
miglior modo possibile ... La Grampa era isolata, in mezzo alle risaie
come una nave nel mare; quando la sera si chiudevano le porte, non
c’era, tutt'intorno, che l’enorme gracidar delle rane, incrinato di
173 C.Bermani "La battaglia di Novara (9-24 luglio 1922)" Milano, 1972 ;
D.Cuttai "Il prefetto Gasti a Novara" (1924-25)" in "Instrumenta", 1998, n.4;
R.Muratore Il dopoguerra rosso e le origini del fascismo nel novarese, in
“Rivista storica del socialismo” 1959, n.7-8; F. Omodeo Zorini, La
“Provincia rossa” Organizzazione di classe e antifascismo nel novarese, in
“Figure e centri dell’antifascismo in terra novarese”, 1992; C.Bermani Tutti o
nessuno: lo sciopero agricolo dei cinquanta giorni e l'occupazione delle
fabbriche nel biennio rosso a Novara (1919-1920) Milano, 2005
71
tanto in tanto da un grido d’uccello, dall’abbaiare di un cane o dal
rintocco dell’ora. Tutto poteva succedere......adesso la gente si
coagulava, non agiva più individualmente, andava la domenica al
circolo, tutt’insieme; certe volte ci andava anche di sera; ritornava
tutta insieme e parlava; aveva imparato a parlare. Gli era come se
da ogni persona fossero spuntati ciuffi di radichella che si
mischiavano con i ciuffi dei vicini, s’intrecciavano e s’abbarbicavano.
Quand’era tutt’insieme, non era più la gente di prima; era
un’incognita che non si sapeva cosa pensasse e come, all’occasione,
avrebbe agito... tutto poteva succedere: un’imboscata dietro una
siepe, un colpo proditoriamente vibrato o, anche, il subito
schiumeggiare d’una rabbia che non aveva confini né spazi, fatta di
tante rabbie, dalla loro imprevedibile composizione, non più il
cavallante, il camparo, il bifolco o il famiglio.....ma uno schiumare,
un bollire, chi avrebbe potuto dire? un’irruzione nella grande cucina
con i pugni nodosi e le mani armate di vanghe e di forche...Il
temporale scoppiò nell’estate del ‘20. Lo sciopero assunse, fin dal
principio, un’ampiezza mai vista. Bifolchi, cavallanti, tagliaerba,
manzolai, campari, tutti come un sol uomo incrociarono le braccia,
tutti eccettuati per il momento i famigli ch’erano autorizzati ad
accudire al bestiame e a mungere. Squadre di sorveglianza composte
per la maggior parte di giovani andavano da una cascina all’altra
legandole come i nodi di una rete e per tutta la campagna della bassa,
centinaia e centinaia di cascine, per tutta la pianura del riso dei prati
e delle marcite, non si vedeva un salariato o un bracciante. Si
vedevano soltanto, qua e là, nei trifogli o nelle marcite, gli agricoltori, padroni o affittuari, con i loro figli e le loro donne, falciare. E
caricare quel tanto d’erba che doveva servire a impedire il collasso
del latte. Era un lavoro rabberciato alla meglio, in gran fretta, con
una preoccupazione evidente. Ma la squadra, se sopraggiungeva in
tale evenienza, si accontentava, per il momento, di fermarsi per
qualche minuto in capo al filare di salici, d’individuare i presenti e far
la conta e di voltare le spalle borbottando, senza creare incidenti...I
salariati si sarebbe detto che fossero scomparsi, inghiottiti dal nulla,
ché cosi come disertavano i campi, disertavano le cascine, gli orti, i
porcili. Dov’erano? Sciamavano ogni giorno verso il villaggio, il
72
mattino prestissimo, con i ragazzi, le donne e i bambini e non
ritornavano che a notte inoltrata. S’eran dovuti procurare la chiave di
uno dei due portoni, la chiave di una porticina, dalla quale, silenziosi
come congiurati, sgattaiolavano quando già i padroni dormivano.
Ogni sera infatti mio padre si assicurava personalmente che i portoni
fossero chiusi e ogni notte la presenza dei salariati era segnalata in
cascina. È da pensare che mio padre, a dispetto di tutto, non volesse
condurre le cose alle estreme conseguenze....Di lì a qualche giorno fu
dato l’ordine ai famigli di partecipare allo sciopero....Le mucche
incominciarono a mugghiare nelle stalle, piene di latte. Mio padre si
rodeva il sangue, parlava di ammazzare tutte le bestie, di subaffittare
e inveiva un po’ contro tutti, le sue parole bruciavano come pietre
infuocate; con i famigli tentò di scendere a patteggiamenti, fece
appello alla corruzione: quelli tennero duro. Si diceva che a S. Pietro,
nel circolo, timbrassero loro le mani."174
3 L'impegno politico (1924-25)
Quando il padre, a causa di questi avvenimenti e dell'età avanzata,
aveva lasciato la cascina, la famiglia, da cui si era allontanata solo la
sorella divenuta nel frattempo vedova di guerra, si era trasferita a
Novara. Per volere del padre aveva dovuto frequentare le scuole
tecniche ed iscriversi poi al Politecnico di Torino: studi che non si
confacevano alla sua natura portata ad interessarsi agli uomini ed ai
problemi sociali. Coltivava anche interessi letterari, che lo portarono
a dare vita ad un cenacolo di giovani intellettuali novaresi raccolto
attorno ad una rivista, Vita Nova, fermatasi al primo numero nel 1919
174 A.Jacometti "Mia madre", Milano, 1960, pag. 75-82
73
e iniziò quell'attività di scrittore che non abbandonò mai. 175 Nel 1923
pubblicò il suo primo romanzo176.
Abbandonato il Politecnico, si iscrisse alla Scuola superiore di
Agricoltura di Milano dove si laureò nel 1924. "A Milano, fra gli
studenti, parecchi erano i nuovi adepti [del fascismo]. Ma c'erano resistenze, soprattutto nella mia facoltà. Fu allora che mi professai,
pubblicamente, socialista. Ce n'era un altro, nella mia classe....I
fascisti venivano, generalmente, dalla campagna. Ostentavano, nelle
soste del giardino e degli ambulacri, Il Popolo d'Italia, io l'Avanti!.
Nel 1922 ci fu la costituzione del Sindacato, fui eletto segretario."177
Per preparare la tesi di laurea trascorse alcuni mesi nella primaveraestate 1924 a Cagliari, ospite dei fratelli Livio e Ennio Delogu,
militanti del Partito sardo d'azione ma, pur avendolo cercato, non
riuscì ad entrate in contatto con Emilio Lussu, che conoscerà poi
nell'esilio parigino178
Contrariamente alla maggioranza della piccola borghesia
(specialmente la componente costituita dagli affittuari della pianura
padana, cui apparteneva per eredità familiare), che appoggiava il
nascente movimento fascista, aveva sposato la causa dei lavoratori, e
contrariamente alla maggioranza dei giovani socialisti della sua
generazione, sposò le idee riformiste di Turati, rigettando il
massimalismo di Serrati e l’ortodossia dei comunisti accusati di aver
promosso la scissione di Livorno che "affondava le radici nelle
rivalità personali"179
La spinta decisiva verso l'impegno politico fu la notizia del rapimento
di Giacomo Matteotti. Nella primavera del 1924 a 23 anni si iscrisse al
175 U.Jacometti e A.Borrini “Le carte di Alberto Jacometti” in "Figure e
centri dell'antifascismo in terra novarese" Fontaneto Po, 1992 "Accanto alle
centinaia di articoli apparsi su varie testate, figurano romanzi, saggi, scritti
autobiografici, opere teatrali, poesie…Di queste opere (una novantina circa)
solo sedici sono state pubblicate, le altre, alcune delle quali ancora sotto
forma di manoscritto, aspettano pazientemente nelle cartellette in cui egli le
ha riposte”.
176 A. Jacometti, Fango nel sole, Bologna, 1923.
177 A.Jacometti "Mia madre", cit., pag. 88
178 A.Jacometti "Il filo d'Arianna", cit., pag. 59- 68
74
PSU con una scelta difficile a prendersi in un periodo in cui tale
partito si stava svuotando (a Novara erano rimasti una quarantina di
iscritti), un'adesione fortemente voluta in uno degli anni più tormentati
del socialismo italiano: "...Ricordo ancora la scena:...un
giorno....m'imbattei nel professor Bonfantini. Era stato sindaco
socialista di Novara dal '15 al '22 e quindi defenestrato ed era stato
mio professore di matematica per quattro anni. In bicicletta lui, in
bicicletta io. La decisione sopravvenne fulmineamente: gli feci gesto
di fermare e mi fermai. Un po' perplesso, il professor Bonfantini si
fermò e là sulla piccola via si svolse un breve colloquio: «...ho
deciso, d'iscrivermi al partito e vorrei che fosse lei ad appoggiare la
mia domanda». «Al partito? Quale partito? lo adesso faccio parte del
partito unitario »., «Quello di Turati, no? A quello mi voglio
iscrivere». «È studente, lei?» «Si, a Milano» «Lo sa che in questo
momento la gente se ne va dai nostri partiti anziché aderirvi?». «Lo
so». «E lei vuole iscriversi? perché?». «Perché sono socialista». Mi
guardò un momento, si cavò gli occhiali e si mise ad asciugarli:
«Bene, lo dirò all'avvocato Porzio Giovanola che è nostro segretario.
Lo conosce?». «No». «Vada da lui fra due o tre giorni». Ci
guardammo ancora un momento poi ci stringemmo la mano"180
Nel 1925 ci fu a Novara l'incendio della "Tipografica". Era una
cooperativa di tipografi socialisti che, controllati da Ugo Porzio
Giovanola e guidati dal giovane Blangino, resistevano ancora e pubblicavano fra l'altro i due settimanali socialisti del tempo: “Il
Lavoratore” dei massimalisti e “La parola socialista” dei riformisti.
"Una notte, non ricordo più in quale occasione, dopo una delle solite
gazzarre, le squadre fasciste l'andarono ad incendiare. Ci ritrovammo
che l'alba era appena spuntata sulle rovine delle macchine e nel fumo
della carta bruciata, Porzio, Blangino, io e pochissimi altri. I fascisti,
compiuta l'impresa, si erano squagliati. Gli agenti di pubblica sicurezza e i carabinieri arrivati, come sempre, in ritardo avevano disposto i
cordoni e guardavano di sottecchi. Era desolante, era triste, e
179 A. Jacometti "Dopo la mutilazione" «Il Lavoratore »,
29.1.1921
180 A. Jacometti, “Mia madre”, cit.
75
sembrava la fine. Ma bisognava fare i conti con la tenacia e la
risolutezza di Ugo Porzio Giovanola. Qualche settimana piu tardi
«La Tipografica» era in piedi di nuovo e Il Lavoratore e La parola
socialista riandavano, chi aveva il coraggio di comperarli, nelle
mani della gente. Il federale fascista, Belloni, era furente".181
In questi mesi difficili raccolse attorno a sé un gruppo di operai e
studenti che si impegnarono a pubblicare un giornale clandestino: "La
tessera impegna. Bisogna dire ch'ero arso dal sacro fuoco. Dopo
l'assassinio di Matteotti, le nostre riunioni avevano luogo or in casa
dell'uno or in casa dell'altro, la domenica mattina, con uno in istrada
a far da palo. Ci furono sedute movimentate come quando si scoprì,
un giorno che c'eravamo tumulti alla Bicocca, che il vetturino che
aveva condotto fin li il delegato della direzione, era un fascista. In
generale, il punto principale all'ordine del giorno era l'inventario dei
colpi ricevuti durante le ultime settimane. Ogni volta si manifestavano
vuoti. Alle mie reiterate richieste di prendere una qualche iniziativa e
di passare, nei limiti del possibile all'offensiva, si scuoteva la
testa ......Mi venne in mente di fondare un gruppo giovanile socialista,
non legato né all'uno né all'altro partito, ma libero di arrischiare e di
procedere per proprio conto. Mi ero laureato nel luglio di quell'anno
1924 e avevo davanti a me alcuni mesi prima di dovere andare a fare
il soldato. In poche settimane il nucleo del movimento fu messo
insieme e quando ci riunimmo la prima volta, in un'isoletta
dell'Agogna, eravamo almeno due dozzine. La maggior parte operai,
ma anche intellettuali, studenti, impiegati; con i miei ventidue anni
ero uno dei più anziani, i più giovani essendo Camillo Pasquali 182 e
Corrado Bonfantini183, non ancora sedicenni. Si discuteva, si
arzigogolava, ci si riscaldava: fare, agire, tutti ripetevamo fare, ma
che cosa fare? Il fascismo imperava, duro, chiassoso, violento. Dopo
181 Ibid.
182 Primo sindaco di Novara dopo il '45. C. Bermani: Camillo Pasquali: tra
arte e politica, Sizzano, 2006
183 "I Bonfantini : per un contributo alla conoscenza della cultura, della
politica e dell'arte novarese tra il 1900 e gli anni '60 : atti del Convegno di
studi del 23 novembre 1991", Novara, 1996 ; C. Bermani Il rosso libero :
Corrado Bonfantini, organizzatore delle Brigate Matteotti , Milano, 1995
76
il 3 di gennaio, ogni resistenza pareva essere definitivamente
scomparsa: la gente piegava il capo volente o nolente e accettava
qualunque cosa: le sopraffazioni, l'imposizione, le botte, la viltà.....E
noi, venticinque o trenta ragazzi, senza un soldo, senza un'arma,
assolutamente privi d'esperienza, pensavamo, nelle nostre assemblee
dei boschetti dell'Agogna, o delle fornaci Bottacci, a tener testa al
fascismo. Un giorno qualcuno (il giovane Bonfantini, mi sembra: era
quello che aveva le idee più estrose e balzane) venne a dirci di avere a
propria disposizione un ciclostile. La cosa era vera; come ciò fosse
avvenuto, non seppi mai. Allora fu deciso di pubblicare un foglietto,
un foglietto nostro, quasi un giornale, scritto da noi, compilato da
noi, ciclostilato e diffuso da noi, che si rivolgesse ai giovani e ai non
giovani e dicesse quello che ci tormentava dentro. Il foglietto si
chiamò: Basta! e vide la luce due o tre volte; era un fazzoletto, un po'
più piccolo di un fazzoletto, a due facciate soltanto, ma vivo e ardente
dell'orgoglio di venticinque o trenta ragazzi che si lanciavano nella
lotta della vita con quella protesta. Furono fatte le coppie e assegnate
le strade: mentre una coppia procedeva alla diffusione nelle cassette
delle lettere, sotto gli androni e gli usci, gli altri due, l'uno di qua e
l'altro di là, dovevano vigilare ai capi della strada" 184
Ma la sua chiamata alle armi come ufficiale di complemento a
Bologna pose rapidamente la parola fine all'iniziativa. Al ritorno dal
servizio militare, la sera dell'attentato di Lucetti contro Mussolini, subì
la prima aggressione squadrista: "... nel settembre [1925] mi ritrovai
sotto i portici con alcuni amici, verso le nove e mezzo o le dieci di
sera. ... Qui stavano a bivacco i fascisti sulla trentina di giovanotti in
camicia nera, e tutti gridavano o facevano roteare i manganelli o con
gli stessi picchiavano sul piano dei tavolini o salivano, qualcuno sulle
sedie a sbracciare e a inveire. Con alcuni altri avventori, sotto i
portici, a un tavolino, stavano l' avvocato Porzio e Blangino. E
contro di loro erano dirette le urla e le sfide. Gli altri clienti, intorno,
guardavano ammutoliti o s'affrettavano a consumare e a pagare.
Indaffarati i camerieri raccoglievano sedie e tavolini vuoti e li
portavano dentro. Non ebbi neanche il tempo di riflettere ché la
184 A. Jacometti "Mia madre", cit.
77
decisione mi parve dettata: andai a sedermi fra Porzio e Blangino, il
gesto sollevò un'ondata di clamori, non ch'io fossi comunque noto ai
fascisti, ma il gesto in sé, quel sedermi di fianco al minacciato sotto i
loro occhi furenti. E noi a fingere di discorrere pacatamente, con i
gesti più naturali possibili, per dar l'impressione di non aver paura,
di non essere affatto impressionati e di fare o non fare ciò che
volevamo, non ciò che volevano loro. Era la prima volta che mi
capitava di averli di fronte e sentivo in me fierezza e apprensione
azzuffarsi. Venne da noi il padrone a pregarci di ritirarci. Di là, la
canea aveva raggiunto un punto culminante: come se fossero in preda
al ballo di San Vito, i fascisti s'alzavano, roteavano su se stessi,
brandendo i manganelli e schiumando di rabbia e berciavano ogni
specie di insulti....Ci alzammo finalmente e prendemmo per i portici
verso il centro della città: si alzarono e ci furono a sei od otto metri di
dietro... camminavamo posatamente, chiacchierando - o cosi ci
davamo l'aria - del più e del meno. In verità l'uno diceva una cosa e
l'altro un'altra senza che le frasi si legassero in un discorso
articolato.... corse un fischio e uno del gruppo si lanciò, seguito dagli
altri, fu alle spalle di Porzio, gli afferrò un lembo del cappello e cercò
di strapparglielo; Porzio ebbe il tempo di voltarsi e di
contenderglielo. Allora tutto il gruppo frullò e piovvero le botte: sulle
braccia, sulle spalle, sul cranio, pugni, schiaffi, ma soprattutto colpi
di manganello. Vidi l'amico prendere per il corso tirandosene dietro
uno sciame con le braccia alzate sul cranio; poi non vidi più nulla. Ne
avevo, dietro alle spalle, una mezza dozzina che intendeva,
evidentemente, convincermi come certe solidarietà non fossero più
affatto di moda. Percorsi, come potei, l'ultima parte dei portici. Non
volevo darmi alla fuga. Mi raggiunsero, mi misero addosso le mani,
mi fermarono. Pensai a mia madre: forse era ancora alzata, forse, di
dietro le persiane, ascoltava, aspettandomi." Ma uno squadrista che
conosceva il fratello Luigi lo salvò dalle manganellate.
Se la sua attività cospirativa conobbe un forzato arresto, non così è per
la sua attività di giornalista. Nel 1925 pubblicò una serie di articoli,
firmandosi «Yack», sul settimanale del PSU novarese La parola
socialista. Questi scritti sono interessanti perché rivelano come, in
maniera graduale, stia approdando ad una critica delle posizioni
78
attendiste e rinunciatarie assunte dal movimento socialista nei
confronti del fascismo. Se il primo articolo presenta quasi gli accenti
di un manifesto che rivendica ai socialisti unitari il retaggio della
tradizione di fronte al montare della reazione fascista 185, poi sembra
prevalere lo scoramento: «La protesta non ha più valore alcuno ... ci si
strappa tutte le conquiste e ci si contenta di sospirare» 186. Jacometti
avverte dunque la sterilità di una resistenza passiva davanti al
fascismo proprio nei giorni in cui l'opposizione dell'Aventino va
sfilacciandosi, ma è ancora un socialriformista ortodosso e davanti alla
minaccia fascista contro lo Stato liberale si schiera a difesa di
quest'ultimo. Si rende tuttavia consapevole della novità rappresentata
dal fascismo e della necessità di nuovi strumenti di lotta 187.
4 Da Barcellona a Torino (1926)
L'aggressione squadrista lo spinse a lasciare per un certo tempo
l'Italia: su consiglio di Arturo Farinelli 188 che aveva avuto parole di
lode per un suo romanzo manoscritto, si diresse a Barcellona 189 Tale
soggiorno fu di breve durata: Mi ero laureato da un anno e mezzo e
avevo finito di fare il servizio militare da poco. In Italia non ce la
facevo più; non che non ci potessi più vivere: a Novara, è vero, si era
incominciato a rendermi la vita difficile e non più di tre mesi innanzi
la cosa si era concretata in un'aggressione in piena regola fattaci una
sera alla fine di settembre, al compagno Porzio Giovanola e a me... ;
ma Novara non è tutta l'Italia e mi sarebbe bastato trasportare i
penati che so, a Milano, a Torino, perché la vita di ogni giorno
185 Yack, (A. Jacometti), Invincibilmente, «La parola
socialista», 26.2.1925.
186 Id., A proposito di podestà, Ibid., 3 .9.1925.
187 Id., Della violenza, Ibid., 5.3.1925; Id., Il piacere
dell'accattone, Ibid., 19.9.1925.
188 Intra 1867-Torino 1948, filologo, con la sua straordinaria
erudizione inaugurò gli studi comparatistica tra le letterature
d'Europa. Dal 1907 ebbe la cattedra di lingua e letteratura
tedesca all'Università di Torino
189 A. Jacometti, Il filo di Arianna, cit., p. 79 e segg.
79
diventasse possibile; no, non era questo; era l'atmosfera; era quel
non poter parlare, quel viscidume caldo in cui si viveva; quel vedere
cose che facevano raggricciare la pelle e non poter intervenire;
quell'assistere al capovolgimento dei più concreti valori; alla
violenza, alla nequizia, alla sopraffazione, all'ipocrisia, alla falsità,
alla vigliaccheria e non poter far nulla di nulla. Era quel diventare
complici anche se involontari. Ma la debolezza non è già una colpa?
quel non poter dire di no, quel non dire di no, ché c'erano gli occhi di
tua made pesanti e tristi come lo sguardo di un condannato. E la
vigliaccheria, mercè anche il tuo silenzio, conquistava tutto,
infracidiva tutto. Le spie erano più frequenti delle mosche in una
stalla d'estate; le avevi in ufficio, dal trattore, in iscuola, le avevi in
casa ed era già molto se non le avevi in famiglia. Due cose soltanto si
poteva fare: o cedere e allenarti a dire di sì, a pensare di sì, o
preparare una bomba. O preparare una bomba, qualunque essa fosse,
che ti nutrisse con la speranza della vendetta. Ero andato da Arturo
Farinelli. Mi piaceva...Aveva quel fascino che seduce i giovani: alto,
quasi gigantesco, quadrato, con quel viso tagliato in un ceppo di
rovere e quei capelli ricciuti e incolti come un campo di stoppie,
aveva un alcunché di forte e selvatico che piace a quella sorta di
giovani com'ero io. Del fascismo parlava con parole roventi, con un
disprezzo ineguagliato, come si potrebbe parlare di certe malattie, del
vomito d'un ubriaco, e diceva: - La tessera? ma prendetela la tessera,
che ve ne importa? non mettete la cravatta perché tutti la mettano?
non mi metto io stesso la cravatta? Che ci sta a fare al collo questa
specie di capestro? Eppure la mettiamo e la metto, come ci mettiamo i
calzoni. Prendete la tessera e salvatevi l'anima. Poi accettò di far
parte dell'Accademia d'Italia."190
"A Madrid c'era la dittatura di Primo de Rivera ma a Barcellona l'aria
era ancora respirabile. Fu un mezzo fallimento, anzi fu un fallimento
completo; vi restai, se non mi sbaglio, meno di tre mesi." 191 Visse
dando lezioni private e scrivendo novelle per le riviste letterarie
“Lecturas” e “Rivista de oro” ed entrò in contatto con l'ambiente dei
190 Ibid., pag.77-89
191 A.Jacometti "Mia madre", cit., pag.98
80
separatisti catalani. Rientrato in Italia nell'aprile 1926, si stabilì a
Torino quale tecnico della stazione chimico-agraria di tale città dove
entrò in contatto con gli ambienti socialisti e strinse amicizia con
Bruno Buozzi192 Leandro Allasia, Filippo Amedeo193: "noi giovani, ma
anche i non più giovani, ci raccoglievamo oltrepò, in riva al fiume o
sulle colline.
Mi piaceva, Torino. Lavoravo alla Stazione
Sperimentale chimica agraria, avevo un campo e una cascina a
disposizione ed ero, insomma, re in casa mia, potevo, fino a un certo
punto fare e disfare. E poi avevo ventiquattro anni e il mondo
spalancato davanti....Nessuno mi conosceva a Torino e finché non
m'avessero beccato in una delle tante riunioni, in casa di Allasia o di
qualche altro o sulle rive del Po a tesser reti proibite, non c'era da
stare con addosso il singulto. Il mio direttore, un professor Scurti
occupato soltanto a far carriera, ascoltava con fare distratto le mie
relazioni una volta la settimana e mi lasciava carta bianca"194. Ma
l'impossibilità di agire contro i fascisti lo opprimeva. A Novara ritorna
solo durante i fine settimana e subisce la seconda aggressione: "A
Novara, dove capitavo tutte le settimane, reiterati attacchi del
giornale fascista "La giovane Italia" mi avevano messo in evidenza e
segnalato a chi di ragione. Il secondo incidente mi capitò a metà
circa dell'anno in estate. Verso il tramonto le squadre fasciste
incominciarono a muoversi da tutte le parti e a percorrere le strade
192 G. .Castagno Bruno Buozzi, Milano, 1955 e 1981; G.Epifani
Bruno Buozzi : scritti e discorsi, Roma, 1975; Centro studi
FIOM e Fondazione Brodolini Bruno Buozzi e l'organizzazione
sindacale in Italia, Roma,1982; A.Forbice La forza tranquilla:
B.Buozzi, sindacalista riformista, Milano, 1984; P.Cristoni,
A.Ruini, Dal riformismo al riformismo. Bruno Buozzi : passato
e presente del sindacato riformista italiano, Modena, 1990;
A.Forbice Sindacato e riformismo: Bruno Buozzi, scritti e
discorsi, Milano, 1994
193 Socialista torinese, esule in Francia durante il fascismo,
morto nel 1946.
194 A.Jacometti "Mia madre", cit., pag.98
81
della città con gagliardetti neri e manganelli branditi che,
all'occasione, scendevano sulle spalle della gente, ad
accarezzargliele...
Inavvertitamente
m'ero
lasciato
tagliar
fuori...dell'anello fascista che si muoveva intorno al centro, dov'era la
mia casa: tentare di tagliare l'anello sarebbe stata l'impresa più goffa
e rischiosa;.... avrei potuto forse chiedere l'ospitalità a un amico: non
mi venne in mente; d'altra parte restare in istrada non era salutare; e,
visto aperto il teatro mi vi ingolfai....Il primo atto si svolse
normalmente: in piedi, in platea, pensavo a ciò che sarebbe avvenuto
se, durante l'intermezzo, qualcuno m'avesse riconosciuto. L'atto finì,
si fece la luce. Con le spalle appoggiate contro la convessità della
parete e le braccia incrociate, non mi mossi. Il pericolo maggiore era
lassù, nel loggione formicolante di teste. Niente. Bene. Il sipario si
aprì sul secondo: e, non erano passati dieci minuti, e la strada si
travasò nel teatro: voglio dire le squadre; occuparono ogni ordine di
posti, palchi, gallerie, poltrone, e traboccarono sul palcoscenico,
dove si fecero avanti e richiesero gli inni fascisti...[quando]....lo
spettacolo finì....Lasciai sgorgare la mareggiata in camicia nera e
presi dalla parte opposta. Mi accorsi del drappello, otto, dieci
fascisti, quando l'ebbi quasi di fronte, dall'altra parte uno si staccò,
seguito da altri due. Era un ex mio compagno di scuola. Mi fermò a
un passo di distanza e m'interpellò brutalmente: Non credi che per
uno come te sta meglio essere in casa in giorni come questi? "E
perché?" Non mi lasciò finire, con .il pugno chiuso mi colpì tra la
mascella e il naso...La pattuglia, quando di lì a pochi secondi mi
ripresi, era già lontana."195
La nuova violenza e la svolta istituzionale dopo il gennaio 1925 che
condurrà alla nascita della dittatura spingono Jacometti ad
abbandonare nuovamente l'Italia. Il 26 dicembre lascia in treno
Novara diretto a Parigi: è la scelta dell' esilio. “Un po' questo, un po'
la convinzione (soprattutto dopo il novembre, quando; in seguito al
cosiddetto attentato di Bologna, la stampa d'opposizione fu soppressa
e i partiti proscritti) che, in Italia, non si cavava un ragno dal buco e
che il problema della libertà e della tirannide aveva oramai valicato i
195 Ibid., pag. 100
82
confini e si era dilatato nel mondo, o almeno in quella penisola del
mondo che è l'Europa, l'idea di andarmene davvero incominciò a
frastornarmi il cervello: Amedeo se n'era andato. Buozzi se n'era
andato. Se ne andò, in quel tempo, Turati. Porzio, da mesi, era stato
pubblicamente bandito: L'eroico compagno aveva sloggiato ma per
non più di cinque giorni; ritornato, a noi che lo circondavamo turbati,
aveva dichiarato: «Non c'è nessuna legge che m'imponga di
abbandonare la città. L'arbitrio è arbitrio. Chi l'accetta è colpevole
quanto chi lo instaura. Facciano quello che vogliono, io rimango». E
rimase, ma, da quel momento, pedinato, sorvegliato come il più
pericoloso dei malfattori e senza poter svolgere la minima attività.
“In fondo, ciò che mi decise, fu un fatto banale. Il professor Scurti,
mio direttore, era andato a Roma al ministero, come soleva; ritornato
l'antivigilia di Natale, ci fece pervenire, a tutti, una lettera in cui ci
spiegava come, istruito del nostro patriottismo e alto senso nazionale,
si era creduto autorizzato ad impegnarsi, in nome nostro,
nell'acquisto di un certo numero di cartelle del prestito, che il governo
(di Mussolini) in quei giorni emetteva, la ripartizione era stata fatta
nel modo più equo e, a evitarci noie e perdita di tempo, il pagamento
sarebbe stato effettuato con una trattenuta sul nostro stipendio la fine
del mese. La cosa m'indignò. Scrissi una lettera furibonda e il 26
sera, il giorno di Santo Stefano, presi la via della Francia, l'indomani
ero a Parigi"196
Nell'emigrazione (1927-1943)
1 Fuoruscito a Parigi (1927-1929)
La scelta della Francia come terra d'esilio è frutto del «richiamo
sentimentale» per la tradizionale ospitalità che la Repubblica ha
offerto agli esuli, cui si aggiunge la certezza di trovare nella numerosa
colonia italiana la trama su cui ritessere i legami politici 197 "Il luogo
196 Ibid. e Quando la storia macina, Novara, 1952, passim. .
197 P.Milza Les italiens en France de 1914 à 1940, Roma, 1987.
A.Garosci, Storia dei fuorusciti, Bari, 1953. S. Tombaccini,
Storia dei fuorusciti italiani in Francia, Milano, 1988; L. Di
Lembo, L'organizzazione dei socialisti italiani in Francia, in: G.
83
in cui ci si vedeva un po' tutti eran le conferenze culturali della
"Giovanni Amendola", l'associazione di giornalisti italiani presieduta
da Turati. Fu lì che per la prima volta conobbi di persona Eugenio
Chiesa, Cladio Treves, Alceste De Ambris, Luigi Campolonghi, Turati,
Coccia, Giuseppe Bensi, Franco Clerici. Frequentava la "Giovanni
Amendola" Bassanesi e vi conobbi Giuseppe Donati, ex direttore del
«Popolo» di Roma; uno degli eroi dell'Aven-tino....Bisognava fare
qualcosa. La Concentrazione era una vecchia sdentata che aveva
portato in terra di Francia gli acciacchi e lo spirito dell' Aventino;
bisognava rompere, spezzare, uscir fuori da quel cerchio fatato che
spegneva ogni fiamma, bisognava andare avanti con un segno
positivo, non vegetare con un segno negativo in fronte, essere, essere
qualcosa, socialisti, anarchici, comunisti, repubblicani ma esser se
stessi, piccoli o grandi, ed essendo se stessi incontrare il fascismo,
non essere perchè era il fascismo, l'antitesi, l'antifascismo. L'ombra
non va mai avanti. Idee. Idee che la sera accendevano gli angoli bui
dei caffè o facevano sonare le nostre camere fino a tanto che un
coinquilino non venisse ad aprire bestemmiando la porta o non
facesse tremare la parete a colpi di tacco."198
In Francia, per i vuoti nelle classi in età lavorativa causati dalla guerra,
l'abbondante domanda di lavoro esistente fino ai tardi anni '30 gli
consentì di esercitare vari mestieri per sopravvivere: capogiardiniere,
viaggiatore di commercio, correttore delle bozze del libro di Miglioli
“Le village sovietique”, impiegato nella banca della massoneria (cui
non fu mai affiliato e da cui venne assunto per un equivoco).
Grazie ai contatti stabiliti nei primi giorni, iniziò una collaborazione al
Corriere degli italiani, giornale fondato nel 1926 dal "popolare"
Donati che, assumendo posizioni critiche verso gli ambienti del
Arfe L'emigrazione socialista nella lotta contro il fascismo,
1926-1939, Firenze, 1982, p. 234.
198 Sul periodo parigino-belga fondamentale la rassegna
analitica di R. Fiammetti Alberto Jacometti dal primo
dopoguerra alla stagione del centrosinistra : la vita e l'impegno
politico in “Il Politico” 4, 1991
84
fuoruscitismo, si prestò inconsapevolmente alla provocazione col
ricevere finanziamenti dall'Ambasciata italiana.
A Parigi la sua critica si fece aspra in particolare verso il proprio
partito. Davanti alle forze politiche che si ricomponevano sul modello
delle loro strutture quali erano state in Italia, dando poi vita nel marzo
1927 alla «Concentrazione d’azione antifascista», dovette prendere
atto di una mentalità che si ostinava a negare l’irreversibilità degli
eventi vissuti dal Paese. Ricorrendo all'ironia, chiamò in causa le oche
capitoline paragonandole ai leaders della Concentrazione: ma se
quelle salvarono Roma col loro grido d’allarme, il vuoto starnazzare
in esilio si riduce ad un vacuo virtuosismo199
In un ambiente che ancora delegava al re e all’esercito il compito di
scalzare Mussolini, indicava la strada della cospirazione, e mentre i
socialisti unitari si facevano interpreti dell’illusione della crisi interna
di regime, ribatteva che si doveva agire in Italia a fianco dei
comunisti, gli unici ad aver compreso l’importanza dell’azione diretta
in patria contro il fascismo e la monarchia200. e parlava di fondare un
«movimento di riscossa e di rivoluzione» che superasse le vecchie
divisioni partitiche201. Da un lato la priorità dell’azione in Italia,
dall’altro una intesa privilegiata tra i partiti proletari per una azione
rivoluzionaria mirata non solo contro il regime ma anche contro la
monarchia.
2 "L'Iniziativa"(1928)
“Verso la fine di quell’inverno mi capitò la fortuna per casa e mi
capitò sotto forma di un assegno in franchi francesi – ottomila franchi
francesi – che il compagno Ugo Porzio Giovanola aveva trovato il
modo di farmi pervenire. Era il miracolo, era la grazia, era... era la
possibilità d’incominciare a far qualche cosa sul serio, a parlare, a
suggerire, a criticare, a proporre. Otto mila franchi! Messi in contatto
con la realtà non erano molti... avanti, avanti! Da cosa nasce cosa.
199 A. Jacometti, Di talpe ed anatroccole, «Corriere degli italiani»,
1.5.1927.
200 Id., Dove i comunisti vedono giusto, Ibid., 17.4.1927.
201 Id., Seppellire i morti, Ibid., 7.4.1927.
85
Nacque, un anno più tardi, la mia espulsione dalla Francia. Per il
momento, dandomi un pochino da fare, riuscii a mettere insieme un
comitato di redazione, una schiera di collaboratori, una tipografia
disposta a stamparla e il titolo di una rivista, anzi, di una rassegna
politica mensile: «L’Iniziativa». La collaborazione era la più ampia
che si potesse, in quel tempo, comporre; a mezzo e al di sopra della
etichetta andava al solido: agli elementi di contatto e di
rinnovamento. Si spaziava dagli anarchici (Berneri), ai repubblicani
(Volterra, Chiodini, Schiavetti, Schettini, Montasini), ai socialisti, ai
franchi tiratori (BattistelIi), ai cattolici (Miglioli e Donati), ai
comunisti. Nacque, la rassegna, di marzo – e aveva un buon odore
d’inchiostro grasso, un buon odore che riempiva la mia camera e
faceva sognare la notte. La mia camera era diventata la tenda
comando: vi si faceva tutto: si scrivevano gli indirizzi, si incollavano
le fascette, si piegavano i giornali, si appiccicavano i francobolli. I tre
o quattro giorni che seguivano l’uscita del foglio erano fervidi di
lavoro, di risa e di gioia. Si andava all’assalto dei pacchi come si va
all’assalto di una bandiera. Durò circa un anno, “L'Iniziativa", e non
ebbe vita molto florida: il terreno era duro, non dissodato; ho sempre
pensato tuttavia che fu quel primo solco a permettere la fioritura, due
o tre anni più tardi, dei «Problemi della Rivoluzione» e, dopo di essi,
al concretarsi di parecchie altre imprese.”202.
Sul suo periodico si sforza di dare alle proprie riflessioni un contenuto
più compiuto, anche se uno dei suoi limiti fu sempre la difficoltà a
superare l'ambito contingente dell'articolo fino a giungere alla stesura
di un vero saggio teorico (con l'eccezione come si vedrà di "Italia
socialista").
Riprende gli attacchi al PSULI accentuando la critica al gradualismo
riformista mentre Nenni partendo dalla direzione opposta, cioè dal
versante massimalista, cerca di ricucire le fila del socialismo italiano
per arrivare nel 1930 alla fusione dei due tronconi del partito. Egli ai
compagni di partito rivolge l'accusa di aver condotto la classe
proletaria all'«abdicazione alla forma eroica e eminentemente educati-
202 A. Jacometti Quando la storia macina. cit.. P. 41.
86
va della rivolta, della conquista, della difesa» 203 cosa che è letta come
un ostacolo all'avvicinamento dei due partiti socialisti 204. Nonostante
la sua apertura verso i comunisti (a cui rimprovera la cieca ortodossia)
Jacometti resta un socialista, ma considera una intesa PSI-PCd'l
basilare per caratterizzare in senso socialista la rivoluzione italiana e
per cooptare sul terreno rivoluzionario i ceti medi 205
E’ un progetto che va in direzione opposta a quello della Concentrazione che nel settembre 1928 si pronuncia per la Repubblica
democratica dei lavoratori italiani. Fernando Schiavetti, repubblicano,
deplora il carattere moderato di questa definizione 206, Jacometti non
capisce come si sia scelta una «formula incerta e bisognevole di
glosse quando per significare le stesse cose esiste la facile e
chiarissima locuzione: Repubblica socialista dei lavoratori italiani»207
«Che essa sin dai suoi primi passi non ci appagò è cosa pacifica; che
essa per questo vada distrutta risolutamente no»: convinto della
necessità della dialettica nella democrazia, mantenne questa posizione
"antiscissionista" anche nel dopoguerra. In polemica con Jacometti
Nenni scrisse che il suo gruppo «non ha né niente da dire né niente da
fare».208 “L'Iniziativa” dedicò al rapporto tra fascismo e monarchia e
all'assetto istituzionale una attenzione particolare. 209 Le sue riflessioni
203 Yack, (A. Jacomettl), Spiriti tormentatori, « L'Iniziativa »,
n. 2, aprile 1928.
204 Id., In tema di unità, Ibid..
205 Id., Franche parole, «L'Iniziativa », n.5, luglio 1928
206 F. Schiavetti, Un anno e mezzo di Concentrazione, «L'Iniziativa »; n. 8, ottobre 1928.
207 A. Jacometti, Anticoncentrazionismo, «L'Iniziativa», 9/10,
dic. 1928
208 lettera di Nenni in «L'Iniziativa », n. 6, agosto 1928
209 M. Bergamo, Inchiesta sulla monarchia, «L'Iniziativa», n.
3, maggio 1928. G. Donati, Monarchia e costituzione, Ibid., n. 5,
luglio 1928. Id., Il re d'Italia e il fascismo, Ibid., n. 7, settembre
1928. L. Battistelli, Inchiesta sulla monarchia, Ibid., n. 8,
ottobre 1928.
87
sono originali là dove fa cenno alle specificità fisiche ed economiche
delle diverse Regioni italiane che comporteranno «organi periferici
assolutamente diversi da quelli finora esistenti»210; è il primo abbozzo
di un progetto federalista, cui non è estranea l'influenza di Camillo
Berneri e che avrà sviluppi negli anni '40 col manifesto di Ventotene,
come si vedrà meglio in seguito. Col numero del dicembre 1928
“L'Iniziativa” cessa definitivamente le pubblicazioni per mancanza di
fondi,.
Il 15 febbraio 1929 gli fu notificato un mandato di espulsione eseguito
da un poliziotto che lo accompagnò a Bruxelles. Lo seguì dopo pochi
giorni la donna che da alcuni mesi viveva con lui e che diventerà sua
moglie, Geneviève Colette Clair.
3 L’emigrazione a Bruxelles (1929-1941)
Dopo il 1922 parecchi socialisti italiani sbarcarono in Belgio dove
trovarono l'appoggio dei loro compagni. Questa solidarietà era basata
su una lunga tradizione di amicizia nata nell'Ottocento. Fin da
quell'epoca vi erano stati numerosi contatti: Cèsar De Paepe fu in
relazione con Andrea Costa, mentre Emile Vandervelde e Louis de
Brouckère assistettero ai Congressi del PSI in rappresentanza del
Partito Operaio Belga (P.O.B.) intrattenendo contatti personali con
Ferri, Turati e altri esponenti. E all'Università di Bruxelles studiò
Angelica Balabanoff, personaggio di primo piano nel P.S.I. di quegli
anni.211
I primi socialisti italiani vittime della repressione politica arrivarono
in Belgio alla fine dell'800 accolti dal P.O.B. che cercò di dar loro una
sistemazione nella metallurgia di Charleroi e nell’artigianato
brussellese, procurando lavoro agli intellettuali nell'Università Nuova,
nella Scuola di Alti Studi, nei giornali del partito. Così diversi
socialisti italiani che erano venuti in Belgio in seguito ai fatti del
210 A. Jacometti Del Parlamento “L'iniziativa”, n.3, maggio
1928
211 A. Landuyt “Il modello rimosso : pragmatismo, etica,
solidarieta e principio federativo nelle interrelazioni fra
socialismo belga e socialismo italiano”, Siena, 1993
88
1898, ritroveranno naturalmente la via di Bruxelles quando il fascismo
li obbligherà a lasciare nuovamente il loro paese.
La federazione belga, benché strettamente legata al P.O.B., vive
nell'ombra del gruppo parigino. In Belgio i fuorusciti socialisti non ebbero veri rapporti con l’emigrazione economica e rimasero sempre un
gruppetto numericamente esiguo al contrario dei comunisti. Secondo
Angelica Balabanoff in Belgio il partito socialista non aveva toccato la
massa degli emigrati perché le idee erano “ostacolate da disposizioni
di natura giuridica che venivano a limitare se non ad impedire del tutto
ogni attività politica degli emigrati” 212.
Dal 1927213 sia il P.S.I. che il P.S.U.L.I. furono presenti in Belgio. Il 4
maggio del 1929 Angelica Balabanoff riunì a Bruxelles i
rappresentanti dei gruppi massimalisti dando indicazioni sulla lotta
contro gli agenti provocatori e sull'organizzazione del lavoro tra gli
emigrati e fornendo un quadro della situazione generale del P.S.I 214
All'origine della federazione belga del P.S.U.L.I. vi erano Saverio
212 A. Balabanoff, Ricordi di una socialista, Roma 1946, pp.355-356.
213 Rapporto della direzione del P.S.I. del novembre 1927, in previsione del
congresso generale delle sezioni all'estero aderenti al PSI. (A.C.S.) e La
Libertà,1.1.1928, cit. da L.Di Lembo, L'organizzazione dei socialisti italiani
in Francia, in L’emigrazione socialista nella lotta contro il fascismo”,
Firenze, 1984, pp.231- 232.
214 Riunione del 4.5.1929 (A.C.S., P.S., sez.I, 1929, b26, K5,
Belgio). Le notizie sulla vita interna del P.S.I. provengono dagli
archivi della polizia italiana che ha un informatore nella sezione
socialista di Bruxelles.
89
Roncoroni215 al quale si aggiunsero Arturo Labriola nel 1927216, Luigi
Lazzarelli217 nel 1928 e Alberto Jacometti nel 1929.
Dopo mesi di fame, riuscì a trovare lavoro come chimico all’Institut
Meurice Chimie. Riprese l’attività politica militando nella sezione
brussellese, collaborando sia all'Avanti che ad altri giornali socialisti,
tra cui “Problemi della rivoluzione italiana”, e partecipando al
dibattito politico con coraggiose ed autonome prese di posizione 218.
215 Alberto Roncoroni nel 1905, condannato per anarchia e
antimilitarismo, si rifugia in Belgio dove vende gelati fino al
1914. Rientrato in Italia dopo la guerra, diventa un dirigente
socialista nella zona di Como, sua regione natale. Ritornato in
Belgio in seguito a rappresaglie fasciste, è dapprima
"terzinternazionalista" e poi comunista. È uno dei redattori della
cronaca in italiano su Le Peuple e La Wallonie e nel 1927 viene
escluso dal partito comunista e reintegrato nei ranghi socialisti e
della L.I.D.U
216 D. Marucco, Arturo Labriola e il sindacalismo
rivoluzionario in Italia, Torino, 1970
217 A.Jacometti “Quando la storia macina”, Novara, 1952. pag.
85-89. Luigi Lazzarelli, nato a Massa Carrara nel 1892, nel
1923 le sue idee socialiste lo obbligano a lasciare l'Italia, si
rifugia in Francia e approda in Belgio nel 1928. Nel partito
rappresenta i giovani socialisti, fa parte della Commissione
sindacale del P.O.B., scrive articoli e durante la guerra di Spagna
recluta volontari in Belgio. Nel 1937, nonostante il decreto di
espulsione, riuscì a rimanere in Belgio dove nel maggio del
1940 fu arrestato perché in una lista di sospetti nazifascisti,
inviato in Francia con un convoglio e fucilato durante il viaggio.
218 A. Morelli, Fascismo e antifascismo nell'emigrazione italiana in Belgio
(1922-1940), Roma, 1983. Alla fine del 1932 si insinuò che a fornire i
capitali per L'Iniziativa fosse stato la spia Menapace. Vedi anche: E.SignoriM.Tesoro, op. cit., p. 56 e segg. A. Jacometti, Quando la storia macina, cit.,
pp. 44-46; A. Garosci, Storia dei fuorusciti, cit., pp. 52-61; S. Tombaccini,
90
Nel 1932 la maturazione di una nuova strategia antifascista procede a
ritmi più rapidi. Comincia anche a precisarsi il progetto di un
intervento economico-sociale sulla realtà italiana. Si prevedono una
riforma agraria, che contemperi la proprietà collettiva della terra da
parte della nazione e la sua concessione in usufrutto a cooperative
agricole; una riforma del credito, che assicuri il controllo statale su di
esse; la statizzazione dei. monopoli industriali, per affermare i diritti
della collettività, "teoricamente incarnati dallo Stato", nei confronti
dei complessi monopolistici. Alla fine del 1932 è varato uno Schema
di programma generale del partito: "Fra lo Stato fascista e la Nazione
solo la Rivoluzione può decidere. Di ciò convinto il Partito Socialista
Italiano, in unione a tutte le forze che ad esso vorranno associarsi,
conduce la lotta per l'instaurazione in Italia di una Repubblica
democratica dei lavoratori che sia una forza energicamente
propulsiva verso il socialismo. I capisaldi immediati di questa
rivoluzione sono: la costituzione di un governo rivoluzionario
provvisorio; l'organizzazione. della difesa della Rivoluzione; la
socializzazione delle banche e delle grandi formazioni industriali e
agrarie"219.
Sul ricorso alla formula "Repubblica democratica dei lavoratori" ha
buon gioco Jacometti a scorgere un segno di impaccio e di timidezza:
"Che dico, Stato socialista! Lo schema non ha l'audacia d'andar fin là.
Arzigogola, barbuglia, dice e non dice e disdice ma quando arriva a
concepire !'instaurazione di una repubblica non è già quella socialista,
bensì: una "repubblica democratica dei lavoratori che sia una forza
energicamente propulsiva verso il socialismo". Ma che cosa significa?
Ma che cosa significa, dico, questa repubblica che è una forza
propulsiva, in lettere chiare, in parole povere, ma che cosa significa se
cit., pp. 109-119.
219 Schema di programma generale del partito, "Avanti!
(L'Avvenire del Lavoratore)", 12.11.1932. Lo schema fu
elaborato da una commissione composta da Saragat, Francesco
Buffoni e Franco Clerici e avrebbe dovuto essere discusso nel
successivo congresso del PSI, cosa che però non avvenne: cfr. Il
Partito Socialista Italiano nei suoi congressi, voI. V cit., p. 88.
91
non un voler nulla significare di preciso, un mettere la maschera là,
dove si teme di far vedere il volto? Abbiamo dunque un volto cosi
brutto da temere la luce del sole? O abbiamo paura di impaurire?
Questo, piuttosto"220
In realtà si tratta di scrupoli che derivavano sia dalla preoccupazione
di mantenere la distinzione fra il nuovo classismo del PSI e la formula
comunista della dittatura del proletariato; sia quella di salvaguardare
la continuità della politica unitaria in seno alla Concentrazione
antifascista, di cui Jacometti gradirebbe l'archiviazione. Ma la
contraddizione esploderà solo nei primi mesi del 1934. Frattanto le
morti in rapida successione di Turati (marzo 1932), del segretario del
partito Ugo Coccia (dicembre 1932), di Treves (giugno 1933) e di
Franco Clerici (marzo 1934) rafforzarono il ruolo che Nenni si era già
saputo conquistare con l'energica direzione dell' "Avanti!", sanzionato
dal conferimento della carica di segretario del PSI. Il 1935 vede
inoltre emergere nell'azione di Nenni il tema nuovo dell'unità
proletaria e del rapporto con i comunisti. In precedenza Nenni aveva
considerato l'intesa fra i due partiti di classe come una ipotesi
teoricamente auspicabile, ma non suscettibile di realizzazione perchè
sul tema del fronte unico "dal basso" Nenni oppone il principio di un
rapporto "da Internazionale a Internazionale, da Partito a Partito, da
organizzazione a organizzazione".
Prese parte al 22° Congresso socialista a Marsiglia nell'aprile 1933
dove chiese un preciso impegno del PSI in Italia ma il partito ribadì
l'adesione alla Concentrazione 221
220 A.Jacometti, Le sorti della rivoluzione, "Avanti!
(L'Avvenire del Lavoratore)", 17.12.1932.
221L. Rapone, Il PSI tra Pietro Nenni ed Angelo Tasca, in E. Collotti,
“L'Internazionale operaia e socialista tra le due guerre”, Milano, Annali
Feltrinelli, 1983-1984, pp. 661-710. F. Pedone, 90 anni di pensiero ed azione
socialista attraverso i Congressi del PSI, voI. II, Venezia, 1982, p. 368; A.
Jacometti, Le sorti della rivoluzione italiana, «Avanti! », 17.12.1932; A.
Jacometti, Il Congresso di Marsiglia «Problemi della rivoluzione italiana», n.
17-18, maggio 1933. G. Arfè, Il partito socialista italiano nei suoi congressi,
vol.4°, I congressi dell'esilio, Avanti, Milano 1963, p.72-73. Al 22.
Congresso (Marsiglia, 17-18 aprile 1933) Jacometti parlando per incarico
92
Gli avvenimenti del 1934, lo scioglimento della Concentrazione ed il
patto d'unità d'azione tra socialisti e comunisti 222 sembrano aprire
nuove prospettive. Archiviata l'esperienza della concentrazione,
Jacometti vide nella creazione del Centro interno socialista una
significativa svolta per il suo partito che sceglie finalmente di agire
direttamente in Italia223 .
della Federazione del Belgio “deplora la mancanza di affiatamento fra il
centro e la periferia. A questo si potrà ovviare o comprendendo nella nuova
Direzione dei membri periferici o facendo funzionare il Consiglio Nazionale.
Egli approva sostanzialmente la magnifica e appassionata relazione del
compagno Nenni, ma ci trova una lacuna per quanto concerne i rapporti con
« Giustizia e Libertà », ed ha alcune riserve da fare. Per quanto riguarda il
giornale c'è mancanza di organicità che deriva dalla scarsa attività
intellettuale del Partito. Il giornale ha sempre o quasi sempre un ottimo
articolo di fondo e poi più niente di interessante. Per l'Internazionale il
problema è formidabile. Il crollo tedesco è stato tremendo. Il possibile crollo
austriaco sarebbe angoscioso perché l'Austria ci aveva dato il tipo di partito
marxista modello. La Internazionale certo non, morrà, perché il socialismo è
prima di tutto internazionalista. Ma bisogna sforzarsi di capire gli
avvenimenti. In Germania la battaglia è stata perduta non nel 1933, ma nel
1918. Il socialismo non può essere creato che dalla rivoluzione. E' d'accordo
con Nenni per quel che ha detto della dittatura del proletariato, ed
evidentemente noi non abbiamo niente in comune con la concezione
bolscevica. Ma quel che bisogna dire è che non c'è più grande democrazia,
non c'è più legittimo suffragio universale, della rivoluzione che è un fiume che
trascina tutto quel che tenta di resistere. Il problema della unità è molto
complesso. I comunisti hanno delle tremende responsabilità, i socialisti non
ne hanno di minori. La procedura è quella delle trattative da Internazionale a
Internazionale. La proposta comunista costituisce certamente una volgare
manovra. Ma perché non chiedere ai comunisti delle trattative dirette?
Quanto al problema della Concentrazione Jacometti lo esamina da un altro
punto di vista. Egli non si oppone a delle alleanze per fini determinati di
propaganda e di azione. Ma non concepisce una alleanza in cui il Partito
impegna l'avvenire. Il Partito deve proporsi di essere la rivoluzione, di
animarla e di dirigerla. Potrà o non potrà. Ma deve volerlo se no si condanna a sparire dietro altre formazioni. In ogni caso bisogna essere prima
socialisti e poi concentrazionisti. Così per « Giustizia e Libertà ». Egli non dice
93
Il 21 giugno 1934 fu informato dal fratello Luigi 224 che il padre
Giuseppe era morente. Decise di ritornare immediatamente in Italia
ma, sorvegliato, venne arrestato alla stazione di Chiasso. Incarcerato a
Como e successivamente a Novara, accompagnò alla tomba il padre
scortato da tre poliziotti. Dopo diciassette giorni di prigione venne
rilasciato e poté ritornare in Belgio. L'arresto gli costò la sospensione
per un anno (poi dimezzata) dalle cariche del partito per timore che
fosse divenuto una spia, anche se nel comminare il provvedimento si
riconobbe il significato umano del suo ritorno in Italia.
Il fratello corruppe con una grossa somma i poliziotti, che lo
rilasciarono, ma è stato ipotizzato da Aldo Garosci che
l'avvicinamento al Corporativismo di esponenti socialisti riformisti
che « G L » sia la borghesia. Capisce che si possa lavorare con «Giustizia e
Libertà», ma non in «Giustizia e Libertà», perché questo movimento si è dato
un programma che non è e non può essere il nostro.”
222S. Fedele, Storia della Concentrazione..., cit., p. 162. C. Cartiglia, Il
partito socialista italiano 1892-1962, Torino, 1978, p. 293.
223 La fine dell'antifascismo (nostra intervista con Alberto Jacometti),
«Problemi della Rivoluzione italiana», nn. 23-24, gennaio 1934; S.Merli,
“Documenti inediti dell'archivio Angelo Tasca. La rinascita del socialismo
italiano e la lotta contro il fascismo del 1934 al 1939”, Milano, Annali
Fondazione Feltrinelli, 1963.
224 A.Jacometti “Mia madre”, cit., “saremmo andati in viaggio di nozze in
Svizzera e lì avremmo incontrato mia madre e mio padre. Il 21 mattina
ricevetti un telegramma di mio fratello….mio padre era moribondo. Erano
otto anni che non lo vedevo…. alle cinque del mattino, la trombosi. Aveva
settantasette anni. Partimmo, con Colette, il giorno stesso; l'indomani mattina otto poliziotti fascisti, parte dei quali m'avevano accompagnato in treno,
m'arrestarono appena fuori dalla stazione di Chiasso. La telefonata era stata
naturalmente intercettata. Mi portarono alle carceri di Como. Verso il
tramonto vennero a prendermi: mio fratello aveva ottenuto di farmi
trasportare alle carceri di Novara di grande urgenza; mio padre, era morto.
Fu in quei giorni che conobbi mio fratello: corruppe i poliziotti, corruppe
l'autorità di pubblica sicurezza, corruppe non so chi e quella sera, dopo
diversi andirivieni tra casa e questura, dormii nel mio vecchio lettino, C'era
un poliziotto nel corridoio e due giù in cortile…. Durante i funerali mi si
avvicinò Porzio e m'abbracciò, al cospetto di tutti.”
94
come Rinaldo Rigola ed Emilio Caldara 225 abbia avuto un ruolo in
questo clima di distensione. L'arresto fu possibile in quanto l'attività di
Jacometti all'estero era attentamente seguita dalla polizia italiana 226.
Terminata la sospensione, all'inizio del 1935 divenne segretario della
Federazione di Bruxelles227, carica che ricoprirà fino al 1937.
Denunciò l'aggressione fascista all'Etiopia dalla tribuna del Congresso
degli italiani all'estero, a Bruxelles, insieme a Louis De Broukère,
225 S. Merli Corporativismo fascista e illusioni riformistiche nei primi anni
del regime: l'attivita dell' ANS - Problemi del lavoro nelle carte di Rinaldo
Rigola. “Rivista storica del socialismo”, 1959, 5.
226 ACS.-CPC., fasc.2608; «Alberto Jacometti racconta la sua
vita», dossier del Corriere di Novara, 3.5.1984.
A.
Garosci, Vita di Carlo Rosselli, VoI. I, Roma-Firenze, 1946, p.
66 e nota. L. Rapone, L'età dei fronti popolari e la guerra.
A.Jacometti "Mia madre", cit., pag.109 “Fu una faccenda che
mi turbinò in testa per nove anni,fino a quando, nel 1943,
ritornai dal confino: perché mi avevano rilasciato? Non era
mai, ch'io sapessi, accaduto. I due interrogatori che avevo
subito non erano idonei, per quanto poco me n'intendessi, a
farmi apparire una colomba: Perché dunque m'avevano
rilasciato? Si fecero molte supposizioni. Mussolini aveva
ricevuto, alcuni giorni prima, il vecchio Caldara, ex sindaco di
Milano. Si disse che la mia scarcerazione era un elemento di
quell' atmosfera nuova che il dittatore (si era nel 1934)
intendeva creare.. nei confronti dei socialisti e in preparazione
della già baluginante avventura africana.. La verità, molto più
rude, molto più sordida, la seppi, nel 1943.. Era accaduto
questo, semplicemente, che mio fratello Luigi, tramite un alto
gerarca della città, aveva con ventimila lire d'allora convinto un
alto funzionario di Bocchini a sottrarre per mezza giornata il
mio incartamento dagli scaffali della polizia politica.”
227 Un agente informa con nota 13.5.1936 (XIV E.F.), che la
manifestazione del Primo maggio 1936 alla Maison du peuple,
95
presidente dell'Internazionale operaia e socialista 228. Davanti alle
avvisaglie di una nuova guerra spronò l'azione del partito
riproponendo il suo programma del 1932 ed entrando, per questo, in
polemica con lo stesso Nenni che criticava, fin dal Congresso di
Marsiglia, il concetto di dittatura del proletariato inteso come dittatura
di un partito con riferimento alla situazione interna dell'URSS.
Jacometti replicò che la situazione sovietica non doveva essere
generalizzata e che l'opzione federalista avrebbe garantito l'Italia dalla
degenerazione burocratica. Nenni era però di parere contrario:
«Individualismo ed antistatalismo sono antirivoluzionari» replica alle
proposte di Jacometti 229
4 "Problemi della rivoluzione italiana"(1931-39)
La rivista Problemi della rivoluzione italiana, che uscì in tre serie dal
1931 al 1939, espressione del gruppo dei repubblicani dissidenti
raccolti intorno a Fernando Schiavetti, recuperò molte tematiche de
L'Iniziativa, seppur con un diverso e maggiore spessore politico.
All'apparire della rivista il vario universo del fuoruscitismo ha
superato la frattura nel PSI, che risaliva al Congresso di Roma del
1922, e visto il sorgere del movimento di «Giustizia e Libertà» che ha
vivificato gli ambienti dell'esilio con la sua forte carica dinamica 230 .
Jacometti non faceva mistero della sua avversione per GL non
presenti comunisti. socialisti e alcuni anarchici, è stata
introdotta da un discorso di Jacometti sulla storia e significati
della ricorrenza, "glorificazione di Mosca e della politica del
fronte unico che ha dato risultati così lusinghieri a Madrid
come a Parigi" In A.C.S-CPC, copia in I.S.R. Novara, Fondo
Jacometti, busta 4
228 A. Morelli, cit., pp. 250-251.
229 A. Jacometti, Dello Stato proletario, “ Nuovo Avanti”,
13.6.1936; Risposta di Pietro Nenni, ibidem.
230 M.Tesoro Dal repubblicanesimo al socialismo. La rivista «Problemi
della rivoluzione italiana», in “ L'emigrazione socialista nella lotta contro il
fascismo”, Firenze, Sansoni, 1982, pp. 171-207. S. Fedele, Storia della
Concentrazione..., cit., pp. 73-126.
96
condividendo le riserve di Rosselli nei confronti del marxismo 231; egli,
al contrario, rivalutava il carattere dialettico dei socialismo scientifico
ed il ruolo centrale dell'uomo nella lotta di classe 232 inserendosi
nell'alveo genuinamente classista che il PSI si è scelto dopo la
riunificazione. Ma il dato di fondo della sua ostilità è che Rosselli
comprende nella definizione di «classe rivoluzionaria» anche la
piccola e media borghesia, mentre Jacometti diffida di chi non ripone
la propria fiducia esclusivamente nella classe proletaria, nel timore
che a guidare la rivoluzione antifascista sia un partito moderato. «Il
proletariato tende alla socializzazione, la piccola borghesia, invece,
tende alla proprietà... La proprietà è egoismo e l'egoista è per la
proprietà. L'abisso è incolmabile»233 . Esternò i propri dubbi allo
stesso Rosselli che rispose giustificando la disorganicità del
programma col suo carattere pragmatico234. Nel maggio dello stesso
anno Jacometti pubblicò il saggio «Italia socialista»235. Sottolineando
il carattere quasi purificatore della rivoluzione, teorizza il sorgere di
un governo provvisorio che ponga mano alla socializzazione dei
mezzi di produzione senza però giungere ad una dittatura bolscevica:
lo scopo avrebbe dovuto essere l'instaurazione di una repubblica
231 C. Rosselli, Socialismo liberale, Torino, 1979.
232 A. Jacometti, Considerazioni, «Italia Libera», 10.5.1931.
233 A. Jacometti, A metà strada, «Problemi della rivoluzione
italiana» n. 6, febbraio 1932. Critiche analoghe sono mosse da
Nenni (Il programma di agitazione rivoluzionaria di Giustizia e
Libertà “Avanti”!, 30.1.1932.) e Saragat, Il significato
funzionale del programma,” Problemi della rivoluzione
italiana”, n. 6, febbraio 1932.
234 Lettera di Jacometti a Rosselli del 30.1. 1932 e risposta di
Rosselli del 23.2.1932 in: D. Zucaro, Socialismo e democrazia
nella lotta antifascista 1927-1939, Milano, Annali Feltrinelli,
1986-1987, p. 158-162.
235 A. Jacometti, Italia socialista, «Problemi della rivoluzione italiana», n.
8-9, aprile-maggio 1932; A. Jacometti, Per un programma, in “AvantiAvvenire del lavoratore”, 19.8.1931.
97
socialista, articolata su ampie autonomie con i poteri locali modellati
in base alle realtà produttive (sindacati, cooperative o altro ancora):
«lo penso che il socialismo ha bisogno di autonomie tali da rasentare
la federazione». Solo sottraendo potere agli organi centrali, a cui
Jacometti affida compiti di coordinamento delle realtà locali, si
sarebbe preservata la rivoluzione antifascista dal veleno della
burocrazia sclerotizzante e si sarebbe resa possibile una forma di
democrazia diretta tramite il costante controllo dei rappresentanti sui
rappresentati negli organi di potere locale. In tal modo, quando il
governo provvisorio avrebbe convocato una Costituente per legiferare
sull'assetto dello Stato, i nemici della rivoluzione sarebbero stati
individuabili e facilmente sconfitti. L'unico pericolo per lui, che
sembra quasi prevedere quello che effettivamente accadrà, è quello di
una rivoluzione moderata che costringa i socialisti ad essere una delle
tante forze del gioco parlamentare: le forze moderate «di sotto le ali
della chioccia socialista coveranno il pulcino di una Costituente
borghese». Come farà il partito socialista ad imporsi alle altre forze,
conquistare per sé solo il governo del Paese e dare l'avvio alle
riforme? La dittatura del proletariato, una volta instaurata, avrebbe
portato alla Repubblica federale ma, per assicurarsi l'effettività del
potere, sarebbe ricorsa necessariamente alla violenza: «La rivoluzione
va difesa, non credo contro i nemici di fuori, certo, contro quelli di
dentro... Il socialismo non è resistenza passiva o, peggio, non resistenza. È giustizia. La giustizia è armata». Nel saggio, che non a caso
valse a Jacometti il plauso del giornale anarchico L'Adunata dei
refrattari236 si nota una consonanza con l'idea di Berneri di istituire in
Italia, in sostituzione del Parlamento, un «Consiglio del lavoro» a
rappresentanza professionale237.
5 Il rapporto con Camillo Berneri (1935-36)
236 L. Battistelli, Inconvenienti di segnare il passo, « Problemi della rivoluzione italiana », n. 11-12, luglio-agosto 1932; L'Orso, La Costituente, «
L'adunata dei refrattari », 23.7.1932.
237 C.Berneri, Gli asini enciclopedici, «L'Iniziativa», n. 3, maggio 1928. C.
Berneri, I moretti dei ministri, «L'Iniziativa» n. 5, luglio 1928.
98
Il rapporto, iniziato nel 1927-28 con la frequentazione degli ambienti
dei fuorusciti a Parigi e con la collaborazione alla rivista
"L'iniziativa", proseguì per via epistolare (di cui sono pervenute solo
alcune lettere del 1935-36) dopo il trasferimento a Bruxelles 238
Non è qui il luogo per approfondire il pensiero del Berneri 239, ne
diamo solo alcuni cenni evidenziando i loro punti di contatto: egli
individuava la burocrazia come strumento di oppressione dello stato
sia borghese che sovietico, l'unica salvezza venendo dal federalismo
238 Ma la scomparsa di Camillo non interruppe i rapporti familiari.
Ved. la lettera della figlia Giovanna Caleffi Berneri del 16.8.1957 che
annunzia la morte della madre Adalgisa Fochi, in ISR Novara, Fondo
Jacometti, busta 8, Sul contesto della sua morte, ad opera di agenti di
Stalin, M. Baccianini, Lo stalinismo nella guerra civile spagnola e
G.Zaccaria, Vittime italiane dello stalinismo, in « Mondoperaio », n. 4-5,
1988.
239 Lodi 1897- Barcellona 1937. Atti del Convegno di studi su
Camillo Berneri (Milano, 9 ottobre 1977), Carrara, 1979;
Francisco Madrid Santos "Camillo Berneri, un anarchico
italiano (1897-1937): rivoluzione e controrivoluzione in
Europa, 1917-1937" Pistoia, 1985; Camillo Berneri nel
cinquantesimo della morte, Pistoia, 1986; C.De Maria "Camillo
Berneri. Tra anarchismo e liberalismo", Milano, 2004. Sugli
anarchici italiani in Francia G. Manfredonia, Les anarchistes
italiens en France dans la lutte antifasciste, in: P. Milza, cit..
pp. 223-255 .Questa l'affettuosa rievocazione del suo sistema di lavoro
fatta da Jacometti, in "Nuovo Avanti", Parigi, 22.5.1937 e "Guerra di
classe", Barcellona, 23.6.1937 :«Cercatore d'istinto, era capace di
rinchiudersi in biblioteca per giorni e giorni, a sfogliare, a
leggere, a prender note. Ritagliava i giornali, sfaceva un libro per
estrarne alcune pagine; quando non poteva sfarlo, copiava. Ripeto che
s'interessava a tutto: dalle malattie dei bambini ai problemi delle razze,
dai giocattoli alle ultime teorie sull'universo. E ogni annotazione era
classificata. La sua biblioteca si componeva così, in gran parte, di un
99
derivato dalla rivoluzione sociale, che avrebbe prodotto comuni
indipendenti liberamente federati in cui i gruppi corporativi avrebbero
soppiantato le funzioni dell'organizzazione statale. Dal punto di vista
economico riteneva si dovesse sperimentare la libera concorrenza tra
lavoro e commercio individuali e collettivisti. La collettivizzazione
veniva condannata se frutto di un'imposizione e non come libera
scelta: l'anarchia non avrebbe portato ad una società dell'armonia
assoluta, ma alla società della tolleranza.
Utilizzando i suoi studi su Freud e sulla psicologia, analizzò
l'antisemitismo in “Le Juif antisémite”240 in cui pose l'accento sulla
lotta contro l'antisemitismo dello stesso ebreo che deve superare la
propria condizione d'inferiorità psicologica. L'ebreo è un'entità
storico-sociale, piuttosto che una razza, e i suoi limiti risiedono anche
e soprattutto nell' “autocastrazione”. Gli ebrei, categoria di senza
patria, sono i più adatti a gettare le basi della grande famiglia umana.
Berneri inviò una copia di questo libro a Jacometti che gli rispose
avanzando "....delle osservazioni...[che]..sono tutte riassunte nel tuo
avant propos . Tu non hai fatto che impostare, inquadrare il
fenomeno. Di qui una certa aridità. Hai messo lì lo scheletro e non
l'hai rimpolpato. E', un po', il genere tuo che si ritrova in svariati tuoi
articoli (seguo attentamente quelli dell' Adunata - bellissimi alcuni);
il tuo lavoro di ricercatore è sovente troppo nudo. Per fare un
paragone ti dirò che sei un po' come un minatore che trovato un
diamante pronto te lo mette nelle mani. Ma di questo, ripeto, e almeno
per quel che concerne il “Juif anti-semite” ne sei persuaso e lo
enorme schedario e di fasci, di casse, di carta stampata o manoscritta.
Chi non s'è rivolto a Berneri per un'informazione su questo o quel
soggetto? La risposta era sempre la stessa: devo avere qualche cosa
nelle mie carte, vedrò. E qualche giorno dopo t'arrivava con la busta di
cuoio gonfia di documenti: tutto il lavoro di ricerca era fatto; l'aveva
fatto lui, in anni e anni di fervido paziente operare. Date, rinvii,
richiami, non mancava nulla».
240 C.Berneri, Le Juif antisémite, Paris, Éditions 'Vita', 1935.
Tradotto col titolo "L' ebreo antisemita"; presentazione di
Alberto Cavaglion, Roma, 1984
100
dichiari tu stesso. Altre piccole cose: alcune deduzioni mi paiono un
po' forzate. (E' un difetto, mi pare, di tutto il freudismo). Per es. il
capitolo VII: Complexe de castration. La virago n'aime pas san
mari ... parce que insatisfaite au point de vue érotique. Ma è stata sua
amante durante un lungo periodo, è da supporre! .., circoncis, donc
demi-chatrè. Non ti pare arbitrario? quando molti medici sostengono
che la circoncisione è una misura igienica? .. .Detto questo però, ti
faccio le mie lodi per il tutto. Anche per il metodo, che mi pare ottimo.
La migliore prova è che l'ho letto in due giorni, io lettore
lentissimo ....241 Gli rispose Camillo: “..Scrivo un'infinità di lettere
riguardanti il movimento; un'infinità di articoli; e quando sono
nauseato della politica mi ingolfo nei miei studi preferiti: psichiatria e
psicologia. Ha materiale per vari libri, ma non trovo mai il tempo per
completare le ricerche e per scriverli. E tu? Se fossi qui ti prenderei a
consigliere per uno scritto che ho cominciato ma che non va avanti
perchè ho dubbi formidabili sulla sua opportunità. Si tratta di una
cosa molto personale, che non riesco a definire. Une specie di lirica
in prosa delirante, nella quale parlo del mio esilio, dicendo delle cose
che soltanto io posso dire. Mi paralizza anche il fatto che non so
quando nè come potrei pubblicare questo scritto che, per la natura
sua, non può essere pubblicato fra dieci anni. E' una bomba contro
tutti, me compreso. Se tu capitassi a Parigi te ne leggerei alcuni capitoli e tu potresti consigliarmi. Con Bergamo 242 non posso: mi darebbe
del «grande scrittore». E so di non esserlo, pur sapendo di avere alcune doti di scrittore: l'immediatezza, ad esempio. Ma sono molto
ineguale, come tutti i nervosi-anemici. Bisognerebbe anche potessi
scrivere senza continue interruzioni. Invece non dispongo mai di una
241 A.Jacometti a C.B., Bruxelles, 29.2.36, in C.Berneri
"Epistolario inedito", Pistoia, 1980, 1. vol., pag.96; Jacometti
aveva già accusato ricevuta del ricevimento del libro in una
cartolina postale del 23, Ibid., pag.95
242 Fratelli antifascisti repubblicani veneti; L.Vanzetto
L’anomalia laica. Biografia e autobiografia di Mario e Guido
Bergamo,Verona, 1994
101
giornata intera e non posso lavorare la notte, che sarebbe per me
ricca di ore fecondissime.243
A questa lettera Alberto replicò: "Da Bergamo (con il quale anch’io e ho sofferto molto - non corrispondo più) avevo saputo, alcuni mesi
fa, del tuo «Esilio». Credo che se potessi prenderne conoscenza – e
ciò mi farebbe molto piacere – ti direi schiettamente il mio avviso.
Come fare? né da quello che Bergamo mi disse, né dal suo accenno,
non posso, naturalmente, farmi un’idea un po' esatta di che si tratta.
Ma come fare? In Francia vorrei venire, per qualche giorno almeno;
ma oltre al resto, mi pesa ancora sulle spalle l’espulsione. Vedrò e, al
caso, te ne farò avvertito. Anch’io ho pensato a un «Esilio» che
dovrebbe essere il 4° volume di «Nuova Tempra»244 - ma sotto forma
di romanzo e che si chiamerebbe «Il pane altrui». I primi tre sono
finiti, in italiano, e due, tradotti in francese. Non ho trovato, finora,
editori. In italiano, non c’è da pensarci. La N.R.F. mi scrive
testualmente: «Je crois qu’il ne serait pas bon pour vous que j’e me
large des son sorti» dopo, bene inteso, anche letto i libri. Per il resto
vivacchierò, facendo il chimico, a Bruxelles, tu lo sai, si è in piena
provincia......" 245
La corrispondenza riprende alla fine dello stesso 1936, quando la
situazione politica è profondamente mutata con la vittoria del Fronte
Popolare in Spagna e in Francia, che riaccende la speranza di
rovesciare il regime fascista in Italia, presto delusa dal colpo di stato
del generale Franco appoggiato da Mussolini e Hitler.
A una proposta di Berneri di recarsi in Spagna per dirigere dal lato
tecnico un'azienda agricola anarchica, gli risponde: ".. finora,
pensando di venire in I[spagna], pensavo di venire come tanti altri (nè
ho abbandonata l'idea). Questo per dirti che la tua proposta mi fa
riflettere. Tanto più che io non ho bisogno di un posto. Le cose però
243 C.Berneri, lettera a Alberto Jacometti, 6.3.1936, riportata in
“Pensieri e battaglie”, Paris, 1938, pag.
244 Così nel testo, probabilmente da leggere "Nova Tempora".
Non si hanno notizie dei romanzi citati.
245 A. Jacometti, 10.3.1936, in C.Berneri "Epistolario
inedito", cit., pag.98
102
cambierebbero completamente se i miei servizi potessero essere,
comunque, utili alla rivoluzione. E allora ti devo francamente dire che:
1) se è vero che sono laureato in scienze agrarie;
2) che sono, per di più, figlio di agricoltore;
3) da dieci anni non mi occupo più professionalmente, d'agricoltura,
da tre faccio il chimico (acciai, metalli, materiali di costruzione etc.);
4) e non conosco per niente l'agricoltura spagnola nè i suoi problemi
specifici...".246 Più disponibile si mostra in una lettera di poco
successiva: "...il compagno Bibbi247 mi scrive invitandomi a fare un
viaggio di orientazione sul posto. Gli rispondo con la seguente lettera:
va bene. E se veramente credi (credete) che non sia necessario di
conoscere la . cultura degli agrumi che per sentito dire e che la mia
opera possa essere veramente utile, allora scrivimi e dammi le
istruzioni per il viaggio.Sono impiegato e mi occorrono quattro o
cinque giorni di preavviso....." 248
Il viaggio viene effettivamente compiuto a gennaio e al ritorno così
relaziona:
"1- A Valenza incontrai Salvador e un rappresentante della Federazione contadini. Parlato lungamente con loro. Sono pieni di energia e
vorrebbero fare grandi cose ma le loro idee sono estremamente confuse. Mi parlano delle necessità d'un tecnico per gli agrumi, per il riso,
per i frutti, mi parlano di concimi e della necessità di trovare una formula per combattere i parassiti dei frutti etc. Non sono ancora
incamminati. Non riescono fino a adesso a disgiungere i problemi per
tentarne la soluzione progressiva. Metto da parte, per il momento, i
concimi e i prodotti di difesa in genere, per i quali conviene di
continuare come per il passato, affidando al tecnico il compito di
studio, di ricerca e di esperimento. Mi pare che ci sia la necessità
246 A. Jacometti a C.B., Bruxelles, 18.12.1936, in C.Berneri
"Epistolario inedito", cit., pag.98.
247 Gino Bibbi, ingegnere anarchico, nel dopoguerra
repubblicano, Carrara 1899-1999
248 A. Jacometti a C.B., Bruxelles, 2.1.1937, in C.Berneri
"Epistolario inedito", cit., pag.98.
103
abbastanza urgente di un esperto in coltivazioni speciali. Ritornerò
sull'argomento nella conclusione.
2- A Gandia, visto Cassana che si limita a presentarmi alla fabbrica.
Visitata la fabbrica [che] ha possibilità grandissime. Parlato con i
chimici e specialmente con Serred, il responsabile. Ho la netta impressione che questi sia all'altezza della situazione e veda le cose in
faccia. E' più al contatto con i problemi pratici e quindi cerca di
risolverli.249
249 Entrando in dettagli tecnici, così prosegue:"In grandi linee
la questione della fabbrica Vital si può porre così:
a)
problema attuale urgente: lavorazione arance e degli agrumi in
genere, per ottenere sugo, sugo concentrato, essenza, sotto
prodotti quali citrato di calcio, polpe seccate, etc. Anche
tecnicamente penso che il Serred possa sbrigarsela. Qui si pone,
subito, il quesito di salvare il massimo raccolto in corso.
Fatalmente, penso, l'esportazione di frutta fresca diminuirà.
Bisogna che il non venduto passi attraverso la fabbrica la quale
deve fare ogni sforzo per lavorarlo e metterlo in stato di
conservazione. Ritengo necessario di fargli credito e di
sostenerlo al massImo. Vicino al Iato tecnico di cui, ripeto, il
Serred può assumersi la responsabilità, c'è il Iato teorico. Lo
studio, cioè, in laboratorio, dei migliori sistemi di produzione,
di sfruttamento, di conservazione, di miglioramento. Per ragioni
evidenti i chimici attuali, se animati dalla migliore volontà,
difficilmente riusciranno ad assolvere il compito. Necessità,
quindi, di un chimico sperimentato e a conoscenza delle cose. b)
problema economico: i prodotti della lavorazione devono essere venduti. In
massima parte all'estero. Pare che già ci siano richieste importanti. Anche
qui il Serred è ottimista. Occorre, però, secondo me, sviluppare il mercato: la
produzione e la vendita marciando di pari passo, la conservazione essendo
sempre limitata in ordine di tempo. Studiare il problema, la cui soluzione
dipende da voi, come vedrete nella conclusione.
c) problema d'avvenire. La produzione e quindi la lavorazione degli
agrumi si svolge su circa quattro o cinque mesi all'anno. E' vero che, per
quest'anno, ci sarà, dopo questi mesi in cui tutto lo sforzo deve tendere a
104
E conclude: "Per la fabbrica vi occorrerebbe, il più presto possibile, un
chimico con queste qualità: conoscenza profonda della chimica
organica, degli agrumi, delle essenze, gusto della ricerca, attitudine
alla specializzazione. Qualità, purtroppo, che mi mancano. Mi ci
vorrebbero, almeno, parecchi mesi di preparazione teorica. I libri
sull'argomento sono scarsi, la specializzazione mi attrae pochissimo e
altri problemi e altri gusti mi distraggono troppo. Sarei insomma - per
quel posto- un pessimo acquisto...Per quanto mi riguarda non soltanto
vi aiuterò in ogni modo ma non escludo a priori una collaborazione
anche più vicina....250
6 Dalla guerra civile in Spagna all’invasione nazista (1936-1941)
Scoppiata la guerra civile in Spagna, a rendersi conto dell'importanza
del conflitto sono soprattutto gli italiani che accorrono a difendere la
repubblica; l'Internazionale Socialista (IOS) evolve su posizioni
moderate che Jacometti critica già nel 1935 quando, con amarezza, è
costretto a prendere atto che solo i socialisti italiani e tedeschi, gli
unici ad aver sperimentato direttamente un regime fascista, avvertono
immagazzinare, a fare cioè lo stock, da risolvere il problema della
lavorazione degli stock. (Vi dò un esempio: si può, al caso, mettere in barile
il succo concentrato che, dopo, a seconda delle necessità del mercato, si può
vendere come tale o ulteriormente trasformare). Ma, insomma, la fabbrica è
attrezzata o può attrezzarsi per ben altre produzioni. Il Serred suggerisce e
consiglia l'essenza di fiori, d'erbe aromatiche,etc. L'idea, a parer mio, è
ottima. Il suolo deve prestarsi, il clima si presta, la lavorazione si può
compiere. I prezzi delle essenze sono elevatissimi, i luoghi di produzione
pochi. Cominciare con certa coltivazione. Lavorarla, venderla. Se la cosa va,
aumentare la produzione etc. Concludo: C'è, secondo me, la necessità di un
tecnico in coltivazioni speciali: frutti, agrumi, erbe d'essenze, fiori. … Il
problema dello smercio dei prodotti della fabbrica Vital può essere risolto: o
attraverso gli addetti commerciali all'estero o autonomamente. I vantaggi
della prima soluzione sono evidenti. Se qualcosa ostacola, necessita trovare
agenti sulle grandi piazze internazionali: Marsiglia, Anversa, Amsterdam ”
250 A. Jacometti a C.B., Bruxelles, 2 .2.1937, in C.Berneri
"Epistolario inedito", cit., pag.98.
105
il grave pericolo del totalitarismo per l'intera Europa 251. Nel gennaio
1937 anche Jacometti arriva in Spagna, per la missione "tecnica" di
cui abbiamo già trattato.
Dal 1936 al 1939 le attività dei socialisti italiani sono strettamente
legate a quelle dell'Unione Popolare Italiana (U.P.I.). Si crea un
movimento di solidarietà. unitaria in favore dei combattenti
antifascisti in Spagna e viene appoggiata I'idea del Fronte Popolare
Italiano e la collaborazione col P.C.I. sbocca in una nuova carta di
unità d'azione firmata il 26 luglio 1937 dopo il Congresso di Parigi 252,
251 A. Jacometti, Il partito ed il suo dovere, « Il nuovo Avanti
», 1l.5.1935; M. Mancini, L'IOS dalla guerra di Spagna al patto
nazi-sovietico, Milano, Annali della Fondazione Feltrinelli,
1983-1984, pp. 199-220.
252 “Il fronte popolare è un'alleanza e, come tutte le alleanze è un
compromesso. È una risultante di forze. Soggetta quindi a spostarsi con lo
spostarsi, il diminuire, 1'intensificarsi delle forze componenti. Direi, se me lo
si permettesse,che è un equilibrio instabile. Di qui il suo carattere
transitorio. Si può immaginare una politica di fronte popolare per un
periodo, per certi scopi, per una data lotta, non si può far di questa politica
una linea duratura. Le forze poderose della moderna società sono espresse
dai partiti e solamente dai partiti…Persino nei momenti di fronte popolare
totale, nei momenti cioè in cui la necessità, l'utilità del fronte popolare sono
evidenti, tangibili, è necessario, è indispensabile che, a Iato, ma vivi,
autonomi, efficaci, forti, a lato, più forti che mai, esistano i partiti».
A.Jacometti: “Sul fronte popolare”, in «Nuovo Avanti», Parigi, 22 gennaio
1938. Jacometti è delegato con Lazzarelli dalla Fed. Belga al 23. Congresso
(Parigi. 26-28 giugno 1937) “Pone la questione del programma. La
rivoluzione di cui tanto si parla è una risultante di cui noi siamo una delle
componenti. Dobbiamo quindi dare al Partito una fisionomia precisa. Qual è
la nostra posizione dottrinale nei confronti della banca, della terra,
dell'industria, del commercio? Che pensiamo del problema coloniale? Qual è
lo Stato per il quale lottiamo, Stato autoritario e centralizzato, Stato federale
e disarticolizzato? Parlamento o non Parlamento? Su tutti questi problemi
bisogna avere idee chiare, l'improvvisazione essendo il peggiore dei mali. La
elaborazione del programma ci aiuterà a risolvere il problema dell'unità
organica coi comunisti (che deve essere una sintesi e non una somma) ed il
problema dell'unità socialista. (I massimalisti sono mummificati ma sono
106
La linea politica assunta dal PSI nella seconda metà degli Anni trenta
lo vede alquanto critico. Turbato per le notizie che giungono da
Mosca sui processi contro gli oppositori di Stalin in lui i dubbi sulle
alleanze sembrano prevalere sul favore con cui accoglie l'abbandono
della linea politica del socialfascismo da parte dei comunisti. I timori
di Jacometti si indirizzano sulla possibilità che il PSI si venga a
trovare in una posizione di soggezione verso il PCd'I, soprattutto
nell'UPI, anche se accetta di entrare nel Direttivo della Sezione belga
dell'organizzazione nell'estate 1937253
In seguito al patto germano-sovietico dell'agosto 1939 i socialisti si
ritirano dalle organizzazioni del Fronte e Nenni, messo in minoranza,
viene sostituito da una segreteria collettiva composta da Saragat,
Angelo Tasca e dal vecchio Oddino Morgari 254
Con lo scoppio della guerra i fuorusciti italiani, in quanto sudditi di un
paese ostile, vengono fermati e inviati in campi di concentramento,
anche se antifascisti255. Nella primavera del 1940 le truppe germaniche
dilagano in Belgio e in Francia; la psicosi del tradimento in quei
degli operai di sicura fede socialista. In « G L » ci sono fermenti di un
grande interesse e di un grande dinamismo). Nel patto dell'unità d'azione ci
deve essere questo pensiero: che sia il principio dell'unità organica. Il
Partito unico non è forse per domani. Ma tutto va velocemente. Nel 1934
eravamo per i compagni comunisti dei social-fascisti. Oggi lavoriamo
assieme. Il Partito, meglio, la Direzione, meglio ancora, Nenni, hanno avuto
per le cose di Spagna una grande sensibilità. Perché? Perché è ormai
acquisito per noi che non ci sono frontiere nazionali, ma di classe. E'
d'accordo perché si crei l'atmosfera di un Fronte Popolare Italiano, ma su un
programma chiaro. Quanto all'Unione Popolare, non è questione di essere
prò o contro, ma di sapere cosa è. Quando ci siano delle garanzie potremo
aderire. Ma la partita si gioca non qui, ma in Italia. Il problema
organizzativo più importante è di collegarci meglio con il C.S.I. e di dare il
massimo sviluppo al lavoro in Italia.”
253 A. Jacometti, Da Gide a Stalin, «Nuovo Avanti», 6 .8.1937; Id., Invito
all'esame, «Problemi della Rivoluzione italiana», II serie, n. 2, gennaio 1938.
254 L. Rapone, Le alleanze politiche nella emigrazione italiana 1937-1940,
«Storia contemporanea» 5, 1988.
255 A.Koestler "Schiuma della terra", Firenze, 1947, pag. 99
"In quei giorni.....una buona parte della popolazione del
107
tragici giorni della disfatta giunge al punto che il suo amico
Lazzarelli, arrestato dalla polizia belga perché in una lista di sospetti
comprendente agenti hitleriani e inviato in Francia con un convoglio,
viene fucilato con altri ventuno durante il viaggio.
Con l’occupazione hitleriana per gli antifascisti la situazione peggiora
ancora: l'armistizio prevede la loro consegna all’Italia con
conseguente condanna al carcere o al confino. Il 15 maggio 1940, per
evitare la cattura, lasciata la moglie e la figlia Mirella nella capitale
belga, con il muratore emiliano Guerrino Tirelli si dirige verso il
confine francese, riuscendo a raggiungere Bordeaux e poi Tolosa dove
prende contatto con Silvio Trentin, Giuseppe Emanuele Modigliani ed
Aldo Garosci.
Sfumata la possibilità di ottenere un imbarco per gli Stati Uniti, il 20
settembre rientrano a Bruxelles. Passano poche settimane ed il 24
novembre è arrestato dalla Gestapo e imprigionato nel carcere di St.
Gilles. Ai primi di dicembre è fatto salire su di un camion con altri
prigionieri e riportato in Italia attraverso la Germania. 256
Dalla guerra di liberazione al Fronte Popolare (1941-48)
1. Ventotene (1943)
“....Il 16 dicembre, in una notte stellata e ghiacciata, con venti gradi
sotto zero, arrivavamo a Vipiteno. In slitta…. Ricordo il colore fulvovioletto della notte e la danza delle stelle, piccine, sulle groppe
enormi dei monti, il canto dei ghiacciai in quella coppa cristallina e
sonora e lo scalpitar dei cavalli e le groppe oleose e fumanti dei
continente [europeo] s'era abituata all'idea di essere messa al
bando della società. Poteva essere divisa in due categorie
principali: gente condannata per l'accidente biologico della
propria razza e gente condannata a causa del suo credo
metafisico o delle convinzioni razionali riguardanti il modo
migliore di organizzare il benessere umano. La seconda
categoria includeva l'èlite progressista della intellighenzia,
delle classi medie, e delle classi lavoratrici dell'Europa
Centrale, Meridionale e Orientale
256 Jacometti, Quando la storia macina, cit., p. 109.
108
cavalli. E la manetta di ferro che mi stringeva il polso e non mi permetteva di mettere in tasca la mano e la sensazione d'avere il ferro
incollato alla pelle….Il 3 di gennaio, di notte, arrivavo a Novara. Vi
stetti fino al 17 di marzo. E mia madre venne a trovarmi in prigione.
…Per qualche settimana incombette su di me l'ombra del tribunale
speciale. Per gli stessi capi d'accusa Sandro Pertini era stato
condannato, una dozzina d'anni innanzi, a dieci anni di reclusione"257
Venne invece condannato a cinque anni di confino. La sua
destinazione fu Ventotene, uno scoglio nell'arcipelago delle Pontine a
sud di Ponza lungo 2700 metri e largo meno di un terzo, "una ciabatta
in mare" secondo Camilla Ravera, nemmeno otto chilometri il
perimetro costiero, d'inverno spazzata dai venti, d'agosto catino
infuocato. Reggono agli uragani e alla lunga siccità estiva pochi ulivi,
qualche gelso, l'agave, il fico d'India. Si fatica sulla vanga per cavarne
patate, fave, lenticchie, orzo. Rari i vigneti. L'acqua potabile viene con
navi-cisterna da Gaeta. Centrale punto di ritrovo piazza Castello, dove
sorgono le palazzine dei maggiorenti, qualche negoziuccio, la
farmacia. Due sole le strade, al cui incrocio, nel primo tratto a partire
da piazza Castello, abita la gran parte dei ventotenesi, in caseine a un
piano, il tetto senza tegole, fresche di calce, o in tinta, gialline, rosa.
Non tutta l'isola è percorribile dai confinati, reticolati e garitte la sbarrano a qualche centinaio di metri da piazza Castello. Inaccessibile
anche l'area del porto e delle spiagge. A fare il giro completo della
cinta confinaria, non sono neanche 800 metri. Nelle ore del passeggio
è ressa, un formicaio.
Quell'isola ospitò ottocento "confinati" sorvegliati da trecentocinquanta fra militi e poliziotti, La metà dei confinati sono comunisti,
ma vi è rappresentato ogni partito o corrente dell'antifascismo. Di
Ventotene si parla nelle autobiografie di molti antifascisti qui
confinati, e quella di Jacometti pubblicata nel 1946 e ristampata nel
1974 e 2004 con la prefazione di Umberto Terracini 258 è parti-
257 A. Jacometti, "Mia madre", cit.
258 A. Jacometti, Ventotene, Roma, 1946; Padova, 1974;
Genova, 2004; ved. anche: G.Aventi (G. Paganelll), Diario, di
Ventotene, prefazione di S. Solmi, Milano I975; E. Rossi,
109
colarmente interessante per i vivaci schizzi con cui tratteggia i
compagni di pena.
Sotto la direzione di Scoccimarro e Longo i comunisti gestiscono
sette grandi mense, una lavanderia, un podere con mucche per il latte e
vitelli, polli, conigli. Studiano con metodo i classici del marxismo, le
opere di Lenin e di Stalin: il confino è per loro l' «università
proletaria». Li distingue anche la rigidezza con la quale osservano la
linea di demarcazione dagli altri, un gruppo chiuso. Ma la svolta del
23 agosto 1939 - la firma del patto germano-sovietico - produce il
dissenso di Camilla Ravera e Umberto Terracini. Jacometti, descrisse
la coppia dei "reprobi": sembrano «venuti fuori da un libro di Thomas
Mann. Guardateli venir giu, lei con quegli occhi luminosi del più puro,
del più tenero azzurro, sull'esile corpo malato, lui lindo, netto, dai
brevi gesti aggraziati. Si direbbero diretti a un concerto»
E' uno dei rari socialisti di Ventotene, appena tre con Pertini e
Colorni259. Al confino la vita d'alveare lo stressa per il chiasso, di
giorno gli ingorghi, le voci sovrapposte, di notte nel camerone il
cigolio delle brande, la deambulazione degli insonni, e chi russa, chi
tossisce, chi scatarra, chi grida nel sonno, chi pesta gli zoccoli
andando alla latrina; patisce la mancanza di solitudine, gli verrebbe da
gridare: «Si, si, vi voglio bene, ho sposato tutti i vostri mali e le vostre
Miserie e splendori del confino ai polizia, introduzione di
R.Bauer, Milano 1981; A.Spinelli, Come ho tentato di diventare
saggio. lo, Ulisse, Bologna I984; C.Ravera, Diario di trent'anni,
1913-1943, Roma I973; R.Bauer, Quello che ho fatto. Trent'anni
di lotte e di ricordi, in «Rivista milanese di economia», ottobredicembre I986; M.Sequino Verae, Camilla Ravera, Alberto
Jacometti e i tanti confinati a Ponza e Ventotene, in «Il golfo»
maggio-giugno I996 e 30 luglio I996; G. Braccialarghe "Nelle
spire di Urlavento", 2005. Sulle condizioni dei confinati,
S.Corvisieri "La villeggiatura di Mussolini : il confino da
Bocchini a Berlusconi", Milano, 2004
259 Eugenio Colorni (Milano 1909-Roma 1944). Leo Solari
Eugenio Colorni , Venezia, 1980
110
sofferenze, ho mescolato il mio destino con il vostro e non mi disdico,
lotterò con voi, se necessario mi farò ammazzare al vostro fianco, ma
fatemi il favore di andare cinque minuti al diavolo! » Anche del
confinato Pertini, Jacometti ha lasciato un ritratto vivace e stupito.
"Come fa Sandro", si chiede, "ad essere, su questo scoglio, così
elegante?". Chic e pirotecnico: "un uomo- miccia". (in questo 1943
Pertini compie 47 anni, di cui 14 trascorsi tra carcere e confino, senza
contare l’esilio).
Un ruolo di rilievo lo svolgono, nonostante l'esiguità del numero, i
futuri militanti del partito d'Azione. Fra questi, i più autorevoli sono
Riccardo Bauer, Ernesto Rossi e Altiero Spinelli: quest'ultimo, uscito
da una lunga militanza comunista, arrestato a vent'anni, dieci nei
penitenziari, al rifiuto delle purghe di Mosca, lo espellono, lo isolano.
Da confinato si dedica alle attività più varie: orologiaio, contadino,
allevatore di polli; così lo descrive Jacometti: «Alto, di larghe spalle,
atletico. Quando cammina in su e in giù, i suoi affiancatori faticano a
tenergli dietro: a ogni suo dietro-front fan la figura di mezze cicche
nelle esercitazioni reggimentali. E' il cervello più completo che abbia
incontrato al confino; conosce sette lingue e, seriamente, la
matematica e la fisica, serissimamente la filosofia e l'economia.
Aperto a tutte le manifestazioni artistiche [...] E' disordinato, incurante, indisciplinato e nel contempo capace di qualsiasi adattamento»260
E' a Ventotene che Rossi, nel dicembre del '39, ha la prima notte di
nozze con sua moglie Ada, da lui sposata in carcere otto anni prima e
mai incontrata nell'intimità. Fuori dell'uscio c'è un militare di guardia.
"Dal letto udivamo i suoi sbadigli e quando si soffiava il naso." E
tuttavia Ernesto scrive a sua sorella: "Passo questi giorni con l'Ada
facendo una vita da pascià". Un esile pascià antifascista su uno
scoglio d'Italia, nel fatale 1939.
Altiero Spinelli proprio durante la permanenza sull'isola elabora, con
Rossi, il Manifesto federalista. Ma ancor prima di varare il Manifesto,
i due erano divenuti inseparabili: diversissimi, li univa un
anticonformismo istintivo.
260 A. Jacometti, Ventotene, cit.
111
Il programma di Spinelli e Rossi è frutto di diverse stesure successive
nelle quali il carattere volontarista originario va via via affievolendosi.
Jacometti, invitato a dare il proprio contributo alla redazione del
documento quando questo prevede ancora l'unità europea edificata da
un dittatore illuminato, non può che rifiutare. Analogo è il
comportamento di Riccardo Bauer anche se questi non è disposto a
convenire con Jacometti sul ruolo primario da affidare alla classe
proletaria nell'edificazione della nuova società europea 261
Nel disegnare l'ordinamento politico dell'Italia postfascista Jacometti
propende per un assetto istituzionale di tipo repubblicano con
autonomie locali così ampie «da rasentare la federazione». Che l'idea
federalista non rappresenti per Jacometti un aspetto contingente lo si
evince da uno dei suoi ultimi articoli comparso sulla stampa socialista
mentre il Belgio viene invaso dai tedeschi 262. In questo scritto egli fa
apertamente cenno agli Stati Uniti d'Europa. Davanti al fallimento
della Società delle Nazioni, incapace di arrestare l'espandersi del
totalitarismo fascista, Jacometti tratteggia un'Europa dei popoli
fondata sulla giustizia e non sulla forza degli eserciti. All'idea federali
sta non sacrifica, peraltro, il primato del socialismo: «La guerra ha
messo sullo stesso piano, quello dell'abbattimento del fascismo, i fini
del socialismo e quelli di altre forze», scrive, «Ma il socialismo
guarda ad una società nuova: alleanza, dunque, ma non confusione.. ».
Il 26 luglio 1943 Pertini, Jacometti e Spinelli sono nella terrazza
prossima a piazza Castello che domina sul mare; «Devono essere le 7
e un quarto o le 7 e 20 quando vediamo il repubblicano Buleghin
venire verso di noi tutto affannato e gesticolante. Buleghin è un po' il
gazzettino di Ventotene, il gazzettino serio e controllato [...] Il suo viso
è rosso. Prima ancora di esserci vicino, alza le due mani all'altezza
della fronte e dice: Mussolini è caduto, c'è un governo Badoglio, ...
261 A.Spinelli-E.Rossi "Il manifesto dei federalisti europei";
A.Spinelli, Il Manifesto di Ventotene, con un saggio di
N.Bobbio, Bologna 1991. Id., Machiavelli nel secolo xx. Scritti
del confino e della clandestinità' 194I-I944, Bologna 1993.
P.Graglia, Altiero Spinelli Bologna, 2008
262 A.Jacometti, Prevedere per non prevedere, "Nuovo Avanti" 11.5.1940
112
Incapace di star fermo, se ne va a portare altrove la notizia
formidabile». In paese, tutti a trastullarsi a fare ciò che sino al giorno
avanti era proibito. «Entrano nei caffè e vi si siedono, domandano un
mazzo e giocano a carte». Una mattinata di gioia infantile. «Nelle
mense, cuochi e sotto cuochi si affaccendano intorno a piramidali paste asciutte»...I confinati di Ventotene andranno via a scaglioni.
2 Nella Resistenza (1943-1945)
Con Pertini sbarca sul continente, ma mentre quest'ultimo si dirige a
Roma per partecipare alla riunione di ricostituzione del PSI 263 la sua
scelta di rientrare a Novara per riabbracciare dopo diciassette anni
(tranne una breve visita a Bruxelles prima della guerra) la madre e la
moglie che con la piccola Mirella che si era ricongiunte alla sua
famiglia 264, rinunziando in quell'occasione al ruolo di primo piano a
livello nazionale cui poteva aspirare, indica che per lui la dimensione
politica era essenziale ma non al punto da anteporla agli affetti
familiari, e probabilmente anche per il suo carattere schivo e più
propenso ad operare in ambito locale.
"Ero arrivato a Milano per il ferragosto….da Ventotene, il treno si era
fermato a Lambrate. La città non aveva più né tranvai né tassì. Mi
avevano detto che dalla stazione Centrale non partiva più alcun
treno…[che].avrei forse potuto trovare alle Ferrovie Nord, dall’altra
parte di Milano….fu così che dopo alcune ore, sudato, grondante,
slegato in ogni articolazione, raggiunsi le Ferrovie Nord .... . Tolti i tre
mesi di carcere, eran quasi diciassette anni che vi mancavo" 265.
Incominciò con i vecchi compagni ritrovati, Porzio, Ranza, Camillo
Pasquali, con i nuovi venuti, a ricostruire il Partito: si trattava di legare
le prime maglie, di trovare cioè un punto d'appoggio in ogni paese,
qualcuno che si assumesse l'incarico d'avvicinare i simpatizzanti e di
radunarli per un primo incontro con l'incaricato della città. L'ostacolo
263 Alla riunione (23-25 agosto in casa di Oreste Lizzadri) erano
presenti Nenni, Romita, Vassalli, Basso, Buozzi, Pertini, Lizzadri,
Basso, Luzzatto, Vecchietti, Zagari, ecc. (con Bonfatini,
Acciartini, Andreoni e Ogliaro provenienti dal Piemonte)
264 A.Jacometti. Mia madre, cit.
265 Ibid.
113
più grosso era proprio il trovare la cerniera, il perno. "Porzio
Giovanola faceva appello alla sua memoria: ci doveva essere ancora il
vecchio... Ma che cosa aveva fatto durante il ventennio il vecchio?
come si era comportato? aveva resistito? aveva piegato? domande che
restavano troppo spesso senza risposta. Il meglio era d'andare a
vedere. Ci andavo: in poco più di venti giorni riuscimmo a mettere
insieme il nocciolo di quaranta sezioni. A Romagnano m'incontrai, per
la prima volta, con Giancarlo Pajetta. Non Io conoscevo e sapevo ben
poco di lui. Fu del resto il frutto di un errore. Avevo avvertito
Mosconi, un vecchio fabbro ferraio, di promuovere la riunione e
l'uomo s'era dato da fare. Il giorno convenuto una decina di persone
erano riunite in una sua camera sopra la bottega e fra queste un
giovane magro, dall'aria sofferente e dagli occhi vividi. Mosconi non
m'aveva avvertito di nulla. Tenni la riunione, dissi le cose che dicevo
un po' dappertutto e attesi. Fu allora che mi si avvertì che per errore o
mala interpretazione della mia richiesta, erano stati invitati oltre che i
socialisti anche i comunisti. Niente di male. Pajetta si scusò. Non c'era
di che."266
L’8 settembre lo colse a Oleggio, dove la moglie era sfollata con la
bambina: “L'indomani di primo mattino ero a Novara nello studio
dell'avvocato Porzio. Nei quarantacinque giorni si erano costituiti i
comitati dei cinque partiti e quella mattina nel suo studio
convennero i delegati. La situazione si era andata schiarendo: ai
tedeschi occorreva resistere. Come e con chi? Con l'esercito in primo
luogo, c'era da sperarlo e poi con gli operai. Eravamo, noi socialisti, i
meglio rappresentati, ma c'erano anche i democristiani, i liberali, gli
azionisti. I comunisti avevano inviato due giovanetti ventenni. C'era
nell'aria un'atmosfera di dramma e nei convenuti una buona dose di
apprensione......Si prospettava la necessità di prendere contatto con il
generale Sorrentino, comandante della divisione di Novara....Fu
deciso di procedere immediatamente all'arruolamento di tutti coloro
che non si sarebbero accontentati di stare con le mani in mano e di
aprire, all'uopo, tre centri di reclutamento....(...)... Fu inoltre deciso di
266 L’episodio è ricordato anche da Pajetta in “Ragazzo rosso”,
Milano, 1983.
114
mandare, senza perder tempo, una diecina di noi all'uscita degli operai
del mezzogiorno, a parlare davanti alle fabbriche.....Ci dirigemmo
verso le officine che si trovano tutte alla periferia della città. Le strade
erano percorse da un'agitazione occulta: gruppetti di persone si
fermavano sui marciapiedi, davanti ai negozi, confabulavano un
istante e si scioglievano per raggrupparsi di nuovo qualche diecina di
metri più in là. La stessa agitazione di un alveare minacciato. Buon
segno, buon segno. Sarebbe bastato dare un orientamento e la commozione si sarebbe incanalata e avrebbe fatto nodo e ariete.M'era
toccato il settore di S. Agabio, il più fortemente industriale di Novara.
M'era compagno il più giovane dei due comunisti, un ragazzo di
diciottenni appena, biondo, esile, dalla dolce espressione femminea. Si
chiamava Gaspare Pajetta. Era parente di Giancarlo? Si, era fratello.
Mori pochi mesi più tardi, a Megolo, a lato e insieme con Filippo
Beltrami ... e Antonio Di Dio. Non so come, ci procurammo un
tavolino e ci mettemmo davanti alla Montecatini; la giornata era
buona, soleggiata; piccole nubi bianche vagavano neghittosamente nel
ciclo. Quando gli operai, chi in bicicletta, chi a piedi, incominciarono
a uscire come la prima acqua di una chiusa che stia per cedere, salimmo in piedi sul tavolino. Gli operai ci guardavano: qualcuno si
fermava, un po' più lontano. I quarantacinque giorni badogliani erano
stati, in certa guisa, un periodo di transizione, una specie di
convalescenza dopo una lunga malattia. Non ci conoscevano, gli
operai, a quel tempo, Pajetta perché troppo giovane, io, dopo
diciassette anni di assenza. Facemmo cenni d'invito e un cerchio si
fermò, sottile dapprima, via via più folto e compatto. Seguivano le nostre parole con la testa un poco protesa e le palpebre calate a mezzo.
Dovevano essere parole nuove, fabbricate di fresco, che appunto
perché nuove e fabbricate di fresco, penetravano con difficoltà, di
difficile assimilazione. Alla fine, tuttavia, si sollevò, un po' timido, un
applauso. Ma nel pomeriggio non entrarono in fabbrica e
incominciarono ad affluire, a diecine, a quei centri di arruolamento : la
sera, se n'erano iscritti alcune centinaia. Verso sera arrivò una notizia
disastrosa: Sorrentino che aveva nicchiato tutta la giornata fra il si e il
no, rifiutava le armi. A questa se ne aggiunse subito un'altra; l'arrivo
dei tedeschi era previsto per l'indomani 10 settembre. Fu deciso di
115
ordinare a tutti coloro che già s'erano arruolati o che intendevano
farlo, di raggiungere Arona in bicicletta. Partimmo verso le otto del
mattino a gruppetti di otto o di dieci.. Verso le tre eravamo ad Arona,
una cinquantina [ma] per quanto ci dessimo d'attorno, non fu possibile
trovare un albergo che ricoverasse tutta quella gente; andammo quindi
a Meina, a tre chilometri più in su, sulla riva del lago......Quanto poi
all'andare in montagna facevamo i conti senza l'oste : le notizie di
quella mattina, erano catastrofiche : a Milano il generale Ruggiero
aveva, anche lui, rifiutato di consegnare le armi, preferendo
consegnarle ai tedeschi, piuttosto che al popolo italiano.....Cosi finiva
la nostra avventura, appena incominciata o almeno finiva
provvisoriamente. Non avevamo, a quel momento, alcuna base, alcuna
idea concreta, alcun modo di provvedere al sostentamento e
all'armamento di quaranta o cinquanta uomini. Li chiamammo e li
avvertimmo che da quel momento ognuno di noi riprendeva la propria
libertà d'azione. Io, insieme con Rognoni e con Porzio, mi recai a
Macugnaga, sul fondo della Vallanzasca, ai piedi del Rosa, ad
attendere gli avvenimenti....Ma la sorpresa maggiore fu l'altra, fu
quella che ci toccò l'indomani 13 verso il mezzodì. S'udì una voce:
«Arrivano i tedeschi! arrivano i tedeschi!» e, di dietro la chiesa,
vedemmo, sullo stradale, due macchinoni mimetizzati sovraccarichi di
soldataglia nazista....anche a Macugnaga arrivavano i tedeschi e
quarantott'ore appena dopo essersi messi in moto: salute e
complimenti! Fu così che il giorno dopo 14, ritornai al piano. E fu così
che l'indomani, 15, la Resistenza pubblicava, a Novara, il suo primo
foglietto alla macchia; era firmato: Matteotti."267
267 A.Jacometti, Il filo d'Arianna, cit. . Mentre PCI e Pd'A
fecero della resistenza armata l'obiettivo prioritario, i socialisti
fino alla primavera del '44 sottovalutarono l'importanza
dell'organizzazione militare di partito. La formazione delle
"Matteotti" fu possibile per l'impegno di dirigenti che si erano
attivati nei comitati militari del CLN specie in Piemonte:
Corrado e Mario Bonfantini, R.Martorelli, L. Passoni. L.
Cavalli, C. Strada “Nel nome di Matteotti : materiali per una
storia delle Brigate Matteotti in Lombardia, 1943-45”, Milano,
116
Assunto il nome di battaglia di «Andrea», il 20 settembre con Carlo
Torelli per i democristiani e Carlo Leonardi 268 per il PCI fondò II
Comitato di Liberazione nazionale della provincia di Novara, in cui fu
delegato socialista fino alla Liberazione269 . Tra la fine del '43 e gli
inizi del '44 vennero costituiti i primi gruppi armati guidati da
Moscatelli e Beltrami. . In questo periodo si occupò anche di
pubblicare il foglio clandestino Bandiera rossa.
La lotta armata lo vide partecipe attivo sin dal primo momento,
nonostante i rischi270 "Il giorno dopo di Natale [1943]...eravamo da
Moscatelli, il 2 gennaio da Filippo Beltrami. In gennaio arrestarono
Alfredo Di Dio e parve che dovesse essere fucilato da un momento
all'altro; scapparono Porzio Giovanola e l'avvocato Torelli.
Il 26 gennaio 1944, con gli altri due membri del CLN provinciale,
Torelli e Leonardi, l'avvocato Ugo Porzio e due ufficiali del comando
garibaldino, partecipa alla riunione a Campello Monti, presso la
1982
268 Nato nel 1893, nel 1921 aderisce al PCdI, da cui è espulso
nell’ emigrazione per bordighismo; ripresi i contatti col partito
nella Resistenza, è catturato e richiuso nel lager di Gusen dove
muore nel gennaio 1945.
269 P. Secchia-C.Moscatelli, Il Monte Rosa è sceso a Milano, Torino, 1958;
E.Massara, Antologia dell'antifascismo e della Resistenza novarese, Novara,
1984.
270 La vis polemica giunse al punto da far scrivere a Corrado
Bonfantini: "...coloro che mascherando...la fifa nè
combattevano nè intendevano avere alcun "contatto" e se ne
stavano quindi prudentemente nascosti, come l'on. Alberto
Jacometti direttore del "Sempre Avanti" (C.B, Risposta a un
mascalzone, “Mondo nuovo”, 13.7.1947). Nel gennaio 1948 fu
nominato un giurì d'onore che diede del tutto soddisfazione a
Jacometti. Inizia allora a delinearsi il rapporto conflittuale con il
conterraneo Corrado Bonfantini, che li vide contrapposti nelle
scelte politiche con quest'ultimo che partecipò alla fondazione
del partito di Saragat.
117
formazione autonoma "Brigata patrioti Valstrona" comandata da
Filippo Berltrami271 in previsione di un attacco; la riunione, che vede
pareri discordi, si scioglie all'annuncio di un concentramento di forze
nazifasciste all'imbocco della valle e i partecipanti riescono a filtrare a
stnto attraverso i posti di blocco; il 13 febbraio si svolse la battaglia di
Megolo con la morte di Beltrami e di Antonio Di Dio272.
In marzo il Comitato di Liberazione si frantumava per la terza volta. Il
6 aprile, mentre c'era ancora nell'aria l'eco delle scariche del
Martinetto, arrestarono Carletto Leonardi. Ci eravamo incontrati il
mattino in un boschetto nei pressi di Cavaglio; lo portarono a
Mauthausen di dove non fece ritorno. A Roasio ne impiccarono una
dozzina, con l'uncino, come maiali. A Borgoticino ne fucilarono
tredici, in piazza, con tutta la popolazione presente, tredici indicati nel
mucchio, poi appiccarono il fuoco alle case. A Fondotoce ne
fucilarono quarantadue, il quarantatree-simo essendo rimasto
incòlume sotto i cadaveri. A Vignale, ai sette, fra cui due fratelli,
fecero prima scavare la fossa...A Ghemme...Erano litanie che non
finivano mai.
In settembre il Comitato di Liberazione fu rifatto per la quarta volta..Il
7 settembre 1944 con Fornara partecipa ad Alzo all'inconto con i
comandanti e commissari garibadini Gastone "Ciro", Moscatelli
"Cino" e Coppo "Pippo", e con De Marchi "Justus" della Valdossola
ed Enrico Massara della Valtoce, e dalla riunione esce un accordo per
271 Giuliana Gadola Beltrami "Il Comandante", Milano, 1964,
toccante testimonianza della moglie.
272 “Il 26 a Campello Monti, ci comunicarono che la Valstrona
era stata bloccata dalle truppe tedesche. La stessa notte
Beltrami intraprese quella terribile e tragica scalata che lo
portò, con la sua brigata, in Valgrande dove, il 13 febbraio
cadeva a Megolo, circondato da tutte le parti, con Antonio Di
Dio, Citteri, Gaspare Pajetta. Aveva diciott'anni, Pajetta, e il 9
settembre aveva parlato con me, davanti alla Montecatini, per
incitare gli operai a prendere parte alla guerra contro i
tedeschi”.
118
la costituzione di un comando unico e una spinta alla liberazione
dell'Ossola. "[A novembre] arrestarono Piero Fornara. Per mesi, ogni
giorno che capitavo a Novara, mi recavo da lui, prima nel suo studio,
poi in un gabinetto della Casa di Cura o all'Ambulatorio di Pediatria
e li incontravo gli amici e raccoglievo le informazioni. L'arresto di
Piero Fornara mi lasciava cieco e privo di mani. Che fare? ....Fu un
inverno terribile. La neve veniva giù senza sosta e assediava i
partigiani sui monti. Per recarmi da Oleggio a Novara in bicicletta
(17 chilometri) impiegavo più di due ore, arando la neve come il
vomere dell'aratro la terra. La fortuna m'aveva preso per mano e non
mi abbandonava ancora, una fortuna sfacciata. La cospirazione
s'impara e s'intesse come una rete, ma per prudente, cauto,
circospetto che sia, c'è sempre una maglia che sfugge e si rompe; la
fortuna soltanto può riprenderla e fare il rammendo. Fu lei a tirarmi
fuori il 26 gennaio dalla Valstrona, sotto il muso dei tedeschi, fu lei a
frastornare l'attenzione delle guardie repubblichine di Borgoticino nel
punto in cui passavo carico di stampa clandestina, fu lei a suggerirmi
la via per uscire dalla stazione di Novara bloccata. Poi venne la
primavera. Il comizio del 26 aprile riconsacrava la città e apriva le
vie dell'avvenire. C'era la folla occhiuta e dalla bocca enorme, dalla
quale passavano i tuoni; la folla del formicaio, indistinta, quella
ch'era stata l'anima del sottosuolo, tremebonda e intrepida, vigliacca
ed eroica; la folla che aveva tremato e sperato, che aveva arretrato
come un'acqua davanti alla frana e poi, come un'acqua con i suoi
mille tentacoli, con i suoi allacciamenti mortali, s'era infiltrata
dappertutto, anonima, cieca, incosciente, scacciando i topi e gli
scarafaggi. I suoi evviva eran boati. Era una folla che si assolveva e
si acclamava, una folla che fugava con quel suo rombare, le paure pesanti, le esitazioni, che staccava l'ombra da sé per non essere che
crosta e spigoli e roccia. La vittoria era sua."273
3 Dal 25 aprile 1945 al 18 aprile 1948. L’elezione alla Costituente
Dopo la Liberazione segretario della federazione di Novara 274, diresse
dal 1945 al 1947 l'organo di stampa di quella federazione, Il
273 Ibidem
119
Lavoratore, e dal 1947 al 1948 il Sempre Avanti! di Torino. Fu eletto
al Consiglio comunale di Novara dal 1946 al 1951.
Al Consiglio nazionale tenuto a Roma dal 29 luglio al 1°agosto 1945
diede l'adesione alla mozione Pertini che prevalse con 340.000 voti su
quella "unificata" (Silone, Bonfantini, Saragat , Vecchietti), che
raccolse 156.000 voti delle minoranze antifusioniste di destra e
sinistra. Jacometti fu eletto nella Direzione composta di 15 membri.
274 A. Del Boca “Un testimone scomodo”, Domodossola, 2000: “un giorno
dell'agosto 1945 [andai ad iscrivermi al PSI]…Ebbi così modo di conoscere da
vicino gli esponenti più in vista del partito, dei quali avevo già ascoltato i
comizi. Primo fra tutti Alberto Jacometti… Camillo Pasquali, Sandro Bermani,
Piero Fornara, Ugo Porzio Giovanola,... Mi accorsi, frequentandoli, che questi
cinque uomini avevano in comune una grande onestà, la capacità di esprimere
nel quotidiano la loro fede socialista, una totale disponibilità nei confronti dei
più poveri. L'80 per cento delle cause patrocinate dall'avvocato Pasquali
erano a parcella zero. Anche Fornara, che tutti conoscevano come "il medico
dei bimbi", non si faceva mai pagare. Quando, quarantanni dopo, il PSI…
fece la fine che tutti sappiamo, mi reputai fortunato di avere avuto come amici e
maestri cinque galantuomini, cinque veri socialisti, il cui ricordo ed
insegnamento ancora oggi mi stimolano e mi confortano. L'anno successivo alla
mia iscrizione la federazione novarese del partito mi offrì l'incarico di caporedattore del "Lavoratore", il settimanale socialista fondato a Novara nel 1895.
Allora la mia frequentazione con i dirigenti del partito si trasformò in sodalizio, in
modo particolare con Jacometti, Pasquali e Porzio Giovanola, che erano i più
assidui collaboratori del settimanale. …Lasciai "II Lavoratore" e, più tardi,
anche Novara, quando mi trasferii a Torino per lavorare alla "Gazzetta del
Popolo". Non fu una separazione facile. Ed ebbe anche qualche strascico
che non avevo previsto. Jacometti, in modo particolare, cercò di trattenermi
promettendomi, a non lunga scadenza, un seggio di deputato. E quando, in una
riunione del Comitato Centrale del PSI, Rodolfo Morandi chiese la mia
espulsione dal partito perché entravo a far parte della redazione di un giornale
"borghese", Jacometti difese la mia scelta precisando che l'ingresso di giornalisti
socialisti nei grandi organi di informazione non era da ostacolare, caso mai era
da favorire. Anche Nenni e Pertini presero le mie difese e dell'espulsione dal
partito non si parlò più. Non so a quale funzione, a quale ruolo, alludesse Jacometti quando auspicava l'entrata di giornalisti socialisti nei quotidiani
"borghesi”… non mi illudevo di poter influire sull'indirizzo politico del
120
Nel luglio 1945 la Direzione del PSI aveva indicato tra le condizioni
di adesione al governo la confisca delle terre incolte e delle rendite
terriere che non fossero reinvestite in migliorie, nonché l'avvio della
riforma agraria col rendere permanente l'assegnazione delle terre
prevista dal decreto Gullo e con la promozione di nuove assegnazioni
con contributo statale. Jacometti elaborò per conto dell'Istituto di
studi socialisti una proposta di riforma agraria ma lo schema
approvato dal Comitato centrale nell'ottobre 1945275, impostato sul
giornale e sapevo per certo che non sarei mai stato, al suo interno, una sorta
di quinta colonna….Questo non significava che avrei rotto i ponti con il partito,
come il "bolscevico" Morandi sospettava. Per altri trent'anni continuai a
rinnovare la tessera del PSI e a tenere stretti contatti con Jacometti e a
corrispondere con Pietro Nenni, Francesco De Martino, Lelio Basso, Aldo
Aniasi e tanti altri.…per quanto io lavorassi in un giornale sempre più
marcatamente democristiano, non ruppi mai i ponti con il PSI. Del resto, mi
era impossibile, perché Alberto Jacometti intratteneva con me una fitta e
intrigante corrispondenza, con la quale mi aggiornava sulle manovre interne del
partito; sugli scontri con Lelio Basso, che poi sarà costretto nel 1964 a
sospendere dal partito nella sua qualità di presidente del Collegio nazionale dei
probiviri; sul destino sempre più precario dell'"Avanti!", al quale entrambi
eravamo molto affezionati; sulla sua marginale attività di narratore sempre alla
ricerca di un editore. Rileggendo le sue lettere, a distanza di tanti anni, ho
scoperto un elemento che mi era sfuggito alla prima lettura: cioè una carica
di affetto sincero assai insolita fra compagni di partito”
275 A.Jacometti La riforma agraria, Roma, 1945; lo schema fu curato da
Giovanni Sampietro, commemorato così da Jacometti in occasione della
scomparsa: "il professor Sampietro... era stato iscritto al partito [socialista]
fin dal 1945 ed in Parlamento, nella prima e nella seconda legislatura, aveva
portato un vivo interesse per i problemi agricoli…. Il suo nome è legato alla
lotta per i patti agrari . Nel 1953 egli aveva fatto suo il disegno di legge
Segni. Professore universitario, direttore della stazione sperimentale di
risicoltura di Vercelli, esperto di genetica vegetale. Esperto tra i più vivi,
intelligenti ed aggiornati, aveva viaggiato in tutto il mondo , dagli Stati Uniti
alla Cina, dall'Unione Sovietica all'India, e da ogni viaggio riportava una
messe di fatti, di cognizioni nuove, di nuove esperienze . Soleva dire «Io
insegno ai contadini, ma i contadini insegnano a me»…. Il riso era la sua
passione, una passione quasi esclusiva ed i contadini del suo vercellese
ricordano i formidabili attacchi che egli scagliò contro l'Ente risi…” “Atti
121
concetto di «unità aziendale» e ispirato al riformismo socializzante e
produttivistico, fu ben presto scavalcato dagli eventi e accantonato
(per riaffiorare solo in anni successivi, sotto la gestione centrista
diJacometti-Lombardi, o addirittura ai prodromi del centro-sinistra).
Con Rodolfo Morandi e con Foscolo Lombardi, segretario della
federazione fiorentina vicino a Lelio Basso, nel periodo
precongressuale prese posizione contro le divisioni nel Partito con
una "Lettera aperta ai compagni"276 Al primo Congresso dopo la
caduta del fascismo, tenuto a Firenze dall’11 al 17 aprile 1946, fu
nominato nella Direzione "di compromesso" con Nenni presidente,
con altri sei esponente della mozione di "Base" (Basso. Cacciatore,
Pertini, Morandi, F. Lombardi, Chignoli) più i sette espressi da
"Critica sociale" e "Iniziativa". Firmò il patto d’unità d’azione (il terzo
dopo quelli del 1934 e del 1943) il 26 ottobre 1946 con Nenni,
Pertini, Saragat, I.M.Lombardo, Foscolo Lombardi per il PSI e
Togliatti, Longo e Scoccimarro per il PCI.
Le elezioni per l’Assemblea Costituente vennero indette,
contemporaneamente al referendum istituzionale, per il 2 giugno 1946
e ad esse parteciparono per la prima volta in Italia le donne. Fu tra i
115 socialisti eletti alla Assemblea Costituente, composta di 556
deputati e insediata il 25 giugno 1946.
Il successivo congresso socialista (Roma, gennaio 1947, 25° della
serie) fu quello della scissione di Palazzo Barberini con l’uscita dal
PSI delle correnti riformista (“Critica sociale”) e anticomunista
(“Iniziativa”) che diedero vita al partito socialdemocratico filooccidentale capeggiato da Saragat. Jacometti polemizzò con gli
scissionisti ricordando "come tutti gli atti del partito fossero stati
approvati da Saragat. Concluse con un appassionato appello rivolto a
Parlamentari” Camera dei Deputati, iv legislatura, seduta dell'8 aprile 1965.
276 "Rassegna socialista", 1.3.1946
122
socialisti e comunisti di stringersi attorno al Patto d’unità d’azione”. 277
Anche in questa occasione fu eletto nella Direzione.
Tra la fine del 1946 e il 1947, anche come ripercussione della scissione di Palazzo Barberini, fu emarginata la leadership socialista
riformista: così nella Lega nazionale delle cooperative (CanevariCasalini278) come nella CGIL e nelle altre organizzazioni di massa.
L'attenzione alla produttività e al mercato riscontrabile nella
dettagliata mozione socialista per il primo congresso nazionale della
CGIL lasciò il campo alla ricerca della rottura politica con la grande
proprietà e con le organizzazioni delle forze intermedie della
campagna, e alla assunzione delle istanze rivendicative del
sindacalismo bracciantile e mezzadrile, egemonizzato dai comunisti.
Le tematiche programmatiche furono sovrastate dalle questioni di
carattere politico e ideologico (equilibri governativi, rapporti con il
PCI). Del progetto di costruzione dello Stato sociale e democratico
sancito con il programma varato dal Comitato centrale dell'ottobre
1945 si erano perse le tracce.
Al congresso di Roma del gennaio 1948 (26°) “sottolineò i risultati
positivi che il Partito aveva conseguito dopo l'ultimo Congresso,
contribuendo a mettere l'intera classe operaia in linea per le future
battaglie, estirpando quasi completamente l'anticomunismo dal
Partito ed evitando che in Italia si producesse una situazione di tipo
francese. Venendo a trattare delle imminenti elezioni egli accennò poi
al problema dei ceti medi il cui agganciamento egli disse
indispensabile per potere raggiungere la maggioranza insieme ai
6.000.000 di operai e ai 3.000.000 di contadini. Concludendo, egli si
pronunciò per la presentazione di liste unitarie di Fronte perché
277 In provincia di Novara la scissione ebbe scarsi consensi alla
base. Dei 149 comuni, 13 erano guidati dai socialisti da soli e 68
insieme con i comunisti, contro i 31 amministrati dalla DC.
V.Rolla "La riorganizzazione del Partito socialista" in "Il
dopoguerra nel novarese 1945-50", numero speciale di "Novara
provincia", 1990
278 Emilio Canevari (Pavia 1880-Roma 1964) cooperativista e
Giulio Casalini (Vigevano 1876- Torino 1956), medico,
123
unica è la strada per la vittoria delle classi lavoratrici che senza la
vittoria del Partito socialista sarebbe una vittoria mutilata."279
Il 18 aprile 1948 la lista unitaria cui aveva dato, pur con qualche
riserva, il suo consenso, è battuta e lui non è rieletto. In una atmosfera
di costernazione si svolse tra il 24 e il 29 aprile 1948 la sessione della
direzione per valutare i risultati. Man mano che i dati arrivavano dalle
circoscrizioni, la sconfitta complessiva del Fronte popolare assumeva
i contorni di una disfatta specialmente per il Psi. Il segretario Lelio
Basso indicò nella «deficienza dei quadri del partito. Nessuna linea
politica si realizza se non abbiamo dei buoni quadri. L’apparato non
esiste purtroppo!» la causa che aveva determinato l’esito negativo del
voto: Poco prima Guido Mazzali, nell’illustrare gli umori della base a
Milano, raccontò di un clima di «grande irritazione» e di «critiche ...
contro l’apparato», sottolineando il «pericolo della disgregazione».
Luigi Cacciatore parlando della Campania commentò: «ci siamo
troppo illusi sulla efficienza organizzativa del Partito». È significativo
che, pure se con qualche contraddizione, gli interventi dei tre dirigenti
ponessero l’accento più sulle inefficienze organizzative e meno sulla
validità della linea politica. Ma in un altro passo Mazzali afferma: “La
grande massa non crede nel Partito e soprattutto non crede nel
Fronte”. La critica di militanti e iscritti tendeva a sovrapporre le
responsabilità politiche dei dirigenti e le lacune dei funzionari. Lo
spettro di una fronda interna che mirasse alla sostituzione di tutto il
gruppo dirigente dominava le riunioni della direzione e provocò la durissima reazione di Basso all’apertura dei lavori, il 24 aprile: «E’ del
parere di prendere posizione netta contro il Congresso, considerare il
solo fatto che si chiede il Congresso un atto di sabotaggio. Quando ci
si sofferma a far delle polemiche sul passato è il sistema peggiore per
risolvere i problemi»’. L’ampiezza della sconfitta aveva prodotto una
pressione dal basso troppo forte per essere dominata con soli
provvedimenti disciplinari. Quando il dissenso interno assunse le
dimensioni di una opposizione netta, Nenni respinse la linea dura di
Basso e suggerì una tattica diversa, di passaggio morbido dei poteri ad
279 Il Partito socialista italiano nei suoi congressi, vol.5,
Roma-Milano, 1968
124
altri dirigenti fidati: “Bisogna essere noi a cercare, creare un gruppo di
uomini a cui consegnare il Partito – affermò – Penso a Sandro Pertini,
nonostante i suoi difetti”. Basso cercò ancora di resistere; trovandosi
isolato, però, cedette e la direzione decise la convocazione di una
assise straordinaria
Segretario nazionale del PSI (1948-49)
1 Il congresso di Genova (giugno 1948). L'elezione a segretario
Furono presentate tre liste: quella di "Sinistra", firmatari Nenni,
Morandi, Luzzatto, Tolloy, Lizzadri, favorevole alla riconferma della
politica unitaria, cui si contrapponeva "Per il socialismo" di Romita,
Calogero e alcuni sindacalisti. Vi era infine la posizione intermedia di
"Riscossa", favorevole al mantenimento del Patto d'unità d'azione ma
non al Fronte. Massimi esponenti erano Sandro Pertini, Alberto
Jacometti, Fernando Santi280, Giovanni Pieraccini281 e due "azionisti"
da poco confluiti nel PSI: Riccardo Lombardi e Vittorio Foa. Lelio
Basso non aveva aderito a nessuna mozione.
Il 27° congresso282, svoltosi a Genova dal 27 giugno al 1° luglio 1948,
fu contrassegnato da un colpo di scena: salito sul palco, Pertini
280 Parma, 1902-1969; Sindacalista. Fernando Santi e il ruolo
del sindacato nella democrazia italiana: seminario di studi
CGIL Roma, 1980; F.Persio Fernando Santi : l'uomo, il
sindacalista, il politico, Roma, 2005 ; R. Spocci Fernando Santi
: un uomo, un'idea, Parma, 2002
281 Viareggio 1918. Ministro durante i primi governi di centrosinistra, ex direttore dell'Avanti!
282 Al Congresso provinciale novarese tenuto ad Arona il 20
giugno le mozioni Riscossa e Politica socialista di Camillo
Pasquali unite ottennero il 48% dei voti contro il 42% dei
romitiani rappresentati dal pediatra Piero Fornara; il successivo
congresso provinciale si tenne a Novara il 24 aprile e vide la
riconferma di Riscossa alla guida della Federazione
125
abbandonò "Riscossa" nel timore che una caratterizzazione del Psi in
senso anticomunista compromettesse l'unità di classe.
Nel suo intervento Jacometti “attraverso un esame critico dei risultati
elettorali del 18 aprile attribuì le cause della sconfitta all'estensione del
Fronte suI terreno elettorale e al cedimento oltre che del ceto medio
anche di una parte della classe lavoratrice che non aveva votato per il
Fronte. La sconfitta elettorale sarebbe stata irreparabile se pagata con
la perdita di ogni iniziativa. Quanto al problema deIl'unità .socialista,
esso doveva essere risolto «facendo rientrare nel socialismo quel
milione e 700.000 elettori che ne erano usciti» mediante una politica
ancorata alla classe operaia. Il PSI doveva portare il proprio contributo
al Comisco tenendo conto del fatto che in questo organismo erano
presenti partiti socialisti come quelli inglese, belga, olandese e dei
paesi scandinavi che raccoglievano la maggior parte dei lavoratori dei
rispettivi Paese. Ma se al PSI fosse stata imposta la condizione della
rottura coi comunisti e dell’entrata nel blocco occidentale, esso
avrebbe dovuto apertamente rispondere di non essere disposto a subire
queste condizioni” 283
"Riscossa socialista" ottenne il 42%, la Sinistra il 31% e Romita il
26%. Gli sconfitti, interpretando il risultato come uno sbalzo di umori
della base dopo l'esito elettorale, decisero di autoescludersi dalla
direzione e di lasciare ai vincitori l'ingrato compito di guidare il
partito con la sola maggioranza eletta.284
Avendo defezionato Pertini, l'esponente più popolare della mozione,
ed essendo Riccardo Lombardi entrato nel PSI da pochi mesi, fu
eletto segretario Alberto Jacometti, fino ad allora poco noto alla base
del partito 285. Ben presto si delinearono i primi problemi: "Nenni mi
domandò se eravamo disposti ad accettare Pertini quale segretario; la
283 F.Pedone "Il socialismo italiano di questo dopoguerra",
pag. 224-5
284 La Direzione risultò composta da: Adinolfi, Barbano,
Borghese, Carli-Ballola, Dugoni, Fabbricotti, Fiorentino, Foa,
Lombroso, Lupis, Manno, Matteotti (vicesegretario), Nitti,
Pellanca, Perrotti, Pieraccini, Pierantoni e Santi (oltre a
Jacometti e Lombardi)
126
sinistra subordinava a questa condizione la propri partecipazione alla
Direzione. Risposi che no.........Un nucleo centrale c'era, duro, ossuto,
che giorno per giorno trovava i modi d'incastrarsi e di solidificarsi.
N'era uscito un esecutivo non del tutto da buttar dalla finestra. Se non
che c'era Matteotti Giancarlo… Quando domandava la parola
cominciava col fare qualche bonaria riserva, quindi sviluppava una
tesi diametralmente opposta a quella da noi propugnata e sostenuta….La maggior parte delle volte finiva per arrendersi
accontentandosi di far mettere a verbale una riserva o una
dichiarazione. Ma nessuno era mistificato, sapevamo bene tutti che il
dissenso non portava su questa tesi o su quest'altra, ma sul fondo;
convivevamo, ma noi eravamo di qui, lui era di là, la discriminante
essendo, com'è naturale, la politica internazionale: mondo socialista e
mondo capitalista, noi dicevamo; egli contestava al primo il diritto di
chiamarsi socialista. Che fare? C'era ben poco da fare, la ragione
insieme con la logica comandavano le sue dimissioni dalla carica di
vice-segretario del Partito e più di una volta fu espresso dall'esecutivo
parere in questo senso. Ciò che si doveva evitare era un nuovo
scandalo politico. Il nome di Matteotti aveva un peso specifico; non
era Giancarlo, ma il figlio del martire. La sua firma sotto la mozione
di Riscossa è stata una di quelle che l'avevano portata alla vittoria, sia
pure relativa. E noi dirigevamo il partito con il 42 per cento dei voti;
un nuovo distacco, uno sgretolarsi di quella fragilissima maggioranza
e tutto se ne sarebbe andato al diavolo. …. Con tutto ciò il partito non
voleva morire; veniva anzi, con il passare dei mesi, dando segni di
ripresa, di uscire lentamente dal torpore…"286
2 La lotta su due fronti. Frazionismo di destra e di sinistra.
Nella relazione al ConsigIio Nazionale del 9 settembre, Jacometti,
rilevato che il partito era di nuovo in fase di ascesa, specie nel
285 [I centristi] Non avevano uomini addestrati alla vita di partito. Le loro
figure più rappresentative, i Lombardi e i Foa, erano da poco nel PSI. La
stessa scelta del segretario, l’onestissimo Jacometti, dimostra come
mancassero di personaggi di grande impatto agli occhi del partito. L.Basso,
Il PSI negli anni del frontismo, “Mondo Operaio”, luglio-ag. 1977, n.7/8
286 A.Jacometti, "Il filo d'Arianna", cit
127
Mezzogiorno, dopo la grave crisi politico-organizzativa connessa alla
scelta frontista, richiamava le direttive su cui si era mossa dopo
Genova la Direzione: reciproca lealtà con il PCI nell'applicazione del
patto di unità di azione; scioglimento del Fronte senza mettere in
discussione l'azione unitaria della classe lavoratrice; lettera al
Comisco nella linea espressa al Congresso; quanto al problema
dell'unificazione socialista - la cui impostazione da parte della
Direzione era già valsa a creare motivi di crisi nelle file degli
scissionisti, avviando un processo di recupero - esso consisteva nella
necessità di recuperare non Saragat ma un milione e ottocentomila
lavoratori che, disorientati, avevano votato UdS 287. Nella replica agli
interventi di Cacciatore, Basso, Pertini, Morandi, Nenni della Sinistra,
di Romita della destra e di Barbareschi e Lombardi per Riscossa,
Jacometti fu piuttosto evasivo a proposito dell'alIeanza democratica, la
cui preparazione, disse, era necessariamente lenta; cercò inoltre di
smussare i motivi di contrasto con Nenni. Nuova alleanza democratica
e opposizione all'ipotesi di riunificazione socialista furono quindi i
motivi su cui maggiormente insistette l'opposizione di sinistra. Il
Consiglio Nazionale si concluse comunque con un voto di fiducia, a
maggioranza, alla Direzione.
A metà ottobre l'Esecutivo, dopo aver aperto un'inchiesta su iniziative
frazionistiche deferiva ai probiviri Carlo SpineIli per aver partecipato
ad una manifestazione per l'unificazione socialista. L'iniziativa più
rilevante fu però di Romita che il 3 novembre inviava alla Direzione
un documento per l'unificazione socialista, redatto da lui stesso e da
esponenti del PSLI, dell' UdSe indipendenti, indicandone le premesse
nell'uscita dal governo di PSLI e UdS e nell'abbandono del patto di
unità d'azione. Dopo aver respinto il documento e invitato Romita a
dissociarsi, Jacometti rilevava che l'unificazione fatta su quella base
avrebbe segnato la vittoria dei secessionisti e ribadiva che l'idea
dell'unità socialista era stata presa per rafforzare il PSI, e quindi in una
prospettiva di svuotamento delle forze scissioniste 288, cioè di
proselitismo nei confronti della base saragattiana.
287 Unione dei Socialisti, fondata nel febbraio 1948 da Ivan
Matteo Lombardo
128
Il 19 dicembre l'Esecutivo, presa conoscenza che alcuni socialisti
avevano inviato al Congresso di unificazione tra socialisti e comunisti
polacchi un telegramma augurale, esprimeva deplorazione per la loro
condotta. Sulla valutazione delle "unificazioni" nell' Europa dell'Est,
c'era tra "centro" e "sinistra" un netto dissenso: la posizione della
Direzione era: «Noi non presumiamo di giudicare i nostri compagni.
Ci auguriamo solo che essi abbiano operato sotto la spinta della
necessità storica (che coincide con la libertà) e non già di una
coercizione: che cioè essi abbiano scelto e non subito».
Dopo essere stata accusata, sul finire dell'anno, dall'organo ufficiale
del Cominform di aver posto sullo stesso piano forze del campo
imperialista e quelle del campo della pace, la Direzione centrista
doveva fronteggiare a metà gennaio 1949, un nuovo attacco da
sinistra, aperto dai rappresentanti di 52 delle 56 sezioni romane del
PSI. Alla pressione interna si aggiunse una pressione esterna per
ostacolare lo scioglimento del Fronte popolare: nella direzione del PCI
all'emozione per l'attentato a Togliatti si aggiungeva l'allarme per la
scissione sindacale e la repressione di Scelba, dando forma a presagi
di isolamento e di involuzione autoritaria e in quest'ottica ogni
allentamento del legame tra comunisti e socialisti appariva un
attentato alla capacità di resistenza del proletariato. Il dibattito si
sviluppò, quindi, intorno a due alternative: favorire un'ulteriore
spaccatura del PSI, attaccando frontalmente la nuova direzione, o
lavorare presso la base per favorire un cambio di maggioranza. 289
288 A.Jacometti, Un forte partito, più che un grande partito, "Avanti!",
24.11.1948
289 A.Jacometti Il filo d'Arianna, cit., "Si era in piena discussione con i
comunisti sulla faccenda dello scioglimento del Fronte. lo non sono mai stato
contro il Fronte; era, in quella situazione politica, un tentativo da farsi; ero
contro la tattica della cosiddetta lista di fronte…. Si può discutere all'infinito
e sostenere che si poteva resistere. Certamente che si poteva resistere: vuoI
dire che il carro della politica popolare sul quale viaggiava il partito e che si
era impantanato cosi profondamente il 18 aprile, sarebbe stato inghiottito
fino alle sale. Chi voleva disincagliare il partito e ridare respiro alla politica
popolare doveva passare di là, ed avere il coraggio non di lasciar morire, ma
di ammazzare, coram populo, il Fronte. Né si trattava, come è ben apparso,
129
3 La politica internazionale e l’opposizione al patto atlantico
Ai primi di ottobre la Direzione emanava un documento di politica
internazionale290 che pur riconoscendo che il contrasto fra i blocchi di
potenze era un aspetto della lotta di classe, affermava che «il conflitto
fra i due sistemi statali non esaurisce in sé i termini della lotta di
classe» Primo compito dei socialisti era la difesa della neutralità
assoluta «chiaramente rispetto agli Stati e non rispetto alle classi
sociali in lotta». Un editoriale dell'«Avanti!» sottolineava che aIla
«"politica estera" noi contrapponiamo la "politica internazionale"; alla
lotta di potenza fra gli Stati, contrapponiamo la lotta fra le classi ed a
quest'ultima, e non alla prima, affidiamo il compito di portare avanti la
civiltà, cioè la libertà, cioè il socialismo. Il compito della classe
operaia e delle classi lavoratrici non può esaurirsi nello Stato; il
socialismo non è una dottrina statolatra; è al contrario, nei suoi motivi
più profondi e originali, dottrina libertaria. Esso mira alla distruzione
dello Stato, come organizzazione degli interessi di classe, e non al suo
consolidamento» 291
Sviluppando tale impegno sulla tematica di politica internazionale,
l'Esecutivo indisse per il 31 ottobre la «Giornata socialista per la pace
e la neutralità»: in ogni capoluogo di provincia si sarebbero tenute
manifestazioni in cui oratori socialisti avrebbero illustrato la
allora e più tardi, di rimettere sul tappeto la politica unitaria del partito. La
politica unitaria è una cosa, il Fronte era un vestito che la politica unitaria
aveva indossato in quel dato momento. In quel vestito la politica unitaria, a
mio parere, arrischiava di soffocare: necessario era dar dentro con le forbici
e gettar il vestito. Per ciò che mi concerne, l'aver avuta la visione chiara del
problema e il coraggio, in quella situazione, di affrontare difficoltà obiettive
e soggettive, accuse, insulti, insinuazioni e fin la taccia di traditore, è una
delle pochissime imprese di cui vado fiero. Per la verità non furono i
comunisti a creare gli ostacoli maggiori….Gli ostacoli vennero. da due parti,
dai faziosi e dai ciechi del partito che sarebbero andati a rompersi la testa
contro il muro pur di non darcela vinta e dai rappresentanti degli «alleati»,
in modo speciale del cosiddetto movimento della sinistra cristiana, i Miglioli,
i Montesi, l'Ada Alessandrini…."
290 "Avanti!", 3.10.1948
291 Classe e stato, "Avanti!", 7.10.1948
130
dichiarazione per la pace e la neutralità; ma l'iniziativa, cui aderiva
anche il Partito cristiano-sociale di Gerardo Bruni, era criticata, con
accentuazioni e argomenti diversi, sia dalla sinistra interna che dal
PCI.
Togliatti diceva di preferire alla parola d'ordine della neutralità quella
della lotta per la pace contro gli imperialisti e per l'amicizia con
l'URSS 292.Gli esponenti deIla sinistra socialista manifestarono il loro
dissenso dall'impostazione neutralistica temendo che la neutralità potesse isolare il proletariato in una sorta di equidistanza nel momento in
cui invece in caso di guerra occorreva schierarsi senza riserve e attivamente col blocco sovietico. Di qui le ragioni di un contrasto interno
che si manifestò anche nella tormentata elaborazione della mozione
socialista sulla politica estera presentata alla Camera a fine ottobre: la
maggioranza dei gruppi parlamentari, infatti, riconoscendosi nelle
posizioni della Sinistra, si opponeva a che nella mozione fosse inserito
il concetto di neutralità, al quale invece la Direzione non poteva
rinunciare, se non a prezzo di veder sconfessata la sua stessa
ispirazione di politica internazionale293.
292 "L'Unità", 9.11.1948
293 A.Jacometti, "Il filo d'Arianna", cit. " Con il congresso di
Genova si era creata una situazione non nuova per i socialisti,
una situazione anzi quasi tradizionale: il dissidio fra direzione e
gruppi parlamentari. Una direzione di Riscossa, un gruppo.
parlamentare in maggioranza della Sinistra....Ora era avvenuto
questo: che la direzione aveva deciso di promuovere una grossa
campagna sulla parola d'ordine della pace e della neutralità,
culminante il 3I ottobre con manifestazioni e comizi in tutto il
paese e che il gruppo parlamentare doveva proporre in quel
torno di tempo una mozione sullo stesso oggetto alla Camera
dei Deputati. Ed era avvenuto che il gruppo parlamentare
preparasse una mozione in cui non soltanto il concetto di
neutralità non trovava ospitalità, ma neppure la parola…. La
parola fu introdotta, ma a che prezzo !..Due anni più tardi."..
131
Il neutralismo, che si riallacciava a uno dei filoni del socialismo
innestando quindi il ripristino della peculiare fisionomia del PSI nel
solco della tradizione, suscitò consensi anche fra quei
socialdemocratici (Vassalli, Vigorelli, Pietra) che non erano dimentichi
del patrimonio storico ed ideale del movimento socialista.
Nel marzo 1949, nel dibattito in Parlamento sulla adesione al Patto
Atlantico, la politica di neutralità proposta dalla Direzione centrista e
inizialmente incompresa, divenne patrimonio di tutto il PSI da Nenni a
Romita contribuendo a realizzare l’unità interna ed a presentarne
un'immagine distinta rispetto al PCI, diffidente della politica di
neutralità.
4 I convegni programmatici e organizzativi.
La ripresa organizzativa del PSI, dopo l’effimero tentativo di Basso di
modernizzare la struttura prefascista fondata su vaste sezioni
comunali, in cui prevaleva un ceto di “bei parlatori”, imperniandola
nei quartieri per avvicinare il partito alla base, ebbe le fondamenta,
prima della gestione morandiana, durante la segreteria Jacometti, 294.
Il nuovo gruppo dirigente dispiegò il suo impegno soprattutto per dotare il partito di una piattaforma programmatica, mobilitando energie
e capacità presenti nel partito, per aggiornare i contenuti
programmatici, precisando le proposte per vari settori della vita
nazionale: tra il settembre 1948 e il marzo '49 vennero convocati ben
nove convegni
Il convegno sindacale socialista, svoltosi a Roma dal 5 al 7 settembre,
volle essere conferma dell'importanza centrale data dal PSI all'azione
sindacale: le relazioni di Santi e Foa sottolinearono in particolare
l'impegno unitario dei socialisti nella CGIL, la necessità di sviluppare
uno spirito di autentica democrazia e l'autonomia dai partiti, l'esigenza
di perseguire una politica di classe e non di categoria, l'opposizione a
qualsiasi limitazione deI diritto di sciopero. Nella corrente sindacale si
riflettevano le divergenze esistenti nel partito: non mancavano infatti
294 E.Giovannini Lelio Basso e la rifondazione socialista del
1947 , Cosenza, 1980; S.Merli Il Partito nuovo di Lelio Basso :
1945-1946, Venezia, 1981
132
frizioni fra Santi e un gruppo facente capo a Viglianesi che portava sul
terreno sindacale gli orientamenti di Romita, con aperture verso i
socialdemocratici e non mancavano contrasti con la maggioranza
comunista.
Subito dopo, il giorno 8, si tenne sempre a Roma il primo convegno
nazionale dei cooperatori socialisti; la mozione finale indicava come
obiettivi principali del movimento la concessione di agevolazioni e
sgravi fiscali, il riconoscimento dei diritti delle organizzazioni colpite
dal fascismo, la moralizzazione del settore.
Dal 15 al 17 ottobre si riunirono nel loro terzo convegno nazionale, a
Mantova, i giovani socialisti: in esso si delineò un contrasto tra i
favorevoli ad un più stretto collegamento con l'Alleanza Giovanile
democratica e coloro che chiedevano una più netta caratterizzazione di
partito del movimento giovanile socialista. Prevalse comunque
l'orientamento per un impegno di lavoro negli organismi unitari.
Il secondo convegno socialista sulla scuola, convocato a Roma, il 2728 novembre, per la prevalente iniziativa di Giuseppe Petronio,
indicava come obiettivi il potenziamento della scuola statale, la pari
dignità degli studi umanistici e tecnici, Ia difesa della scuola dalle
influenze confessionali, un trattamento adeguato per gli insegnanti,
assistenza agli studenti meritevoli e bisognosi.
Dall'8 al 10 gennaio 1949 tecnici e sindacalisti si riunirono a Roma
per il convegno socialista della terra per aggiornare la politica agraria
del PSI, tradizionalmente di impronta massimalistica nella sua
aspirazione ad una integrale collettivizzazione della terra. Le
conclusioni del convegno, ispirate dall'impostazione di Giovanni
Sampietro, agronomo di fama e segretario del PSI di Vercelli,
investivano un arco assai ampio di problemi 295
295 Il collocamento doveva essere esercitato tramite commissioni
elette dai lavoratori; la riforma dei contratti agrari doveva favorire la
stabilità del conduttore sul fondo; per i "terreni a piccola conduzione" si
doveva passare «dalle forme inferiori di conduzione (parziarie) alle forme
più alte (affitto-piccola proprietà)» inserendole in accordi cooperativi e consortili; le terre dei latifondi espropriate e attribuite ad un "Ente fondiario
collettivo", che vi avrebbe promosso grandi e medie unità a conduzione
collettiva; una legge di bonifica avrebbe affiancato la riforma fondiaria.
133
Dal 29 al 31 gennaio si tennero contemporaneamente a Bari due
convegni: uno, introdotto da due relazioni di Lombardi e di Vittore
Fiore, fu occasione di un primo approccio alla tematica meridionalista;
l'altro dedicato ai problemi organizzativi del partito. Queste le
direttive emerse dal convegno organizzativo: le giunte regionali, elette
dai CD delle federazioni provinciali, avrebbero coordinato le attività
delle federazioni, occupandosi dei problemi di carattere regionale;
costituzione delle "zone" nell'ambito delle federazioni; suddivisione
delle sezioni più numerose; organizzazione di corsi di cultura e
preparazione politico-ideologica; immissione obbligatoria di "elementi
femminili" nei CD sezionali e federali.
Dopo il convegno di Pistoia del 10-13 marzo, che impegnò gli studenti
socialisti per lo sviluppo della politica unitaria nell'ambito del
"movimento universitario democratico", si tenne a Napoli, il 19 e 20
marzo, l'ultimo convegno organizzato dalla Direzione centrista, dedicato alla problematica delle amministrazioni locali. Gli
amministratori socialisti chiedevano l'istituzione per i Comuni di
consigli tributar! e dell'anagrafe tributaria, nonché l'accrescimento dei
loro poteri di accertamento fiscale dei redditi. Riguardo alle aziende
municipalizzate è da rilevare l'invito ai lavoratori socialisti in esse
impiegati alla massima produttività ed economicità, lavorando essi al
servizio diretto della collettività
5 Problemi interni e rottura col Comisco.
Con una base di iscritti in continua erosione, oberato dalle spese per la
campagna elettorale del 1948, con una gestione dell'«Avanti!»
nettamente deficitaria, non potendo più beneficiare di alcuni aiuti che,
prima della scissione del 1947, gli erano venuti da Luigi Antonini, non
essendo legato, sino alla metà del 1949, a nessuno dei due blocchi, la
Per le aziende industrializzate del centro-nord si chiedeva una legge che
desse facoltà ad un apposito ente di assumere la conduzione dei fondi
mediante "cooperative di produzione" di lavoratori e tecnici; alla proprietà
sarebbe stato attribuito un equo affitto: il «possesso dei fondi da parte
delle cooperative deriverà da un diritto a carattere forzoso». Tale riforma
agraria avrebbe dovuto essere affiancata da analoghi interventi nei settori
bancario e industriale per evitare u n a fuga di capitali dall'agricoltura.
134
situazione economica del PSI era, a metà 1948, drammatica. Quello di
assicurare la sopravvivenza economica e il funzionamento delle
strutture fondamentali del partito fu per il nuovo gruppo dirigente il
problema più angoscioso cui far fronte. Fin da luglio Jacometti
aveva lanciato sulle colonne dell'«Avanti!» un appello agli iscritti
perché aderissero ad una sottoscrizione296; e il Consiglio Nazionale di
settembre aveva impegnato tutti gli iscritti a versare cento lire
ciascuno pro «Avanti!» Con l'autunno la situazione della stampa andò
migliorando: mentre la sottoscrizione lanciata a luglio aveva superato
l'obiettivo prefissato dei 20 milioni, l'edizione romana dell'« Avanti! »,
uscita per qualche tempo a due pagine, tornò col 28 ottobre a quattro.
Essendo quindi riuscita, agli inizi del 1949, a promuovere la ripresa
della pubblicazione di «Socialismo», rivista mensile ufficiale del PSI,
sotto la direzione di Jacometti 297, la Direzione autorizzò anche l’uscita
delle tre riviste di corrente: «Mondo Operaio» che dopo il ritorno alla
guida del partito della “Sinistra” divenne rivista ufficiale del PSI,
«Panorama Socialista» quindicinale diretto da Romita, «Quarto
Stato», periodico già diretto da Basso, che riprese le pubblicazioni
Sulla stampa socialista una riflessione venne fatta al convegno organizzativo del gennaio 1949: in quella sede Pieraccìni rilevò l'esistenza
di una rete di oltre trenta settimanali socialisti locali, sottolineando
tuttavia come i loro contenuti non fossero più adeguati ai tempi e
riflettessero spesso una versione determinista e fatalista del marxismo.
Il convegno raccomandò la pubblicazione di un settimanale o
quindicinale di larga diffusione, di fondere i settimanali provinciali in
un solo settimanale regionale, nonché la creazione di un settimanale
meridionale.
296A.Jacometti «Avanti!», 13.7.1948. “Il filo d’Arianna”, cit “I momenti più
tristi vennero a Roma, quando ci accorgemmo che mancava ogni cosa, che i
telefoni erano stati tagliati e il giornalaio, non pagato, ci negava i giornali.
La cassa, naturalmente, era vuota, disperatamente!....Sospendere la
pubblicazione dell’ Avanti! ... avrebbe rappresentato la nostra sconfitta
…..Lo riducemmo a un foglio solo, ma lo salvammo...”
297 Del comitato direttivo fecero parte G. Pieraccini, M. S.
Giannini, G. Petronio, G. Sampietro, A. R. Cirese.
135
Verso la fine del 1948 perveniva al PSI una durissima risposta del
Comisco alla lettera di luglio della Direzione del PSI: dopo aver
rilevato che i dirigenti socialisti mostravano di non intendere «la
fondamentale incompatibilità del socialismo democratico e del
comunismo totalitario», chiedeva al PSI, con tono ultimativo, di
fornire, entro la metà di marzo ‘49, la prova della sua volontà di unirsi
con le altre forze socialiste italiane, sulla base di un programma
accettabile all’Internazionale socialista; senza di che esso sarebbe
stato espulso dall’organizzazione socialista internazionale. La
Direzione rispose a gennaio 1949: il Comisco non voleva
comprendere che la lotta politica in Italia non era polarizzata fra
comunismo e anticomunismo, «ma fra conservatorismo clericale e
opposizione operaia»; nonostante inconvenienti e pericoli l’unità
d’azione col PCI realizzava la solidarietà dei lavoratori per la difesa
della democrazia; denunciava poi la «politica coloniale oppressiva»
del governo laburista inglese e di altri governi a guida socialista,
ricordava la polemica col Cominform, rispetto al quale il PSI si era
confermato totalmente indipendente, ribadiva le ragioni della politica
del PSI. Di diverso avviso era invece la destra romitiana, la quale
ribadiva che il PSI doveva cercare di rimanere nel Comisco a tutti i
costi, pur rivendicando al suo interno uno spazio di autonomia critica.
Il Comisco, definita insoddisfacente la risposta, accusava la Direzione
di tradire sia il socialismo internazionale che i lavoratori italiani, che
avevano bisogno di una organizzazione che rappresentasse i loro interessi «senza riferimento alla strategia di una dittatura straniera». Se il
PSI non avesse modificato entro il 20 marzo la sua politica «di soggezione al comunismo mondiale», sarebbe stato definitivamente
espulso298. La replica del PSI era secca e orgogliosa: «Abbiamo
l’onore di informarvi che il giorno 20 marzo il PSI non avrà mutato
una linea politica che, sui punti da voi contestati, è approvata dalla
stragrande maggioranza degli iscritti». L’ultimo atto si svolse al
Congresso di Firenze: ad una nuova risoluzione del Comisco, che
dichiarava che la maggioranza del PSI si era autoesclusa
dall’organizzazione socialista internazionale e invitava i socialisti
298 «Avanti!» 8.3.1949. lettera di Morgan Philips, del Comisco,
136
italiani a ricongiungersi in un solo partito, libero da ogni legame col
comunismo, Jacometti, a nome della Direzione uscente, rispondeva
ribadendo la fedeltà alla politica unitaria.
6 Bilancio della Segreteria Jacometti
Il periodo della Segreteria Jacometti è uno dei momenti della storia
del PSI che meno sono stati oggetto di studi. È probabile che il
carattere transitorio di quella segreteria abbia legittimato gli storici a
considerarla come una parentesi della lunga leadership di Pietro
Nenni, ma un'analisi più attenta mostrerebbe come proprio nel
1948-'49 vengono poste le basi per la svolta del 1955-'56, l'apertura al
mondo cattolico ed il centrosinistra 299. Nenni e Jacometti hanno
certamente qualità politiche differenti ma, alla metà degli anni
cinquanta Nenni si trova ad agire in una situazione interna ed
internazionale quale dieci anni prima non era possibile neppure
immaginare 300
La vittoria della corrente centrista di Jacometti non è casuale. Durante
il Congresso gli uomini di «Riscossa socialista» sono gli unici ad
avere chiari i motivi della sconfitta elettorale. Nenni e Basso pongono
l'accento sulla situazione interna ed internazionale in cui il voto è
maturato, usando toni da crociata; anche Jacometti non si nasconde
l'influenza che sul voto ha avuto il clima da guerra fredda ma addita la
colpevole soggezione del PSI verso il PCI nelle strutture del Fronte
come causa prima della sconfitta elettorale301 .
299 G. Muzzi Elezioni '48-Congresso '49. La politica del partito socialista,
«Città & Regione», n. 10-11, e 12 1977; D.Ardia, Il partito socialista ed il
patto atlantico, Milano 1976; P. Amato, Il PSI tra frontismo ed autonomia,
Cosenza, 1978, G. Mughini, Gli anni del frontismo. Intervista con Alberto
Jacometti, «Mondoperaio», n. 1, gennaio 1978.
300S. Fedele Fronte popolare. La sinistra e le elezioni del 18 aprile 1948,
Milano, 1978; P.Moretti, I due socialismi. La scissione di palazzo Barberini e
la nascita della socialdemocrazia, Milano, 1975; F. Taddei, Il socialismo
italiano del dopoguerra. Correnti ideologiche e scelte politiche (1943-1947),
Milano, 1984.
301 F. Pedone, Il socialismo italiano di questo dopoguerra. Il PSI nei suoi
Congressi (1942-1955), voI. V, Milano, 1968, p. 206. Su Riccardo Lombardi,
137
Il ricambio del gruppo dirigente era quasi completo e sembravano
esserci le condizioni di una svolta: la dirigenza eletta a Genova nutriva
obiettivi molto ambiziosi e si proponeva una netta soluzione di continuità. Si puntava ad un allentamento dei rapporti col PCI anche in
tutta la rete degli organismi di base. Alleanze e organizzazione: l'intero
orizzonte strategico del partito era oggetto di esplicita revisione.
La sinistra interna conobbe un periodo di forte sbandamento, tuttavia,
la sproporzione tra gli obiettivi e i mezzi era enorme, mentre il
prestigio e la notorietà del gruppo dirigente non erano sufficienti per
imporre la propria autorità. Lombardi, ex azionista, era appena
arrivato e si trovava esposto alle critiche di debolezza ideologica o
inesperienza pratica; Jacometti, mai emerso come figura di primo
piano, era poco conosciuto.
Cercando di destreggiarsi in una posizione mediana, la direzione
consumò le proprie energie e, sottoposta alla pressione concentrica
delle correnti, si trovò ben presto in difficoltà. Il socialdemocratico
Giuseppe Faravelli confidava ad Angelo Tasca che il «centrismo»
socialista aveva dato prova di «inconsistenza, opportunismo e viltà»
per non aver rigettato in modo netto l’intesa socialcomunista. 302 Al
Congresso si posero le premesse per lo scioglimento del Fronte
popolare ma non vennero meno le linee fondamentali della politica
che legava i due partiti fin dal 1934.
M.Mafai, Lombardi, Milano, 1976.
302 P.Masini-S.Merli, Il socialismo al bivio. L'archivio di
Giuseppe Faravelli 1945-1950, Milano, Annali Fondazione
Feltrinelli, 1990, p. 344. P.Nenni “Tempo di guerra fredda.
Diari 1943-1956”. Milano, 1981, pag. 458, in data 11 settembre
1948, riporta questa battuta di Silone “Il più nenniano dei
segretari del partito è Jacometti. E tu dirigi il partito anche e
soprattutto da fuori” con questo suo commento: E’ una
boutade dettata dal dispetto e tuttavia in parte vera”
138
Jacometti303 insiste con successo perché si giunga rapidamente a porre
fine all'esperienza frontista già nell'agosto, ma nei giorni dell'attentato
a Togliatti si consuma anche la scissione del sindacato unitario su cui
egli faceva affidamento per ricostruire l'unità d'intenti fra le masse
cattoliche e quelle socialcomuniste venuta meno nel 1947304 anche se
era difficile riproporre l'idea di un asse PSI - PCI che fosse richiamo
per le forze democratiche dopo il fallimento delI'esperienza frontista
ed il successo plebiscitario delIa DC 305. Egli mantiene un fermo
atteggiamento verso il Comisco che chiede la rottura dell'unità
d'azione. Il suo irrigidimento di fronte agli ultimatum condurrà
all'espulsione ma è il segnale che il PSI non è disposto a rinnegare la
sua natura classista per seguire le orme di Saragat sul terreno della
socialdemocrazia306 .
L’unica possibilità concreta che si presentava alla direzione centrista
per mutare la collocazione del partito sarebbe stata un’alleanza con la
303 A.Jacometti “Il filo d’Arianna”, cit. …..La direzione di Genova aveva
nel proprio seno uomini che se una chiarificazione fosse avvenuta, sarebbero
potuti chiamarsi di centro e forse con maggior ragione di destra; ma ciò che
contava della direzione, ciò che realmente e praticamente contava, i
Riccardo Lombardi, i Foa, i Pieraccini, i Santi, io stesso, eravamo uomini di
sinistra e la nostra politica era e fu, in ogni momento, una politica di
sinistra. Era un gruppo di uomini di sinistra che, a ragione o a torto,
avevano pensato che fosse indispensabile, per la salvezza del partito, fare
una certa operazione politica e se n'erano assunti personalmente
l'assunto….in Riscossa convivevano uomini di sinistra, di centro e di
destra”.
304 Atti del Convegno sindacale socialista tenuto a Roma dal 5 al 7
settembre 1948, «Orientamenti», n. 1, settembre 1948.
305 P. Nenni, Tempo di guerra fredda. Diari 1943-1956, Milano, 1981, p.
458; E. Santarelli cit., p. 304.; G. Muzzi “Elezioni ’48-Congresso ’49: la
politica del PSI”, “Città e regione”, n.11 e 12 1977
306 P. Sebastiani, Laburisti inglesi e socialisti italiani. Dalla
ricostituzione del PS!(UP) alla scissione di palazzo Barberini:
da Transport House a Downing Street (1943-1947), Quaderni
della FIAP; D. Ardia, cit., pp. 209-219. A. Jacometti, Il filo
d'Arianna, cit., pp. 134-137.
139
destra di Romita, mediante la saldatura su una piattaforma comune
dell'opposizione politica contro il governo DC con l'opposizione
ideologica contro il comunismo. I numeri, almeno stando al voto dei
delegati del congresso di Genova, c'erano; ma la convergenza si arenò
di fronte all'inclinazione di Lombardi verso l'opposizione politica alla
DC e all'irrigidimento di Romita sull' opposizione ideologica.
Rimasta scoperta a destra, la direzione si trovò cosi esposta all'attacco
da sinistra. I filoni che confluivano nella Sinistra erano molteplici e la
loro alleanza incorporava un carico di contrasti potenziali. Nei mesi a
cavallo fra il 1948 e il 1949 però essi accantonarono progressivamente
le divergenze per concentrarsi nella lotta contro la direzione di centro,
sicché all'inizio del 1949 la stabilità del duo Jacometti-Lombardi era
già notevolmente minata. Sull' onda di questo primo successo i
dirigenti di sinistra ripresero una intensa attività di base con una serie
di comizi e manifestazioni in cui si distinsero Nenni e Pertini,
inutilmente inseguiti da Jacometti sullo stesso terreno. Nel febbraio
del '49 la capacità della direzione di imporsi si era praticamente
esaurita: alcune federazioni disattendevano abitualmente le direttive,
mentre la sinistra, creando un proprio comitato nazionale, si muoveva
del tutto autonomamente, fungendo da partito nel partito. I dirigenti
vittoriosi a Genova nel giugno 1948, già limitati nell'azione dalla
maggioranza relativa che li sosteneva, ulteriormente ostacolati dalla
strenua opposizione della destra e della sinistra, non poterono
dedicarsi al lavoro organizzativo e furono costretti a convocare un
nuovo congresso meno di un anno dopo il proprio insediamento 307.
Era convocato il 28° Congresso a Firenze dall’11 al 15 maggio.
Venivano perciò annullati i provvedimenti disciplinari, come quello
nei confronti di Romita, inflitti per motivi di carattere morale.
Gli anni della politica unitaria (1949-58)
1 Il Congresso di Firenze del 1949
Un'attività febbrile coinvolse i protagonisti, mossi dalla convinzione
che si stesse giocando la partita decisiva. Fu istituito il comitato di
concentrazione della Sinistra che spedì una circolare per la formazione
307 «Avanti!» 26.2.1949
140
di «Comitati Provinciali [al fine di] dirigere il lavoro di preparazione»
precongressuale inviando oratori preparati che intervenissero nelle
assemblee di sezione, a cui la direzione uscente rispose effettuando
controlli, anche con l'invio di ispettori, presso Federazioni
notoriamente orientate a sinistra.
La relazione del segretario uscente sottolineava la disastrosa situazione organizzativa e finanziaria ereditata dal nuovo gruppo
dirigente e illustrava l’impegno di lavoro profuso per rianimare il
partito prostrato dalla sconfitta elettorale; affermava quindi che la
linea su cui la Direzione si era mossa, cercando di conciliare i due
concetti di autonomia e di unità di classe, era valida anche per il
futuro. Il problema dell’unificazione socialista era chiuso, mentre era
aperto quello del proselitismo. Il PSI era ora in netta ripresa24 . ll
Congresso sarebbe stato caratterizzato dalle scelte di politica
internazionale: in caso di vittoria della “Sinistra”, che pure accettava
ora la politica di neutralità, il partito rischiava di essere risucchiato nel
blocco orientale. Il PSI doveva certo rifiutare l’idea di una
equidistanza fra mondo del socialismo e forze capitalistiche,
riconoscendosi nel primo, quando però tale mondo trascendesse i
confini di un blocco per comprendere, oltre all’URSS, alle
Repubbliche popolari e ai partiti comunisti, tutte le forze socialiste
anche dei paesi capitalistici e coloniali.
Secondo la mozione di centro (”Per il partito e per la classe”) firmata
da Lombardi, Santi, Jacometti, Pieraccini, Mariotti, Petronio, Fortini,
Sebastiano Timpanaro, era ancora valido il binomio autonomia e
unità di classe: la dissociazione di questi due elementi non poteva
«che far precipitare nella socialdemocrazia o confondere nel comunismo». L’unità di azione doveva operare «nel pieno rispetto reciproco
della individualità dei due partiti». La CGIL doveva «sollecitare una
politica produttivistica per l’aumento del
reddito nazionale,
ottenuto con il massimo impiego delle forze di lavoro». Il PSI doveva
indicare le linee di una politica meridionalista sulla traccia di Dorso e
Gramsci e lottare per le riforme di struttura, contrapponendo
l’alternativa socialista all’ inerzia DC. Il «controllo degli investimenti
e la nazionalizzazione della industria elettrica» erano i problemi più
urgenti. Ribadite la validità della tesi della neutralità e la fedeltà «al
141
principio che ogni evoluzione nasce dallo sviluppo delle energie
autonome» di ogni paese, si consideravano chiusi il problema
dell’unità socialista e quello dei rapporti con il Comisco.
La mozione della “Sinistra”, firmata questa volta compattamente da
Nenni, Morandi, Basso, Cacciatore, Lizzadri, Pertini, De Martino,
Vecchietti, confermava l’unità d’azione col PCI, indicava la necessità
del «rafforzamento della formazione ideologica» dei militanti,
criticava “l’equivoco centrista” e sosteneva che la destra era ormai su
posizioni «di aperta incompatibilità con la linea politica del partito». Il
clima di aspro contrasto di classe e la logica della guerra fredda favorì
la Sinistra; inoltre la nomina di Nenni a segretario dei Partigiani della
pace permise all'aspirante segretario di riacquistare prestigio e
ascendente.
Secondo la mozione di destra (”Per il socialismo”) firmata da Romita,
Carlo Spinelli, Luisetti, Lopardi, Orlandi, Passoni, Viglianesi, per
rovesciare l’involuzione conservatrice in atto nel paese occorreva un
partito socialista forte, e quindi riunificato con tutte le forze socialiste
e autonomo; sciolto dall’unità d’azione col PCI, con cui erano
possibili intese per la difesa delle libertà democratiche. La
partecipazione al governo, non esclusa in via assoluta, lo era nella
situazione parlamentare creata dai risultati del 18 aprile. L’unità
sindacale andava difesa come unico baluardo contro l’offensiva
conservatrice. Sul piano internazionale le scelte dovevano essere per
la neutralità e il Comisco.
Il 28. Congresso aprì i lavori a Firenze il 12 maggio 1949. Jacometti,
nel suo intervento introduttivo,308 dopo aver ricordato diversi casi d
308 Nella seduta dell'11 maggio svolse la relazione politica in qualità di
Segretario uscente. Dopo un saluto ai compagni sardi espresse l'augurio che
«i compagni del Partito d'Azione di Lussu, compagni contadini, operai,
pescatori, pastori [potessero] presto trovare nella casa del Partito socialista
la loro casa comune»; mise in rilievo l’opera di ricostruzione compiuta dalla
Direzione: «Abbiamo ricevuto a Genova un Partito. che si stava sfaldando,
oggi riconsegniamo al Congresso un Partito in gran parte risanato che può
cominciare a combattere sul serio in nome della classe lavoratrice» ricordò
le circostanze che avevano portato gli aderenti a «Riscossa socialista» a
costituire una Direzione monocolore: «Genova aveva affidato alla Direzione
142
incomprensione, quando non di vero e proprio boicottaggio, da parte
di Federazioni o di settori dell’apparato del partito nei confronti della
Direzione, passando ai problemi di linea politica, affermò che il PSI
non era complementare rispetto al PCI. La linea del partito si era
fondata su una sintesi fra l’istanza dell’autonomia e quella dell’unità
di classe, mentre l’impostazione del problema dell’unità socialista
aveva mirato a favorire un processo di recupero di settori
due mandati, il primo dei quali andò sotto il nome di autonomia del Partito..
lo dichiaro di intendere il concetto di autonomia nel senso in cui credo lo
intendesse il compagno Nenni: cioè l’autonomia della classe lavoratrice. È
condannabile il ragionamento di quei compagni secondo cui la funzione del
nostro Partito si ridurrebbe a quella di complementarietà con l'azione del
Partito comunista per penetrare là dove ad esso riuscirebbe più difficile. Il
PSI non vuole essere il doppione di nessun altro partito. Il PSI ha una storia,
una tradizione che gli hanno dato una sua tipica fisionomia. Credo che
l'espressione marxista della nostra autonomia consista nel darsi una propria
vita esprimendo direttamente i bisogni e le aspirazioni del popolo. » Ricordò
poi i convegni promossi dalla Direzione sottolineando la fedeltà del Partito
alla CGIL che è «la nostra casa dalla quale non si esce a nessun patto».
Passando a trattare dell'unificazione socialista si richiamò alla mozione di
Genova, che escludeva «combinazioni diplomatiche ai vertici». Coerente era
stato anche l'atteggiamento della Direzione nei confronti del Comisco in cui
il Partito aveva sperato di poter restare per non perdere contatto coi partiti che
rappresentavano la maggioranza dei lavoratori inglesi, belgi, olandesi e
scandinavi, ma aveva contestato il diritto di giudicare il PSI. Passando al
tema della neutralità, respinse l'accusa di terzaforzismo ricordando che tale
neutralità doveva essere intesa «rispetto agli Stati e non rispetto alle classi
sociali in lotta». A questo proposito deplorò l'atteggiamento di alcuni
esponenti della Sinistra: «Oggi in tutta l'Italia circola una petizione che è
firmata da milioni e milioni di persone, da socialisti, da comunisti, da
cristiani, da tutti quelli che sono contrari alla guerra e che si ritrovano in
questa grande idea. In questa mozione è scritto: pace e neutralità. Noi
abbiamo fatto il primo passo, quello che è l’impostazione dei problemi: oggi
dovremmo fare quello che è la politica, la risoluzione dei problemi... lo dissi
a Genova che era necessario fare in modo che la caravella del Partito socialista riprendesse a navigare: oggi credo sia necessario fare in modo che
la nave del Partito socialista possa essere lo strumento armato che serva alla
classe lavoratrice. Tutto nel mondo sta muovendosi, dalla Cina alle
143
socialdemocratici di base: il documento di novembre di Romita aveva
bloccato tale processo. Romita non era stato espulso perché con lui
erano collegati numerosi sindacalisti che occupavano posizioni
importanti nella CGIL, una parte dei quali poi recuperata al partito. Il
PSI era nel mondo socialista contro quello capitalista, ma non
s’identificava nello stato russo. Ricordò quindi il sabotaggio della
politica di neutralità operato da Morandi e Pertini e l’opposizione ad
essa dei gruppi parlamentari. Nella replica difese la funzione specifica
del PSI e il lavoro della Direzione, criticando il pessimismo della
“Sinistra” sulla situazione internazionale; accennò in prospettiva ad
una “alternativa socialista. 309
Si delineò lo scenario di un partito fortemente diviso e ridotto nei
numeri: a meno di un anno di Genova il numero dei votanti era sceso
del 20%, 100.000 unità310. La mozione di centro, a parte Genova e
Firenze, ebbe la maggioranza in piccole federazioni, registrò una netta
prevalenza in una regione rossa come l’Umbria e un discreto
repubbliche popolari dell'Europa orientale, che cercano la propria via per
l'edificazione del socialismo. Noi siamo in una posizione speciale. Noi
abbiamo la nostra posizione e nel mondo e nella storia. Noi abbiamo una
missione da compiere».
309 Rispose ai rilievi mossi dai vari intervenuti: in particolare polemizzò
con Romita al quale rimproverò di volere rompere il Patto di unità d’azione
proprio in un momento di esasperata lotta sociale e con Nenni al quale disse
che non era stata la Direzione uscente a riproporre i temi del 1946 ma la
sconfitta del 18 aprile. «Oggi la parola è al Congresso, se ci riconfermerà la
fiducia saremo degni di tale fiducia. Se non l’avremo, lavoreremo nel Partito
rientrando nei ranghi, a patto solto che non si vaglia distruggere il Partito
che, dato per morto parecchie volte, aveva dimostrato nel 60. anniversario
della fondazione, di essere vivo e vitale.
310 Il calo di 100 mila iscritti fra Genova e Firenze, pari a
quello dei consensi alla mozione di destra, è in gran parte da
attribuire al mancato rinnovo dell’iscrizione da parte di costoro,
e il rafforzamento della “Sinistra” di 60 mila voti ad un
trasferimento di un ugual numero di consensi dal “centro”. Se ne
ricava l’impressione di uno slittamento generale a sinistra degli
umori della base socialista.
144
vantaggio in zone bianche come Triveneto e Liguria. La Sinistra vinse
nelle Marche, Abruzzo, Lazio, Emilia-Romagna. Quanto alla destra di
Romita, la sua influenza, in declino ovunque, si era ormai ridotta al
solo Piemonte.
Emerse uno spostamento degli iscritti verso sinistra di 60.000 voti,
non sufficiente però per delineare un chiaro ribaltamento dei rapporti
di forza e garantire la vittoria alla mozione di Nenni, Morandi e Basso.
Nelle federazioni di Napoli, Bari e Catania i risultati non erano
definitivi per contese sulle votazioni 311. Si arrivò quindi al congresso
con alcuni voti ancora da assegnare e l'esito finale ancora tutto da
stabilire. Lombardi, forse per stanchezza e sfiducia, rinunciò ad aprire
un nuovo fronte di polemica e non chiese un nuovo conteggio
La “Sinistra” riuscì a conquistare la maggioranza assoluta col 51% dei
voti contro il 41% del “centro” e il 9% della destra. Venne eletto il
Comitato Centrale su base proporzionale; avendo poi voluto la
“Sinistra” formare una Direzione monocolore, i delegati di centro si
astennero nella votazione per la nuova Direzione, che eleggeva Nenni
segretario e Pertini direttore dell’«Avanti!».
Nel frattempo i seguaci di Romita su pressione dei sindacalisti
decisero di uscire dal PSI. La scissione di Romita era l’ultimo atto
traumatico di un processo di erosione della forza organizzata socialista
che durava ininterrottamente dal ‘47. La base degli iscritti si era infatti
ridotta dagli 860 mila del 1946 ai 531 mila del Congresso di Genova,
fino ai 430 mila della metà del ’49, esattamente dimezzandosi in tre
anni, in misura proporzionale all’andamento dei consensi elettorali. La
vittoria della “Sinistra” segnò la vittoria della tendenza più in linea
con il PCI ed ebbe quindi anche il significato di “normalizzazione” nei
confronti di un partito che aveva una posizione eterodossa nella
sinistra europea e che sarà, dalla metà del ‘49, forzosamente allineato
alle esigenze della politica comunista.
2 Dal congresso di Bologna a quello di Venezia (1951-57)
311 Sulla regolarità dei congressi provinciali, che
avvantaggiarono soprattutto la sinistra, espresse dubbi in una
lettera del 9 aprile 1979,
145
In seguito alla sconfitta alle elezioni del 18 aprile 1948 312, come molti
altri parlamentari del Fronte popolare, soprattutto i socialisti che
scesero da 115 a 87, non venne rieletto. Diresse allora la Federazione
di Novara e il suo settimanale "Il Lavoratore", concentrando in loco il
suo impegno: alle sezioni e ai circoli ricreativi socialisti, all'Istituto
novarese di storia del movimento di liberazione, che aveva fondato,
alla sezione dell’ANPI.
Venne così a far parte di quella schiera di funzionari la cui “oscura
epopea“ (la definizione è dello storico Gaetano Arfè) era fatta di
sacrifici economici (e proprio allora era giunta la nascita della seconda
figlia) e di massacrante impegno "Lo stipendio medio dei funzionari
dei PSI oscillava tra un massimo di 45.000 e un minimo di 15.000
lire: un livello pari alle qualifiche operaie più basse. A fronte stava un
orario di lavoro molto pesante, al ritmo di 10 ore al giorno compresa
la domenica mattina”313
312 Circoscrizione: TORINO-NOVARA-VERCELLI DC 668
mila, 45,%, 13 Seggi; FRONTE DEMOCRATICO POPOLARE
530 mila 36% 10 seggi.
313 P.Mattera “Il partito inquieto: organizzazione, passioni e politica dei
socialisti italiani dalla Resistenza al miracolo economico” Roma 2004, p.190
Fausto Bertinotti su “Il Ponte”2009/3 ha fornito la sua testimonianza: “Ho
frequentato molto Jacometti nella prima parte della mia vita di
militante politico-sindacale. È stato mio direttore all'epoca della
collaborazione con «Il Lavoratore», giornale della federazione del Psi di
Novara. L'ho conosciuto bene, era un uomo bello e affascinante, uno
straordinario oratore, nel senso piú compiuto del termine. Penso che egli
mi abbia trasmesso l'amore per il comizio, inteso come grande
rappresentazione teatrale. Ricordo, in diverse piazze della "bassa
novarese", la sua progressiva "svestizione" durante i comizi, motivata dal suo
accalorarsi. Prima' il cappello, poi la sciarpa e il cappotto... Da questi
gesti emergevano, insieme, la sua grande passione e, appunto, l'idea del
comizio come rappresentazione. Aveva una dedizione totale al lavoro
politico…. pur non avendo una cultura politica della raffinatezza di Foa o
di Lombardi, si era ritagliato un suo spazio e, per noi giovani,
rappresentava un riferimento fondamentale. Come scrisse in una stupenda
pagina, proprio in uno dei suoi libri, in politica diffidava del dilettantismo
e di coloro che erano "prestati" alla politica. Era, insomma, un totus
146
Al Congresso di Bologna del gennaio 1951, che inaugura l’epoca
morandiana in cui i congressi non si svolgono più per mozioni
contrapposte e che termina con quello di Venezia del 1957 314,
intervenne sulla ritrovata unità del Partito dicendo che "la risposta si
chiama di volta in volta «assassinio di Melissa», «assassinio di
Modena», «assassinio di Comacchio». L'unità del Partito si è fatta per
questa ragione, in quanto uomini che hanno potuto divergere in certi
momenti sulla tattica, su valutazioni della situazione, hanno sentito e
sentono che la strada è solo una, quella degli interessi dell'umanità;
per questo noi possiamo dire senza tema di sbagliare che il socialismo
italiano oggi è in questa sala e chi non è qui oggi, non è socialista" 315.
Al Congresso di Milano del gennaio 1953 mise in rilievo i consensi
crescenti per la politica di distensione del PSI, che aveva trovato nelle
cose la sua validità. Al contrario il blocco guidato dalla Democrazia
politicus
314 "L'involuzione interna del partito fu assai più grave della
sconfitta elettorale. La ragione fu oscurata e cedette il passo
all'ossequio e alla fedeltà, la ricerca del consenso fu sostituita
dalla disciplina, dal rigore della gerarchia; alla tradizionale
chiarezza dei rapporti fra compagni subentrò il clima
inquisitorio del sospetto.....La vita del partito non consentiva
alcuna elaborazione da parte della base. Tutto si ridusse a
«organizzazione», cioè a funzionamento di apparato come
custode di fedeltà ideologica; una quantità di giovani di valore
furono come sterilizzati in una macchina che aveva il solo fine
di rafforzare se stessa. L'organizzatore di questo apparato fu
Rodolfo Morandi, uomo gentile ed educato che divenne quasi
simbolo di durezza e disciplina ideologica. E i sostenitori dell'
autonomia socialista, senza i complessi di un passato marxistaleninista e ancora pieni di amore per la libertà hanno però
accettato senza reagire il «buio a mezzogiorno»". V.Foa "Il
Cavallo e la Torre" Torino, 1991 (Il riferimento è al romanzo di
Arthur Koestler)
315 Pedone “I congressi....", cit.
147
Cristiana si rifugiava nel tentativo di precostituirsi una maggioranza
fittizia che potesse «negli anni critici della pace o della guerra»
trasformare «il diritto del Parlamento italiano di decidere sull'entrata
in guerra» in una «parata della macchina per votare». In questo modo i
sostenitori di una legge di questo tipo non si preoccupavano di creare
una frattura tra Paese legale e Paese reale e di acutizzare all'estremo i
rapporti sociali sotto il peso della pressione americana spostatasi, dopo
un'iniziale benevolenza per la socialdemocrazia, all'appoggio deciso ai
movimenti clericali europei e ultimamente in via di ulteriore
spostamento verso l'estrema destra fascista. Su questa via tuttavia la
destra clericale e reazionaria aveva trovato l'ostacolo del Partito
socialista che, dato per morto parecchie volte, aveva dimostrato nel
sessantesimo anniversario della sua fondazione, di essere vivo e
vitale.316
Rieletto alla Camera nel 1953, vi restò per tre legislature. Al
Congresso di Torino del marzo 1955, incentrato sulla parola d'ordine
del dialogo coi cattolici e dell'alternativa, intervene "attribuendo
l'involuzione registratasi nella vita politica italiana alla struttura
economica e sociale del Paese che, per l'asprezza dei contrasti di
classe, rendeva impossibile una politica centrista non pencolante verso
destra. Si dichiarò meno pessimista di Lussu circa la possibilità di
evoluzione delle masse cattoliche, esprimendo il parere che non fosse
possibile alla Democrazia Cristiana, per la volontà delle sue masse
popolari, di sottrarsi alla scelta cui la chiamavano gli avvenimenti. Al
Partito socialista spettava il grande compito di favorire l'incontro tra le
masse cattoliche e quelle che seguivano l'ideologia marxista. Quanto
alle condizioni di questo dialogo, non si poteva chiedere al Partito
socialista di rompere l'unità della classe lavoratrice, ma soltanto di
essere fedele alla Costituzione repubblicana.317
Un evento luttuoso chiuse il 1955: nel novembre la scomparsa della
madre, cui era legato da un affetto reso più acuto dal rimpianto per i
diciassette anni di separazione (tranne una sua visita a Bruxelles di
316 Ibid.
317 Ibid.
148
pochi giorni alla fine degli anni '30), gli fa scrivere il più toccante dei
suoi libri318.
Il 1956 fu l'anno, cruciale per i socialisti, del 20. Congresso del PCUS,
del rapporto segreto di Kruscev e della rivolta ungherese: nel
Comitato Centrale del marzo del 1956 affermò che "il Partito non ha
mai accettato le teorie dello Stato guida e non ha quindi impacci nella
318 Pubblicato nel 1960 nella collana del Gallo delle Edizioni Avanti!:
”….Mia madre non fu un’eroina, fu una donna semplice come l’acqua e il
pane, come ce ne sono milioni, come ce ne sono miliardi.... Di prima
pochissimo so, quasi nulla. Il borgo - Trecate - un grande borgo già fin
d'allora; tutto di contadini e di piccoli bottegai….Si fece lì, mia madre: la
scuola, la chiesa, le compagne figlie di bifolchi e di cavallanti, lei di fittabili,
ma frammischiata con loro senza che mai fumo d'orgoglio le ottenebrasse il
cervello e lo spirito......Il matrimonio venne dalla città, che non era ancora
ventenne. Allora i matrimoni si facevan cosi. Mio padre, più vecchio di lei di
dodici anni, ..mandò avanti un sensale di bestiame, in esplorazione. Parlò
con il padre, e snocciolò la parentela, i legami, le origini, quindi illuminò,
con un tocco, la figura dell'interessato: semplice, lavoratore, casalingo. Si
addentrò forse, con circospezione, nei meandri degli interessi: ma c'era la
bottega, esente da ipoteche, che garantiva e la cosa non dovette essere
lunga. Mio nonno chiamò mia nonna ….e la visita fu conclusa con una
bevuta. La sera chiamò mia madre. Non le chiese il suo parere, le comunicò
che la domenica seguente avrebbero avuto la visita di colui che sarebbe
potuto diventare il suo sposo…..Le visite furono una mezza dozzina. Nessuno
ricordò di domandarle se era d'accordo; si sposarono l’otto di ottobre; tre
giorni più tardi ella compiva i vent'anni. Povera mamma! come devono
essere stati duri i suoi primi giorni con quell'uomo più vecchio di lei che
aveva visto si e no cinque o sei volte; un estraneo in fondo ma legato per
tutta la vita e indietro non si sarebbe mai più potuto ritornare per alcuna
ragione…(.....)... Adesso….lei non accorrerà, perché non c'è più, né qui né
altrove, neanche nella vecchia casa sotto la cupola. Quando entravi,
appariva nel corridoio in penombra o la trovavi nella cucina intenta ad
agucchiare o a far da cucina; il sabato, quando arrivavo da Roma; ogni
mattina, quand'ero a Novara…È la prima volta che manca all'appuntamento,
lei cosi fedele, non attende più colei che attese diciassette anni! Le dicevano
che non sarei più tornato e scrollava la testa; le dicevano ch'ero un cervello
149
valutazione da dare, né per la parte positiva, né nella parte
negativa"319.
Al Congresso di Venezia del febbraio 1957 esordì sostenendo che
“l’alternativa socialista non rappresenta solo un cambiamento di
governo, ma anche il rovesciamento d’una politica, e potrebbe essere
il principio di una nuova fase storica del nostro paese.... . Il rapporto
segreto di Kruscev e il processo a Stalin hanno posto gravi
interrogativi a tutti i lavoratori, costringendo a un ripensamento della
democrazia che ha condotto i socialisti a conclusioni diverse da quelle
dei compagni comunisti.” 320
balzano, una testa bruciata, e lei guardava la mia fotografia.…. Per la prima
volta mi lascia senza soccorso e io, questo cinquantenne, si trova spaesato,
straniero fra le pietre corrose della propria casa, straniero nella propria
pelle...... …"
319 A.Jacometti "Avanti!", 28.3.1956
320 F.Pedone, cit. Così prosegue: "Il compito di allargare i
margini della democrazia, e non più soltanto della democrazia
parlamentare, spetta oggi in maniera propria ai socialisti. Ma è
possibile in uno Stato come quello italiano, a sviluppo
capitalistico avanzato e a democrazia in parte già realizzata,
passare democraticamente dallo Stato capitalista allo Stato
socialista? Gli unici, esempi di presa del potere socialista senza
rivoluzione violenta, sono l’esperimento laburista e quello del
Fronte popolare francese del 1936, sebbene l’uno e l’altro
abbiano mancato lo scopo della trasformazione della società.
Per evitare che il giorno in cui fossimo per assumere il potere la
classe capitalista ce lo possa impedire, si impone una politica
estera di solidarietà con i paesi che non sono più capitalisti, coi
paesi della fascia neutrale e quelli dell’ Europa dell’Est In
queste condizioni si pone il problema dell'unificazione socialista; la prima premessa, il superamento del frontismo, è
stata da noi realizzata, mentre la socialdemocrazia non ha
ancora rinunciato al superamento del centrismo, che è la
seconda premessa. Vi sono anche tre condizioni: la democrazia
150
3 Il viaggio in URSS (1952)
Jacometti non aveva aspettato il 1956 per esprimere sull'Unione
Sovietica, che aveva visitato in compagnia di Nenni nel 1952 321 , un
giudizio che - seppur schematico alla luce delle attuali conoscenze - è
comunque lontano dalle esaltazioni acritiche degli intellettuali
"progressisti" che in quegli anni visitavano la Russia 322, tanto che poté
ripubblicarlo dopo la destalinizzazione senza doverlo modificare.
come valore permanente, il classismo e l'internazionalismo. Nel
1947 le due premesse non esistevano e le tre condizioni erano
accettate da tutti, ma poiché il Partito si divise è evidente che le
tre condizioni e le due premesse non sono sufficienti. La prima
questione che ci sta di fronte è quella della nostra politica
estera, che noi concepiamo in termini di lotta contro il
colonialismo per una Europa solidale, principi che Saragat non
ha pienamente accettato. Per quanto riguarda la nostra
posizione nei confronti dei comunisti, specie nella valutazione
dei fatti d'Ungheria, i comunisti sono su tre posizioni non
conciliabili tra loro: via italiana al socialismo, approvazione
della repressione in Ungheria e entusiasmo per la vittoria di
Gomulka, e dobbiamo aiutarli a uscire da queste
contraddizioni. Il patto di unità d'azione e quello di
consultazione non esistono più, tuttavia non possiamo accettare
che il problema dei rapporti col PCI si ponga in termini di
rottura perpendicolare, così come vuole Saragat: per noi la
politica unitaria rappresenta un patrimonio inalienabile e
permanente, proprio perché essa passa attraverso i Comuni, le
province, il Mezzogiorno e ogni luogo di lavoro. Concludendo,
l'unificazione socialista non passa più in questo momento
attraverso Saragat bensì attraverso la convergenza della base
socialdemocratica sulla politica di rinnovamento democratico
delle strutture del paese"
321 A.Jacometti "Un mese in Unione sovietica. Note di viaggio" Novara,
1952; poi in "Il filo di Arianna", cit.
151
Tre sono gli argomenti che sottolinea in questo “reportage”: la
diversità tra dittatura fascista e comunista , la condizione della donna,
la scomparsa della religione.
Rispetto al primo tema e alla possibilità di essere utilizzati dalla
propaganda di regime così argomenta: "anche da noi sotto il fascismo
se uno straniero fosse capitato in Italia e si fosse mescolato alla gente,
se avesse dovuto rispondere alla domanda: sono felici gli italiani del
1937, accettano o no Mussolini, che cosa avrebbe risposto? Se non
che c'è qualche domanda da fare: Quante università ha costruito il
fascismo? Quanti ospedali? Quante, case di riposo? Quante
biblioteche? Quanti canali? C'è qualche paragone da mettere in
evidenza: nei
cinematografi russi si proiettano pellicole che
inneggiano alla libertà, all' emancipazione del lavoro, alla liberazione
degli uomini; avveniva la stessa cosa, in Italia, sotto il fascismo? .. In
URSS trovi l'esaltazione della pace, nell'Italia fascista trovavi
l'esaltazione dell'impero. Nella Germania nazista, la richiesta dello
spazio vitale."
Sulla condizione della donna in Unione Sovietica sostiene: "Ho
constatato l'impossibilità, per la maggior parte della gente di comprendere che cosa significhi, per una società, il mettere la donna in
questa triplice situazione: di poter esercitare tutti, press'a poco, i
mestieri offerti dalla complicazione della moderna società, e di essere
pagate per uguale lavoro con lo stesso salario maschile; di sapere, con
precisione matematica che, così come l'uomo, non resterà mai priva di
lavoro; che potrà esercitare nella vita il lavoro che più le si confà. Una
donna a cui siano date tutte queste cose, questa sicurezza, questa
coscienza, non avrà più, davanti all'uomo, lo stesso atteggiamento di
prima...... Ho interrogato parecchie donne di tutte le età e di cultura
diversa. Una delle domande che più spesso tornava, "Ci sono, in
U.R.S.S. matrimoni attraverso i quali la donna cerca una sistemazione?" Non sempre la mia interlocutrice capisce subito: quand'è
322 P.Hollander Pellegrini politici : intellettuali occidentali in
Unione Sovietica, Cina e Cuba, Bologna, 1984; P.Spriano
"Visita guidata in URSS", in "Le passioni di un decennio",
Roma, 1992
152
compresa suscita il riso. Perché è inverosimile, è grottesco, un'
aberrazione vera e propria, il pensiero che la donna ricerchi, attraverso
il matrimonio, una sistemazione. Quale sistemazione? perché? Ha
tutto ciò che le necessita in casa; se crede, va a vivere da sola, quale
sistemazione dovrebbe ai ricercare? Da tener presente che in Unione
Sovietica non ci sono più le grandi fortune e quindi neanche il
miraggio dell'animale di lusso legalizzato. La prima conseguenza di
tutto ciò è la morte definitiva, per mancanza di nutrimento, della
prostituzione......La seconda conseguenza della liberazione della
donna, è quella di porre i sessi nella condizione di perfetta
eguaglianza davanti al matrimonio.....In una società come la russa il
«t'amo» e il «non ti amo» riprendono il loro significato genuino.
Mettete ora di fronte la moglie e il marito: non ci sono disparità,
servitù economiche, catene: tu guadagni e io guadagno, siamo uguali.
Non ci sono interessi, incentivi a nascondere, a trafugare, questioni di
soldi. La coppia è ristabilita sull'immenso, nudo, puro terreno delle
affinità. Giudicate del cambiamento”
Per quanto riguarda il terzo tema, il presente e il futuro della religione
in URSS e nel mondo, sostiene "Dalla guerra in poi, la Chiesa
ortodossa è più che tollerata, protetta. Ma la religione è in Unione
Sovietica una sopravvivenza. Me lo fa capire Galina, [che] su questo
argomento è di un'ignoranza crassa....per il resto, è invece coltissima.
Conosce a memoria i poeti italiani del Rinascimento... Galina non sa
rendersi conto se non per approssimazione di quello che è Dio. Un po'
come succede per noi al riguardo, che so, di Osiris o anche semplicemente di Giove e di Giunone. Quando le domando se crede in Dio,
Galina si stupisce così come si stupirebbe uno di noi se gli domandassero se crede in Giove. Non ha dunque religione? No, non ne ha. E
non ha mai sentito la mancanza di Dio, il bisogno di Dio, quella specie
di vuoto, d'incompiuto, che gli atei, quasi sempre, portano in giro da
noi? Non capisce. Devo farle altre domande, spiegare. Finalmente
risponde, recisa: no, Dio per lei non è mai esistito, Dio è un po' come
il corpo mummificato di un faraone; non ha mai fatto capolino da
nessuna piega della sua coscienza perché non vi è, non ha mai
sollecitato, non si è mai rivelato neppure come potrebbe fare un tarlo,
rodendo o un verme, agitandosi. Dio è morto. Quando? Oh, molto
153
prima che lei nascesse! E' questo forse che noi non possiamo capire.
Non esiste più, non esiste più neppure il ricordo, neppure la nostalgia,
neppure la traccia nell'aria. Bisogno di Dio? e perché? E' sempre
vissuta senza Dio e non ne ha mai sentito il bisogno; non lo conosce,
quindi non le manca..... Ho l'impressione che la Russia sovietica stia
confermando in pieno la predizione di Marx: Dio scomparirà con lo
scomparire delle classi e la creazione della società socialista. Non
capisco come nessuno si sia interessato a questo, che è certamente l'
elemento più caratteristico delle trasformazioni di una società. Ci si
interessa di sapere se sI pratIca o no, se si può o no praticare e non ci
si disinteressa di sapere se Dio, in URSS è ancora vivo o no, se Dio
può morire, se è vero e fatale che Dio muoia domani E' un punto
capitale nella storia dell'uomo e nell'evolversi della civiltà. Ho
veramente l'impressione che la Russia abbia già dato una risposta”
4 Attrazione del Sud. Comizi elettorali in Puglia e Sicilia (1949-53)
“…piemontese di nascita e d’educazione, lombardo di schiatta senza
neppure una ramificazione negli ultimi secoli al di là della Liguria e
comunque settentrionale di tipo, di temperamento, di reazione e di
modo di essere, non avendo oltrepassato Roma prima dei vent’anni,
essendo vissuto quattordici anni nei paesi del Nord, non sono mai
riuscito ad adattarmi completamente a Torino che pure ammiro, che
trovo bella e seducente.. mentre mi basta fare un passo al di là di
Latina per sentirmi di casa, a Napoli, a Reggio, a Catania, a Palermo,
con dieci anni di meno, amico di tutti e il sangue in fermento...Colore,
aria, azzurro del cielo, calore del sole, coloratura dei vecchi palazzi,
patinatura del tempo – e quel senso di vita, quell’esplosione di vita,
quella sensualità che si è appiccicata alle cose e le fa essere vive, vive,
vive e calde e piene d’offerta”. Negli anni ‘50 si trova a percorrere
l’Italia meridionale nel corso di giri di propaganda durante le
campagne elettorali. Riportiamo alcuni brani su situazioni e ambienti
del Sud, per la qualità della scrittura ancor più che per l’interesse
storico.
Nel gennaio 1949 si trova a Putignano, in Puglia: .”…Tutta la gente
del paese c'era, al lume delle torce; tutti i ventri vuoti del paese, figure,
in quella luce vacillante, che non sapevi dire s'erano state squadrate
154
con l'ascia o tirate fuori fumiganti da una colata di ghisa; tutti i ventrivuoti del paese, tutti i terroni, tutti i braccianti del paese e non sapevi
dire da che età venivano - e le donne, silenziose e mute come statue di
pietra; tutti c'erano; e ci dissero, in versi, tutto il loro affanno con
parole che non capivamo tutte e avevano strane risonanze ma che si
spaccavano come vesciche piene di sangue…"323.
Nel 1953 partecipa alla campagna per l’elezione della prima
Assemblea Regionale Siciliana “…Era il mese di aprile…. in Sicilia,
quando i giardini d'agrumi sono tutti fioriti e le pale dei fichi d'India
s'ingentiliscono di quel ciuffetto di fiori di vario colore e i greggi
somigliano a quelli dei presepi e il mare è tutto sonoro nelle cavità,
nelle anfrattuosità fra le rocce…; una grande nave sul mare dove
bruciano tutti i profumi del mondo. La battaglia era aspra, ma
cavalleresca….Nessuno si curava d’appiccicare manifesti sui muri: a
qualsiasi ora del pomeriggio o della serata, la piazza era piena. Sulla
tribuna, costruita una volta per sempre, s’alternavano gli oratori;
l’uditorio era sempre il medesimo, soltanto, con il cambiare
dell’oratore, si facevano innanzi ad occupare le prime file i seguaci o i
simpatizzanti a volta a volta dell’uno o dell’altro partito. Agli oratori
del Fronte erano riservati i più ampi e ferventi successi che
attingevano talora a forme commoventi. Che esplodevano, talora, in
manifestazioni frenetiche e conturbanti. Era il contadino siciliano che
si risvegliava da un sonno secolare. Non nascondo tuttavia che
rimaneva in me una certa perplessità. Mi domandavo: quanta parte ha
in tutto questo un residuo di quegli antichi culti magici che si sono
così abbondantemente travasati nei riti cattolici? Un giorno mi
mandarono non so più se a Vittoria o a Noto. Mi dicono: è un grosso
borgo agricolo, del quale sappiamo assai poco. Le nostre sezioni sono
deboli, gli avversari fortissimi. E’ possibile che non ti lascino neppure
parlare; in bocca al lupo. Quando fummo a un chilometro o due dal
paese vedemmo venirci incontro, nel polverone, una folla di gente. Ci
siamo – dissi al compagno autista – altro che non lasciarci parlare! Mi
ha tutta l’aria di chi non ci vuole neppure lasciare entrare. Venivano
avanti, lentamente con l’andatura pesante di un gregge. Davanti c’era
323 A.Jacometti "Il filo di Arianna", cit.
155
una bandiera rossa. E c’era, frammischiata con l’altra gente, una
fanfara d’ottoni che a un tratto si raccoglie in un gruppo e si mette a
sonare. E quand’apro lo sportello della vettura e metto fuori la testa è
uno scroscio d’applausi..... appena messo fuori i piedi vedo il cerchio
stringersi, le bocche spalancarsi tutt’insieme e mi sento afferrare per le
cosce e prima che me ne sia ben reso conto, issare sulle spalle di un
erculeo giovinotto e portare innanzi e dietro tutto il codazzo della
gente, urlante, schiamazzante, inneggiante. E quello che ti dicevano, e
quello che gridavano ! Si, c’era un fondo di sortilegio in tutto quello,
ma le parole erano calde, vere, che venivano su da una sofferenza
presente, da una speranza enorme e presente che si chiamava terra. Io
non ero che un simbolo, il rappresentante di una forza in cammino che
veniva incontro alla loro sete. Era quella sete favolosa che si esprimeva con un’ immediatezza e un’ingenuità da far piangere. Ebbi
voglia di piangere in quel momento e un po’ più tardi, quando, finito
di parlare mi sentii gridare da uno che tendeva le braccia e l’anima:
ma questo è il figlio di Garibaldi – e nessuno aveva riso...” 324
Infine un comizio a Canosa, in Puglia: "La strada era tutta incorniciata
di uliveti e di mandorleti; ed il sole era in quell'ora che precede di
poco il tramonto e che si arrossa tutto e par un gran disco rovente;
ma ...essendoci ancora il sole, la sera era visibilmente già acquattata
sotto i mandorli e gli ulivi, densa e pronta a venir fuori, pronta a
gonfiarsi, a espandersi, a rompere non appena egli se ne fosse andato.
…Non appena egli fu sotto, la sera venne fuori, sinuosa, e il cielo fu
tutto di rosa; ma non per nubi o per vapori, ma di luce rifratta; durò
forse un minuto. .. I borghi che attraversavamo, S.Spirito, Giovinazzo,
Molfetta, erano pieni di gente tranquilla e antica, più in là, verso Trani,
incominciò la teoria delle carrettelle, prima qualcuna, rada; poi fitte
fitte, una dietro l'altra, a decine, a centinaia, tutte quasi eguali, a ruote
alte, a sponda bassa, con due, tre, quattro occupanti, trainate da muli
alti e secchi che correvano a passi lunghi davanti alla notte
incalzante…. Allora ho pensato che tutta la Puglia fosse così: tutta
ricoperta, in quell'ora, di carrettelle scricchiolanti, a migliaia, tutta
viva di muletti in corsa che fuggono la notte, di contadini affamati,
324 Ibid.
156
secchi come tralci di vite e com'essi nodosi, che tornano a casa dal
lavoro. Oggi, ieri, da tempi immemorabili. E ripartono domattina,
prima dell'alba. Secca la Puglia e dura e rossa per sesquiossido di ferro
ma chissà che cosa darebbe, se la si potesse abbeverare! Già a
grattarla casi guarda come verdeggiano le viti! ....A Gravina siamo già
nel cuore del latifondo che si estende a nord e a ovest, nel cuore perciò
del bracciantato. Agglomerati che non sai dire se paesoni o città, di
quaranta, di sessanta, di novantamila abitanti come Andria, composti
quasi esclusivamente di contadini poveri, piatti, bianchi, screpolati,
ma con una gran piazza tutti, dove, ancora adesso, il mattino prima
dell'alba, i fattori e i sensali vengono a ingaggiare i braccianti per una
settimana o un giorno. Altro che uffici di collocamento! Altro che
elenchi, che controlli, che non so quali altre diavolerie sindacali ! Qui
si procede come cinquant'anni or sono. Vie ne il fattore e tasta i
muscoli, prende o non prende, sceglie, fa un' offerta e qualche volta
mercanteggia. ....Le sere sono fresche, e ventose, anche, per il vento
che viene dal mare, e le stelle poche e grosse ma, a dispetto del vento
e del freddo e della sveglia ultramattutina dell'indomani, i comizi
anche se si protraggono fino a tarda ora, sono affollati fino
all'inverosimile d'un pubblico tutto nero, cappello, giacca, occhi e visi
abbrustoliti, in cui le donne, molte in generale, molto più che da noi,
fanno da cornice rannicchiandosi contro i muri. Quando arrivi ti
vengono incontro, ti seguono, ti circondano, riempiono la sezione e
fanno circolo. Ti guardano con gli occhi luccicanti. Vogliono sapere se
si può vincere a Roma, a Napoli, altrove. C'è speranza? Qui sì, forse
ce la faremo. I blocchi sono tre o due; quando sono due, in generale,
monarchici, democristiani, socialdemocratici, liberali si son messi tutti
nello stesso calderone....Di qui noi, con gruppi d'intellettuali e di
contadini. Stanno ad ascoltare per un'ora, per due, per tre, se è
necessario, con un’attenzione che li fa più piccoli, quasi minuscoli in
quella massa, inerti come statue. Perfino l'applauso passa come un
ringhio. Non perdono una parola. E tuttavia ce ne sono di quelle che
cadono su di loro come goccioloni d' olio bollente: l'alleanza fra i
contadini del sud e gli operai del nord, per citarne una. Quando hai
157
finito, stanno ancora, un mezzo minuto, non ancora stanchi: poi si
sfaldano come un argine che rovini."325
5 Il tempo libero: dall’ENAL all’ARCI (1953-1957)
Nel clima politico seguito alle elezioni del 18 aprile 1948 l'Ente
Nazionale Assistenza Lavoratori (ENAL) 326 veniva utilizzato per
reprimere i circoli ricreativi di sinistra posti sotto la sua autorità.
Jacometti fu indotto ad occuparsi della questione dalla situazione
particolarmente pesante nel novarese: a Prata di Vogogna si giunse a
impedire anche solo l'entrata nel circolo dell' «Avanti!» e dell'
«Unità», e al circolo di Pernate fu imposta la rimozione di tutti i
quadri di dirigenti politici compreso quello dei caduti partigiani.
Questura, stazione dei carabinieri e ENAL provinciale agivano quasi
sempre «in piena armonia d'intenti e in formazione abbinata»327
Jacometti si domandava:«Perchè mai l'autorità di pubblica sicurezza e
soprattutto gli ENAL provinciali che sono, dopo tutto, l'espressione
dei circoli, il loro collegamento e per i quali l'esistenza dei circoli è la
loro ragione d'essere, perchémai dovevano mettersi, nei loro confronti,
in posizione di nemici? [...]Le questure, si sa, dipendevano da Scelba.
L'ENAL e Malavasi dipendevano dalla presidenza del Consiglio. Gli
incitamenti venivano, il più sovente, da Roma. Poi c'era l'atmosfera.
Poi c'erano gli interventi delle democrazie cristiane locali, dei deputati
325 A.Jacometti "Il filo di Arianna", cit.
326 Nel settembre 1945 l’Opera Nazionale Dopolavoro
(O.D.N.), fondata nel 1925 dal regime fascista fu trasformata in
E.N.A.L. e posto alle dipendenze della Presidenza del Consiglio
dei Ministri. L’ente si distinse nell’organizzare mense, spacci di
generi alimentari, soggiorni per lavoratori e colonie per i loro
figli, facilitazioni commerciali, sanitarie, termali,
cinematografiche, assicurazioni extra lavoro, buoni acquisto.
Vanno inoltre ricordate le iniziative culturali, come la
promozione di feste folkloristiche, campionati sportivi, concorsi
canori e musicali
327 A.. Jacometti, L' ENAL : una bandita chiusa, Milano, 1956
158
democristiani locali. Poi c'erano i rapporti locali fra ENAL e questura
e la pressione, dov'era necessario, di. quest'ultima e il vigliacco amore
del quieto vivere. Ma perché i circoli dovevano essere presi di mira?
[...] Nei circoli avevano trovato stanza, fin dal 1945, le sezioni dei
partiti. [...] Soprattutto il circolo rappresentava e rappresenta il centro
vivo del paese, il suo cuore. È lì che il paese vive collettivamente
molto più che non al comune. Li che pensa, li che parla, li che fa
politica. E per ammazzare i circoli o almeno per togliere loro
l'amministrazione di sinistra, il colore politico, si escogitò ogni sorta
di pretesti, di sopraffazioni, di soprusi, si inventarono cavilli degni
d'un redivivo Azzeccagarbugli, si pretesero dagli amministratori, dai
presidenti, dai banconieri, cose inaudite. [...]Lo strumento primo fu
fornito dal vecchio statuto-regolamento tipo dei Cral in forza del suo
articolo 2, dibattuto, a suo tempo, avversato ma mai soppresso e che,
per qualche anno, era stato mantenuto in sordina. Figurarsi che bazza
un simile atticolo nelle mani di certi prefetti, eli certi questori, di certi
commissari di pubblica sicurezza! Era una chiave che apriva. tutte le
porte, un vero e proprio grimaldello328
Ricordava ancora in un suo intervento alla Camera del 14 ottobre
1953: «Una sera i pattuglioni di polizia visitarono parecchi circoli:
furono ritirate le licenze a quei circoli in cui non fu trovato il
presidente e in cui il banconiere era sprovvisto di delega presidenziale.
Le disposizioni riguardanti le deleghe rimontavano a pochissimi giorni
328 Si trattava dell'articolo che richiedeva al Cral l'assoluta
apoliticità e sul modulo della questura all'esercizio di uno
spaccio di bevande alcooliche nei locali di un circolo si leggeva
che «il sopracitato Cral deve essere assolutamente apolitico
come è tassativamente prescritto dall'art. 2 dello statutoregolamento tipo dei Cral; e pertanto ove in esso venisse
consentita o esplicata qualsiasi attività politica o sindacale anche mediante affissione sulle pareti di manifesti, giornali
politici e ritratti di esponenti di partito, sia nazionali che
stranieri, la presente licenza di spaccio di bevande alcooliche
sarà immediatamente revocata».
159
innanzi. [...] Con questi sistemi durante la campagna elettorale
(giugno 1953) nella città di Novara e nei dintorni, furono chiusi dodici
circoli. Si era in piena stagione di monda, nei nostri villaggi risicoli
erano presenti migliaia di mondariso immigrate dall'Emilia, dalla
Lombardia, dal Veneto. Il circolo fu chiuso, le mondariso messe in
penitenza».
In un altro intervento precisava che «il circolo di Granozzo è stato
chiuso perché "vi si effettuava attività politica e ihdacale e perché il
circolo stesso era frequentato da elementi di sinistra che l'avevano
trasformato in vera e propria sede del loro partito". Ora, tutti sanno
che nelle sedi di questi circoli vi erano quasi dappertutto sezioni del
Partito comunista e del Partito socialista. [...] Se vi esistono le sedi di
partito, è evidente che ci si debba riunire nei circoli. Un altro caso: il
circolo di Gionzana è stato chiuso perché il presidente si è reso
colpevole di attività politica nei locali del circolo stesso [...] Un altro
caso, e credo sia il piu signifIcativo: a Cameriano, in frazione di
Casalino, tale Fornaia Angelo, sindacalista, con il consenso del
presidente del Circolo, ha tenuto una conferenza durante la quale è
stata trattata la questione del caropane per gli addetti ai lavori
dell'agricoltura. Anche per il caropane non si può usufruire del circolo,
dunque!».
I circoli avevano nei confronti dei partiti operai una funzione di vero e
proprio polmone. Colpendo i circoli si paralizzava spesso anche
l'attività sindacale e politica. L'ENAL e la questura reprimevano la
vita dei circoli per tentare di riportarli a una disciplina di tipo
dopolavoristico, per levare un retroterra ai partiti di sinistra . Notava
ancora che «il circolo è il cuore del paese. Dove si possono leggere i
giornali? Al circolo. Dove arriva la posta? AI circolo. Dove si fanno le
feste, si comunica, si ride, si piange e ci si diverte insieme? Dove
trova la festa nuziale il locale che la ospita? AI circolo. Dove si
possono tenere le riunioni? AI circolo. C'è uno sciopero di contadini:
naturalmente, spontaneamente, la gente confluisce al circolo: li si
discute, si parla, si delibera, si concreta. [...] Un giorno il commissario
straordinario dice: nel circolo non si possono tenere riunioni politiche,
né sindacali, non si possono fare comizi. Era il solo modo di colpire a
morte la vita del paese, la vita pubblica del paese [...] Le sezioni
160
democristiane possono emigrare, le nostre no. Se sono cacciate fuori
dal circolo non trovano più una sede: la sezione corre il rischio di
sfasciarsi».
Altro strumento vessatorio era quello della somministrazione delle
bevande alcooliche ai soli iscritti all'ENAL. Bastava che la questura
trovasse nei locali del circolo una persona sprovvista della tessera
dell'ENAL per revocare la licenza.Prima della campagna elettorale del
1953 il Circolo Operaio Agricolo della Bicocca, 329 venne chiuso per 43
giorni, fino a dopo le elezioni per privare in campagna elettorale i
partiti delle loro sedi nel rione, perchè a un controllo della polizia due
avventori risultarono sprovvisti della tessera dell'ENAL .
Entrato ad occuparsi della questione dei circoli ricreativi quasi per
caso, si fece coinvolgere dalla tematica del “tempo libero”. Con
Giuseppe Di Vittorio chiese ancora un dibattito parlamentare sui beni
dell'Enal, i cui impianti e attrezzature, così come quelle del
Commissariato della gioventù, venivano date in concessione solo alle
organizzazioni del tempo libero dei cattolici e dei repubblicani (Acli,
Endas, Giac). Alla risposta negativa del governo, i circoli socialisti e
comunisti decisero di dar vita ad una associazione nazionale. Nel
maggio 1957 a Firenze la Convenzione dei sodalizi di base di
Bologna, Firenze, Novara, Pisa e Torino approvava lo statuto dell'
ARCI, che oggi con oltre un milione di soci rappresenta una rete di
migliaia di case del popolo, circoli culturali e centri sociali, di cui egli
fu il primo presidente.330
329 C. Bermani Dalla grande associazione degli operai di
Novara al Circolo operaio agricolo della Bicocca : un secolo e
mezzo di associazionismo a Novara, Novara, 1983
330 A. Jacometti “L’ ARCI, il circolo, il,tempo libero”, Roma, 1959; Id.
“Venti anni di vita dell’A.R.C.I., 1957-1977: le fasi più significative i
documenti ufficiali” , Firenze, 1981. Nel 1956 l’Edizione Avanti collana
”l’Attualità” pubblica l’opuscolo di Alberto Jacometti dal titolo "l’ENAL una
bandita chiusa" in cui sono messi allo scoperto arbitri e malefatte, ponendo
gravi interrogativi su atti poco puliti, alienazioni controllate, deficit di
bilancio, soldi ‘passati da una tasca all’altra’. Egli chiede come mai non sono
stati presentati i bilanci in parlamento, perché i governi non hanno mai
risposto alle interrogazioni parlamentari; chi impone la legge del silenzio e
161
6. Dal centrosinistra a Craxi (1957-1980)
1 Società italiana in trasformazione e alternativa socialista (195764) Quello a cavallo dei due decenni è il periodo del “miracolo
economico”, del passaggio da un’economia agricola a una industriale,
del trasferimento di masse di braccianti dal Sud al triangolo
industriale, in assenza d'una programmazione delle pubbliche
amministrazioni e delle imprese. Le conquiste tecnologiche e
l'espansione dei consumi di beni durevoli (è il boom delle utilitarie e
degli elettrodomestici) diffondevano un clima di euforia e ottimismo.
Le lotte operaie nel quadro congiunturale favorevole del 1958-1963
migliorarono in modo sostanziale le condizioni della famiglia operaia
soprattutto nel nord e ruppero il cosiddetto muro dei consumi
proletari. Ora la quotidianità della vita di un operaio non era
radicalmente diversa da quella del ceto medio. 331
Nel 1957, intervenne al Convegno Agrario Nazionale del PSI (Roma,
25-27 novembre), articolato in sei gruppi di lavoro (riforma agraria,
mezzadria, montagna, cooperazione e piccola proprietà, enti locali,
protezione sociale), entrando del merito di ciascuno di questi punti e
mettendo in luce le trasformazioni ormai avviate nel mondo agricolo
“...il Governo non ha [una politica agraria].Se quest' anno si fossero
quali omertà ci sono intorno all’ENAL. La pubblicazione diventa un forte
detonatore per le iniziative politiche che puntano ad organizzare il
movimento associativo democratico in modo e forme autonome alternative
all’ente di stato. All’inizio del 1957 con la mozione Di Vittorio-Jacometti le
sinistre aprono la questione a livello parlamentare. La mozione respinta dalla
maggioranza parlamentare ed accelera la costituzione della nuova
associazione.
331 V. Foa, Il cavallo e la torre, Torino, 1995, pag. "Al congresso della
Cgil del 1960 si cercò di disegnare uno sviluppo diverso da quello dei
consumi, incoraggiando i consumi collettivi e pubblici invece di quelli
privati, promuovendo riflessione, formazione e cultura. Questa proposta fu
rifiutata dalla grande maggioranza dei lavoratori con motivazioni di buon
senso: perché rinunciare al grande sogno: auto e elettrodomestici? Quel
modello di sviluppo era ormai radicato profondamente nella classe operaia".
Sul contesto storico-politico: G.Tamburrano Storia e cronaca del centrosinistra , Milano, 1971e 1990. A. Jacometti, Il governo Fanfani, in «Il
Lavoratore», 28 febbraio 1962.
162
prodotti i 104 - 105 milioni di quintali di grano preventivati, ciò
avrebbe significato - è stato scritto da Ernesto Rossi - un disastro
nazionale. Continueremo a produrre grano e a mantenere alto il prezzo
del pane? bisogna coraggiosamente intraprendere la strada della
coltura specIalizzata e dell'allevamento del bestiame. Altro tema è la
necessità di una riforma agraria generale. Ci si sta dimenticando che
l'attuale è la riforma agraria democristiana. Stiamo creando una classe
potenzialmente conservatrice, quella dei piccoli coltivatori diretti
prodotti dall'appoderamento del latifondo smembrato. Non soltanto il
Governo, ma anche noi stiamo dando l'impressione di avere
dimenticato parecchie cose, vecchie di almeno un secolo; abbiamo
dimenticato che una riforma agraria progressista postula la
cooperativa e le forme associate, non la piccola proprietà individuale,
se non là dove non si può far altro. E a chi ribatte che gli assegnatari
delle zone riformate tendono verso i partiti di sinistra, non c'è che da
rispondere: attendete qualche anno, quando sarà finito il periodo di
transizione e l'assegnatario avrà tutti i titoli del piccolo proprietario.
Sempre a proposito di piccoli proprietari: né in Piemonte, né in
Lombardia e tanto meno nel Veneto abbiamo portato avanti,
organicamente la cooperazione di servizi (macchine, bestiame da
riproduzione); le forme solidaristiche di acquisto (concimi, sementi
selezionate, anticrittogamici), di vendita comune dei prodotti, di
trasformazione come le cantine sociali, le latterIe sociali; non abbiamo
cioè creato intorno al coltivatore diretto quella rete di servizi comuni
che dovrebbe essere il sillabario della nostra azione. 332
332 Così continua: ".... il nostro Partito ha fatto introdurre
nella Costituzione (art. 44) il concetto della ricostituzione
dell'unità colturale. Che ne abbiamo fatto in dieci anni? La
polverizzazione particellare è una piaga che si estende sempre
più. Sul problema della montagna. Lo spopolamento è fatale ed
è il frutto di parecchi fattori, alcuni incontrastabili e investe già
anche la collina e la stessa pianura padana. È la fuga dalIa
terra. Credere di arrestare il fenomeno creando un piccolo
proprietario di altro tipo, permettendogli di vivere in modo più
umano, è un'utopia. Il piccolo proprietario di montagna sarà
163
Al 33. Congresso del PSI, che si svolse a Napoli nel gennaio 1959, si
presentarono tre liste: Sinistra (Vecchietti), che ottenne il 32% delle
adesioni, Alternativa (Basso), con il 9%, e Autonomia (Nenni), che
ottenne la maggioranza con il 58%; Jacometti, che diede la sua
adesione a quest'ultima, fu rieletto nel Comitato Centrale e rientrò
dopo dieci anni nella Direzione.
Intervenendo il 17 gennaio disse: "... Tre vie possono condurre il
socialismo al potere: la via insurrezionale, che noi tutti riteniamo
sempre un diseredato: lasciatelo scomparire. Né io capisco
perché noi socialisti dobbiamo preoccuparci di un fenomeno
naturale di progresso. Il problema della montagna è un
problema di rimboschimento, di prato stabile e di zootecnia.
Sulle funzioni degli Enti locali in agricoltura (opere pie,
ospedali, ecc.) che posseggono terreni a coltura intensiva. Si
tratta di migliaia, di centinaia di migliaia di ettari: una cosa
niente affatto trascurabile. È capitato che parecchi di tali Enti
siano stati dalla Liberazione in poi amministrati da socialisti e
comunisti. Nella maggior parte dei casi i nostri amministratori
fanno come gli altri, affittano cioè il fondo a un imprenditore
privato. Non è il caso di applicare noi stessi, là dove siamo
amministratori, le idee che andiamo propugnando, arrivando
fino alle forme cooperativistiche vere e proprie e magari
colcosiane?….Potrebbe diventare un esperimento
importantissimo sia dal punto di vista della realizzazione che
dello studio. Sugli Enti economici: l'Ente Nazionale Risi, sapete
qual’è la composizione dell'istituendo Consiglio
d'amministrazione? Tredici agricoltori scelti dalla Confida,
tredici coltivatori diretti scelti dalla bonomiana (con esclusione
assoluta delle nostre associazioni) quattro industriali del riso,
poi, in coda, due lavoratori agricoli (due!) designati dal
ministro dell'Agricoltura. Che cosa abbiamo fatto per impedire
che una tale enormità sia domani attuata? Un gruppo di
deputati socialisti ha presentato una interpellanza e basta....I
164
oggi al di fuori delle condizioni storiche e politiche del nostro Paese.
L'importazione del socialismo dall'estero, che noi tutti rifiutiamo
perché il socialismo dobbiamo attuarcelo con le nostre forze. La via
democratica. Ma la via democratica fin qui in nessun Paese, ha
condotto al socialismo. La domanda ritorna: è possibile che la via
democratica in Italia conduca al socialismo e si identifichi con la via
italiana al socialismo? Io ritengo di sì, però a questa prima
condizione: che la democrazia sia una conquista generale, che la via
democratica non sia ristretta alle conquiste parlamentari, ma che le
conquiste si facciano dappertutto, nel tessuto connettivo del Paese, e
soprattutto nei luoghi di lavoro e soprattutto nelle officine e
soprattutto nei campi. Il 25 maggio 1958 la D.C. si presentava da
sola, isolata. E...aumenta[va] i propri voti di più di un milione e
mezzo e ci domandiamo come sia possibile sgomberare il Paese da
questo enorme cancro. Con tre sistemi, teoricamente: o con il fronte;
o con la cosiddetta operazione Milazzo333, oppure con l'alternativa
democratica...Come fare per impostare un' azione che possa condurci
a questo capovolgimento? ...si tratta di orientare grandi masse
popolari; di trovare degli alleati: i contadini, i tecnici, i piccoli
produttori,gli artigiani,i professionisti, gl'intellettuali. E dobbiamo
rispondere francamente che questi fino a ieri si trovavano in grande
maggioranza nel partito democristiano e che l'hanno seguito.. Ed
ecco che viene a proposito il colloquio con i cattolici. Come, in che
modo, con quali forme si deve condurre avanti? …quella forma di
proselitismo che abbiamo sempre praticato: convincere i cattolici che
problemi dell'agricoltura sono i problemi del Partito. Il Partito
pone la candidatura al Governo. Il Partito ha il dovere di
indicare il più concretamente possibile le proprie soluzioni." In
"Convegno Agrario Nazionale. Atti", Milano, 1958. Per un
inquadramento storico Guido Crainz Padania : il mondo dei
braccianti dall'Ottocento alla fuga dalle campagne, Roma, 1994
333 Deputato regionale siciliano democristiano nel 1958 portò
al governo dell'isola una coalizione che andava dal MSI al PCI.
"Il milazzismo. La Sicilia nella crisi del centrismo", Atti del
Convegno, Messina, 1979
165
il Partito socialista rappresenta effettivamente i loro interessi lo
abbiamo fatto e lo facciamo da 60 anni. Ora mi pare che dobbiamo
andare più in là…La nostra analisi è vecchia di quindici anni, è
l'analisi di Morandi al Congresso di Torino ed è sempre valida; la
Democrazia cristiana è un insieme di interessi difformi, di gente che
proviene da categorie sociali diverse.... noi dobbiamo agire nel senso
di fare affiorare e di sviluppare le divergenze nel seno stesso della
Democrazia cristiana per portarla alla rottura...puntando sugli
interessi di classe....C'è oggi nelle campagne un brontolio ancora
remoto ma già percettibile. Ci sono i contadini i quali assistono al
crollo del prezzo del grano, e che entrano in ebollizione, che per la
prima volta si rendono conto di essere stati traditi dalla politica della
DC. A noi l'insinuarci in questa crisi. …E non è giusto criticare Nenni
quando non si sa proporre un'altra via di uscita.....Avevo tentato di
presentare alcuni punti nell'intento di spezzare i limiti che si erano
formati sulle tre posizioni. Non ci sono riuscito... il Partito ha scelto.
Ebbene, ho scelto anch'io la posizione dinamica, la posizione di
marcia…Il moto si prova e si dimostra in un modo solo:
camminando."
Nel marzo 1961 si svolse a Milano il 34. Congresso del PSI. Nei due
anni intercorsi da quello precedente erano accadute molte cose nella
politica italiana: il tentativo di dar vita ad un'alleanza di centro-destra
con l’inclusione del Movimento Sociale nella maggioranza (governo
Tambroni) era fallito anche per le reazioni suscitate (i morti di Reggio
Emilia, gli scontri di piazza De Ferrari a Genova dove i neofascisti
avevano indetto il loro congresso) e la D.C. era tornata a guardare a
sinistra. In Francia il governo “gollista” stava chiudendo la vicenda
algerina e il clima di distensione si era andato rafforzando con
l’elezione del nuovo presidente americano e con l’avvio del Concilio
Vaticano.
Al Congresso vennero ripresentano le stesse mozioni, ma al momento
del voto la Sinistra e Alternativa presentarono un documento unificato
che raccolse 205.000 voti contro i 270.000 di Autonomia. Venne
rieletto nel C.C. ma non nella Direzione, questa volta collegiale.
Intervenendo nella seduta del 17 marzo, dichiarò:"II PSI si richiama a
tre postulati fondamentali e irriducibili: è un Partito classista,
166
internazionalista e democratico. Questi punti lo caratterizzano
rispetto a qualsiasi altra formazione e in particolare della
socialdemocrazia [che] accetta le strutture della società capitalistica
[mentre] il PSI si batte per una modificazione rivoluzionaria della
società italiana. L'obiettivo è la sostituzione di un governo orientato
dalle forze economiche conservatrici con un governo che abbia «come
bussola l'interesse del popolo lavoratore». L'autonomia del Partito è lo
strumento di questa politica. Sull'autonomia esiste una fondamentale
unanimità tra i compagni… Tuttavia molti compagni che a parole
[la] esaltano in pratica hanno la preoccupazione di non discostare
l'azione del PSI da quella, del PCI e ciò per non minare l'unità di
classe. L'unità di classe non è una formula politica, ma una questione
di fedeltà nella milizia, e quindi non possiamo passare sotto silenzio le
ragioni che ci differenziano dal PCI. Oggi, fissati questi punti, ci
troviamo di fronte alla domanda di fondo del Congresso: che fare nei
prossimi due anni? I compagni delle minoranze parlano di una
prosecuzione della lotta, ma parlare sempre e solo di lotta vuol dire
nasconderei i reali problemi cui siamo di fronte. Il tema centrale è
quello di rendere esplicita la vocazione di sinistra che è nelle forze
popolari che ci sono all'interno della DC….i rapporti politici noi li
intendiamo non come apertura, che significa accordo, ma come svolta
che sottintende condizioni precise e una rottura aperta con la destra
economica. Questa politica del Partito è stata chiara quando un anno
fa si pose il problema di un governo di centro sinistra per il quale noi
ponemmo condizioni precise: nazionalizzazione delle industrie
energetiche, le regioni, la democratizzazione della scuola…. C'è la
tendenza a svalutare i risultati ottenuti con le giunte a Milano, a
Firenze e altrove. Ma la giunta a Milano si è fatta contro le forze della
destra. Spesso si dice che episodi come la giunta di Milano
s'inquadrano in una serie di cedimenti del Partito. Chi ragiona così non
ha fiducia nel Partito, nella sua fedeltà alla classe" 334
Nel frattempo, tra pause e ripartenze, procedeva la travagliata
convergenza con DC e partiti laici (PSDI, PRI) per un governo di
centrosinistra. Nella corrente autonomista attorno a Riccardo
334 F. Pedone, cit.
167
Lombardi erano tornati a radunarsi i suoi vecchi alleati del 1948-49 di
Riscossa, Jacometti e Santi, a cui si aggiunsero da altre provenienze
Antonio Giolitti (ex PCI), Codignola (ex Unità Popolare di Parri), che
non si accontentavano del riformismo pragmatico di Nenni ma
puntavano all’introduzione nel programma di riforme di struttura che,
dislocando i poteri e le forze economiche, avrebbero dovuto mettere in
moto una dinamica tesa al superamento del sistema. La divaricazione
delle due linee si rivelò con drammaticità quando i lombardiani non
accettarono la bozza di programma concordato da Nenni con la DC e
al Comitato centrale del giugno 1963, la «notte di S. Gregorio»,
diventarono determinanti per la tenuta della maggioranza autonomista.
Nenni, di fronte al blocco di Lombardi con la Sinistra, meditò le
dimissioni, ma la dissidenza rientrò con l’intesa della convocazione
del congresso ad ottobre.
L’o.d.g. Jacometti che “ribadisce altresì la permanente validità della
prospettiva di centro-sinistra, come unica alternativa reale, nell’attuale
situazione politica interna e internazionale, atta a determinare uno
sviluppo democratico della politica italiana” venne votato dalla
maggioranza.335
Il 35. Congresso si svolse a Roma dal 25 al 29 ottobre 1963:
Autonomia ottenne il 57% dei voti, la Sinistra (che comprendeva ora
anche la corrente di Basso) il 39%. Jacometti venne eletto membro
del Collegio dei probiviri.
335 Questa la critica alla mozione espressa da Lelio Basso in
"Problemi del socialismo" 1963, giugno, n.6, "Affermare la
prospettiva del centro-sinistra come unica alternativa reale,
significa portare acqua al mulino di Nenni e soprattutto di Moro
perché significa affermare che il PSI è senza via d’uscita e che
esso crede soltanto in questa formula. Ed è chiaro che in questo
modo quel che è il dato più importante della situazione politica
italiana, l’avanzata della sinistra e il conseguente ‘stato di
necessità’ che ha obbligato la DC a cercare nuove alleanze a
sinistra, viene rovesciato a danno del PSI: non più la DC ma il
PSI si presenta in stato di necessità, e quindi di debolezza
168
Il suo intervento nella seduta del 27 ottobre è uno dei più notevoli per
l'ampio respiro. Tralasciate polemiche contingenti e correntizie, il suo
ragionamento parte dalla presa d'atto dei mutamenti strutturali
intervenuti nella società italiana dopo il "miracolo economico", senza
per questo perdere di vista i fini ultimi (...verrà un momento in cui
avremo bisogno di passare dalla società democratica a quella
socialista. E allora avremo bisogno di quegli otto milioni di lavoratori
che oggi hanno votato per il PCI”) solo deplorando i ritardi del partito
ad aggiornarsi rispetto alla nuova situazione.
Inizia colla constatazione che “il Partito è diventato vecchio nelle sue
strutture e organizzazioni. Sono successi avvenimenti formidabili. Le
migrazioni interne, lo spopolamento dei campi, il cambiare delle
maestranze nelle fabbriche. Sono state fatte delle scoperte, sono
entrati nell’impiego comune degli strumenti nuovi, e il Partito è
andato avanti come andava avanti cinquanta anni fa. C’è stato un
cambiamento di mentalità dei lavoratori, soprattutto dei giovani;
nuove forme di vita associativa si stanno affermando. I circoli dei
lavoratori sono in crisi. Le nostre Sezioni non sono più un organo
vivo, un legame tra il Partito e le masse, l’interprete, il propulsore, la
guida delle masse operaie, delle masse contadine, dei tecnici, dei
professionisti. Il sindaco socialista fa quello che vuole senza che il
Partito sia vicino a lui; e così potrei seguitare. A un certo momento
sono nate le frazioni nel Partito e qui è stata veramente la depressione
delle nostre assemblee, è subentrata una disciplina di frazione. La
circolazione delle idee è stata arrestata, il muro contro muro è stato
imposto, è nata la stampa di corrente, l’organizzazione di corrente, la
disciplina di corrente. Noi, che si vada al governo o no, non siamo più
un partito d’opposizione, siamo un partito che assume delle
responsabilità di governo anche se non va al governo. Ed allora
abbiamo gli strumenti, abbiamo i quadri per affrontare i problemi
italiani di oggi? I problemi della vita italiana sono diventati
complessi, molteplici; ci siamo mai interessati di sapere per esempio
che cosa è il fenomeno dell’emigrazione interna? Quante centinaia di
migliaia di lavoratori si sono spostati? Si è calcolato che in Italia si
siano spostati un milione e mezzo di lavoratori; dove sono andati? Che
cosa fanno? Come si fa a fare una politica quando si manca di questi
169
dati? E potrei continuare. Noi abbiamo dei gruppi parlamentari che
hanno come strumento legislativo uno o due compagni funzionari,
abbiamo la Direzione del Partito che manca di un centro-studi. La
Direzione lavora con le Commissioni; ma il centro studi è un’altra
cosa. Abbiamo bisogno di qualche cosa che metta a disposizione del
Partito dei dati, delle cognizioni, delle statistiche, delle cose elaborate”
Dopo questo appello, entra nel dibattito politico polemizzando con la
sinistra che “non ha una politica[cioè] un programma che sia suscettibile di essere attuato in uno spazio di tempo abbastanza limitato. Il
PSI ha una politica da settanta anni a questa parte, che tende a
sostituire alla società capitalistica la società socialista. Ma quando
diciamo che non avete una politica, vogliamo intendere che non esiste
oggi la possibilità rivoluzionaria e che la politica per l’andata al
potere della classe operaia oggi deve lavorare sulle conquiste interne
dello Stato. Noi domandiamo che politica ci offrite. La DC deve
cominciare con l’adempiere le cose concordate nel corso
dell’esperimento Fanfani. Quindi le Regioni, quindi gli Enti di
sviluppo….[quanto al]la delimitazione della maggioranza nessuno ha
mai pensato di accettare una discriminazione politica. Però tutti hanno
convenuto, e lo stesso Libertini, che un conto è la discriminazione, un
conto invece è la fissazione di una maggioranza. E questa è una cosa
che qualsiasi partito fa e qualsiasi partito ha il diritto di fare… con la
DC noi possiamo risolvere alcuni problemi della democrazia nel
nostro Paese, creare uno Stato moderno..."
Nel gennaio 1964, come presidente del Collegio nazionale dei
probiviri, commina la sospensione 336 a Lelio Basso e ai parlamentari
della Sinistra che non avevano votato la fiducia al primo governo di
centrosinistra, rendendo ufficiale la nuova scissione del PSI 337 Nacque
336 A. Jacometti, Salviamo il partito, «Il Lavoratore»,
10.1.1964; P. Nenni Gli anni del centrosinistra. Diari 19571966, Milano, 1982, pp.281-285. Nell'ottobre 1965, durante un
viaggio a Budapest fu operato per sospetta occlusione
intestinale.
337 Che diede vita al Partito Socialista di Unità Proletaria (PSIUP), il quale
ebbe un certo ruolo nelle lotte operaie e studentesche del ‘68, per sciogliersi
170
il Partito socialista di unità proletaria, che fu un aggregato di tendenze
diverse. Il nucleo di attivisti costruito da Morandi in funzione
organizzativa si divise fra quelli che seguirono Nenni nel suo nuovo
corso e quelli che riaffermarono lo stretto rapporto coi comunisti. Si
trattava di una replica speculare alla scelta di Nenni: si opponeva la
scelta comunista a quella democristiana. Quello che mancava era una
scelta socialista. Il Psiup non si sottrasse a questo vuoto di partenza
che lo portò otto anni dopo a una malinconica fine.
2 Il Partito unificato. Presidente della Società editrice Avanti!
(1965-1968)
“Dopo la scissione del PSIUP, il PSI [ha] subito lo stesso processo di
trasformazione del PSDI: sono diminuiti gli iscritti appartenenti alla
classe operaia; sono aumentati quelli appartenenti ai ceti medi.. Senza
decine di miglia di attivisti, senza una forte e organizzata presenza nel
sindacato e nella cooperazione di tradizione socialista, è impensabile
che il nuovo partito possa sviluppare una efficace concorrenza
elettorale al PCI…Infine non dispone né di un grande quotidiano
nazionale, né di una casa editrice, né di una gamma di riviste
specializzate, mentre il PCI dispone di tutti questi strumenti” 338
La via dell’unificazione è imboccata al 36. Congresso (Roma, 10-14
novembre 1965) nel quale si forma attorno a Nenni De Martino e
Mancini un'ampia maggioranza, ed avviene, sulla base di una “carta”,
proprio alla vigilia di un vasto movimento collettivo politico e
culturale che tale concezione mette in discussione, sotto il profilo sia
di un rilancio del marxismo, sia della presa di coscienza – tramite il
femminismo, l’ecologismo ecc. - delle implicazioni negative della
razionalità occidentale.
Il 7 luglio 1967 viene eletto presidente della Società editrice Avanti!
che, dopo aver perso in occasione della scissione del PSIUP le collane
ideate e dirette da Gianni Bosio 339, si era ridotta al quotidiano del
partito.
in seguito alla sconfitta elettorale del 1972.
338 G. Galli “Il bipartitismo imperfetto”, Bologna, 1966, pag.
382-385
171
Come in tutte le strutture ed a ogni livello, in seguito all’unificazione
la composizione è paritetica (a un ex PSI si affianca un ex PSDI)
creando così organi direttivi pletorici. I direttori dell’Avanti sono
addirittura tre mentre la redazione si impoverisce di validi
professionisti. A Roma i giornalisti sono 35, mentre la redazione
milanese è composta di 17 elementi (compresi due a Bologna che,
contando più di 500 abbonati, dispone di una pagina locale).
Il quotidiano è in caduta libera di vendite, come gli altri giornali di
partito del resto, perché non è in grado di fornire tutte le notizie e le
rubriche della stampa d’informazione, mentre sta cambiando la
composizione sociale dei lettori e si sta estinguendo la figura del
"diffusore".
Jacometti cerca di sensibilizzare il partito inviando nell’aprile 1968
agli eletti negli enti locali ed ecomici, ai segretari di sezione e di
federazione, ai membri di giunte ed ai parlamentari, una circolare per
sollecitare la sottoscrizione dell’ abbonamento all’Avanti! ponendola
come dovere anche morale dell'iscritto.
In risposta giungono centinaia di lettere di compagni di base che
testimoniano la componente popolare (dal ferroviere di Gioia del
Colle al portalettere di Firenze) che formulano proposte, protestano,
criticano oppure plaudono l'operato dei "compagni" delegati a
rappresentare il partito nel governo nazionale, rivelando gli umori di
un partito ancora "popolare" e vivace340.
Ebbe in questo periodo frequenti scambi epistolari con Fidia Sassano,
giornalista della redazione milanese dell'Avanti, con un lungo passato
di militante (l'occupazione delle fabbriche a Sarzana, la scuola
leninista di Mosca, il lavoro clandestino e il carcere, la rottura col PCI,
l'internamento in Germania341 ) ed è proprio allora che avvenne
l'ingresso del giovane Walter Tobagi in questa redazione.
339 Diventate "Edizioni del gallo". Su Gianni Bosio: Stefano
Merli, L' altra storia : Bosio, Montaldi e le origini della nuova
sinistra, Milano, 1977
340 In ISR Novara, Fondo Jacometti
341 Fidia Sassano (1904-1978) Un compagno difficile. Vita e
scritti di un militante, Venezia, 1979
172
In un memoriale del 20 giugno sintetizza le cifre: la vendita in tre anni
è calata del 38%, passando dalle 27.500 copie del 1965 (di cui 16.800
dell’edizione milanese e 10.700 di quella romana) alle 17.000 del
1968 (di cui 9.000 milanesi e 8.000 romane) con un calo più rilevante
quindi al Nord. Per risollevare la situazione chiede una direzione
unica ed efficiente e miglioramenti tecnici (offset e collegamento
telefax tra le due redazioni)342.
342 A. Del Boca “Un testimone scomodo”, Domodossola, 2000 “Un'altra
battaglia che conducemmo insieme fu quella per la sopravvivenza
dell'"Avanti!"…Nel giugno del 1967 Jacometti consegnava a Nenni un mio
promemoria sull'esodo dall'"Avanti!" dei migliori giornalisti e sulla incapacità
del partito di utilizzare gli intellettuali che erano iscritti al PSI o che erano
simpatizzanti. Il 27 giugno Nenni così mi rispondeva: "So purtroppo che noi perdiamo o non utilizziamo un'infinità di uomini di cultura, di professionisti, di
specialisti, perché non abbiamo strutture adeguate a un moderno partito. Spero
che ora il partito riparerà a questo grave inconveniente. Ma la situazione rimane
penosa. Il giornale va perdendo i migliori elementi; i nostri uffici si basano su
apporti volontari; il solo terreno in cui si è potuto fare qualcosa è quello dei
posti amministrativi o delle collaborazioni nei gabinetti ministeriali. Ma è poco
e circondato da molte difficoltà...Nel novembre del 1967, dopo un viaggio
intercontinentale che avevo fatto per conto della Fondazione Agnelli, che
finanziava una mia ricerca sui quotidiani nel mondo, inviavo a Jacometti un
mio promemoria di venti cartelle che avevo intitolato Proposta per l'adozione
dell'offset ali'"Avanti!". Ovviamente la mia proposta non si limitava allo
svecchiamento tecnico del giornale, ma anche ad un cambiamento della sua
formula. "Per mutare contenuto -scrivevo, fra l'altro - intendo soprattutto la
rinuncia all'attuale formula ibrida, di compromesso. O l'"Avanti!" ha i
quattrini per fare la concorrenza ai grandi giornali di informazione e allora fa
un tipo di giornale come il laburista "The Sun", oppure rinuncia alla
prospettiva delle alte tirature e torna ad essere un "foglio di idee", un foglio di
polemiche e di battaglie. Le formule mediane non possono che alienare le
simpatie sia di quelli che esigono un ricco notiziario sia di quelli che intendono
invece "consumare" un abbondante materiale ideologico". Jacometti presentò
il promemoria a Nenni e all'amministratore delI'"Avanti!" Talamona, ed ebbe
risposte molto confortanti. Ma la sconfitta socialista alle elezioni del 19 maggio
1968 riportava la questione dell'"Avanti!" in secondo piano. Il partito aveva ben
altri e più urgenti problemi da risolvere, in una confusione totale che lo avrebbe
173
Di fronte a risposte evasive343, nel novembre 1968 trae le conseguenze
e si dimette da presidente.
Il PSI sperimentò in quella fase un doppio insuccesso: per la sua
debolezza nei governi di
centrosinistra e per il fallimento
dell'unificazione col partito di Saragat. Nel 1968 si svolsero le prime
elezioni dopo l'unificazione. Nel collegio Torino-Novara-Vercelli per
la Camera dei deputati il partito unificato ottenne 61.000 voti, che
erano all'incirca quelli del solo PSI alle elezioni precedenti, con la
perdita secca dei 24.000 voti del PSDI.
Jacometti ottenne quasi 7.000 voti di preferenza, di cui 4.800 nel
novarese e non venne rieletto, come già avvenuto vent'anni prima.
In vista del 37. Congresso, che si tenne dal 23 al 30 ottobre 1968 si
andarono formando nuove correnti: Autonomia (Nenni, Mancini,
Ferri, Preti, Romita) col 37% dei voti, l'unica in cui confluivano
entrambe le componenti, precedeva di poco Riscossa, guidata da De
Martino, col 34%, comprendente solo militanti del vecchio PSI, in cui
si collocò Jacometti. Seguivano la corrente ex socialdemocratica e le
piccole pattuglie capeggiate da Lombardia e Giolitti.
3. Dalla nuova scissione alla segreteria Craxi (1969-1980)
La delusione per l'insuccesso elettorale ebbe un ruolo nella nuova
scissione che si consumò nel luglio 1969, ma la causa principale stava
nel fatto che il PSI, che aveva rifiutato la mezzadria moderata del
1947 e subìto il freno moderato del 1964, rifiutò nel 1969 di essere la
fragile ala sinistra del blocco d’ordine.
Nenni lasciò allora la guida del partito che fu assunta da Francesco De
Martino, la cui linea di «equilibri più avanzati», che tentava di
ritagliare un ruolo di cerniera al PSI, fu vanificata dal dialogo diretto
che si aprì nel 1973 tra DC e PCI col «compromesso storico». Iniziò
negli anni '70 un ricambio generazionale, con l'ingresso a funzioni
dirigenti di giovani che non avevano conosciuto la lotta antifascista nè
quella partigiana, meno idealisti e più pragmatici, e il PSI con le sue
condotto, di lì a poco, ad una nuova scissione"
343 Lettera di P.Nenni 30.6.1968, in ISR Novara, busta 8
174
correnti interne iniziarono a entrare, negli enti locali ed economici, in
una logica di spartizione.
In provincia di Novara, a parte il quasi coetaneo (classe 1908)
verbanese Francesco Albertini, alla Camera dal 1958, presidente di
Commissioni e sottosegretario, una schiera di "emergenti" si fece
avanti; tra gli altri Cornelio Masciadri 344, allora sottosegretario ai
traporti.345
L'esito elettorale deludente delle elezioni politiche del 1976 determinò
una nuova svolta del PSI: alla segreteria fu eletto il giovane
autonomista Bettino Craxi grazie a un accordo con i lombardiani, che
tagliava fuori i vecchi capicorrente De Martino e Mancini, sulla base
della linea dell’alternativa.
L'elezione di Bettino Craxi, oltre al carattere «generazionale» con
l'ascesa ai vertici dei «quarantenni», significò un rilancio dell'
iniziativa socialista, un' iniezione di fiducia nelle proprie autonome
capacità politiche, un rinnovato orgoglio di partito.
La linea dell'alternativa però mal si sposava con l'esigenza di Craxi di
avere le mani libere da ogni condizionamento e già al 41. Congresso,
che si svolse a Torino nel marzo-aprile 1978 in una clima teso,
influenzato dal sequestro di Moro da parte delle Brigate rosse,
vennero avanzate cautele e riserve. Apparve per la prima volta il
garofano in clinica: in un messaggio il vecchio leader avvertì
«l'immediatezza del pericolo» rappresentato dalle Brigate rosse e
indicò nell' unità di tutte le forze democratiche «l'arma che garantisce
nel futuro immediato la possibilità di ricreare l'unità del popolo». Poi
Moro venne assassinato dalle Brigate rosse e ciò scosse la coscienza
del paese, che tuttavia appoggiò la tesi di non cedere ai ricatti delle
344 Insegnante e preside, sindaco di Novara e Stresa, deputato
per due legislature, senatore per tre, vice presidente della
Commissione Agricoltura, sottosegretario, membro del
Consiglio Europeo e dell'Unione Europea .
345 In una lettera del 12 maggio 1973 a De Martino denunzia la
formazione di un gruppo di potere capeggiato da Masciadri che
conta sei voti su 31 nella Federazione provinciale del PSI. In
ISR Novara, busta 1
175
forze eversive. Si aprì il capitolo Leone, chiacchierato presidente della
Repubblica, costretto a dimettersi. L’8 giugno, dal Parlamento riunito
in seduta comune, al sedicesimo scrutinio venne eletto presidente della
Repubblica Sandro Pertini.
Le innovazioni civili e sociali del decennio 1970-80, cui i socialisti
dettero un grande contributo: il divorzio, la difesa della maternità
volontaria, lo Statuto dei lavoratori, la riforma sanitaria, rappresentano
un avanzamento civile prodotto della grande agitazione sociale degli
anni precedenti. Alla fine degli anni 70 le formazioni di ispirazione
socialista e marxista alla sinistra dei comunisti erano scomparse;
quelli che avevano creduto nell'attualità storica di una rivoluzione
erano ormai convinti dalla sua impraticabilità; i grandi partiti di
sinistra erano entrati in una fase di incertezza. I comunisti
constatavano il fallimento del compromesso storico e tentavano di
tornare al passato, a un'ipotetica linea dura, ma la situazione non era
più quella, gli operai erano indeboliti e avanzavano ecologisti e
femministe, categorie estranee alla tradizione comunista. I socialisti,
col loro nuovo segretario Bettino Craxi346, avevano ritrovato l'orgoglio
di una autonoma identità ma non ne avevano ancora definito i
contenuti. Ma nella seconda metà degli anni settanta si avvertiva che
stavano vacillando le stesse categorie analitiche e interpretative.
Jacometti si valse della sua vena letteraria per interpretare questo
disagio in una creazione artistica. Abbiamo già detto che fin dalla
giovinezza coltivava interessi letterari e che aveva pubblicato il primo
romanzo a 21 anni. Ricordiamo ancora il dramma "II paese", scritto
nel 1963, che vinse il premio Reggio Emilia come miglior lavoro
teatrale sulla Resistenza347. Dopo che si era espresso fino ad allora in
brevi racconti autobiografici, saggi, opere teatrali, poesie "che
costituiscono le tappe della sua vita e che testimoniano la sua
346 P.Mieli, La crisi del centrosinistra. L'alternativa e il « nuovo corso»
socialista, in G. Sabbatucci, cit., vol. VI, pp. 147-357
347 Verte sull'eccidio di Marzabotto e qui doveva essere rappresentato nel
1970 ma la somma stanziata da vari enti non fu sufficiente a coprire le spese.
Il regista teatrale Giacomo Ricci nel 1974 lo rappresentò come opera propria,
ma una perizia dell'Istituto del dramma italiano stabilì che quella del Ricci
era una rielaborazione (ISR Novara, Fondo Jacometti, Busta 8 )
176
evoluzione da giovane idealista, su cui si esercitava l'influenza degli
scrittori a lui più cari e congeniali, a uomo maturo che pur nella
delusione del presente manteneva viva la fiaccola della speranza, la
fiducia nell'uomo e nei suoi valori" 348 tra la fine del 1975 e l'inizio del
1976 si cimentò nella scrittura di un romanzo che aveva l'ambizione di
tracciare un affresco sulla sua generazione. Appaiono, appena nascosti
da pseudonimi, personaggi realmente esistenti (Lombroso = l'autore
stesso, Vallarsa = Ernesto Rossi, ecc.) riconoscibili ma anche
fortemente rielaborati dalla sua fantasia. Molti episodi riguardanti le
vicende più antiche, del tempo dell'emigrazione e del confino, li aveva
narrati in altri libri, e in questi brani si respira un clima più disteso,
viene colto il lato umoristico anche nelle situazioni penose di quei
tempi difficili; invece il romanzo prende una piega amara quando si
avvicina all'attualità, quando l'autore si interroga sui fallimenti della
sua generazione, anche alla luce della contestazione del '68, per farne
un bilancio349
348 U.Jacometti, A.Borrini "Le carte di Alberto Jacometti in "Figure e centri
dell'antifascismo in terra novarese" Fontaneto Po, 1992 "Delle opere (una
novantina circa) solo sedici sono state pubblicate, le altre, alcune delle quali
ancora sotto forma di manoscritto, aspettano pazientemente nelle cartel/ette in
cui egli le ha riposte...Difficile una catalogaziene di tutto ciò che egli ha scrìtto,
in quanto, nello studio da lui tanto amato rimangono, come egli le lasciò, le sue
carte, gli scritti di argomento e natura vari, le lettere a carattere
prevalentemente personale. Alcuni suoi scrìtti sono a Firenze e a Torino e
costituiscono un fondo a suo nome. La sua corrispondenza con Bernerì è
conservata nel fondo Berneri ma tutto il resto non ha ancora collocazione
organica e per quanto esistano raggruppamenti da lui stesso effettuati tra articoli e
manoscritti, è necessaria un'attenta opera di catalogazione che impedisca il
disperdersi della testimonianza di un'epoca e di una vita consacrata alla lotta e
quegli ideali che sempre l'accompagnarono"
349 A Jacometti "La fata Morgana e il pinguino; con il saluto di Pertini e una
pagina di Nenni", Milano, 1981. Il titolo si presta a varie letture: Morgana è un
personaggio della mitologia celtica che per la sua caratteristica di apparire
sollevata dal suolo ha dato nome all'effetto ottico del miraggio, e il tema del
miraggio è presente nel romanzo. Il pinguino potrebbe far riferimento a
"L'isola dei pinguini" paradossale contro-utopia scritta nel 1908 da Anatole
France, autore molto letto negli anni '20-'30, oggi dimenticato (ma
177
Gli anni '80 e gli ottanta anni
II 31 dicembre 1979 colla morte di Nenni si chiuse un'epoca del
socialismo italiano. Dopo il Congresso di Torino l'alleanza tra la
corrente autonomista e la "sinistra" finì: Craxi estromise il vicesegretario Claudio Signorile, lombardiano, nominando al suo posto
ripubblicato nel 2006). Questo l'incipit: "....24 novembre 1975.... io mi accingo
a incominciare il mio ottantottesimo libro...... Un romanzo perché? In primo
luogo una sfida a me stesso: sono ancora in grado, a settantatré anni di
intrecciare una storia, crear degli esseri vivi, di carne, di sangue, che siano
un primo campione di quella umanità sbilenca ma «diversa» esplosa e
pullulante in questi dieci o venti anni? Il tema dovrebbe essere la
diversificazione venutasi a consumare in questi ultimi decenni nel modo di
essere, di pensare e di reagire, di credere o di non credere, di fare o di non
fare. L'uomo è stato tuffato in un clima nuovo, dove i vecchi valori sono stati
fiaccati e i nuovi non ancora accettati, uno scompiglio alla ricerca di un
equilibrio di là da venire....Incominciò, spenta la guerra, con la seconda
rivoluzione industriale; fu allora che la vita incominciò a galoppare. Fino
allora, aveva proceduto, per migliaia di secoli, con il tran tran di una
vecchia locomotiva scassata, e anfanava per le nostre pianure alla guisa di
scuri lombrichi o di bruchi. Le rivoluzioni di tanto in tanto la squassavano
ma la pietrosa tavola della legge con qualche ammaccatura sopravviveva. E
fu per migliaia di secoli un cammino aspro, impervio, senza soluzione di
continuità, sul quale l'uomo barcollando avanzava con sulle spalle un
misterioso sacco piombato e negli occhi un riflesso d'aurora boreale. La
cosiddetta seconda rivoluzione industriale mandò tutto a carte quarantotto,
l'uomo rimpicciolì, sballottato e le forze evocate s'impadronirono di lui. Poi
venne ad affacciarsi sui confini dell'orizzonte il terzo mondo......Poi ancora il
Sessantotto: una rivoluzione fallita.. ..che s'inventava, priva di bandiera, di
quartier generale, d'obiettivi; o con cento o con mille diversi, in contrasto;
rompere, distruggere, una rivoluzione priva di stella polare, un
ammutinamento di barboni letterati e evoluti, di chi aveva ascoltato la voce,
le voci, e obbediva al grido che saliva, selvaggio, dalle caverne dell'essere.
Fallita? Certamente, dal momento che non raggiunse alcun traguardo
concreto e l'acque s'acquietarono e il mondo continuò a rotolare nella stessa
(o parve) orbita. Ma... Una rivoluzione che iniettò nelle vene degli adami un
veleno ad azione ritardata, come certe bombe... In sette anni ci siamo accorti
178
Claudio Martelli e Valdo Spini e diede vita a una ferrea alleanza con la
destra democristiana350.
Il PSI si ritrovò incondizionatamente legato all'eterno partito di
maggioranza, che pagò il compenso per la fedeltà governativa in
termini di potere economico e amministrativo: con meno di un sesto
dei consensi il PSI ebbe più di un terzo del potere economico e
amministrativo. Ciò incise sulle caratteristiche del partito, apportando
modifiche così profonde nel modo stesso di «fare politica», da
renderlo completamente diverso da quello che storicamente aveva
operato nella società italiana.
Il PSI si mostrò particolarmente attento ai movimenti sociali e alle
battaglie per i diritti civili; curò la propria immagine attraverso i massmedia e non disdegnò la politica-spettacolo. Esaurito il tempo della
d'avere assorbito un veleno non ancora individuato e trascritto, né
catalogato, né sperimentato, né padroneggiato, con effetti che più il tempo
passa e più stupiscono e frastornano... "
350 A. Del Boca “Un testimone scomodo”, Domodossola, 2000 “…cominciai
a rendermi conto che il PSI di Craxi non era più il mio partito, non era lo stesso
partito al quale mi ero iscritto nel 1945, a Novara, con cinque galantuomini come
garanti dei valori laici e civili del PSI. Prima di lasciare il PSI feci, insieme a due
amici novaresi, Enrico Massara e Vittorio Rolla, un ultimo, disperato quanto
ingenuo tentativo di mobilitare i compagni (ed erano tanti), che non si
riconoscevano nel partito di affari che Craxi stava costruendo. Ancora una
volta, per questa difficile battaglia, pensai a Jacometti. All'uomo che, all'inizio
degli anni '20, aveva subito due aggressioni squadristiche; che era stato in esilio
per vent'anni e poi incarcerato a Ventotene; che il partito aveva eletto
segretario al congresso straordinario di Genova. Pensai a Jacometti ...Era
l'inizio del 1980 e già si intravedevano le manovre per la formazione di una
coalizione anticraxiana costituita da lombardiani, demartiniani e manciniani.
Era il momento più favorevole, ma Jacometti, ormai quasi ottantenne, non si
sentì di alzare la bandiera della rivolta, anche se il suo attrito con Craxi era
palese. Nel 1978, infatti, aveva rimproverato a Craxi di aver preso da solo la
decisione di cambiare il simbolo del partito, adottando il garofano, e "al
congresso di Torino criticò il serpeggiante anticomunismo che vedeva crescere
all'interno del partito""*. La lettera, con la quale declinava il mio invito, si
chiudeva, quasi a farsi perdonare, con parole affettuose che non aveva mai usato:
"Ti abbraccio, caro Angelo, tuo Andrea". Andrea era il suo nome di battaglia
durante la resistenza: era la prima volta che l'usava con me.
179
solidarietà nazionale, iniziò una campagna per la «governabilità» del
paese, per il quale si richiedevano esecutivi stabili. Gli interventi del
segretario assumono toni «decisionisti» (i politici devono curare
l'aspetto della responsabilità come e più di quello della
rappresentatività); la «grinta» di Craxi diventa fenomeno da imitare.
All'inizio degli anni Ottanta, Craxi conquista definitivamente il
partito; sarà sempre riconfermato alla segreteria con voto plebiscitario.
Inizia la serie dei governi «pentapartito», che si distinguono dai
governi di centrosinistra perché comprendono anche il PLI e,
soprattutto, perché si costituiscono per uno stato di necessità perché
altre maggioranze non sono possibili.
Ciò spiega la continua litigiosità all’interno della compagine
ministeriale; PSI e DC, in particolare, appaiono amici-nemici in
costante competizione, soprattutto da quando il PSI mira ad occupare
una posizione «centrale» nel sistema politico italiano. Nel frattempo il
PSI non sconfessa la politica dell'alternativa, che utilizza come
strumento di condizionamento della DC e per coprirsi a sinistra; la
condiziona però a un ridimensionamento dei rapporti di forza tra i
partiti storici della sinistra.
Craxi si era posto due obiettivi: allargare lo spazio all'azione del PSI,
eliminando gli ostacolo di carattere interno ed esterno al partito;
aumentare la forza elettorale del PSI, mediante la «riconquista» di
consensi alla sua sinistra e attraendone di nuovi alla sua destra, in
modo da dare una base concreta alla richiesta di una maggiore
considerazione del ruolo del PSI nella vita politica, economica e
sociale della nazione. Il primo obiettivo fu pienamente raggiunto. Il
ruolo autonomo del PSI nella politica italiana fu riaffermato in modo
netto. Craxi operò la definitiva liquidazione di ogni complesso di
inferiorità sollecitando l'orgoglio socialista come propulsore per il
successo dell'iniziativa del partito. Fu l'autonomia, praticata con forza
e senza remore o complessi, sia verso il PCI che verso la DC, che
consentì al PSI di raggiungere risultati politici notevoli, assolutamente
impensabili seguendo i vecchi canoni: la «pari dignità» nei rapporti tra
i partiti del la maggioranza che sostiene il governo e il conseguente
accesso del PSI alla presidenza del Consiglio. In questi anni l'area
socialista fornì un contributo culturale importante, con una serie di
180
congressi e con la rivista Mondoperaio, sulla «crisi dei sistemi
totalizzanti», nel rilancio di alcuni temi della tradizione
liberaldemocratica, nella ripresa delle idee riformiste, con particolare
riferimento al socialismo liberale di Carlo Rosselli. Intanto il PSI
andava abbandonando ogni pregiudiziale ideologica. Se ancora verso
la metà degli anni Settanta alcuni suoi dirigenti (Lombardi, De
Martino) sostenevano una politica di alternativa al capitalismo e
teorizzavano un possibile passaggio alla società socialista, il PSI degli
anni Ottanta ha acquisito una posizione molto più pragmatica,
sostenuta con la ripresa di tradizioni socialiste non marxiste e del
riformismo e con l'apertura a teorie e temi provenienti da aree culturali
di matrice «democratica» (Popper, Rawls). Negli anni Ottanta il PSI si
è proclamato partito non dogmatico e «aperto», attento ai grandi
movimenti di massa e sensibile alle dinamiche delle società
complesse.
Nell'agosto 1983 un socialista per la prima volta diventa capo di un
governo che resta in carica tre anni e mezzo. Col favore di una
congiuntura internazionale positiva si ha un rientro dall'inflazione, ma
il debito pubblico continua pericolosamente a crescere. E’ il governo
Craxi a firmare il nuovo Concordato con la Chiesa cattolica.
Jacometti dissentiva da questa linea e stava sempre più a disagio in un
partito che sentiva estraneo anche per i metodi di gestione interni. In
occasione del Congresso di Verona celebrato nel 1984 il Comitato
Centrale venne sostituito da un'Assemblea di 400 membri, per un
terzo composta da rappresentanti della "società civile". Nominato in
essa, fu però escluso dalla Direzione (composta di 31 membri), a
differenza degli altri ex segretari nazionali De Martino e Mancini.
Questa ingratitudine per una persona "disumanamente dimenticata",
come disse Sandro Pertini, si aggiunse al dissenso politico
determinandolo alla sofferta decisione, che neppure il tentativo del
vicesegretario Claudio Martelli valse a far recedere, di lasciare il partito dopo sessant'anni di militanza, partecipando a una diaspora che
coinvolse importanti esponenti del socialismo (Antonio Giolitti,
181
Gaetano Arfé, Franco Bassanini, Federico Coen, Giorgio Strehler,
Guido Rossi, ecc.).351
Si spense nella notte tra il 9 e il 10 gennaio 1985 a Novara. Al suo
funerale civile, il 12 gennaio, furono gli amici ed i vecchi partigiani a
rendere l'ultimo saluto al compagno "Andrea".
351 Si veda quanto dichiarato da Arfè all’ “Unità” il 7.5.1987:
“Non ho più ripreso la tessera dal 1984, perché ho visto il PSI
trasformarsi radicalmente. Al di là del mio dissenso politico, il
distacco è nato sul modo di concepire e dirigere il partito, sulla
vita interna, sulla cultura corrente, sulla selezione dei quadri,
nel costume. Craxi ha avuto il problema di rinnovare il PSI, di
dare basi solide all'autonomia socialista. E' riuscito bene
nell'abbattere i ruderi di un asfissiante regime correntizio e un
certo vecchiume culturale e dottrinale. Ha dato al PSI agilità
di manovra. Ma ha prodotto uno svuotamento del partito: il
"nuovo corso", man mano, si è deviato. Invece di cercare
forme originali di cultura politica, si sono inseguite le suggestioni cangianti delle mode, a volte, mal suggerite da
ideologi dilettanti: Proudhon al posto di Marx, Garibaldi al
posto di Turati, poi il "lib lab", poi il "socialismo tricolore". Non
si è fatta una revisione critica del marxismo, piuttosto
un'opera di demolizione della tradizione socialista. Il PSI,
soprattutto, è rimasto in questi anni schiavo della tattica del
momento. Unico disegno si è rivelato, mi pare, quello di
conquistare rapidamente posizioni di potere. E il bilancio
politico sembra ora fallimentare: nell'orizzonte del pentapartito il PSI può sempre rientrare, se vuole, ma avrà un
ruolo subalterno, sarà in una gabbia. Craxi ha creato sì difficoltà alla DC, però in una contesa ristretta all'ambito del
potere
182
SCHEDE BIOGRAFICHE
GIUSEPPE LIBOI
Nasce nel 1863 a Besozzo (Varese); dopo la seconda elementare inizia
a lavorare come muratore. Nel marzo 1901 per la Prefettura di Milano:
“ aveva molto ascendente nel settore dei lavoratori edili nel partito …
a Milano e nelle provincie limitrofe. Ha rapporti con Angiolo Cabrini
e soprattutto con Silvio Cattaneo” con cui il 14 maggio 1898 ripara in
Svizzera perché sospettato di essere fra i promotori dei moti di
Milano: infatti fu spiccato mandato di cattura nei suoi confronti, poi
decaduto per insufficienza di prove. Molto attivo nell'organizzazione
della Federazione Italiana arti murarie e impegnato a costituire sezioni
della "Associazione Mutua e miglioramento fra muratori", è “un
efficiente propagandista anche se si esprime per lo più in dialetto
lombardo" Nel 1896 tiene in molti paesi del circondario milanese
delle conferenze di propaganda per l'Associazione e per far aderire
quelle già esistenti alla Federazione Muraria e alla Camera del
Lavoro. Nel 1900 con Silvio Cattaneo e Pietro Bellotti ricostruisce la
Camera del Lavoro dopo lo scioglimento dandole indirizzo socialista
rivoluzionario. Prende la parola ai comizi di esponenti socialisti fra
cui Cabrini e Dino Rondani e nel 1902 è nominato delegato della
Carnera del Lavoro per le arti edilizie. Nel 1905 cambia posizione e
appoggia l'area riformista, con cui si presenta alle elezioni della
Commissione Esecutiva della Camera del Lavoro, ma non è eletto.
Il 29-30 settembre 1906 partecipa al congresso della Resistenza a
Milano che delibera di trasformare il Segretariato Nazionale della
Resistenza nella Confederazione Generale del Lavoro (CGdL) con
sede a Torino e in cui è eletto componente del Comitato di Vigilanza.
Nel 1907-8 è molto attivo e partecipa a conferenze e manifestazioni in
tutta la Lombardia: a Como è presidente della commissione per la
costituzione di due Leghe: delle arti tessili ed edilizie, nelle provincie
di Como e Bergamo tiene conferenze in molti paesi a volte interrotte
dagli organi di polizia presenti "per accenni vivaci ai conflitti tra
operai e forza pubblica". A Como è eletto anche delegato della locale
183
“Società Umanitaria". Il 3 aprile 1910 interviene alla riunione degli
scalpellini e marmisti di Viggiù in sciopero consigliando prudenza. Il
22 gennaio 1911 si presenta alle elezioni amministrative nella lista dei
partiti popolari ma non è eletto; dal 1913 al 1917 vive a Milano
lavorando come Segretario della Cooperativa muratori e tenendo
qualche conferenza.
FONTI: Archivio Centrale dello Stato, Casellario Politico Centrale.
www.umanitaria.it “voci di quartiere, storie di vita vissuta” p.3, 14;
M. Antonioli, J. Torre Santos Riformisti e rivoluzionari : la C.d.L. di
Milano dalle origini alla Grande guerra, 2006, pag. 145
MAFFIOLI Ugo Osvaldo
Nasce nel 1871 a Castellanza. Operaio tessile, riesce a mettersi in
proprio sino ad impiantare una piccola fabbrica di cravatte. Iscritto al
partito socialista dalla fondazione e attivo propagandista nell'ambito
della Camera del lavoro di Milano, massone e di tendenza riformista,
al XIII Congresso nazionale del PSI (Reggio Emilia, 1912) si schiera
con i riformisti di sinistra, vota il documento di Francesco Ciccotti
sulla tattica elettorale e, sull'espulsione della destra riformista di
Bissolati e Bonomi, interviene perché sia limitata e motivata
individualmente. Alle elezioni politiche del 1913, nel terzo collegio di
Milano, supera al ballottaggio il radicale Manfredini, con un'intensa
campagna centrata sulla necessità che il proletariato scelga i propri
rappresentanti nelle proprie fila, rifiutando i tradizionali legami con la
borghesia più avanzata. Eletto nel giugno 1914 anche consigliere al
comune di Milano, sull’intervento si pronuncia in un primo momento
a favore delle posizioni di Mussolini interventista, ma rifiuta poi di
seguirlo fuori dal partito, come ribadisce sia in una riunione con
Majno e Caldara, sia in una assemblea di dirigenti del socialismo
milanese (Turati, Caldara, Sarfatti, Ferrari, Allevi e Marangoni) in cui
viene votato un documento di «simpatia» per le «democrazie
occidentali». Come amministratore comunale propone la municipalizzazione dei servizi di approvvigionamento e distribuzione del carbone
e del gas per battere la manovra speculativa conseguente all'intervento
in guerra. Nel 1917 si allinea con Turati e Treves nell'auspicare l'appoggio del Gruppo Parlamentare Socialista al governo «nazionale» e
184
partecipa ad una delle «commissioni» create per sostenere lo sforzo
bellico. Attaccato da Luigi Repossi per il suo «collaborazionismo» al
XV Congressö nazionale del PSI (Roma, 1918), replica che solo
grazie alla presenza socialista all'interno delle commissioni si erano
evitate manovre antiproletarie e si erano potuti sapere particolari
«altrimenti inconoscibili». In tale occasione appoggiala mozione di
G.E. Modigliani favorevole al rinvio della discussione sulla adesione
alla III Internazionale. Nel maggio 1919 compie un viaggio personale
a Budapest e in un colloquio con Béla Kun dichiara che il programma
del PSI ed i suoi dirigenti sono rivoluzionari solo a parole. A
Costantino Lazzari che condanna sull'Avanti! la «leggerezza» di
queste dichiarazioni strumentalizzate dalla stampa borghese, precisa il
carattere strettamente personale dei giudizi espressi nel corso di una
visita informale e presenta le dimissioni dal partito, che la sezione
socialista milanese respinge a maggioranza. Ma “l'Avanti!” continua
gli attacchi personali insinuando essersi in più occasioni servito del
mandato parlamentare e delle relative agevolazioni, come la tessera
ferroviaria, per i propri interessi privati di industriale manifatturiero. Il
«caso», momentaneamente accantonato di fronte all'urgenza di altre
scadenze, come il XVI Congresso del partito (che vi accenna solo di
sfuggita) e le elezioni politiche del novembre 1919 (in cui non viene
ripresentato), è risollevato nel gennaio 1920, quando in una riunione
della sezione socialista milanese si ricorda che l'ex-deputato ha
mantenuto un comportamento «corretto, da galantuomo» e da sette
mesi aspetta una delibera definitiva. Nella successiva riunione del 17
febbraio Serrati ricorda che la stampa borghese ha sfruttato l'incidente
per attribuire al caso il carattere di una sconfitta dell'”Avanti!” e di
tutta la corrente massimalista, che pur essendo la maggioranza aveva
«ceduto» alla volontà della destra riformista. Egli riconferma le
proprie dimissioni ed esce dal partito ma rimane in contatto con i
riformisti milanesi e alla loro espulsione al XIX Congresso nazionale
del PSI (Roma, 1-5 ottobre 1922) si iscrive al Partito socialista
unitario e viene candidato alle elezioni amministrative milanesi del
1922, riuscendo eletto consigliere comunale; carica che mantiene sino
al 1925. Da quella data si perdono le sue tracce, con le leggi
185
eccezionali a giustificare il suo ritiro dalla vita politica. Muore a
Ossuccio (Varese) nel luglio 1943).
FONTI: Resoconto stenografico del XV Congresso nazionale del PSI,
1919, pp. 162-163 e 366-367; F. Pedone, Il P.S.I. nei suoi congressi,
1959-1968; L. Valiani, Il PSI nel periodo delta neutralità , 1962;
S. Turone, Cronache del socialismo milanese, 1963; F. Andreucci, T.
Detti Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico.
GALLI Alessandro
Nato nel 1876 a Montirone da Giuseppe e da Giulia Luraghi.
Trasferitosi con la famiglia a Sesto S. Giovanni (Milano), si avvicina
giovanissimo agli ambienti anarchici milanesi e subisce i primi arresti,
la vigilanza speciale e il domicilio coatto, pur lavorando come
nastraio. Ne1l'apri1e 1893 la prima condanna; dopo pochi mesi uno
scontro coi poliziotti lo riporta in tribunale dove è difeso con successo
da Pietro Gori. Il 13 settembre 1894 è condannato a 15 mesi di
domicilio coatto da cui è prosciolto il 4 marzo 1896. Chiamato alle
armi nel 1897 a Vercelli, rimane in servizio fino all’ agosto 1900,
trascorrendo l'ultimo periodo di leva al domicilio coatto. Tornato a
Milano, riprende il lavoro di nastraio. E’ nominato segretario
amministrativo al congresso costitutivo della Federazione dei Tessili
(FIOT) tenuto a Milano nell’aprile 1901, al cui periodico «Le Arti
tessili» collabora assiduamente. Nel febbraio del 1902 viene
richiamato sotto le armi e assegnato al 23° Reggimento di stanza a
Milano. Più volte incarcerato, inviato presso la compagnia di
disciplina a Portoferraio, nonostante le vibrate proteste della
Federazione, viene definitivamente congedato nell'autunno e può
riprendere, all'inizio del 1903, il suo posto nel Comitato centrale della
FIOT. Nel marzo 1904 al terzo congresso della FIOT a Pisa, in
rappresentanza dei tintori milanesi e delle sezioni nastrai di Milano,
Intra e Monza, osteggia l'aumento della quota e si oppone alla linea
favorevole alla legislazione sociale: convinto che i lavoratori debbano
“far da sé", senza inutili intermediazioni, ritiene gli scioperi parziali
un utile esercizio in attesa della "grande lotta" finale. Il 23 aprile 1905
nel comizio in occasione della formazione dell'organizzazione dei
Panettieri è richiamato dalla gendarmeria di Lugano per
186
l’atteggiamento troppo violento. Un eccidio proletario avvenuto a
Torino il 6 maggio 1906 scatena una serie di scioperi di protesta in
tutta Italia. A Milano il 10 il fratello Angelo muore accoltellato dal
custode della fabbrica dove si è recato per controllare la presenza di
crumiri. Nel comizio indetto dopo poche ore pronuncia un discorso
incendiario che genera tumulti ed è denunciato per istigazione a
delinquere e costretto a rifugiarsi a Lugano. (Il 13 maggio durante il
funerale del fratello ha luogo un violento scontro tra anarchici e truppe
a cavallo e il pittore Carlo Carrà, allora frequentatore del milieu
anarchico, si trova nella mischia e trasferisce le sue emozioni su tela,
in un famoso quadro ora al MOMA di New York.) Rientrato a Milano
il mese dopo, riprende la sua attività di nastraio e di propagandista
della FIOT. Dalla morte del fratello l'intransigenza lascia il posto alla
mediazione e all’adesione all'area socialista riformista e in occasione
dello sciopero del Verbano, nel 1906, si scontra con la combattività
della CdL di Intra che lo critica per la sua "transigenza"; la sua
estraneità al movimento anarchico è ormai evidente e nulla distingue
le sue posizioni da quelle di Buozzi o Quaglino. A partire dal 1907
l'attività sindacale aumenta d’intensità:si sposta da una città all'altra in
qualità di propagandista, interviene nelle vertenze dando prova di
capacità di mediazione, collabora al giornale federale. Al congresso
della FIOT nell’ottobre 1909 sostiene l'aumento della quota federale.
Nell'agosto 1910 ne diventa segretario conservando anche l'incarico di
propagandista. Dal maggio 1911 entra nel Direttivo della CGdL. Alla
vigilia dello scoppio del conflitto europeo è condannato per aver
condotto un lungo sciopero a Borgosesia. Nel novembre 1915 è
richiamato alle armi e nel settembre 1917 ottiene l'esonero perché
membro del Comitato Regionale di Mobilitazione Industriale. Sempre
nel 1917 entra nell’Esecutivo della CdL di Milano e, con Nullo
Baldini, Angiolo Cabrini e Ludovico D'Aragona,della Commissione
incaricata di preparare un disegno di legge sull'assicurazione
obbligatoria contro le malattie. Nella “biennio rosso”è una delle figure
di spicco del movimento sindacale. Segretario della FIOT, si impegna
nell'organizzazione delle lotte del settore tessile; in particolare dirige
con Ernesto Schiavello e Giuseppe Reda, nel maggio-giugno 1919, lo
sciopero dei tessili biellesi. Per questa battaglia sindacale è denunziato
187
sotto varie imputazioni con altre 86 persone. Nel 1920 partecipa ad
Amsterdam al Convegno Internazionale dei Sindacati Operai, dal 15 al
30 ottobre al Congresso della Federazione internazionale dei Sindacati
tessili a Londra e nel 1921 a Berlino al congresso internazionale come
membro del Comitato centrale dell'internazionale Tessile. Fautore
dell'autonomia del sindacato dal PSI si scontra, al Congresso della
FIOT dell’ottobre 1920, con l'opposizione massimalista e .ordinovista,
riuscendo sconfitto. Le sue dimissioni vengono tuttavia respinte anche
dai massimalisti e rimane alla testa della Federazione, affrontando la
crisi che porta all'affermazione del fascismo e firmando l'ultimo
contratto nazionale a Palazzo Vidoni nell'ottobre 1925. Con la legge
del 3 aprile 1926, che abolisce la libertà sindacale, abbandona ogni
attività e si stabilisce ad Udine lavorando come cassiere presso il
laboratorio di sartoria del genero. Il 2 marzo 1941 la prefettura di
Udine propone la sua radiazione da novero dei sovversivi in quanto
«non si accompagna ad elementi notoriamente sospetti in linea
politica, e ... partecipa spesso, pur non essendo iscritto alle
organizzazioni del partito, alle varie cerimonie patriottiche e fasciste»
Muore a Udine nel 1950
FONTI: Archivio Centrale dello Stato, Casellario Politico Centrale
M. Antonioli Dizionario biografico degli anarchici italiani; A. Pepe,
Storia della CGdL dalla guerra di Libia all'intervento, 1971; M. C.
Cristofoli, M. Pozzobon I tessili milanesi, 1981; L.Marchetti, La
Confederazione Generale del Lavoro negli atti, nei documenti, nei
congressi, 1962;
GHEZZI Ernesto
Nato nel 1878 a Milano da Giovanni e da Gaetana Ponciletti. Dopo le
elementari e le scuole tecniche lavora come fonditore in bronzo. Da
Milano (dove, scrive la Questura, è “poco ben visto pel suo carattere
superbo e prepotente, ma che non erasi fatto notare come
appartenente a partiti sovversivi”) si trasferisce nel 1898 a Venezia, la
cui Prefettura nel cenno biografico lo descrive “Di mente alquanto
esaltata, si iscrisse al circolo socialista e ben presto si fece notare per
il suo fervore, per l'eccessività dei suoi propositi tendenti all'anarchia,
pel suo zelo nella propaganda.... Si arrabbattò per riorganizzare la
188
Lega di resistenza tra operai metallurgici e prese parte a tutte le
conferenze elettorali politiche, prendendovi quasi sempre la parola
per esternarvi propositi violenti, per attaccare l'Autorità e le
Istituzioni.” Nel luglio 1900 ritorna a Milano occupandosi presso una
fonderia. Gradualmente abbandona gli originari ideali anarchici:
scrive la Prefettura di Milano il 29 marzo 1902: “Riscuote in pubblico
buona fama, di carattere mite, di discreta educazione, ha sufficiente
intelligenza e cultura. E' affiliato al partito soc. delle cui teorie è
attivo propagandista, quantunque in passato abbia accarezzato quelle
anarchiche”. La Federazione socialista milanese lo delega nel giugno
1901 al Congresso nazionale Metallurgici a Livorno. Condannato ad
ammenda per diffusione di manifesti sovversivi, nel settembre 1901
una denuncia per istigazione all'odio di classe è archiviata per
inesistenza di reato. Segretario della Federazione provinciale delle
Leghe fra i lavoratori della terra di Bologna da aprile a luglio 1902, a
dicembre è eletto nell’Esecutivo della Camera del Lavoro di Milano e
segretario della Federazione muratori. Schierato con i riformisti, nel
1905 è nominato nel Collegio dei Delegati della Società Umanitaria e
candidato nelle elezioni amministrative di gennaio, ma con 16945 voti
non è eletto; invece nelle elezioni del 19 giugno 1910 diventa
Consigliere Provinciale. Nell’agosto 1911 tiene una serie di
conferenze in Toscana per sostenere la lotta dei vetrai contro il trust
delle Società vetrarie riunite, ma è soprattutto in Lombardia che
svolge l’attività di propagandista: sono segnalate conferenze a Lecco
nel 1908, nel febbraio 1912 a Vedano Olona. (Como) su "guerra e
questione economica", nel marzo 1913 a Malnate e Comerio (Varese),
a maggio a Varese su 'Politica operaia". Neutralista prima della guerra,
nel 1918 è richiamato alle armi e assegnato alla territoriale in città.
Nel 1919, congedato, continua a tenere conferenze di propaganda e in
occasione dei moti per il caroviveri di luglio è nominato nella
Commissione per l'applicazione del calmiere. Nel 1916 riconfermato
nell’Esecutivo della Camera del lavoro, nel novembre 1919 è eletto
deputato per il Collegio di Como nella lista socialista, ma non è
riconfermato nelle elezioni del maggio 1921. Nel 1923 si iscrive al
P.S.U. di Matteotti e Turati. Quale vicepresidente del Direttivo della
Società Umanitaria e della sezione 2° per l'emigrazione, ottiene il
189
passaporto per gli stati europei per studiare le condizioni di lavoro in
rapporto ai servizi dell'Umanitaria stessa per l'assistenza agli
immigrati. Fa parte del Consiglio d'amministrazione dell’ "Unione
Cooperativa di lavori pubblici all'Estero" con sede presso
l'Umanitaria, composto da Luigi Della Torre, Felice Quaglino, Nullo
Baldini. Il 23 novembre 1926 è assegnato al confino per un anno a
Colobraro (Matera). In seguito a ricorso il provvedimento è tramutato
in ammonizione per due anni da cui viene prosciolto a settembre. Nel
1928 intraprende il commercio di tessuti e nel 1930 è occupato come
impiegato presso la ditta Pagani. “Mantiene ferme le sue idee ma non
svolge alcuna attività politica”. Muore a Milano nel 1934. Ai funerali
partecipano 200 persone tra cui gli ex deputati Bellotti, D'Aragona,
Caldara, e Repossi.
FONTI Archivio Centrale dello Stato, Casellario Politico Centrale
L. Marchetti La CGdL negli ali, nei documenti, nei congressi, 1962;
F. Andreucci-T. Detti Il movimento operaio italiano. Dizionario
biografico, Roma, 1970-75
MARIO GUARNIERI
Nasce a Ostiano, in provincia di Cremona nel 1886 da Giuseppe,
sellaio. Nonostante le modeste condizioni della famiglia, frequenta le
scuole tecniche terminate le quali si dedica all'attività politica e
sindacale. Si iscrive nel 1902 al PSI diventando segretario della
sezione di Ostiano e impiegato della federazione delle cooperative di
Cremona. Collabora a “L'Avanguardia socialista” di Arturo Labriola
eWalter Mocchi e a “L'Eco del popolo” di Cremona. Nel 1903 è
segretario della sezione dei lavoratori della terra della Camera del
lavoro di Cremona. Nel 1904 è delegato al congresso regionale
socialista lombardo (Brescia, 14-15 febbraio) e al congresso
provinciale dei contadini (Cremona, 27-28 marzo). Nel giugno 1903 si
trasferisce a Corteolona (Pavia), dove organizza la sezione del PSI e
appoggia la candidatura di Walter Mocchi; il 10 luglio fonda il
periodico “La Parola dei poveri”. Dal settembre 1904 all’aprile 1906è
segretario della CdL di Novara e dirige il settimanale socialista “Il
Lavoratore.” Nel 1905 organizza gli scioperi dei ferrovieri e delle
mondine, subendo un primo processo per "adunata sediziosa" da cuiè
190
assolto. Trasferitosi a Biella, dirige dal 9 aprile 1906 al 3 gennaio
1909 “Il Corriere biellese” dedicandovi largo spazio alle lotte dei
tessitori al fine di rilanciare la Lega tessile come componente
fondamentale della Camera del lavoro. Al IX Congresso nazionale del
PSI (Roma, 7-10 ottobre 1906) tiene una relazione sui rapporti tra
partito e sindacato. Processato per alcuni articoli antimilitaristi, il 19
febbraio 1908 è condannato a un anno di carcere ma si sottrae alla
cattura riparando a Lugano. Il 7 febbraio 1909, ritornato a Biella, è
arrestato, ma grazie a un indulto sconta solo 15 giorni di pena. A
Biella conosce Buozzi, di cui condivide il "riformismo pratico", che lo
invita a collaborare nel direttivo della FIOM e il 21 settembre 1911 si
trasferisce a Torino, che qui aveva la sede centrale, come funzionario e
direttore de “Il Metallurgico”,nonchè redattore del settimanale “La
Battaglia sindacale”, sorto allo scopo di contrastare i sindacalisti
rivoluzionari. Scoppiato il conflitto mondiale si impegna nella
campagna dei socialisti torinesi contro la guerra e con Alfonso
Leonetti scrive l'opuscolo “Torino rossa contro la guerra”. Il 13
settembre 1915 è nominato segretario della Camera del lavoro di
Torino. Al Congresso nazionale della FIOM del 25 giugno 1916 entra
con Buozzi e Emilio Colombino nella Segreteria dove sostiene la
partecipazione operaia ai comitati di mobilitazione industriale. Entrato
a farne parte a livello sia nazionale che regionale come rappresentante
dei metallurgici vi opera per tutelare l'attività sindacale e pubblica
sull'Avanti! (23, 26, 27 febbraio 1918).una serie di articoli per
smentire la voce che gli operai metallurgici godessero di una
situazione economica privilegiata. Il 23 aprile 1918 organizza uno
sciopero alle officine FIAT per ottenere il “sabato inglese”, risultato
raggiunto nel febbraio 1919. Nel corso del "biennio rosso" su “Il
Metallurgico” e su quotidiani. cerca di sensibilizzare l'opinione
pubblica riguardo alle conquiste del sindacalismo riformista tentando
di evitare il propagarsi della conflittualità, attirandosi violenti attacchi
da Serrati che sull'Avanti!, lo accusa di tradire la causa della classe
operaia favorendo comportamenti compromissori. In effetti non si
oppone alla costituzione dei consigli di fabbrica ma cerca di
smussarne le punte più eversive e di ricondurli nell'ambito del
"controllo sindacale". Nel congresso straordinario della Camera del
191
lavoro di Torino del dicembre 1919il suo ordine del giorno ottiene
26.000 voti contro i 38.000 di Giovanni Boero. Nel 1920 Gramsci
riprende su “L'Ordine nuovo” le critiche di Serrati e ne segue un'aspra
polemica che si protrae per diversi mesi. Nel biennio 1920-21 oltre a
guidare l'ufficio stampa della FIOM è direttore del “Grido del
popolo”, e corrispondente del “Resto del Carlino” e dell' “Avanti!”.
Si distingue per l'insistenza con cui cerca di salvaguardare le 8 ore
lavorative, i minimi salariali e il riconoscimento delle commissioni
interne. Al V congresso della CGdL di Livorno del 26 febbraio - 3
marzo 1921 critica i comunisti per la loro tendenza a subordinare la
lotta sindacale alla politica. Dopo la scissione del PSI del 1922,
aderisce al PSU riformista di Turati e Matteotti e per svolgere il
compito di capo redattore del giornale di Partito “La Giustizia”, si
trasferisce a Milano negli anni 1924-25. Nel maggio 1925 ritorna a
Torino dove dirige l'ufficio stampa della FIAT e collabora a “La
Stampa”. Costretto a lasciare anche questa collaborazione per il suo
impegno antifascista, lavora prima come pubblicitario in una ditta di
tessuti e poi come impiegato presso la fabbrica Wamar. Avendo
abbandonato l'attività politica è radiato nel gennaio 1931 dal casellario
politico. Dopo la caduta del fascismo e fino al 1973 è redattore
di“Libertà economica”, giornale dell'Associazione commercianti
torinesi. Muore a Torino nel 1974.
FONTI Archivio Centrale dello Stato, Casellario Politico Centrale.
F. Pedone Il PSI nei suoi congressi, vol.II, 1961, p. 55; P. Spriano,
Torino operaia nella Grande Guerra, 1960; Id., Gramsci e l'Ordine
nuovo, 1965, pp. 33, 90; Id., Storia di Torino operaia e socialista. Da
De Amicis a Gramsci, 1972; R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario,
1965, pp. 629, 632; A. Leonetti, Da Andria contadina a Torino
operaia, 1974, p. 173, 188; F. Andreucci, T. Detti Il movimento
operaio italiano. Dizionario biografico; M. Antonioli - B. Bezza, La
FIOM dalle origini al fascismo 1978; Storia del movimento operaio,
del socialismo e delle lotte sociali in Piemonte, III, L'età giolittiana, la
guerra e il dopoguerra, 1979. L. Moranino, Le donne socialiste nel
Biellese, 1984, p.36,41,267, 268. Scheda di N. Dell’Erba in
“Dizionario biografico degli italiani”
192
FRANCESCO MARIANI
Nasce a Milano nel 1886. Il padre muore quando ha otto anni ed è
affidato all’orfanotrofio «Martinitt» dove prosegue gli studi fino alla
scuola tecnica. Testimone dei moti di Milano del 1898, solidarizza
con i socialisti incorrendo in ammonizioni e viene assegnato alla
«compagnia di disciplina» per avere partecipato ad una
manifestazione contro gli eccidi proletari. Terminati gli studi si
impiega come disegnatore nello stabilimento di arti grafiche
Bertarelli. Iscritto dal 1902 alla Federazione Giovanile Socialista,
svolge opera di organizzazione e proselitismo nelle campagne e in
città. Il 3 settembre 1907 la Prefettura di Milano segnala che
“...professa teorie socialiste-antimilitariste ed è membro del
Consiglio Direttivo del locale Circolo giovanile socialista. Prende
spesso la parola nei comizi ed è attivo propagandista, specie dei
principi antimilitaristi". Con Corridoni fonda il periodico
antimilitarista “Rompete le file!”. Arrestato nel 1909 per propaganda
sovversiva, perde il lavoro. Nel 1910è nell'esecutivo della federazione
socialista milanese. Emigrato in Svizzera alla ricerca di un impiego,
viene diffidato e licenziato per motivi politici e rientra in Italia
stabilendosi a Cremona, dove è segretario della Camera del lavoro e
redattore de “L'Eco del popolo”, fondato da Bissolati. Nel 1913 è
chiamato dalla Camera del lavoro di Milano di cui poi diventa
segretario generale.
Nel 1915 si occupa dei ferrovieri delle linee secondarle e dei tranvieri
delle linee interprovinciali e intercomunali che si staccano dal
Sindacato ferrovieri italiani (SFI) e si organizzano nel Sindacato
nazionale dei Ferrovieri delle Secondarie con sede a Genova.
Rimproverava ai dirigenti sindacali la mancanza di una coerente linea
e l'incapacità di promuovere un processo di rinnovamento imposto
dalla realtà sociale e politica del paese. Al consiglio nazionale del 1617 giugno 1914 lamenta la chiusura settaria nei confronti dei
lavoratori non organizzati sostenendo che occorre avvicinarli e non
respingerli. Allo scoppio della guerra promuove contro l'intervento
manifestazioni pacifiste e organizza la difesa dell' “Avanti!” dalle
193
violenze dei nazionalisti. Critica i dirigenti sindacali per l’atteggiamento incerto ed eccessivamente cauto e al consiglio nazionale
della CGdL del 27-28 aprile 1915 contrasta la proposta del segretario
Rigola di indire un referendum sull'opportunità dello sciopero
generale in caso di mobilitazione invitandolo a precisare una strategia
di lotta per opporsi alla guerra. Durante la guerra, esonerato dal
servizio militare per artrosi, ricopre la carica di consigliere nei comuni
di Milano e Cremona, nel Consorzio navigabile Milano-Venezia e
nell'Università Popolare. Riguardo ai moti contro il carovita della
primavera 1917, nell'incontro milanese del1'8-9 maggio tra Gruppo
Parlamentare Socialista e direzioni di PSI e CGdL,si schiera per
l’estensione delle agitazioni sotto la guida del partito. Nel 1918 inizia
trattative con il Segretario dell'Unione Sindacale (USI) Edondo
Rossoni per giungere alla fusione della Camera del Lavoro di Milano
con l'Unione Sindacale Milanese. Terminata la guerra, si interessa del
problema dei combattenti e si adopera per la costituzione della Lega
proletaria tra mutilati, invalidi, reduci, orfani e vedove di guerra.
All’inizio degli anni ‘20 lascia le cariche politiche e sindacali per
dedicarsi alla propria bottega di arte grafica. Dopo un breve soggiorno
in Svizzera ritorna in Italia e, benché vigilato, riprende i contatti con
gli antifascisti milanesi che si riuniscono nella farmacia del socialista
Livio Agostini. Internato il 21 gennaio 1941 nel campo di
concentramento di Fabriano, dopo la caduta del fascismo partecipa
alla lotta clandestina e collabora alla redazione e diffusione
dell'”Avanti!” milanese. Nel dopoguerra è designato dalla CGIL alla
Consulta nazionale (commissione industria e commercio) e nel giugno
1946 è eletto deputato del PSIUP per il IV collegio di Milano.
Senatore nella prima e seconda legislatura, fa parte della X
commissione (lavoro, emigrazione e previdenza sociale) e della
commissione d'inchiesta sulle condizioni dei lavoratori nelle
fabbriche. Segretario della Camera del lavoro di Milano dopo la
liberazione con il comunista Alberganti. Membro del Direttivo e
dell'Esecutivo della CGIL per la corrente socialista, nel 1956 è
segretario regionale della Lombardia. Negli interventi ai congressi del
PSI e della CGIL e al Senato, si occupa soprattutto dei problemi
194
dell'emigrazione. Consigliere comunale a Milano e dal 1959 segretario
regionale dell’ANPI. Muore a Milano nel 1976
FONTI Archivio Centrale dello Stato, Casellario Politico Centrale.
La Consulta Nazionale, I deputati alla Costituente, La Navicella, 1987
GAMBINI Gaetano
Nato nel 1894 a Milanoda Giuseppe e da Rosa Roncaglia. Operaio
metallurgico. Dal 1910 lavora alla Ferriera Gregorini di Lovere
(Bergamo) come meccanico e professa idee anarchiche (è abbonato al
giornale "Germinal") che diffonde tra le lavoratrici tessili. Nel 1913
capeggia una manifestazione contro la guerra ed è costretto ad
allontanarsi spostandosi a Milano dove lavora alla Isotta Fraschini e si
sposa con una operaia. Nel giugno 1915 riprende il posto di lavoro
alla Gregorini fino al 1921, quando è licenziato. Nel 1919 milita nel
PSI, è segretario della sezione della FIOM, presidente del Circolo
operaio e raccoglie i fondi per costruire una Casa del Popolo che
accentri le organizzazioni operaie (tessili, murarie ecc.) del
mandamento di Lovere. Per la Prefettura di Bergamo, il 21 marzo
1919, “non ha cultura ... Non e di facile parola e nelle conferenze che
tiene agli operai non fa che ripetere espressioni imparate a memoria
dai giornali ... E' anche un entusiasta del movimento bolscevico di
Russia e preconizza con ostentazione un prossimo movimento di tal
genere anche in Italia” Nel 1920 è condannato a due anni dì
reclusione per diserzione ma beneficia dell’amnistia. A giugno è
denunciato perchè, nel difendere la vertenza di tre operai della
Ferriera Gregorini licenziati per indisciplina, invade gli uffici e
proclama l’occupazione dello stabilimento. A novembre tiene una
conferenza inneggiando alla Russia e nelle elezioni amministrative è
eletto sindaco“grazie ai voti della massa operaia composta in
maggioranza di forestieri”, ma la Prefettura non ne ratifica la nomina
per la condanna del Tribunale militare. Nel febbraio 1921 rifiuta di
eseguire l'ordine prefettizio di togliere la bandiera rossa inalberata per
la vittoria nelle elezioni amministrative e in un comizio minaccia di
togliere dal municipio la bandiera italiana. Denunciato per
malversazione della cooperativa proletaria di Lovere di cui è direttore,
si dimette da assessore e il 2 maggio 1923, munito di regolare
passaporto, parte per la Francia con la moglie e il figlio Comunardo
195
nato nel 1920, per prendere lavoro presso le “Cableries d'Angers” a
Angers (Loira). Nel 1926 risiede ad Argenteuil, nei pressi di Parigi e
lavora nelle officine Citroen a Levallois. Inizia una nuova fase della
sua vita, in cui l’originario estremismo si ammorbidisce: militante del
Partito Socialista Unitario di Turati e Treves, collabora al "Corriere
degli Italiani" e svolge attiva propaganda antifascista: i1 20 maggio
1927 promuove un comizio socialista con Modigliani, Treves, Di
Vittorio, Nenni, cui intervengono 600/700 persone; partecipa al
Congresso di Berna del 24 febbraio 1929, come fiduciario della
Gioventù socialista italiana; il 24 marzo 1929 organizza ad Argenteuil
una riunione per protestare contro il plebiscito in Italia e festeggiare il
compleanno di Claudio Treves, a cui interviene Modigliani; al
congresso della Concentrazione di quell’anno propone, affinché la
gioventù emigrata sia sottratta all'azione dei Fasci all'Estero, di
costituire un raggruppamento giovanile antifascista sportivo-ricreativo
per Parigi e il dipartimento della Senna, studiando la possibilità di
estenderlo agli altri centri di emigrazione in Francia, e si incarica di
raccogliere le adesioni che, secondo gli informatori della polizia,
ammonterebbero a circa 200 con a disposizione la somma di 3000
franchi per l'affitto di una sala e per le attrezzature. Si devono a lui
anche altre iniziative:l'istituzione ad Argenteuil di una Università
Popolare che tiene conferenze ogni 15 giorni; la proposta di inviare
una cinquantina di figli di emigranti in una colonia marina francese;
l’apertura in un locale della Concentrazione di un gabinetto di visite
mediche gratuite; la raccolta di fotografie e di dati di personalità
fasciste residenti in Francia; l’invio di un memoriale al Ministero degli
Esteri sugli abusi e provocazioni delle autorità fasciste in contrasto
con le convenzioni internazionali a danno degli emigranti non fascisti.
Nel 1929 per la grave disoccupazione che affligge l’Italia, dietro sua
richiesta fa giungere circa 170 operai di Lovere in maggioranza
antifascisti e che in molti non torneranno più in Italia. Nel 1930
produce la pellicola "Il terrore fascista” accompagnando la proiezione
con conferenze nei cinematografi popolari della regione. Questo
attivismo allarma l'Ambasciata a Parigi che lo tiene sotto assidua
sorveglianza: nel febbraio1930 comunica che invia clandestinamente
opuscoli e giornali antifascisti in Italia e riceve fuorusciti nella sua
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abitazione, il 2 agosto che "indice a Argenteuil riunioni periodiche
culturali della Università Popolare alla quale appartengono giovani
socialisti della regione”, i quali “il 29 giugno fecero una gita
campestre a Fontainebleu”, che la sera del 18 settembre 1931 “la
Sezione socialista francese e italiana in Argenteuil organizzarono un
intrattenimento familiare per commemorare Jaures e Matteotti.
Presenti un centinaio di socialisti francesi e italiani con le famiglie”,
il 12 ottobre che “Ai giovani socialisti suole tenere delle conferenze in
sale di piccoli cinematografi,prese in affitto nei quartieri operai nei
giorni feriali, perché funzionano solo i festivi. Risulta che qualche
volta illustra le conferenze con proiezioni luminose servendosi di
materiale della Concentrazione, costituito da fotografie di incendi di
sedi di organizzazioni sovversive e di alcuni episodi avvenuti in Italia
all'avvento del Fascismo”. Dal 1933 è delegato della Federazione del
dipartimento del Nord (Lille) della LIDU (Lega diritti dell’uomo), di
cui è presidente Carlo Rosselli. Nel frattempo si è sistemato sul piano
economico gestendo in società con altri un negozio di generi
alimentari d'origine italiana. Nel 1938 cessano le segnalazioni della
polizia sul suo conto. Torna a Lovere nel marzo 1946 per salutare i
concittadini e invitarli a votare per la repubblica richiamandosi a
Turati, Treves, Rosselli e Buozzi, poi rientra definitivamente ad
Argenteuil dove muore nel 1979
FONTI Archivio Centrale dello Stato, Casellario Politico Centrale
M.Franzinelli, Lotte operaie in un centro industriale lombardo : il
proletariato loverese dal biennio rosso ai primi anni Cinquanta, 1987,
p. 25-26
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Indice
Dino Rondani “commesso viaggiatore” del socialismo
Gli inizi dell'attività politica nel socialismo milanese, 6; Il movimento
operaio e socialista biellese, 9; La “conquista” del biellese, 15; Nella
svolta reazionaria di fine secolo, 22; Il ’98 a Milano, 25; Dall’esilio al
ritorno nell'Italia giolittiana, 29; ”Ispettore” dell'emigrazione, 33; Tra
impresa libica, Grande guerra, dopoguerra, 43; L’esilio a Nizza, 44;
Nel secondo dopoguerra, 48
Fausto Pagliari: tracce per una biografia politica
L’”Umanitaria" e le riforme nella società industriale, 50; Il salotto
della signora Anna e il sindacato di Rinaldo Rigola, 52; Gli impiegati
delle organizzazioni operaie, 55; Beneficenza rossa, 58; Bolscevismo
e problemi del dopoguerra, 61; Bibliotecario all’Università Bocconi,
62
Alberto Jacometti, vita di un socialista “scomodo”
1. Gli anni della formazione L’infanzia in cascina e l’influenza
tolstoiana, 66; Lo sciopero agrario del 1920, 68; L'impegno politico
(1924-25), 72; Da Barcellona a Torino (1926), 77
2.Nell'emigrazione Fuoruscito a Parigi (1927-1929),81; "L'Iniziativa"
(1928), 83; L’emigrazione a Bruxelles (1929-1941),86; "Problemi
della rivoluzione italiana"(1931-39), 93; Il rapporto con Camillo
Berneri (1935-36), 95; Guerra civile in Spagna e invasione nazista
(1936-41), 101
3. Dalla guerra di liberazione al Fronte popolare Ventotene (194143),104; Nella Resistenza (1943-45), 109; Dal 25 aprile (1945) al 18
aprile (1948) e l’elezione alla Costituente, 115
4 Segretario nazionale del PSI Il congresso di Genova del 1948 e
l'elezione a segretario, 120; La lotta su due fronti. Frazionismo di
destra e di sinistra, 123; Politica internazionale e opposizione al patto
198
atlantico, 125; I convegni programmatici e organizzativi, 127;
Problemi interni e rottura con il Comisco, 129; Bilancio della
Segreteria Jacometti, 132
5. Gli anni della politica unitaria Il Congresso di Firenze del 1949,
135; Dal congresso di Bologna a quello di Venezia (1951-57), 140; Il
viaggio in URSS (1952), 145; Attrazione del Sud. Comizi elettorali in
Puglia e Sicilia (1949-53), 148; Il tempo libero: dall’ENAL all’ARCI
(1953-1957), 152
6. Dal centrosinistra a Craxi La società italiana in trasformazione e
l'alternativa socialista (1957-64), 156; Il Partito unificato. Presidente
della Società editrice Avanti! (1965-1968), 164; Dalla nuova scissione
alla segreteria Craxi(1969-80), 167
7. Gli anni ’80 e gli ottanta anni, 172
Schede biografiche
Giuseppe Liboi, 176
Ugo Osvaldo Maffioli, 177
Galli Alessandro, 179
Ghezzi Ernesto, 181
Mario Guarnieri, 183
Francesco Mariani, 186
Gaetano Gambini, 188
199