روﺳﺟﻟا ﺔﯾﻌﻣﺟ Sunti dalla tavola rotonda “Donna araba tra stereotipo e

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روﺳﺟﻟا ﺔﯾﻌﻣﺟ Sunti dalla tavola rotonda “Donna araba tra stereotipo e
Associazione pontes
‫جمعية الجسور‬
Sunti dalla tavola rotonda
“Donna araba tra stereotipo e realtà”
Gli attori delle migrazioni internazionali delle forze di lavoro sono gli uomini. L’avventura migratoria
delle donne è stata prevalentemente quella della “famiglia ricongiunta”. In particolar modo questo
modello è quello della donna araba musulmana in Italia che è arrivata negli anni 90’ con l’attuazione
della legge Martelli.
La donna araba musulmana immigrata in Italia oltre alla sfida doppia da affrontare tutti i giorni di
fronte alla società essendo sia donna sia immigrata, deve anche subire uno sguardo pieno di stereotipi
che la mette ancora di più ai margini della società. Questi stereotipi che fanno nascere dei forti
pregiudizi ostacolano in modo rilevante il suo processo di integrazione.
Questo tema è stato al cuore del dibattito che sabato 14 marzo 2009 ha coinvolto donne arabe,
persiane, musulmane e studiose, operatrici e donne italiane durante la tavola rotonda sul tema della
“Donna araba tra stereotipo e realtà” organizzata dall’associazione PONTES dei Tunisini in Italia in
collaborazione con la Provincia di Milano e la redazione di YALLA Italia.
La donna immigrata vive spesso l’immigrazione come una promozione del suo statuto di donna. Ma
l’immagine positiva che potrebbe avere di se stessa, nel caso delle donne arabe musulmane non è
confortata dalla società di accoglienza. Infatti, la spada di Damocle dei pregiudizi sulle condizioni della
donna musulmana impedisce spesso a questa donna di aprirsi e a intraprendere un percorso di scambio
nel contesto migratorio.
La diffusione di giudizi distorti e tendenziosi attraverso un modo parziale e inadeguato di rappresentare
il mondo musulmano continuamente ripresi dai mass media stigmatizza la donna araba che cerca di
sfuggire a questo sguardo spesso alterato che la società italiana gli porta.
Alcuni degli stereotipi che sono stati presentati sono quelli che considerano la donna araba come donna
sottomessa, abusata e di secondo ordine nell’ambito famigliare. Se porta il velo allora è soggiogata dal
marito e dall’islam, se non lo porta invece è considerata come occidentalizzata negandoli la sua identità
“originale”.
Sumaya Abdel Kader, autrice del libro “porto il velo e adoro i queen” (Edizioni Sonzogno, Milano,
2008) leggendo alcuni estratti del suo libro ha illustrato con ironia pungente queste “piccole immagini”
che si formano nella percezione dell’altro. La scrittrice ha raccontato, con un sorriso, alcuni degli
stereotipi sulle donne musulmane che portano il velo riportando lo stupore che hanno alcuni italiani nel
rendersi conto che una donna velata possa comprare lingerie attillata, che non sia la badante ma la
madre delle sue due bambine, che sia italiana e non extracomunitaria. Storie di donne intimamente
libere di vivere le proprie tradizioni e credenze ma che vorrebbero integrarsi a vari livelli nella società
italiana senza per tanto doversi giustificare in continuazione.
Fatti di cronaca che raccontano delle difficoltà di donne in alcuni paesi arabi sono stati ribaditi, come i
delitti d’onore o l’infibulazione delle bambine, per denunciare ogni tipo di violenza inaccettabile,
ricordando però che il mondo musulmano non è un blocco monolitico, anzi si tratta di una minoranza
di paesi nei quali esistono ancora queste pratiche raccapriccianti e imperdonabili che non hanno nulla a
che vedere con l’Islam. E non sono per nulla indicative né della condizione né della posizione delle
donne nella cultura arabo-musulmana.
Associazione pontes
‫جمعية الجسور‬
Riprendendo le parole della regina Rania di Giordania, Ouejdane Mejri, presidente dell’associazione
PONTES dei tunisini in Italia ha ribadito che “Donne, attiviste, organizzazioni non governative e
programmi di riforma stanno sfidando le discriminazioni contro le donne e stanno compiendo grandi
passi in avanti, alcuni più veloci di altri. Però ci stiamo tutte muovendo nella stessa direzione”.
“Sono le storie strazianti di violenze subite che troviamo sugli scaffali delle librerie, scritte dalle stesse
donne musulmane che aiutano ad alimentare i pregiudizi” ricorda l’iranista e islamologa Anna Vanzan,
autrice del libro “La storia velata, donne dell’islam nell’immaginario italiano” (Edizioni Lavoro, Roma,
2006). Il ruolo delle donne stesse nel diffondere nella società occidentale questo tipo di immagine
stigmatizzata è contrapposto a quello di chi vorrebbe abbattere gli stereotipi, ribadisce la prof.ssa
Vanzan. Non bisogna, infatti, negare che basta un fatto di cronaca oppure una testimonianza lancinante
per generare un’impressione fissa e immutabile, un costrutto indiscriminato che assimila vari tipi di
esperienza in un unico concetto sulla base di una somiglianza fallace. “È importante che la voce delle
donne che vivono nei paesi di origine ci giungano per sentire storie autentiche di chi ci potrebbe
testimoniare di una realtà lontana dalla nostra” conclude Anna Vanzan.
Una breve carrellata sull’immagine della donna nel cinema egiziano presentata da Ouissal Mejri,
ricercatrice al DAMS all’Università di Bologna, ha mostrato come dalla sua nascita, cioè dal 1907,
questo cinema ha offerto alle donne ruoli da protagonista sia dietro sia davanti alla telecamera.
Attraverso una forte attinenza alla realtà, le donne hanno assunto ruoli di serial killer, di ingenue
studentesse, di donne della campagna dilaniate in storie d’amore impossibili, di femmes fatales che
fuggono dalla giustizia, dalla società o da se stesse. Attraverso immagini tratte da film vecchi e nuovi si
sono visti volti di donne vere che il cinema egiziano non ha mai nascosto, anzi che ha spesso messo al
centro delle sue storie.
Due modelli di donne musulmane che sembrano lontanissimi ma che sono apparsi sorprendentemente
molto simili sono stati presentati. Il modello della donna tunisina, che ha ottenuto tutti i suoi diritti dal
1956 e oggi è che viene considerata alla pari delle donne occidentali; esempio che negli ultimi anni ha
ispirato i riformatori in altri paesi arabi come il Marocco.
Dell’evoluzione della situazione della donna iraniana dal 1979 fino ad oggi ha parlato l’antropologa
iranista Sara Hejazi, di padre iraniano e mamma italiana, autrice del volume “l’Iran s-velato”. Ha
illustrato il ruolo da protagonista della donna iraniana in quello che ha definito “una rivoluzione
culturale e di genere”, che nel tentativo di costruirsi un’identità propria, nell’amalgamarsi di utopie
politiche ha partecipato in prima linea alla rivoluzione “inizialmente non islamica ma ideologica”
dell’Iran del 1979. Donne che oggi sono in gran parte residenti all’estero dopo una fuga dal regime
islamico di Khumeyni, quando invece quelle che sono rimaste riempiono al 65% le università, svolgono
mestieri da uomini ma sono anche la maggioranza dei guardiani della rivoluzione.
Dal mondo di origine all’Italia, un’immagine della storia e dell’identità delle donne arabe
giunge in parte vera e in parte distorta. Il confine tra lo stereotipo e la realtà è molto sottile.
“È vero che le donne all’interno del mondo arabo non hanno ancora gli stessi diritti degli uomini”
conclude Ouejdane Mejri, “ma è alquanto vero che tanti di questi paesi hanno fatto degli enormi
progressi”. “Costruire degli stereotipi è il risultato di un processo normale del pensiero umano, però la
proliferazione dei pregiudizi è il primo ostacolo che devono affrontare delle donne spesso disarmate in
un contesto migratorio già difficile di per se. Il processo di integrazione deve essere accompagnato da
una delucidazione di questi preconcetti onde evitare di fomentare l’odio e l’intolleranza”.