INNOVARE NELLA FORMAZIONE MANAGERIALE Quali

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INNOVARE NELLA FORMAZIONE MANAGERIALE Quali
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economia & management 1 - 2013
focus>forum
INNOVARE NELLA
FORMAZIONE MANAGERIALE
Quali sinergie tra scuole di
management e corporate learning
focus>Forum
a cura di:
manuela brusoni
SDA Bocconi,
Public Management and Policy
[email protected]
HANNO PARTECIPATO AL FORUM:
MARCO COCCAGNA Managing Director ENI Corporate University
SIMONA ERBA Training School Manager TEC Robert Bosch
ALBERTO GRANDO Deputy Rector for Development, Università Bocconi
FRANCESCO MANTOVANI Senior Vice President Human Resources Development
and Education di Finmeccanica
SDA Bocconi,
Public Management and Policy
[email protected]
VLADIMIR NANUT Presidente Asfor
ANNA SIMIONI Responsabile Corporate Learning di UniCredit, Chief Executive
Officer di UniManagement
GIANLUCA SPINA Presidente MIP
L’IDEA DEL FORUM NASCE DA DUE PROSPETTIVE: DA UN LATO
L’ATTIVITÀ DI RICERCA CHE ASFOR SVOLGE DA DIVERSI ANNI IN
ITALIA SULL’OFFERTA E SULLA DOMANDA DI FORMAZIONE MANAGERIALE, DALL’ALTRO I TEMI EMERGENTI DALLE CONFERENZE ANNUALI DI EFMD1 E AACSB,2 DUE PRINCIPALI NETWORK
CHE RAGGRUPPANO LE SCUOLE E LE UNIVERSITÀ CHE OFFRONO PROGRAMMI IN “BUSINESS AND MANAGEMENT”. IL FOCUS
DEGLI INCONTRI RECENTI È STATO “COME DAR FORMA ALLA
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niccolò cusumano
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innovare nella formazione manageriale
management education del futuro”, come riorientarla
nei contenuti e nell’efficacia, come aprire le Scuole di
Management (SoM) e la formazione interna delle
aziende a modalità più collaborative di ideazione e realizzazione di progetti di formazione manageriale, come
identificare le competenze chiave da sviluppare: in sintesi, appunto, come innovare. Durante
le sessioni dell’Annual Conference di
AACSB la discussione si è anche focalizzata sulla sfida che fronteggia oggi la
formazione manageriale, che combina
la necessità di costruire una cultura
della creatività e sviluppare il potenziale creativo di ciascun individuo, di coniugare un alto grado di personalizzazione con una diffusione capillare, e, al
contempo, di mantenere il controllo
sui costi.
Sul fronte aziendale la letteratura e le
posizioni degli esperti sul tema affermano che la capacità di un’impresa di competere con successo sul mercato
dipende dalla sua capacità di essere “allineata” all’ambiente esterno. L’allineamento non è un processo passivo
di adattamento, ma la ricombinazione originale tra espe3
rienza aziendale e conoscenza esterna. Il vero vantaggio
competitivo non risiede quindi nella sola eccellenza tecnologica o di prodotto, ma nella capacità delle persone di
combinare, in maniera flessibile e rapida, il proprio
know-how in processi integrati orientati verso un obietti-
vo comune aziendale. La formazione, in questo senso,
può giocare un ruolo importante nell’equipaggiare gli individui e l’organizzazione con le competenze necessarie
per riuscire a fare leva sulla propria esperienza, riuscire
a riconoscere e valorizzare la nuova conoscenza, trasformarla e sfruttarla.
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Il vero vantaggio competitivo
risiede nella capacità delle
persone di combinare il proprio
know-how verso un obiettivo
comune aziendale
1. European Foundation for Management Development, sito Internet
http://www.efmd.org
2. The Association to Advance Collegiate Schools of Business, sito Internet http://www.aacsb.edu
3. Si veda, per es., il tema dell’absorptive capacity trattato da Cohen
W.M., Levinthal D.A., “Absorptive Capacity: A new perspective on learning and innovation”, Administrative Science Quarterly, 35(1), 1990,
pp. 128-152; Lane P.J., Lubatkin M., “Relative Absorptive Capacity and
Interorganizational Learning”, Strategic Management Journal, 19,
1998, pp. 461-477; Todorova G., Durisin B., “Absorptive Capacity: Valuing a reconceptualization”, Academy of Management Review, 32(3),
2007, pp. 774-786; Wood R., Bandura A., “Social Cognitive Theory of Organizational Management University of New South Wales”, Academy
of Management Review, 14(3), 1989, pp. 361-384; Zahra S.A., George
G., “Absorptive Capacity: A review, reconceptualization, and extension”,
Academy of Management Review, 17(2), 2002, pp. 185-203; l’innovazione quale processo di allineamento all’ambiente esterno: Fiol C.M.,
Lyles M., “Organizational Learning”, The Academy of Management
Review, 10(4), 1985; e interno all’organizzazione: Schein E., “Three Cultures of Management: The key to organizational learning”, Sloan Management Review, 1996, pp. 9-20.
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Poiché la velocità del cambiamento è cresciuta notevolmente e non segue più una traiettoria lineare, è diventato indispensabile contare su persone con flessibilità e
adattabilità tali da poter rispondere adeguatamente ai
cambiamenti esterni, persone in grado di sviluppare in
maniera originale nuove idee – creatività – e di metterle
in pratica – innovazione. Tali qualità non possono più essere attributi di un’élite ristretta, ma devono essere sempre più diffuse come empowerment collettivo.
Di qui la sfida di conciliare un’ampia diffusione della formazione, anche su temi avanzati, in fasce più ampie della
popolazione aziendale, e allo stesso tempo di riuscire a
fare apprendere profili eterogenei per percorso educativo, età, qualifica professionale, con attitudini e modalità
di apprendimento, learning style, diversi. Si impone, perciò, una sorta di personalizzazione di massa (mass customization) della formazione al fine di ottenere i migliori
risultati possibili in termini di efficacia e di generazione
di valore. Occorre, tuttavia, considerare anche l’efficienza
di un processo formativo di questo tipo. È possibile riuscire a coniugare personalizzazione e controllo dei costi,
superando quindi il trade-off che di fronte a un’iniziativa
efficace, ma troppo costosa, porta l’organizzazione a scegliere opzioni subottimali?
In tal senso un’opportunità viene individuata nell’ICT
che, da semplice strumento di supporto alla didattica,
può diventare un linguaggio a sé stante in grado di per-
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mettere di erogare formazione on-time, on-demand, in4
corporata nel contesto lavorativo. La possibilità di accedere ai contenuti di cui più si ha bisogno nel momento
in cui servono trasformerebbe, inoltre, il ruolo stesso dell’educatore e dell’attività d’aula da momento in cui viene
trasferita la conoscenza a momento in cui quanto appreso in autonomia viene ricontestualizzato e messo in relazione con il gruppo.
Ken Robinson sostiene che “le scuole
non possono essere più un ghetto accademico. Uno dei principi per trasforma5
re l’education sono le partnership”. La
collaborazione tra Corporate University
6
(CU) e SoM permetterebbe un maggiore sviluppo di capacità che uniscano la
profondità funzionale delle competenze/conoscenze all’ampiezza necessaria
per gestire processi trasversali all’impresa (in modo figurato queste capacità
vengono definite a forma di T, o T-shaped skills, concetto
ampiamente ripreso durante l’Annual Conference di
EFMD (figura 1).
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Lee e Choi ritengono, infatti, che le T-shaped skills costituiscano un driver della performance organizzativa, in
quanto permettono a chi le possiede di integrare conoscenze pratiche e teoriche, nonché di migliorare la comunicazione tra diverse funzioni aziendali e quindi generare nuova conoscenza. In questo contesto, la corporate
La collaborazione tra Scuole
di Management e Corporate
University può essere una via
per innovare la formazione
manageriale?
t-shaped skill
Ability to apply knowledge across situation
BROAD
STRATEGIC
AWARENESS
BUSINESS
UNDERSTANDING
INFLUENCING
SKILLS
D
E
E
P
fonte: elaborazione degli autori
LEADERSHIP
Functional/
Disciplinary
skills
4. Armstrong, S. J., Sadler-Smith E. “Learning on Demand, at Your
Own Pace, in Rapid Bite-Sized Chunks: The Future Shape of Management Development?”, Academy of Management Learning & Education, 7(4), pp. 571-586.
5. Robinson K., Out of Our Minds, Learning To Be Creative, Capstone
Publishing, 2011, p. 264.
6. Utilizziamo qui l’acronimo CU per includere idealmente per esteso,
anche se non formalmente costituite in unità ad hoc, le funzioni/unità
aziendali che si occupano di formazione e sviluppo del personale.
7. Lee H., Choi B., “Knowledge Management Enablers, Processes, and
Organizational Performance: An integrative view and empirical examination”, Journal of Management Information System, 20(1), 2003,
pp. 179-228.
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figura 1
education punterebbe a rafforzare la profondità, mentre
alle scuole sarebbe richiesto di intervenire sull’ampiezza,
l’interdisciplinarità.
In altri termini, la collaborazione tra SoM e CU può essere la chiave per innovare la formazione manageriale,
trasformandola in modo da rispondere appieno alle esigenze delle imprese, delle persone e, più in generale,
della società. A questo fine abbiamo coinvolto alcune tra
le principali realtà italiane rappresentative del mondo
della management education: il mondo accademico delle
SoM, il mondo aziendale delle CU di grandi imprese italiane e Asfor, l’Associazione per la Formazione Manageriale italiana, per discutere con loro dei temi sopra delineati, a partire da alcune domande.
1. Quale ruolo e quale futuro si può affermare per la forma-
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innovare nella formazione manageriale
zione manageriale nel processo di drastico cambiamento aziendale e sociale? Quale l’innovazione possibile?
2. Come possono collaborare e con quali ruoli CU e SoM?
3. Le nuove tecnologie potranno cambiare la formazione
manageriale? In che modo?
4. È possibile diffondere maggiormente una cultura
della formazione alle piccole e medie imprese (PMI)
che costituiscono il nerbo del tessuto economico italiano? Quale ruolo per Asfor e i suoi associati?
La parola ai partecipanti.
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MANTOVANI Arrivo da Roma. Questa mattina all’uscita B3 dell’aeroporto di Fiumicino campeggiava un cartello con la scritta “è cambiato il modo di leggere il mondo”. È la pubblicità della versione iPad di un
quotidiano, ed è calzante anche per il nostro forum. Fino
a ieri le teorie dell’economia industriale e della gestione
d’impresa erano costruite per dare certezze al management e avevano un approccio deterministico. Adesso è
necessario cambiare il modo di leggere il mondo perché
il mondo, che comunque è sempre stato in divenire, questa volta è cambiato in modo radicale, drastico. La crisi
economico-finanziaria ha colpito tutti, ha accentuato e
accelerato la trasformazione: quello che le teorie prevedevano sarebbe dovuto accadere in vent’anni, in realtà è accaduto adesso, con velocità sorprendente. Anche gli strumenti per la sopravvivenza, o meglio per
la crescita e lo sviluppo dell’impresa,
debbono cambiare. Ritengo che oggi per
le imprese, di ogni dimensione, non ci
sia altra possibilità: o si è in grado di acquisire una posizione di leadership riconosciuta, o ci si conquista una nicchia,
oppure si viene emarginati e si muore!
I due fattori dirimenti per il successo
sono, a mio giudizio, la qualità del management e la capacità di innovazione
continua. Nella tempesta perfetta il comandante e l’equipaggio fanno la differenza: si arriva in porto solo se le persone sanno quello
che devono fare e lo fanno. È in tali situazioni che i punti
di riferimento predefiniti hanno sempre meno valore.
Provocatoriamente, il valore dell’esperienza potrebbe essere visto addirittura in termini negativi; quasi una remora, nel momento in cui ciò portasse l’impresa a un ap-
proccio conservativo, invece che all’apertura necessaria
per cogliere quei segnali deboli che, se adeguatamente
interpretati, possono consentire di inserirsi in aree di
mercato emergenti. È sufficiente questo per invocare una
distruzione creativa anche per il management? Evidentemente no, ma concordo sulla necessità, oggi, di privilegiare competenze manageriali ben radicate in un sapere
tecnico e pratico, richiamato, come si è detto, nel concetto di T-shaped skill.
Proverò più avanti a suggerire un’evoluzione della T in
un’altra lettera dell’alfabeto, il “Pi-greco”, arrivando ad aggiungere una seconda gamba verticale, sempre di natura
tecnica ma parallela a quella già presente, che contenga,
in nuce, gli elementi base di una nuova competenza contigua, ma più rispondente alle possibili diverse esigenze
del business. Sono quindi necessarie competenze, flessibilità e proattività: bisogna essere molto bravi in quello
che si è chiamati a fare ora, ma anche altrettanto pronti
a trasformarsi in poco tempo in quello che potrebbe servire. Va da sé che, sia che si parli di T o di Pi-greco, oltre
alle competenze specialistiche attuali e di immediata prospettiva, rimane fondamentale quanto è rappresentato
dal tratto orizzontale della lettera, che si conferma il fattore abilitante per consentire il crescere, lo svilupparsi e
il rinascere in possibili nuovi mestieri “attigui”. Con l’allungamento della vita lavorativa, la vita professionale diventa un insieme di vite professionali, una sorta di restyl-
“Creatività ordinata” vuol dire
capacità di dare risposte efficaci
qui e ora, ma con un’antenna
costantemente orientata
sul domani
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ing continuo e arricchito del profilo di competenza delle
persone.
Allora, come innovare la formazione manageriale? La
mia proposta è che la formazione manageriale si attrezzi per promuovere una “creatività ordinata”: un modo di
operare che sia in grado di presidiare l’oggi, ma che
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la crescita di tutto il “sistema” stimolando piena consapevolezza in tutta la filiera produttiva e formativa: chi resta
indietro riduce il vantaggio competitivo di tutti, perché
appesantisce l’intera filiera (è la nave più lenta che impone la velocità a tutto il convoglio).
GRANDO Condivido senza alcun dubbio il fatto
che sia necessario introdurre innovazione, sotto diverse forme: innovazione non solo tecnologica, come strumento per aumentare la fruibilità e l’accessibilità della formazione manageriale, ma anche innovazione di formati e
contenuti. Noi, come scuole di management, siamo oggi
stimolati a garantire maggior sofisticazione nei contenuti, dopo un ciclo di vita di circa trent’anni in cui abbiamo
costruito la nostra offerta su un nucleo centrale di strumenti di management fondamentali. Oggi le aziende, soprattutto le grandi, ma sempre di più anche le piccole e
medie, esprimono fabbisogni formativi sofisticati. Sono
esposte, tra l’altro, a opportunità di formazione a livello
globale, superando il vincolo del riferimento locale. Dal
nostro punto di vista è essenziale, da un lato, non essere
solamente intermediari di conoscenza sviluppata altrove,
ma rinforzare una nostra capacità di sviluppo originale,
per apportare contributi concreti e tangibili. Dall’altro
dobbiamo immaginare dei formati che siano i più efficaci e adeguati per le aziende, che stanno vivendo in un
mondo completamente diverso. Rispetto al passato, solo
per fare un esempio, vedo alcuni nostri studenti iscritti all’executive MBA o all’MBA serale, che dopo tre mesi di
corso vengono spostati in Kazakhstan per sei mesi, nella
filiale in India o in Nigeria, e questo evidentemente impone un cambiamento anche alla nostra offerta.
Tornando ai contenuti, accanto alla capacità di prepararsi al futuro, all’inatteso, dobbiamo anche equipaggiare le
persone con strumenti che consentano, con un gioco di
parole, di “mitigare il rischio di prendersi il rischio”. Mi
spiego meglio: gli imprenditori e i manager, poco propensi al rischio in un momento come questo, in cui pianificare è praticamente impossibile, devono essere aiutati ad assumere decisioni anche rischiose in maniera equilibrata, con strumenti di lettura e capacità di formulare
approcci flessibili, di bilanciare dinamiche contrastanti.
Quindi, con riferimento alla competenze T-shaped, l’orizzontalità è fondamentale ovunque: la capacità di lavorare
in gruppo, la capacità di gestire le persone e guidarle ai
risultati, la capacità di pensiero critico e riflessivo sono
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abbia lo strabismo virtuoso necessario a percepire quello che servirà nell’immeditato futuro. Deve dare, quindi,
risposte efficaci qui e ora, ma con un’antenna costantemente orientata sul domani. In questa situazione ciascuno degli attori, l’azienda, l’università, la scuola di management, deve giocare in maniera diversa ma sinergica il proprio ruolo. L’impresa dovrebbe essere un po’ più
focalizzata sull’oggi e restituire il vissuto dell’esperienza. Le scuole di management dovrebbero proporre
un’offerta che rappresenti lo stato dell’arte a livello mondiale. In un’arena competitiva globale la dimensione
aziendale non è mai sufficiente: tutti, piccoli e grandi,
siamo interessati e condizionati da dove sta andando il
mondo e dall’impatto delle esperienze vincenti. Le università dovrebbero mantenere e rafforzare la capacità di
guardare lontano, fornendo anche prospettive di discontinuità; la capacità di astrazione teorica. Astrazione basata, però, su una partnership vera con il mondo produttivo, da attuare attraverso un confronto e scambio continuo nel quale si attenuino le distanze e si annulli l’autoreferenzialità, per avere, finalmente, risposte concrete a
domande reali.
Passando alla spesa per la formazione manageriale, nella
mia percezione, basata sulle dirette esperienze in materia, non sta subendo sostanziali contrazioni, grazie anche
all’apporto in Italia dei fondi interprofessionali che aiutano a integrare le risorse aziendali. Ma bisogna spendere
meglio, con una maggiore attenzione non solo ai vari
segmenti di popolazione aziendale, ma anche alle diverse fasi della vita professionale. Questo significa mantenere viva l’attitudine al refreshment e all’innovazione delle
competenze fino all’età più avanzata, ormai in Italia fino
alla soglia dei settant’anni. È necessaria, quindi, una crescente focalizzazione sull’aggiornamento continuo dei
contenuti ma anche – e non è secondario – degli strumenti e dei metodi. Sappiamo bene che in tale contesto
le nuove tecnologie possono assumere un ruolo sempre
più strategico.
Per concludere la mia ricognizione sui temi proposti, vorrei toccare il ruolo dell’Asfor, che ritengo debba sempre
più essere orientato a diffondere e valorizzare le esperienze più avanzate delle imprese ma anche delle scuole
e delle università, a vantaggio dell’intera platea dei suoi
associati. L’Asfor, infatti, sostenendo la cultura della formazione manageriale e dell’innovazione attraverso la
condivisione delle prassi migliori, potrà meglio favorire
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sempre più importanti. Tuttavia il tratto verticale della T
non può essere abbandonato dalle scuole di management, ma ancor più valorizzato. Temo infatti che, per rinforzare il tratto orizzontale, in alcuni casi si perda in profondità e in possibilità di essere incisivi: per affrontare fenomeni complessi ci vuole una base di competenze forte.
Alcune scuole e l’università, a valle della
riforma, hanno costruito programmi su
temi di moda, o su temi ritenuti molto
advanced, dimenticandosi però che
prima ci sono i pillars, i fondamentali; è
un approccio che genera una preparazione di base superficiale e insufficiente. Avere competenze fondate è ciò che
dà sicurezza per affrontare scelte manageriali in maniera appropriata e serve
anche come base per riqualificare la propria formazione nel futuro.
Abbiamo vissuto un’epoca in cui eravamo molto orientati alle hard skill, poi il pendolo, come sempre avviene, è
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oscillato decisamente verso le soft skill; oggi credo che
per fronteggiare in maniera consapevole un futuro indubbiamente incerto sia necessario avere una grande attenzione al bilanciamento tra queste due componenti,
perché quando prevale una rispetto all’altra ci si espone
all’incapacità di cogliere compiutamente gli elementi di
complessità in gioco e, a volte, si cade nella trappola del
semplicismo e nell’illusione che tutto sia facilmente gestibile con un qualche kind of magic.
Lo stesso vale per i format, l’utilizzo di metafore a volte
molto interessanti, accattivanti e “sexy”, spesso scivola
nella deriva ludica in cui l’involucro prevale sul contenuto. Ci sono strumenti potentissimi, efficacissimi, ma non
si deve dimenticare che dentro una bella scatola, con un
bel fiocco, ci vogliono contenuti robusti da trasmettere.
ERBA Mi collego direttamente a quanto diceva Alberto Grando sul ritorno ai fondamentali. In qualità di responsabile di TEC, la scuola di formazione del
Gruppo Bosch in Italia, posso affermare che questa è
un’esigenza che noi sentiamo molto; infatti è un percorso che abbiamo deciso di intraprendere già da un anno a
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Gli imprenditori e i manager
devono essere aiutati ad
assumere decisioni anche
rischiose in maniera equilibrata
8. Nostra trascrizione da un’intervista a Henry Mintzberg presso MIT
nel 2005, disponibile su http://mit.tv/zWLrk4
“Q: Soft skills, is it possible to integrate them in MBA?
A: Business Schools tried to do this by at least 30 years now going
nowhere, in our program we do not talk about soft skills, what we do is
about management practice, where soft skills are there all the time, we
don’t have to bring it in. It is like courses of ethics that are dropped close
to other 12 courses on shareholder value, we don’t make programs ethics
by including a course on ethics.
In a natural managerial program, where managers are learning from
their experience, bringing in use all the conceptual ideas that come out
from research, soft skills are naturally there, ethics come up all the time
against this decomposition of subjects as if they are not intertwined.”
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questa parte, soprattutto per la formazione rivolta ai nostri collaboratori. Noi abbiamo una doppia anima, ci rivolgiamo sia al mercato esterno sia, chiaramente, allo
zoccolo duro dei nostri collaboratori. Abbiamo impostato
questa formazione back to basic da un anno e mezzo
circa. Ora, dopo la fase di sperimentazione, devo ammettere che da parte dei nostri collaboratori, pur apprezzando la qualità dell’offerta, sta nascendo l’aspettativa di trovare anche qualche aspetto, come si diceva, più “sexy”
nella nostra offerta formativa. Come scuola di formazione veniamo valutati e riceviamo feedback dai nostri collaboratori; la nostra riflessione è su quale strada alla fine
sia più corretto incamminarsi: se, oltre ai contenuti fondamentali, dobbiamo optare per involucri che possono
essere più suggestivi. Naturalmente siamo consapevoli
che ciò dipende da quali obiettivi ci si dà: se l’obiettivo è
di breve, forse la strada più semplice è cercare le valutazioni positive infiocchettando contenuti tradizionali con
modalità innovative. Oppure, laddove è difficile innovare
nei contenuti, ci si accontenta in un certo qual modo di
innovare l’involucro, che forse è la strada più semplice e
di riscontro immediato. A questo proposito, nei percorsi
dove il trattino della T vuole essere più fondante e d’impatto, da quest’anno ci rivolgeremo alle scuole di management come partner coprogettanti i nostri programmi,
i nostri percorsi fondamentali. Abbiamo un percorso
“fiore all’occhiello” a livello internazionale per i giovani
manager denominato LEAD basato su tutti gli strumenti di leadership che un giovane futuro manager deve
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SIMIONI Riparto anch’io dai fondamentali. Quando siamo nati abbiamo avuto il compito di occuparci di leadership. E ci siamo interrogati a fondo sul suo
significato. Questo ci ha portato a spostarci dalla prospettiva della formazione, del “che cosa” insegnare, alla prospettiva dell’apprendimento: assicuro che non è una questione semantica, ma di sostanza. Se il focus non è più
chi forma, ma diventa chi apprende, cambia completa9
mente il modo di disegnare le attività. La logica non è
più ciò che trasferisco, ciò che insegno, ma come faccio
sì che le persone imparino. Ecco allora che persone con
preparazione e ruoli totalmente tecnici, non esperti di
“formazione”, come per esempio i miei colleghi, investment banker o responsabili delle relazioni con gli investitori, riescono a disegnare un corso di Strategic Finance
completamente diverso, perché costruiscono un’esperienza di apprendimento che alla fine porta le persone a
“sapere in modo diverso”, a imparare realmente. Posso
portarvi alcuni esempi. Adesso nel corso di Strategic Finance ci sono attività con i cruciverba, con la battaglia navale, ci sono modalità per fare interagire e imparare le
persone molto semplici, per nulla metaforiche, perché a
guidare non è la logica del divertimento
nel fare altro, ma è cercare di mettersi
nei panni di chi non sa e fargli crescere
la voglia di imparare anche contenuti
non così glamour e attrattivi. Questo
spostamento di attenzione è efficace su
contenuti sia molto tecnici sia manageriali. Anche in questo caso consideriamo l’apprendimento un processo, non
un evento. Se vogliamo che le persone
imparino non possiamo limitarci a erogare un corso, ma costruiamo le condizioni per mantenere attivo il processo di
apprendimento. Abbiamo perciò costituito una community di persone che hanno partecipato, per esempio, al
corso di Finanza Strategica, e che ogni tre mesi, in corri-
spondenza dei risultati trimestrali, partecipano a una call
conference e ne discutono. Abbiamo ormai circa 360
persone che si collegano e condividono le proprie strategie di comunicazione, sulle conseguenze dei risultati trimestrali per la loro attività.
Vorrei anche sottolineare che, per noi, ciò che fa la differenza è disegnare gli interventi per l’efficacia e non disegnare prima gli interventi e poi misurarne l’efficacia.
Quindi, in primo luogo definiamo esattamente l’obiettivo che dobbiamo misurare sei/nove mesi dopo, e sulla
base di quello progettiamo poi l’intervento. Questo modo
di procedere responsabilizza molto di più chi progetta il
programma perché sente propria anche la responsabilità
del risultato; inoltre, poiché sa che cosa sarà misurato, costruisce fin dall’inizio le condizioni tali per cui la misurazione, poi, non sia gravosa o “scomoda”. Abbiamo iniziato a misurare l’efficacia dal 2008, con risultati più o
meno soddisfacenti, ma con disappunto e disagio da
parte dei miei colleghi: sembrava quasi una cattiveria, un
accanimento indebito alla fine di un corso, anche di successo, chiedere loro di verificare i risultati di efficacia. Ci
ho messo cinque anni a capire che era davvero una tortura farlo così, perché se non hai condiviso prima su che
cosa andrai a misurare i risultati di quell’attività sei/nove
mesi dopo, quando arriva quel momento la richiesta
Introdurre l’efficacia come
elemento di cui tenere conto
nel disegno di un programma
può cambiare il modo
di partecipare delle persone
9. “The task of education is not to teach subjects: is to teach students”
(Robinson K., Out of Our Minds, Learning To Be Creative, Capstone
Publishing, 2011, p. 267).
sembra un inciampo, anche perché si chiede conto di
qualcosa ormai fuori dal campo di azione della formazione, bensì nelle mani di chi applica ciò che è stato insegnato. Chiarisco che la misurazione di efficacia può riguardare sia le persone sia i risultati del sistema organizzato, dipende dall’intervento. Sicuramente riguarda sia la
persona coinvolta sia il responsabile coinvolto.
Abbiamo visto che spostare il focus da formazione ad ap-
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avere: ed è proprio su questo percorso che abbiamo deciso di cooperare con le scuole di management.
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innovare nella formazione manageriale
prendimento e introdurre l’efficacia come elemento di cui
tenere conto nel disegno del corso possono essere due ingredienti che cambiano il modo di reagire e partecipare
delle persone, e quindi anche i risultati. Se fin dall’inizio i
partecipanti sono stati informati e coinvolti sugli obiettivi
e sulla loro successiva misurazione, diventano protagonisti consapevoli e saranno maggiormente
costruttivi nel rispondere a domande
quali: quanto i contenuti sono stati applicati, quanto il lavoro è cambiato, quali
passi ulteriori devono essere fatti? Questo alza indirettamente anche il livello di
partecipazione e la soddisfazione.
Infine, sull’utilizzo delle metafore: se
sono molto sbilanciate, secondo me,
questo rischia non solo di essere inutile
ma deleterio. Soprattutto nelle attività
aziendali di team building, più queste
sono metaforiche, e meno lavorative,
più c’è frustrazione al rientro al lavoro: dopo un’esperienza gradevole, è duro tornare alla normalità. Per quanto
abbiamo verificato, meglio rafforzare le relazioni all’interno di un gruppo attraverso una modalità collaborativa
centrata su temi reali di lavoro.
essere peculiare, però in generale ho sempre sperimentato una richiesta molto forte di essere presenti, o copresenti, negli approfondimenti funzionali.
Questa tendenza si coniuga con un altro fenomeno che
emerge in modo sempre più deciso negli ultimi anni,
cioè il desiderio di collegare sempre di più la formazio-
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Emerge sempre più il desiderio
di rinforzare il ruolo della
formazione manageriale nei
processi strategici di grande
dimensione
SPINA Il tema che stiamo discutendo, e che ci appassiona, è parte di uno scenario più ampio, che
sta chiedendo a tutti di riflettere sul significato della formazione manageriale all’interno della crisi epocale dei
modelli di business e, in generale, del capitalismo. Per
questo voglio ripartire dai punti chiave del forum per portare il contributo della nostra esperienza.
Un primo punto riguarda il modello di competenze a T
o a P-greco, o, aggiungo, a pettine, che, come ricordato,
ha ottenuto attenzione e popolarità nella discussione a livello europeo e internazionale. Nella nostra esperienza
non è una novità: nel momento in cui le imprese stringono delle alleanze, delle partnership con la nostra scuola di formazione manageriale, non si accontentano del
tetto trasversale, ci chiedono una capacità di approfondimento verticale, funzionale. Forse perché la nostra scuola è percepita già a priori con un orientamento specifico
di tipo verticale/funzionale. Se le imprese cercano solo
un elemento di forte trasversalità, di skill manageriali, di
leadership, di capacità di lavorare in gruppo non vengono da noi. Può darsi quindi che sia la mia esperienza a
34
ne ai cambiamenti strutturali, di rinforzare la presenza
e il ruolo della formazione manageriale nei processi
strategici di grande dimensione, di grande impatto per
l’impresa. Recentemente abbiamo partecipato ad alcuni
di questi grandi progetti, contestualmente ai consulenti,
esperienza difficile e nuova. Infatti, quanto succedeva
prima era che, quando l’impresa doveva attuare un cambiamento, ne definiva l’impostazione con il supporto dei
consulenti, i quali, una volta redatto il progetto, secondo
il modello di business prevalente della consulenza, lasciavano il campo… In quel momento l’impresa realizzava che doveva implementare il cambiamento, attuando un piano certamente ben impostato, che però andava
fatto con le persone: solo a quel punto si passava a impostare i programmi di formazione. In tempi recenti, invece, in diversi progetti, il nostro coinvolgimento è avvenuto fin dall’inizio, perché le imprese si rendono conto
che quel precedente modo sequenziale di procedere
porta poi a tante diseconomie, perdite di tempo, difficoltà. Invece coprogettare un intervento di cambiamento
strategico-organizzativo e, insieme, di formazione, si rivela un approccio più funzionale. Faccio alcuni esempi.
Imprese che si sono spostate progressivamente da una
logica di puro prodotto a una logica di prodotto-servizio,
accanto al ridisegno organizzativo e di posizionamento
strategico, hanno dovuto fare anche un intervento sulle
persone per traghettarle dall’essere progettisti, produtto-
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innovare nella formazione manageriale
economia & management 1 - 2013
più intriganti e più coinvolgenti per le famiglie professionali, o per i gruppi di giovani manager. Sono contrario al
luogo comune che la formazione d’aula su un tema specialistico funzionale non sia eccitante come la barca a
vela o l’orienteering nella giungla. Ho avuto esperienze
veramente esaltanti nel dimensionamento fisico dei magazzini automatici, tema che a priori può sembrare una
penitenza, ma che se costruito in un contesto di gioco
competitivo, su scala internazionale, con un progetto
vero in azienda, ha ritorni molto alti.
COCCAGNA Quanto fin qui emerso mi sollecita
una domanda: “perché dobbiamo innovare la formazione manageriale? Che cosa non va, o che cosa è
cambiato?”. Nella nostra esperienza, in ENI, negli ultimi
due anni hanno acquistato netta predominanza alcuni
fattori. Il primo è il tempo, sotto due punti di vista. In
primo luogo le nostre iniziative di business sono progettate e realizzate con un’attenzione alla tempestività decisamente maggiore rispetto al passato. In ENI abbiamo
infatti progetti di business con orizzonti di riferimento
sempre più brevi: si va dalla Saipem che, una volta acquisita una commessa, deve organizzarsi in modo estremamente rapido, alle strutture della divisione ENI Exploration and Production che, una volta ottenute le licenze,
deve operare con grande tempestività nei vari segmenti
operativi. Occorre anticipare l’evoluzione del business e
Occorre anticipare l’evoluzione
del business e investire nello
sviluppo delle professionalità
critiche, sulla base di
prevedibili esigenze future
investire per tempo nella formazione e nello sviluppo
delle professionalità critiche, sulla base delle prevedibili
esigenze future, per sfruttare efficacemente alcune importanti scoperte effettuate, l’ultima “record” per esempio in Mozambico.
Il tempo diventa sempre più importante anche sotto un
35
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ri ed erogatori di prodotti, a progettisti, produttori erogatori di servizi. O ancora casi in cui l’azienda si è progressivamente mossa da un mercato esclusivamente B2B a
un mercato retail, rivoluzionando completamente il proprio assetto, perché i due mercati richiedono logiche
completamente diverse e, a volte, strutture completamente divisionalizzate.
Questi esempi mi portano a dire che, nei fatti, c’è una
naturale collaborazione tra scuole di management e corporate learning. Il punto di attenzione, a mio giudizio, è
un altro. Nella progettazione e nell’erogazione della
gamba verticale fortemente professionalizzante devono
partecipare in pieno sia la scuola sia l’impresa, ma questo non è semplice, per due motivi. Da un lato, le SoM
possono partecipare bene alla costruzione della dimensione verticale solo se hanno una capacità di ricerca che
oggettivamente non tutte le scuole hanno, o almeno,
non per tutti gli ambiti funzionali. Ma è anche vero
l’aspetto complementare: le CU, che possono interpretare meglio il fabbisogno specifico, mettendo in campo
competenze anche di grande qualità e di alto livello,
spesso hanno il problema di cui parlava prima Anna Simioni: cioè che i superspecialisti, gli esperti, non sono
abituati a una logica di efficacia di apprendimento. Inoltre, quando la formazione s’innesta su progetti di sostanziale trasformazione del modello strategico di business, in realtà queste competenze l’azienda non le ha,
quindi ha ancor più difficoltà a presidiare la gamba verticale, funzionale. Forse
queste competenze si potrebbero trovare, invece che nei dirigenti di alto livello, nel middle management, tra gli alti
potenziali, in un altro tipo di popolazione aziendale che però non viene coinvolta. Concludo sul tema della T o del Pgreco dicendo che, secondo me, deve
essere riletto con questa chiave di fortissima complementarità, più sull’aspetto
funzionale che non sull’aspetto trasversale, anche perché, mentre fino a circa
cinque anni fa gli interventi si progettavano con i referenti della funzione HR, oggi al tavolo abbiamo direttamente i clienti interni.
Rispetto al tema dell’appeal delle varie metafore utilizzate negli ultimi dieci/quindici anni, la mia esperienza è
che gli approfondimenti funzionali ben progettati sono
focus>forum
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economia & management 1 - 2013
innovare nella formazione manageriale
altro punto di vista. Sono impensabili, molto più che in
passato, lunghi periodi di assenza dall’ufficio per partecipare a iniziative formative. Si preferisce partecipare a percorsi di apprendimento caratterizzati da brevi periodi di
formazione, di una-due giornate, ripetuti nel corso di un
lungo orizzonte temporale.
Un altro aspetto che determina esigenza d’innovazione è
legato alle risorse economiche destinate alla formazione.
ENI è un’azienda in buona salute e quindi in grado di investire con continuità in un campo ritenuto fondamentale per la crescita. Tuttavia chi assegna il budget ha, legittimamente, un’attenzione molto più pressante rispetto al
passato a che si facciano attività strettamente collegate
alle esigenze dei business: per ogni iniziativa si deve dimostrare che questa s’inserisce all’interno del percorso di
sviluppo delle nostre Divisioni e Società.
Ciò vuol dire innanzitutto che l’analisi dei fabbisogni
deve essere molto più professionale, molto più attenta,
con una conoscenza specifica delle attività di business e
di ciò che comportano sia dal punto di vista tecnico sia
dal punto di vista manageriale. In questa fase può essere utile coinvolgere i partner esterni, le scuole di management o le società che si occupano di formazione. Nel
fare quest’analisi bisogna essere anche molto attenti a
sensibilizzare i manager di linea e coinvolgerli nella valutazione delle iniziative. Come si diceva, la valutazione
intesa come attività da svolgere ex post non serve a nulla,
perché ex post non riusciremo mai a capire se abbiamo
fatto bene, se siamo stati efficaci o meno, se in fase di
avvio dell’iniziativa non abbiamo attentamente definito
e condiviso gli obiettivi della stessa. Valutare, quindi, obbliga a confrontarsi e a mettersi d’accordo fin dall’inizio
su ciò che si vuole ottenere, significa chiedersi: “al
tempo Ti, alla fine dell’iniziativa formativa, che cosa
dovrà essere cambiato?”. Porsi questa domanda permette anche di capire se c’è un vero fabbisogno formativo,
perché talvolta nelle aziende si chiede formazione per
abitudine, per dovere, per inerzia, senza che sia chiaro
che cosa si ha necessità di ottenere. Se non si hanno le
idee chiare, è meglio non fare nulla e risparmiare risorse. Se, invece, all’inizio si condividono gli indicatori che
devono essere tenuti sotto controllo (alcuni quantitativi
altri qualitativi), si capisce meglio quale tipo di formazione erogare e quale tipo di apprendimento favorire
nelle persone. Poiché questo approccio introduce comunque una certa complessità anche metodologica, può
36
essere più efficacemente attuato nei progetti ad alto impatto di business; comunque, seppur in maniera meno
strutturata, ritengo che debba diventare progressivamente una forma mentis per gran parte delle iniziative
formative da realizzare.
Un altro fattore per noi molto significativo è la dispersione geografica delle nostre operations. È impensabile fare
formazione in aula, sempre e solo in aula. Bisogna trovare il modo per cui l’aula sia il momento in cui si consolida, il momento in cui si contestualizza, il momento in
cui si condivide il risultato di un processo di apprendimento in parte già avvenuto. Se questo è vero, significa
che c’è necessità di una formazione maggiormente fruibile attraverso supporti tecnologicamente avanzati che
consentano di superare le barriere o le difficoltà poste
dalla diversa localizzazione geografica.
Un ultimo aspetto che vorrei porre in evidenza è quello
relativo ai catalizzatori di apprendimento, esterni e interni. Secondo me, le aziende dovranno puntare sempre di
più su catalizzatori interni. E di questo dovranno tenere
conto anche le scuole di management. Come hanno detto
Spina e Grando, le SoM difficilmente possono aiutare le
grandi aziende a presidiare le competenze core di natura
tecnica, e forse non è neppure compito loro, se non per
nicchie particolari di specializzazione. Bisogna quindi investire nello sviluppo dei catalizzatori interni: docenti interni che siano in grado di presidiare al meglio le competenze tecniche, quindi uomini di linea, ai quali fornire
una dote essenziale di metodologie didattiche per abilitarli a svolgere tale ruolo.
Concludo con una richiesta alle SoM. Chiederei loro innanzitutto di continuare a presidiare e semmai rafforzare la ricerca sui temi di general management. Ma soprattutto mi aspetto che si attrezzino per rappresentare dei
punti di eccellenza in termini di metodologie e di tecnologie della formazione, di tecniche di apprendimento,
per diventare partner autorevoli di una Corporate University, proprio anche nello sviluppo di docenti e academy
interne, in sinergia e non in concorrenza. E infine offrire la possibilità di avviare riflessioni su tematiche emergenti di comune interesse, basate su dati di benchmark,
aiutando il collegamento tra università, scuole di management e aziende.
NANUT Il tema della diffusione della cultura della
formazione manageriale è tra gli obiettivi fonda-
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matico, un economista, uno statistico, per chi ha un
altro tipo di sapere, fortemente scientifico o tecnico,
come per esempio accounting, controllo e bilancio, la
dimensione educativa che riguarda le capacità realizzative, i comportamenti, che consentono l’applicazione e
l’attuazione concreta dei contenuti, è lontanissima dalla
loro forma mentis.
D’altro canto sono presenti in Asfor, con un ruolo importantissimo, tutta una serie di organizzazioni formative
che operano prevalentemente a livello locale. Questi attori che hanno un limitato rapporto strutturale con il
mondo delle imprese, soprattutto con il mondo delle
grandi imprese, se sono espressione di reti di imprese locali, stanno perdendo attrattività per i propri interlocutori istituzionali dal punto di vista dell’innovazione nell’offerta di formazione manageriale, perché non sono all’interno dei network globali in cui questa si sviluppa. Rischiano quindi di restare intrappolati in un circolo vizioso: fare innovazione, oltre alla comprensione delle traiettorie evolutive da perseguire, richiede risorse, richiede la
capacità di investire.
Una parte rilevante dei nostri associati tradizionali queste risorse non le possiede: o perché sono troppo piccoli,
o perché comunque c’è una domanda locale di piccole e
medie imprese molto limitata, se paragonata a quella
degli altri paesi: in Italia il 32% di PMI svolge attività di
formazione contro una media del 58% a livello europeo,
11
quindi siamo quasi alla metà. Dalla prospettiva di Asfor
io vedo questo una sfida: come sostenere l’innovazione,
investire nella ricerca, aggiornare i format, i contenuti, le
metodologie, quando si cerca invece prevalentemente di
sopravvivere in qualche nicchia locale o grazie a finanziamenti pubblici e FSE?
10. Attualmente le Corporate University associate Asfor sono le seguenti: Academy, Scuola di Formazione del Gruppo Reale Mutua; Allianz spa,
Scuola di Formazione Assicurativa; Assicurazioni Generali spa, Generali
Group Innovation Academy; Banca Mediolanum spa; Brembo spa; Chloride Emmerson Academy; Edison spa, Direzione Personale e Organizzazione; ENAV spa, Academy; Enel University; ENI Corporate University
spa; Ernst & Young Business School srl; Ferrero Geie Learning Lab; Fiat
Group Training; Finmeccanica spa, Direzione Formazione e Sviluppo RU;
Fondazione Gi Group Academy; INPS, Direzione Centrale Formazione e
Sviluppo competenze; Landi Renzo Corporate University, First Class;
Lombardini srl, HR Department; Pirelli Tyre spa; Sky Italia srl, Direzione
Risorse Umane; TEC Bosch Training Esperienze Competenze.
11. Vedi European Commission (2012), Small Business Act Factsheet
2011, scaricabile da http://ec.europa.eu/enterprise/policies/sme/factsfigures-analysis/performance-review/index_en.htm
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mentali dell’Associazione. Nel 2011 abbiamo riformulato
lo statuto di Asfor in cui abbiamo sottolineato ancor più
il ruolo importante di promozione della cultura aziendale, manageriale e della cultura della formazione. Asfor ha
tra i suoi pilastri quello della qualità della formazione,
anche perché una formazione di cattiva qualità è per noi
il peggior antagonista. Da ventitré anni Asfor accredita i
programmi master post laurea ed executive, proprio per
dare un riferimento e parametri di scelta e valutazione ai
partecipanti, giovani e meno giovani, e alla comunità professionale e aziendale, del valore e del significato di una
buona ed efficace formazione manageriale.
Un secondo pilastro per Asfor è l’innovazione. Abbiamo
sempre cercato di rappresentare un’antenna a livello europeo e internazionale, portando al gruppo dei nostri associati gli stimoli che cogliamo attraverso i network di cui
facciamo parte (EFMD/Equal, Cladea, Ceeman, Enqa).
Ricordo il ruolo pioniere di Asfor per quanto riguarda le
nuove tecnologie, l’e-learning, e le nostre ricerche e focus
group, che sono assolutamente paragonabili a quanto su
scala maggiore svolgono EFMD e AACSB. Nell’ultimo
anno abbiamo investito molto per allargare il numero
degli associati rispetto alle Corporate University quali
ENI, Finmeccanica, Enel, soci storici Asfor. In quest’ultimo anno sono entrate Generali, Allianz, Brembo, Bosch,
10
ENAV, Sky, proprio per allargare le occasioni di confronto e di stimolo sui temi della qualità, dell’innovazione, dell’offerta di formazione rispetto ai fabbisogni, ai
nuovi standard emergenti dalla domanda di formazione
aziendale e dai competitor internazionali. Questo obiettivo ci è molto chiaro e abbiamo cercato, ovviamente con i
limiti che un’associazione può avere, di promuoverlo
lungo più linee di azione.
Se però diamo uno sguardo all’offerta di formazione
manageriale in Italia, nel nostro paese le SoM, oltre ai
presenti, sono solo altre tre o quattro. Il resto è mondo
universitario – sempre esclusi i presenti che, all’interno
di un perimetro universitario, godono comunque di
una propria autonomia – o enti di formazione indipendenti o legati alle reti datoriali. Il primo, il mondo universitario, è al momento assente dalla formazione manageriale, come qui noi la stiamo interpretando. Nei
miei quarant’anni come professore universitario conosco bene la difficoltà nello spiegare ai miei colleghi di
facoltà che cosa siano le soft skill e ragionare di come si
possano fare interventi sulla leadership. Per un mate-
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innovare nella formazione manageriale
Questa situazione si è aggravata con la crisi, ma c’erano
segnali abbastanza chiari anche pre-crisi. Per esempio, la
partecipazione agli eventi internazionali organizzati dai
network di management education, non solo all’estero,
ma anche in Italia, vede le realtà italiane sempre poco
presenti, due, al massimo tre istituzioni, contro sei-sette
scuole spagnole, decine di francesi, a
volte siamo stati meno dei greci. Siamo
poco presenti nelle competizioni internazionali dei migliori casi, delle migliori esperienze di executive education:
questi sono segnali che datano da diverso tempo.
Torno alla domanda per Asfor: che cosa
può fare l’associazione? Vuole cercare di
far crescere, giustamente, chi è in difficoltà di ripensamento strategico e operativo. Vuole stimolare una maggiore presenza internazionale, magari indiretta,
portando esempi ed esperienze in tutte le occasioni in cui
l’associazione è presente, e costituire un ambito di discussione e una sorta di clearing-house della nostra business and management community: siamo aperti ai vostri
suggerimenti e al vostro contributo attivo.
re una modalità per suggerire al governo, o a chi presidia
questi fondi, meccanismi di valutazione e di allocazione
diversi da quelli del passato: ritengo che un tale risultato
vedrebbe sicuramente soddisfatti sia gli utenti finali, cioè
le aziende, sia gli utenti intermedi, cioè le scuole e le società di formazione. Le risorse si riducono e quindi, mai
La situazione del nostro paese
richiede un ripensamento
nella formula di allocazione
dei fondi basato su stretti
criteri di qualità
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GRANDO Come socio Asfor sono convinto, grazie
anche alle aziende importanti che sono entrate ed
entreranno nell’associazione, che Asfor possa giocare un
ruolo propositivo nelle modalità di allocazione dei fondi
pubblici che lo Stato mette a disposizione per attività di
sviluppo. Non intendo i fondi interprofessionali, che vengono sempre più utilizzati in molte aziende, ma i fondi
pubblici, che vengono dispersi in una serie di rivoli infiniti, con un’ottica localistica e spesso in funzione di supporto all’esistente e non di sviluppo. In questo momento
di spending review a tutto campo si parla di tagli epocali
su tutti i fronti e allo stesso tempo continuiamo a raccontarci che l’investimento nel capitale intellettuale è l’unico
modo per uscire dalla stagnazione, o recessione, in cui
siamo. La situazione del nostro paese richiede un ripensamento nella formula di allocazione di questi fondi,
come è stato fatto in altri paesi; un’allocazione basata su
stretti criteri di qualità e su decisioni che aiutino a contrastare la dispersione di risorse. Asfor, come la comunità professionale e produttiva che ruota intorno alla formazione manageriale, dovrebbe porsi l’obiettivo di trova-
38
come in questo momento un’allocazione più appropriata
potrebbe fornire un supporto concreto allo sviluppo di
tutto il sistema.
NANUT Condivido la sollecitazione per un’azione
di Asfor in questo senso, che potrebbe essere più
incisiva se supportata da una mobilitazione delle associazioni d’imprese, a partire da Confindustria, che è tra i nostri soci sostenitori ma che, mi sento di affermare, non
sembra cogliere questo tipo di ruolo e opportunità.
Sarebbe anche necessario un interesse politico: in questo
momento, in cui è essenziale affrontare azioni di sviluppo del sistema economico e del capitale umano, la formazione dovrebbe assolutamente essere inclusa tra le azioni da incentivare.
MANTOVANI Ritorno a un tema che mi sta molto
a cuore: l’accelerazione dell’obsolescenza delle
competenze e l’allungamento dell’età lavorativa. Quanto
osservo oggi in azienda è che il trasferimento di conoscenze e competenze, che tradizionalmente avveniva dall’esperto al meno esperto, dall’anziano al giovane, adesso
cambia, è peer to peer, a volte dal giovane al più senior. Ciò
significa che le SoM e chi si occupa di formazione in
azienda devono attrezzarsi per riconfigurare la professionalità di migliaia di persone di cui si prolunga la vita lavorativa. È anche un dovere etico e morale, perché si trat-
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SIMIONI Il tema sollevato sottolinea che davvero
c’è uno spazio enorme per insegnare a imparare.
Invece vedo sempre più, nelle organizzazioni che si occupano di formazione, la sola voglia di insegnare un contenuto. Da questo punto di vista, la tensione sul capire
come si impara si trova di più nelle CU che hanno la
pressione continua per fare un intervento che duri nel
tempo, che sia sostenibile. Vedo più sacro fuoco nel cercare di distillare che cosa serve per insegnare ad apprendere nelle aziende che nel mondo accademico-formativo,
inteso in senso ampio, dove l’obiettivo è sempre trasferire un contenuto forse per creare, in modo inconsapevole, un rapporto dipendente tra formatore e discente? Per
lavorare, passatemi il gioco di parole alla latina, sul seduco piuttosto che sull’ex-duco? In modo che chi insegna
sia sempre fonte di know-how, di conoscenze, di riferimento. Per noi l’obiettivo è che la persona diventi indipendente, e che tra queste persone si creino connessioni
per cui imparano tra di loro.
COCCAGNA Quanto detto richiede di creare
anche attraverso la formazione un metodo di analisi e sintesi, non semplicemente di trasferire know-how.
Naturalmente, una volta che si è definito un format di trasferimento di know-how è evidente che, da un punto di
vista di sinergia e di riproducibilità, è conveniente mantenerlo. Però bisogna essere attenti al suo ciclo di vita: se
non lo si rinnova, anche se ciò costa, nel medio-lungo termine è perdente. Si sta diffondendo nelle SoM più innovative la prassi di mettere gratuitamente a disposizione
programmi on line: a questo punto i contenuti diventano
delle commodity. A fare la differenza, allora, sarà la capa12
cità di favorire l’apprendimento.
NANUT Sono tutte osservazioni molto valide, però
io torno sul problema delle risorse, perché se noi
ci confrontiamo, per esempio, con le realtà americane,
queste hanno ogni anno donazioni molto consistenti.
Quindi il problema è come una scuola possa investire. A
differenza delle università, una SoM sta sul mercato e
deve finanziarsi con i propri proventi. Allora il tema delle
partnership è importante: noi al MIB, per esempio, grazie al fatto che a Trieste hanno sede alcune grandi compagnie di assicurazione, abbiamo costruito un rapporto
di partnership e abbiamo potuto investire sul tema del
risk management, con ricadute per tutto il mondo dell’assicurazione, ma in primo luogo grazie al nostro committente, che ci ha consentito di recuperare i costi di investimento sostenuti.
SIMIONI Ken Robinson afferma che nell’educazione bisogna passare dall’industria all’agricoltura. Cioè, bisogna riprendere l’attenzione al curare le persone e quindi usare l’educazione come qualcosa che fa
crescere, che insegna a imparare e non industrializza la
produzione di corsi di formazione. Aggiungo che in questo modo si alimenta la capacità di generare approcci innovativi all’apprendimento da parte delle scuole, anche se
la disponibilità di notevoli risorse non garantisce necessariamente di cogliere le sfide e proiettarsi verso il futuro.
GRANDO A mio avviso, bisogna anche rileggere
la filiera educativa. Penso che due siano gli aspetti da osservare. Il primo, l’imparare ad apprendere, presuppone anche l’avere una cultura robusta di base che
consente di alimentare sempre la curiosità intellettuale
necessaria per avere “fame” di apprendere. Questo è un
compito anche dell’università, e l’università italiana si
distingueva proprio per avere questa connotazione peculiare. Oggi spesso si privilegiano tecnicalità specifiche, l’iperspecializzazione disciplinare. Di converso, ora
da più parti si propone di tornare a insegnare nell’MBA
12. A questo proposito è interessante seguire quanto avviene a livello
mondiale: un possibile riferimento è il seguente. http://www.wired.com/
wiredscience/2012/03/ff_aiclass/all/
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ta di persone in gamba, di enorme valore per il sistema
paese, che possono e devono essere messe in grado di
fare di più.
In realtà, l’allungamento della vita professionale è solo
l’occasione per interrogarci su un problema più vasto e
pervasivo che è l’obsolescenza veloce e la necessità di ripristino dello stato dell’arte delle competenze necessarie
per mantenersi competitivi. Io spingo per trattare questo
tema in Confindustria ma non trovo ascolto, nessuno
sente l’urgenza di questo problema. Se il sistema di formazione si attrezzasse per fornire un supporto intelligente, efficace, tempestivo darebbe un grande contributo
a un problema impellente della grande impresa e della
piccola impresa.
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temi umanistici, la filosofia, l’arte, ma se si interviene
solo sull’anello finale del percorso educativo qualche rischio si genera. L’altro tema riguarda il punto terminale del processo, i recruiters delle aziende, che dovrebbero essere in grado di valorizzare questi nuovi profili
quando fanno selezione. Le aziende più evolute e sofisticate lo fanno, ma troppo spesso durante le interviste
non si vanno assolutamente a valutare obiettivi di
medio periodo, di apprendimento profondo, ma si
esprimono valutazioni molto tecniche, specifiche, che
spesso sono il punto chiave del processo di selezione:
ma la tecnicalità in breve tempo diviene obsoleta. Ciò
che resta nel tempo, e il tempo della vita professionale
si sta allungando, sono insegnamenti che trasferiscono
un metodo, che aiutano a maturare la capacità di pensiero critico.
Sul tema del prolungamento della vita lavorativa e professionale, dobbiamo fare un lavoro congiunto CU e SoM.
Al di là del rinnovamento delle competenze, vedo anche
un’esigenza fortissima di rimotivare le persone, che arrivate a un punto di maturità della propria carriera non
possono più beneficiare di tutto quell’insieme di strumenti tradizionali, rewarding, visibilità, compensation,
la cui progressione diventa inevitabilmente asintotica, sia
in termini di impatto sulla motivazione sia di sostenibilità finanziaria delle aziende. Quindi, da un lato è necessario rinnovare le competenze, dall’altro riuscire a generare motivazione. Vi sono alcune aziende che si sono
orientate a creare percorsi di mentorship interni per garantire il trasferimento dell’esperienza
tacita accumulata: più che una conoscenza specifica, la capacità di presidiare determinati processi interni. L’incapacità di alcuni manager più giovani di
fronteggiare la crisi nel 2008, destabilizzante per persone che nella carriera professionale non avevano mai vissuto le
crisi precedenti, è esemplare: chi invece
ha vissuto altre crisi nell’arco della sua
vita professionale si è allenato a tenere i
polsi fermi di fronte a ciò che appariva ingovernabile e invece è stato affrontato e spesso superato con successo.
Naturalmente non si possono avere solo mentor in azienda: bisogna trovare dei progetti in cui il ruolo dei senior
insieme a quello degli junior generino valore. E questo è
certamente molto più difficile nelle realtà distribuite.
MANTOVANI Anche perché il giovane sarà sempre meno un fatto anagrafico e sempre più uno
stato mentale. I giovani che oggi non studiano e non lavorano non sono allenati a imparare e arriveranno
come una bomba a orologeria, speriamo nel mercato
del lavoro, trovandoci totalmente non attrezzati per gestire la cosa.
NANUT Durante la X Giornata della formazione
manageriale di Asfor tenutasi in giugno abbiamo toccato anche il tema delle nuove generazioni, i cui
valori sono completamente diversi in termini di visione del lavoro e di aspettative per il futuro. Uno dei miei
docenti sta indagando quale sarà l’impatto dei social
network nella gestione delle risorse umane in impresa,
che offrono un accesso istantaneo a informazioni a loro
volta disponibili in modo istantaneo. Non sappiamo
come la generazione Y, cresciuta nell’era digitale, con
valori diversi, in una società più protetta, andrà a impattare sulla gestione delle imprese e sui percorsi di
formazione, perché se da un lato formare, o ri-formare, i cinquantacinquenni è un problema, lo è spesso
anche per un trentenne che per sei o sette anni non è
stato né studente né in cerca di lavoro. Dobbiamo
anche tener conto della cultura che sta cambiando nei
confronti del lavoro: meno interesse per la carriera, più
flessibilità, tempi e spazi diversi di lavoro. Questi sono
aspetti che sicuramente influiranno sulle variabili di
cui abbiamo discusso oggi.
I valori delle nuove generazioni
sono completamente diversi
in termini di visione del lavoro
e di aspettative per il futuro
40
SPINA In questo scenario il tema della tecnologia
è molto importante. Saltiamo direttamente agli
ultimi sviluppi, tralasciando il primo e-learning, o addirittura FAD, e i tanti stop-and-go che appartengono al
passato. Oggi l’introduzione della tecnologia nei processi formativi si presenta come un cambiamento inarresta-
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economia & management 1 - 2013
bile e la sua velocità di evoluzione rende i problemi tecnici e applicativi immediatamente obsoleti. Le ultime applicazioni di cui ho visto la realizzazione permettono il
collegamento di alcune decine di localizzazioni, in luoghi diversi del mondo, con video e un sistema che riconosce immediatamente chi sta parlando, con una definizione eccellente, e
con una proiezione delle slide, o dei disegni, dal tablet della persona che parla.
Questa tecnologia ha oggi un costo notevole d’installazione e di consumo di
banda, ma usata come meccanismo sostitutivo degli executive meeting, porta,
nelle stime di chi la sta utilizzando, a
decine di milioni di euro l’anno di risparmio sulle spese di trasferta. Se confronto le prime esperienze di più di
dieci anni fa – il cd per il preallineamento, i precorsi per avere l’omogeneità necessaria per la
successiva attività in presenza –, vedo che stiamo parlando di un mondo completamente diverso che oggi consente veramente di azzerare il problema spaziale. Non
può azzerare il problema temporale tra India, West
Coast, Europa, Oceania, quindi la combinazione è aggiungere all’attività che annulla il lag spaziale incontri in
presenza, di alcuni giorni, una settimana, perché solo
così si annulla il lag temporale.
focus>forum
e rappresenta lo stato dell’arte per tutti. Ci si vede una
volta per impostare il tema, poi tutta la fase successiva di
lavoro la si fa a distanza: la tendenza a ridurre il più possibile l’aula è una strada verso la quale, secondo me, bisogna comunque andare.
Il rischio dell’uso sempre
più massiccio di tecnologie ICT
nell’apprendimento è che tutto
diventi esperienza piuttosto
che ricerca ed elaborazione
seguito un percorso in modalità web 2.0, australiani, vietnamiti, americani, inglesi, francesi, che non si
sono mai incontrati durante il programma, si incontrano
da noi a Roma. Hanno lavorato insieme, a distanza, in
maniera collaborativa, e in modo vincolante per il progresso nel programma formativo. Per questa fascia di età
la collaborazione a distanza funziona, anche se non può
essere esclusiva perché comunque un momento di incontro ci vuole. Noi normalmente organizziamo due incontri, uno a Londra o a Washington, uno a Roma in cui
si incontrano tutti assieme, e questo fa sì che per un intero anno non abbiamo costi di trasferta. Abbiamo anche
una modalità wiki di condivisione e co-sviluppo dei contenuti, soprattutto specialistici. Partecipano i nostri
esperti di tutto il mondo mettendo ciascuno il proprio
mattoncino di contributo rispetto a un tema di interesse
trasversale, e ciò che si ottiene è riconosciuto e accettato
gie ICT per l’apprendimento, la formazione, il
passaggio così violento dalla forma testuale, scritta, analitica, dal libro senza figure, il tomo di quattrocento pagine alla forma visuale, grafica, sintetica, multisensoriale
ha implicazioni profonde sulle modalità di apprendimento: su che cosa apprendi e su che cosa invece non apprendi. Il rischio è che la persona, sollecitata a 360° in
tutti i sensi, cerchi meno, si interroghi meno e sistematizzi meno: tutto diventa un’esperienza e molto meno
una ricerca, la fatica di un’elaborazione. Per chi è già
stato abituato da un percorso formativo tradizionale,
quale un pubblico di manager di età di mezzo, queste
modalità possono costituire un valore ulteriore, si innestano in un substrato abituato all’analisi critica e alla rielaborazione; per chi è nativo digitale e non ha un’abitudine alla ricerca, all’analisi e alla sintesi, questo può diventare apprendimento passivo.
COCCAGNA Penso che questo sia funzione
anche della modalità di apprendimento di una
persona. Ci può essere chi, magari, trae proprio da questa integrazione di sensi la sollecitazione a una modalità di apprendimento più efficace. Vedo rischi, ma anche
molte opportunità, se si parte da come apprendono le
persone. Pensando all’esigenza di utilizzare al meglio
gli ultracinquantenni, dovremo tener presente qual è
stato il loro percorso di sviluppo professionale, la loro
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MANTOVANI Il 19 luglio, 210 ragazzi che hanno
SPINA L’uso sempre più massiccio delle tecnolo-
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economia & management 1 - 2013
innovare nella formazione manageriale
modalità di apprendimento, per inserirli efficacemente
in sistemi di knowledge exchange, di knowledge management personalizzati.
Ai giovani che entrano in azienda e che hanno una modalità di apprendimento che utilizza Internet, i network
di amicizia, Facebook o altri strumenti per acquisire le
informazioni e anche per scambiarle,
non posso far trovare la lezione d’aula
classica con il docente che tradizionalmente trasmette in maniera strutturata,
razionale e logica le informazioni. Si
astraggono, magari cercano le stesse
cose in contemporanea su Internet con
il loro iPad.
SIMIONI Come affrontare una
Ai giovani che hanno una
modalità di apprendimento
che utilizza Internet e Facebook
non si può far trovare
la classica lezione d’aula
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strategia di apprendimento finalizzata a costruire dei manager che gestiscano complessità reali nella crisi in
cui ci stiamo dibattendo? Da questo punto di vista, ritorno alla metafora dell’agricoltura utilizzata da Ken Robinson, cioè alla personalizzazione, altrimenti ogni tipo di
educazione sarà troppo tecnologica per quelli che non
sono tecnologici, troppo poco tecnologica per quelli
molto tecnologici.
BRUSONI La sfida vera per il nostro ruolo diventa quella di saper personalizzare, e di riuscire a
farlo nonostante l’industrializzazione abbia il suo vantaggio nelle economie di scala. La personalizzazione ha
diverse sfaccettature, coinvolge il learning style delle persone, le tecnologie e una diversa cultura dell’apprendimento a livello individuale, che abitui le persone a gestire il proprio percorso di formazione prendendone in
mano anche la responsabilità. Per inciso, è quello che
stiamo provando a fare in Asfor nella revisione della filosofia del nostro sistema di accreditamento, per spingere sempre di più i partecipanti ai programmi master che
Asfor accredita a co-responsabilizzarsi sul proprio sviluppo di carriera. Raccogliendo tutti gli stimoli, non possiamo pensare a una rilettura della formazione manageriale se non rimettendo un po’ in discussione i capisaldi
su cui l’abbiamo costruita fino adesso, con suggerimenti
che mi sembra siano emersi in modo articolato. Nessun
dubbio che il cambiamento del sistema produttivo a livello globale richieda cambiamenti anche nel supporto allo
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sviluppo delle persone che lavorano in azienda. Insieme
agli altri ambiti formativi, di natura più tecnico-professionale, anche la formazione manageriale deve rinnovare il
proprio nocciolo e la propria pelle. Un cambiamento vero
e sostanziale tuttavia, provo a concludere, richiede:
Ω una ricostruzione dei codici di lettura del fabbisogno
aziendale, delle persone, delle modalità di risposta, legate da un lato a un obiettivo generale, di business,
dall’altro orientate a massimizzare l’efficacia dell’apprendimento individuale;
Ω il disegno di un impianto più “situazionale”, basato su
criteri progettuali forti che incorporino fin dall’inizio
e con chiarezza obiettivi, risultati e modalità di misurazione, ma calibrato rispetto a esigenze specifiche.
Mai come ora è necessario confutare la frase “one size
fits all”. Che cosa ingegnerizzare e che cosa lasciare a
elementi contingenti diventa il compito di una nuova
tipologia di docenti, sempre meno dispensatori di contenuti, sempre più designer e catalizzatori di processi
di apprendimento.
Questo non deve significare che la dimensione tecnica
e funzionale sarà solo un ingombro per il docente e per
il partecipante, che la ricerca si occuperà solo di processi di apprendimento tralasciando i contenuti; la conoscenza di un fenomeno, di una disciplina, dovrà essere
comunque radicata in un robusto processo di ricerca,
ma sarà il suo “trasferimento” a essere diverso. Lungo
un’ideale linea, da 0 a 100, se dividessimo, in modo approssimato, con un cursore, i rapporti reciproci tra insegnamento e apprendimento individuale, oggi possiamo stimare in termini di tempo dedicato nell’attività di13
dattica un 70-30 a favore dell’insegnamento, che si do-
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innovare nella formazione manageriale
economia & management 1 - 2013
vrebbe ribaltare – propongo – a un 30-70 a favore dell’apprendimento individuale.
Si potrebbe parlare anche di una sorta di progressiva “dematerializzazione” della formazione manageriale, grazie
alle tecnologie ICT, ormai non più barriera tecnologica
ma sempre più linguaggio veicolare, anche se con diversi utilizzi e valenze tra junior e senior. In
questo caso, le esperienze raccontate
dagli esperti annunciano che l’anywhere
è ormai raggiunto, resta da lavorare sull’anytime.
Nel processo di metamorfosi della management education emerge tuttavia
come punto di debolezza l’ammontare
di risorse necessarie all’investimento in
innovazione. Anche in questo caso la
necessità indica percorsi possibili, tra
cui, per esempio, la partnership tra SoM
e CU, la ricognizione delle esperienze
innovative che si stanno sviluppando nel mondo, la focalizzazione di strategie pubbliche di supporto, con ricadute sul sistema della formazione e non su singole iniziative o istituzioni, grazie anche al possibile ruolo propulsivo di Asfor. Come è stato ricordato, non hanno avviato
l’innovazione nella management education i primi della
classe, pur con risorse storicamente ben più che sufficienti, ma chi si è interrogato sui processi di apprendimento in modo laico e senza pregiudizi accademici, concentrandosi in modo esasperato sulle persone e sugli
focus>forum
esiti piuttosto che sull’esperienza consolidata, spesso difficile da rimettere in gioco.
La buona formazione manageriale parla da sé, è il miglior modo per promuoverne la diffusione anche alle
PMI, che spesso la trascurano perché non ne hanno
sperimentato tangibilmente il valore o misurato i van-
13. Prendendo come parametro proxy il volume di attività face-to-face
d’aula, come risulta dall’ultima indagine Asfor.
taggi. In questo caso, le associazioni delle imprese potrebbero essere maggiormente coinvolte nel diffondere
benefici e standard di qualità e nel contrastare l’offerta
improvvisata di soluzioni formative non fondate su
un’attenta lettura dei fabbisogni. In questa direzione
Asfor è un soggetto molto attivo, ma la sensibilità degli
interlocutori va molto stimolata, se non costruita ex
novo, proprio in tempi difficili e in preparazione alle
sempre più ardue sfide future.
Questa discussione, ricca di contributi e di stimoli, ci auguriamo possa essere l’occasione per aprire un forum
stabile su queste tematiche tra SoM e CU, offrendo spazio e opportunità per la presentazione e diffusione di
esperienze interessanti da cui imparare. π
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La buona formazione
manageriale parla da sé.
Le PMI spesso la trascurano
perché non ne hanno
mai sperimentato il valore