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SPAZIO LETTERARIO Nuova Umanità
XXXIV (2012/6) 204, pp. 791-796
QUANDO IL PENSIERO SCIENTIFICO DIVENTA POESIA
NON È LA MORTE CHE È TRAGICA
Isaline Bourgenot Dutru
(Traduzione a cura di Federica Capello)
È in ginocchio. Che medita. Ripiegato su se stesso. Il pensiero
come una fiamma, alla velocità della luce…
Però, la luce, bisognerebbe considerarla anche da un punto
di vista matematico, senza dubbio… questo si vedrà più tardi…
Centinaia di pergamene e di papiri sono ammucchiati nel locale. Tappezzano lo spazio-vertigine del sapiente.
Archimede dal corpo ossuto, smagrito dalle veglie, o dall’oblio dei pasti. Archimede instancabilmente traccia segni, simboli,
assi, figure geometriche intrecciate, congegni, macchine, utensili e
allinea le cifre a… milioni.
«Quanti granelli di sabbia ci vogliono per riempire l’universo
intero?».
Chi gli ha veramente posto questa domanda? L’universo intero! È possibile misurarlo per valutarne la capacità?
Dopo lunghi giorni febbricitanti e interminabili e laboriose
settimane, Archimede pensa d’esservi arrivato. Un numero, un autentico tesoro, è tracciato. Numero fatto da variazioni vertiginose
come percorsi di cifre dagli algoritmi misteriosi. Quanti uomini ci
sono voluti per portare il risultato dei suoi calcoli scritto su centinaia di papiri, numero-tesoro, numero dell’infinito?
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Vedendoli sfilare, improvvisamente Archimede pensa che bisognerebbe aggiungere qualche precisazione al suo Arenario, la
sua esposizione del sistema numerico, per semplificare la scrittura
di questo grande numero, questo numero-mondo, questo numerouniverso.
Un granello di sabbia come un punto minuscolo,
un microcerchio,
e di fronte: l’infinito, vertigine abissale.
Ecco l’uomo,
in piedi davanti all’immensità creata…
Ma un granello di sabbia contiene anche tutto l’universo… Archimede non ne dubita.
Archimede non ha più posto sul suo tavolo da lavoro tutto
ingombro. Ha tracciato al suolo un cerchio per terra e più in là
ancora, un altro cerchio e all’improvviso sono centinaia le linee
curve che appaiono all’interno di figure complesse. Ha già coperto
l’intero mattonato d’iscrizioni, leggibili solo da lui. Non si riesce
più a camminare nella casa, senza rischiare di rovinare una dimostrazione, un ragionamento messo in equazione.
In lontananza rombano le terribili macchine da guerra dei Romani. Già da tre anni, gli abitanti di Siracusa resistono al Nemico
grazie ad Archimede, che ha loro costruito delle macchine dalle
pulegge tuonanti, con leve e specchi riflettenti, capaci d’incendiare
il legno a distanza. Archimede l’ingegnere!
Il porto di Siracusa è invaso.
I Romani penetrano ovunque… Le vie sono affollate dalle coorti
poco scrupolose di rispettare questa città così bella. Si entra senza
avvisare, nei negozi, nelle case e si impone la forza…
Un soldato, col busto bombato, il disprezzo in bocca, si è infiltrato in numerose dimore. È un semplice fantaccino, poco istruito,
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un rubicondo contadino. Come sempre, il soldato dal passo pesante si è compiaciuto della paura che ispira. Davanti alla sua spada,
gli abitanti hanno abbassato gli occhi e lasciato fare.
Scene di ordinario saccheggio.
Il soldato, nella fretta, ha già dimenticato la consegna.
Ma alla fine chi è quest’uomo che i Romani cercano con accanimento?
Un po’ più lontano, una delle case con le persiane accostate
ha l’aria un po’ abbandonata. Fa molto caldo a Siracusa. Il soldato
vi si è introdotto senza forzare alcuna porta: tutto è aperto e silenzioso. Per terra, centinaia di tracce e di graffiti scritti con il gesso.
Il mattonato è coperto da strani segni: a volte disegni, a volte
figure geometriche, a volte delle cifre con numerosi scritti.
Il suolo è diventato un’immensa lavagna, campo di ricerche
all’infinito.
Archimede ode un rumore di passi che si avvicinano. Non sa
ancora chi arriva. Assorto nelle sue ricerche, non ha che un’idea:
che siano preservate le sue figure sul pavimento.
– Non rovinate i miei cerchi! Soprattutto non rovinate i miei
cerchi!
Archimede non ha il tempo d’interrompere i suoi calcoli. Non
ha alzato la testa. Il soldato è giunto da dietro. Subito, sentendo
l’ingiunzione del vegliardo, si sente offeso, peggio, ignorato da
questa assenza di sguardo. La collera lo prende. È lui che viene
offeso, ma peggio ancora, è anche l’intera Armata Romana.
Lui, il soldato, non rappresenta forse tutta la potenza dell’Impero, quella che ha appena vinto l’assedio della città inespugnabile?
La spada oggi ha già ben stabilito la vittoria. È lì a scaldare
la sua coscia. È lì che attende l’ordine di scavare il corpo nemico.
Archimede continua tranquillamente la sua dimostrazione
sul pavimento, già completamente dimentico della sconosciuta
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presenza. Di tanto in tanto, risorge la domanda: gli si ripropone:
«Quanti granelli di sabbia ci vogliono perché l’universo intero ne
sia colmo?». Sorride perché ha già trovato… E altre domande “a
spirale” si accavallano. Forse il pensiero viaggia più veloce della
luce?
Forse…
Ma la collera romana cresce.
Dal canto suo, Archimede termina la scrittura di una nuova
equazione.
Impaziente, il Romano fa tintinnare le sue armi, sperando
d’incontrare lo sguardo del vegliardo. Vorrebbe leggerci il panico,
il terrore.
Archimede ancora non ha levato lo sguardo. Compara delle
curve, delle spirali e dei cerchi e mormora tra sé e sé.
Ricordandosi del suo trattato Della sfera e del cilindro intravede che potrebbe forse ancora aggiungere una quarantottesima
proposizione…
Bisogna sempre andare dall’intuizione alla prova e dimostrare
in maniera impeccabile.
Il Romano si scaglia come un giovane toro lasciato nell’arena
per balzare su qualunque presenza nemica.
A un tratto Archimede vede il sandalo del guerriero su uno
dei cerchi inscritti in un prisma diritto…
Archimede sente montare in lui una collera terribile. Non per
la presenza del soldato, ma per il piede che cancella la sua preziosa
figura. Finendo di scrivere la sua frase algebrica, gli occhi rivolti al
suolo, continua a martellare il suo ordine formale, ma questa volta
è all’intruso che si rivolge:
– Non rovinare i miei cerchi!
Il soldato, al colmo dell’ira, perde il controllo. La sua spada
parlerà per lui. La sguaina senza riflettere e la conficca violentemente nel corpo del vegliardo.
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Allora gli occhi di Archimede lo affrontano per la prima volta.
Subito, incrociando lo sguardo del vecchio, una frase terribile
ritorna alle orecchie del soldato: «Lo prenderete vivo!».
La consegna non conteneva che tre parole!
Così è lui! Colui del quale il generale Marcello ha appena parlato… Lui, il più grande matematico… colui che potrebbe ben
servire la Repubblica contro Annibale, un altro nemico di Roma.
Archimede muore, gli occhi aperti su una delle sue ultime figure geometriche che ha tracciato alla svelta eppure con grande
precisione.
Il suo sangue cola e sporca i primi segmenti di un immenso
poli…
Sente di nuovo i primi corsi di astronomia dei quali suo padre lo aveva beneficato? Si ricorda dei viaggi in Egitto... poi tutte
le intuizioni che lo portarono a scrivere il suo Trattato dei corpi
fluttuanti?
Il nastro dei suoi ricordi è senza fine: è tutta l’avventura della
redazione dell’Equilibrio dei piani o dei centri di gravità dei piani
con l’utilizzo del baricentro che senza alcun dubbio percorre la
sua memoria… Come pure il suo immenso Trattato della sfera e del
cilindro… con gli irrefutabili assiomi sulle aree laterali del cono, il
volume del settore sferico e i segmenti sferici. Infine il suo Trattato
sulle spirali… Gli immensi lavori portuali e le sue innumerevoli costruzioni militari sfilano dinanzi a lui. Lui che aveva tanto cercato
di migliorare tutte le tecniche possibili per proteggere la sua città!
E ora, in questo suo ultimo secondo, che rimane?
Il soldato romano si è inginocchiato davanti a questo viso rugoso come per meglio cogliere una particella dell’intelligenza che
percepisce in questo grande uomo, appassionato delle proprietà
delle figure… Chi potrà dirgli che non è la morte che è “tragica”?
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Ma già l’occhio di Archimede contempla un nuovo regno dai
colori singolari e dalle forme nuove, insolite. Fissa un punto simile
a un granello di sabbia che rotea tracciando immensi cerchi in un
piano e si sposta…
Poi il punto si precisa.
Il sapiente giace inerte sulle mattonelle variopinte dell’austero
locale e il suo sangue ha ricoperto l’ultima frase algebrica incompiuta. Ma al di là di questo silenzio così freddo, la sua anima si è
già distaccata come un’immensa spirale; fa rotta stranamente verso
cieli insondabili… Si innalza libera!
Infine la sua anima diventa un “punto d’appoggio per… sollevare il mondo”.
E lei che adesso, piccolo granello invisibile, viaggia per misurare l’universo intero e anche… l’eternità!
In questo giorno dell’anno 212 avanti Cristo, il più grande sapiente del mondo veniva assassinato. Marcello, il generale nemico,
pianse amaramente il genio colpito dal fulmine. La fama di Archimede superò le frontiere e si protese di secolo in secolo, fino ai nostri
giorni.