Padre Antonio Valsecchi Thailandia

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Padre Antonio Valsecchi Thailandia
Padre Antonio Valsecchi nel Paese che conta 260mila cattolici su 60 milioni
di abitanti
TAHILANDIA
IL “SI’” DEL TERZO QUADRATINO
“QUANDO ERO BAMBINO – RACCONTA – NELLA MIA PARROCCHIA VENIVANO INVITATI RELIGIOSI CAPPUCCINI O
DEL PIME PER TENERE GIORNATE VOCAZIONALI. AL TERMINE DI UNA DI QUESTE GIORNATE CI VENNE
CONSEGNATA UNA CARTOLINA CON TRE DOMANDE E DEI QUADRATINI DA RIEMPIRE: “TI SENTI CHIAMATO A
ESSERE SACERDOTE? TI SENTI CHIAMATO A ESSERE RELIGIOSO? TI SENTI CHIAMATO AD ESSERE MISSIONARIO?”.
SEGUII IL CUORE E RISPOSI CON TRE SÌ”
All’inizio del nostro incontro, per raccontare la svolta avvenuta diciotto anni fa nella sua vita,
quando gli fu chiesto di andare come missionario in Thailandia, usa due espressioni impegnative:
“a vita”, secondo la regola che fino a qualche anno fa caratterizzava la missione dei Cappuccini,
cioè, sempre nello stesso luogo, e “per sempre”, “anzi – si corregge - fino a quando il Signore
vorrà”.
La proposta della missione era arrivata inattesa e improvvisa per padre Antonio Valsecchi.
“C’è bisogno di te in Thailandia. Te la senti?”. In Thailandia, in un mondo così lontano e diverso dal
nostro. Perché no? Dunque in missione, com’era nei desideri del ragazzino che padre Antonio è
stato.
E mi racconta la storia curiosa di tre sì che hanno segnato la sua vita. “Ecco il sì del terzo
quadratino, mi sono detto, quando mi fu chiesto di partire. Quel sì che ancora non si era realizzato
e al quale non pensavo quasi più”.
“Quando ero bambino, per iniziativa del curato di allora nella mia parrocchia di Calolziocorte,
venivano invitati religiosi cappuccini o del Pime per tenere giornate vocazionali. Al termine di una
di queste ci venne consegnata una cartolina con tre domande e dei quadratini da riempire a
seconda della risposta che ci si sentiva di dare: “Ti senti chiamato a essere sacerdote? Ti senti
chiamato a essere religioso? Ti senti chiamato ad essere missionario?”. Seguii il cuore e risposi con
tre sì”.
A dodici anni può sembrare un gioco o un sogno. Oppure una sfida, un’ingenua ipoteca sul proprio
futuro. Ma il Signore non ha difficoltà a prenderti sul serio e fa di tutto per realizzare i generosi
slanci di un bambino.
LA POVERTA’ DEI NUMERI
Fino al giorno della proposta di partire per la Thailandia, padre Antonio era stato superiore del
convento dei Frati Cappuccini di Sovere e insegnante di morale nel seminario del suo ordine
religioso. Aveva una vita ricca di incontri e di attività stimolanti con i suoi studenti e i giovani di
Sovere. Partendo ha sperimentato la povertà di chi, non conoscendo nulla della realtà nuova in cui
si trova a vivere, deve accettare di imparare tutto. Dalla lingua, difficile e strana che richiede uno
studio lungo e paziente, alla ‘forma mentis’ di un popolo affascinante e misterioso.
Ma in Thailandia si incontrano altre povertà e, prima forse che con quella materiale, in quel Paese
del sud est asiatico un missionario si scontra con la povertà dei numeri.
Su sessanta milioni di abitanti i cattolici thailandesi sono solo 260.000, una piccola minoranza
inserita in un contesto quasi totalmente buddista. Un ‘piccolo resto’ da accompagnare e da far
crescere, soprattutto nei luoghi davvero sperduti dove, nonostante la Chiesa locale sia in crescita e
ben organizzata, è ancora necessario il lavoro dei missionari per il primo annuncio.
E’ dunque una bella sfida per ogni missionario fedele al mandato di Gesù: “Andate e annunciate il
mio Vangelo, fino agli estremi confini della terra”.
Ma sono luoghi, questi, in regioni difficili e isolate, dove insieme all’annuncio il missionario porta
anche la concretezza di un aiuto economico, mirato a promuovere autonomia e sviluppo attraverso
progetti semplici, ma essenziali, realizzati per la gente e, soprattutto, con la gente.
Padre Antonio in Thailandia è impegnato su due fronti, diversi ma complementari. Fin dal suo
arrivo gli è stato chiesto di continuare a insegnare morale nel seminario locale e di seguire la
formazione dei giovani che in questi anni hanno chiesto di diventare frati cappuccini. Una bella
realtà che va crescendo e che va seguita con competenza e passione.
UNA CONTINUA LEZIONE DI VITA
L’altro fronte di impegno si è aperto qualche anno più tardi e comporta per P. Antonio e i suoi
confratelli lunghi spostamenti nei fine settimana, con relative avventure (e disavventure) da
missionari doc e qualche bella soddisfazione, nei villaggi della foresta in cui si recano per
accompagnare il cammino di fede di piccole comunità cristiane.
Nel villaggio di At Teng padre Antonio vive quel volto della missione che ti permette di vivere a
fianco della gente e di condividere progressi, speranze e persino gli inevitabili fallimenti.
“E’ bello lavorare con questa gente, andare nei campi con loro, crescere con loro e aiutarli a
trasformare in adulta una fede ancora bambina. Non è stato facile per me incontrare un mondo
così diverso, accettare il popolo thailandese così com’è, con la sua cultura, il suo modo di intendere
la vita.
Ma ‘essere’ per loro, crescere con loro è una strada obbligata. Come lo è l’imparare da loro quei
valori che noi occidentali abbiamo un po’ dimenticato. La grande calma, ad esempio: se nel traffico
della grande città l’autobus è pieno zeppo, niente stress. Si aspetta quello successivo.
Della mia gente semplice e povera del villaggio nella foresta, invece, mi stupisce e mi commuove
la piena fiducia nella Provvidenza. Un esempio e una lezione di vita per me che mi arrabbio anche
col Signore di fronte a un raccolto che sta ingiallendo, bruciato dal sole, in attesa di una pioggia
che non si decide a venire”.
Da MISSIONDUEMILA, inserto mensile del settimanale diocesano “La Nostra Domenica”, marzo 2003