Seno – tumore al seno - significato ed interpretazione
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Seno – tumore al seno - significato ed interpretazione
Seno – tumore al seno - significato ed interpretazione Tratto da “Malattia linguaggio dell’anima” - R. Dahlke – Edizione Mediterranee Il seno simboleggia la maternità e la capacità di nutrire (non necessariamente riferita ad un figlio), è di gran lunga l’organo sessuale secondario più importante e la sua forza di attrazione è grande. Per questo è largamente utilizzato e talvolta sfruttato. Il seno può diventare quindi uno strumento di giudizio, in base al quale le donne vengono definite e spesso si autodefiniscono. Il seno deve essere ben formato, sostenuto e di taglia media: se troppo piccolo ha poco valore perché insufficiente, se troppo grande risulta provocatorio. Per la nostra società è difficile pensare che ci sono culture che prediligono ad esempio il seno cadente perché indice di maturità e di vita pienamente vissuta. Tumore del seno: interpretazione e significato simbolico Ricco di significati simbolici questa parte del corpo, purtroppo viene operata con estrema sollecitudine perché il carcinoma al seno è la forma di cancro che si manifesta con maggiore frequenza nella donna, coinvolgendo e trasformando in dramma i temi della maternità e del piacere. Le cose dette a proposito del cancro in generale valgono ovviamente anche per il cancro al seno che però presenta delle peculiarità. La donna viene colpita nel suo punto più sensibile, in prossimità del cuore: si è rinchiusa in se stessa senza rivelare a nessuno fino a che punto sia ferita e arrabbiata. Tocca al corpo mostrare cosa è avvenuto ed è l’inferno che infuria nel suo seno. Il momento di crollo del sistema immunitario e quindi dell’esplosione della malattia è spesso caratterizzato da una sensazione di angoscia profonda, alla quale la donna in genere si rifiuta di attribuire particolare importanza. Non esterna a gran voce quanto sia preoccupata o arrabbiata a causa dell’offesa o del dolore ricevuti ma piuttosto lo nasconde nel seno, dove si incarna e può trasformarsi in cancro. Quello che sembra riserbo altruistico e che talvolta viene frainteso come capacità di comprensione è in realtà paura di lasciarsi andare, di accusare e combattere per i propri interessi. Spesso è l’orgoglio a impedire questo tipo di sfogo. Il sano e fisiologico egoismo (per essere altruisti ed amare gli altri è fondamentale amare se stessi e quindi essere fisiologicamente e naturalmente egoisti) viene consapevolmente represso. L’aggressività, la distruttività, la mancanza di riguardo non vissuta a livello consapevole (perché ritenuta disdicevole od inopportuna) si libera nel corpo. Il morbido tessuto del seno il cui compito è dare, provvedere e nutrire, diventa egoista come la donna non potrebbe mai essere sul piano della vita reale. Seno come organo di comunicazione Spesso questo tipo di tumore mostra che la donna ha rinunciato all’iniziativa e si è messa in una posizione di resa. La parte offensiva ed aggressiva della personalità, sana e fisiologica per difendersi e proteggere i propri confini e valori è a torto ritenuta dalla donna disdicevole o comunque non opportuna, e così non viene vissuta consapevolmente sul piano della vita reale ma si manifesta nel cancro; così come anche nelle terapie cui attualmente si fa ricorso per debellarlo. Se il nodulo, simbolo di una problematica irrisolta, viene estirpato chirurgicamente con il bisturi, l’aggressività che arriva fino al sangue è innegabile. Anche le radiazioni irradiano aggressività, uccidendo non solo le cellule cancerogene ma anche molte di quelle sane. Analogamente i composti chimici citostatici che penetrano nell’organismo propagando veleno e bloccando la riproduzione cellulare sono simbolicamente molto simili al cancro. Questi metodi mettono in gioco qualcosa che manca al malato di cancro, la possibilità di elaborare la sua rabbia ed aggressività. Se attraverso un lavoro personale la donna venisse aiutata ad accettare ed integrare la rabbia e l’aggressività sul piano cosciente potrebbe redimere il principio e liberarsi dalle minacce. Seno: “principio femminile” e crescita personale Il cancro al seno segnala altresì che il morbido modo femminile di affrontare la vita è ormai inattuabile: dimostra che la morbidezza si è trasformata in rigidità e che è necessario rinunciare a una parte della propria femminilità. Solo che la donna, non riuscendo a fare questa rinuncia sul piano della vita reale, la agisce sul corpo, attaccando uno dei simboli della femminilità per eccellenza, il seno. Rinunciare ad “elementi della linea femminile” potrebbe significare dover rinunciare (temporaneamente) a certi aspetti della vita per promuovere altri: una rinuncia alla dipendenza, a una situazione sicura ma che impedisce la crescita, al ruolo della buona moglie, dell’amata tollerante eternamente trascurata, della cara figlia, della madre piena di comprensione che lascia fare, potrebbe portare a seppellire volontariamente e metaforicamente il ruolo di grillo del focolare e quello di principessa sul pisello; a lasciar morire la ragazza privilegiata per nascita, ad abbandonare la madre chiesa per seguire la propria strada, e così via. Il cancro rivela che non stiamo seguendo, o non stiamo più seguendo, la via della nostra crescita e che lo sviluppo psicologico non si è realizzato a pieno. Col seno viene colpito anche il sensibile settore della maternità e vengono messe in discussione problematiche come quella di trattare qualcuno come un bambino o essere trattati come bambini, del nutrire e dell’essere nutriti, dell’allattare e dell’essere allattati, del curare e dell’essere curati. Non sorprende che quasi tutte le malate di cancro al seno abbiano avuto rapporti molto particolari con le rispettive madri, inesistenti, negati o insolitamente profondi e buoni. Come simbolo di morbidezza e di capacità di adattamento il seno è legato anche al tema del sopportare e dell’essere sopportati, della vulnerabilità e della sofferenza, dell’offesa e della sensibilità. Elaborazione e riscatto Nella terapia della donna colpita da tumore al seno diventa fondamentale il sostegno alla capacità di ritrovare l’individualità e l’iniziativa personale. Il solo strumento che può essere messo in gioco per risolvere la tematica del cancro è l’amore: un amore che ovviamente non ha niente a che vedere con l’essere amabili e disponibili. E’ necessario spiegare alla donna che non rientra affatto nei suoi compiti essere in accordo con tutto ma che deve decidere di seguire la propria strada. Deve allora temporaneamente infischiarsene della debolezza, della flessibilità, della capacità di adattarsi e degli altri atteggiamenti tipici del decoro femminile. Se il seno è già perduto e dopo l‘amputazione la donna non si sente più una vera donna, significa che viveva la sua femminilità soprattutto attraverso il suo corpo. In futuro dovrà imparare a definirsi non più soltanto attraverso la femminilità fisica: altri contenuti di vita attendono di essere scoperti. La perdita si trasforma in opportunità di trovare una nuova identità personale. Deve prendere vita un tipo di esistenza centrato fondamentalmente su se stessa e meno sugli altri. Si capisce perché allora il cancro al seno sia la forma più frequente di tumore femminile: l’altissimo tasso di crescita in questo periodo storico è chiaramente determinato dalle problematiche che coinvolgono in misura sempre maggiore le donne nella società moderna. La ghiandola del seno in sé non è infatti un organo particolarmente predisposto al tumore: esistono culture che non conoscono il cancro al seno. Il tessuto del seno è molto sensibile ma è lo stesso che si trova nella bocca che, tra l’altro, è in continuo contatto con una quantità innumerevole di cellule cancerogene. Nonostante ciò i casi di cancro alla mucosa orale sono di gran lunga numericamente inferiori. Dall’analisi di questi dati è quindi facile ipotizzare che la “via femminile” è stata trascurata, che l’ideale femminile perseguito (ad esempio di dipendenza, accudimento incondizionato, riserbo, silenzio inteso come non dire cose scomode od inopportune, buone maniere, sacrificio ad oltranza eccetera eccetera…) non ha niente a che fare con quello autentico. Per la donna diventa fondamentale cercare la propria individualità quanto la propria femminilità, compito non semplice in un’epoca, quella moderna, in cui per la donna istanze di emancipazione si combinano spesso ad ideali e modelli femminili antichi. Il desiderio o l’aspettativa di emancipazione e realizzazione professionale (principio maschile) si trovano spesso a convivere con il desiderio (principio femminile) o le aspettative di maternità: in questa situazione per molte donne è difficile trovare e valutare la propria strada. Una donna dovrebbe ricordare che può sempre essere madre ma se la maternità non è vissuta nel cuore e si limita ad interpretare questo ruolo di fronte a se stessa e al mondo significa che questa non è la strada giusta e che può anche essere pericolosa. L’amore materno nella sua qualità altruistica è un simbolo dell’amore celeste. Se viene dal cuore è un vero e proprio toccasana se però è solo un’imitazione delle regole sociali può costare la vita. La maternità intesa come “generare ed essere madre” può altresì realizzarsi in ambiti estremamente vasti e non limitati alla procreazione dei figli: la donna può partorire e generare idee, progetti, relazioni, musica, libri, insegnamenti, amore… Lo stesso problema può coinvolgere la donna che vive come se fosse il personaggio di una fiaba, una donna fondamentalmente soddisfatta di se stessa e del proprio partner, perché si avvicina al suo ideale di donna. Se però questo non corrisponde realmente al suo ideale interiore, anche la sua vita ideale è a rischio di cancro. Neppure la donna aggressiva che sembra fare solo ciò che la diverte, è automaticamente al riparo dalla malattia. Colei che recita per successo il ruolo della vamp senza di fatto esserlo, è minacciata come colei che desidererebbe tanto essere una donna fatale, ma non ha sufficiente fiducia in se stessa per esserlo. La donna moderna che si emancipa perché questo è di moda, pur sognando di trasformarsi in una madre tradizionale e di assumere quindi una funzione che la nostra società ha “eliminato” ormai da molto tempo, rientra naturalmente nel gruppo a rischio. In sostanza ogni modello che la società prevede è pericoloso nella misura in cui non corrisponde al proprio e chi lo adotta nonostante ciò, vive pericolosamente: le qualità personali a cui si rinuncia, affondano nel corpo, dove si rivoltano contro l’individuo stesso. La migliore profilassi al cancro al seno consiste di conseguenza nel vivere coraggiosamente, cioè nel seguire la propria strada individuale che porta verso l’unicità. Il Rabby cassidico Susya disse poco prima della sua morte: “Quando andrò in cielo non mi domanderanno: Perché non sei stato Mosè? Mi chiederanno invece: Perché non sei stato Susya? Perché non sei diventato quello che potevi essere?” Tratto da “Malattia linguaggio dell’anima” - R. Dahlke – Edizione Mediterranee