Don Leonardo Cella

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Don Leonardo Cella
Antonio Del Vecchio
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
Antonio Del Vecchio, sposato e padre di due figli, vive con la famiglia nel suo
paese natale, Rignano Garganico. Terminate le elementari, compie le medie presso
il collegio dei Benedettini a Montenero (Livorno), il Liceo Classico a San Marco
in Lamis e Lettere Moderne in quel di Napoli. Fa le prime esperienze lavorative
come istitutore presso alcuni collegi religiosi e poi per circa un anno vive a
Milano. Nell’aprile del ’72 è assunto come animatore culturale presso i CSC – ex
Casmez di Foggia, gestiti dalla Società Umanitaria di Milano. Frequenta vari corsi
di perfezionamento (animatore di biblioteca, educazione permanente, Beni
Culturali, ecc.). Dal 1978, tali strutture, trasferite alla Regione Puglia, assumono il
nome di Crsec. Nel 1986 è a San Marco in Lamis, prima come operatore culturale,
poi come direttore del Crsec distrettuale. Presiede innumerevoli commissioni
d’esame di Corsi F.P. Dopo aver collaborato a varie testate è iscritto, come
giornalista – pubblicista, nel 1982. Dirige vari periodici tra Bari e Foggia. Dal
1979 al 2006 collabora ininterrottamente a “La Gazzetta del Mezzogiorno”. Ora
scrive sulle testate digitali Garganopress e Rignanonews. E’ autore dei seguenti
volumi, rintracciabili nelle Biblioteche Nazionali: I portali./Memorie di pietra
nella vita quotidiana di San Marco in Lamis (1997, 2e.1999); Rignano Garganico/
Tra pietre e segni della storia (1999); Natale tra ieri e oggi/Tradizioni usi e
costumi di Rignano Garganico (2000); E così ho lasciato la mia terra/ Voci, volti e
ricordi degli emigrati di San Marco in Lamis e di Rignano Garganico (2001);
Bande e gruppi musicali di San Marco in Lamis (2005); E così ho lasciato la mia
terra/ Voci, volti e ricordi degli emigrati di San Marco in Lamis, Rignano
Garganico e San Giovanni R. (2006); Dal paese al mondo/ Storie di vita di
emigrati di Rignano Garganico (2006); Italy Italien Italie Italia/L’emigrazione
dalla Capitanata tra il secondo dopoguerra e gli anni’70 (2007); Rignano
Garganico /Viaggio segreto nel più piccolo comune del Gargano (2007); La Via
Sacra del Gargano nella storia e nelle leggende (2007); Rignano Garganico/Tra
pietre e segni della storia (2 e. 2009); Padre Pio e Rignano (2009); Padre Pio e
Rignano, seconda edizione ampliata (2010). Ha curato: Paglicci/Mostra
iconografica permanente di A. Palma di Cesnola (1988, 2 e.1998); con G.
Cammerino: La Valle Cantata (1991) e Coppe della Rosella (1994); Arturo Palma
di Cesnola/cittadino onorario di Rignano Garganico (1990); Rosedda / Costumi
garganici, romanzo di G. Ricci, nuova ed. a cura di (2001). Ha collaborato ai vv.:
In dialetto si dice/va, dizionario di P.Gentile (2002); Mai più/Testimonianze di
Internati Militari Italiani scampati ai lager nazisti (2008). Ha in cantiere: Storie di
soldati nella II Guerra Mondiale; Uomini illustri d’altri tempi; I miracolati di San
Pio/storie di devozione e di fede; Il trafugamento del corpo di Santa Vittoria; I
Soprannomi, Platea del ‘700 (titoli provvisori.)
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Antonio Del Vecchio
Collana di “Narrativa”
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
D’intesa con:
Ispettorìa Salesiana Meridionale - Napoli
Circolo “Giulio Ricci”
Comitato “La Grande Statua di Padre Pio”
Centro Studi Tradizioni Popolari del Gargano
Parrocchia “Maria SS. Assunta”- Rignano Garganico
Ventonuovo.eu - Quotidiano nazionale indipendente
Rignanonews.com - Quotidiano nazionale indipendente
Coordinamento editoriale:
Angelo e Antonio Del Vecchio, Eugenia Cella,
Grazia Nardella, Matteo Mangiacotti, Michele Caruso
Testi:
Antonio Del Vecchio
Digitalizzazione e impaginazione:
Angelo Del Vecchio e Paolo Pizzichetti
Informatori:
Vincenzo, Marianna e Cristina Cella; Arcangelo Cella; Don Antonio
Gentile; Don Antonio Gianfelice; Grazia Draisci, Nunzia Lonero; Padre
Antonio Resta; Maria Tancredi; Giovanna Vigilante.
Prima Edizione: Agosto 2012
Tutti i diritti riservati
© Maritato Group Casa Editrice
Viale Castrense 31/32
00182 Roma (RM)
Tel. 0645/421734
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www.ventonuovo.eu
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Progetto grafico ed impaginazione:
Angelo Del Vecchio, Antonio Del Vecchio
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Antonio Del Vecchio
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Don Leonardo Cella
Dal paese al mondo salesiano
Prefazione di
Lucio Brunelli
Quotidiano Indipendente
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Quotidiano Indipendente
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MARITATO GROUP
CASA EDITRICE
- ROMA -
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
…A sessant’anni lasciò il prestigioso
incarico di Vicario dell’Ispettoria
Meridionale ed andò in missione nel
Madagascar per aiutare quelle genti a
risollevarsi da se medesime!
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- Presentazione
- Premessa
- Chi era Don Leonardo Cella?
- Cenni biografici
- La famiglia e i luoghi
- Il vento
- Il talento del padre
- La trebbiatrice a vapore
- Chiamata alle armi e congedo
- La religiosità dei Cella
- La missione dei Passionisti
- La Croce
- La grande statua di San Pio
- I meloni “vernije”
- Le calze di bambagia
- Gli anni di scuola
- La vocazione
- Il salvataggio
- Il maestro
- Lo studente d’Inglese
- L’incontro con Giovanni Paolo II
- L’Ufficio di Vicario
- La seconda patria
- Il presagio
- La presenza salesiana
- La partenza
- Il soggiorno a Ivato e dintorni
- Bemaneviky
- Gli scritti
- Galleria Fotografica
- Appendice (documenti e scritti originali)
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Presentazione
Papa Benedetto XVI una volta ha parlato dei 'santi sconosciuti', quelli che non hanno l'aureola e forse mai l'avranno, quelli
ignoti al grande pubblico. Cristiani che hanno vissuto eroicamente ma senza clamori, con pudore, la fede in Gesù, offrendo
tutta la loro vita per la diffusione del Vangelo e il servizio al
prossimo. Don Leonardo Cella, forse, è uno di questi santi sconosciuti. E dobbiamo essere grati ad Antonio del Vecchio per
averci raccontato la sua vita. E di averla raccontata senza
cedimenti ad una agiografia retorica e sdolcinata ma secondo
lo stile (delle “tre s”!) proprio di questo religioso nativo di
Rignano Garganico: severo, serio e sereno.
Così la biografia di don Leonardo diventa un affresco avvincente, neorealista mi verrebbe da dire, di un pezzetto di storia
italiana. Molto più insomma della celebrazione di una gloria
locale. Un viaggio nella memoria di questo nostro paese smemorato, dove (Pasolini docet) un potere omologante che se la
ride del Vangelo ha fatto tabula rasa delle radici di un popolo: il
Sud povero, contadino, ma pieno di umanità, dove la tradizio-
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ne cristiana era impastata con l'anima stessa della gente.
E allora lo vediamo, come in un film in bianco e nero, questo bambino che gioca a piedi nudi, con i pantaloni corti anche
d'inverno “perché nessuno aveva la possibilità di farsi un cappotto nuovo, tranne i ricchi”. E poi mentre fa il giro del paese,
portando appeso al braccio il recipiente di lamiera ricolmo di
latte, che suona il campanello per richiamare l'attenzione degli
abitanti e in dialetto vanta la bontà del suo prodotto. Lo vediamo mentre, a sette anni, inginocchiato, chiede a voce alta alla
Madonna la grazia di guarire una persona cara.
Scrive Antonio del Vecchio che resta un mistero l'origine
della sua vocazione. Ma la spiegazione forse è semplice: è Dio
che chiama nella sua assoluta gratuità, e nel caso di Leonardo
trovò un terreno fertile nell'ambiente familiare in cui la fede, i
precetti della Chiesa e della morale cristiana, erano alimenti
naturali come il latte senza contraffazioni, ingerito fin dalla
nascita.
Eccolo dunque don Leonardo Cella, giovane sacerdote.
Salesiano perché umanamente attratto dall'esempio di un religioso salesiano, don Angelo Gentile, suo compaesano. Pieno di
talento organizzativo, intelligente, colto. Destinato dunque a
una buona carriera, e infatti diventa uno dei responsabili della
provincia meridionale della famiglia di don Bosco. Solo che
poi, ad un certo punto, il suo incarico di responsabilità lo porta
a cercare buoni sacerdoti pronti a partire per la missione
salesiana in Madagascar dove c'è bisogno di nuove leve. Ma
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non sembra trovare nessuno adatto o disponibile. E allora decide di partire lui. Ha sessant'anni. Potrebbe appunto, a quell'età,
pensare alla sua tranquilla carriera ecclesiastica e poi a una
meritata pensione. Invece no. E per lui comincia una nuova
vita. Nella grande isola africana trascorrerà dieci anni, forse gli
anni più intensi e appassionati della sua vita. Si innamora, letteralmente, di quella terra e di quella popolazione. Fino al punto di chiedere di essere seppellito lì. I suoi scritti dal Madagascar
sono le cose più commoventi. Come questa lettera a un familiare, alla vigilia del Natale: “Ora sono le 10 di sera e viene
spenta la luce, ho acceso il lume a petrolio, come ai tempi di
quando eravamo piccoli, se ti ricordi... Qui non c’è il consumismo. Italia, quasi quasi non ti accorgi che è festa”.
Resta serio e severo, come sempre, nell'adempimento dei
suoi doveri sacerdotali. Ma c'è un accento nuovo di tenerezza,
di amore in quel suo sereno consumarsi sino alla fine per il
bene e per la salvezza delle persone che gli sono state affidate.
Rignano e il Magadascar, i poli geografici ed affettivi della sua
vita. Il paesello nativo e l'universalismo cattolico: miscela
'glocal', si direbbe oggi, il globale a partire dalla concretezza
del locale; apertura che in lui è uno sviluppo naturale, senza
strappi.
Sapeva che sarebbe stata dura, laggiù, in mezzo all'Oceano,
e infatti la sua salute ne sarà fatalmente compromessa. Mentre
era in viaggio per Tananarivo aveva scritto: “Ho ricevuto più di
quanto ho dato. Ve ne ringrazio. Chiedo scusa se non ho saputo
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dare di più. Pregate per me”. Il riassunto di una vita, l'epitaffio
di un santo sconosciuto che ora, grazie a questo bel libro, abbiamo la possibilità di conoscere, di ammirare. Di affezionarci
anche alla sua avventura umana e cristiana
Lucio Brunelli 1
(1)
Lucio Brunelli (classe 1952), giornalista professionista e scrittore, è impegnato come “vaticanista” al Tg 2, lavoro che lo porta a stretto contatto con i sacri palazzi. Ecco il suo Curriculum vitae e professionale. Dopo la
laurea in Scienze Politiche è assistente dello storico Gabriele De Rosa, con
il quale collabora all’edizione critica dell'Opera Omnia di Luigi Sturzo.
Pubblica articoli e saggi sulla storia del pensiero sociale cattolico. Nel
1983 scrive per il mensile internazionale 30Giorni e successivamente per
diversi settimanali, fra cui Il Sabato, L'Europeo, Epoca, Il Mondo. Nel 1994
cura per Radio Rai Momenti di pace, che trasmette e commenta in diretta
l'angelus del Papa. Dal 1995, segue per il telegiornale i viaggi apostolici di
Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Firma numerosi servizi per la rubrica
Tg2dossier: La fabbrica dei santi, I segreti di padre Pio, Paradossi siriani,
Un sogno chiamato Yemen. Ha pubblicato le memorie del cardinale Silvio
Oddi nel libro Il tenero mastino di Dio (1995). Nel 2005, appaiono a sua
firma su Limes i retroscena del conclave che elesse Benedetto XVI. Vedovo,
padre di due figli, cura una rubrica sul settimanale no-profit Vita. Nel 2011,
per i tipi di ed. Fazi, va in vetrina il suo primo romanzo 'Il Giorno del
giudizio', un thriller ambientato in Vaticano (da Wikipedia, sintesi.)
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Premessa
Il progetto di raccontare la vita di don Cella risale a tanti anni
fa, a quando lo incontrai in piazza San Rocco al termine di una
funzione religiosa. A quel tempo ero impegnato a raccogliere
informazioni concernenti i nostri emigranti che, poi, avrebbero
dato corpo al volume E così ho lasciato la mia terra…, redatto
assieme al collega Sergio D’Amaro.
Dopo i convenevoli saluti, dietro mia sollecitazione, don Cella
prese a dire della sua esperienza in Madagascar. Trovai gli accennati ricordi assai singolari, ricchi di spunti per la riflessione, alquanto educativi e quindi meritevoli di essere inseriti a
pieno titolo nel predetto volume come storia di vita, unitamente
a quanto avevo già fatto con don Michele Gentile2 e la sua esperienza in Albania. Don Leonardo acconsentì subito, ma rimandammo l’intervista ad altro giorno e ad altro luogo.
Si sa, poi, come vanno queste cose: gli obblighi di lavoro e di
famiglia, i mille impegni di entrambi non hanno favorito
l’agognato, più tranquillo incontro. Nel frattempo don Cella fu
costretto a rientrare nella grande isola africana.
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
L’idea tornò nella mia mente il giorno dei suoi solenni funerali in paese. I famigliari si sono mossi subito e mi hanno fornito tutto il materiale a loro disposizione: fotografie, lettere, cronache e altro. Il resto è frutto di trasmissione orale, note desunte
da informazioni verificate a più riprese, pezzo dopo pezzo e poi
riportate. Tanti hanno concorso con i personali ricordi: famigliari,
compagni di scuola, salesiani, amici, ecc. Il più utile di tutti è
stato il fratello Vincenzo cui devo tante dettagliate notizie e,
soprattutto, lo stimolo a continuare nella stesura di questo lavoro.
Per i luoghi dove don Cella visse o toccò di passaggio durante l’assolvimento dei suoi impegni, di studio prima e d’insegnamento poi, mi sono avvalso di Internet oltre che della sintetica ma esaustiva ‘informativa’ di Don Antonio Gentile3.
Quanto contenuto nel volume segue il percorso biografico e
cronologico: infanzia – preadolescenza; vocazione e sacerdozio; gli studi in Gran Bretagna; l’esperienza pugliese, campana
e calabrese; il Vicariato Ispettoriale; il Madagascar. La storia di
vita non è a sé stante ma ambientata nei vari contesti con il
coinvolgimento pieno delle comunità e dei personaggi che di
volta in volta gli gravitarono intorno. E’ il caso del suo paese
natale, Rignano, con i suoi piccoli e grandi episodi di vita quotidiana e con la situazione socio – economica di un tempo che
contempla anche l’esperienza di caldaista del genitore.
Che dire del Madagascar che gli ha fatto rivivere la sua esperienza di bambino scalzo quando, per la prima volta in visita, si
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sono presentati alla sua vista tanti ragazzi e giovani malgasci
“scalzati”?! Tale flash ha fortemente condizionato la sua ultima grande scelta: la missione.
Ci va e lì resta ad operare per un decennio, seppur consapevole che a quell’età si può rischiare anche la vita. Così è stato!
Ma sta proprio qui la grandezza di don Cella.
Antonio Del Vecchio
(2)
Don Michele Gentile (classe 1940), salesiano dal 1957, ingegnere e
sacerdote nel 1971. E’ in missione in Albania dal luglio 1998. Opera tra
Scutari e Tirana, dove assieme ad altri confratelli ha fondato la prima casa
di Don Bosco. Tra questi c’era anche il compaesano,
don Matteo Di Fiore (classe 1950), salesiano dal 1960, sacerdote dal
1978, direttore a Cerignola, Locri, Santeramo e ad Andria. Dopo sei anni
trascorsi a Tirana è da cinque anni a Pristina nel Kossovo, dove ha fondato la prima casa di Don Bosco.
(3)
Don Antonio Gentile (classe 1939), salesiano dal 1954, sacerdote dal
1964, laureato in Lettere, ha diretto ed ha insegnato in diversi Istituti
salesiani del Centro – Sud. Da qualche anno è a Molfetta. E’ curatore,
assieme a don A. Miscio dei vv.: Don Angelo Gentile, un esempio: la sua
vita, 2000; Una vita secondo il cuore di Don Bosco, Don Angelo Gentile la
persona e il formatore, 2009.
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Chi era Don Leonardo Cella?
Vicario Ispettoriale:
dal settembre 1990 al settembre 1992
Allo scadere dell’Ispettorato di don Antonio Martinelli
veniva indicato come Vicario ispettoriale per il triennio 19901993, ad iniziare il suo servizio con il nuovo Ispettore don Luigi Testa. Durante il nuovo servizio ebbe l’incarico (nel gennaio
1992) di fare la visita canonica alla casa del Madagascar,
Bemaneviky, dove i Salesiani dell’Italia Meridionale avevano
aperto una Casa. Al termine di quella visita, per avviare a soluzione alcuni problemi sorti in missione, rimettendo l’incarico
di Vicario Ispettoriale dei Salesiani dell’Italia Meridionale, accettò, nonostante l’età, a passare nel Madagascar come responsabile di quella Opera Salesiana.
Sue principali attività in Puglia
Veniva ordinato sacerdote a Torino nella Basilica di Ma-
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ria Ausiliatrice l’11 febbraio 1960 (la data dell’11 febbraio era
stata scelta per ricordare la Madonna di Lourdes patrona dell’Istituto Internazionale Teologico di Torino – già Pontificio
Ateneo Salesiano e prossima Pontificia Università Salesiana di
Roma).
Nell’anno successivo veniva inviato a San Severo insegnate e incaricato dell’Oratorio.
Da San Severo, don Angelo Gentile lo volle a
Castellammare di Stabia docente di Teologia presso l’Istituto
Teologico aperto qualche anno precedente.
Ritornò il 1966 in Puglia, direttore dell’Opera salesiana
di Carmiano in provincia di Lecce e vi rimase sei anni, e lì
provvide all’istruzione e all’educazione di parecchi ragazzi di
Rignano che si ritrovavano in quegli anni a frequentare in quell’istituto.
Dopo alcuni anni trascorsi a Bari e a Soverato, nel settembre 1979 fu nominato direttore dell’Opera salesiana di
Santeramo. E poco prima che andasse direttore a Santeramo, ci
fu un aneddoto che lui ricordava con piacere, aneddoto che sa
di santa ilarità e di Provvidenza.
Nel mese di luglio il suo compaesano don Antonio Gentile si trovava a Roma come commissario di esami di maturità.
Un confratello polacco gli aveva passati alcuni biglietti per
l’udienza del nuovo Papa, Papa Wojtyla, eletto nell’ottobre dell’anno precedente, e chiedeva a don Leonardo se da Soverato
dove allora si trovava potesse e volesse venire a Roma all’udien-
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za del Papa in piazza san Pietro. Don Leonardo di buon grado
accettò. Nel pomeriggio del mercoledì 18 luglio si era insieme,
don Antonio Gentile e don Leonardo Cella, in un settore lungo
la cui transenna si presumeva sarebbe passato il Papa a salutare
i fedeli. In quel settore c’era un bel gruppo di turisti del
Sudafrica: felice, don Leonardo, poteva districarsi benissimo
con il suo inglese, ma quando quei sudafricani, sentendolo parlare capirono che la sua dizione di inglese non era quella della
inflessione sudafricana, cominciarono ad isolarli, impedendo
loro di stare vicini alla transenna. Don Antonio, un po’ più
scanzonato di don Leonardo, si impose a conservare il suo posto alla transenna e quando passò il Papa, dapprima gli parlò e
gli baciò la mano, poi disse al Papa: “Santità, c’è qui un mio
confratello che le vuole parlare … ” e con una mano mantenne
agganciata la mano del Papa e con l’altra mano tirò a sé la mano
di don Leonardo fino a che riuscì ad accostare le due mani e i
due, il Papa e don Leonardo, si trovarono a parlarsi e a dirsi,
don Leonardo: “Santità, chiedo la benedizione; sono un
salesiano, mi hanno fatto direttore dell’Opera di Santeramo…”;
e il Papa: “esiste ancora l’ubbidienza? Ti benedico…” Contentissimo, don Leonardo non finiva più di ringraziare della felice
circostanza capitatagli.
A Santeramo rimase tre anni. Durante quel triennio venne a far visita all’Opera il nuovo Rettor Maggiore don Egidio
Viganò.
Poi don Leonardo passò a Cisternino dove si fermò alcu-
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ni anni con don Antonio Gentile, gli anni della malattia di don
Angelo Gentile, e dove fu anche direttore.
L’ispettore don Antonio Martinelli lo volle poi a Napoli
come segretario del Consiglio ispettoriale e dal settembre 1990
Vicario ispettoriale.
Don Antonio Gentile
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Cenni biografici
Don Leonardo Cella, primogenito di quattro figli, nasce a
Rignano Garganico il 28 aprile del 1932 da Matteo, caldaista e
meccanico tuttofare (1902 – 1986), e da Eugenia Limosani (1906
– 1974), casalinga. La loro casa era al n° 15 di via Croce.
Nei primi anni di vita viene educato, soprattutto con l’esempio, al credo e all’osservanza dei precetti cristiani. Si tratta di
un modus vivendi comune alla maggior parte delle famiglie
rignanesi, al tempo sommerse dalla paura dei bombardamenti,
dalla miseria e poi, dopo la liberazione degli americani, dall’ansia e dal desiderio di un futuro migliore. E’ una situazione
che diventerà in seguito humus fertile di copiose vocazioni religiose.
Leonardo frequenta le scuole elementari del paese, dividendo il suo tempo tra gioco e studio. Spesso dà maggiore vantaggio al primo, ma senza arrecar danno al profitto. Difatti riesce
sempre a rimediare l’indispensabile. Durante quegli anni di scuola e di esercitazioni in divisa da Balilla si fa notare e ammirare
per il carattere riservato e amante più del fare che del dire. In-
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
somma, si rivela ad ogni piè sospinto un ragazzo vispo e generoso, sempre disponibile e pronto ad affrontare con il sorriso
sulle labbra ogni sacrificio e fatica.
Fa tutto con zelo, attratto fortemente dalle figure del padre
Matteo e dello zio Giuseppe, entrambi uomini pratici e
decisionisti nel risolvere i problemi esistenziali delle rispettive
famiglie. Resterà sempre legato negli anni anche e soprattutto
alla mamma Eugenia, alla nonna Mariannina e alla zia Elisa,
matriarche d’altri tempi ed esempi di vita insostituibili.
Al termine degli studi scopre la sua vocazione religiosa: vuole
farsi salesiano, attratto com’è dalla figura di don Angelo Gentile4, carismatico seguace di Don Bosco. Il suo spirito d’intraprendenza e di avventura lo spingono a detestare le comodità
della vita sedentaria, a preferire i pericoli e l’incertezza di nuovi percorsi.
Nell’immediato dopoguerra lo troviamo allievo nell’Istituto
“San Giovanni Bosco” di San Severo, città ove il suo genitore
aveva dimorato anni prima per ragioni di lavoro. Terminate le
Medie, frequenta il Ginnasio presso l’Istituto Salesiano di Torre Annunziata. A Portici trascorre l’anno del noviziato e lì veste
per sempre l’abito di don Bosco. A Portici si incontra con don
Antonio Martinelli, e con don Antonio Martinelli costituirà d’ora
in poi, un tandem per tutto il periodo dal noviziato al Sacerdozio (1953-1960).
Finito il noviziato, dopo un anno ancora vissuto a Torre
Annunziata, viene inviato all’Istituto Salesiano del Rebaudengo,
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sede distaccata dell’Ateneo Salesiano di Torino – futura Pontificia Università Salesiana di Roma –. Qui compie gli Studi di
Filosofia e, dopo i tre anni che lo vedono impegnato nel tirocinio a Taranto, viene nuovamente inviato a Torino, alla Crocetta,
sede centrale dell’Ateneo Salesiano, per gli studi di Teologia.
È ordinato sacerdote a Torino nella Basilica di Maria
Ausiliatrice l’11 febbraio 1960. Tale data era stata scelta come
atto di venerazione verso la Madonna di Lourdes, patrona dell’Istituto Internazionale Teologico di Torino – Pontificio Ateneo
Salesiano. Nell’estate, e precisamente il 15 agosto 1960, celebra la sua prima messa nella chiesa matrice “Maria SS. Assunta” di Rignano Garganico.
L’anno successivo lo troviamo a San Severo come insegnante incaricato dell’Oratorio.
Don Angelo Gentile lo ottiene da San Severo e lo porta a
Castellammare di Stabia, come docente di Teologia presso l’Istituto Teologico aperto appena qualche anno prima.
Nel frattempo frequenta corsi estivi di Lingua Inglese (dopo
diversi soggiorni estivi in Gran Bretagna e in Irlanda). Nel 1966
ritorna in Puglia quale Direttore dell’Opera Salesiana di
Carmiano, in provincia di Lecce, e vi rimane sei anni. Lì provvede all’istruzione e all’educazione anche di parecchi ragazzi5
di Rignano che a quel tempo avevano preso a frequentare
detto Istituto. Dopo aver trascorso alcuni anni a Bari e a
Soverato, nel settembre 1979 è nominato Direttore dell’Opera Salesiana di Santeramo. Qui vi rimane per un triennio nel
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corso del quale viene a far visita all’Opera il nuovo Rettore
Maggiore, don Egidio Viganò.
Poi don Leonardo passa a Cisternino, dove si ferma alcuni
anni con don Antonio Gentile. A Cisternino don Cella svolge
anche la funzione di Direttore. L’ispettore don Antonio
Martinelli, in seguito, lo vuole a Napoli come Segretario del
Consiglio Ispettoriale. Dal settembre 1990, poi, dallo stesso don
Martinelli è proposto Vicario dell’Ispettore. Difatti inizia il suo
servizio sotto il nuovo Ispettore don Luigi Testa. Don Leonardo
si farà notare e ammirare ovunque durante le sue visite per
la sua concretezza e per le sue oculate capacità decisionali
nelle soluzioni più disparate dei problemi. Nel gennaio 1992
gli tocca a far visita canonica anche l’Opera Missionaria di
Bemaneviky nel Madagascar e si accorge che c’è estremo bisogno di altro personale, soprattutto di sostituire alcuni missionari stanchi con forze più fresche. Cerca, ma non trova!
Così, a sessanta anni appena compiuti, lui stesso si offre ad
andare in missione. Lavora sodo e riesce anno dopo anno ad
alleviare in parte le sofferenze degli isolani, a combattere l’arretratezza di quelle genti mettendo a frutto la sua intensa voglia
di promozione umana e di evangelizzazione. Intanto l’impegno
continuo e il clima micidiale minano il fisico di don Cella. Dopo
undici anni è costretto a rientrare in Italia. Ma non è più lui!
Dopo un anno trascorso a Brindisi, dove la nipote Grazia
Nardella esercita la professione di medico presso l’Ospedale
Perrino, è inviato nella Casa di Castellamare di Stabia e poi in
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quella di Salerno, dove insieme ad altri confratelli sarà curato
amorevolmente5. Qui lo coglie la morte il 29 agosto 2011.
Il pomeriggio successivo sono celebrati nella Chiesa Matrice di Rignano i solenni funerali, officiati per l’occasione da una
schiera di confratelli e da altri religiosi provenienti da ogni dove.
E’ vicina ai familiari una moltitudine di gente commossa.
Quindi la salma è tumulata nel cimitero del luogo accanto
alle tombe di papà Matteo e di mamma Eugenia, in attesa del
Giudizio che verrà.
(4)
biografia nel capitolo “Il Maestro”.
(5)
Don Angelo Draisci (1955), salesiano dal 1966, sacerdote nel 1984
(Andria). Licenza di Pastorale Giovanile. Già direttore della casa salesiana
di Cisternino, è da alcuni anni responsabile di quella di Corigliano Calabro;
Don Antonio Russo (classe 1956), salesiano dal 1966, sacerdote nel 1984,
per un decennio missionario nel Madagascar
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LA FAMIGLIA E I LUOGHI CARI
(nei ricordi del fratello Vincenzo)
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Rignano Garganico, uno scorcio di Portagrande Ovest, anni ‘50
Rignano G. - Mezzanagrande. Famiglia di “assegnatari” a pranzo, 1953
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Il vento
Rignano Garganico è il paese del vento per antonomasia. Spira
in quasi tutti i giorni dell’anno, ora leggero, ora intermittente,
ora forte e possente. Di solito viene dal Nord o da Ovest. Il
volgo lo appella “scorciacrape”.
E’ un vento secco che spezza la calura estiva costringendo
ognuno, specie di sera, ad indossare la giacca o il soprabito
anche quando di giorno c’è il solleone. D’inverno la situazione
peggiora. Diventa pungente ed insopportabile.
Infatti, quando nevica, il vento si mette di traverso e si trasforma in una vera e propria barriera invalicabile. Solleva la
neve a mulinello e l’ammucchia nei posti più impensati, rendendo così le strade intransitabili non solo per gli automobilisti, ma anche per i pedoni costretti ad avanzare carponi pur di
non essere spazzati via e a trattenere il respiro, pur di non soffocare di fronte a tanta furia. Si tratta della bora, quella che
viene dalla gelida Siberia. Qui si chiama “lu fuluppine”.
Si racconta che una volta due ragazzi di nome Franceschino
e Tonino, dovendo ad ogni costo spostarsi dalla periferia (ove
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
abitavano) al centro vitale del paese distante alcune centinaia
di metri, pensarono bene di legarsi con funi piombate alle
estremità da due grossi sassi. Lo stratagemma riuscì e permise
loro di divertirsi un mondo con i compagni della piazza. Al
ritorno però, dato il tempo più inclemente, ci pensarono i rispettivi genitori a farli rincasare, aiutati per l’occasione da forzuti
parenti.
In paese, di sera, ci si fa luce con i tizzoni ardenti. Le lampadine tascabili fecero capolino solo negli anni ’50. La corrente
elettrica, a quei tempi fornita da una rete debole e da una sola
cabina accumulatrice posta sulla Ripa sino a qualche decennio
fa, va e viene: basta una leggera folata di vento o qualche goccia di acqua ad interromperla. Cosicché le pubbliche strade servite o le poche abitazioni illuminate da una sola lampadina “a
forfait”, restano per lungo tempo al buio. Il resto lo fa il coprifuoco. Siamo negli anni di guerra.
Di notte non si riesce a dormire, tormentati dal concerto tremendo diretto con molta disinvoltura dal maestro “Vento”: porte
e finestre battenti, spifferi sonori, fischi, sibili e ululati provenienti da ogni dove. Fa da padrone il tiraggio del camino, dove
il vento scende e risale a suo piacimento sommovendo al suo
interno tutto il ferrame utile alla cottura (catena per la pentola,
treppiede, graticola, ecc.).
Il lume a petrolio è spento da un pezzo. La stanza è illuminata a malapena dalla piccola lampada ad olio posta sul comò
davanti all’immaginetta della Madonna di Cristo. La luce fio-
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ca, però, anziché tranquillizzare, materializza ombre sinistre:
enormi pipistrelli, serpenti attorcigliati, animali con più teste,
uomini incappucciati, streghe sgangherate ed altre strane figure. La fantasia di due fratellini, Leonardo e Vincenzo, sempre
più si accende. Hanno tanta paura e, stretti stretti, si stringono
nel loro angusto lettino. Al suon di questa musica infernale ed
invernale i due ragazzi si addormentano. Il vento è uno spazzino scrupoloso che mantiene sempre pulita la vecchia Rignano.
E ciò grazie alla sagacia dei suoi antichi abitatori che l’hanno
costruita, pietra su pietra, a “misura di vento”, cioè seguendo
l’orografia dei luoghi. I fabbricati sono disposti in forma ellittica
attorno alla sommità della collina su cui si erge la piccola Cattedrale cinquecentesca, ossia la Chiesa Matrice intestata all’Assunta. Seguono il medesimo andamento le strade strette, a
serpentina, che si incrociano di tanto in tanto con quelle di collegamento verticale, quasi sempre a scaloni e terminanti con
degli affacci nelle diverse direzioni, ad eccezione del lato-nord
sul Giro Esterno. Questi ultimi sono costituiti da “cavernosi
archi che richiamano embrionali gallerie sotterranee”6 E’ in
questo groviglio di arterie, di vicoli e piazzette medievali che
s’incunea il vento sempre pronto a svolgere a puntino il lavoro
di pulizia.
Del vento di Rignano parla lo stesso don Cella in uno scrit7
to , ricordando il suo amico e maestro don Angelo Gentile: “Figlio di una terra dove dominano le pietre e il vento. Condizioni
ambientali queste, servite per abilitare gli abitanti ad affrontare
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
le difficoltà giornaliere. Lo stesso dialetto del paese, diverso da
quello dei borghi viciniori, secondo don Angelo, risentiva delle
condizioni ambientali. Quando c’è vento, la bora soprattutto,
spiegava, l’aria fredda ti entra in bocca e ti gela anche l’alito;
allora è necessario parlare a denti stretti con la bocca socchiusa. Ovvio che ne risente anche il dialetto. Ad esempio: la parola
“vento”, mentre altrove è pronunciata “vènt”, dove la è aperta
ti costringe ad aprire la bocca, a Rignano è “vint”, detta stringendo i denti e socchiudendo la bocca”.
I Rignanesi sono impastati di vento. Ovunque si trovino, quando s’imbattono in un evento atmosferico del genere, immancabilmente si accende in ognuno la memoria uditiva e tattile.
Sembra loro di trovarsi in paese.
Tanto accade anche a don Cella, quando si sposta nelle zone
alte del Madagascar e ode lo stormire della foresta o avverte in
faccia il soffio impetuoso del libeccio nei giorni di tempesta.
Qui il clima è più umido e caldo! Don Leonardo immagina di
trovarsi nella sua terra natale; si sente felice di affrontare l’evento anche se lì la natura si esprime attraverso tifoni quasi sempre accompagnati da effetti disastrosi e apocalittici in termini
di perdita di vite umane, di distruzione di abitazioni e di raccolto.
“Il vento è l’alito del Signore, bisogna accettare la sua volontà e pregare! A nessuno è permesso di scrutare il disegno divino!” E’ l’appello che il nostro sacerdote rivolge ai sopravvissuti di ogni catastrofe, spronandoli ad avere fede, ad iniziare
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con coraggio la via della ricostruzione mentre lui, da salesiano
operoso qual è, da subito si prodiga attivamente per aiutare il
prossimo.
Sempre in merito al vento c’è un racconto caro ai bambini
del tempo in cui non ancora c’era la Televisione. In un paese di
periferia, sperduto e sconosciuto come Rignano, i libri di narrativa erano scarsi o, meglio, merce rara riservata ai figli dei
ricchi. Così, i genitori solevano raccontare storie vere o inventate per conciliare il sonno dei piccoli.
Si tratta della presunta storia di un dragone (‘ndravone) che
si nascondeva in una impenetrabile “macchia” (bosco ceduo di
querceti e lecceti). A raccontarla, non si sa per quante volte, ci
pensa Tatone, il nonno. Nella sua casetta di campagna, è seduto
assieme ai nipoti davanti al focolare ove perennemente arde il
solito ceppo ben stagionato di quercia, talvolta di ciliegio e più
raramente di ulivo. Tra questi vi è anche il futuro “don” che in
quel momento sta gustando assieme ai cugini una fetta di pane
raffermo condita con un filo d’olio e poco sale. A quei tempi,
tempi di dura crisi bellica e postbellica, si risparmia su tutto.
Il nonno comincia: “C’era una volta in paese un contadino di
nome “Mechelucce”. Abitava assieme alla moglie “Catarinèlle”
in un pian terreno al quartiere “Grotta”. Non avevano figli. Il
monolocale però, oltre ai due coniugi, ospitava una giovane
somara di nome Peppinèlle, a cui Mechelucce e Catarrinèlle
erano molto affezionati. Era il regalo di nozze del padre di lei.
Le volevano molto bene perché il marito si lasciava portare
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
in groppa al lavoro nei campi; mentre la moglie la utilizzava
nei giorni di festa per spostarsi in paese e in campagna quando
decideva di far visita a questa o quella famiglia di parenti ed
amici.
“Mechelucce” era un brav’uomo ed infaticabile lavoratore
di zappa. Il suo unico difetto era l’eccessiva credulità. Bastava
che qualcuno gli dicesse: “Vole lu ciucce!” e lui ci credeva per
davvero. Una mattina di prima estate, l’uomo si svegliò ben
presto e disse alla moglie: “Oggi vado a Centopozzi a spietrare
la terra”. Si trattava di un appezzamento di poche are, costituito
dal fondo di una piccola dolina, contornata da una selva di querce
e di lecci inframmezzata da affioramenti rocciosi e pietre di
riporto.
La donna si alzò e aiutò l’uomo a mettere il basto all’asina;
ad appendere una bisaccia col necessario approvvigionamento,
tra cui un barilotto semipieno d’acqua appena attinta dalla cisterna. Allora, quasi tutti gli abitanti avevano una riserva di acqua piovana in casa. Quindi, il contadino portò fuori l’asino e,
dopo averlo fatto accostare ad un pianerottolo, salì in groppa e
si avviò verso la via di “fuso” (attuale strada provinciale per
San Marco in Lamis). Ad un certo punto, deviò su un conosciuto sentiero e in poco tempo giunse a destinazione.
Qui dapprima scaricò la bisaccia con le provviste alimentari
(pane e cipolla), poi gli attrezzi da lavoro (zappa, badile e piccone), poi l’indispensabile barilotto che sistemò sotto un
fronzuto ed impenetrabile leccio al fine di trovare ancora fre-
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sco il suo contenuto al momento della bisogna. Quindi, tolse il
basto e lasciò libero l’animale, mentre egli si mise subito al
lavoro.
In giro si avvertiva un frastornante monotono concerto di grilli
e di cicale, il cinguettio di passeri e di canarini, l’abbaiare lontano di qualche cane da caccia o di pastori, il fruscio di lucertole impaurite in cerca di sole, il verso stridente delle gazze ed
altri rumori più o meno percettibili. E’ la natura dei luoghi!
L’atmosfera bucolica durò poco. Ad un tratto la terra sembrò
tremare, lo stormire delle foglie si fece più intenso. L’aria si
rese inquieta. Cominciò a spirare dapprima una leggera brezza,
poi il vento. Tutto si confuse e il concerto da melodico si trasformò in una vera e propria baraonda. In mezzo a tanto frastuono si udiva un rumore cadenzato e alternato: “Ping, pong!
Puffhete, pufftete! Bla bla!” e via discorrendo. Tanto fu avvertito anche da Mechelucce. L’uomo si fermò, tese l’orecchio e
risentì chiaro chiaro lo strano rumore proveniente dalle “macchie” vicine.” Che sarà mai?” - s’interrogò. “C’è qualcuno?” chiese con lo sguardo rivolto alle piante. Nessuno rispose, se
non il bla bla e il ping pong di prima. La paura cominciò ad
impossessarsi dell’uomo.
Da tempo si parlava in paese di draghi e dragoni che si aggiravano per le campagne, sputando fiamme in ogni dove. Anzi,
taluni erano certi che gli ultimi incendi fossero stati causati da
questo strano animale. Pare che anche le pecore mancanti al
gregge di compar Nicola, fossero state ingoiate ad una ad una e
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
forse tutte insieme dalla “mala bestia”. Qualcuno diceva di essersi imbattuto nel dragone che era alto tre metri, aveva cinque
teste e una coda lunga più di cinque metri. Ad un tratto l’uomo
trasecolò ed esclamò ad alta voce: “Si, si è il Dragone!”.
Poi, incurante del basto, salì di corsa in groppa a Peppinèlle
ed in un baleno raggiunse il paese per chiedere aiuto. Andò
persino in municipio. Il Sindaco, dopo aver appreso la notizia,
seduta stante radunò le guardie, fece chiamare il banditore
Nunziuccio e lo mandò in giro per il paese a dare l’allarme:
“Armateve d’accette e runce, currite currite: a Centepuzze ce
sta lu “’ndravone inte la macchije!”*
Si fecero avanti tanti volenterosi, armati sino ai denti di armi
bianche e di forconi e in pochi attimi raggiunsero la piazza.
Quindi, con a capo il sindaco Antonio e l’avanguardia di
Mechelucce, il piccolo esercito uscì dal paese e si avviò impavido verso Centopozzi che venne raggiunto in poco più di un
quarto di ora. Il vento continuava a spirare ad intermittenza. I
rumori e le strane voci lamentate, a tratti, tornavano a farsi risentire. Il primo cittadino, allora, fece disporre la strana armata
a semicerchio e a doppia fila davanti al posto da dove giungevano i rumori. Comandò, quindi, alle due guardie di andare sul
posto ad esplorare. Questi, preso coraggio, in sintonia d’azione
piombarono in un attimo sulla macchia incriminata. Con sommo stupore notarono il barilotto che, privo di sostegno e mosso
dal vento, continuava a dondolare or dall’una or dall’altra parte, facendo battere sul legno l’acqua contenuta al suo interno
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col medesimo ritmo. Era questo tipo di sciabordio a generare lo
strano rumore.
Le due guardie scoppiarono a ridere a crepapelle: “Mechelu’,
Mechelu’, vieni a vedere! E’ il tuo barilotto a far rumore!” La
comitiva, a questo punto, avvertendo con una certa amarezza
di essere stata burlata non ad opera dell’uomo ma di un elemento cieco come il vento, fu costretta a ritornare in paese con
le pive nel sacco”.
Da allora in poi in paese si raccomanda spesso a chi va: “Stai
attento agli scherzi del vento!”.
6
7
P. Doroteo Forte, Rignano Garganico, Foggia, 1984, p.19.
A.Miscio-A.Gentile, Una Vita secondo il cuore di Don Bosco / Don
Angelo Gentile/la persona e il formatore, Torino, Elledici, 2009, p.25
8
Armatevi di accette e roncole, correte correte: a Centopozzi c’è il
Dragone nel bosco!
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
Il talento del padre
Ora ha più di sessant’anni la grande Croce di ferro che campeggia in bella vista a Rignano Garganico su una balza della
balconata Ovest, luogo non dissimile dall’evangelico Golgota
e per posizione e per scenografia naturale.
La Croce misura circa cinque metri in altezza, compreso il
piedistallo. Due metri e mezzo è la larghezza dei bracci. Questo segno di Cristo lavorato a mano si presenta all’occhio del
visitatore in tutta la sua semplicità ed essenzialità, moderatamente slanciato e funzionale. Ad ulteriore testimo-nianza del
supplizio subìto dal Figlio di Dio, sono presenti sul principale
segno due lunghe lance incrociate. Le punte sono arrotondate
per ovvi motivi precauzionali, di sicurezza specie per i ragazzi
che qui da noi, nei mesi caldi, utilizzano per i loro giochi ogni
cosa in cui s’imbattono. Sulla lapide marmorea posta alla base
della croce è scritto su più righe: “ Il Redentore e il Popolo di
Rignano in ricordo della Missione dei PP. Passionisti. 16 novembre 1951”. Il nome dell’artefice, inciso con scalpello e
martello, è riportato sul corpo del ferro: Matteo Cella, padre di
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Leonardo. Chi è l’artifex e perché lo fa?
Matteo Cella (1902 – 1986) è il classico artigiano tuttofare,
all’avanguardia per quei tempi. Sa lavorare gli oggetti più svariati in ferro, rame, ottone, stagno, alluminio ecc. Riesce qualche volta a costruirne anche alcuni attrezzi ex-novo. E questo
si deve al suo antico mestiere di tornitore e fresatore!
Infatti, è da giovane che Matteo scopre la meccanica, sia
fissa sia mobile. Appena ventunenne, stufo della vita grama e
noiosa di paese, non volendo fare la fine di tanti suoi coetanei
destinati a stare al soldo del padrone oppure a fare il contadino
o l’allevatore, scappa da casa e con mezzi di fortuna raggiunge
San Severo.
Stanco e affamato, si presenta alle officine dei Vernola. Viene accolto dal principale dapprima con titubanza, ma subito
dopo con simpatia, accattivato dallo sguardo pulito del giovane. E’ l’ora della chiusura. Lo porta con sé a casa e lo fa rifocillare. Il fuggiasco viene subito assunto e messo in officina come
apprendista.
Passano mesi, anni… e Matteo impara ogni cosa, tanto da
diventare uno specialista perfetto sia al tornio, sia alla fresa e
alla rettifica. Nel tempo, sarà capoofficina e uomo di fiducia
del titolare. Quest’ultimo gli vuole bene, come d’altronde il
resto della famiglia. Lo invogliano a prendere il patentino di
conduttore di caldaie a vapore.
Matteo studia e consegue in quel di Bari il diploma,
unitamente al suo coetaneo Saverio Gisolfi (1911 – 2000). Sa-
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
ranno i primi “trattoristi” patentati della zona ad attivare le
trebbie a vapore negli anni a venire. Il primo sarà impegnato di
solito nelle campagne di Rignano. Più tardi, opereranno altri
macchinisti, con o senza patente, come i Pizzichetti e i Parracino
che agiranno con macchine proprie.
Nei primi mesi del 1931 Matteo, all’improvviso, lascia i
Vernola e torna a Rignano. Qui lo aspetta la sua diletta Eugenia
Limosani (1906-1974), che sposerà qualche tempo dopo. Vanno ad abitare in Via Croce, al numero civico 15, un alloggio
composto di un ampio vano tramezzato: di là la stanza da letto,
di qua la cucina con ripostiglio e camino. Qui nasceranno i figli: Leonardo, futuro salesiano (1932), Vincenzo (1936), Maria
Anna (1940) e Maria Cristina (1943). Resteranno in questa casa
sino agli anni ’60, quando si trasferiranno all’abitazione più
comoda e ampia di Via Marconi, costruita ex-novo.
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La trebbiatrice a vapore
A differenza di oggi, dove tutto passa inosservato per via
della velocità e perfezione della mietitrebbia, a quei tempi la
trebbiatura con macchina suscitava l’attenzione della gente. Al
principiar dell’estate, il classico battito del trattore a testa calda
si avvertiva da lontano. Procedeva lentamente trainando una
lunga carovana composta di trebbia, scala, scaletta e carretto
dei lubrificanti. Giunti al luogo ove il marchingegno era atteso,
lo si sistemava nell’aia già predisposta per la trebbiatura ed
occupata in gran parte da grandi cumuli di covoni (a forma squadrata) sistemati a spiovente.
Piazzate le macchine, un gran numero di operai (da 15 a 30)
era pronto ad svolgere il proprio lavoro richiamato dal suono
penetrante della sirena. L’intenso segnale acustico, udibile a
grande distanza, richiamava anche una certa quantità di curiosi.
S’incominciava a trebbiare alle ore piccole. Per parecchio
tempo si udiva in lontananza il battito frenetico del trattore e il
rombo cupo della trebbiatrice. Anche il polverone che la mac-
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
china sollevava s’intravedeva a grande distanza.
Esternamente la trebbiatrice si presentava come una grande
cassa di legno, montata su un carro a quattro ruote della lunghezza di circa sei o sette metri, che si faceva notare per il suo
brillante colore arancione. Ai suoi lati sporgevano degli assi sui
quali erano montate le pulegge. Il tutto era collegato ed attivato
dal congegno a vapore. Da una passerella la macchina ingoiava
ad uno ad uno i covoni; mentre da una uscita posteriore veniva
fuori la paglia, lestamente raccolta e trascinata con la “marinara”
(tavola trainata da un asino o mulo) da un vispo ragazzo. Dalle
restanti bocche fuoruscivano la pula e il prezioso seme di grano, che veniva accolto da capienti recipienti e subito trasportato ai cumuli dei rispettivi
proprietari o ai fittavoli. Il grano, quindi, era messo nei sacchi di iuta e pesato alla vicina bascula, opportunamente livellata e tarata con il marco o romano. In mancanza di questo strumento si ricorreva, come nei tempi antichi, a particolari recipienti di capacità in legno, detti in dialetto “mezzette” (Mezzette
= 48 chilogrammi) e “stuppiddi” (cinque chilogrammi).
Si procedeva alla divisione del raccolto tra proprietari del
terreno e mezzadri e al saldo delle spettanze prestabilite, di solito pagate in natura e com-mensurate per antica tradizione alla
quantità di seme impiegato (due o più quintali a ettaro, secondo
l’annata).
Era il fattore o altro incaricato a registrare intaccando con il
classico coltello a serramanico un bastoncino di legno o di ferula.
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Ogni segno stava per un quintale. Tale usanza era praticata in
quasi tutte le masserie, anche per la conta di altri generi di merce, compreso il vino (un’intacca per litro).
Infine, il grano era depositato dai padroni in asciutti e grandi
silos, per poi essere venduto in tempi maggiormente favorevoli; mentre quello dei mezzadri e fittavoli erano trasportato in
paese per essere in parte venduto al fine di far fronte alle spese
sostenute, in parte ridotto in farina e riservato alla famiglia (quasi
sempre numerosa) per il quotidiano fabbisogno.
A settembre si completava l’opera liberando il grano dalle
impurità frammiste, in particolare dai neri semi di veccia allora
molto diffusa. Tale operazione si faceva a mano, con i bucherellati “farnàre”, quando l’entità del grano da selezionare era
modesta; con gli “svecciatoi” quando il raccolto proveniva da
grandi estensioni di terreno. Questi ultimi erano macchine costituite essenzialmente da cilindri metallici forati che, messi in
rotazione con una manovella, riuscivano a ben selezionare i
semi.
Un abbondante pranzo, di cui spesso era involontaria protagonista la pecora (in altri casi il pollame), era servito sotto
un’ampia tettoia o all’aperto alla fine della giornata di
trebbiatura. Partecipavano al banchetto tutti quelli che avevano
collaborato ai lavori. Attenzione particolare era riservata al
macchinista e ai suoi aiutanti.
S’iniziava con una minestra di pasta all’uovo in brodo o pastasciutta al sugo di carne. Seguiva lo spezzatino in umido con
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
le patate e le verdure dell’orto. Il tutto viene abbondantemente
annaffiato con vino locale. Seguivano i dolci fatti in casa, spesso taralli e, raramente, “pastarelle”. Si chiudeva la giornata col
canto di motivi popolari accom-pagnato dalla chitarra, dalla fisarmonica o da altro strumento musicale a seconda di quanto
passava il convento.
Il resto della popolazione rignanese, formata in massima parte
da braccianti agricoli e da pastori, a quei tempi viveva in estrema indigenza. La situazione si fece nera durante la guerra. Il
lavoro degli uomini, quasi tutti partiti, lo facevano le donne. I
viveri erano razionati. Ai negozi di generi alimentari si andava
con la tessera. Matteo, temendo di essere chiamato alle armi,
vendette a malincuore la trebbiatrice. Si arrangiava in paese
con altri lavori.
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Trebbiatrice a vapore, anni ’30 -’40 (schizzo)
Rignano Garganico, trebbiatura, fine anni ’40
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
Chiamata alle armi e congedo
Nella primavera del 1943 la maledetta temuta “chiamata”
giunse puntualmente anche per lui e fu costretto a partire. Non
fece in tempo a raggiungere la destinazione che venne congedato per carico familiare. Nel frattempo era nata Cristina, la
sua quarta figlia.
A settembre ci fu l’armistizio. Passati i tedeschi in fuga, arrivarono in paese gli americani che vi resteranno sino alla primavera del 1945. I reduci tornarono man mano a casa, tranne i
morti. Insomma, la guerra era finita ma non la fame, che diventava generale e persistente nonostante il Piano Marshall.
Chi aveva un piccolo fondo in montagna era veramente fortunato perché, anche se con sacrifici e sudore, riusciva a produrre il bastevole per la famiglia. Chi aveva niente, neppure un
lavoro, andava a spigolare il grano o a raccogliere le olive che
si perdevano nella terra dopo il raccolto, sempre quando i padroni e i guardiani lo permettevano. Nelle campagne si riversavano un po’ tutti, a prescindere dall’età e dal sesso: erano
anziani dalla schiena ricurva e robusti uomini, donne giovani e
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meno giovani, ragazzi e fanciulli di tenera età.
I settori dell’artigianato e del commercio languivano: il primo campava alla giornata con lavori di manutenzione spicciola; l’altro era remunerato a credito, in mancanza di circolazione
di denaro. La qualità della vita era pessima. Ogni famiglia viveva assiepata in una sola stanza del centro storico.
Nei primi tempi Matteo provò a riavere la sua trebbia. Andò
a Foggia e la ritrovò trivellata da proiettili e scheggiata dalle
bombe, insomma inservibile. Assieme alla famiglia si trasferì a
San Severo, dove riprese ad esercitare l’antico mestiere presso
i Vernola. Vi resterà solamente per qualche anno; dopo di che
rientrerà in paese e si stabilirà nella vecchia casa.
Si accontenta di lavorare a tempo determinato presso la masseria dei Serrilli, confinante con la tenuta dei marchesi Cappelli, a Mezzanagrande, alternando il mestiere di meccanico e conduttore di trebbiatrice a vapore ad altri lavori. D’inverno esercita il mestiere di armaiolo, appreso sempre in quel di San Severo: rettifica le canne dei fucili, fabbrica i proiettili, dosa la
polvere da sparo nelle cartucce, ecc. E’ il punto di riferimento
per quanti hanno a che fare con le armi a scopo di caccia, di
'guardianìa' e/o di altro.
La vita sociale in paese, sia prima sia dopo la guerra, si svolgeva (specie durante l’estate) nella strada. E qui che ci s’informava e si sapeva di tutto; è qui che si conoscevano le ragazze
sedute davanti agli usci di casa assieme ai famigliari. Una volta
adocchiata la prescelta, si mandava l’ambasciata, tramite per-
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
sona fidata a lei vicina. Spesso si palesavano le amorose intenzioni anche per lettera. Se la risposta era positiva, s’informavano le rispettive famiglie. Seguivano, poi, gli approcci quotidiani a base di conversazioni. Ci si limitava anche a qualche stretta di mano, davanti all’uscio di casa, a brevi frasi scambiate a
distanza con la “bella alla finestra”. Tale tipo di fidanzamento
durava diversi anni. Il passeggio era consentito soltanto se la
giovane era accompagnata da un famigliare. Fatto il “parentado” e stabilita la “dote”, si passava dapprima alla promessa di
fidanzamento ufficiale e poi al matrimonio.
In questo ed in altri importanti eventi della famiglia veniva
coinvolto immancabilmente lo “stradario”, cioè tutti gli abitanti delle due strade dove avevano domicilio i futuri sposi. La
partecipazione allargata era rituale sacro perché al tempo tutti
quelli del vicinato si volevano bene e si rispettavano.
A quei tempi mancavano del tutto i luoghi di pubblico
intrattenimento o ritrovo. C’erano le cantine frequentate esclusivamente dai maschi. Restano nei ricordi quelle di Domenico
Monetti, detto “Mu - mu”; di Graziella Iannacci, detta la
“Cantinére”; dei Parracino9, alias “Lu monache”; di Vincenzo
Danza, detto “Cazzaridde”.
La chiesa era un punto di riferimento per tutti, sia come polo
religioso sia come centro di aggregazione sociale. L’attaccamento atavico al campanile era di tutte le famiglie. Ci si andava
a tutte le ore della giornata a seguire le funzioni religiose, le
iniziative dell’Azione Cattolica e nei momenti di estremo biso-
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gno. Coordinava il tutto uno staff di sacerdoti di prim’ordine,
capeggiata dall’arciprete mons. Giovanni Draisci, in cattedra
sin dall’inizio del secolo scorso. I collaboratori erano: don Giovanni Draisci, omonimo del cugino arciprete; don Nicolino
Martelli e don Matteo Lambriola rispet-tivamente incaricati della
gestione delle cappelle del Purgatorio, di San Rocco e del
Carmine. I primi due si sostenevano con fondi provenienti dalle offerte o dalle ripetizioni scolastiche. L’ultimo era del tutto
autosufficiente perché docente di ruolo alle scuole elementari.
Sono loro, con l’insegnamento dei principi e valori cristiani,
ad illuminare il cammino della vita e ad infondere in ognuno la
speranza per un futuro migliore. E’ per questo che la comunità
mai ha disperato ed è andata avanti superando ogni contrarietà,
comprese quelle della povertà e della fame.
9
Don Mario Parracino (classe 1932), appartiene a questa famiglia.
Salesiano dal settembre 1943, sacerdote nel 1960, Laureato in Fisolofia e
Psicologia, dopo aver diretto l’Istituto salesiano del Vomero (Napoli), è
responsabile Cnos - Fap dell’Ispettoria Meridionale. Torna in Puglia ed
consigliere scolastico a Taranto. Poi stabilisce fissa dimora al Redentore di
Bari. Qui insegna e fornisce consulenze di psicoterapia in diversi Istituti
salesiani e non. Attualmente è in pensione.
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
La religiosità dei Cella
Il bisogno di religiosità è un sentimento ben saldo e radicato
in ogni famiglia. Lo è soprattutto in quelle che hanno un componente sacerdote, seminarista o collegiale che sia. E’ il caso
di Matteo Cella, il cui figlio Leonardo segue le orme di don
Bosco. Sarà consacrato sacerdote nel 1960. In seguito soggiornerà per moltissimi anni come missionario in Madagascar. Parecchi lustri dopo, il suo esempio sarà seguito da don Gino10,
figlio del cugino Arcangelo
La famiglia Cella, in quegli anni, è una di quelle legate a
doppio e stretto filo alla religione. Così, facilmente si spiega
perché il capofamiglia Matteo, non appena ebbe la proposta di
realizzare la Croce, accettò con piacere ed orgoglio l’incarico.
C’è da aggiungere che accetta il compito anche per via di una
disgrazia capitata in famiglia tre anni prima.
Secondo il racconto del figlio Vincenzo, eccellente idraulico ed ottimo conduttore di caldaie di vario tipo, l’idea della
Croce nasce nel 1950, Anno proclamato Santo da Pio XII con
l’intento di rappacificare gli animi e dare speranza e serenità
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all’umanità appena uscita da una guerra disastrosa e tragica. In
Italia e nel mondo cristiano c’è un fermento religioso straordinario. Tutti vogliono essere Romei, cioè andare in pellegrinaggio nella Città Eterna al fine di ringraziare il Signore per lo
scampato pericolo della guerra e, nel frattempo, chiedere l’indulgenza per i peccati commessi. Tanto vale anche per Rignano
e i Rignanesi!
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Don Gino Cella (classe 1963), laureato in Psicologia, è ordinato sacer-
dote il 3 agosto 1991 nella chiesa matrice di Rignano. A consacrarlo è il
Servo di Dio don Tonino Bello, allora vescovo di Molfetta e prossimo beato. Lo aveva conosciuto tempo prima a Roma e ne era rimasto affascinato.
Ora, don Gino dirige l’Opera Sacro Cuore di Foggia.
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
La missione dei Passionisti
Non potendo organizzare un’adeguata e nutrita spedizione
di pellegrini e devoti nella Capitale perché il viaggio aveva un
certo costo, l’arciprete Draisci11 invitò i Padri Passionisti a tenere una serie di predicazioni in paese al fine di liberare, almeno per un po’, la comunità dagli affanni quotidiani ed elevare i
popolani ad una più alta spiritualità. “Zio Arciprete” ci teneva
soprattutto a lasciare un indelebile ricordo dell’Anno Santo nella
mente dei suoi compaesani.
Così, nel mese di ottobre, giunsero in paese P. Roberto, P.
Giambattista e P. Edoardo. Furono accolti a Porta Grande con
grande giubilo e tanta curiosità dall’intera popolazione, anche
da quelli che in chiesa non ci andavamo mai se non in particolari occasioni (battesimo, cresima, matrimonio e funerali).
I seguaci di San Paolo della Croce possiedono carisma e grande esperienza pastorale. Come la matrona romana Cornelia,
hanno l’abitudine di esporre i propri gioielli, cioè parlano in
primis della bontà della loro Congregazione sorta per “insegnare alle persone come pregare”. Fanno tutto questo attraver-
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so i Ritiri e le Missioni. A fondamento della loro vita e del loro
apostolato c’è la Passione di Gesù: fu il Fondatore ad indicare
questo rimedio per vincere i mali che attanagliano l’uomo. Sono
soliti ripetere “la Passione di Gesù è la più grande e stupenda
opera dell’amore divino”. L’esatta denominazione assegnata
dalla Chiesa all’Ordine è “Congregazione della Passione di Gesù
Cristo”, ma tutti abitualmente li chiamano “Passionisti”.
I seguaci di S. Paolo vestono di nero stretto in vita da una
larga cintura di pelle. Si fa notare sul petto uno stemma a forma
di cuore su cui spiccano in bianco le parole: JESU XPI PASSIO
(Passione di Gesù Cristo). Fanno vita comunitaria in Case che
il Fondatore chiama “Ritiri”, tutte ubicate (allora come oggi) in
siti isolati per facilitare il raccoglimento e la meditazione. Il
primo convento sorse nel 1737, sul Monte Argentario, col nome
di “ritiro della Presentazione”.
Da allora la Congregazione ha un'espansione che non conosce arresto. Prima in Italia, poi in Europa e quindi nel resto del
mondo, l’Istituto dei Passionisti è presente in ben 54 nazioni:
oggi conta 27 Province e 20 Vicariati, per un totale di 2300
religiosi distribuiti in 393 conventi. La Regola di S. Paolo della
Croce affascina e conquista il cuore di decine di giovani. Tra le
sue file vi sono Santi particolarmente amati dal popolo. Oltre al
Fondatore, vanno ricordati San Gabriele dell’Addolorata, Santa Gemma Galgani, Sant’Innocenzo dell’Immacolata, San
Domenico Barberi ed infine Santa Maria Goretti il cui corpo e
le reliquie sono custodite e venerate nel santuario di Nostra Si-
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
gnora delle Grazie a Nettuno. La cerimonia di santificazione
della giovane donna accade il 24 giugno 1950 a piazza San
Pietro nella Città del Vaticano e il giorno di commemorazione
istituito è il 6 luglio, anniversario della morte della contadinella.
A motivarne la canonizzazione, a parte la resistenza opposta al
tentativo di stupro e il conseguente perdono concesso al suo
assalitore, sarebbe il proposito fatto a 11 anni (al momento di
ricevere la prima Comunione) di voler piuttosto morire che
commettere peccati.
La storia della Santa, raccontata dai Passionisti, appassionò
e commosse l’uditorio perché la sentiva come una di loro, cioè
figlia del mondo contadino. Qualche anno dopo -ricorda Vincenzo- fu proiettato in piazza Gargano il film sulla Santa dal
titolo “Cielo sulla palude”, lavoro del regista Augusto Gemma
diffuso nel 1949. La gente ne restò rapita e si commosse fino
alle lacrime.
Seguì un mese di predicazioni, nel corso del quale furono
lette e commentate, una dopo l’altra, tutte le pagine del Vangelo. I Passionisti si soffermavano in particolar modo sulla Via
Crucis e sulla Crocifissione. Il loro non era un discorso ex-cattedra, ma un racconto “terra terra”che suscitava l’attenzione e
riempiva il cuore, grazie anche all’uso calibrato del metodo
dell’animazione e drammatizzazione. Di solito celebravano la
S. Messa alle cinque del mattino e/o in prima serata. Tanto
facevano perché potessero partecipare alle cerimonie religiose
anche i lavoratori e i braccianti impegnati ai piedi della collina
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e nella piana sottostante. Tra questi c’è anche Vincenzo che in
quel periodo si recava a raccogliere le olive perse assieme ai
compagni.
Dopo aver assistito alla funzione, il gruppo si dirigeva verso
Capelumonte. Ognuno, facendosi luce con un tizzone ardente,
scendeva a capofitto lungo la mulattiera detta “Scala di Sant’Anna” o lungo quella di “Ficuccio”. La prima stradella era la
più ripida e ti portava in un baleno alla sottostante contrada
“Don Biase”. L’altra, meno ripida e più lunga, arrivava alla Lama
e a Pescorosso. Dette località si trovano tutte sul primo gradone
del versante occidentale della montagna.
Una volta sul posto, la comitiva si metteva a cercare olive
nelle zone da poco abbandonate dai raccoglitori ufficiali mandati dal padrone. A una ad una cercavano i neri frutti tra i cespugli, i rovi, le pietraie. Non sempre si era fortunati! Qualche
volta, dopo aver girato per ore e ore macinando chilometri di
strada, riuscivano a malapena a mettere nel tascapane qualche
chilo del prezioso frutto.
A mezzogiorno si mangiava un “boccone”. Ed era davvero
tale!| Infatti tutto si esauriva in un tozzo di pane raffermo,
insaporito da qualche pomodoro “vernije” o da un pezzo di
cipolla, oppure da poche olive appena raccolte ed arrostite sul
posto. All’imbrunire si tornava a casa risalendo a fatica la ripida mulattiera. La salita finiva di sfibrare le membra già stanche. Non per niente il nome “Scala di Sant’Anna” dato alla
mulattiera è diventato nell’immaginario collettivo e nel voca-
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
bolario popolare sinonimo di grande impresa, di lavoro che
contempla eccessivo logorio.
11
Giovanni Draisci (1890 – 1978). Prete d’intelligenza superiore e col-
to, segnò per circa sessant’anni la vita religiosa e pubblica di Rignano,
dapprima come collaboratore del suo predecessore don Elia Lecce, e poi
come parroco. Rivestì i titoli di: arciprete, canonico - consultore della Curia sipontina e cameriere segreto del Papa. Provvide al completamento del
nuovo Cimitero (inizio ‘900), al radicale restauro della Chiesa di San Rocco
(anni 20) e all’abbellimento della Chiesa Matrice (anni ’30), con i preziosi
affreschi del pittore milanese, Natale Penati.
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La Croce
La simpatia che effondevano i nuovi venuti era prorompente e prendeva tutti, compresi i comunisti che (nonostante non
seguissero le prediche dei Passionisti) li ammiravano e li rispettavano. Ogni famiglia li voleva in casa come ospiti d’onore, a pranzo o a cena, soprattutto per ricevere consigli. Anche la
famiglia Cella rientrava in questo novero. Veramente da loro i
Passionisti si recavano con più frequenza, forse per l’accoglienza
e il calore che si avvertiva nella loro casa di campagna prossima al paese. Oltre al primogenito Giuseppe (1887 –1947) perso a causa di un incidente provocato da una errata manovra col
camion, ai genitori di Matteo non mancava altro. Avevano il
loro orto e un pezzo di terreno seminativo, con alberi da frutta
di vario tipo. Allevavano qualche ovino e, soprattutto, decine e
decine di pennuti da cortile. Non mancava un alveare per la
produzione del miele. Qui c’era il deposito-officina di Matteo
ed in un altro locale adiacente operava perfino un piccolo mulino a manovella per la macinatura del quantitativo di grano
bastevole per la famiglia e gli amici più stretti.
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
Anche il fratello di Matteo e la sua famiglia, prima della
disgrazia, vivevano la loro stagione innovatrice grazie al figlio
Arcangelo (classe1923), reduce da servizio militare di lungo
corso. Siccome aveva la patente di guida, acquistarono un camion (il primo presente in paese) impiegato per il trasporto di
merci per conto terzi, ma soprattutto per conto proprio.
Gestivano, infatti, un genere alimentare con annessa macelleria sempre da rifornire di carne ed un modesto cinema che
proiettava pellicole noleggiate a Foggia, da Cicolella. Il mezzo
serviva per raggiungere il capoluogo! Il locale per le proiezioni, attivo sin dai primi mesi del 1946, era un capannone con
copertura di lamiera ad arco a tutto sesto. Era allocato in piazza
San Rocco ed era stato realizzato qualche tempo prima con
materiale riveniente da un ex-campo americano in prossimità
dell’aeroporto di Amendola.
La tragedia patita sembrava offuscata quasi dopo un anno.
Superato il lutto, il calore e la simpatia tornarono di nuovo a
risplendere nella casa-madre dei Cella, rappresentata da
Leonardo e Mariannina, dalla figlia nubile Elisa che badava a
tutti e a tutto. Accolsero con grande gioia i Passionisti. Partecipò al pranzo l’intera famiglia, compresi Matteo e i suoi. Nel
corso della conversazione, si parlò della Croce di ferro da realizzare sia in segno di devozione al Redentore che per ricordare
la venuta dei suoi annunciatori, i Passionisti. Matteo si fa avanti. Ci penserà lui a compiere l’impresa. Non ritenendosi un vero
artista, è sicuro che sarà il Cielo a guidare la sua mano soprat-
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tutto grazie alle preghiere d’intercessione elevate dal figlio
Leonardo, seguace attivo di don Bosco. Il materiale principale
c’è già in magazzino: si tratta di due “lame” (spranghe di ferro), donate da Nicola Gentile che in quel periodo si stava
riadattando la casa in via Firenze, e lunghe quattro metri, abitualmente utilizzate per sostenere le volte di mattoni.
Arriva l’inverno e Matteo, come tutti gli altri, smette di lavorare e torna in paese. Il suo primo pensiero è la Croce. Così si
mette subito all’opera, facendosi aiutare dal figlio Vincenzo e
da Leonardo quando per brevi vacanze fa ritorno al paese.
Per segare a misura le due spranghe (rispettivamente per il
palo e per i bracci) vanno via giorni e giorni di lavoro. Passano
altre settimane ancora per fare i buchi utilizzando esclusivamente martello e punteruolo. Fissano le due parti con grossi
chiodi di ferro, ma la Croce non è ancora fatta. Bisogna limare
ogni parte ed ogni angolo.
Arriva Natale e si è ancora a lavoro abbozzato. Mancano le
lance e manca soprattutto il ferro adatto all’uopo. Un giorno
Matteo si mette in viaggio a cavallo alla ricerca dei due ferri.
Raggiunta la pianura, passa in rassegna tutte le masserie da lui
frequentate, ma invano. Stanco e disperato, pensa di ritornare a
casa. Finalmente in fondo ad uno “staddone” (grande stalla per
quadrupedi) scopre in un angolo un vecchio cancello ormai in
disuso. Con il permesso del padrone, lo scardina e preleva le
due aste che si presentano già provviste di punte a freccia.
Passano altri giorni e forse mesi. Si è nel cuore dell’inverno
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
e fa tanto freddo nel magazzino adattato per il momento a laboratorio. Finalmente un giorno s’intravede il sole. L’aria, anche
se rigida, non è funestata dalla neve o dalla tempesta. Allora,
padre e figlio decidono di ritornare al lavoro. Con la lima mettono a nuovo le due aste, attutiscono le punte e le fissano incrociate al palo e ai bracci della Croce. Ma non è finita! Manca la
firma e la data. Non sanno come farle perché i due Cella non
hanno l’esperienza di un fabbro o di un incisore. Alla fine l’artefice decide di provarci. Dopo aver scelto il campo (parte bassa del corpo) e dopo aver tracciato a stampatello tutti i dati,
affila lo scalpello alla “mola” e a colpi di martello riesce piano
piano ad incidere sul ferro la prima linea di una lettera. E’ fatta!
A primavera, il lavoro è finito. Viene incaricato l’arciprete
per la scelta del luogo e del giorno dell’inaugurazione. Il luogo
indicato per la posa è Capelumonte; la data è il 16 novembre,
giorno della partenza dei Missionari avvenuta un anno prima.
Si prepara, intanto, il piedistallo, con l’aiuto di volenterosi
muratori, e la lapide commemorativa. Si issa la Croce.
Finalmente arriva il grande giorno della Santa Benedizione
e del ringraziamento. Una lunghissima teorìa di persone (in pratica quasi tutta la comunità praticante), dopo aver lasciato la
chiesa ed attraversato le vie principali del paese intonando canti e preghiere religiose, raggiunge il posto in breve tempo. A
precederla c’è l’arciprete Draisci con gli altri sacerdoti; le massime autorità civili, capeggiate dal sindaco Pasquale Ricci con
la fascia tricolore; i vigili urbani ed il Comandante della Sta-
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zione dei Carabinieri in grande uniforme. Alla benedizione ed
alle preghiere seguono scroscianti applausi uditi perfino dai
battitori e dalle raccoglitrici di olive impegnati lungo il versante meridionale della montagna e alle pendici. Questi ultimi provano in cuor loro un po’ di sconforto per non aver potuto partecipare allo storico evento.
In quegli anni cresce e si diffonde il fervore religioso anche
tra i ragazzi e, sull’esempio di don Cella e di don Parracino
prima e di don Antonio Gentile e don Giovanni Soccio12, alcuni
anni dopo, intraprendono la medesima strada salesiana i futuri
“Don” Michele Gentile e Peppino Resta13. Corre l’anno 1951.
12
Don Giovanni Soccio (classe 1938), salesiano a 11 anni, sacerdote
nel 1965. Laureato in Scienze Naturali ha insegnato materie scientifiche
presso le scuole salesiane di Cagliari, Genzano e Roma –Cinecittà, dove
attualmente dimora.
13
Don Peppino Resta (classe 1940), salesiano dal 1951, sacerdote nel
1968, specializzato in Teologia Ecumenica (con Professori Cattolici, Ortodossi e Protestanti) ha diretto diversi Istituti e parrocchie (Portici, Lecce,
Soverato, Molfetta, Vibo Valenza, Brindisi). Da alcuni mesi è Parroco a
Taranto.
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
Rignano G. - La Croce,ricordo dei Passionisti, 1951
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La grande statua di San Pio
La zona “Capelumonte”, negli ultimi decenni, ha perso l’originaria denominazione. Ora è detta “La Croce”. Il luogo è destinato ad ospitare anche la grande statua di Padre Pio in base a
quanto deciso negli ultimi tempi dalla Giunta Municipale su
sollecitazione del Comitato Promotore presieduto da Padre
Antonio Eugenio Resta (o.f.m.), cugino di Don Leonardo.
Il monumento, alla pari delle altre opere volute per il Frate
dalle stimmate, dovrebbe essere una delle più grandi realizzazioni che celebrano il Santo di Pietrelcina. Si parla di oltre 60
metri d’altezza.
Il luogo prescelto, come accennato, oltre ad essere benedetto da Dio per la presenza della Santa Croce, ha una posizione
aerea dominante sull’intero Tavoliere. Da qui si gode la visione di un panorama raro e suggestivo: la pianura variopinta, le
colline brune del Sub Appennino, l’Adriatico luminoso, la cima
nevosa della Maiella e così via.
Se così sarà, l’uno e l’altro monumento potranno essere visti da ogni angolo della Capitanata, e non solo. C’è di più: il
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
poggio con la Croce tornerà a svolgere la sua antica funzione di
“ a monte guardie Riniani”, come si legge in un documento del
102914. Non può essere che questo –termina con accenti commossi il nostro interlocutore – il luogo più adatto per la statua
in onore del Cappuccino diventato Santo in virtù dei segni che
richiamano il patimento del Cristo”.
Rignano G. – La Croce, luogo dove potrebbe sorgere la grande
statua di Padre Pio
14
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P. Doroteo Forte, Rignano Garganico, Foggia, 1984, p. 13.
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I meloni “vernije” 15
Aah! Aah! E la giumenta sollecitata da Tatonno, il nonno,
imbocca la mulattiera di Capolumonte. Il viottolo scende a zig
zag rendendo più agevole il percorso attraverso la ripida e scoscesa “lama” (vallone) fino alla piana. La campagna sottostante
si legge come un cielo aperto e le masserie le si riconoscono
una dopo l’altra. In groppa, seduti a cavalcioni sul solido ed
ampio basto, vi sono due fratellini. Davanti c’è Vincenzo di
appena quattro anni e passa; dietro Leonardo di età quasi doppia. Il minore indossa una camicetta a mezze-maniche e un
calzoncino corto di tela grezza, sorretto da bretelle, con tanto di
spacco davanti e di dietro. Più morigerato l’abbigliamento del
fratello maggiore: pantalone lungo poco sotto il ginocchio ma
senza spacco, camicetta con maniche lunghe arrotolate per l’occasione. Entrambi, per ripararsi dal sole, hanno ridotto a
berrettini i tipici fazzolettoni a quadri annodandoli alle quattro
punte.
Il nonno, prima di lasciarli partire, fa la sua ultima raccomandazione: “Tenete le briglie strette, altrimenti Sisina (tale
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
nome era stato dato all’animale) se ne va per conto suo e vi
butta giù!” Quindi, dopo aver salutato i nipoti, si allontana per
far ritorno alla sua casa campestre sita ad un centinaio di metri
oltre la prima periferia del paese. I ragazzi erano felici e contenti come non mai di fare il viaggio da soli per la prima volta
e, addirittura, su un cavallo alla diretta loro dipendenza. La bestia, avvertendo istintivamente di aver sopra un carico leggero
e brioso, procedeva lento lungo la mulattiera, acciottolo che
tagliava a spirale il ripido versante. Sulla destra si stagliavano
con le loro variegate guglie le Murge di Primaiula; a sinistra,
civettuola, sprofondava l’ombrosa Lama, ostentando, orgogliosa. querce, lecci, ed altre piante tipiche della macchia mediterranea. Di fronte, fino alla pianura, s’intravedono le cosiddette
“mattine” coperte a tutto campo da contorti ulivi secolari.
Dopo mezz’ora e più Sisina, la cavalla, ha percorso l’intera
mulattiera e calca la Pedegarganica. Attraversato il ponte sul
Candelaro, si abborda una carrabile polverosa per alcuni metri.
Quindi i due fratelli, utilizzando le briglie, indirizzano l’animale versa la baracca di legno che s’erge a bordo del campo dei
meloni “vernije”. Sulla soglia si fa trovare tata Matteo, che accoglie i suoi ragazzi con un sospiro di sollievo. Dopo una parca
colazione a base di tozzi di pane e lunghe sorsate di acqua molle (quella dei pozzi artesiani), li fa riposare per qualche ora all’interno.
Alle dieci in punta il carico di meloni “vernije” è già pronto.
E’ stato distribuito, quindici per parte, negli ampi canestri an-
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corati a mo’ di bisaccia alla parte anteriore del basto. I ragazzi,
dopo aver riabbracciato il padre, si accingono a fare il tragitto
di ritorno verso Rignano.
Appena cominciato il percorso in salita, l’animale arranca
un po’, Leonardo prontamente scende dal quadrupede e, afferrate le briglie, lo guida per tutto il sentiero fino alla cima del
monte. Poi, scaricano il carico di meloni alla casa di nonno
Leonardo.
Alle quindici di pomeriggio si riparte di nuovo per il secondo viaggio che si conclude al tramonto. La gravosa incombenza si ripete per due volte alla settimana durante l’intero mese di
settembre. Ma perché tanti meloni? Alcuni servono alla famiglia come frutta nei mesi invernali. Fino allora restano in bella
vista (gialli come i caciocavalli) appesi alla verga. robusta asta
di legno che pende in senso orizzontale dalla volta di ogni casa,
Quasi sempre è stracarica di ogni ben di dio, soprattutto di prodotti caseari e di salumi. Il restante dei meloni viene regalato ai
signori, proprietari o professionisti che siano, e tanto per ingraziarsi il loro favore. Non si sa mai! In caso di bisogno …
Durante questo “viavai” accade un episodio che per poco
non si trasforma in tragedia. Un pomeriggio, arrivati alla baracca, i due fratellini non trovano il padre. Forse ha dimenticato
l’appuntamento o forse è impegnato ad aggiustare la trebbia
alla masseria dei Serrilli! Aspettano ore ed ore, ma il genitore
non si fa vivo.
Arriva la sera e i due fratelli hanno fame. Mangiano un me-
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
lone e bevono l’acqua del barilotto. Si fa notte fonda. Vincenzo
ha sonno e comincia a piangere. Leonardo, avvertendo la responsabilità perché fratello mag-giore, lo abbraccia e lo trascina verso una tinozza posta in mezzo a tante cianfrusaglie in un
angolo dell’angusto ricovero. Vi entrano entrambi e, ricoprono
il recipiente con un sacco di iuta. Si addormentano.
All’alba del mattino successivo tata Matteo, accorgendosi
della sua imperdonabile distrazione, scende alla campagna. Fuori
intravede la giumenta intenta a brucare l’erba secca dello stazzo
ed è certo che i ragazzi sono là. Comincia a chiamare ad alta
voce, ora l’uno, ora l’altro: “Luna’, Luna’?!…Vicij’, Vicìj’?!
Nessuno risponde. Più volte ripete i nomi, ma senza successo.
Poi si muove verso il Candelaro e chiama ancora a gran voce i
due figli. Non si ode alcun accenno di risposta. Così torna indietro, verso la baracca. I ragazzi, intanto, si sono svegliati spontaneamente e, spintisi fuori dell’uscio, notano il padre ormai
stanco e rassegnato al peggio. Gli vanno incontro e lo abbracciano.
A proposito della stretta somiglianza tra caciocavalli e meloni “vernije”, in termini di forma e di colore, Vincenzo ricorda
un episodio simpatico, appreso dai diretti protagonisti. Si tratta
di uno scherzo “da prete” diretto ad un prete, al parroco del
tempo.
Una sera, il reverendo si reca a visitare una sua anziana e
simpatica parrocchiana di nome Rachelina, abitante in un basso del rione San Rocco. Entra in casa e i suoi occhi si appunta-
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no subito sulla verga. Da essa pendono due meloni “vernije”.
La donna si accorge dello sguardo curioso e interessato del religioso e dice: “Don …, vuoi un caciocavallo stagionato?” Il prete non si fa pregare più di tanto e risponde affermativamente.
Rachele prontamente sfila uno dei due meloni e lo insacca
nella borsa dell’arciprete. Il reverendo, esaurite le ordinarie
confidenze quotidiane, saluta e torna in canonica soddisfatto
per l’appetitoso dono, ottenuto senza aver recitato giaculatorie.
Vinto dall’acquolina in bocca, mette subito sul tavolo quanto
ricevuto dalla donna. Poi impugna un coltello e lo spacca a metà.
Solo allora si accorge che ha tra le mani un melone e non
l’agognato formaggio. Rimane dapprima di stucco, ma poi subito si mette a ridere commentando tra sé e sé: “Una donna, per
giunta anziana, ha saputo giocare ancora una volta un uomo e
per giunta un prete!” Il fatto, riferito dallo stesso sacerdote, diventa noto a tutti. Ancora oggi la parrocchiana e il prete, su in
cielo, continuano a sorriderci sopra.
15 Vernije, aggettivo che corrisponde all’italiano “vernini”.
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
Le calze di bambagia
Nel dopoguerra si torna di nuovo a seminare il cotone in
Capitanata. E questo a causa delle difficoltà d’importazione e
trasformazione del prodotto tessile, meno costoso della lana,
che tra l’altro al tempo cominciava a scarseggiare a causa della
riduzione dell’ allevamento di ovini dovuta alla permanenza in
guerra dei pastori. Ad essere messi a coltura sono soprattutto
gli appezzamenti di terreno più umidi come quelli prospicienti
ai torrenti, le cosiddette marane.
Alla fine del 1946 i Serrilli permettono al loro meccanico e
caldaista di fiducia, Matteo Cella, di coltivare il prezioso vegetale su terreni di loro proprietà in Contrada “Cioccatorta”: un
paio di ettari circa. Trattandosi di una pianta annuale, ai primi
di settembre dell’anno successivo è già possibile raccogliere i
fiori dalle capsule già mature.
Per l’evento è mobilitata l’intera famiglia. Tra questi, oltre
l’immancabile zia Elisa, ci sono Vincenzo e Leonardo. Quest’ultimo sta completando le Medie in quel di San Severo.
Si fa la prima raccolta anche con l’aiuto di alcuni confinanti.
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L'operazione consiste nel togliere i fiocchi dalle capsule per
deporli in sacchi trascinati dietro fino al completo riempimento. Nel pomeriggio è già tutto finito. Il prodotto è trasportato
con i carretti e depositato nei silos dei grossisti. Si ripete il
medesimo lavoro ad intervallo, sino alla fine del mese, cioè
fino a quando tutti i boccioli si sono aperti.
Durante l’ultima raccolta, per risparmiare tempo, si prelevano anche le capsule (scorce). Quanto recuperato è riservato alla
famiglia, che bada a sgranellarlo. L’operazione è guidata dalla
solita zia Elisa che nei giorni successivi provvede ad affastellare la bambagia. Più in là sarà lei a filarla col fuso e, qualche
volta, anche col vecchio arcolaio. Il prodotto finito, cioè il filo,
servirà durante l’inverno per confezionare calzini, maglie, sciarpe e perfino utili coperte da letto.
A quei tempi, di tanto in tanto, si facevano vedere in paese
le tessitrici di San Marco: prelevavano il filato e, nel giro di una
settimana, ti consegnavano una ben fatta coperta lavorata al
telaio. Per le lenzuola utilizzavano anche le “sfilature”, residui
di vecchie e usurate maglie o d’altri indumenti.
Poiché in famiglia mancava personale femminile, la zia Elisa
pensò bene di istruire alcuni nipoti. Così Vincenzo e Leonardo,
dopo tantissime prove e riprove, avevano imparato a far la maglia, quella a liscio.
All’inizio, il più attivo sembra Vincenzo che riesce a realizzare il tubolare col suo celere disbrigarsi tra quattro ferri, ma si
blocca al calcagno. Dopo averlo fatto e disfatto tante volte, sta
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
per mollare definitivamente l’opera tra irripetibili imprecazioni.
La zia, allora, gli dice: “Calma e sfila! Proviamo daccapo! Devi
assolutamente riuscirci. Vedrai che alla fine ti sentirai contento
d’aver realizzato il lavoro completo e mi ringrazierai. Così è la
vita!” Il ragazzo, incoraggiato, si rimette al lavoro e, dopo un
paio d’ore, riesce a realizzare il tallone del calzino nella sua
forma naturale. Il resto è uno scherzo! Ed è allora che Vincenzo
lascia i ferri e si butta tra le braccia della zia dicendo: “Grazie!
Grazie! Vedi come sono bravo! “
In un angolo c’è Leonardo, da pochi giorni in paese per le
vacanze natalizie, che sbircia e si rode, perché anche lui intende imparare quel mestiere. La zia se ne accorge e dice: “Vieni!
Tu devi realizzare per tuo comodo una sciarpa, possibilmente
lunga, perché ti potrà servire in Istituto. Con essa ti potrai preservare da qualsiasi raffreddore.”
Così anche il chierico salesiano impara. Nel giro di una
settimana il lavoro è ultimato. Leonardo porterà con sé la sciarpa bianca per il resto della vita e come cimelio della sua creatività e in segno di affettuoso ricordo della terra natìa e dei suoi
cari che, come lui, ora non sono più di questo mondo. Nell’indossarla il pensiero del Salesiano vola soprattutto a zia Elisa, la
tuttofare di casa Cella.
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Gli anni della scuola
Leonardo frequenta le cinque classi delle Scuole Elementari
dal 1938 al 1942. Fino alla Terza ha come insegnante
“donn’Antunètte”. Antonietta Del Priore (1878 – 1947) è la
vedova del noto e filantropico podestà Antonio Cappelli, maestro anche lui e poi direttore didattico. Nel corso delle ultime
due classi, invece, è sotto l’accorta guida di Angela Padovano
(1902 – 1976), moglie di Antonio Martelli, attivo segretario
della Democrazia Cristiana negli anni 1960 – 1970.
Giovanna Vigilante, compagna di scuola del nostro personaggio, parla con foga e nostalgia di questo periodo. Racconta
la donna: “I primi due anni, in classe mista, li abbiamo trascorsi, stipati come sardine, nei locali contigui al vecchio Municipio. L’ingresso era, però, a Vico Giano. Dal 1939 in poi siamo
al nuovo edificio di Largo Portagrande.
Ricordo bene il giorno dell’inaugurazione avvenuta poco prima dell’inizio dell’anno scolastico. Un avvenimento veramente memorabile. C’erano proprio tutti: le autorità civili, militari
e religiose; le alte gerarchie fasciste locali e provinciali; le ma-
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
estranze e l’intero popolo in giubilo, gente di ogni rango e di
ogni età. E poi … bandiere e stendardi inalberati dai giovanissimi Balilla in divisa, dalle Giovani Italiane e dagli Avanguardisti. Ragazze e ragazzi si sono poi esibiti in marce, giochi
ginnici e altri saggi preparati a puntino dai loro insegnanti ed
istruttori. Il tutto veniva sottolineato di tanto in tanto dalla tipica battuta di tacchi seguita dal saluto fascista e dalla tiritera
“Evviva il Duce, Evviva il re!” Tra questi c’era anche il futuro
salesiano, in tenuta da caposquadra Balilla”.
“Sin dalla prima classe -continua Giovanna- Leo si rivela un
ragazzo d’intelligenza superiore. E’ il più bravo di tutti e assolve con impegno la sua carica di capoclasse. Gli insegnanti dell’intero plesso scolastico lo apprezzano, anche perché ha un
carattere piuttosto riservato e portato ad avvantaggiare più le
concrete azioni che le parole”.
Poi, alla donna torna in mente la divisa che avevano quando, di sabato, “facevano ginnastica” in Largo Portagrande.
Bambine e ragazze (chiamate Piccole e Giovani Italiane) indossavano una gonnellina nera di seta, calze bianche con le
scarpine di vernice nera, una camicia bianca con una fascia che
traversava la spalla con la “M” di Mussolini incastrata dentro,
il berrettino di seta nero, i guanti bianchi. “Era una divisa bellissima!”, esclama la nostra interlocutrice.
I ragazzi come Leonardo, già figli della Lupa, negli anni successivi si chiamano dapprima Balilla e poi Balilla Moschettieri
perché hanno in dotazione un vero e proprio piccolo fucile. In
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età adolescenziale son detti Avanguardisti. “Ricordo – precisa
la donna- il luogo di custodia delle armi o armeria. Era il pianterreno di fronte all’antica cantina di “Scia’ Razielle, la
cantenére” (Grazia Iannacci), all’imbocco di Via Municipio”.
La divisa da Balilla era costituita da un paio di pantaloncini
grigio-verde, la classica camicia nera, il fez (un cappellino con
delle frange laterali). Avevano un fazzoletto blu passato sotto il
collo della camicia e fermato da un grosso medaglione con la
testa di Mussolini.
Durante gli anni di guerra vige il cosiddetto regime
autarchico: tutto il popolo italiano (il rignanese compreso), scarseggiando i prodotti d’impor-tazione, deve essere autosufficiente
e quindi in grado di produrre tutto quello che serve, dal vestiario alle cibarie.
A tal proposito, riprendendo il discorso, Vincenzo racconta:
“Io e mio fratello Leonardo portavano sotto il tacco delle scarpe un ferretto arrotondato come quello che veniva fissato sotto
le zampe dell’asino. Un altro ferretto, più piccolo, veniva sistemato alla punta della calzatura (“puntetta”). Quest’ultimo era
rivoltato sul davanti cosicché, anche se si sferrava un calcio a
un barattolo o ad un sasso, la scarpa non subiva danno perché
rinforzata col metallo. Quando i ferretti fissati si consumavano, si sostituivano. Le scarpe venivano utilizzate per andare a
scuola e nei giorni di festa. Per il resto del tempo ci si serviva
dei cosiddetti “scarponi” che, al posto delle suole, avevano
plantari ottenuti sagomando la gomma. Le tomaie, di tela grez-
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
za, erano tenute strette al tallone da corregge di gomma e, raramente, di pelle. Qualche volta per non rovinare questo rozzo
tipo di calzature che i cafoni usavano abitualmente, si girava in
paese scalzi. Lo faceva anche Leonardo. Quand’era in
Madagascar, come flashback, spesso gli tornava alla mente la
sua infanzia ed i piedi nudi. Favoriva la reminiscenza, il ragazzo malgascio che abitualmente lo accompagnava: al vederlo
scalzo gli saliva un groppo in gola. Tanto riferisce il Salesiano
in una delle sue cronache.
A quei tempi, sino agli anni ’50, erano attivi in paese due
valenti artigiani, capaci di realizzare scarpe finite meglio dei
laboratori industriali. Si chiamavano Antonio Pintonio, alias
“Bisacciare”, che operava nell’antico quartiere “La ‘rotte” (grotta) e Michele Carpino che aveva la bottega in piazza.
“La prima volta che, io e mio fratello, lui prima ed io
quattro anni dopo - precisa Vincenzo - abbiamo indossato i pantaloni lunghi, è stato il giorno della prima Comunione. I pantaloni corti, come le calze corte, venivano usati anche durante
l’inverno. Nessuno aveva la possibilità di farsi un cappotto nuovo, tranne i ricchi. Gli altri ragazzi dovevano accontentarsi di
roba usata (chi sa quando e da chi) come pastrani sdruciti, mantelli usurati dal tempo e dagli uomini. Qualche volta si rivoltavano gli abiti di famiglia ancora “buoni”, sapientemente
recuperati da Vincenzino De Maio e da altri valenti sarti del
tempo, compresa zia Elisa. “
“La divisa fascista sia maschile sia femminile -aggiunge
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Giovanna- doveva essere sempre ben tenuta. Perciò fuori dalla
scuola si tornava a indossare gli abiti usuali. Ricordo che
Leonardo aiutava i nonni nel casolare di campagna, dove si allevavano mucche e altri animali di piccola e grossa taglia.
Prima dell’entrata a scuola, Leonardo era solito “fare il giro”
del paese. Portava, appeso al braccio, il tipico recipiente di lamiera ricolmo di latte. Agghindavano il grosso contenitore tanti misurini di diversa capacità, da 50 centilitri fino a un litro. Il
recipiente era fornito di beccuccio da cui fuorusciva il latte. Il
ragazzo era generoso! Dopo la quantità richiesta, era solito aggiungere altro latte nel “comodo” del cliente. Ci si accorgeva
della sua presenza, grazie al suono di una campanella cui facevano seguito alcune brevi frasi gridate per vantare la bontà del
prodotto: “Lu lattare! Accattateve lu latte di Mattiucce! Uh quant’è fine (buono)!” E’ così che aveva inizio il giorno profano in
paese. A destare i credenti provvedeva la campana della chiesa
con il gradevole rintoccare mattutino. Seguiva un confuso vociare accompagnato dal calpestio di chianidde (calzature tipiche delle donne “fatte”) e di zoccoli calzati dalle più giovani. I
passi degli uomini, a causa degli “scarponi”, erano felpati così
come quelli del-l’apprendista-fornaia che attraversava le selciate
stradine del paese per annunciare di volta in volta alle massaie
che avevano impastato “Rachelì’, Giuvannì’, Mari’, Resine, il
forno è pronto!”
Dopo il quotidiano giro, Leonardo inzuppava nel poco latte
rimasto un tozzo di pane duro. Poi, con la borsa di cartone pres-
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
sato a tracolla, in un baleno raggiungeva Largo Portagrande.
Adunava i compagni e in ordinata fila li conduceva all’interno
dell’edificio e, quindi, in classe.
Dopo il rituale saluto, i ragazzi si sistemavano a due a due
nei grandi banchi di legno. Ogni giornata di lezioni principiava
col dettato. Gli alunni immergevano la punta metallica dell’asta
nel calamaio pieno d’inchiostro e cominciavano a scrivere sul
quaderno a righe. Leonardo era sempre il primo a consegnare
alla maestra lo scritto e incassava il solito “bravo!”, da primo
della classe.
Prima delle lezioni la maestra, in osservanza del programma
ministeriale, parlava brevemente di Mussolini per fare di ogni
alunno un fascista convinto. Anche l’ora di ginnastica serviva
allo stesso scopo. Il motto coniato per la scuola era: “Libro e
moschetto, fascista perfetto!”
Subito dopo l’insegnante passava alle “materie del giorno”:
Storia, Geografia, Aritmetica. Leonardo prediligeva quest’ultima branca. In prima classe aveva imparato presto a far di conto, a declinare a memoria l’intera tabellina. In Quinta si rivelava un vero e proprio piccolo ragioniere, tanto che ogni problema di conto e di commercio che insorgeva in famiglia ci pensava lui a risolverlo.
Alla domanda “Leonardo frequentava la chiesa?”, Giovanna risponde: “Noi ragazzi frequentavamo la chiesa solo la domenica e alle altre feste comandate per assistere alla Santa Messa
e, magari, al catechismo. Nei giorni feriali maschi e femmine,
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dopo la scuola, eravamo costantemente impegnati ad aiutare
con il nostro lavoro la famiglia. Poco prima della guerra, però,
la mamma di Leonardo era gravemente ammalata. Non ricordo
quale male avesse, ma rischiava di morire da un momento all’altro. Solo allora, nel tardo pomeriggio, notai più volte che il
mio compagno di classe era genuflesso davanti al Santissimo,
intento a pregare e a chiedere la guarigione della madre cui era
molto legato”.
Anche Nunzia Lonero ricorda Leonardo in quello stesso stato di sofferenza e di preghiera. Allora era una fresca sposina di
appena vent'anni (oggi ne conta circa 92 anni) ed abitava un
monolocale, situato al secondo piano in Vico Orso n. 15. La
madre del futuro Salesiano era sua cugina di primo grado.
L’anziana donna continua a dire “Era di primo pomeriggio
quando appresi dalle vicine di casa che Eugenia stava morendo. Indossai subito qualcosa e corsi verso Via Croce. Salii in
fretta le scale ed entrai in casa, un piano rialzato composto di
un vano con un divisorio. Mia cugina era distesa supina nel
letto, immobile, ricoperta da una grezza coltre da cui spuntava
solamente il viso bianco come la calce. Attorno, in piedi e seduta, c’era l’intera famiglia che soffocava le lacrime per non
impressionare ulteriormente l’ammalata. Mi unii anch’io al represso dolore comune!
Ad un tratto la nostra attenzione fu attratta dal piccolo
Leonardo, primo-genito dei figli di mia cugina. Forse aveva
sette o otto anni! Ricordo che frequentava la seconda elemen-
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
tare. Il ragazzo era in un cantuccio della casa inginocchiato davanti all’immaginetta della Madonna sistemata all’interno di
una scansìa dello stipo a muro.
Con le mani giunte e lo sguardo rivolto alla Vergine, che
troneggiava su un improvvisato altarino, Leonardo esclamò con
voce ferma in corretto italiano: “Madonna facci la Grazia!” Poi
prese a recitare la preghiera di Maria. Ripeté più volte la
giaculatoria e l’Ave. Tutti lo guardavamo con gli occhi lucidi e
pieni di ammirazione. Qualcuno sentenziò: “Sicuramente si farà
prete!”.
Dopo alcuni mesi di grande sofferenza, Eugenia prese a
risollevarsi a poco a poco fino a guarire del tutto.
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Antonio Del Vecchio
La vocazione
Della chiamata al sacerdozio di don Cella, nessuno è in grado di dire quando insorse e perché. Forse per difetto di memoria e di riservatezza iniziale mai si è arrivati a una spiegazione.
Comunque sia, si registrano alcune motivazioni al riguardo
apparentemente contraddittorie (ma in realtà non lo sono) che
potrebbero aver condizionato la scelta. Vincenzo, il fratello
minore, data la tenera età ricorda ben poco di come siano andate le cose .
Secondo Padre Antonio Resta (o.f.m.) cugino di Leonardo,
la fatidica vocazione maturò proprio nel collegio che lo aveva
visto ospite per un anno intero. Questi riferisce, infatti, che la
zia Eugenia a quel tempo non voleva assolutamente che il suo
primogenito si facesse prete.
Papà Matteo, invece, non dava importanza alle continue richieste della moglie che con insistenza invocava il ritorno a
casa di Leonardo. La donna voleva che il ragazzo abbandonasse subito gli studi. Allora frequentava con profitto le Scuole
Medie presso l’Istituto Salesiano di San Severo. Mamma
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
Eugenia lo voleva a casa per averlo vicino, perché doveva riprendere il lavoro usato, perché doveva aiutare la famiglia a
sostenere le spese per il corredo che la buona donna già al tempo aveva preso ad accumulare per Nannina e Cristina, le due
piccole di casa. Eugenia, inoltre, era convinta che affidare un
figlio a una congregazione religiosa era come averlo perso per
sempre. Semmai, lo voleva studente a casa. Non gli spiaceva
l’idea d’avere in casa un ingegnere meccanico.
Il contrasto di opinioni tra madre e figlio durò a lungo.
Leonardo nicchiava. Proprio non se la sentiva di lasciare il
mondo nuovo che aveva trovato e provato, microcosmo che gli
aveva fatto scoprire il gioco e lo studio sistematico, la corretta
alimentazione e le buone maniere.
Terminata la Prima Media Leonardo, dopo una fugace venuta in paese, rinchiuse in una valigetta tutto il suo corredo e fece
ritorno al Collegio. Con ago e filo riuscì a ricamare sulla biancheria la sigla “LC”, iniziali del suo nome e cognome. L’intera
estate quindi, anziché in famiglia, la trascorse a San Severo
studiando notte e giorno tutto il programma di Seconda Media.
L’anno successivo si presentò all’esame finale, di Licenza, e lo
superò brillantemente.
Il cugino maggiore della famiglia Cella, Arcangelo, sostiene
invece che la vocazione venne molto più tardi, quando Leonardo
frequentava le Scuole Superiori. “Ebbe il colpo di fulmine, a
suo avviso, in quel di Roma, quando incontrò per la prima volta i suoi Superiori e, tra questi, il rignanese Don Angelo Gentile
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(nei dintorni dell’Urbe, operava anche il compaesano Don Pietro Pizzichetti16) che prese a cuore il problema e convinse i genitori a “donare il figlio a Dio”.
Forse tutto questo sta meglio alla personalità, al carattere
intelligente e riservato del protagonista. Quella di don Cella fu
una scelta cosciente e razionale, di là da qualsiasi
condizionamento di tipo dottrinale o senti-mentale. Sta qui,
dunque, la sua fermezza e forza d’animo che caratterizzerà tutta la sua vita e missione pastorale.
16
Don Pietro Pizzichetti (Rignano G. 2011 - Roma 2006), salesiano a
nove anni, sacerdote nel 1937, restò per tutta la vita nei dintorni di Roma
(Genzano, Capocroce, Grottaferrata e Frascati - Villa Sora.).Uomo pratico, preferì fare il soldato semplice, operando come insegnante di disegno,
artigiano tuttofare, pittore e confessore. Durante i bombardamenti della II
Guerra, si prodigò per aiutare le popolazioni colpite. Di carattere scherzoso e simpatico fu sempre gradito ospite tra i Superiori, la curia e i Sacri
Palazzi. Prima di don Pietro e di don Angelo operava già nella capitale,
come animatore, formatore e parroco (Arborea in Sardegna, San Giovanni
Bosco e S. Maria Ausiliatrice in Roma), un altro illustre salesiano rignanese:
don Giuseppe Piemontese (1907-1976).
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
Il salvataggio
Dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943 e lo sbarco degli anglo - americani in Sicilia, i tedeschi si ritirano man mano
dal Sud Italia per rafforzare la cosiddetta linea gotica. Sono a
corto di viveri e di rifornimenti. Pertanto, risalendo lo Stivale
(talvolta come veri e propri sbandati), lasciano là, dove passano le loro orme malefiche in termini di razzìe per l’approvvigionamento. Prendono tutto a danno delle popolazioni già stremate per l’assenza di forti braccia da qualche tempo impiegate
sui fronti di guerra.
La popolazione rimasta (anziani, donne e bambini) fanno
fatica a curare i campi e gli allevamenti. C’è, soprattutto, tanta
paura a causa dei bombardamenti ripetuti da parte delle forze
alleate.
Quel poco che riescono a produrre e a stipare momentaneamente viene ben nascosto in fosse sapientemente occultate o
nei nascondigli murati delle case. La “riserva”, oculatamente
amministrata, a mala pena riesce a soddisfare quotidianamente
la famiglia. Sono i nonni o le mamme a gestire i generi di prima
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necessità come la farina, i legumi e le altre graminacee.
A sopperire il bisogno di proteine ci sono le galline, cresciute nella gabbiola posta accanto all’uscio di casa, e qualche altro
animale domestico di piccola taglia (pecora, capra o maiale),
spesso tenuto in casa per timore di furto. Tale era la situazione
a Rignano.
“Un certo giorno i tedeschi arrivarono anche qui!” -racconta
Vincenzo Cella. Nel primo pomeriggio furono avvistati al
Talafone, antica stazione semaforica posta sulla rotabile per San
Marco in Lamis. Erano in due!
Scesi dalle rispettive moto, stavano bivaccando sul ciglio
della strada e non si sapeva il perché. Forse uno dei due mezzi
era guasto o sostavano per riflettere circa il da farsi. Non visto,
li aveva scorti un contadino che coltivava lì da presso. L’uomo,
impaurito, aveva abbandonato i suoi attrezzi di lavoro e attraverso scorciatoie a lui note aveva raggiunto in pochi minuti le
prime case del paese per raccontare la “nuova”. In un baleno
la notizia raggiunse ogni angolo di Rignano.
Allora le “camicie nere” locali e le altre autorità si misero
d’accordo sul modo e sul come evitare alla popolazione eventuali violenze da parte dei militari tedeschi. Lo zio Giuseppe
ricevette l’incarico di tutelare i ragazzi e subito li radunò tutti
in Largo Piscine (ora Via Manzoni). Qui c’era una cisterna vuota
piuttosto spaziosa e profonda circa cinque metri. Ma come si fa
a scendere?
Aiutato da altri, da un ponteggio posto nelle vicinanze sfilò
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
un lungo e robusto tavolone, largo una cinquantina di cm. Quindi
inchiodò trasversalmente tante altre piccole tavole fino a formare rudimentali scalini. Poi calò l’aggeggio nell’ipogeo. La
rudimentale scala si rivelò adatta all’uopo. Con l’aiuto di una
fune i piccoli presero a scendere, ad uno ad uno. Per ultimi si
calarono pure Vincenzo e il nostro Leonardo. Ma giù non c’era
più posto! Restarono, allora, aggrappati alla scala. Vincenzo,
sistemato più in alto, di tanto in tanto alzava il legno posto a
coperchio per sbirciare fuori e capire quello che stava accadendo.
Arrivarono i tedeschi, salutarono le “camicie nere”, uniche
persone accorse ad accoglierli. La popolazione si era dileguata.
A Rignano regnava sovrano il silenzio, interrotto di tanto in
tanto dai latrati di un cane. I soldati, dopo un innocuo giro per
le vie del paese ed una breve sosta sulla ripa, forse perché colpiti dallo straordinario panorama ripresero a percorrere la renosa
strada che menava a San Marco. Dopo di questa, non si sono
avute altre sgradite visite a Rignano.
I ragazzi uscirono ordinatamente dalla cisterna. Vincenzo e
Leonardo si strinsero fortemente allo zio Giuseppe, contenti e
felici di avere un congiunto così coraggioso e in gamba. Senza
il suo decisivo apporto forse la “cosa” poteva prendere altra
piega!
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Antonio Del Vecchio
Il Maestro
Maestro è colui che lascia un segno indelebile nella mente e
nel cuore dei discepoli. Di lui si ha fiducia e sempre lo si ricorda non solamente per i saperi, ma per quell’abito
comportamentale acquisito che fa da regola nel corso del quotidiano. Maestro è anche e soprattutto chi si pone sempre in
discussione ed è disposto a migliorarsi anche attraverso il confronto critico con gli altri, con gli stessi alunni depositari d’innate qualità.
Abbiamo avuto nel corso dei secoli ed anche al presente grandi e prolifici letterati, storici, filosofi, artisti, scienziati, ecc. Sono
pochi, però, quelli che hanno un seguito e un perenne riferimento nei diversi campi del sapere. I maestri veramente “vocati”
si contano sulle dita di una mano.
Il buon maestro è una persona umile che si compiace della
sua opera solo quando si vede superato dall’alunno. Un esempio tra tanti: Cimabue e Giotto. Altra similitudine la si riscontra
nelle famiglie. I buoni genitori sono quelli che si sentono felici
quando i figli sono diventati migliori di loro.
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
Don Angelo Gentile17 appartiene alla grande piccola schiera
dei veri maestri. E’ stato il buon seminatore che ha lasciato significanti segni del suo raccolto: un nutrito gruppo di sacerdoti
e seguaci. Ha dato al mondo salesiano tanti Religiosi, alcuni
17
Don Angelo Gentile (1910 – 1983). È figlio illustre della Congrega-
zione Salesiana ed erede diretto della generazione che visse ed operò
accanto a San Giovanni Bosco. Dal carisma indiscusso, Don Angelo è
considerato uno dei più grandi testimoni che Rignano abbia dato all’Italia nell’ultimo secolo. Il suo è un carisma di forte identificazione che va di
là dal tempo e dai luoghi per giungere là dove coltivare la memoria attraverso la conoscenza e l’apprendimento. Cominciò il suo percorso formativo
e cristiano alla scuola di Genzano e di Frascati, sotto lo sguardo ed il controllo di grandi maestri e seguaci contemporanei del Santo. Completò la
sua formazione all’Università Gregoriana per gli studi di filosofia e di diritto canonico. Inviato al Pontificio Ateneo Salesiano della Crocetta di Torino, crogiuolo di cultura internazionale, divenne uno dei maestri più insigni
di umanità e di salesianità. L’eco del suo insegnamento tuttora risuona in
tutti gli ambienti salesiani diretti o toccati di passaggio dall’illustre religioso nostro compaesano: Torre Annunziata, Napoli, Messina, Cagliari, Roma
(Vicario dell’Ispettoria Romana), Frascati, Genzano, ecc. Dove, però, si
tocca con mano la presenza della parola ammaliatrice di don Gentile è
proprio a Rignano. Qui, nel corso degli ultimi sessant’anni, ha conquistato
al Carisma di don Bosco tantissimi ragazzi e giovani. Molti di questi religiosi si distingueranno per ingegno ed operosità in ogni parte del mondo,
a cominciare dai suoi diretti diletti nipoti, don Antonio e don Michele. Per
saperne di più circa l’illustre Salesiano, basta leggere il volume “Una vita
secondo il cuore di Don Bosco. Don Angelo Gentile la persona e il
formatore”, edito per i tipi ELLEDICI di Leumann (Torino) e curato dai
salesiani Antonio Miscio e Antonio Gentile.
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dei quali lo hanno superato nella scala gerarchica della Congregazione (Superiori, docenti universitari, vescovi, cardinali,
ecc.). Nessuno di questi ultimi, però, ha dimenticato il suo fruttifero insegnamento.
Per don Cella, don Angelo è stato un vero maestro, esempio
di vita. Sul piano affettivo …. lo ha sempre considerato uno
“zio” importante, uno di famiglia a cui rivolgersi in ogni momento per un aiuto o per un saggio consiglio. Nei momenti di
supremo sconforto o in occasione di scelte decisive don
Leonardo non dimenticava mai di chiedere il suo parere. Quando poteva, si recava a trovarlo di persona. Se era lontano, ricorreva alla posta o al telefono.
Si riporta qui appresso una testimonianza significativa dell’alta considerazione che don Cella aveva per don Angelo: “Ripensando alla mia vocazione, devo dire che non mi pare sia
stato lui a spingermi ad essere salesiano. Ma ricordo sempre le
occasioni in cui io ragazzo ho incontrato don Angelo, a partire
dall’anno in cui si era dovuto fermare nel paese. Vivevo spesso
con i nonni in una casetta poco distante dal paese. Quando don
Angelo veniva al paese, immancabilmente veniva a trovare il
nonno e la nonna. Si fermava lì la sera, al fresco, a chiacchierare e naturalmente c’eravamo noi. Quante volte tra lo scherzo e
il serio mi rivolgeva la domanda: Ti vuoi fare prete? La mia
risposta era sempre: no! Tutto fatemi fare fuorché il prete! Non
per questo se la prendeva, non per questo rimaneva male; rimaneva lì a sorridere e il giorno in cui, io cambiando idea ho chie-
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
sto di diventare salesiano, quel giorno per lui è stato un giorno
radioso e la sua gioia fu grande. Penso che da allora mi abbia
considerato il terzo nipote. (Abbiamo qui due nipoti don Antonio e don Michele, a cui ho voluto tanto bene, perché hanno
seguito la sua strada, ma anch’io me lo sentivo molto vicino,
anzi alcune volte si confidava con me più facilmente che con i
nipoti e diceva: Tu mi capisci!). Questa paternità che ora rifulge
molto di più di quanto potesse apparire prima, che lo faceva
godere nel guardare alle vocazioni, lo manifestava soprattutto
nella ricerca delle vocazioni. Tanti salesiani di Rignano hanno
avuto lui come punto di riferimento” 18. Nello stesso testo si
legge più avanti: “Penso spesso al 15 agosto del 1960, quando
al mio paese si celebrava la Prima Messa. Era chi vi parla a
celebrare quel giorno la sua Prima Messa al paese. Avevo invitato don Angelo a tenere l’omelia in quella occasione. Lo fece
con tanto amore ed io gliene sono ancora riconoscente”19
18
Una vita secondo il cuore di Don Bosco. Don Angelo Gentile la per-
sona e il formatore, Torino, Elledici, 2009, pp. 55 e 56.
19
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Item, pp. 93 – 94.
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Studente d’ Inglese a Oxford e in Irlanda
Dopo l’Ordinazione e la prima Messa, gli studi universitari
che terminano con la Laurea Questo passaggio è una cosa comune a tutti i Salesiani del mondo. Alcuni vi riescono prima
rispetto ad altri, quando alternano i normali corsi di studio a
quelli prettamente religiosi e teologici. Di solito si preferisce
conseguire la Laurea d’indirizzo scientifico (economia, ingegneria, fisica, ecc.). Raramente si scelgono gli studi umanistici
perché la loro cultura letteraria è alquanto avanzata già con le
Scuole Superiori.
Arriva il tempo che anche don Cella ha da scegliere il suo
corso di studi. Preferisce la Facoltà di Lingue e gli idiomi più
diffusi nel mondo occidentale ossia Inglese, Francese e Spagnolo. Per don Leonardo è indi-spensabile conoscere perfettamente più Lingue, possedere i codici più parlati non solamente
per insegnare a scuola, ma per capire e farsi capire nei luoghi di
missione all’estero.
Per questo, dopo il 1960, oltre a frequentare l’Università di
Torino vola di tanto in tanto verso l’Inghilterra, soprattutto nel
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
periodo estivo. Frequenta Oxford, sede della più antica e
prestigiosa università inglese. La città, traversata dal Tamigi, è
bellissima. Ha una grande vivacità culturale e commerciale.
Stranamente gode di tutti i vantaggi delle metropoli senza avvertirne gli inconvenienti. I suoi 30 e più colleges universitari
offrono un’impareggiabile carrellata architettonica di guglie,
cupole e torrette gotiche.
I Salesiani sono a Cowley-Oxford dal 1920 e dirigono un
Collegio per interni ed esterni, una sorta di Semiconvitto con
Scuole Elementari annesse alla parrocchia. In un primo tempo
qui c’erano il noviziato e lo studentato filosofico. Qui si formarono gran parte degli attuali Salesiani dell'Ispettoria anglo-irlandese.
Nel 1962 è sorta una nuova bella chiesa che punta a diventare un importante riferimento per l’Ordine oltre che Santuario
mariano, con l’intento di portare all’unico “Ovile di Cristo”
tanti fratelli separati in cerca della verità: gli anglicani. Detta
chiesa, che è anche parrocchia, è dedicata a Maria SS.
Ausiliatrice. Si presenta bella nella sua semplicità e moderna
nelle sue linee tradizionali. E’ arredata e corredata di tutto punto: organo, altari e fonte battesimale in marmo: Sull’altare maggiore, un artistico pannello in mosaico raffigura la Crocifissione.
Don Leonardo è ospite dell’annesso convitto assieme a molti
dei suoi compagni di corso. Da una lettera inviata alla famiglia,
si appura che erano una ottantina di persone (tra preti e chieri-
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ci) ad avervi trovato stanza. “ Tra questi – precisa il Nostro– ci
sono anche tre chierici inglesi…”.
Frequentare un Corso di Lingua all'estero è il modo più efficace per appren-dere perfettamente l’idioma. Ma lo studio è
estremamente duro! Infatti, nel medesimo scritto Leonardo dice:
“…ho iniziato un nuovo periodo, questa volta più impegnativo; ho in complesso 5 ore di scuola (al giorno) e poco tempo a
disposizione; per imparare bisogna fare sacrifici enormi…”.
A tal proposito Padre Antonio Resta ci riferisce: “Mio cugino, a quel tempo, per sdebitarsi forse per l’ospitalità goduta
impiega gran parte del suo tempo libero in chiesa, a completa
disposizione del parroco. Negli ultimi tempi del suo soggiorno
inglese ne ha fatto addirittura le veci. Il sacerdote responsabile
del sacro luogo, andato via per poco, era mancato per lungo
tempo senza darne motivo. L’atmosfera che si respira a Oxford
è davvero alquanto varia: grigia e seria, vivace e divertente,
con tante cose da fare e da vedere. Ai colleges si alternano
luoghi di ritrovo, locali cinematografici, grandi spazi per i concerti, impianti sportivi. Don Cella talvolta ne è attratto. Vivere
in questi luoghi gli piacerebbe tantissimo. Partecipare alle innumerevoli attività giovanili, ai tornei sportivi, alle gite, alle
serate di musica con gli amici è cosa che fortemente lo alletta.
Ma non lo può fare un po’ per i predetti suoi gravosi impegni ,
un po’ per il carattere, un po’ per coerenza al suo ideale di vita
salesiana. “Non per niente lo stesso cugino Padre Resta lo dice
“uomo dalle tre “s”: serio, severo e sereno”. I confratelli salesiani
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
ricordano, a loro volta, quanto diceva don Bosco circa altre tre
“s”: sano, sapiente e santo”.
Questo non vuol dire che Leonardo fosse un “musone”: quando si presentava l’occasione, accettava volentieri il pranzo o la
cena che gli amici inglesi gli offrivano. Gli incontri con la gente gli servivano, oltre che a migliorare la fonetica, a conoscere
le tradizioni e lo stile di vita di quel popolo dal mitico e noto
humour.
“In ogni discorso, in ogni conversazione scritta o orale –
afferma la sorella Cristina – Leonardo non tralasciava mai di
condirlo con una battuta o una chiosa bene azzeccata e sottile.
Lo faceva senza sarcasmo o cattiveria, con la signorilità e il
distacco di tipo inglese. Facilmente suscitava il sorriso, l’ilarità
di quanti erano con lui in conversazione. Nei suoi scritti si scorge
qualche esempio del suo umorismo. A proposito di una rappresentazione natalizia in Madagascar, scrive: “Niente paura! La
regista Marinasy, una donnona di un quintale e mezzo di stazza,
vale a rappresentare tutti.” E ancora! Alla fine del suo impegno
pastorale soleva dire: “…Il povero sottoscritto, come al solito,
ha dovuto celebrare e fare la predica (tradotta) in malgascio. Il
sonno ci ridonerà un po’ di forza…”
Nulla si sa circa le eventuali visite alle altre case salesiane
inglesi. Con molta probabilità don Leonardo è stato al Sacro
Cuore di Gesù a Battersea, popoloso sobborgo di Londra la cui
Chiesa fu realizzata con i fondi messi a disposizione da una
devota di don Bosco, la duchessa di Newcastle. Venne inaugu-
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rata nel 1893 dal sacerdote Michele Rua (attualmente beato).
Forse il Nostro fu ospitato lì per più giorni. Tale ipotesi può e
deve essere accettata perché la località è una tappa intermedia
per chi, sceso dall’aereo a Londra, deve raggiungere Oxford.
Qui c’è, infatti, la stazione che ti consente di raggiungere più
rapidamente l’importante città-sede universitaria. Quindi, o
all’andata o al ritorno, don Cella avrà avuto modo di visitare
l’anzidetta sede salesiana.
Riporto ora alcune informazioni circa questo centro educativo
cattolico-cristiano. Quando i Salesiani arrivarono a Battersea
(Londra) alla fine del XIX secolo, fondarono una scuola secondaria per interni al fine di soddisfare le esigenze dei ragazzi
economicamente limitati che intendevano proseguire il cammino e calcare la via del sacerdozio. Il programma accademico, però, era anche adatto a quelli che intendevano svolgere poi
altre professioni.
Durante il XX secolo i Salesiani aprirono altre scuole per
offrire l’istruzione cattolica negli svariati altri angoli del Regno Unito. Ora questi centri educativi servono ragazzi e ragazze offrendo loro un ventaglio di percorsi formativi. Molti corsi
preparano gli studenti dai 16 ai 18 anni più per il mondo del
lavoro che per l'università. Altri sono aperti a chi intende proseguire gli studi. Alcune scuole offrono l’ opportunità di fare
sport e altre attività extra-curricolari, accanto alle attività obbligatorie previste dall’Oratorio Salesiano tradizionale.
Per perfezionarsi ulteriormente, nel Luglio del 1965 don
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
Leonardo raggiunse l’Irlanda, ospite del Noviziato Salesiano
del Sacro Cuore. Lo fece per perfezionare la pronuncia. Inghilterra e Irlanda sono le terre originarie della lingua anglofona
diffusa in varie regioni del mondo. E’ lingua ufficiale in tanti
grandi Paesi come Usa, Australia, Neo Zelanda, Canada, ecc.
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L’incontro con Giovanni Paolo II
Durante la sua formazione giovanile Don Cella viene fortemente influenzato dalla figura di Pio XII, Papa illuminato e
poliglotta per antonomasia, forse per similitudine di carattere.
Come il pontefice, egli si dimostra tipo serio e severo che poco
o nulla concede allo svago: dà tutto allo studio, agli approfondimenti delle tematiche religiose e scientifiche.
Ha voglia di imparare a scrivere e a esprimersi in più Lingue, cosa che avverrà successivamente: entrerà in molta confidenza anche con la Lingua Francese e Malgascia.
Dopo la scomparsa del Papa parimenti partecipa e segue con
attenzione il percorso e il magistero dei suoi successori. Rimane colpito dall’avvicendamento dei pontefici che di volta in
volta gli sembravano frutto di giuste scelte che rispondevano
alle esigenze dei tempi: Papa Giovanni XXIII, fautore del Concilio Vaticano II; Paolo VI, esempio di sconfinata umiltà; Giovanni Paolo I, fugace meteora dal sorriso sincero.
Papa Woytila20, poi, ha segnarlo maggiormente la sua vita, il
suo ministero. Ogni parola, ogni concetto espresso da questo
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
Papa era per lui profondo e incisivo insegnamento di valore
universale. Giovanni Paolo II sapeva parlare al cuore e alle coscienze, si faceva comprendere soprattutto. Aveva il coraggio
di denunziare il male e i malfattori. Quando lo s’incontrava,
anche per una sola volta, si avvertiva di avere di fronte un gigante della fede.
Don Cella, nei momenti di smarrimento che lo prendevano
quando operava nel Madagascar, sempre lo invocava a guida e
a protezione. Quando il I Maggio del 2011, il Papa polacco fu
proclamato Beato, l’animo di don Leonardo si riempì di gioia
nonostante l’estrema sofferenza avesse preso definitivo possesso del suo corpo. L’invocazione di un tempo si trasformò in
fervente preghiera d’intercessione per la sua e l’altrui eterna
salvezza.
Il rapporto “speciale” che don Leonardo aveva intessuto con
questo Capo della Cristianità universale era insorto in quel di
Roma tanti anni fa in occasione di una giornata “speciale” che
gli era rimasta impressa nella mente. Di tanto in tanto amava
raccontare il suo incontro col nuovo Papa straniero, avvenimento che entrerà a far parte dell’aneddotica.
Dopo alcuni anni trascorsi a Bari e a Soverato, nel settembre
1979 Don Cella era stato nominato Direttore dell’Opera
Salesiana di Santeramo. Poco prima di raggiungere la nuova
sede ebbe un cortese invito. Nel mese di luglio don Antonio
Gentile21, amico stretto e suo compaesano, si trovava a Roma
impegnato come Commissario di Esami. Un confratello polac-
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Antonio Del Vecchio
co gli aveva passato alcuni biglietti per l’udienza col nuovo
pontefice, Papa Wojtyla, eletto nell’ottobre dell’anno precedente.
Il pensiero di don Antonio andò subito all’amico don Leonardo
che operava ancora a Soverato in Calabria. Gli chiese se poteva
e voleva venire a Roma all’udienza del Papa in piazza san Pietro. Don Leonardo, di buon grado, accettò. Nel pomeriggio di
mercoledì 18 luglio, don Leonardo e don Antonio erano insieme attestati in un settore alquanto prossimo alla transenna dove
si presumeva che sarebbe passato il Papa a salutare i fedeli.
C’era tanta ressa. In quel settore alcuni turisti del Sudafrica cercavano di difendere la postazione conquistata presso la transenna. Felice, don Leonardo se la sbrigava benissimo nel suo
Inglese con la gente di colore che gli stava da presso. Quando i
sudafricani notarono la sua dizione priva di inflessioni
sudafricane, presero ad isolarli e ad impedire il loro avvicinamento alla transenna. Don Antonio non demordeva e a gomitate
si faceva avanti tra i Sudafricani, voltandosi di tanto in tanto
per assicurarsi di essere seguito dal più sprovveduto e serioso
compagno di avventura. Col tempo entrambi raggiunsero
l’agognata transenna e con fermezza difesero la posizione conquistata a forza di spintoni. Quando arrivò il Papa, don Antonio
prontamente gli baciò la mano. Poi esclamò “Santità, c’è qui
un mio confratello che Le vuole parlare … ” . Mentre parlava,
con una mano tratteneva il Sommo Pontefice e con l’altra tirava a sé l’amico fino a che riuscì a unire le due mani, quella del
Papa e quella di don Leonardo e a favorire il breve colloquio.
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
Don Leonardo prese a parlare e disse: “Santità, chiedo la benedizione! Sono un salesiano; mi hanno fatto Direttore dell’Opera di Santeramo … “ E il Papa: “Esiste ancora l’ubbidienza? Ti
benedico …”
Don Leonardo fu contentissimo per il felice incontro.
Ora, Giovanni Paolo II e don Cella sono in Cielo a godersi il
Paradiso: il primo, già proclamato Beato, avrà guardato con un
sorriso di benevolenza al secondo, contento di essere sulla buona
strada per il Paradiso.
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Papa Giovanni Paolo II, nato Karol Józef Wojtyla (Wadowice, 18 mag-
gio 1920 – Città del Vaticano, 2 aprile 2005), è stato il 264º Capo della
Chiesa Cattolica Apostolica Romana; il 6º Sovrano della Città del Vaticano. Fu eletto il 16 ottobre 1978. Il 1º maggio 2011 è stato proclamato Beato
e verrà festeggiato annualmente nel giorno del suo insediamento, il 22 ottobre. Giovanni Paolo II è stato il primo papa non italiano dopo 455 anni,
cioè dai tempi di Adriano VI (1522 - 1523). Sin dal principio del suo pontificato ha intrapreso una vigorosa azione politica e diplomatica contro il
comunismo e l'oppressione politica. E’ considerato uno degli artefici del
crollo dei sistemi fondati sul socialismo reale (ex Unione Sovietica e Paesi
satelliti). Combatté la Teologia della Liberazione intervenendo ripetutamente
in occasioni di avvicinamenti di alcuni esponenti del clero verso soggetti
politici dell'area marxista. Stigmatizzò inoltre il capitalismo sfrenato e il
consumismo, considerati antitetici alla ricerca della giustizia sociale. Nel
campo della morale, si oppose fermamente all'aborto e all'eutanasia. I suoi
104 viaggi in tutto il mondo videro la partecipazione di enormi folle (tra le
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più grandi mai riunite per eventi di carattere religioso). Questa grande
attività di contatto (anche con le generazioni più giovani, con la creazione
delle Giornate Mondiali della Gioventù) fu da molti interpretata come segno di una seria intenzione di costruire un ponte di relazioni tra nazioni e
religioni diverse, nel segno dell'ecumenismo, uno dei punti fermi del suo
papato.
Giovanni Paolo II beatificò e canonizzò molte più persone di ogni altro
pontefice: rispettivamente 1338 e 482. Il 14 marzo 2004 il suo pontificato
superò quello di Leone XIII come terzo pontificato più lungo della storia,
dopo quello di Pio IX e quello tradizionalmente attribuito a Pietro apostolo
(sintesi da Wikipedia, enciclopedia libera).
21
Don Antonio Gentile: ” Notizie su Don Leonardo Cella” (appendice).
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
L’Ufficio di Vicario
Dopo anni ed anni d’insegnamento, di direzione e di ministero trascorsi presso le varie case salesiane della Puglia e di
Calabria, don Cella diventa un nome noto e molto apprezzato
tra i confratelli e i superiori.
Secondo alcuni avrebbe, come si suol dire, tutte le “carte in
regola” (ossia una maturata esperienza) per assumere e svolgere in modo proficuo inca-richi di maggiore responsabilità e
forse più attinenti alle sue innate e virtuose capacità operative.
Per di più conosce bene le lingue, specie l’inglese, indispensabili per muoversi ed operare nell’intero e variegato mondo
salesiano italiano ed estero. Di contro però c’è il suo carattere
riservato ed umile che lo portano a rifuggire dalle cariche onorifiche e appariscenti.
Di tutto questo se ne accorge per primo don Antonio
Martinelli, suo compagno di studi, amico e suo estimatore di
vecchia data, che lo vuole assolutamente a Napoli come Segretario del Consiglio Ispettoriale. All’inizio il Nostro cerca di
declinare l’invito e si schernisce, convinto più che mai che vi
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siano tanti altri confratelli più capaci e meritevoli di lui. L’altro
insiste. Alla fine l’obbedienza ha il sopravvento sull’umiltà ed
accetta, seppure a malincuore. Così che nei primi mesi del 1990
è nella città partenopea ad operare. 22
A settembre, quando don Martinelli per scadenza triennale
lascia l’incarico di Ispettore, a Don Cella tocca assumere quello di Vicario sotto la direzione del nuovo Ispettore don Luigi
Testa. Questa volta, però, come si riscontra dai ricordi di famiglia, si dimostra assai contento di svolgere assieme all’Ispettore l’alto e prezioso servizio di coordinamento interregionale
in una realtà estremamente cara a don Bosco. Come noto, Napoli è la città più a Sud visitata da Don Bosco tra il 29 e il 31
Marzo 1880. Vi è giunto per concordare le modalità della realizzazione di “una Colonia agricola ed un Ospizio di arti e
mestieri per fanciulli poveri e abbandonati”. 23
Nel periferico quartiere della Doganella i figli di Don Bosco
iniziano la loro attività nel 1934 in locali poveri e insufficienti.
Accolgono tutte i giovani che vi affluiscono.
Vent’anni dopo, passata la tremenda bufera della guerra, nel
1954, si pone mano all’attuazione del grandioso Istituto ancora oggi esistente, realizzato con cospicui contributi di benefattori privati e di Enti. Fu inaugurato Il 28 Maggio 1959.
Il 21 Ottobre 1988, il Rettore Maggiore Don Egidio Viganò
inaugura il Centro Sociale “Don Bosco” nel quale si riprogetta
e si vive secondo le esigenze dei tempi e nella fedeltà dinamica
al Fondatore.
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
A proposito della stretta amicizia tra don Cella e don
Martinelli si racconta, tra l’altro, che il Superiore, nell’agosto
del 1990, fu ospitato a pranzo assieme a tanti altri confratelli in
casa del fratello di Leonardo,Vincenzo. All’insigne ospite fu
addirittura consegnato un mazzo di rose rosse da parte di una
vicina di casa. Si tratta di Grazia Draisci, donna religiosissima
ed assai legata ai Salesiani, per via del cugino don Salvatore24,
anche questi Salesiano molto apprezzato a quel tempo per il
suo e la preparazione pedagogico – brillantezza comunicativa
didattica fatta valere in ogni dove.
Il sacerdote rimase fortemente colpito e commosso per il
gentile pensiero tanto che, il giorno successivo, spedì alla pia
donna una cartolina di ringraziamento dalla vicina San Giovanni Rotondo, dove si trovava in ritiro spirituale assieme ad
una folta schiera di sacerdoti salesiani. “Erano 17 sacerdoti!”precisa con ardore la nostra interlocutrice. Inoltre, Grazia Draisci
ricorda un’altra visita compiuta dall’illustre Salesiano a Rignano.
Accadde in occasione della celebrazione del Centenario Anniversario della morte di don Bosco. La commemorazione fu fortemente voluta ed organizzata dal farmacista Emanuele Di
Luzio, uomo mite e ben voluto da tutti. Tra l’altro è stato il
promotore della locale associazione “Ex allievi di Don Bosco”.
Il gruppo perderà colpi subito dopo il suo trasferimento a
Manfredonia e perirà del tutto nel giro di qualche anno.
Dopo aver fatto visita canonica alle varie case salesiane del
Sud, nel gennaio del 1992 Don Cella è a Bemaneviky in
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Madagascar. Qui riscontra alcuni problemi, che fa presente all’Ispettore al suo ritorno in Italia. Se ne discute ampiamente in
sede. Al termine della discussione circa la persona a cui affidare l’azione di ristrutturazione e di rinnovamento, Don Leonardo
stesso si fa avanti ed accetta, nonostante l’età, di passare nel
Madagascar come responsabile di quell’opera. Il resto è raccontato in altra parte di questo libro.
22
Notizie su don Leonardo Cella di don Antonio Gentile
23
Sito internet dell’Ispettoria.
24
Don Salvatore Draisci (Rignano G. 1926 - Cerignola 1998),insegnan-
te ed accorato predicatore. Salesiano dal 1937, sacerdote nel 1951, conseguì la Laurea in Storia e Filosofia a Napoli nel 1956; insegnò Lettere negli
Istituti Salesiani di Venosa, Resìna, Castellammare di S., Soverato e San
Severo. Fu docente di Storia e Filosofia nel 1962 al Liceo Scientifico di
Taranto e, dopo una breve pausa trascorsa prima a Faenza e poi in veste di
Preside dell?istituto Salesiano di Napoli - Vomero, tornò e continuò per
tredici ancora ad esercitare nel Capoluogo Ionico la medesima mansione
fino al 1995. Nominato vice - parroco presso la Casa Salesiana di Cerignola,
conclude il suo percorso di vita nel 1998.
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
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LA SECONDA PATRIA
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
Madagascar. In rosso il distretto di Ambanja. A 20 Km circa si trova
Bemeneviky sede della Casa Salesiana.
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Il presagio
“Quando morirò, non importa l’età, vorrei essere seppellito
a Bemaneviky in Madagascar, là dove riposano i miei fratelli
malgasci. E’ il luogo dove ho intensamente vissuto e che amo
di più, come Rignano!”. E’ il desiderio che Don Leonardo esprime pochi anni prima di morire durante una fugace visita nel
paese natale. Le sue condizioni di salute sono ancora buone.
“Sono parole dettate dal cuore - ricorda la cognata Maria, moglie di Vincenzo - che Leonardo pronuncia, mentre con la nostra automobile passiamo davanti al cimitero, diretti a San Giovanni Rotondo. Qui c’è la sorella Cristina che li ha invitati a
cena o meglio a gustare la pizza che lei stessa prepara. La pizza
piace tanto al Presule salesiano! Ma l’intrattenimento è stato
organizzato soprattutto per il piacere di stare insieme, in famiglia.
ll Madagascar per don Cella è terra di missione e, nel
contempo, di passione. Da subito se ne affeziona al punto tale
da considerarla sua seconda patria. Prima di addentrarci nello
specifico e parlare dell’azione missionaria dei Salesiani e del
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
nostro sacerdote in quei luoghi, vediamo in sintesi e da ogni
punto di vista qual è la situazione del Madagascar, lontana terra
baciata dal sole dove si vive come la natura comanda, con il
sorriso sulle labbra e l’accettazione della vita che il destino riserva. Quest’isola, con i suoi 585.050 chilometri quadrati di
superficie (quasi il doppio dell’Italia), è la quarta del mondo in
ordine di estensione. Ha una popolazione di circa 20 milioni di
abitanti, pari a un terzo delle presenze che sono nel nostro Stivale.
I primi uomini a giungere sull'isola, tra 2000 e 1500 anni fa,
sono di origine indonesiana e malese. E’ da questi primi coloni
che discendono le etnie malgasce, dai tratti somatici e culturali
chiaramente asiatico-indonesiani. I Merina, che abitano
l'altopiano centrale, ne sono l’esempio. Successivamente, dall'Africa partirono flussi migratori di popoli bantù, che diedero
origine a etnie diverse, come i Sakalava dell'Ovest e i Bara del
Sud dell'isola.
Gli Arabi conobbero il Madagascar prima degli Europei, e
iniziarono a fondare insediamenti intorno al X o XI secolo, con
l'intento di prelevare per poi commerciare schiavi. Per questo
etnie malgasce come gli Antemoro e gli Antanosy discendono
dai coloni arabi, e praticano ancora oggi la fede islamica.
Agli Europei giunge per la prima volta la notizia dell’esistenza di questa isola sconosciuta e misteriosa tramite Marco
Polo che la cita nel Milione. L'isola è avvistata per caso da Diego Diaz, messo fuori rotta da una tempesta mentre rientra dalle
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Indie diretto al Mozambico. Il Madagascar sta dirimpetto a
tale Paese, da cui è separato dall’omonimo canale.
In seguito Portoghesi, Francesi e Olandesi tentano di creare
insediamenti stabili sull'isola, ma senza fortuna perché scoraggiati da ostacoli insormontabili, come le malattie e l'ostilità degli
indigeni. Nei secoli XVI e XVII diviene il rifugio preferito dai
pirati impegnati a depredare le navi mercantili dirette alle Indie.
Il colonialismo e la conseguente crescita della richiesta di
schiavi da parte delle potenze europee influisce pesantemente
sugli equilibri interni del Madagascar. Alcune tribù malgasce
cominciano a trafficare in schiavi con l'Europa, ricevendo in
cambio oro e armi da fuoco. Quest’afflusso di ricchezza porta
alla formazione dei primi regni dell'isola. Più in particolare, i
Sakalava dell'Ovest danno vita ai regni di Menabe e di Boina
mentre, ad Est, gli Zana-Malata (etnia di origine mista
indonesiano-europea) mettono su il regno dei Betsimisaraka.
I residenti si chiamano Malgasci (aggettivo usato per indicarne la lingua nativa, le etnie e la cittadinanza). Il Malgascio è
la prima lingua del Madagascar, ma la popolazione parla correntemente anche il Francese (a seguito del passato coloniale) e
negli ultimi decenni anche l’Inglese. Il Madagascar è uno dei
cinque paesi più poveri del mondo. Forse la motivazione principale di tanta miseria è dovuta al fatto che nel XVIII secolo ai
primi regni si aggiunse quello dei Merina, comprendente gran
parte dell’isola. Il re Radama I, strinse accordi strategici con gli
111
Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
Inglesi, ottenendone l'appoggio militare ed economico in cambio di una serie di favori volti a ostacolare la presenza francese
nella zona. Nel 1824, Radama estese i propri domini fino alle
coste, diventando il primo sovrano del Regno di Madagascar.
I suoi successori hanno avuto atteggiamenti alternanti verso gli europei: chi si batté per l’autonomia, chi avvantaggiò i
Francesi e chi gli Inglesi.
Nel 1885, tra la spartizione coloniale del continente nero,
gli Inglesi lasciano definitivamente il campo ai Francesi, che
ne fanno un Protettorato. Durante la II guerra mondiale, truppe
malgasce combattono a fianco degli alleati. Nel 1942 l'isola
viene invasa dagli Inglesi che, a fine guerra, la riconsegnano ai
Francesi.
Dal punto di vista morfologico, a causa della prevalenza di
terreni ferrosi, il Madagascar viene detto l'Isola Rossa (o il
Continente Rosso). Il cuore di questo Paese è l'Altopiano Centrale, les hautes terres (le terre alte), che comprende le regioni
di Fianarantsoa e Antananarivo. Presenta colline e montagne
che proteggono valli fertili e fondamentali per l'agricoltura.
Numerosissime sono, in particolare, le risaie.
Nel nord (regioni di Antsiranana, Sava, Mahajanga) predominano le colline coperte da foreste. Qui la terra è sempre umida. La costa orientale (dal nord: Fenoarivo Est, Toamasina,
Mananjary, Farafangana) è ricca di vegetazione e di risorse naturali. Si praticano la pesca, la caccia e l'agricoltura. Gran parte
del territorio, come nel Nord, è ricca di alberi.
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Riguardo alle etnie, in Madagascar si distinguono diciotto
gruppi principali, prevalentemente di origine mista asiatica e
africana, con elementi arabi ed europei. Solo una minoranza,
collocata in prevalenza sugli altopiani, ha tratti somatici e culturali spiccatamente asiatici. Ricerche recenti, previo esame del
DNA, confermano che le popolazioni malgasce mostrano origini maleo-africane, con influenze arabe, indiane ed europee.
Sul piano linguistico, il malgascio vanta origini maleopolinesiache ed è comune a tutta l'isola. Gran parte della popolazione conosce bene anche il Francese. La nuova Costituzione
del 2007, infatti, ha confermato il Francese come seconda lingua ufficiale del Paese. Una modifica costituzionale in seguito
ha indicato anche l’Inglese come terza lingua, ma senza successo.
Per quanto riguarda la Religione, circa metà della popolazione malgascia è dedita a culti tradizionali locali, che sono
centrati attorno all'idea del legame con i defunti. Soprattutto i
Merina degli altopiani restano rigorosamente legati al rituale
del loro passato: ritengono che gli antenati defunti siano assurti
a divinità e seguano con attenzione le vicende dei loro discendenti ancora in vita. Sia i Merina che i Betsileo hanno la pratica
della "risepoltura" detta “famadihana”: i resti dei defunti vengono tolti dalle tombe, avvolti in nuovi sudari e riposti nei loro
sepolcri dopo un periodo di festeggiamenti cerimoniali.
Il 45% dei Malgasci sono cristiani, suddivisi circa in parti
uguali fra cattolici e protestanti. In molti casi il Cristianesimo
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
malgascio mantiene alcuni tratti delle credenze tradizionali,
come quelli concernenti il culto dei morti. Non raramente un
ministro di culto cristiano viene invitato a presiedere una
“famadihana”, pratica utile alla rievocazione.
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La presenza salesiana
Un tempo il Madagascar era chiamato “Isola verde”. Dopo
le ripetute cesinazioni selvagge, resta un numero limitato di
foreste, tutte fortu-natamente trasformate in riserve. Per questo
l'isola conserva ancora il suo fascino. La popolazione, dedita
maggiormente all'agricoltura, è molto povera. Ed è proprio dalla povertà che nascono i grandi problemi di esistenza (fame,
malattie, mortalità infantile, analfabetismo) e di rapporto sociale (delinquenza, piccoli furti). Di recente la popolazione è
passata attraverso una rivoluzione sociale massacrante, che ha
creato notevoli problemi di stabilità ed ha ulteriormente incrementato la povertà e la delinquenza. A buttare paglia sul fuoco,
ci sono i continui tifoni che periodicamente funestano l’isola.
I Salesiani di Don Bosco operano nell'isola da più di vent’anni. La loro presenza è rivolta ad opere di evangelizzazione e di
promozione culturale attraverso l'educazione e la formazione
soprattutto dei giovani e dei ragazzi più bisognosi. Sono per la
prima volta in Madagascar nel 1980 a seguito del Progetto Africa. Dapprima vi arrivano i Salesiani della Provincia di Napoli
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
che fondano la loro prima missione a Bemaneviky, nel Nord –
Ovest del Paese. Poi è la volta dei missionari della Provincia di
Venezia Est che aprono la casa di Mahajanga. Indi, i confratelli
della Provincia Romana fanno sorgere quella di IjelyMiarinarivo mentre i missionari della Provincia di Sicilia prendono ad operare a Tulear, proprio nell’area-Sud dell’isola.
Nel 1984 la Provincia Romana apre un’altra casa ad Ivato,
nella diocesi di Antananarivo: “Notre-Dame de Clairvaux”. Quest’ultimo centro nasce per accogliere i giovani in difficoltà. Nel
1987 sorge anche la casa salesiana di Betafo e, nel 1989, quella
di Ankililoaka come primo Noviziato del Madagascar. Nel 1992
il Noviziato sarà trasferito ad Ivato e, nel 2003, ad
Ambohidratrimo.
La sempre più consistente presenza di case missionarie
salesiane in Madagascar porta all'istituzione della Circoscrizione
a Statuto Speciale "Maria Immacolata”. Don Luigi Zuppini,
persona cara a padre Cella, ha l’incarico di Superiore Provinciale. Nel 1993 viene inaugurata la Missione di Fianarantsoa,
che ha la funzione di “centro di formazione” aperto ai giovani
confratelli salesiani.
In seguito si provvede ad elaborare il Progetto Educativo e
Pastorale dei Salesiani di Don Bosco in Madagascar. Don Cella
è il più attivo tra gli estensori in virtù della sua esperienza sia
nel campo pedagogico che direzionale.
La comunità salesiana nel Madagascar è una fucina di idee!
Apre"Radio Zarasoa" a Betafo e "Radio Mazava" ad Ankililoaka
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con l'intento di portare il messaggio educativo ed evangelico in
ogni angolo della grande isola. Più appresso sarà “Radio Don
Bosco”, con sede ad Ivato, a raggiungere ogni anfratto con la
banda larga. Oggi questa emittente si serve del satellite.
Ora gli insediamenti salesiani nel Madagascar hanno sede a
Ivato, Clairvaux, Ankilosks, Bemaneviky, Betafo, Fianarantsoa,
Ijely, Mahajanga, Tulear, Ambohidratrino, Port – Louis
(Mauritius). In futuro si penda di aprire una casa a Tamatave.
Quando vi arriva don Cella, l’isola vive una situazione economica disastrosa. La popolazione è in aumento di giorno in
giorno e le aree coltivabili non bastano a produrre il fabbisogno:
i raccolti consentono appena la sopravvivenza ai contadini ed
alle loro famiglie. Manca ancora molto in termini di assistenza!
Ora le presenze salesiane sono diventate undici su tutto il
territorio nazionale: provvedono ad assistere i giovani, ad istruire
i bambini e ragaz-zi dell’isola. Vi sono dispensari medici dislocati nei villaggi all’interno della foresta e centri di comunicazione sociale che sfruttano le trasmissioni radiofoniche per offrire a tutti ogni informazione di prima necessità.
Bemanevikji e i villaggi dislocati in prossimità del fiume
Sarimbano sono sotto la giurisdizione della curia di Ambanja.
Questo nucleo urbano ospita ancora il vecchio seminario, poi
trasformato in Scuola Superiore aperta a tutti. Don Cella v’insegnerà le sue lingue preferite: Francese e Inglese. In sua sostituzione, dal novembre 2007, verrà un vescovo salesiano. Si tratta
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
del siculo Rosario Saro Vella, missionario a Tulear e dintorni
sin dai primi momenti di presenza salesiana. Con lui don
Leonardo si trova in perfetta sintonia, nonostante la differenza
d’età.
Ecco alcune note biografiche sul prelato nato a Canicattì l’8
maggio 1952. Rosario Vella frequenta il noviziato di San
Gregorio, a Catania. Ricevuto l’ordine sacerdotale, si laurea in
Filosofia all’Università di Palermo. Due anni dopo l’ordinazione è nel Madagascar. Ricoprirà dal 1982 al 1995 l’incarico
di parroco ad Ankililoaka. Dal 1989 al 1990 sarà Maestro dei
Novizi; poi, parroco del Distretto di Betafo; infine, ancora oggi,
Direttore e parroco della comunità salesiana di Bemaneviky.
Senza ombra di dubbio Inglese si può ribadire che il terreno
dissodato con grande sacrificio da don Cella è in buone mani.
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La partenza
Siamo ai primi di settembre del 1992!
Dopo alcuni mesi di pensamenti e ripensamenti, finalmente
giunge per don Cella l’ora della partenza. Il Religioso è preoccupato: non sono tanto le difficoltà e i pericoli a suscitare in lui
lo scoramento, ma il peso dell’età. Questa considerazione gli
fa procrastinare per alcuni mesi il difficile passo. Ha sessant’anni
appena compiuti! In missione si va in gioventù, quando le forze sono ancora integre e lo spirito dell’avventura alimenta ogni
passo.
La decisione è ormai presa: partirà per il Madagascar, costi
quello che costi. Don Leonardo è convinto che con la ragione e
l’intelligenza ogni cosa si può affrontare, risolvere, vincere. Se
poi si ha la Fede a sostegno, con la preghiera e l’aiuto del Signore si riesce a fare tutto.
Sono, più o meno, questi i pensieri che frullano nella testa
del Salesiano rignanese quando, all’aeroporto di Fiumicino,
sprofondato nella poltroncina della hall, attende ogni annuncio
del volo a cui è interessato. Non se la sente proprio di parteci-
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
pare alle conversazioni dei suoi compagni di viaggio, né lo distolgono dai suoi pensieri il viavai nella stazione e il rumore
assordante dei motori degli aerei in fase di decollo o di atterraggio. Mai, mai come in questa occasione si accorge che non è
casuale lo storico detto: Roma caput mundi. Lo era e lo è ancora per il numero degli aerei che vengono e vanno in tutto il
mondo; lo è per l’arrivo d’innumerevoli turisti e pellegrini in
visita ai musei e alle testimonianze lasciate dagli antichi suoi
abitanti; lo è, soprattutto, in quanto capitale della Chiesa Universale e sede del Successore di Pietro.
Don Leonardo, però, è confortato dal sogno fatto la notte
precedente durante il quale mamma Eugenia lo aveva spronato
più o meno con queste significative parole: “Vai avanti
Leonardo! Don Bosco ti proteggerà! Dove c’è l’uomo che ha
bisogno, là è la tua terra!” Ma nel sacerdote è radicato l’amore
per il patrio suolo: di certo sa che sta per lasciare per sempre
l’Italia, la terra di Puglia, il paese natale, la famiglia. Insomma,
il suo animo è turbato dalle stesse emozioni e sensazioni che
prendono ogni emigrante. Per un attimo rivede mentalmente i
luoghi dell’infanzia, l’ampio orizzonte che si scorge dal suo
paese di collina, il sole, la “puglia piana”, “Porta ‘Ranna”, il
Baronale. La nostalgia lo prende! A tacitare l’umano sentimento ci pensa la ragione e il motto di Don Bosco: “Da mihi animas
cetera tolle”. Interviene anche lo speaker a fugare ogni pensiero: “Il volo Roma–Antanarivo è in pista. I passeggeri sono pregati di affrettarsi!” A questo punto il soliloquio del sacerdote
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s’interrompe e, insieme agli altri, si avvia verso l’area d’imbarco indicata. Si sale quindi sul velivolo. Dopo l’allacciamento delle cinture, con un avvertito sobbalzo l’aereo decolla e in
pochi secondi si addentra nello spazio sopra le nuvole
settembrine foriere di un piovoso autunno. Don Cella si fa il
segno della Croce e riflette tra sé e sé: “Sarà così la morte!
Buuum, e sei in Cielo!” Poi viene a fargli visita il sonno ristoratore. Si desterà alla pausa –pranzo per poi riaddormentarsi
subito. Nel sonno trascorrerà quasi tutte le nove ore di volo.
Si risveglierà proprio quando l’aereo si accinge ad atterrare
nell’aeroporto di Ivato, a pochi chilometri dalla Capitale. Ad
accoglierlo ci sono alcuni confratelli e collaboratori, che lo fanno
salire su un pulmino. Nel giro di pochi minuti giungono alla
vicina casa salesiana. Qui incontra il Superiore, don Zuppini,
che lo abbraccia fraternamente. Gli domanda come sia andato
il viaggio e, dopo la rassicurante risposta di don Leonardo, si
allontana per le sue faccende. Nel salutarlo gli dice: -“Domani,
ci vedremo per il programma!”
E’ notte fonda! Il nuovo venuto, dopo essersi rifocillato, torna di nuovo a riposare, questa volta in un confortevole letto. E’
stanco morto e qui fa davvero caldo, un caldo afoso ed insopportabile che gli ricorda da vicino la “Pugghia”, ossia la piana
del Tavoliere dove da ragazzo talvolta pernottava per fare compagnia e per dare un minimo aiuto al padre, ossessionato a quel
tempo dalla voglia matta di aggiustare la vecchia ma ancora
valida trebbiatrice.
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
Il soggiorno a Ivato e dintorni
Il giorno successivo, accompagnato da don Zuppini e da altri confratelli, don Leonardo visita da cima a fondo il centro
salesiano di Notre-Dame de Clairvaux, da qualche mese diventato sede circoscrizionale. La Maison “Don Bosco” è una delle
dieci Opere Salesiane presenti in Madagascar. Ospita la sede
della Visitatoria (Servizi centrali e nazionali), il Noviziato per i
giovani malgasci che si preparano ad entrare nella Congregazione di Don Bosco e un Centro Socio-Culturale (Oratorio) a
servizio dei ragazzi e dei giovani del quartiere.
Il Centro Sociale (Oratorio-Centro Giovanile) della Maison
“Don Bosco” di Ivato-Aéeroport svolge la sua attività fin dalla
fondazione dell'Opera, fin dal 1987. L’orbita d’influenza e d’intervento è la zona circostante l'Aeroporto, distante dalla Capitale circa 17 chilometri. La sua popolazione può essere stimata
attorno alle 30.000 anime, di cui circa il 67% è compreso nella
fascia d’età fra i 10 e i 25 anni.
La configurazione socio-culturale appare complessa e contraddittoria. Accanto agli insediamenti lussuosi, alle ville e ad
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altre private abitazioni che sfruttano le bellezze del territorio,
accanto alla tranquillità degli spazi immersi nel verde, sorgono
vasti edifici e caserme destinati soprattutto alle famiglie dei
militari in servizio all'Aeroporto civile e militare. Nel corso degli
anni l'antico villaggio di Ivato si è sempre più ingrandito per
accogliere, oltre agli abitanti dediti alla coltivazione delle attigue risaie, un numero sempre più crescente d’immigrati dalle
campagne.
Parecchie famiglie hanno abbandonato i loro insediamenti
rurali per raccogliersi attorno al villaggio dove sperano di trovare più sicurezza, più comodità di vita e più possibilità di lavoro data la prossimità all'Aeroporto. La migrazione interna ha
provocato molti problemi sociali: sfaldamento del nucleo familiare, ristrettezze e povertà, mancanza di abitazioni decenti,
malattie, delinquenza e prostituzione, insomma degrado umano e sociale.
Chi ha maggiormente sofferto e soffre ancora tale situazione sono i bambini, i ragazzi, i giovani. Molti poveri non vanno
a scuola che per loro è qualcosa di superfluo, un lusso che non
possono permettersi. Esistono ad Ivato le scuole statali dell'obbligo ed altre scuole private. Ma sono nettamente insufficienti
ad accogliere la potenziale popolazione scolastica. I più poveri,
poi, trovano sempre un alibi per l'evasione. Pertanto l'analfabetismo è molto diffuso. I Salesiani cercano di porre rimedio a
questo cancro offrendo le loro strutture e i loro servigi.
Ecco come si svolge la giornata tipo di ogni comunità
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
salesiana. Ci si sveglia presto. Dopo la preghiera e la colazione, si va col gruppo in giro per i villaggi fino a mezzogiorno.
Unitamente ai catechisti e ai cooperatori si dà vita a momenti
d’animazione: balli e giochi con i bambini e i ragazzi del villaggio. Tutti dimostrano entusiasmo nel vederli. Li accolgono
sempre con sorrisi dolcissimi ed allegri canti, come se li conoscessero da sempre. Poi si pranza, magari con riso o pollo.
Quando ci si trova nei villaggi, si condivide il cibo con gli abitanti del luogo. Nel pomeriggio si fanno attività di ‘grest’ aiutando gli animatori dei villaggi.
In alcuni oratori 30 animatori riescono a tenere fino a 1.600
bambini, tutti con le loro fascette colorate in testa. In detti luoghi, a sera, l’impianto elettrico funziona esclusivamente per due
ore. Solamente per tanto limitato tempo resta in funzione il gruppo elettrogeno elettricità. Tanto basta per affrontare i problemi
e trovare tutt’insieme una univoca soluzione ai problemi. Ci
sono molte difficoltà ma, coralmente, si superano. La forza dei
Salesiani sta proprio nella collaborazione, nella centralità del
colloquio.
Gli spostamenti di villaggio in villaggio sono fatti a piedi o
in jeep. Talvolta la missione dispone di fuoristrada più capienti.
Le intricate disastrate vie e gli usurati mezzi non consentono
spostamenti veloci. Ciò che colpisce don Cella è la completa
assenza di cellulari, seppure di prima generazione. Per telefonare si ricorre alle cabine telefoniche, quasi tutte installate nei
centri più grandi. Don Leonardo per comunicare con la fami-
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glia in Italia si serve del telefono dell’Oratorio. Altrettanto fanno i suoi congiunti, ai quali ha comunicato in anticipo il numero telefonico e l’indirizzo, come dimostra un bigliettino di segnalazione inviato a parenti ed amici prima della partenza.
Nell’animo sensibile di Leonardo si susseguono emozioni a
catena. Da quando ha messo piede in questi luoghi, tutto gli
sembra nuovo. Riesce a vedere ogni cosa con occhi di ragazzo
e si meraviglia di tutto. Durante la visita compiuta qualche anno
prima, si era accorto di poco o di nulla. Solo ora nota che quelle
che gli si parano davanti sono facce molto sincere. Gli occhi
dei bambini, molto belli ed espressivi, sono splendide stelle.
Essi sorridono sempre, anche se al posto del loro cuore c’è una
scarsella ricolma di problemi. Sarà la fede che aiuta loro a dimenticare la miseria e li sollecita a gustare appieno le piccole
gioie della vita. La gente è ospitale al massimo e vede in te non
il forestiero o il diverso, ma uno di loro.
Dopo questa prima esperienza, durata alcune settimane, il
sacerdote si sente ormai pronto ad affrontare il cammino verso
la sua nuova e definitiva destinazione: Bemaneviky. Don
Leonardo deve fare in fretta perché è vicina la stagione delle
piogge e dei tifoni. Una mattina, forte dell’esperienza fatta ad
Ivato, col consenso dei Superiori prende l’aereo di linea e due
ore dopo è a Nosy Be, piccola isola molto ambita dal turismo
internazionale. Qui s’imbarca su una piccola e sgangherata nave
stracolma di passeggeri e di merci varie. Dopo un’avventurosa
e massacrante navigazione sotto costa durata alcune ore, ap-
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
proda ad Ambanija. È questo il capoluogo della Sofia, regione,
dove andrà ad operare.
A bordo di un fuoristrada, che assiepa i passeggeri di giornata, si percorrono i venti chilometri che separano il luogo di sbarco
da Bemaneviki.
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Bemaneviki
Don Cella scende dall’auto tutto impolverato. Nota che si
trova di fronte ad un variopinto agglomerato di case. Sono costruzioni di legno e capanne disposte alla rinfusa, una all’altra
addossata. Di tanto in tanto la continuità è interrotta da piccole
e vaste aree vuote. Il nucleo urbano conta oltre 3000 abitanti.
“Quanto Rignano!” -pensa tra sé e sé don Leonardo. Le anime
diventano molto di più se si contano le popolazioni che orbitano
nei dintorni. Bemaneviki, infatti, è sede del distretto missionario ed ingloba 24 villaggi. Tutti appartengono alla diocesi di
Ambanja. Quanti vi abitano vivono di agricoltura e pastorizia.
L'unica strada percorribile in auto, durante la stagione secca,
tra Ambanja-Bemaneviky-Marovato è quella in terra battuta,
una pista piena di buche e di dossi. E’ quella stessa, tutta in
terra rossa argillosa, che il nostro sacerdote ha dinanzi percorso. Durante la stagione delle piogge, di sovente la strada è impraticabile anche da un fuoristrada perché, sommersa dall’acqua, scompare del tutto. Sono i cicloni a provocare lo straripamento del fiume Sarimbano che inonda tutte le terre che lo co-
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
steggiano. Allora, i villaggi vengono raggiunti a piedi per sentieri che traversano la foresta o solcando le piantagioni e le risaie, o guadando il fiume e i ruscelli.
A Bemaneviky i Salesiani sono chiamati a rispondere anzitutto alle molteplici necessità di cui un villaggio isolato ha bisogno. C’è poi da badare anche agli altri fronti. Il lavoro di
evangelizzazione investe un vasto territorio che si estende per
quasi cento chilometri. Vi sono dislocate, come detto, 24 piccole comunità. Don Antonio Gianfelice25 ci informa: “Occorre
attraversare le acque melmose dell’Antseva, per raggiungere il
villaggio di Antsahabe al fine di dare il conforto religioso ai
cristiani del posto. Poi c’è l’oratorio che, secondo il costume
salesiano, guarda con particolare attenzione ai giovani. Le attività svolte sono quelle tipiche, comuni a tutti i centri: teatro,
cinema, sport, giochi. C’è, inoltre, l'impegno nel campo sanitario diventato concreto con l’apertura del dispensario, inaugurato nel dicembre 1989. Questa struttura, con la presenza continua di una dottoressa malgascia stipendiata dalla comunità, non
ha risolto certamente il problema sanitario: mancano medici,
strutture ospedaliere e soprattutto medicine alla portata delle
povere tasche. A causa dell’assenza o della scarsa Assistenza
Sanitaria Pubblica, con l’anzidetto dispensario la Missione Don
Bosco di Bemaneviky costituisce l’unico riferimento della zona.
25
Don Gianfelice, pure di Rignano, ha vissuto qui la sua gioventù, dal
1981 al 1992. Per questo Salesiano sono stati gli anni di missione più impegnativi.
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Don Cella si accorge a prima vista della gravosa situazione,
non si dispera. Da subito pensa a una nuova struttura da affiancare all’esistente, corredata però di attrezzature indispensabili
a ogni immediato soccorso. Il suo sogno presto diventerà realtà
grazie agli aiuti economici da parte d’innumerevoli e sensibili
benefattori.
L’altro suo principale interesse è di migliorare la scuola. Prima dell’arrivo di don Leonardo, i Salesiani avevano assunto da
qualche anno la direzione dell’istituto già appartenuto alla Diocesi, che funzionava anche come Seminario. Si tratta del collegio cattolico "St. Antoine", con la Scuola Media e le prime classi
di Scuola Superiore. La struttura ha anche l'internato per accogliere i giovani che arrivano da villaggi molto distanti. Don
Cella comincia presto ad insegnare Francese ed Inglese. Don
Cella vi insegnerà le sue lingue preferite: Francese e Inglese. In
suo aiuto dal novembre 2007, verrà don Rosario Saro Vella, il
futuro Vescovo, già missionario a Tulear e dintorni sin dai primi momenti di presenza salesiana. Non gli piace la vita sedentaria. Ha saputo che lungo il fiume c’è una miriade di piccoli
villaggi. Qualcuno si trova anche in montagna, sperduto nella
foresta, dove oltre alla fede manca tutto. Qui la vita degli uomini è allo stato primordiale. Vi sono pochi cristiani che diventano man mano che passa il tempo sempre più numerosi. L’esempio, la pratica religiosa, soprattutto l’assistenza ai bisognosi e
agli ammalati sono motivi trainanti per la conversione al Cattolicesimo.
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
L’unico mezzo di trasporto per raggiungere questi luoghi è
la piroga. E’ con questo rudimentale mezzo di navigazione,
abilmente mandato avanti da esperte guide indigene, che don
Cella attraversa il Sambirano e il suo affluente maggiore. Riuscirà sempre a raggiungere le mete. Lavorerà sodo per alcuni
anni prima di conseguire risultati ottimali. Quasi sempre in
questi posti s’intratterrà per più giorni condividendo vizi e virtù della popolazione Sakalava, una delle 18 etnie o tribù che
costituiscono la comunità nazionale malgascia.
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GLI SCRITTI
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Dall’Italia
Portici, 16 agosto 1950
O Signore, ecco che io ho lasciato tutto per seguirti.
O Signore, ecco che io / ho lasciato tutto / per seguirti. / Non
sia vano il mio sacrificio. / Il chierico / Leonardo Maria Cella /
ricorda la sua prima / Professione religiosa e / Salesiana. / Portici, 16 agosto 1950 / Anno Santo 26
26
In frontespizio: immaginetta con effigie di Papa Pio XII; sul retro:
Charitas est vinculum Perfectionis . Lateralmente: “A te, caro babbo”
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
Rignano Garganico, Febbraio 1960
Profondamente riconoscendo a Dio…
Profondamente riconoscendo a Dio / La Famiglia Cella Annuncia / l’Ordinazione Sacerdotale / del suo / Don Leonardo /
Salesiano / Il Sacro Rito avrà luogo per le mani / di S. Em. Il
Card. Maurilio Fossati nella Basilica di Maria Ausiliatrice / in
Torino l’11 febbraio p.v. alle ore 7 / Rignano Garganico, Viale
Sicilia 5 27
27
Invito – annuncio a cura della famiglia
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Torino, 11. 2. 1960
Il più gran dono che Dio possa fare
ad una famiglia è un figlio Sacerdote
Leonardo Cella/Salesiano/In ricordo della / ORDINAZIONE
SACERDOTALE
Torino, 11. 2. 1960
Il più gran dono che Dio possa fare / ad una famiglia è un figlio
Sacerdote28
28
Frontespizio: Testone del Cristo di Leonardo; sul retro: L’anima mia
magnifica il Signore (Luca 1.46)
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
Carmiano (Lecce), 11. 6. 1968
Tanti auguri onomastici! Bacetti ai piccoli.
Pius pp. XII 1968 /Tanti auguri / onomastici. / Bacetti ai
piccoli / L. Cella / Auguri anche / alla piccola Antonietta.29
29
Cartolina. Sul frontespizio immagine di Pio XII benedicente. Sul retro
è indicato il destinatario: Antonietta ved.Tancredi / presso Vincenzo Cella /
Viale Sicilia Rignano Garganico
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Dall’Inghilterra
Oxford, 6 agosto 1964
Ora potete sentire la grandezza e la bellezza della
maternità e paternità. E’ questo un dono di Dio che
vi fa simili a Lui…
Carissimi, veramente non pensavo affatto alla / bella notizia
quando è arrivato il /Telegramma. Notizia inaspettata e tanto /
più gradita. Benvenuta Eugenia e tanti auguri /a voi! Ora potete
sentire la grandezza e la bellezza della / maternità e paternità.
E’ questo un dono di Dio che / vi fa simili a Lui, il quale ha
voluto essere chiamato /e lo è Padre. Ringraziatelo, come io
l’ho ringraziato. /Anche se non presente vi vedo felici e contenti e godo / della vostra gioia e ringrazio ancora una volta il
Signore / di tanto dono. Immagino la mamma, ora nonna, come
/ sarà contenta perché si chiama come lei. Auguri anche a lei! /
Sono uscito ieri per vedere se trovavo qualche cartolina da inviar- /Vi per l’occasione, finalmente l’ho trovata. Ho tradotto
un po’ alla / buona le parole della poesia di un poeta indiano30,
mi sono / sembrate delicate. Ancora congratulazioni e auguri! /
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
Io sto bene, ho iniziato un nuovo periodo, questa volta / più
impegnativo, ho in complesso 5 ore di scuola e poco /tempo a
disposizione, per imparare bisogna fare sacrifici. / Qui adesso
vi sono una ottantina tra preti e chierici venuti / dall’Italia, ci
sono tre chierici inglesi… / Il tempo passa in fretta…una ventina di giorni. Il /tempo è stato buono fino ad oggi, stasera un po’
di pioggia. / Ho saputo che la campagna anche se non è anda / ta bene, vi ha permesso di pagare la prima rata, /anche questo
mi fa piacere. So che hai tanto lavoro, / stai attento alla salute,
ora doppiamente necessaria / alla famiglia. / Tanti auguri particolari a Maria, ho pregato e prego per lei. / Saluti affettuosi a
voi, ai papà Vincenzo e Matteo, alle / mamme Antonietta ed
Eugenia ormai tutti nonni e nonne. / Auguri anche per il Ferragosto. /
Aff.mo Leonardo
30
Rabindranath Tagore (1861 - 1941), scrittore, poeta, drammaturgo e
filosofo di Calcutta. Premio Nobel per la letteratura nel 1913. Anglicizzato,
esercitò grande influenza nel mondo occidentale, con la traduzione delle
sue opere in varie lingue.
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Dall’Irlanda
DRUMREE Co Meath (Dublino), 14 luglio 1965
Un pensiero alla piccola Eugenia
che cresca sana e buona…
Un pensiero alla piccola Eugenia che cresca sana / e buona.
Faccio al papà gli auguri per il Suo com- / pleanno. Tanti saluti
/ a papà e mamma, un ba- /cetto a te.
Zio prete 33 e 34
33
Cartolina. Frontespizio:disegno di bambina genuflessa davanti al let-
to che prega (collezione Bambforth) con didascalia “Until To – Morrow –
Same Place Same Time – We are Now Closing Down”, ossia:“Fino a domani – nello stesso posto allo stesso tempo ora stiamo chiudendo! (nrd la
giornata con la preghiera).
34
Indirizzo mittente::Sacred Heart Novitiato /Salesian Fathers /
DRUMREE Co. Meath /IRELAND. Destinatario: Per Eugenia Cella / Viale
Sicilia 3 / Rignano Garganico
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
Irlanda, Luglio 1965
…Lascia stare la tua aureola e fa’una grande festa!
Tanti tanti tanti auguri per/il tuo primo compleanno. Ti auguro / di crescere forte e buona perché / possa essere la consolazione di / papà e di mamma / Tanti bacetti /
Zio prete. 35 e 36
35
Bigliettino pieghevole per compleanno. Frontespizio: disegno di bambina sovrastata da aureola con angioletti.
36
Sul lato sx: “To loosen /up your/ HALO /And/ REALLY / CELEBRATE! (Lascia stare la tua aureola e fa’ una grande festa!). Sul dx: HAPPY
BIRTHDAY / (Buon Compleanno). All’interno, a dx: Disegno di bambina
con due pulcini con sopra il saluto “Hello Angel! (Ciao Angelo!) e sotto la
frase: “Hope you’ll find /it’s /Heavenly/ hupon this/ special Date” (Proverai che è una cosa bellissima in questa data…); a sx, il testo augurale.
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Dal Madagascar
Primi di settembre 1992
Ho ricevuto più di quanto ho dato.
Ve ne ringrazio.
“Ho ricevuto più di quanto ho dato. / Ve ne ringrazio. / Chiedo scusa se non ho saputo dare di più. / Pregate per me
Sac.Leonardo Cella”
Tel. Ivato – Tananarivo 002612 4510337 - 38
37
Bigliettino inviato ai familiari, forse prima della sua partenza per il
Madagascar con indirizzo mittente: Salésiens de Don Bosco Ecar –
Bemaneviky 203 – Ambanja
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A tergo del bigliettino, proverbio malgascio:
“Gli uomini sono come il bordo di una pentola: formano un solo cerchio”.
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
Bemaneviky, 24 dicembre 1992
(dalla cronaca)
I protagonisti più calmi e tranquilli sono i bambini
che fanno da Giovanni e da Gesù.
Continuano i preparativi in chiesa: Leonardo ha sistemato
in chiesa l’amplificazione, ha fatto le prove e sembra che tutto
vada bene. Anche il presepe riceve le ultime rifiniture con lampadine a intermittenza. In mattinata cominciano ad arrivare i
cristiani dai villaggi vicini. Non sono molti perché ormai la
notte santa viene fatta anche a Marovato e poi quest’anno non
ci sono battesimi dei bambini. Coi catechisti si è deciso di non
ammazzare il bue, perché capita nella stagione quando comincia a mancare il riso ed è difficile raccogliere la quota di partecipazione anche se modesta. P. Bruno si presta per le confessioni. Il vociare allegro dei bambini riempie i cortili, ci sono gruppi che preparono canti. In attesa delle dieci e tenuto conto anche di qualche goccia d’acqua che fa temere il peggio si invitano i gruppi a seguirli nel foyer.
La pioggia però non arriva.
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Alle dieci circa comincia la sfilata dei personaggi della
natività, sono 50: tutto può servire per dare solennità alla rappresentazione, anche camici, pianete e casule vecchie, barbe
finte, ali di cartone per angeli, i ragazzi che fanno le pecorelle
con pezze colorate specie sul rosso sistemate a forma di vestito. L’inventiva c’è. Si recita a soggetto senza partitura scritta, si
traduce il racconto nella coloritura malgascia, meglio Sakalava
specie nell’uso della lingua. Solennità e semplicità, ma anche
passione. Anche se Angelo dice di avr dovuto sudare camicie
per farli venire alle prove. Stasera c’erano tutti. No, una delle
donne alberghiere non si è presentata: ha dovuto assistere la
figlia che ha dato alla luce verso le nove un bel bambino. Niente paura, la regista Marinasy ( una donna di un quintale e mezzo di stazza) sostituisce tutti.
Il canovaggio della rappresentazione parte dalla caduta di
Adamo ed Eva: un bel ramo di manga con frutta è stato sistemato nel presbitero e questa volta non è la mela ma il manga il
frutto ptoibito. Il serpente caratteristico, sembrava più una volpe o un coniglio, ma il suo invito ha spinto subito Eva a mangiare il manga proibito e forse il serpente contento della vittoria ottenuta dà prova delle sue capacità striscianti e schiacciato
dal castigo di Dio strisciando esce di scena. Questa parte iniziale serviva per mettere in risalto la fedeltà di Dio che aveva
promesso il salvatore. L’apparizione a Zaccagnino, l’annuncio
a Maria, il dubbio di Giuseppe e tutto il resto è collegato dal
cronista narratore che legge dalla bibbia. Altro momento solen-
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
ne e caratteristico è quello di Erode che da vero Mpaniaka (re)
malgascio sfoggia tutto il suo livore e la sete di comando,
maltratando alla malgascia i suoi servi e gridando come un
pazzo. I protagonisti più calmi e tranquilli sono i bambini che
fanno da Giovanni e da Gesù. Curiosa l’adorazione dei pastori
venuti con le loro pecorelle (una ventina di ragazzini che camminano carponi che belano intruppati e ben guidati dalle mazze
dei pastori). L’adorazione dei magi solenne con i cammelli (due
malgasci coperti da una lamba grande e la testa di cartone). A
mezzanote comincia la Messa solenne, con canti nuovi preparati per la festa. In tutto due ore di canti e di preghiere. Il povero
sottoscritto come al solito ha dovuto celebrare e fare la predica
(tradotta) in malgascio. Il sonno ci ridona un po’ di riposo.
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Bemaneviky, 18.1.93
Qui non c’è il consumismo / Italia, quasi quasi non ti
accorgi che è festa… Il Signore vi accompagni sempre. /Io
prego per voi
Carissimo Vincenzo, / sono ancora vivo anche se ho quasi
dimentica / to da quanto tempo sono qui. Non c’è molto tempo
per pensare ad /altro. C’è sempre qualche cosa da fare e qualche volta non c’è voglia di fare / niente. Comunque sto bene e
spero altrettanto di te e di tutti. / Ormai siamo nella stagione
delle pioggie, tutti i giorni e più volte / al giorno piove, c’è
molta umidità, la temperatura è molto alta / specie se c’è il sole
(questa dovrebbe essere la stagione calda).
Ogni giorno c’è sempre una cosa nuova da imparare e non
bisogna / mai meravigliarsi. Ormai qui hanno quasi tutti seminato/ il riso e come quando da voi seminate il grano. E’ cominciato / il periodo di magra. La gente qui è poco abituata a fare le
/ provviste come facevamo noi per il grano e l’olio e il vino, / e
c’è già gente che viene a chiedere un po’ di riso per soprav /
vivere promettendo che a raccolto avvenuto restituiranno, ma
questo / si verifica raramente perché puntualmente si dimenticano che hanno / debiti.
Spesse volte c’è capitato di restare senza pane. La farina viene
dall’estero. / Ho ancora molte difficoltà con la lingua, perché
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
non ho tempo / per studiarla, riesco si o non a capire qualcosa o
a dirla ma ce ne vuole / ancora di tempo! / Purtroppo la posta è
molto lenta – ora sono le 10 di sera e viene / spenta la luce, ho
acceso il lume a petrolio, come ai tempi di quando / eravamo
piccoli, se ti ricordi. Ci sarebbero tante cose da dire, ma / anche
tanto tempo per scriverle. Dietro questo foglio ho stralciato
quello / che è stato fatto la vigilia di Natale. Qui non c’è il
consumismo /Italia, quasi quasi non ti accorgi che è festa.
Di notizie / non se ne hanno, la radio malgascia funziona
solo qualche ora al giorno, / televisione nella nostra zona non
esiste. All’oratorio proiettiamo video cassette / di quelle che
abbiamo. Mi piacerebbe sentire più frequentemente vostre /
notizie. Ora il foglio è finito, smetto di scrivere. Vi ricordo tutti. / Salutami tutti uno per uno, in particola zia Elisa. Un abbraccio / Leonardo
Auguri a tutti per il nuovo anno e grazie per gli auguri (lato
sx del testo).
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Bemaneviky, 27/11/93
Il Signore vi accompagni sempre.Io prego per voi…
Mifalia siate felici! / Miravoa rallegratevi! / Caro Vincenzo
e cara Maria /Vi giungano i miei /auguri per un Noely Sambatra.
Spero stiate /bene anche le due “emigrate”. Io sto bene /e fino
ad ora non
ho avuto disturbi. Al / caldo ci si abitua come quando si
stava alla /Pugghie. Annina mi ha scritto dicendo / che state
bene. Il Signore vi accompagni sempre. /Io prego per voi. E’
cominciata la stagione delle /piogge e le strade si fanno impraticabili e per / questo anche le comunicazioni. Ci unisce il pensiero / E la preghiera. Ho celbrato la messa per papà /e mamma
in questo mese, ho sempre con me / la loro fotografia. Se ti
trovi a passare dal Cimitero. /Di’ una preghiera di suffragio per
loro a nome mio. / Ti ringrazio. Vi abbraccio. Saluti a tutti.39 e 40
Leonardo
39
Bigliettino pieghevole a quattro pp. Frontespizio: l’Adorazione dei Magi
con la scritta in malgascio: Mifalia! (Siate felici!) Miravoa! (Rallegratevi!)
40
All’interno e in quarta p. il testo augurale.
147
Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
Bemaneviky, 27 febbraio 1994
Auguro a tutti Buona e Santa Pasqua. Pregate per me.
Carissima Annina,
è da tempo che non ricevo vostre notizie / e forse voi
attendete le mie. Sto bene, grazie a Dio, e l’essere qui non mi
pesa se non per la responsa- / bilità che ho davanti a Dio di
questa missione. / Avendo scritto a Napoli mandando delle notizie, ho / pensato di inviare copia anche a voi vi do un’idea / di
quello che si fa, anche se i problemi delle / anime sono più
grossi e non si vedono. / E’ venuto a trovarci il nuovo Ispettore
che voi conosce - / vate già, è don Nicola Pecoraro che sta al
Vomero. / abbiamo rimesso la radio, visto che la politica / non
ha tensione. Volevamo regolarizzare le comunicazioni ma ci
chiedono troppo e nell’attesa di una soluzione / comunichiamo
con Napoli, anche se le condizioni atmo- / sferiche non sempre
ce lo permettono. Per cui se avete da comunicarmi qualche notizia potete telefonare a Don Nicola / Pecoraro, Via Scarlatti 29
Napoli, tel. 0881 5786400. Fate leggere queste notizie a tutti i
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Antonio Del Vecchio
familiari non li / nomino ma li ho tutti presenti, scrivo in fretta
/ è tardi e domani mattina vorrei far partire la lettera. / Non so
se Grazia ha ricevuto il biglietto che le ho scritto a proposito
degli occhiali da vicino. / Auguro a tutti Buona e Santa Pasqua.
Pregate per / me. Un abbraccio a tutti, prima di tutti a zia Elisa.
/ A Emanuele spero di scrivere una lettera per dare indica- /
zioni di medicina, da Napoli preparano un container, salutamelo. / Statemi bene Veloma
149
Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
Bemaneviky 27 febbraio 1994
Il Cristo Risorto vi ricompenserà
Carissimi Confratelli, Cooperatori Amici e Benefattori, / mi
accingo a scrivervi e spero di arrivare alla fine: c’è sempre qualcosa che incalza e si rimanda sempre. / Stralcio le notizie e da
una lettera che ho scritto a Don Zuppini a Tana. Innanzitutto /
grazie delle lettere, le notizie, gli auguri pervenutici in occa - /
sione della venuta del Sig. Ispettore. Noi stiamo tutti bene, /
abbiamo avuto anche noi un ciclone, ma non rovinoso come
quello / di Tana e sud Madagascar.
Abbiamo avuto pioggia quasi continua e forte da martedì 1
febbraio fino a venerdì e l’acqua del Sambi - / rano è venuta a
visitarci, il campo da gioco e il nostro giardino / tutto allagato,
ma non di più, niente scuola. In Tanàna invece le / cose sono
andate piuttosto male perché l’acqua straripata in / alcuni punti
ha toccato un metro e mezzo e la gente era tutta / indaffarata
per mettere in salvo le masserizie. La sera del venerdì due famiglie hanno chiesto di dormire da noi e le abbiamo / alloggia-
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Antonio Del Vecchio
te sopra al foyer. Avevamo la riunione dei catechisti ma / non si
è visto ombra. Anche l’onomastico di Biagio è saltato / perché
è stato bloccato dal Sambirano a Marovato e ci siamo visti /
domenica sera. L’onomastico l’abbiamo festeggiato lunedì, gior
- / nata dedicata al ritiro mensile della comunità. Abbiamo un
gene - / ratore di corrente bruciato a giugno del 92, l’abbiamo
dato ad un / tecnico di Ambanja, Njaka, e fino ad oggi non
siamo riusciti ad / averlo ( a settembre scorso si è bruciato l’altro che avevamo e / siamo rimasti con un generatore piccolo,
vecchio e siamo sempre / con la paura che ci lasci senza luce,
per questo abbiamo dovuto / interrompere l’erogazione della
corrente alle Suore mentre il / Seminario ha dovuto riparare
quello che aveva e quindi si è reso indi - / pendente).
Finalmente Njaka / il tecnico malgascio che da un anno / e
mezzo ripara il nostro generatore / aveva detto che l’avvolgi - /
mento del generatore andava bene e che sarebbe venuto sabato
scorso, ma che a causa della pioggia e della strada non è venuto./ Andiamo avanti con il piccolo generatore a gasolio che però
/ arranca, ci sono piccoli abbassamenti di tensione perché ci /
vorrebbe un pezzo da sostituire, ma non ne abbiamo, né sappiamo come / ordinarlo, per questo forse il video registratore della
direzione dell’oratorio è saltato e quello del teatro fa le bizze,
dopo un / po’ l’immagine si mette a tremare e non si vede più
niente, non / parliamo del computer che marcia all’oscuro, cioè
non si illumina / il video e bisogna cercare i comandi con una
lampadina.
151
Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
Anche il trattore ci ha fatto un brutto scherzo la sera di sabato / 29 gennaio, vigilia della festa di Don Bosco è rimasto infossato / con tutte le giaculatorie di Biagio correndo di qua e di
là si è potuto tirarlo fuori e farlo rientrare la sera alle 10. / Le
grondaie non funzionano a dovere e abbiamo avuto acqua nella
sala / di lettura. Ho chiamato Gilbera che ha fatto qualche ripa
- / razione, abbiamo tolto qualche cartone della controsoffitta
sostituito / con tolle41, pulito i canali di scolo, cementata qualche / crepa, conclusione…come prima! Ieri sera ha piovuto non
solo / fuori ma anche dentro.
Come vedete c’è da stare allegri e lo / siamo nonostante tutto, siamo sereni e facciamo quel / che possiamo. Abbiamo saputo che all’Ispettorato stanno preparando un container / e abbiamo dato indicazioni del materiale che desideriamo so - /
prattutto per “la cattedrale basilica di Maria Ausiliatrice” / (
Biagio mi corregge… del S. Cuore) a Marovato (noi abbiamo
qui / la piccola cappella a M. A.). /
Abbiamo avuto la visita di Sig. Domenico da Majunga un
confra - / tello Salesiano che sta a Majunga, a circa 600 chilometri da noi, ci ha fatto / veramente piacere e ci ha aiutato a
entrare anche nei problemi di / quella Casa, ma soprattutto la
nostra fraternità è cresciuta. / Nella parrocchia, a parte il mio
problema di parlare (tra italia - /no, francese e malgascio non
riesco più a sapere che parole uso), / si fa quello che si può ma
sentiamo che siamo pochi.
Abbiamo fatto / la novena dell’Immacolata, con la riunione
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Antonio Del Vecchio
dei catechisti e / soprattutto con tre giorni di convegno della
ZMM e LKM (figlie / di Maria e Uomini Cristiani del
Madagascar – l’Azione Cattolica / uomini e donne), venuti anche dai villaggi vicini, e la celebra - / zione solenne dell’Immacolata; la partecipazione dei cristiani non è stata numerosa perché non considerata come festa di precet - / to.
Abbiamo fatto anche la novena di Natale, la grotta con i /
pastori, la serata di canti prima della veglia di Natale. Il Sig /
Ispettore e Don Nicola Pecoraro erano presenti e hanno reso
più familiare il santo Natale. / Il 9 gennaio ci sono stati 26 battesimi di bambini. / Per Don Bosco abbiamo ripetuto le iniziative e le attività tra dizio - / nali, cercando di migliorare e rendere più efficace questa ricorrenza: il campionato di calcio COUPE
DON BOSCO allargata alle / diverse età dei giovani, tentativo
di inserire altri sport oltre / il calcio; anche un gruppo di ragazze ha fatto il suo torneo di calcio ragazze. Il CONCOURS DON
BOSCO con canti, poesie e scenette / è stato diviso in due momenti, venerdì per i cantanti le scenette / e le poesie e sabato
per i cori, ci sono stati anche lavori / manuali disegni e ricami;
di tutto questo Sarira ( è uno dei primi / salesiani malgasci che
sta facendo il tirocinio qui a Bemaneviky / ed è responsabile
dell’oratorio) sta preparando una relazione e / sarà più preciso.
Una novità che abbiamo voluto introdurre è / stata la
KERMESSE il sabato 29: alle ore 8 è stato proiettato / il Ragazzo del sogno e il film Don Bosco. Alle 10,20 ha avuto inizio
/ la KERMESSE. Numerosi giochi hanno dato la possibilità di
153
Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
manife - / stare le varie abilità dei partecipanti e le vittorie abbinate a / biglietti che permettevano di ricevere tante belle cose /
esposte. Il giorno della festa è stato il 30, domenica. Tenuto /
conto dell’esperienza dell’anno scorso, abbiamo voluto fare la
/ processione al mattino prima della messa, per avere più parteci
- / pazione e per uno svolgimento più devoto anche perché alla
sera / all’oscuro non va più bene. Vi hanno partecipato quasi
850 persone, un buon gruppo di bambini / ragazzi e giovani.
Finita la messa c’è stata la premiazione dei vari / vincitori. A
mezzogiorno abbiamo fatto il pranzo come / da tradizione con
le suore e i responsabili del Seminario. Un momento di fraternità
che aiuta molto nella convivenza. Nel pomerig - /gio la
finalissima delle ragazze con grande tifo e grida dei tifosi, ma
molto di più delle tifose delle due squadre. A sera il / video ha
chiuso la festa.
Alla verifica della festa che abbiamo fatto in comunità, abbiamo / notato che non tutti i cristiani dei villaggi possono partecipare, / a causa della pioggia e delle cattive condizioni delle
strade. / Abbiamo cercato nel calendario una data che potesse
essere buona / e purtroppo non abbiamo trovato spazio in altri
periodi / a meno che non si faccia una festa unica di San
Domenico Savio Don / Bosco e di Maria Ausiliatrice . / Abbiamo ordinato medicine per circa 4 milioni a Tana, non sappia - /
mo se sono arrivate perché le avrebbero richieste all’estero / a
condizione che venissero pagate all’estero. Per questo ordina –
tivo come di altri ci siamo serviti dei confratelli della Sici - /
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Maritato Group Casa Editrice - Roma
Antonio Del Vecchio
lia. Intanto qui cominciano ad essere a corto. Abbiamo saputo
che / Don Mimmo Alvati alla fine di marzo verrà qui e resterà
nel / periodo di pasqua. Verrà con Don Zuppini in visita canonica,
la / prima da quando il Madagascar è divenuta Circoscrizione.
Siamo / contenti di averlo qui con noi e avremo la possibilità di
sentire / di persona tante belle notizie dell’Ispettoria e degli
Amici del / Madagascar. / Il consiglio di Circoscrizione ha approvato la costruzione della chiesa a Marovato, ne abbiamo
parlato con l’Ispettore Don Emidio. / Biagio è contento e si sta
preparando per chiedere aiuti di / persona a voi dovendo venire
in Italia per la fine di giugno / prossimo. Per maggio aspettiamo
due muratori inviati da Don Maggi / responsabile del VIS e
speriamo di essere aiutati da loro ad / avere un quadro della
situazione delle varie cappelle dei villag - / gi e della sistemazione di alcuni ambienti della Casa. / E’ da diversi giorni che
ho cominciato questa lettera, scrivendo / talvolta alla cieca, certamente ci sono errori ma fate come / Dio che riesce a leggere
anche tra le cose storte. / Abbiamo ricevuto la comunicazione
della venuta della Madre Gene- / rale delle FMA, ci uniamo a
loro e a voi in spirito nella pre - / ghiera. Abbiamo saputo della
morte di Don Pasquale Massa - / ro, abbiamo pregato anche
con la comunità parrocchiale e gli aspiranti. / (In questo momento il video del computer si è spento e sto scrivendo alla
cieca), / Per le ceneri abbiamo seguito la tradizione che vuole
che si / celebri la sera alle 5, gli incaricati della liturgia però
non si / sono fatti vedere, colpa della pioggia che ci ha tenuto
155
Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
sul chi / va là per tutta la celebrazione : quasi tre ore, perché
abbiamo inserito la liturgia penitenziale, molti si sono confessati e io / ho fatto il mio meglio per capire e farmi capire, purtroppo / eravamo solo in due a confessare, purtroppo Biagio
“funziona” a / Marovato, Padre Jean ha detto che aveva molti
impegni ad Albanja, / per cui è rimasto solo Padre Etienne con
me, ma verso le 7 (di sera) / ho dovuto far interrompere le confessioni se no si faceva troppo / tardi. / 19 febbraio 1994. La
partecipazione dei fedeli è stata buona, ma come parlare di /
digiuno quaresimale a molti cristiani che non hanno gran che
da / mangiare ( questo avviene anche perché non sono abituati
a / fare buone provviste per la stagione delle piogge) e siamo
nel periodo / in cui la stagione è morta e non produce a causa
delle piogge? / E’ arrivato un altro ciclone dal Canale di Mozambico e ha / ripreso a / piovere. Sono al 27 febbraio, i cicloni
sono passati ma / ogni giorno in momenti diversi la pioggia
viene a visitarci, / molta gente lavora nei campi di riso e speriamo che il raccolto (comincerà a giugno) sia buono. / Con frera42
Sarira in queste domeniche di quaresima si va in tour - /née nei
villaggi vicini, Sarira fa fare un po’ di ritiro / aiutato dai ragazzi
delle associazioni di Bemaneviky, io confesso / e celebro la
messa, spiegando alla meglio la parola di Dio. / Se vi ho annoiato, perdonatemi ma è ora di chiudere. / Non so se questa lettera vi arriverà per Pasqua, cosa molto / improbabile, ma credo
che le preghiere arriveranno subito e il / Cristo Risorto vi ricompenserà. / Chiudo qui con i saluti di Biagio e di Sarira,
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Maritato Group Casa Editrice - Roma
Antonio Del Vecchio
stiamo / bene e preghiamo per voi./ In unione di preghiere /
Buona Pasqua a tutti ! Veloma ! / Bemaneviky 7 – 27 febbraio
1994.
41
Forse “zolle”.
42
Frèr
157
Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
Bemaneviky, s.d. 1994
Una preghiera! Don Cella.
Bigliettino a doppia anta con disegno di calice ed ostia in
frontespizio e all’interno lo scritto autografo: Una preghiera.
Don Cella
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Antonio Del Vecchio
Bemaneviky 16 settembre 1995
…Un abbraccio forte forte a tutti e Preghiere…
Carissimo / a Tonino e Cristina43,
non è da / molto che non ci vediamo,
ma sem - /bra ugualmente tanto tempo fa. Come state, cosa
fanno i pupilli come è an - / data la scuola e come andrà ? / Io
ho riprese le mie attività, incontri men- / sili con i Catechisti
qualche visita ai villaggi più vicini per celebrare la messa. /
L’Oratorio ha fatto 4 settimane di “Estate / Ragazzi” che ho
impegnato in attività / varie (catechesi, cucito, disegno,
falegnameria / lavorucci in Terracotta, quadretti… giochi e tan
- / to tanto canto come piace ai malgasci / In questi giorni iniziamo la costruzione / della chiesa a Marovato. Per il nuovo
arrivo / saremo in tre e ci dovremo arrangiare di più . /I ragazzini della Scuola Materna / di Marovato e Bemaneviky si sono
fatto onore /quelli della scuola elementare pure, non tanto / gli
alunni del Liceo a causa dello sciopero / degli insegnanti a cui
non è stato corrisposto / l’aumento del mensile secondo la leg-
159
Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
ge. Il vescovo da cui dipende la scuola non pagata. / Speriamo
bene per l’anno nuovo. / Salutatemi il Parroco e gli amici, grazie ancora / per le offerte. / La mia salute va anche se c’è ancora
un / po’ di gonfiore alle caviglie. Gli occhiali vanno / bene. Se
scrivete mi farà piacere, ci vor - / rà un po’ di tempo per arrivare
ma arriverà. / Un abbraccio forte forte a tutti e Preghiere.
Leonardo44
43
Ai coniugi Cristina e Tonino Mangiacotti – San Giovanni Rotondo
44
Sul lato dx disegno con contadino malgascio che semina il riso.
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Antonio Del Vecchio
Bemanevichy, 20 / 3 / 1997
Che la pace di Cristo regni nei vostri cuori!
Carissimi,
da un po’ di tempo / che non ci scriviamo anche
se / ci siamo sentiti per telefono. / Certamente volete sapere se
io / sto bene e vi accontento subito dicendo che / io sto bene,
grazie a Dio, e così spero anche di voi tutti. / Sta per finire la
stagione delle piogge, fa caldo / e si suda ma si può sopportare.
La gente è / molto preoccupata non ha da mangiare e / molti
vengono a chiedere aiuto, faccio quello che / è possibile, il problema è che dicono che ti restitui - / ranno quanto ricevono, riso
o soldi, ma poi si dimenticano. Le strade sono praticabili e le
visite / ai villaggi vengono ridotte.
Tra insegnamento alla / scuola, il catechismo per la cresima
le riunioni / dei catechisti e le altre cose, c’è sempre da fare. / In
prossimità della Pasqua facciamo un pellegrina - / gio alla croce che si trova sulla via per Amban - / ja ai confini della nostra
parrocchia, si parte la / notte con la luna e si va a piedi e si
161
Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
cammina a piedi / per circa 6 ore cantando e pregando si arriva
alla / mattina, si celebra la messa e poi si ritorna /
Ai primi di marzo abbiamo avuto circa quaranta / battesimi
di bambini. Il problema è di preparare: / genitori quando ci sono
a interessarsi dell’educazione / religiosa dei loro figli, per molti
infatti ricevuto il batte - / simo si pensa che tutto è finito e che
si ha il biglietto / di entrata nel Paradiso. Cerchiamo di seguire
anche / i ragazzi che vanno a scuola, aiutiamo quelli che non
hanno la possibilità che non han - / la possibilità di comprarsi i
quaderni (di libri non se - / parla) e le penne, bisogna controllarli perché spes - / so non si presentano a scuola dato che i
genitori si interessano poco o niente.
Ci stiamo preparando a gesti - / re noi la scuola privata di S.
Antonio che finora ospita / anche i seminaristi e questo comporta altro lavoro / di organizzazione e programmazione. La
notte di Pa - / squa ci saranno di nuovo battesimi per i catecumeni
/ che hanno studiato catechismo per tre anni. Non so / ancora
con precisione quanti saranno.
Per le Palme si fa la benedizione delle Palme e / la processione e poi la messa. Il Venerdì Santo ci sarà la Via Crucis /
vivente. E dopo Pasqua saremo a Tana per il ritiro e / per le
riunioni formative e programmatiche. Nel / frattempo le piogge
saranno cessate.
Chiudo augurando / a tutti felice e santa Pasqua. Vi accompagno con la / preghiera. Un abbraccio e un saluto a tutti specie
a zia Elisa. /Leonardo
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Antonio Del Vecchio
CRONACHE 199545
Dal / Madagascar / Ricordi, fatiche, avven - / ture, progetti…/ “ Abbiamo fiducia nella Provvi - / denza e nell’aiuto di
Maria Aus - / liatrice. Siano essi a ricompensar – ci per tutto
quello che avete fatto / e farete per Bemaneviky” / (Dalla lettera di Don Leonardo Cella del 10/07/95)
Festa di Maria Ausiliatrice / Carissimi Amici e Benefattori, /
vi ho ricordati tutti il 24 del mese / come voi ben sapete e soprattutto il / 24 maggio dedicato alla nostra / Mamma
Ausiliatrice.
Non abbia - / mo solennizzato la festa che dome - / nica 28
per dare occasione a tutti i / cristiani di partecipare alla proces / sione per le vie principali del vil - / laggio e devo / dirvi che è
stata / degna coro - / nazione / dell’omaggio / alla Madonna /
per il mese di / Maggio: come / sapete tutte le / sere del mese di
/ maggio recitia - / mo il rosario / nelle famiglie / che ce lo chie
- /dono. Abbiamo / insegnato e can - / tato “Ausiliatri - / ce
vergine bel - / la” tradotta in / malgascio. Il / sabato sera ab - /
biamo pregato / il rosario con le / diapositive e / abbiamo mes-
163
Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
so / un’intenzione / particolare per / voi tutti.
Avventuroso ritorno a Bemaneviky. / Sono ritornato a
Bemaneviky dopo / la partecipazione al Capitolo Ispet - / toriale
subito dopo Pasqua. Per / rientrare a Bemaneviky è stata / un’avventura.
La strada molto ma - / landata a causa delle molte piogge /
non permetteva di usare l’auto ed / ho dovuto viaggiare in trattore / messomi a disposizione da un ami - / co di Ambanja e non
vi dico i balli / che mi sono fatto mentre il trattore / faceva su e
giù, girava a destra o a / sinistra per seguire il tracciato tutto /
fosse e carreggiate profonde piene / di acqua e di fango, altro
che mo - / tocross.
Ad un certo punto il tratto - / rista con il rimorchio è rimasto
bloccato / e dopo trafficato parecchio, / grazie anche alle capacità del trat - / torista siamo riusciti a proseguire / fino ad
Ambodifinesy, un villaggio / a 4 chilometri da Bemaneviky: il
trattore / non poteva più andare avanti e ab - / biamo dovuto
fare trasloco con tut - / ta la roba che avevo portato / dall’Italia,
passare a piedi tutto il / villaggio mentre il trattore tornava / ad
Ambanja.
Come il Signore ha voluto, siamo / arrivati a Bemaneviky
che era già / scuro, contento di essere tornato / alla “casa paterna” ma ammaccato / parecchio nel corpo.
Evangelizzazione e Sacramenti / Subito al lavoro per preparare la / riunione dei catechisti, partecipare / alla festa di S.
Antonio protettore / della Parrocchia.
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Il nostro chierico Sarira ha orga - / nizzato la festa di S.
Domenico / Savio con la riunione delle varie / associazioni provenienti dai vari / villaggi; è iniziato il campionato di calcio
“Coppa S. Domenico Sa - / vio” che finirà il 16 luglio.
La catechesi a fine anno scolastico / ci dà la possibilità di
amministrare / i sacramenti della Prima Comunio - / ne (57)
della Cresima (53) e di / accogliere i catecumeni che hanno /
cominciato la catechesi (51). Se / aggiungiamo gli altri 60 che
hanno / ricevuto il Battesimo a Pasqua ab - / biamo un quadro
di quanto si riesce / a fare con l’aiuto di Dio e l’Ausi – liatrice.
Per Pentecoste abbiamo fatto la ve- / glia con la meditazione
della “Via / Lucis”. Abbiamo fatto tradurre il / testo commento
dell’L.D.C. e ab- /biamo adattato le diapositive prese / dai misteri gloriosi.
Nel frattempo è rientrato Don / Mimmo Alvati dall’Italia la
cui / presenza ci ha rincuorati un po’. In / questo periodo non ha
fatto visite / ai villaggi la domenica, ma sono / stato tre volte ai
villaggi vicini in / occasione della morte di cristiani. / Purtroppo i villaggi erano al di là / del fiume e ho dovuto attraversarlo/
a piedi con l’acqua che mi arrivava / al petto e come se non
bastasse ho / dovuto fare buona parte del resto della strada a
piedi scalzi invidian - /do i piedi del catechista che mi / accompagnava perché erano incal - / liti mentre io…ricordavo quando / ancora ragazzo spesso andavo scalzo per il paese. / Come
vedete ci / si consola sempre pensando ad altro!
Partecipazione al / Capitolo. / Vi sto scrivendo dalla capita-
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
le/ Tana dove abbiamo concluso la/terza sessione del Capitolo
della / Circoscrizione in preparazione al Capitolo Generale.
Ho pensato di venire a Tana in / Toyota; la strada è ormai
asciutta, / non c’è più fango e non si affonda, / ma bisogna
cercare con il lanterni - / no dove passare senza scossoni, / tante
sono le buche e le carreggiate / che si accavallano da sembrare
di / stare sulle montagne russe. Abbia - / mo fatto 930 Km in
due giorni /partendo la mattina alle quattro e / facendo sosta a
un terzo della / strada presso i missionari Cappuc-cini ad
Ndrevorevo.
Eravamo in / due: il chierico Sarira e io. Ci siamo / dati il
turno e abbiamo sostato solo / per il pranzo in uno dei tanti
hotel / che si trovano, ma che di hotel han - / no solo il nome;
non c’è molto da / scegliere: riso con brodo di carne / di bue o
di pollo a scelta. Non costa / molto, solo duemila lire a testa.
Purtroppo non ci sono speranze di / miglioramento; se voi in
Italia vi / lamentate della politica, qui non ci si lamenta, si
subiscono le conse - / guenze con una inflazione galop - / pante,
i prezzi che salgono, salgo - /no e la gente non ha dove prendere
/ i soldi. In questo periodo non ci / sono grossi problemi per chi
ha un / pezzo di terra coltivata a riso: è la / stagione della raccolta e di fame / non si muore; ma cosa sarà nel periodo delle
piogge quando non ci sarà nulla?
Per ora la gente non ci pensa, meno / che meno i giovani per
i quali ogni / occasione può essere occasione di / festa, tanto ci
si accontenta di poco. “Estate ‘95” / Don Mimmo e Sarira stan-
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no prepa - / rando l’”Estate ‘95” che accoglierà / oltre trecento
ragazzi e giovani che / si impegneranno a seguire la cate - /
chesi con i giochi e lavori manuali / che li terrà occupati dalla
fine di / luglio alla fine di agosto: si fermeranno all’Oratorio
per il pasto di / mezzogiorno, daremo loro qualche / ricordino e
ci auguriamo che ne / traggano profitto. Abbiamo cerca - / to
aiutanti per tutte le attività e in / questi giorni si fa un corso
accele - / rato di preparazione e programma - / zione di tutte le
attività. Sentiamo / un po’ la mancanza di volontari.
Vi ringrazio per / l’accoglienza e la / simpatia. Vi ringrazio
ancora una volta per / l’accoglienza e la simpatia mostra - /
tami nella mia permanenza in Ita - / lia.
Mi ha fatto piacere rivedere / tanti amici sempre generosi /
nell’aiutare il nostro lavoro. Parte delle offerte sono state impegnate / per la scuola materna di Marovato sotto il patrocinio di
Don Biagio, / parte per la scuola materna delle / Suore
Francescane a Bemaneviky, / parte per gli aspiranti, per l’acqui
- / sto di libri e per la catechesi e dizionari malgascio – francese
– ingle - / se da offrire agli alunni al loro rien - / tro a scuola a
settembre.
Non ancora abbiamo cominciato la Chiesa a Marovato perché non è / ancora possibile prendere la sabbia / al fiume e
comprare la breccia a / motivo dell’acqua alta che non per - /
mette al trattore di andare / dall’altra parte del fiume ove si /
trova Marovato. Abbiamo acqui - / stato il ferro, ma non ancora
il ce - / mento, in più abbiamo dato un ‘of - / ferta ai vari cate-
167
Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
chisti dei villaggi per / animare la vita cristiana.
Stiamo facendo riparare il gene - / ratore di corrente e ci
vorranno un / bel po’ di soldi; abbiamo acquistat - / to delle
medicine per una decina di / milioni poiché il nostro dispensa / rio deve far fronte alle richieste di / molti malati che non hanno soldi. / Ma abbiamo fiducia nella provvi - / denza e nell’aiuto di Maria Ausi - / liatrice. Siano essi a ricompensarvi per tutto
quello che avete fatto e / farete per Bemaneviky. Vi / ricordo
nella preghiera, vi saluto affettuo - / samente. Veloma!
Sac. Leonardo Cella.
45
Articoli apparsi sul periodico “Alba – Mad “ – Servizio informazione
Albania e Madagascar – Settembre 1995 – n. 9 a cura dell’Ispettoria
Salesiana Meridionale di Napoli.
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GALLERIA FOTOGRAFICA
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Fototessera di don Cella alle scuole salesiane, anni ‘50
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Rignano, anni ’50. In prima fila da sx: i germani Maria Anna (Nannina),
Cristina e Vincenzo; in seconda, da sx: papà Matteo, nonna Mariannina,
don Cella con mamma Eugenia e zia Elisa, seminascosto il figlio di M.
Cisternino autista Sita di S. Giovanni Rotondo
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Torino, fine anni’50.
Don Cella (I fila, ultimo a dx) studente di teologia alla Crocetta
Torino, fine anni ’50. Don Cella sulla riva del Po
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Torino, 11. 2. 1960. Don
Cella celebra la prima S.
Messa nella Basilica di M.
Ausiliatrice
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Torino, 1960. Don Cella con amici e cooperatori
Corigliano d’Otranto,10.11.1969. Don Cella, con don Angelo Gentile,
don Giuseppe Resta e gli aspiranti di Rignano.
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
Corigliano, 1969. Don
Cella attinge l’acqua da
un pozzo.
Napoli, 1989. Don Cella (I a dx) e gli altri direttori rignanesi in una
foto-ricordo con il Rettor Maggiore don Egidio Viganò.
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Rignano G., 16 agosto 1990. Don Cella (2° in fila) alla processione di
San Rocco
Rignano Garganico, Agosto 1990. Pranzo di conciliazione in casa di
V.Cella. Don Leonardo con i salesiani rignanesi e il parroco don Pasquale Granatiero.
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
Bemaneviky, 1995.
Don Cella all’interno della Cappella dell’Oratorio salesiano
Bemaneviky, 1995. Benedizione del riso e nel retro il testo esplicativo:
“Alla festa del Corpus Domini c’è l’uso / di benedire il riso nuovo che
servirà / per la semina a novembre. / I ceri sono messi davanti all’altare /
della Madonna da quelli che hanno / fatto la I Comunione”.
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Bemaneviky, don Cella con amici ‘posano’nel piazzale dell’oratorio
Bemaneviky, Don Cella con confratello a lavoro
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Castellamare, 2006. Don Cella con i germani (sx) Cristina,
Vincenzo e Maria Anna (dx)
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APPENDICE
Documenti originali
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
Portici, 1950.Ricordo della professione religiosa di don Cella
Torino, 1960. Ricordo dell’ordinazione sacerdotale di don Cella
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Rignano Garganico, Gennaio 1960,
annuncio ordinazione sacerdotale di don Cella
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Lettera da Oxford (Università), 1964, dove Don Cella, studia Inglese,
inviata ai congiunti per la nascita di Eugenia Cella.
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Inghilterra, 1965. Cartolina augurale indirizzata alla nipotina
Eugenia Cella
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Inghilterra, 1965. Cartolina
augurale indirizzata alla
nipotina Eugenia Cella,
frontespizio
Inghilterra, 1965. Cartolina augurale indirizzata
alla nipotina Eugenia Cella, retro.
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Carmiano (Lecce) 1968.
Cartolina con foto Pio XII,
frontespizio
Carmiano (Lecce) 1968. Cartolina con foto Pio XII, retro
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Rignano G. - Ricordo 25°anno di sacerdozio di don Cella
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MADAGASCAR
1992
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Retro del bigliettino, proverbio malgascio: “Gli uomini sono
come il bordo di una pentola: formano un solo cerchio”
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1994
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Bigliettino augurale s.d. 1994,
con calice e scritto inviato a parrocchiane rignanesi
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Bigliettino augurale a doppia anta
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LA VITA E IL MINISTERO46
Un altro insigne rappresentante della cospicua schiera dei
salesiani rignanesi è venuto meno. Si tratta di don Leonardo
Cella, deceduto il 29 agosto 2011 presso l’Istituto “San
Domenico Savio” in quel di Salerno.
Ieri pomeriggio sono stati celebrati nella Chiesa Matrice “Maria SS. Assunta” solenni funerali, officiati da tantissimi
confratelli e seguiti con viva commozione da una folla di compaesani e di ospiti esterni. Primogenito di quattro figli, Don
Cella nasce nella casa di Via Croce 15 a Rignano Garganico il
28 aprile del 1932 da Matteo, caldaista e meccanico tuttofare
(1902 – 1986) e da Eugenia Limosani (1906 – 1974), casalinga.
Sin dai primi anni di vita viene educato, soprattutto con
l’esempio, al credo e all’osservanza dei precetti cristiani. Si
tratta di un ‘modus vivendi’ comune alla maggior parte delle
famiglie rignanesi sommerse in quegli anni dapprima dalla paura dei bombardamenti e dalla miseria e poi, dopo l’avvenuta
liberazione degli americani, dall’ansia e dal desiderio di un
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futuro migliore. Una situazione che diventerà in seguito “humus”
fertile di copiose vocazioni religiose.
Frequenta le scuole elementari del paese, dividendo il suo
tempo tra gioco, studio , spesso dando vantaggio al primo, ma
senza danno al profitto, perché riesce sempre a rimediare l’indispensabile. Durante quegli anni di scuola e di esercitazioni
in divisa da Balilla si fa notare ed ammirare per il carattere
riservato ed amante più del fare che del dire. Insomma, si rivela
ad ogni pie’ sospinto un ragazzo vispo e generoso, sempre disponibile e pronto ad affrontare con il sorriso sulle labbra ogni
sacrificio e fatica.
Lo fa con zelo, attratto fortemente dalle figure del padre
Matteo e dello zio Giuseppe, entrambi uomini pratici e
decisionisti nel risolvere i problemi esistenziali delle rispettive
famiglie. Come pure resterà sempre legato negli anni a seguire
alla mamma Eugenia, alla nonna Mariannina e alla zia Elisa,
matriarche d’altri tempi ed esempi di vita insostituibili.
Al termine degli studi scopre con chiarezza la sua naturale
vocazione religiosa: vuole farsi salesiano, attratto com’è dalla
figura e carisma di don Angelo Gentile, seguace di don Bosco
di levatura nazionale. E questo in conformità al suo spirito d’intraprendenza e di avventura, che lo spingono a detestare le comodità della vita sedentaria e a preferire i pericoli e l’incertezza di nuovi percorsi.
Al termine della guerra, lo troviamo allievo nell’Istituto “San
Giovanni Bosco” di San Severo, città dove anni prima aveva
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
dimorato per ragioni di lavoro la famiglia. Terminate le medie,
frequenta le ginnasiali presso l’Istituto Salesiano di Torre
Annunziata, dove veste per sempre l’abito di don Bosco.
Concluso il noviziato viene mandato alla Crocetta di Torino, dove compie sino in fondo gli studi superiori di filosofia e
Teologia. Nel frattempo frequenta la facoltà di Lingue Straniere, specializzandosi, dopo diversi soggiorni in Gran Bretagna,
in lingua inglese, oltre al francese e allo spagnolo.
Nel 1960 viene ordinato sacerdote nel Capoluogo piemontese. Nel medesimo anno celebra la sua prima messa nella chiesa
matrice “Maria SS. Assunta” del paese natale. Quindi, è in
Puglia, dapprima a Bari, poi nel Salento, dove insegna in vari
Istituti e acquisendo man mano la direzione di alcune case
salesiane: Bari, Carmiano, Santeramo, Corigliano d’Otranto,
Cisternino,ecc. Infine, è in Calabria, a Soverato.
Alla fine degli anni ’80 torna in provincia di Napoli ed è
nominato Ispettore Vicario del Salesianesimo del Sud. Si fa
notare ed ammirare ovunque, durante le sue visite ispettive, per
la sua concretezza e decisione nella soluzione dei problemi. In
quel periodo gli tocca ispezionare anche le case di missioni in
Madagascar e si accorge che c’è estremo bisogno di altro personale missionario e di sostituire alcuni di essi con forze più
fresche. Cerca, ma non trova. Così, a 60 anni appena compiuti
è lui stesso ad andare in missione, come in seguito si scriverà a
parte con più dovizia di particolari.. Lavora sodo e riesce anno
dopo anno ad alleviare le sofferenze e l’arretratezza di quelle
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genti, mettendo a frutto la sua intensa voglia di evangelizzazione.
Intanto, l’impegno e il clima micidiale minano il suo fisico.
Tant’è che dopo 11 anni è costretto a rientrare in Italia. Non è
più lui. Gira diversi Istituti della Puglia. Quindi, è a Castellamare
di Stabia e dopo la chiusura della casa, si trasferisce al San
Domenico Savio di Salerno, Istituto dove si cerca di alleviare
la sofferenza dei sacerdoti salesiani anziani e malati. Qui, come
si accennava, lo coglie la morte all’improvviso. La redazione
di questa testata digitale si associa al dolore che ha colpito la
famiglia e l’intera collettività rignanese. Abbiamo anche noi
fede: Don Cella non è morto, ma è ora là che ci guarda dall’alto con il suo sorriso accattivante e consolatorio. Addio don
Leonardo, resterai sempre nei nostri cuori!
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Articolo dal titolo “Rignano piange la scomparsa di un grande
salesiano, don Leonardo Cella / Aveva 79 anni, di cui undici trascorsi in
missione nel Madagascar - Tra l’altro è stato responsabile vicario
dell’Ispettoria del Sud Italia”, scritto da Antonio Del Vecchio e pubblicato
il 31 agosto 2011 sulla testata digitale Rignanonews.com
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
Una rivista di settore parla di Don Leonardo Cella
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Una rivista di settore parla di Don Leonardo Cella
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Don Leonardo Cella - Dal paese al mondo salesiano
Nella parte mancante dell’articolo troviamo scritto:
“per tutto quello che avete fatto e...”
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Mons. Rosario Saro Vella. Salesiano e Vescovo di Ambanja
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Grazie per l’attenzione...
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