Lectio Divina

Transcript

Lectio Divina
LECTIO DIVINA
Il cieco nato
Leggiamo solamente la pericope paolina (Ef 5,8-14) e quella giovannea (Gv 9, 1-41).
Prima di inoltrarsi nella riflessione sul testo evangelico proposto, sintetizzo alcuni motivi del
capitolo 8 di Giovanni, contenenti un’accesa disputa con i farisei attorno alla persona di Gesù,
che fanno da prodromo e da anticipazione al nostro testo.
Al versetto 12 del capitolo 8, dopo l’episodio dell’adultera, senza ulteriori specificazioni di tempo e di
spazio, Giovanni fa continuare la disputa tra Cristo e i Farisei, iniziata durante la festa delle Capanne
(cap. 7), che ha al centro l’affermazione del dono dello Spirito da parte di Cristo (Gv. 7,37-39) (1).
Nel versetto 12, improvvisamente, Gesù proclama un’altra rivelazione su se stesso: “Io sono la
luce del mondo (in greco: ego eimi to fos tou kosmou), chi segue me non cammina nelle tenebre, ma avrà la
luce della vita”. La rivelazione di Cristo-Luce è forse collegata alla grande festa notturna –
illuminata da quattro grandi candelabri- nell’atrio delle donne del tempio, durante l’ultima
notte della festa dei Tabernacoli. L’attribuzione forse è aiutata dal richiamo della gioia di
Abramo –considerato l’iniziatore della festa- per la rivelazione del giorno di Cristo (cfr. Gv 8,56).
Dopo questa fondamentale rivelazione [da notare l’uso della formula teofanica: io sono, che
ritma tutto il capitolo 8], esplode la disputa con i farisei su alcune tematiche:
valore della testimonianza (greco: martiria) di Cristo, dovuta non al rispetto delle norme
giudaiche (anche se il Padre e Cristo sono i due testimoni richiesti) ma dall’autorità che gli
viene da Colui che lo ha mandato (2), che solo Cristo conosce.
La validità e verità del suo giudizio è basata sull’autorità del Padre; chi non conosce il
Padre, non può conoscere il Figlio. Da notare già in questo testo per conoscere il verbo greco
orao, che ha tra i suoi molti significati quello di vedere, volgere lo sguardo, stare attento,
conoscere, osservare esaminare, comprendere. È un verbo significativo che incontreremo anche
nel cieco nato.
incredulità dei giudei verso Gesù come messia, che porterà i giudei alla morte(3). Gesù lega
la morte dei giudei alla mancata accettazione della sua rivelazione come Io sono (4). Io sono è
l’auto-rivelazione di Javhé a Mosé nel roveto ardente (5), cardine dell’intero ebraismo. Questo
suona inaccettabile per i farisei, contestati nella conoscenza e obbedienza alla Torah e nel suo
insegnamento da Cristo, che continua la sua rivelazione affermando che conoscenza e
insegnamento “delle cose di Dio” gli vengono dal Padre, “che non lo lascia solo, perché faccio sempre
ciò che a lui piace” (Gv 7,29). Il tema dell’obbedienza-amore verso Dio è sempre collegato alla
vita attiva: Cristo è il figlio in cui Dio si è compiaciuto, perché obbediente concretamente al suo
disegno di salvezza. Il culmine della disputa con i giudei avviene nell’ora dell’esaltazione del
Figlio: sulla croce –quando il Figlio viene innalzato- il mondo viene giudicato e o salvato o
condannato, in base alla fede e al vedere-conoscere colui che hanno trafitto. Questi è fonte di
consolazione e di grazia (6).
(1) “L’ultimo giorno, quello solenne, della festa, Gesù ritto in piedi proclamò a gran voce: “chi ha sete venga
a me e beva. Chi crede in me, come disse la Scrittura, dal suo ventre sgorgheranno fiumi di acqua viva”.
Questo disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui” (Gv 7,37-39. cfr. anche Pro. 18,4: “La
fonte della sapienza è un torrente che straripa” e Is. 58 11 “…sarai come un giardino irrigato e come una
sorgente le cui acque non inaridiranno”.
(2) cfr. Gv 8, 13-19
(3) “Io me ne vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato” (Gv 8,21)
(4) “Se non crederete che io sono, morirete nei vostri peccati” (Gv 8,24); “Quando innalzerete il Figlio
dell’uomo, allora conoscerete che io sono e che non faccio nulla da me stesso, ma dico le cose che mi ha
insegnato il Padre” (Gv 8,28)
(5) “Mosé disse a Dio: “Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi.
Ma mi diranno: come si chiama? E io cosa risponderò a loro?”. Dio disse a Mose: “Io sono colui che sono!”.
Poi disse: “Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi”.(Es 3,13-14). Da notare che la relazione tra
Javhé e il suo popolo è sempre stata segnata dal peccato di incredulità verso Dio stesso e tutti i mandati da
Dio: da Mosé ai profeti. Questo peccato di incredulità colpisce l’ultimo dei mandati, il Figlio di Dio, e poi
coloro che sono mandati dal Figlio (cfr. Mt 22, 1ss: parabola dei vignaioli omicidi).
(6) “Riverserò sopra la casa di David sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di
consolazione: guarderanno a colui che hanno trafitto: ne faranno il lutto come un figlio unico, lo piangeranno
come si piange un primogenito” (Zac 12,10); cfr.: Gv 19,37 per Cristo in croce. Il lutto per il primogenito
richiama quello degli egizi per i primogeniti (cfr. Es. 12,29-30).
I versetti dal 31 al 59 del cap. 8 dipanano la accesa disputa tra Gesù su vari temi:
il tema della verità e della libertà, legato al “rimanere nella mia parola” (7) e non più legato
alla discendenza naturale da Abramo. Tema profetico che Cristo applica a sé e che amplierà
nell’Ultima Cena con la rivelazione che la collocazione spirituale dei discepoli è nella sua unità
con il Padre: “perché siano una cosa sola come noi” (8) e che solo il Padre può consacrare i
credenti nella verità (9).
il tentativo di uccidere Gesù rivela che i farisei non sono figli di Abramo, ma di Satana. Nella
disputa, i farisei dichiarano se stessi figli di Dio; ma Gesù ribatte loro che non lo sono per vari
motivi:
* non conoscono e non amano Cristo, che è uscito da Dio, come Verbo e come inviato del
Padre(10);
* essi non ascoltano la sua parola di verità, udita da Dio (11), e compiono i desideri del padre
loro, omicida fin dal principio e padre della menzogna(12);
* l’ascolto della parola di Dio è discriminatorio rispetto alla figliolanza di Abramo e di Dio.
Chi non ascolta non è da Dio(13); perde la sua libertà ed è schiavo del peccato;
* l’ascolto-obbedienza della Parola di vita dona la vita eterna (14) e permette la conoscenza di
Dio(15).
La pericope chiude con la ripetuta affermazione di Cristo: “Prima che Abramo fosse, io sono”(16),
definitiva epifania della sua divinità. Questa affermazione provoca la reazione farisaica alla
bestemmia, e il tentativo di lapidazione come eretico.
(7) cfr. Gv 15,7: “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà
dato”. L’immagine della vite –che Giovanni usa per simboleggiare la relazione di Cristo con i discepolimanifesta bene la necessità del rimanere in Gesù e nella sua Parola per poter vivere spiritualmente e portare
frutto. “Il credente deve porsi interamente nella sfera dell’influenza e dell’azione della parola di Cristo e
lasciarsi guidare da lui a quell’unione che è annunciata dal verbo menein (cfr. Gv 14,21ss; 15,4-10). Questo
porta alla verità, rivelata da Dio sulla salvezza dell’uomo” (cfr. R. Schnackenburg, Il vangelo di Giovanni,
II, p. 349-350)
(8)cfr. Gv. 17,11d
(9) cfr. Gv. 17,17-19: “Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come Tu mi hai mandato nel mondo,
anch’io li ho mandati nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella
verità”. Consacrato (in greco: aghiasmenos= santificato) significa metter da parte per Dio, votare a Dio.
“Gli uomini che accolgono in se la Verità, come rivelazione della salvezza portata da Cristo, non ne ricevono
né un indottrinamento razionale né una illuminazione (di tipo gnostico),ma sono santificati nella verità,
colmi della vita di Dio. La verità diventa in loro una realtà e una forza (cfr. Gv 1,8; 2,4) che li redime dalla
servitù e li conduce alla vera libertà (Gv 8,32-36). Però la verità deve divenire norma della loro vita; essi
devono fare verità e praticare l’amore nell’azione e nella verità (Gv 3,21; 1Gv 1,6; 3,18)” (R.
Schnackenburg, op.cit., II, p. 363). Il vangelo di Giovanni sembra subire molto poco il dualismo greco di
tipo gnostico “il mondo divino è vero, quello carnale è male”. La conoscenza del Padre in Giovanni avviene
attraverso la fede e l’adesione vitale a Dio; negli gnostici attraverso un processo di liberazione e di
conoscenza a partire dal basso, dall’uomo. La salvezza è Cristo, non la gnosi per Giovanni.
(10) cfr. Gv. 8,42
(11) cfr. Gv 8,40
(12) cfr. Gv 8,44 e Gn 3,4. La mancata accoglienza di Dio come verità è l’inizio del peccato di Lucifero. Lo
stesso avviene per coloro che non accolgono “l’inviato di Dio che parla con parole di Dio (Gv 3,34). Il
Figlio incarna in sé la verità divina, che per i credenti è vita e diventa così via alla salvezza”(R.
Schnackenburg, op.cit., II, p. 362).
La verità non si oppone alla menzogna, ma all’empietà,
“all’autodeterminazione dell’uomo del proprio essere, ad un’auto-redenzione ad opera della gnosis” (R.
Schna-ckenburg, op.cit., II, p. 373).
(13) cfr. Gv. 8,47
(14) cfr. Gv 8,50
(15) Da notare il gioco di parole in greco: Giovanni usa il verbo gignosco (da cui gnosi) per la conoscenza
dei farisei; usa il verbo orao per la conoscenza del Padre da parte di Gesù (cfr. Gv 8,55).
(16) Gv 8,58. Gesù afferma qui la sua preesistenza eterna “che è compresa nel suo eterno essere divino” (R.
Schnackenburg, op.cit., II, p. 400). Con la ripresa dell’auto-rivelazione di Dio nel roveto ardente da parte di
Gesù c’è l’invito ad ascoltarlo come colui nel quale il Dio dei Padri, il Dio di Abramo, d’Isacco e di
Giacobbe, è vicino al popolo fedele, per attuare la sua promessa di salvezza” (R. Schnackenburg, op.cit., II,
p. 401)
I. Il cieco nato
La pericope che ora prendiamo in esame è ben inserita nel contesto: riprende le tematiche del
capitolo 8, esposte nella disputa con i farisei, e preannuncia i temi del capitolo 10 sul buon
pastore.
Possiamo dividere il testo in quattro parti:
* vv. 1-7: introduzione, guarigione del cieco, presentazione del miracolo come segno;
* vv. 8-17: colloqui con i vicini e conoscenti; primo interrogatorio da parte dei farisei;
* vv. 18-34: interrogatorio dei genitori del cieco; secondo interrogatorio del cieco e sua espulsione;
* vv. 35-41: la fede del risanato e la cecità dei Farisei.
1. Introduzione
Fin dalla prima frase del testo, Giovanni fa capire che si è passati ad una unità diversa dalla
precedente; qui il carattere narrativo è evidente, con tratti molto belli, pittoreschi e vivaci (17).
L’incipit non è un collegamento con il capitolo precedente; sembra quasi in contraddizione con
il nascondersi e il fuggire di Cristo dal Tempio. Il testo esprime invece due consueti
procedimenti narrativi:
* sottolinea la casualità del fatto: il passare(18) di Cristo e il suo guardare appartengono agli
eventi significativi, per cui ciò, che noi chiamiamo “caso”, è in realtà il modo di rivelarsi di Dio,
il suo irrompere nella storia dell’uomo come salvatore. Il suo intervento produce una “eucatastrofe” che cambia la storia personale di coloro che sono coinvolti e la storia umana;
* lo sguardo di Gesù non è un semplice vedere: un’immagine che colpisce la retina e viene da
questa trattenuta. Lo sguardo di Cristo esprime in pienezza i significati del verbo orao, qui
utilizzato: vedere in profondità, conoscere, prestare attenzione. Il normale vedere è espresso in
questo racconto dai farisei, dal cieco e dai suoi genitori con il verbo greco blepein(19). Lo usa
anche Cristo nella condanna finale dei farisei che dicono di vedere(20).
Gesù vede un uomo cieco dalla nascita. Il suo intervento –tolto che a Cana(21), l’agire di Cristo a
favore di qualcuno nelle necessità è autonomo e spontaneo- non rappresenta solo il gesto caritatevole di un cuore misericordioso. Il cieco può esser visto come simbolo dell’Israele accecato(22), che recupera la vista quando “regnerà un re secondo giustizia”(23). Questo significato
acquisterà maggior forza con il procedere del racconto.
Dopo la presentazione dei due attori principali del racconto, Giovanni introduce un primo
interludio. Dopo alcuni capitoli -Giovanni non nomina più i discepoli dopo il capitolo 6 e la
confessione di Pietro(24)- i riapparsi discepoli introducono il tema, caro alle dispute loro
contemporanee, della retribuzione. Ma anche nel nostro mondo spesso la malattia è vista come
conseguenza di un peccato e quindi come punizione divina (pensiamo all’AIDS o a certe forme di
cancro). Gesù –sulla linea profetica di Geremia ed Ezechiele(25) rifiuta queste mentalità e
casistica, perché la responsabilità delle azioni è personale. Ma come Geremia, anche Gesù va
(17) L’incipit potrebbe essere tratto da una “fonte dei segni (in greco : semeia)”, condivisa con altri testi
narrativi di Giovanni (2,1: Cana; 4,46: guarigione del figlio del funzionario; 6,17: il miracolo dei pani) cfr.:
R. Schnackenburg, op.cit., II, p. 407
(18) La formulazione “E passando” è hapax in Giovanni (cfr. G. Zevini, Vangelo secondo Giovanni, p. 288)
(19) cfr. Gv 9, 15; 9,19; 9,21; 9,25;
(20) cfr. Gv 9,41
(21) cfr Gv 2,3-5
(22) “Disse: Va’ e riferisci a questo popolo: Ascoltate pure ma senza comprendere, osservate pure, ma senza
conoscere. Rendi insensibile il cuore di questo popolo, fallo duro di orecchio e acceca i suoi occhi” (Is 6,911)
(23) cfr. Is 32.1. Lo stato di alleanza rinnovata e di rinascita del popolo è significata da due elementi
fondamentali della vita spirituale: “Non si chiuderanno più gli occhi di chi vede, e gli orecchi di chi sente
saranno attenti” (Is 32,3). “È questa la vera visione di Javhé…il cieco è guarito e convertito non solo per sé,
ma per mettere in rilievo –per contrasto- l’accecamento dei ciechi vedenti” (H. van den Busche, Giovanni, p.
371)
(24) “Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei
il Figlio di Dio” (Gv 6.68-69)
(25) “In quei giorni non si dirà più: I padri hanno mangiato e i denti dei figli si sono allegati. Ma ognuno
morirà per la propria iniquità; a ogni persona che mangi uva acerba si allegheranno i denti” (Ger 31,29-30).
Da notare che questo testo in Geremia introduce il celebre brano dell’alleanza nuova, con la legge scritta da
Dio nel cuore di ogni uomo. Così ogni uomo potrà conoscere direttamente Dio, senza insegnamento esterno
(Ger. 31,31-34). Cfr. anche Ez 18,1-4: “Chi è giusto, vivrà”.
oltre. Il segno/semeion, che Gesù sta per compiere, è una rivelazione (epifania) delle opere di
Dio, della sua volontà di salvezza verso tutti gli uomini rappresentati da quel cieco. Nell’opera di
salvezza sono coinvolti anche i discepoli: sembra intenzionale il “noi dobbiamo” al plurale,
seguito dal classico “mi ha mandato”(26). “I discepoli diverranno un giorno testimoni e annunciatori
della sua attività sulla terra, compiranno opere come quelle compiute da Dio e parteciperanno al suo
destino… le parole di Gesù diventano un appello ai discepoli di compiere in ogni momento l’opera di Dio
loro affidata, di fronte al dolore e alla miseria degli uomini, nonostante persecuzione e ostilità” (27). Qui
emergono altri classici temi giovannei:
* la vita di Cristo è spesa tutta per la glorificazione del Padre;
* il richiamo all’Ora di Gesù e al giorno come luogo-tempo in cui operare;
* il contrasto tra le tenebre e la luce. La notte è la passione di Cristo, ma anche l’impossibilità di
operare le opere del Padre, è la morte di ogni uomo, il trascorrere della storia(28). “Operi, perciò
l’uomo finché vive, per non essere sorpreso dalla notte, in cui non si può operare. È ora che la fede deve
operare mediante l’amore .E se ora operiamo, ecco il giorno, ecco Cristo”(29).
2. Io sono la luce del mondo
E Gesù subito ribadisce: “Finché sono nel mondo, luce sono del mondo”(30). È affermazione ripetuta
nel vangelo di Giovanni. La troviamo nel prologo(31) e in altre parti del vangelo e della 1 lettera
di Giovanni(32). Qui sintetizzo quanto espresso più ampiamente nei testi giovannei riportati in
nota.
“Gesù è la luce del mondo. L’orizzonte giudaico è superato [Egli riconduce a Dio tutti i suoi figli dispersi
(cfr. Gv 11,52)]. Gesù è venuto a portare al mondo la luce escatologica, a portare all’umanità luce e vita. Fin
dal principio il Logos era la luce degli uomini (1,4) ma con la sua venuta storica diventa tale in modo unico e
speciale (1,9). Gli uomini che odono la sua rivelazione sono chiamati a credere in lui e a diventare figli della
luce (12,36). La sua attività storica di rivelatore è sotto l’impero del tempo che gli è stato riservato e perciò
nel simbolismo è introdotta l’immagine del sole, la luce di questo mondo e delle ore del giorno. Alla fine
della sua attività pubblica Gesù dice ancora: “camminate mentre avete la luce, che non vi colgano le
tenebre” (12,35). Ma l’aspetto temporale non è che il pressante invito ad ogni ascoltatore a decidersi di
fronte al suo appello”(33).
L’espressione luce nel mondo è variamente utilizzata nel giudaismo, riferita alla Torah(34), a
Gerusalemme(35), al tempio e a Israele(36).
(26) cfr. Gv 9,4
(27) cfr. R. Schnackenburg, op.cit., II, p. 409
(28) cfr. R. Schnackenburg, op.cit., II, p. 409
(29) cfr. S. Agostino, In Johannem, 44,6, PL 35,1716
(30) Gv 9,5
(31) “In lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non
l’hanno accolta “ (Gv 1,4-5) e “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo… a quanti
l’hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da
volere di uomo, ma da Dio sono stati generati” (1,9-13
(32) “Il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce,
perché le loro opere erano malvagie. Chiunque fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano
svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere
vengono da Dio (Gv 3,19-21).
“Io sono la luce del mondo; chi segue me non sarà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12).
“Chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in
me non rimanga nelle tenebre. Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno…
perché sono venuto a salvare il mondo. Chi mi respinge e non accoglie le mie parole… la parola lo
condannerà nell’ultimo giorno” (Gv 12, 45-48).
“È un comandamento nuovo quello di cui vi scrivo, il che è vero in lui e in voi, perché le tenebre si stanno
diradando e la vera luce già risplende. Chi dice di essere nella luce e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre.
Chi ama suo fratello, dimora nella luce e non v’è in lui occasione d’inciampo. Ma chi odia suo fratello è
nelle tenebre, e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi” (1Gv 2,8-11).
(33) cfr. R. Schnackenburg, op.cit., II, p. 423-424
(34) “Lampada ai miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino” (Sal 118,115); “Il tuo insegnamento è
una luce” (Pro. 6,23); “Erano degni di essere privati della luce e di essere imprigionati nelle tenebre quelli
che avevano tenuto in carcere i tuoi figli, per mezzo dei quali la luce incorruttibile della legge doveva essere
concessa al mondo” (Sap 18,4)
(35) “…finché non sorga come stella la sua (di Gerusalemme) giustizia e la sua salvezza non risplenda come
lampada” (Is 62,1)
(36) “La luce di Israele diventerà un fuoco, il suo santuario una fiamma” (Is 10,17)
Ma per l’ebraismo, luce è soprattutto Dio(37), il suo essere e quindi la sua vita comunicata e
partecipata agli uomini, a coloro che credono in lui e accettano, vivono e compiono la sua
alleanza. Questi richiami all’antico testamento permettono di sostenere che:
* Gesù, applicando a sé l’affermazione “Io sono luce del mondo”, rivela la sua divinità, il suo
essere da Dio e con Dio, la sua origine e il suo mandato. Egli trasmette l’essenza della vita divina
(la luce) e la comunica –illuminazione- a coloro che, credendo in lui, ricevono la vita eterna, la
vita divina(38).
* è ingiustificato il richiamo a testi gnostici per spiegare la pericope giovannea(39). Già il Servo di
Javhé è chiamato “luce della nazioni o dei popoli”(40) e anche Enoc etiopico gli attribuisce gli
stessi concetti. Quindi l’attributo è ben fondato nella tradizione vetero-testamentaria con
significato dissimile da quello gnostico. La vita e salvezza portata da Cristo è rivolta a tutti i
popoli, e non solo a pochi eletti, che si salvano a partire da un’azione dal basso e non per il dono
di Dio.
3. Il segno
Il racconto del semeion è scarno, conciso e tuttavia ricco di spunti e di agganci. Sembra,
comunque, potersi escludere il legame con le guarigioni nei sinottici(41). Sembra anche potersi
escludere –in Giovanni- l’attenzione a mezzi di cura popolari e tantomeno magici(42).
Il gesto di Gesù di sputare per terra, fare un po’ di fango e spalmarlo sugli occhi del cieco è letto
dalla tradizione cristiana(43) come riferimento esplicito alla creazione del primo uomo(44). “Per
Gesù questo gesto simbolico che richiama la creazione dell’uomo ha un suo significato specifico: è la
formazione dell’uomo
(37) “Il Signore è mia luce e mia salvezza” (sal 27,1); “Alzati, rivestiti di luce, perché viene a te la tua luce,
la gloria del Signore brilla su di te… cammineranno i popoli alla tua luce, al tuo sorgere” (Is 60,1); “Il sole
non sarà più la tua luce di giorno, né ti illuminerà più il chiarore di luna, ma il Signore sarà per te luce eterna,
il tuo Dio sarà il tuo splendore” (Is 60,19); “Se io (Sion) siedo nelle tenebre, il Signore sarà la mia luce” (Mi
7,8)
(38) “Il Logos è il trasmettitore di tutto ciò che da pienezza e significato alla particolare esistenza degli
uomini: la vita e la luce. I due concetti sono strettamente legati tra loro; ma di essi, quello della vita, è il
principale e quello della luce lo qualifica, mettendo quella vita per gli uomini sotto un aspetto particolare: la
vita che era nel Logos significa per gli uomini la luce… nel libro della Sapienza, parlando della sapienza
come luce, viene detto che la potenza ri-creatrice della sapienza dona agli uomini la vita spirituale. Anche il
Logos (nel prologo giovanneo) deve colmare gli uomini della sua vita propria, spirituale e divina, che li
distingue da tutta l’altra creazione; una vita che consiste nella conoscenza della loro natura simile a Dio,
quanto nella beatitudine della loro alleanza con Dio e nella santità della loro condotta… Il Logos diventa per
gli uomini fonte di vita e dispensatore della luce divina” cfr. R. Schnackenburg, op.cit., I, p. 304-305)
(39) “Il modo in cui il redentore gnostico libera dalle tenebre e porta nella luce è tutt’altra cosa che il
seguirlo nella fede, come chiede Gesù” (cfr. R. Schnackenburg, op.cit., II, p. 324)
(40) “Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano; ti ho formato e stabilito come
alleanza del popolo e luce delle nazioni perché tu apra gli occhi ai ciechi” (Is 42,6); “”è troppo poco che tu
sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti di Israele. Ma io ti renderò luce per
le nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra” (Is 49,6); “Ascoltatemi attenti, o
popoli… perché da me uscirà la legge, il mio diritto sarà luce per i popoli” (Is 51,4)
41) Il vangelo di Marco riporta due guarigioni di ciechi: il cieco di Betsaida (8,22-26), per il quale Cristo usa
la saliva; e il cieco Bartimeo ((10,46-52) che chiama Cristo “Rabbunì”. I pochi elementi in comune (saliva)
non colmano le notevoli differenze. Che esistono anche in altri racconti di guarigioni di Marco come la
guarigione del sordomuto nella Decapoli (7,31-37), in cui Cristo usa ancora la saliva.
(42) L’uso della saliva, considerata un medicinale popolare, poteva esporre Gesù all’accusa di usare mezzi
magici. Notoria la forte condanna della magia della “legge di santità”: “Non praticherete alcuna sorta di
divinazione o di magia… non vi rivolgete ai negromanti né agli indovini; non li consultate per non
contaminarvi in mezzo a loro. Io sono il Signore” (Lev 19,26.31) “[Chi fa queste cose è in abomino al
Signore” (cfr Deut 18,10-12)
(43) Per Ireneo (Adversus haereses, 5,15,2) ‘l’uomo ricevette da Gesù occhi nuovi’. Una ri-creazione della
vista, come immagine della creazione di un nuovo uomo?
(44) “Allora il Signore plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo
divenne un essere vivente” (Gn 2,7); “Ma tu, Signore, sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci da
forma, tutti noi siamo opera delle tue mani” (Is 64,7); “ Dio non si fida di coloro che hanno fondamento nella
polvere” (cfr. Gb 4,19); “Ricordati che come argilla mi hai plasmato e in polvere mi farai tornare” (Gb 10,9)
nuovo formato di fango (carne) e di saliva (lo spirito di Gesù). Gesù pone sul volto del cieco, cioè sulla sua
realtà di tenebra che egli è venuto a fugare, il nuovo essere nello spirito; ne unge gli occhi invitando l’uomo
ad essere tale, stimolandolo dall’interno e offrendogli una speranza. La realizzazione di questo progetto
d’amore è posta però nelle mani dell’uomo”(45).
Per sottolineare ancora che il gesto di Gesù non è magico, Giovanni mette in bocca a Gesù
l’antico invito di Eliseo a Naaman il Siro(46). Come per Naaman, la guarigione del cieco avviene
solo dopo l’accettazione dell’invito-mandato di Cristo e il suo compimento: “Andò, dunque, e si
lavò e tornò che era sanato”(47).
È la fede del cieco nella parola di Gesù –l’inviato del Padre- che lo salva, non il lavacro nell’acqua. Qualche commentatore esclude una possibile lettura cultuale (battesimale) del gesto, altri
la accettano(48). Ma pur limitandosi a leggervi solo la continuità del criterio di Giovanni di scorgere negli eventi il loro contenuto cristologico, l’approfondimento sul termine “piscina di
Siloe”(49) permette forse anche una lettura cultuale. Il termine Siloe deriva dall’ebraico
“hassiloah”, le acque nominate in Isaia(50); “il termine –trascritto dai LXX come “Siloam” ha
originariamente un significato attivo: “l’inviare” (cioè la conduttura) ma può avere anche un significato
passivo “inviato” (cioè l’acqua)… la lettura cristologica del vangelo ha un’anticipazione nella benedizione di
Giacobbe”(51). Giovanni applica certamente a Gesù questo termine, che in genesi è annunciatore
del re inviato (David). Per cui il cieco si lava nella piscina del messia, “l’Inviato”.
Soffermiamoci qualche momento sul termine “inviato”. È già presente nella disputa del capitolo
8 tra Cristo e i giudei, quando Cristo dice di sé di essere ‘mandato’ da Dio. Questo termine
costituisce uno dei punti di forza della sua rivelazione come Figlio -è il Padre che lo manda(52)inviato a compiere la volontà del Padre che tutti gli uomini si salvino e abbiano la vita eterna.
Cristo lo usa anche in contrapposizione ai giudei, che non sono inviati da Dio e che hanno come
padre il diavolo. L’attributo inviato è ben testimoniato nell’antico testamento(53) per il Messia;
sembra quindi possibile escludere con certezza una lettura gnostica applicata a Cristo del
termine, lettura sostenuta da Filone, che la applica al Logos(54). Cristo si rivela come il messia
atteso e preannunciato da Giacobbe, nella profezia genesiaca sul re David. Ora in Giovanni la(45) G. Zevini, op.cit. p. 290-291
(46) “Va’ e lavati sette volte nel Giordano: la tua carne tornerà sana e tu sarai guarito” (2 Re 4,10)
(47) cfr. Gv 5,7
(48) Schackenburg è contrario, Zevini e altri favorevoli.
(49) I ruderi dell’impianto delle terme di Siloe sono del tempo di Adriano. Ma una notizia del rotolo di
Qumram (3 Q 15) attesta l’esistenza della piscina di Siloe, che raccoglieva le acque della sorgente Gihon,
alimentata da un acquedotto sotterraneo (cfr. . R. Schnackenburg, op.cit., II, p. 411)
(50) “Poiché questo popolo ha rigettato le acque di Siloe, che scorrono piano…” (Is 8,6). “Sallum restaurò la
porta della fonte (Siloe)… fece inoltre il muro della piscina di Siloe presso il giardino del re, fino alla
scalinata per cui si scende dalla città di David” (Ne 3,15)
(51) cfr. Gen 49,10b “Non sarà tolto lo scettro a Giuda… finché verrà colui al quale esso appartiene” (cfr.:
R. Schnackenburg, op.cit., II, p. 412)
(52) “Se vostro padre fosse Dio, mi amereste, perché sono uscito da Dio e vengo da Dio. Non sono venuto da
me stesso, ma lui mi ha mandato” (Gv 8,42)
(53) “Lo spirito del Signore è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a
portare il lieto annunzio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi,
la liberazione ai prigionieri, a promulgare un anno di misericordia del Signore…” (Is 61,1ss). La citazione è
ripresa quasi integralmente da Lc 4,18-19, nell’auto-presentazione di Cristo come messia nella sinagoga di
Nazareth. Anche nel secondo canto del servo sofferente è presente il tema del mandato: “Ho posto il mio
spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni” (Is 42,1)
(54) “Il Logos, che sta tra Dio e il mondo, comunica alle creature spirituali la luce di cui hanno bisogno per
la vita spirituale… Il Logos non è solo l’archetipo della ragione umana, che è stata creata a sua immagine e,
attraverso lui, è simile a Dio: Egli abita nello spirito umano e diventa divino maestro dell’anima”.
Con lo stesso tipo di concetti Filone descrive l’esperienza religiosa dell’uomo, che riceve l’illuminazione da
Dio per la sua salvezza. Nella gnosi ad assolvere questa funzione –di illuminazione per la salvezzainterviene l’inviato, cioè la stessa gnosi personificata. Per ogni gnosi la salvezza avviene attraverso
l’illuminazione; non è una realtà rivelata e compiuta direttamente da Dio (. R. Schnackenburg, op.cit., I, p.
307).
varsi nella fonte d’acqua di Cristo, preannuncia il lavacro sacramentale nell’acqua che sgorga
dal suo costato(55).
Un altro appoggio ad una lettura battesimale del lavacro del cieco è dato dal significato del termine greco, utilizzato da Giovanni, per piscina: “kolumbrezan”, che può essere tradotto letteralmente con “vasca ove si tuffa la colomba o il colimbo”, ed è usato dalla antica letteratura
liturgica per “fonte battesimale”. Si può affermare che la tradizione antica ha assunto il
termine giovanneo per indicare il fonte sacramentale, in forza di una comprensione di questo
testo come battesimale(56).
Il segno sdoppiato di Giovanni spiega anche molto bene l’operare dei sacramenti: essi sono
attuati dallo Spirito di Cristo, che rende possibile la loro opera in noi; ma perché questa opera si
compia concretamente nella vita di ciascuno è necessaria l’adesione e l’accoglienza di chi riceve
il sacramento. Solo la fede e l’impegno concreto del credente lascia spazio all’attuarsi
dell’opera dello Spirito.
II. Le reazioni al segno di Cristo
La parte centrale del racconto di Giovanni è rappresentata da una serie di confronti prima tra la
gente, poi tra i farisei e il cieco, tra i farisei e i genitori del cieco, e ancora tra i farisei e il
cieco, con l’allontanamento finale del cieco dalla sinagoga. Il racconto, vivace e colorito,
mantiene al centro l’accertamento della guarigione compiuta da Gesù –che in questa parte del
brano non compare mai- e la testimonianza del cieco su Gesù. Le due coordinate lungo cui si
muove il brano sono: la crescente illuminazione del guarito e l’aggravarsi della cecità dei
farisei. Molte tematiche dell’intera pericope sono anticipate nel capitolo 8.
1. Reazione dei presenti e primo interrogatorio del guarito
La prima reazione degli astanti è abbastanza tradizionale. Essi si pongono una serie di domande:
“Il risanato è lo stesso uomo che prima era cieco? (identità); come è avvenuta la guarigione? (modo); è
questa una testimonianza che Gesù proviene da Dio? (conseguenza teologica)”(57).
Si possono sottolineare alcuni tratti che si ripeteranno nel racconto:
* innanzitutto la testimonianza sempre efficace, puntuale e mai contraddittoria del guarito.
Nella sua testimonianza si possono trovare tracce di quella “parrhesia”, di cui parlano gli Atti(58),
che qualifica l’annuncio e la predicazione cristiana dei primi discepoli. Il termine intraducibile
nella sua pienezza in italiano vuol rendere il senso dell’aiuto dello Spirito ai discepoli perseguitati, che potranno così rendere vera testimonianza a Cristo(59). L’uomo comincia a comportarsi
da discepolo!
* il miracolo è grande e provoca sconcerto; ogni miracolo esteriore –anche oggi- provoca
scetticismo e diversità di opinioni. L’incertezza della gente si ripete anche nei dotti farisei.
L’evangelista vuol mettere in evidenza come la rivelazione spirituale –a uomini non aperti al
riconoscimento delle opere di Dio- sia impossibile.
*lo stabilire l’identità del cieco, determina la storicità dell’evento.
Da notare che i vicini fanno due domande che continueranno a ripetersi:
* chi ti ha aperto gli occhi?
* dove è Gesù? Da dove viene?
L’azione di aprire gli occhi da parte di Dio e di Cristo è testimoniata ampiamente nella bibbia(60).
Due testi in particolare i dicono che il potere è divino o legato alla divinità: la tentazione del
(55) Gv 19,34
(56) vedi anche il racconto della guarigione del paralitico in Gv 5, nella piscina di Betesda, resa miracolosa
da “un angelo che muove le acque” (Gv 5,7)
(57) . R. Schnackenburg, op.cit., II, p. 416
(58) At 4,31: “proclamavano la parola di Dio con pieno coraggio”
(59) cfr. Lc 21,13-16: “Allora avrete occasione di rendere testimonianza. Sia ben chiaro che non dovete
preparare in anticipo la vostra difesa; io stesso vi darò linguaggio e sapienza, cui nessun avversario potrà
resistere e controbattere. Sarete consegnati anche dai vostri genitori…”. Cfr. anche Mc 13,9 e Mt 24,9
(60) “Eliseo disse: Signore, apri i loro occhi; essi vedano!” (2 Re 6,17); “Aprimi gli occhi perché io veda le
meraviglie della tua legge” (sal 119,17); “Egli viene a salvarvi. Allora si apriranno gli occhi ai ciechi” (Is
35,5); “Credete voi che io possa fare questo?. Risposero: Si, Signore!. allora gli si aprirono gli occhi” (Mt
9,30)
serpente ad Adamo ed Eva(61) e il racconto lucano di Emmaus(62).
I testi hanno vari punti in comune:
il gesto scatenante è un pasto:
* da una parte il “mangiare dell’albero che sta in mezzo al giardino”(63). L’albero in questione
viene identificato in Gen 2,9 con l’albero della vita cui sta accanto l’albero della conoscenza dl
bene e del male, ma il divieto di mangiare riguarda quest’ultimo(64). Questo cibo –mangiato per
avidità di possesso, di essere e di conoscenza o estetica (l’albero è dichiarato tov=bello-buono
da Eva(65))- nasce dal desiderio egoista di possedere le cose e porta ad una falsa conoscenza di
Dio, a farsi un Dio con le proprie mani , pertanto a “essere” Dio.
* In Luca, il mangiare è rappresentato dalla fractio panis e dalla condivisone eucaristica. Anche
qui ci si ciba, ma gratuitamente e come dono di un Dio, che dona se stesso e la propria vita
perché gli altri abbiano la sua vita e l’abbiano in abbondanza(66). Un dono ricevuto e condiviso;
non una usurpazione nei confronti di Dio, il tentativo di spodestarlo.
alla base dei due atteggiamenti (di Eva e dei discepoli) c’è da una parte il desiderio di
libertà e di auto-realizzazione, dall’altra l’accettazione della fede e dell’obbedienza al piano di
Dio.
Si aprirono gli occhi: ad ambedue i protagonisti si aprono gli occhi, questa realtà di visione –
conoscenza del divino e quindi di partecipazione alla vita-essenza divina. Ma in Eva (e poi in
Adamo che la segue) l’apertura degli occhi rivela la loro realtà umana –non più ad immagine di
Dio- ma deformata attraverso la visione istillata in loro dal serpente e rafforzata dalla
concupiscenza. Pertanto non vedranno Dio così come egli è, ma solo l’immagine deformata di
Dio e di se stessi, pensata e data loro dal diavolo. I discepoli invece e il cieco guarito in Cristo
vedono il Padre, che solo il Figlio può rivelare(67), e vedono quell’immagine divina nell’uomo, il
cui rinnovamento nella fede battesimale, è inizio della nuova vita e della sequela di Cristo.
L’altra domanda –che ritma tutto il brano, come anche il capitolo 8- dimostra due cose:
irriducibilità e irreversibilità dell’incredulità dei farisei, che non vogliono “vedere e
comprendere” azioni e persona del Cristo, non vogliono accettare la sua provenienza da Dio e il
suo essere Dio. Lungo tutto il dialogo che segue, questa incredulità cresce e si indurisce;
giungerà alla pienezza nel capitolo 12 e poi sotto la croce.
L’ex-cieco nato invece comincia qui il suo cammino di illuminazione: “il suo non so vuol dire quanto
Gesù sia ancora lontano da lui; egli deve fare ancora tanta strada prima di giungere alla fede totale in Gesù.
Ma egli la compie contro l’opposizione dell’incredulità, finché sarà lo stesso Gesù a fargli compiere l’ultimo
passo”(68).
2. La trasgressione del sabato
I farisei –cui i conoscenti conducono il guarito- introducono l’elemento di discussione che
dovrebbe supportare il loro rifiuto di credere a Gesù come Messia e come Figlio di Dio. Sono i
rappresentanti di una religione legalistica, che si arrogano di rappresentare e di cui garantiscono
l’ortodossia. Giovanni solo al v. 9,14 introduce la nota “era sabato il giorno in cui impastò il fango è
gli aprì gli occhi”(69). La nota è voluta per sottolineare non solo l’incredulità degli oppositori, ma
anche
(61) “Non morirete, anzi Dio sa che quando voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e diventereste
come Dio, conoscendo il bene e il male” (Gen 3,5)
(62) “… spezzò il pane e lo diede loro. Allora si aprirono gli occhi e lo riconobbero” (Lc 24,20-21)
((63) “Dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare né toccare, altrimenti
morirete” (Gen 3,5)
(64) “Di tutti gli alberi che sono nel giardino potete mangiare, ma dell’albero della conoscenza del bene e del
male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti” (Gen 1,17)
(65) “La donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquietare
saggezza” (Gen 3,6)
(66) causale della missione del buon pastore: “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in
abbondanza” (Gv 10,10)
67) “Chi vede me, vede colui che mi ha mandato” (Gv 12,45). Al termine dell’ultima disputa con i farisei,
increduli e ciechi (Giovanni cita integralmente Is 6,10: “Ho accecato i loro occhi e incallito (reso duro) il
loro cuore, affinché con gli occhi non vedano e col cuore non comprendano e così non si convertano e io
non li guarisca”), Gesù invita a “contemplare e meditare-investigare” su di lui, unica possibilità di accedere
alla visione del volto del Padre, e quindi di partecipare alla vita divina, perché vedere Dio è partecipare della
sua essenza, della sua vita.
(68) R. Schnackenburg, op.cit., II, p. 418
(69) (impastare) era uno dei 39 lavori esplicitamente proibiti in giorno di sabato (R. Schnackenburg, op.cit.,
II, p. 410)
per evidenziare il dibattito teologico tra i farisei sulla trasgressione di Gesù, che lo pone in
situazione ambigua: peccatore perché trasgressore del sabato o uomo di Dio perché grande
operatore di prodigi?(70). Vedremo che finirà per prevalere –come spesso anche oggi- il giudizio
legalistico sui semeia(71) e che l’opposizione interna –fatta di uomini disposti anche a “vedere”viene tacitata attraverso minacce di esclusione dal gruppo e dalla sinagoga. Contro la “Torah
scritta nel cuore” che esprime la hesed (amore fedele) e i rachamin (misericordia, la rigenerazione amorosa che nasce dalla viscere), negli uomini religiosi, chiusi nello stretto orizzonte
della legalità, finirà per prevalere il rispetto esteriore di una norma, piuttosto che l’amore vero
verso Dio e verso l’uomo, realtà unica e inseparabile.
Il brano si chiude con il primo tentativo di comprensione della figura di Gesù da parte del
guarito: è un profeta. Popolarmente la figura del profeta –simboleggiata nella tradizione ebraica
dal grande e potente Elia- identifica un uomo vicino a Dio, con speciale sapere e forza
eccezionale.
3. Convocazione dei genitori e secondo interrogatorio del guarito
La durezza di cuore dei farisei li impantana in una serie di confronti, che alla fine rivelerà solo la
loro insormontabile cecità e durezza di cuore(72). Il confronto con i genitori, stabilendo l’identità
del guarito e certificando la sua malattia, toglie ulteriori motivi alla disputa ed espone direttamente i farisei che non ottengono da loro alcuna dichiarazione su Cristo.
Importante qui la nota di Giovanni sulla decisione dei farisei di espellere dalla sinagoga “coloro
che professavano che Cristo era il messia”(73). La minaccia era notevole ai tempi di Gesù, tanto che
Giovanni la riprende in 12,42, per evidenziare che perfino alcuni capi del sinedrio credevano in
Gesù, ma non lo confessavano per non essere espulsi dalla sinagoga. Probabilmente Giovanni
riporta questa nota spinto dalla situazione contemporanea alla stesura del suo vangelo, quando
nel concilio di Jamnia (circa 90 d.C.), Gamaliele II fece introdurre norme severe per la
separazione tra giudei e nazareni e aggiunse alla “preghiera delle diciotto benedizioni” la
maledizione contro gli eretici: “Siano distrutti in un istante i nazareni e gli eretici (minim) e siano
cancellati dal libro della vita e il loro nome non compaia tra i giusti”(74). Il timore di una esclusione, con
pesanti conseguenze sociali e personali, trattiene i genitori del guarito, come trattiene molti
oggi dall’uscire da situazioni settarie. La chiesa primitiva sentiva questa rottura come
dichiarazione di ostilità ufficiale tra le due confessioni.
Nella rinnovata disputa tra farisei e guarito, che conclude la pericope centrale, è interessante
soprattutto –di fronte all’immobilismo superbo delle parole dei farisei, certi della loro sapienza
e vista- lo sviluppo della conoscenza di Cristo da parte del risanato.
Anch’egli comincia a usare il verbo orao (vedere-conoscere) per parlare di Cristo e dell’evento
che lo ha visto coinvolto. Oppone al richiamo alla discepolanza di Mosè, fatto dai farisei, una
serie di considerazioni che lo portano a affermazioni impegnative nei confronti di Gesù:
• non è un peccatore perché le sue opere sono quelle di Dio;
•
•
•
voi che vi dite sapienti e discepoli del profeta per eccellenza di Israele, come fate a non
riconoscere che egli è da Dio?
“Perché Dio non ascolta i peccatori”, ma ascolta: “se uno è timorato di Dio (Zeosebes) e fa’ la
volontà di Dio;
questi viene sicuramente da Dio e fa le opere di Dio”(75).
(70) R. Schnackenburg, op.cit., II, p. 416
(71) Allude Giovanni ai vari segni-miracoli, di cui erano a conoscenza i farisei e che tentavano di
minimizzare per non ammettere l’origine divina di Cristo?
(72) La sclerocardia è il grande peccato di Israele dai tempi dell’Esodo, rimproverato sia da Dio sia dai
profeti (cfr.: sal 81,13: Il mio popolo non ha ascoltato la mia voce, Israele non mi ha obbedito. L’ho
abbandonato alla durezza del suo cuore, che seguisse il proprio consiglio”; Ez 36,26-27: toglierò da voi il
cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Metterò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei
statuti e mettere in pratica le mie leggi”)
(73) Gv 9,22. Il verbo omologheo ha tra i suoi significati quelli: di confessare, testimoniare, essere
d’accordo. Pertanto venivano scacciati dalla sinagoga (aposunagogos) i veri credenti.
(74) cfr. R. Schnackenburg, op.cit., II, p. 423; cfr. G. Zevini, op. cit.; p. 298. La maledizione contro i
cristiani è stata recentemente modificata da alcune sinagoghe moderne.
(75) cfr. Gv 9,25b; 9,29-30; 9,31; 9,33
Nelle risposte del cieco è sintetizzata tutta la teologia dei cap. 8 e 9 di Giovanni. Con una
accentuazione tipica di Giovanni: questo uomo timorato di Dio (quindi giusto) “fa la volontà del
Padre suo”(76). E la volontà di suo Padre è che tutti gli uomini si salvino, partecipino della vita di Dio,
della vita eterna(77). L’affermazione del cieco guarito su Gesù è tipica del giudaismo “colui che fa la
volontà di Dio e prega con vera serietà, sarà esaudito in questo mondo quanto in quello futuro”(78) ed è
confluita nel cristianesimo(79). Per la sua obbedienza alla volontà del Padre, Cristo diviene causa
di salvezza per tutti gli uomini che gli obbediscono, credono in lui. È presente in questo testo il
tema dell’obbedienza di Cristo, vera causa e strumento di salvezza per tutti gli uomini.
L’illuminazione-salvezza del cieco non è tanto fisica, quanto spirituale ed è offerta a tutti gli
uomini. Tutti siamo chiamati a questo progressivo riconoscimento di Cristo, come luce e
salvezza per ognuno. È un percorso di affinamento della fede, che troverà il suo compimento
nella rivelazione personale di Cristo e nell’adesione personale piena richiesta a ciascuno.
Alla fine il cieco, guarito e sulla via dell’illuminazione e del discepolato, viene “cacciato fuori”(.
Il termine indica esclusione piena dalla comunità, in questo caso quella giudaica. Ma qui, al
contrario che in altri testi, non nelle tenebre(80), ma nella luce(81). Le tenebre rimangono
all’interno della comunità(82), che rifiuta la rivelazione e il cammino di illuminazione vera.
4. La fede del risanato e l’accecamento dei Farisei
La breve pericope conclusiva vede la ricomparsa di Gesù sulla scena. È lui che compie la
pienezza dell’illuminazione del cieco e giudica/rende palese (dal verbo krino: distinguo, separo,
giudico, discrimino) l’incredulità e le tenebre da cui sono posseduti i farisei(83).
La tappa finale inizia con una domanda diretta, personale ed esplicita di Gesù: “Tu credi nel
Figlio dell’Uomo?”(84). La fede non è un fatto delegabile; Gesù pone l’uomo di fronte alla scelta
tra lui o la paura delle autorità ebraiche e della scomunica da queste pronunciate nei suoi
confronti con tutto il peso di disprezzo e di difficoltà sociali che questa provoca.
Gesù si presenta come “Figlio dell’uomo”. L’idea è giovannea, e trova espressione piena in Gv
12,31-36, dove sono presente le due coordinate principali: il Figlio dell’uomo -con la sua
esaltazione- è venuto a giudicare il mondo(85) e ad “attrarre tutti a sé”(86).
Il trapasso alla professione di fede e all’adorazione di Gesù, riconosciuto come Dio, è dato dalla
vista(87) rinnovata dell’uomo, che ha fatto esperienza di Gesù già prima, e ora questa esperienza
si personalizza e diventa fondante per la vita del cieco risanato. E l’uomo esprime la propria
fede con il gesto dell’adorazione (proskinesis), che vuol indicare “che al portatore della salvezza
mandato da Dio viene resa ed è dovuta la venerazione, con cui si è onorato e adorato Dio stesso. Qui si
manifesta la progressione dell’uomo dalla fede giudaica a quella cristiana”(88).
(76) “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato” (Gv 4,34)
(77) “Dio ha tanto amato il mondo da mandare suo Figlio, perché chiunque creda in lui non muoia, ma abbia
la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo perché il mondo si salvi per mezzo di Lui (Gv 3,1617)
(78) cfr. Beracha 6,b
(79) “Proprio [essendo generato da Dio e costituito sacerdote al modo di Melchisek] egli offrì nei giorni della
sua vita terrena preghiere e lacrime con forte suppliche e fu esaudito per la sua pietà; pur essendo Figlio,
imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza per coloro che gli
obbediscono” (cfr.: Eb 5,5-9)
(80) “Il commensale al banchetto del regno, privo di veste nuziale, viene cacciato nelle tenebre (cfr. Mt
22,13)
(81) “Voi siete figli della luce e figli del giorno” (1Ts 5,5). Il tema delle tenebre è anche nella gnosi, ma con
sostanziali diversità.
(82) “i figli del regno (gli ebrei) saranno cacciati nelle tenebre ove sarà pianto e stridore di denti” (Mt 8,12)
(83) Chi non crede è stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’Unigenito Figlio di Dio E il
giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre, perché le loro opere
erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le loro
opere” (Gv 3,19-20).
(84) Gv 9,36
(85) Gv 12,31: “Ora [nella glorificazione di Cristo sulla croce] è il giudizio di questo mondo”.
(86) Gv 12,32: “E io, quando sarò innalzato da terra sulla croce], attirerò tutti a me”. La croce è il luogo, su
cui Cristo realizzerà la salvezza dell’uomo, intesa come innalzamento – glorificazione del l’uomo in Dio.
(87) Giovanni usa qui il verbo orao, con i significati di visione e conoscenza già espressi.
(88) R. Schnackenburg, op.cit., II, p. 431
Segue il giudizio (krisis) durissimo sui farisei: “Sono venuto al mondo perché coloro che non vedono,
vedano e coloro che vedono, diventino ciechi”(89). La guarigione del cieco indica il ricupero pieno
della vista fisica(90) e di quella spirituale, mentre coloro che presumono di vedere, sono diventati
ciechi; hanno perso la capacità di percepire le realtà divine e spirituali. “Il vedere è la fede, che
porta nella sfera della luce di Dio; l’essere ciechi è l’incredulità, che diventa accecamento e abbandono al
potere delle tenebre”(91).
E Gesù porta ulteriore condanna: i ciechi sono tali per loro peccato. I farisei –maestri di dottrina
e della Torah- possono vedere, possono capire il messaggio di Gesù. La loro incomprensione
nasce da peccato, da cattiva volontà. La loro cecità è “interiore chiusura dell’uomo la rivelazione di
Dio, per presunzione umana ed errata valutazione di sé. La ricerca del proprio onore –che prende a pretesto
l’onore di Dio- è il vero motivo della chiusura e della cecità. Il peccato dei farisei … è rifiuto, immotivato e
senza alcuna comprensione, dell’Inviato di Dio e odio per lui e per chi lo confessa: questo è, in Giovanni
(8,21; 15,22-24; 16,9; 19,11) il peccato per antonomasia. E non lasciandosi scuotere neanche dalla
testimonianza del risanato il loro peccato rimane”(92). Il termine rimanere (greco: meneiv) è
importante in Giovanni: qualifica e dice lo stare del discepolo in Cristo e del portare frutto unito
a lui(93). Il rimanere in Cristo è la possibilità che i discepoli siano una cosa sola con Dio: “E la,
gloria che hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me,
perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato
me”(94).
Il rimanere nel peccato è la proterva e irriducibile aspirazione dell’uomo di costruirsi una vita a
prescindere da Dio, in nome della libertà, dell’autonomia e dell’autocrazia sulle cose, sugli
esseri viventi, su Dio. La storia dell’esperienza religiosa dell’umanità con il Padre di Gesù Cristo
insegna quanto grande sia questa illusione, e quanta schiavitù e dolore soffrano coloro che si
allontanano da Dio e cadono preda –come Eva nel giardino- delle sottili e astute arti di colui che
si proclama “signore dei doni e della conoscenza”.
III. Conclusione
Il racconto del cieco nato è stato ben presto assunto dalla chiesa antica nella prassi catecumenale e precedeva la “redditio symboli” da parte dei catecumeni. Già Giustino(95), nel II secolo,
te-stimoniava che il lavacro del battesimo era chiamato illuminazione (photismos) e che anche
lo spalmare (in greco: epichriein, la cui radice è collegata con crisma) richiama l’unzione e il
dono dello Spirito. Ciò che colpisce è che- avvicinandosi la sua morte- Gesù –a rischio della vitaaccresce il suo desiderio di dare vita. E “l’opera in favore dell’uomo e della vita, sempre” –
opera che ha fondamento nell’attività e nell’essere stesso di Dio- prevale su tutte le leggi dl
mondo, anche quelle religiose.
Vi lascio con una riflessione di D. Mollat, citato da Zevini(96):
“La storia di questo infermo proietta un bagliore crudo sul cammino di fede nelle profondità dl cuore umano,
sugli ostacoli che esso vi incontra e sulle lotte che sostiene contro la potenza delle tenebre. Poiché l’uomo è
insieme luce e tenebra, egli porta con sé il potere di accecarsi: di fabbricarsi delle buone ragioni per non
vedere, di crearsi false evidenze, di rifiutarsi di aprire gli occhi dicendo che “vede”. Ma la luce è esigente,
costringe a vedere tante cose,a rinunciare a tante abitudini, a rompere talvolta con tutto un ambiente, lo
sguardo dell’uomo ne è turbato; egli deve ritrovarne la purezza. La scena del cieco nato –che spiega questoè la traduzione drammatica della parola di Gesù: “Lume del corpo è l’occhio; se il tuo occhio è chiaro, tutto
il tuo corpo sarà nella luce; ma se è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è
tenebra. Quanto grande sarà quella tenebra!”. L’uomo, nato cieco, espulso dalla comunità ebraica come
peccatore, ha trovato in Gesù la nuova comunità messianica, il luogo del vero culto e il nuovo tempio in cui
“adorare Dio in spirito e verità, perché il Padre vuole tali adoratori” (Gv 4,23).
Siate luce, il vostro cuore sia luce e allora vedrete la luce, vedrete Dio!
(89) Gv 9,39
(90) Giovanni usa il verbo blepein, che indica innanzitutto la vista fisica, ma il senso del brano è esplicito: il
cieco acquista soprattutto la vista spirituale.
(91) R. Schnackenburg, op.cit., II, p. 432
(92) R. Schnackenburg, op.cit., II, p. 434
(93) cfr. Gv 15,1ss: Rimanete in me e io in voi…
(94) Gv 17,22-23
(95) cfr. Apologia, I, 61 [citata da R. Brown, Giovanni, p. 499]
(96) G. Zevini, op. cit., p.304-305
preghiera allo Spirito
Signore, noi ti ringraziamo,
perché ci hai riuniti alla tua presenza,
per farci ascoltare la tua Parola:
in essa tu ci riveli il tuo amore
e ci fai conoscere la tua volontà
Fa’ tacere in noi ogni altra voce che non sia la tua,
e perché non troviamo condanna nella tua Parola,
letta ma non accolta, meditata ma non amata,
pregata ma non custodita, contemplata ma non realizzata,
manda il tuo Spirito Santo
ad aprire i nostri occhi e a guarire i nostri cuori.
Solo così il nostro incontro con la tua Parola
sarà rinnovamento dell’alleanza,
e comunione con Te e il Figlio e lo Spirito Santo,
Dio benedetto nei secoli dei secoli.
Amen