Titolo del Progetto Introduzione in coltura di piante

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Titolo del Progetto Introduzione in coltura di piante
Titolo del Progetto
Introduzione in coltura di piante alimurgiche della tradizione popolare calabrese.
WP3
Screening fitochimico e biologico per l’estrazione, identificazione e quantificazione di
composti per health–food.
Relazione tecnica
Obiettivi
 Determinazione dei caratteri distintivi di biodiversità genetica espressi come variabilità
fitochimica a livello infraspecifico;
 Determinazione quali-quantitativa dei markers fitochimici nelle popolazioni spontanee
oggetto del progetto;
 Determinazione delle variazioni percentuali dei markers fitochimici nelle piante poste in
coltura rispetto alle popolazioni spontanee;
 Individuazione degli aspetti tossicologici degli estratti o principi attivi delle piante destinate
all’uso alimentare;
 Valutazione della componente non nutrizionale delle specie vegetali oggetto di studio e
creazione di una chemical library di estratti e di composti isolati di utilizzo in ambito
nutraceutico, cosmetologico e farmacologico;
 Determinazione delle attività biologiche fruibili in ambito nutraceutico (attività
antiossidante, inibizione degli enzimi amilasi e delle lipasi ecc);
Il piano di ricerca industriale del presente progetto è finalizzato alla definizione delle caratteristiche
botaniche e fitochimiche delle specie scelte come oggetto di studio, al fine di proporle come
elemento di multifunzionalità di aziende agricole ed olivicole, e per l’individuazione di nuove
tipologie di prodotti ortofrutticoli in grado di essere distribuiti sul mercato. In questo contesto si
vuole tenere conto, non solo delle potenzialità alimentari delle specie scelte come oggetto di studio,
ma anche degli aspetti salutistici e nutraceutici.
Il progetto, infatti, prevede a latere anche la raccolta e l’organizzazione dei saperi collegati a dette
piante (tradizioni, ricette…) da eseguire in gran parte con un approccio etnobotanico. Questi dati
saranno visti come elementi essenziali sia per la conservazione “storica” della tradizione regionale
di impiego delle piante alimurgiche, sia come elementi di indirizzo per le sperimentazioni colturali
per lo sviluppo aziendale.
Nell’ambito del WP3 sono presi in considerazioni specifici aspetti fitochimici legati alle specie sia
spontanee che coltivate. I dati sono stati utilizzati sotto un duplice profilo:
 saranno valutati sia qualitativamente che quantitativamente i markers fitochimici di
ciascuna specie;
 gli estratti saranno usati per determinare l’attività biologica specifica in ragione della
composizione fitochimica mostrata.
La bontà di una droga vegetale è direttamente correlata al suo contenuto in principi attivi; nella
droga però sono presenti numerose altre sostanze che le conferiscono una particolare “fisionomia
terapeutica”, difficilmente riproducibile in laboratorio con una semplice mescolanza dei singoli
principi attivi. Si tratta in genere di sostanze inattive o di minimo interesse farmacologico come ad
esempio le sostanze amare o aromatiche che, esaltando le secrezioni del tratto gastrointestinale,
facilitano la dissoluzione e l’assorbimento dei principi attivi; le sostanze tanniche ed i sali di acidi
organici; le saponine, che grazie al loro potere tensioattivo, modificano i processi di assorbimento
dei principi attivi; le vitamine, ma anche le mucillagini e le sostanze peptiche, che possono
modificare le funzioni delle mucose gastrointestinali e conseguentemente l’assorbimento. In molti
casi poi si è accertato che più del principio attivo di una droga è efficace il “pool” di sostanze
farmacologicamente attive presenti nella droga in quanto tra esso e gli altri componenti si
stabiliscono sinergismi utili verso gli effetti medicamentosi.
Il contenuto in principi attivi di un organismo produttore di una droga non è statico, ma soggetto a
continue variazioni in rapporto a molteplici fattori interni ed esterni all’organismo stesso. In genere,
la variabilità è maggiore nel contenuto di principi attivi piuttosto che nel contenuto di metaboliti
normali e prodotti riserva. I fattori che influenzano il contenuto in principi attivi di una droga
possono essere suddivisi in due categorie: endogeni ed ecologici. Tra i fattori endogeni, una
importanza fondamentale è da attribuire all’età e allo stadio di sviluppo della pianta. Le piante
medicinali, infatti, devono essere raccolte in uno specifico periodo, denominato tempo balsamico,
durante il quale esse possiedono il massimo contenuto in principi attivi. Tale periodo è in rapporto
con il ciclo vitale, con l’età della pianta e, talvolta, anche con l’ora del giorno. Il contenuto in
principi attivi è generalmente massimo quando l’accrescimento della pianta è giunto al termine. In
genere, le pianta annuali vengono pertanto raccolte nel periodo del loro completo sviluppo; le piante
biennali nel secondo anno di vita. Gli organi sotterranei, radici e rizomi, sono raccolti in autunno,
prima della caduta delle foglie, o in primavera, prima della germinazione,e , per le piante annue o
bienni, alla fine del loro ciclo di vegetazione. Fusti e cortecce sono generalmente raccolte in inverno
e in primavera, prima che si sviluppino le gemme. I fiori sono raccolti a completa fioritura, talvolta
anche in boccio. I frutti sono raccolti a maturità o poco prima, come per esempio l’arancio amaro e
il limone. Anche i semi vanno raccolti a maturità del frutto.
Tra i fattori endogeni rientrano soprattutto quelli legati a parametri genetici, quali la selezione, le
mutazioni e l’ibridazione. In ogni popolazione di individui della stesa specie si riscontrano delle
variazioni di intensità nel manifestarsi di determinati caratteri. Il campione è sempre, in un
determinato grado, geneticamente eterogeneo, cioè esistono delle differenze genetiche tra i singoli
individui della stessa specie. Se i membri di una popolazione dotati di alcune caratteristiche utili per
un determinato scopo vengono scelti e fatti riprodurre tra loro, è possibile ottenere una seconda
popolazione di individui tendenti a dimostrare i caratteri prescelti in forma più accentuata.
Continuando a selezionare e a far riprodurre tra loro gli individui maggiormente dotati delle
caratteristiche utili, si arriverà ad avere una popolazione particolarmente ricca di quelle qualità che
erano state scelte all’inizio della selezione. Oggi la coltivazione delle piante medicinali ha preso il
sopravvento sulla raccolta delle piante spontanee ed il processo di selezione è diventato di uso
abituale. Un esempio di mutazione è costituito, invece, dalla poliploidia. Ogni cellula contiene nel
suo nucleo due serie di cromosomi perfettamente uguali. I cromosomi, possono, in particolari
condizioni, verificatesi spontaneamente o indotte artificialmente, sdoppiarsi una o più volte dando
origine a quattro o a più serie di cromosomi omologhi, senza che si abbia divisione cellulare. Il
nucleo presenterà un numero di cromosomi superiore alla norma, condizione denominata
“poliploidia” e che ha molteplici conseguenze sulla pianta. L’ibridazione, infine, è un fenomeno
opposto alla selezione. Esso implica infatti l’incrocio di individui geneticamente differenti per
produrre una progenie ibrida. Il processo è largamente sfruttato in campo agricolo e nella
coltivazione di piante ornamentali, poiché mediante il suo impiego è possibile ottenere individui
aventi caratteristiche morfologiche o biochimiche particolarmente interessanti e pregiate. Nel caso
delle piante medicinali l’ibridazione è stata impiegata con successo, ad esempio, per aumentare il
contenuto in chinina della corteccia di china.
Fattori esogeni o ecologici sono invece il clima (luce, temperatura, secchezza, l’umidità), la
latitudine e l’altitudine, le caratteristiche del terreno e i fattori biotici dipendenti dalla presenza di
altri organismi viventi in prossimità della pianta produttrice di droga. Per quanto concerne il clima,
è evidente che, poiché le piante costruiscono il loro nutrimento attraverso la fotosintesi, la
disponibilità di luce di opportuna intensità e durata sia un fattore di importanza essenziale per la
formazione dei principi attivi. In realtà l’influenza della luce non è diretta. Essa influisce soprattutto
sul metabolismo generale ma, poiché i costituenti secondari sono in effetti prodotti collaterali di tale
metabolismo, ogni variazione di questo può influenzare anche la produzione di principi attivi.
Anche la temperatura, che influenza la velocità delle reazioni enzimatiche, costituisce un fattore di
notevole rilievo. Latitudine e altitudine sono due fattori molto importanti per la scelta del luogo di
coltura di una pianta medicinale. La natura chimico-fisica del terreno gioca un ruolo essenziale,
infine, sull’accrescimento e sulle funzioni dell’organismo vegetale, determinando la disponibilità
dei differenti ioni inorganici, dell’acqua e dell’aria nell’ambiente a diretto contatto con l’apparato
radicale assorbente. Per quanto riguarda gli ioni inorganici, è noto che per lo sviluppo ottimale della
pianta sia necessario un loro opportuno equilibrio, tanto che l’influenza del pH del suolo può essere
riferita, almeno in parte, ad un’alterazione del rapporto tra i diversi tipi di ioni. La struttura fisica
del terreno, cioè la sua compattezza, porosità e penetrabilità, è determinata dalle dimensioni e dalla
forma degli elementi che lo compongono e dalle proporzioni tra cemento e humus.
Gli organismi viventi esplicano costantemente gli uni sugli altri un’influenza benefica o dannosa. I
fattori biotici, cioè legati all’interazione della vita vegetale e animale in un determinato ambiente,
sono in grado di alterare il contenuto in principi attivi di una droga vegetale.
Non ultimi, vi sono una serie di fattori artificiali in grado di influire sul contenuto fitochimico di
una specie. Nel corso delle operazioni di essiccamento e durante la conservazione del materiale
vegetale possono verificarsi, infatti, delle variazioni a carico dei caratteri organolettici della droga, e
si può avere una perdita di attività conseguente ad alterazioni dei principi attivi presenti (Fassina,
Ragazzi, 1995).
l’intero svolgimento del WP è stato diviso in 3 fasi di lavoro:
-
fase 1: documentazione bibliografica e messa a punto dei protocolli sperimentali per le
caratterizzazioni fitochimiche e biologiche e studio delle specie scelte presenti
all’interno della flora del territorio circostante l’azienda capofila;
-
fase 2: spontanee delle tare nell’azienda capofila del progetto e, per confronto, in
un’azienda con caratteristiche geopedologiche e colturali differenti;
-
fase 3: caratterizzazioni fitochimiche e biologiche delle specie oggetto di studio e frutto
della sperimentazione agricola di coltivazione.
FASE 1
Nella prima fase dello svolgimento del presente progetto fra gli obiettivi prefissati la ricerca è stata
incentrata principalmente su uno studio di tipo bibliografico al fine di avere a disposizione
approfondite informazioni sulle specie botaniche oggetto del progetto. In generale i vegetali sono
riconosciuti dai consumatori per il loro valore nutrizionale e per le caratteristiche organolettiche di
colore, aroma, sapore e texture (l’insieme delle proprietà fisiche strutturali che hanno un significato
sensoriale), nonché per un’immagine di naturalità che lega il consumo di frutta e vegetali al
benessere umano.
I composti bioattivi delle piante o phytochemicals (fitochimici) sono composti sia nutritivi che non
nutritivi e si possono dividere in più categorie: vitamine, minerali, antiossidanti, fitoestrogeni e fibra
dietetica.
La fibra dietetica è divisa in due gruppi in base alla solubilità: la fibra insolubile è costituita da
cellulosa, lignina e in parte dall’emicellulosa, mentre la fibra solubile è costituita da parte
dell’emicellulosa, gomme, mucillagini e pectine. E’ noto che la fibra dietetica solubile determina un
abbassamento dei livelli di colesterolo nell’organismo umano, la fibra vegetale assunta attraverso il
cibo sembra anche
svolgere un effetto protettivo nei confronti del cancro colon-rettale.
Un ulteriore beneficio salutistico promosso dalla fibra dietetica consiste nel contributo al
mantenimento del peso corporeo; essa infatti aumenta la sazietà e rallenta lo svuotamento gastrico,
determinando una riduzione dell’apporto calorico.
I composti antiossidanti comprendono una vasta gamma di componenti chimici che ritarda o
previene significativamente l’ossidazione di un substrato.
La presenza di antiossidanti in un alimento persegue due obiettivi principali:
1)
la prevenzione dei deterioramenti ossidativi a carico della frazione lipidica presente
nell’alimento, prevenendo la formazione da una parte di composti reattivi e
radicali liberi, e, dall’altra di composti secondari dell’ossidazione, contribuendo
alla stabilità qualitativa dei prodotti alimentari contenenti lipidi;
2)
lo svolgimento di un ruolo significativo nella riduzione dei fenomeni ossidativi in
vitro e in vivo e la relazione tra tale attività e l’insorgenza di patologie quali
l’aterosclerosi (ossidazione delle LDL), gli eventi tumorali (danni ossidativi a
carico del DNA) e altre patologie.
In relazione al punto primo, le funzioni di controllo e di riduzione dei fenomeni ossidativi a carico
della frazione lipidica degli alimenti vengono generalmente rivestite dalle sostanze antiossidanti
naturalmente presenti o aggiunte all’alimento.
Negli ultimi anni è risultata crescente una generale resistenza da parte sia dei consumatori sia dei
produttori nei confronti degli antiossidanti di sintesi, come l’idrossianisolo butilato (BHA) e
l’idrossitoluene butilato (BHT), usati da lungo tempo nell’industria alimentare, ciò in seguito alla
conoscenza di un possibile effetto carcinogenico di tali sostanze.
Anche in seguito a questo è incrementato l’interesse nei confronti delle sostanze antiossidanti di
origine naturale, sia per trovare dei sostituti ai prodotti di sintesi, nell’ottica della stabilizzazione
dei prodotti alimentari soggetti ad ossidazione lipidica, sia per evidenziare i componenti della dieta
in grado di apportare sostanze antiossidanti e così rivestire il ruolo protettivo nei confronti di
numerose patologie umane.
Specifici richiami da parte delle organizzazioni mondiali (World Health Organisation, World
Cancer Research ecc.) riguardano soprattutto il consumo di vegetali e frutta a polpa e di vegetali
verdi a foglia. Nonostante l’età media dei cittadini europei sia incrementata costantemente molte
popolazioni, soprattutto del centro e nord Europa, vivono presentando elevati livelli di insorgenze di
malattie croniche e dismetabolismi. Numerose ricerche hanno evidenziato come l’assunzione di
diete alimentari ricche in frutta e vegetali possano ridurre tali insorgenze patologiche. Attraverso
studi sperimentali su animali, sistemi cellulari, e umani, è stato dimostrato come la presenza dei
componenti chiamati “fitonutrienti” o “fitochimici” sia in grado di modificare i percorsi biologici di
antiossidanti, di detossificazione di enzimi, del sistema immunitario, sulla concentrazione di
colesterolo e degli ormoni steroidei, di agire sulla pressione sanguigna e di agire come agenti
antiossidanti, antinfiammatori, antivirali, e antibatterici.
1.1.1 Attività svolte e risultati raggiunti
Le considerazioni prima esposte hanno rappresentato il punto di partenza dello studio bibliografico
che ha dato avvio al progetto: Introduzione in coltura di piante alimurgiche della tradizione
popolare calabrese.
L’approfondita ricerca bibliografica è stata condotta sulle piante scelte quali oggetto di studio
(Cichorium intybus L., Sonchus oleraceus L., Picris hieracioides L., Reichardia picroides (L.)
Roth) appartenenti alla famiglia delle Asteraceae.
Le Asteraceae (Compositae) sono una delle più importanti e diversificate famiglie botaniche
comprendente tantissimi generi e specie di piante erbacee ed arbustive. Tale famiglia è
probabilmente originaria del Sud America ma è diffusa ormai in tutto il pianeta. Si tratta di piante
annuali o perenni la cui caratteristica morfologica saliente è rappresentata dalla tipica forma dei
fiori ligulati o tubulosi con calice assente o costituito da un pappo pilifero. I fiori non sono singole
entità ma composti (da qui il nome) a forma di capolino. All’interno di questa famiglia esistono due
sottofamiglie: le Asteroideae e le Cichorioideae delle quali fanno parte le specie prese in esame:
Cichorium intybus L., Sonchus asper L. e Picris hieracioides L., Reichardia picroides (L.)
Gli articoli presenti in letteratura hanno evidenziato la grande varietà di costituenti presenti nelle
diverse parti delle piante, ma la nostra attenzione si è concentrata sulla frazione polifenolica ed i
suoi effetti.
Numerosi studi hanno infatti riguardato la composizione di cicoria, soncus, picris e reichardia
evidenziando come le piante appartenenti alla famiglia delle Compositae sono ricche in polifenoli, e
quindi spendibili sotto il profilo biologico per le interessanti azioni ascrivibili a questi metaboliti
secondari, soprattutto in campo nutraceutico.
La cicoria, in particolare, risulta essere la pianta maggiormente studiata. Il fitocomplesso è
caratterizzato dalla presenza di numerosi polifenoli, quali acido clorogenico ed acido caffeoiltartarico, e di vari composti flavonici, quali glucosidi della quercetina, luteolina e kempferolo
(Hemleir et al., 2009). La pianta è caratterizzata inoltre dalla presenza di alcuni fitosteroli:
sitosterolo, stigmasterolo e campesterolo (Krebsky et al., 1999). Alcune ricerche hanno inoltre
consentito di isolare varie cumarine (Wu et al., 2007), antocianine (Nørbæk et al., 2002), alcaloidi e
triterpeni (Wang et al., 2009). Alcune specie di cicoria contengono, inoltre, numerosi lattoni
sesquiterpenici, tra i quali 8-deossilattucina e cicorioside A (Kisiel et al., 2001, 2006).
Il fitocomplesso ottenuto dal Sonchus oleraceus si contraddistingue per la presenza di vari alcaloidi,
cumarine, flavonoidi e saponine (Vilela et al., 2009). Alcuni sesquiterpeni lattonici sono stati
identificati nel Sonchus arvensis L. e nel Sonchus asper. (Xia et al., 2010; Helal et al. 2000).
Per quanto concerne il contenuto fitochimico del Picris hieracioides, la ricerca bibliografica
condotta ha consentito di evidenziare la presenza di una serie di triterpenoidi (Shiojima et al., 1989)
e di quattro nuovi glicosidi di natura terpenoidica: picrioside A e B, e picrionoside A e B
(Uchiyama et al., 1990).
Pochi studi sono stati dedicati invece alla valutazione del contenuto fitochimico di Reichardia
picroides. Recio e collaboratori (1992) hanno isolato dall’estratto di questa pianta diversi composti
fenolici.
Di seguito vengono illustrate le notizie dettagliate per ogni singola specie sulla composizione
fitochimica e sulle attività biologiche.
1.1.2 Cichorium intybus L.
Composizione fitochimica
Dal genere Cichorium intybus L. è possibile isolare numerosi ed interessanti composti da usare per
scopi diversi da quello alimentare. Le radici contengono lattoni sesquiterpenici amari ( lactucina e
lactucopicrina ), inulina (50-60% della droga secca), colina e arginina, acido cicorico ed altri
derivati dell’acido idrossicinnamico, mannite, zuccheri riducenti: levulosio, tannini, mucillagini e
sali minerali (principalmente ferro e calcio ma anche potassio, fosforo, sodio e magnesio).
Nelle foglie sono presenti cicorina, esculina, acido cicorico (o dicaffeiltartarico ) e clorogenico,
vitamine B, C, K , antocianine, polifenoli e fitosteroli.
Attività biologiche
Il fitocomplesso ha azione amaro-tonica, stomachica, depurativa, antiepatotossica, antiossidante,
antibatterica (stafilococco), ipoglicemizzante , diuretica e lassativa.
Grazie alla sua attività non irritante può essere usata anche in età pediatrica: preparati a base di
cicoria, oltre a migliorare il transito intestinale, risultano utili anche nel trattamento della
disappetenza. Tradizionalmente viene impiegata come coleretica e colagoga, come sintomatico
nelle turbe digestive e come depurativo e diuretico (acido dicaffeiltartarico). Per tale motivo può
rientrare come coadiuvante nei trattamenti dimagranti.
Inoltre la radice di cicoria, tostata, è un valido succedaneo del caffè in quanto, con la tostatura, la
droga assume un aroma caratteristico per la presenza di pirazide, aldeidi, idrocarburi aromatici,
fenoli ed acidi organici.
Tra i componenti non nutrizionali presenti nella specie senza dubbio il più noto per l’utilizzo
nutraceutico, dermocosmetico farmacologico è l’inulina.
Si tratta di un polisaccaride formato da lunghe catene di fruttosio, poco calorico (100 kcal/100 g),
che si trova in diverse piante, molte di queste appartenenti alla famiglia delleAsteracee. È
sostanzialmente una fibra solubile.
Inulina
Fra le proprietà che vengono attribuite all'inulina ci sono sia quella di facilitare la digestione sia
quella di ridurre il gas intestinale; infatti, questa fibra aumenterebbe la densità di bifidobatteri e
diminuirebbe quella di batteri nocivi.
Neutralità biologica - L'inulina attraversa l'intestino tenue senza essere degradata; non influenza
l'assorbimento di azoto, grassi, amidi, calcio, magnesio e zinco.
Azione ipocolesterolemizzante – Alcuni studi negano tale azione da parte dell'inulina, altri la
sostengono, ma con dosaggi non minimi (maggiori di 15 g al giorno) e con effetti gastrointestinali
collaterali (che si riducono se si associano molecole ad alto peso molecolare come l'acacia).
Probabilmente l'effetto dipende dall'alimentazione del soggetto
Aumento dei bifidobatteri e diminuzione dei cocchi Gram positivi – tali effetti sono stati
confermati ma ad alte dosi: 34 g al giorno nel primo studio, 15 g nel secondo.
Riduzione dei trigliceridi – L'azione ipotrigliceridemizzante dell'inulina è stata confermata in
soggetti con cattiva alimentazione.
Effetto lassativo – L'effetto lassativo dell'inulina è migliore di quello del lattosio e con minori
dolori addominali
La radice di cicoria, tostata, è un valido succedaneo del caffè in quanto, con la tostatura, la droga
assume un aroma caratteristico per la presenza di pirazide, aldeidi, idrocarburi aromatici, fenoli ed
acidi organici.
1.1.3 Sonchus asper L.
Composizione fitochimica
Nella specie Sonchus sono stati isolati e caratterizzati numerosi composti funzionali di grande
interesse tra cui: alcaloidi, cumarine e saponine. Sono stati anche rilevati sesquiterpeni lattonici tra
cui Taraxasterolo e flavonoidi come apigenina 7-glucuronide e luteolina 7-glucoside.
Sono presenti inoltre vitamine A, B2, C e PP (precursori del retinolo, riboflavina, acido ascorbico e
niacina) Sali minerali quali calcio ferro e soprattutto fosforo.
Apigenina-7-glucuronide
Luteolina-7-glucoside
Attività biologiche
Precedenti ricerche sul genere Sonchus hanno evidenziato che i
lattoni sesquiterpeni isolati
mostrano attività antineoplastica, antinfiammatoria, antipiretica ed antibatterica (nei confronti
dell’agente patogeno Streptococcus mutans. Inoltre è stato osservato che l’estratto idroetanolico
(SoHE) e diclorometanico (SoDE)(di parti aeree della specie Sonchus) somministrati ai topi hanno
un effetto di tipo ansiolitico.
1.1.4 Picris hieracioides L.
Composizione chimica
La pianta contiene:
 glicosidi monoterpenici (-) cis-crisantenolo-β-D-galattopiranoside;
 lattoni sesquiterpenici (diidrolactucina);
 flavonoidi.
Attività biologica
L’estratto, sia alcolico che acquoso, viene utilizzato per migliorare i processi digestivi ed è efficace
contro i nematodi ed altri parassiti intestinali.
1.2.1 Estrazione dei principi attivi
Nel periodo preso in considerazione sono stati selezionati una serie di 5 campioni:
-
3 campioni di Cichorium cfr. Intybus (raccolti in località limitrofe all’azienda e tempi
differenti)
-
Un campione di Sonchus oleraceus L.
-
Un campione di Picris hieracioides L.
Questi campioni sono stati raccolti tra la flora spontanea avente habitat vegetativo limitrofo
dell’azienda capofila del progetto al fine di caratterizzareil territorio e la flora stessa in funzione
delle finalità del progetto.
Lo studio fitochimico ha previsto inizialmente l’estrazione dei metaboliti secondari e quindi dei
principi attivi dei campioni in esame. Prima di procedere all’estrazione, le piante fresche sono state
sottoposte ad essiccamento a temperatura ambiente, al fine di limitare la porzione acquosa presente
nell’estratto e rallentare, così, le attività enzimatiche che avrebbero potuto alterare il contenuto in
principi attivi. Le piante sono state seccate in condizioni controllate di durata, luce e temperatura,
per evitare la degradazione dei costituenti termolabili.
L’estrazione è un’operazione che consente la separazione dei principi attivi desiderati da droghe
vegetali, e può essere effettuata in maniera diversa secondo la natura della droga. E’ possibile,
infatti, ricorrere a mezzi meccanici, chimici e termici, scelti in funzione della localizzazione dei
principi attivi, che possono trovarsi negli spazi intercellulari o all’interno della cellula. Molto spesso
si ricorre all’uso di reattivi chimici, generalmente solventi organici, che consentono di modificare la
struttura chimica della membrana cellulare, rendendola permeabile. Raramente si ricorre all’uso del
calore, poiché molti costituenti delle droghe sono termolabili.
Esistono diverse tecniche estrattive quali la macerazione, la digestione, l’infusione, la decozione e
la percolazione. L’unica differenza che intercorre tra queste operazioni è la temperatura di
estrazione che, secondo la nostra Farmacopea, dovrebbe essere:
- dai 15° ai 35° per la macerazione e la percolazione;
- dai 35° ai 65° per la digestione;
- dai 90° ai 100° per l’infusione;
- 100° per 30 minuti per la decozione.
In questo studio la fase di estrazione è stata condotta facendo ricorso alla macerazione, scelta allo
scopo di ridurre i rischi di degradazione termica inevitabilmente comportati dalle altre metodiche.
La macerazione è una tecnica che consiste nel mantenere una quantità stabilita di droga in contatto
con un opportuno solvente a temperatura ambiente, per un tempo variabile. Se la droga fosse
lasciata in contatto una sola volta con tutto il solvente si avrebbe una rilevante perdita di principi
attivi. Si preferisce, quindi, ripetere più volte questa operazione con quantità limitate di solvente.
La Farmacopea prevede che per l’estrazione dei principi attivi dalle droghe siano impiegati l’acqua,
l’alcool etilico o metilico, e l’etere etilico. Industrialmente possono esserne utilizzati altri che, oltre
a presentare un potere estrattivo simile o maggiore, sono vantaggiosi da un punto di vista
commerciale, quali ad esempio l’alcool isopropilico o il toluolo (Fassina, Ragazzi, 1995).
Sui campioni oggetto di studio del presente progetto è stata compiuta una estrazione per
macerazione a freddo usando come solvente una miscela idroalcolica (etanolo/acqua 70/30 v/v). È
stato utilizzato un solvente polare allo scopo di solubilizzare in un’ unica soluzione la quasi totalità
dei principi attivi presenti nella droga vegetale in particolare steroidi, flavonoidi, terpeni,
consentendo contemporaneamente una prima operazione di purificazione. La procedura eseguita
sperimentalmente è consistita nel lasciare ogni campione a contatto con metanolo per la durata di 48
ore con successiva filtrazione, ripetendo la procedura per tre volte.
La soluzione estrattiva è stata portata a secco in condizioni di pressione ridotta, in modo da
abbassare la temperatura di ebollizione del solvente e favorirne l’evaporazione, utilizzando un
evaporatore rotante con bagno d’acqua a 35°C per preservare la composizione chimica dell’estratto.
E’ stata determinata la resa percentuale di estrazione utilizzando la seguente formula:
Resa = (Peso estratto / Peso pianta) x 100.
Pianta
Peso pianta(g)
Peso estratto(g)
Resa %
Cichorium intybus L 4a
39,48
7,63
19,63
Cichorium intybus L 4b
30,45
3,03
9,95
Cichorium intybus L 4c
34,6
6,75
19,50
Sonchus oleraceus L.
9,30
1,30
13,98
Picris hieracioides L.
14,60
3,56
24,38
1.2.2 Determinazione del Contunuto Fenolico totale
Sull’estratto totale è stato determinato il contenuto in polifenoli totali. I fenoli totali contenuti negli
estratti sono stati determinati con il saggio di Folin-Ciocalteu e l’acido clorogenico è stato usato
come standard (Singleton et Rossi, 1965).
Il reattivo di Folin-Ciocalteu è costituito da una miscela di acido fosfotunstico (H3PW12O40) e acido
fosfomolibdico (H3PMo12O40) e si riduce sotto condizioni alcaline in una miscela di ossidi di
tungsteno e molibdeno (W8O23 e Mg8O23), grazie all’ossidazione dei fenoli. La colorazione prodotta
riflette la quantità di fenoli presente.
Per eseguire il test è necessario preparare:
• Una soluzione di carbonato di sodio al 7,5% (7,5 g in 100 mL di acqua distillata);
• Il solvente di estrazione composto da (40 ml acetone, 40 ml metanolo, 20 ml acqua distillata, 0,1
ml acido acetico).
2 mg di campione sono stati diluiti in 1 ml di solvente di estrazione e poi messi a 60°C in bagno
d’acqua per 1 h, seguito da raffreddamento a temperatura ambiente e sono stati omogeneizzati per
30 secondi mediante l’impiego di un sonicatore. 200 μl (in triplicato) di siascun campione sono stati
introdotti in tubi falcon e a questi sono stati aggiunti 1 ml del reagente Folin-Ciocalteau e 1 ml di
carbonato di sodio (7.5%). I tubi sono stati vortexati e lasciati a bagno per 2 h a 60°C. Dopo questo
periodo di tempo l’assorbanza della miscela viene misurata a 726 nm (Perkin Elmer Lambada 40
UV/VIS spettrofotometro) e il contenuto totale fenolico è stato espresso come equivalenti di acido
clorogenico in mg per grammo di materiale secco.
TABELLA 1: CONTENUTO DI POLIFENOLI TOTALI ESPRESSO IN EQUIVALENTI (mg/g) DI ACIDO CLOROGENICO
PIANTA
Equivalenti di acido clorogenico (mg/g)
Cichorium intybus L 4a
139
Cichorium intybus L 4b
83
Cichorium intybus L 4c
94
Sonchus oleraceus L.
53,5
Picris hieracioides L.
88,5
Questa determinazione è stata utilizzata per rendere ragione dell’attività antiossidante testata.
Sugli estratti grezzi, infatti, sono stati compiuti saggi per la determinazione dell’attività
antiossidante.
1.3.1 Attività antiradicalica
In ogni cellula del nostro organismo avvengono costantemente processi chimici che richiedono
energia e ossigeno. Tutte le cellule viventi hanno bisogno di grandi quantità di ossigeno per
produrre l’energia necessaria al loro funzionamento. Se, da un lato, questo processo di utilizzazione
dell’ossigeno è vitale per la cellula, dall’altro, può essere fonte di danni, dovuti ai radicali liberi di
ossigeno, che si producono nel corso delle reazioni chimiche. Questi sono composti chimici molto
instabili che si formano all’interno dell’organismo con diversi meccanismi inclusi
i normali
processi fisiologici e interazioni con fattori esterni chimici o fisici (farmaci, alimenti, radiazioni,
agenti inquinanti, fumo di sigaretta ecc.).
Il radicale libero è una molecola altamente reattiva che presenta un elettrone spaiato nella sua orbita
esterna; la formazione di radicali liberi provoca danni cellulari in quanto la loro caratteristica è
quella di recuperare la carica negativa perduta a spese della struttura atomica della molecola
adiacente generando altri radicali liberi. Una volta formatisi, i radicali liberi danno luogo a reazioni
che implicano una serie di passaggi, ciascuno dei quali forma un altro radicale che innesca il
passaggio successivo; le reazioni in cui il prodotto di un passaggio è un reagente del passaggio
successivo prendono il nome di reazioni a catena che finiscono per danneggiare irreversibilmente
strutture vitali della cellula (Klaassen et al., 2000).
I radicali liberi nei sistemi biologici più pericolosi sono quelli contenenti ossigeno, definiti ROS
(Reactive Oxygen Species):
•
anione superossido → O2−
•
perossido di idrogeno → H2O2
•
radicale ossidrile → HO•
•
ossigeno singoletto → 1O2
•
perossinitrito → ONOO−
Interagendo con i componenti cellulari, da un lato denaturano le proteine e dall’altro perossidando i
lipidi delle membrane, i radicali liberi danneggiano i sistemi biologici omeostatici con conseguente
danno cellulare. Qualsiasi agente che riduce l’integrità anatomica della cellula, altera la sua attività
fisiologica. La membrana cellulare non è un semplice divisorio tra una regione ed un’altra; essa
svolge un ruolo cruciale in quanto costituisce un’entità funzionale che permette a enzimi, substrati,
recettori di ormoni e anticorpi, di muoversi secondo una finalità di interazione tra i costituenti
membranosi e i componenti intra ed extra cellulari. L’alterazione della permeabilità cellulare può
produrre un danno ossidativo del DNA, attraverso prodotti delle reazioni a catena innescate da
reazioni radicaliche
L’ anione superossido (O2−) è’quello prodotto in maggiore quantità ed ha un ruolo cruciale nel
promuovere l’iniziale formazione di altre specie radicaliche; è il prodotto della riduzione
monoelettronica dell’ossigeno biatomico molecolare, reazione frequente in natura. Esso si può
formare attraverso i seguenti meccanismi:
1 )per interruzione dell’ossigeno molecolare con elettroni che occasionalmente sfuggono alla catena
respiratoria, soprattutto nel passaggio ossido-riduttivo tra CoQ e citocromi, a livello degli enzimi
NADH-ubichinone reduttasi e ubichinone-citocromo C reduttasi;
2) nel corso di ossidazioni metallo-dipendenti di neurotrasmettitori quali adrenalina e noradrenalina
e di alcuni composti tiolici;
3) per produzione diretta nel corso di alcune reazioni enzimatiche specifiche catalizzate ad esempio
dalle xantine ossidasi, triptofano deossigenasi e indolamine deossigenasi.
Questo radicale pur essendo citotossico può causare un danno limitato in quanto non è in grado di
attraversare la membrana mitocondriale, perché bloccato dalla carica negativa.
2 O2− + 2 H+→H2O2 + O2 (1)
Dalla reazione di dismutazione (1) si forma perossido di idrogeno (H2O2) che non è normalmente
tossico, in quanto viene rapidamente neutralizzato dagli enzimi catalasi (2) e glutatione perossidasi
(3).
H2O2 + 2e− + 2 H+→2 H2O (2)
H2O2 + 2 GSH→2 H2O + GSSG (3)
Il perossido di idrogeno si può formare, oltre che dalla reazione (1), anche direttamente a livello di
perossisomi e mitocondri. E’ presente all’interno della cellula in concentrazioni variabili tra 10−9 e
10−7 M, ed il rischio ad esso associato è dovuto alla sua capacità di attraversare velocemente le
membrane cellulari, diffondendo in altri distretti dove può attivare processi perossidativi. Il
perossido d’idrogeno o acqua ossigenata è la principale fonte di radicali OH−; è capace di
diffondere liberamente a distanza per reagire con numerosi substrati.
Il Radicale ossidrile (HO•) è uno dei radicali più instabili e quindi più reattivi. Una molecola di
anione superossido O2− ed una di perossido di idrogeno possono combinarsi per formare una
molecola di ossigeno, un radicale ossidrile HO• ed uno ione ossidrile secondo la reazione di HaberWeiss (4),catalizzata da ioni Fe2+ o Cu+.(3)(4)
O2−•+ H2O2 → O2 + HO• + OH− (4)
Per a produzione del radicale ossidrile è fondamentale la presenza di ferro allo stato Fe2+, mentre il
metallo è normalmente legato a proteine di trasporto e di deposito (transferrina, ferritina), o a
proteine funzionali (emoglobina, mioglobina) sotto forma di ione ferrico.
Per rendere libero il ferro è sufficiente la presenza di elevate quantità di anione superossido (6) o un
abbassamento del pH dovuto, ad esempio, alla produzione di acido lattico (ischemia o anossia) e lo
ione ferroso che si ottiene può nuovamente ossidarsi reagendo con H2O2 e formando HO• . Nella
reazione di Fenton:
Fe3+ + O2−→ Fe2+ + O2 (5)
Fe2+ + H2O2 → Fe3++ OH− + HO• (6)
Il risultato netto di queste due reazioni è proprio quella di Haber-Weiss che avviene nel nostro
organismo. Il radicale ossidrile generato nella reazione (4) è, fra i radicali del’ossigeno, la molecola
più tossica perché altamente reattiva e priva di ogni meccanismo di inattivazione endogena.
Costituisce l’agente responsabile della fase iniziale dei processi perossidativi che avvengono a
livello dei tessuti dell’organismo. Il radicale ossidrile è in grado infatti di danneggiare tutte le
macromolecole cellulari: proteine, acidi nucleici, glicosaminoglicani e soprattutto gli acidi grassi
polinsaturi dei fosfolipidi di membrana.
L’ossigeno singoletto (1O2) è coinvolto nell’ossidazione di acidi grassi polinsaturi, ricchi di doppi
legami, tra cui il colesterolo-LDL. Questa forma chimica dell’ossigeno non è un vero e proprio
radicale libero ma una forma elettronicamente eccitata di O2 capace di attaccare rapidamente molte
molecole inclusi gli acidi grassi polinsaturi:differisce dallo stato fondamentale (tripletto)
dell’ossigeno molecolare per l’inversione di direzione dello spin di un elettrone nell’orbitale di
valenza più esterno. Da studi in vitro è emerso che l’ossigeno singoletto può ossidare diverse
molecole organiche quali lipidi di membrana, proteine, acidi nucleici, carboidrati e tioli.
Sono stati individuati quattro principali meccanismi di reazione:
1) reazioni di addizione con il doppio legame carbonio-carbonio nelle olefine insature per
formare idroperossido;
2) reazioni di addizione con sistemi di dieni coniugati (reazione di Diels-Alder) per formare
endoperossidi ciclici;
3) reazioni con composti fenolici per formare idroperossidienoni;
4) reazioni di trasferimento di energia che trasformano 1O2 in 3O2 con composti quali
carotenoidi, bilirubina, tocoferolo, fenoli, complessi del nichel e ionii.
L’ossigeno singoletto si può formare in seguito ad esposizione ultravioletta (320-380 nm) o durante
l’attivazione dei macrofagi nella risposta immunitaria. L’azione della NADPH ossidasi produce il
radicale superossido (7) che dismuta per formare perossido di idrogeno:
NADPH + 2 O2 → 2 O2-• + H+ + NADP+ (7)
La mieloperossidasi, una eme-proteina, utilizza il perossido di idrogeno per convertire il cloro in
acido ipocloroso (8); quest’ultimo reagisce ancora con H2O2 per formare ossigeno singoletto
H2O2 + Cl−→HClO + OH− (8)
H2O2 + HClO →1O2 + H2O + Cl−+H+ (9)
L’ossigeno singoletto sembra si formi anche durante la perossidazione lipidica, dando sviluppo di
chemiluminescenza.
Il perossinitrito (ONOO−), infine, è particolarmente importante per ossidare molecole biologiche
come lipidi, proteine, e DNA. Esso si forma dalla reazione che avviene tra ossido nitrico e anione
superossido;
questo potrebbe essere un importante fattore per indurre l’ossidazione lipidica soprattutto negli
alimenti.
NO•+O2−• →ONOO−
Altri ROS sono i lipoperossidi e l’acido ipocloroso. I lipoperossidi si formano quando i lipidi di
membrana (fosfolipidi) vengono aggrediti dai radicali liberi e privati di elettroni. L’acido ipocloroso
si forma quando le cellule
del sistema immunitario reagiscono ad agenti esterni e può così
danneggiare proteine, amminoacidi e DNA.
Interagendo con i componenti cellulari, da un lato denaturano le proteine e dall’altro perossidando i
lipidi delle membrane, i radicali liberi danneggiano i sistemi biologici omeostatici con conseguente
danno cellulare. Qualsiasi agente che riduce l’integrità anatomica della cellula, altera la sua attività
fisiologica. La membrana cellulare non è un semplice divisorio tra una regione ed un’altra; essa
svolge un ruolo cruciale in quanto costituisce un’entità funzionale che permette a enzimi, substrati,
recettori di ormoni e anticorpi, di muoversi secondo una finalità di interazione tra i costituenti
membranosi e i componenti intra ed extra cellulari. L’alterazione della permeabilità cellulare può
produrre un danno ossidativo del DNA, attraverso prodotti delle reazioni a catena innescate da
reazioni radicali che.
Nell’ambito dei danni cellulari causati dalle specie reattive dell’ossigeno, quello al DNA è
potenzialmente il più pericoloso, poiché tali alterazioni sono spesso associate a mutazioni genetiche
ed allo sviluppo di cancro. È emerso inoltre un legame sempre più evidente tra alterazioni al DNA
ROS-mediate ed il processo di invecchiamento, la patogenesi del diabete mellito e di alcune
malattie a carico del fegato e ad eziologia infiammatoria. Esempi di danni agli acidi nucleici sono,
tra gli altri, la formazione di legami intermolecolari DNA-DNA o DNA-proteine e modificazioni
ossidative a carico delle basi azotate. Le più sensibili sono le basi pirimidiniche citosina e timina le
quali possono andare in contro a saturazione o apertura dell’anello con idrossilazione di
quest’ultimo. Ciò implica la perdita dell’aromaticità e planarità, determinando distorsioni nella
geometria del DNA. Inoltre l’ossidazione della timina può portare alla formazione dei cosiddetti
dimeri di timina. Le frazioni così introdotte, che non vengono neutralizzate dai sistemi di difesa,
possono essere la causa di alterazioni genomiche, capaci di innescare processi degenerativi,
mutazioni, aberrazioni cromosomiche, citotossicità, deficit immunitario. Se le basi danneggiate
vengono rimosse e riparate prima della divisione cellulare, non ci sarà alcun danno permanente. Se
invece il sistema di riparazione è soggetto ad errori, la generazione successiva riceverà una
molecola di DNA difettosa in cui una base azotata è eliminata o sostituita da una base impropria.
Anche le proteine sono un bersaglio per i radicali liberi, i cui danni possono essere distinti in
reversibili ed irreversibili: tra i primi vi è l’ossidazione dei gruppi tiolici della metionina a
solfossido, mentre tra gli irreversibili vi è la rottura dell’anello dell’istidina e del triptofano, e
l’idrolisi del legame peptidico in presenza di prolina. Quest’ultimo evento danneggia
particolarmente il collagene, ricco di prolina ed idrossiprolina. I gruppi HS- dei residui di cisteina
delle proteine sono tra i più esposti alle collisioni radicaliche: i radicali (RS•), che si formano,
possono dimerizzare o ossidarsi a RSO2, provocando danni alla struttura e alla funzionalità delle
proteine stesse. In particolare, possono venire attaccate proteine con funzione enzimatica, come la
fosfofruttochinasi ed il complesso I appartenente alla catena respiratoria mitocondriale, di
importanza fondamentale per la produzione di energia per la cellula. Una diminuita efficienza
energetica porta ad una riduzione della biosintesi “ex-novo” di macromolecole (proteine,
glicoproteine, acidi nucleici e fosfolipidi) provocando un rallentamento nei processi riparativi di
componenti di membrana. Come conseguenza, si ha un irrigidimento delle membrane che si
aggiunge a quello dovuto alla perossidazione degli acidi grassi. La minore fluidità di membrana
determina: ridotta funzionalità di proteine enzimatiche e recettoriali; variazione della permeabilità;
ridotta efficienza delle pompe ATP-asiche per il Ca2+.
Quest’ultimo fenomeno induce un aumento sia del Ca2+ sia del K+ endocellulare che a sua volta
porta all’attivazione delle fosfolipasi A2, A1, C, D e della digliceride lipasi. Questi enzimi
stimolano un aumento del catabolismo delle membrane e perciò la liberazione di acidi grassi
facilmente ossidabili. L’ossidazione delle proteine sembra essere inoltre responsabile, almeno in
parte, di patologie quali l’aterosclerosi, il danno da ischemia-riperfusione e l’invecchiamento.
I radicali liberi reagiscono con i carboidrati estraendo facilmente atomi di idrogeno: deossiribosio,
ribosio, proteoglicani ed etero polisaccaridi (acido ialuronico) possono venire degradati mediante
attacco ossidativo. Ciò nuoce soprattutto ai proteoglicani, molecole di elevato peso molecolare che
fanno parte del parenchima tissutale, i quali vanno incontro a frammentazione e depolimerizzazione
con danno strutturale e funzionale irreversibile.
L’azione ossidativa a carico dei lipidi, invece, procede con un meccanismo radicalico a catena
definito lipoperossidazione: i principali bersagli di questo processo sono gli acidi grassi polinsaturi,
che sono presenti in elevate concentrazioni nei fosfolipidi di membrane cellulari (Mathews, 1998).
L’attività antiradiclica dei campioni è stata testata mediante il test del DPPH (Wang, 1998). Questo
saggio prevede l’impiego di un composto radicalico l’1,1-diphenyl-2-picrylhydrazyl (DPPH) ,
abbastanza stabile (grazie alla sua capacità di delocalizzare l’elettrone spaiato, rispetto ad altri
radicali liberi) che assorbe la luce a 517 nm. Il test consiste nel valutare l’attività riducente di
molecole antiossidanti nei confronti del DPPH in base alla diminuzione dell’assorbanza della
soluzione di radicale dopo la reazione con la sostanza da testare. Quando una soluzione metanolica
di DPPH viene miscelata con un composto (antiossidante) che può donare un idrogeno, essa perde il
suo caratteristico colore viola e la percentuale di decolorazione è proporzionale all’attività
antiossidante (scavenger) degli estratti esaminati che viene espressa sottoforma di IC50.
Per la realizzazione del test è necessario preparare: Una soluzione di DPPH 1x10-4 M in
etanolo(4mg in 100 ml); Preparare diverse concentrazioni i campioni da testare, come riportato
nella tabella:
Sono state utilizzate tre provette per ogni concentrazione testata; ad ognuna sono aggiunti 0.8 ml di
soluzione etanolica di DPPH 1x10-4 M e 0.2 ml di soluzione contenente l’estratto. Per valutare
l’assorbanza del solo estratto, per ogni concentrazione vengono preparate altre tre provette
contenenti 0.8 ml di solo etanolo e 0.2 ml di estratto. Come controllo si preparano 3 provette
contenenti 0.2 ml di etanolo al 70% e 0.8 ml di DPPH. Le provette vengono poi riposte al buio per
30 minuti e successivamente, viene valutata l’assorbanza alla lunghezza d’onda di 517 nm, tramite
uno spettrofotometro, utilizzando come bianco un ml di etanolo puro. Vengono calcolate, per ogni
concentrazione, la media e la deviazione standard dei valori ottenuti.
L’attività antiradicalica degli estratti è stata calcolata come percentuale di inibizione nei confronti
Conc.i.
Vol. (ml) Vol. Soluz. DPPH (ml) Vol. Tot. Conc. f.
5 mg/ml
0.2
0.8
1
1 mg/ml
2.5 mg/ml
0.2
0.8
1
0.5 mg/ml
1.25 mg/ml
0.2
0.8
1
0.25 mg/ml
0.5 mg/ml
0.2
0.8
1
0.1 mg/ml
0.25 mg/ml
0.2
0.8
1
0.05 mg/ml
0.125 mg/ml
0.2
0.8
1
0.025 mg/ml
0.05 mg/ml
0.2
0.8
1
0.010 mg/ml
0.025 mg/ml
0.2
0.8
1
0.005 mg/ml
0.0125 mg/ml
0.2
0.8
1
0.025 mg/ml
0.00625 mg/ml 0.2
0.8
1
0.00125 mg/ml
del
radicale
DPPH secondo
la
seguente
equazione:
% inibizione =
[1- (assorbanza
DPPH
estratto
con
-
assorbanza estratto/assorbanza DPPH senza estratto) x 100].
TABELLA 2: ATTIVITA’ ANTIRADICALICA ESPRESSA COME PERCENTUALE DI INIBIZIONE NEI CONFRONTI DEL
RADICALE DPPH
Pianta analizzata
IC 50 (mg/ml)
Cichorium intybus L 4a
0,072
Cichorium intybus L 4b
0,116
Cichorium intybus L 4c
0,082
Sonchus oleraceus L.
0,686
Picris hieracioides L
0,086
Come si può osservare dai risultati sopra riportati, esiste una correlazione lineare tra contenuto in
polifenoli e attività antiradicalica. Questo dato va letto in una duplice maniera:
-
il risultato ottenuto può essere usato come linea guida per la scelta del miglior
germoplasma da introdurre in coltura;
-
il contenuto in polifenoli totali può essere usato come efficace indice di aspetti legati alle
prospettive di impiego in ambito salutistico e nutraceutico.
Il raggiungimento degli obiettivi previsti è risultato per molti aspetti inadeguato a causa della
mancata erogazione dell’anticipazione prevista a supporto delle attività progettuali; questo ha anche
determinato uno sfasamento del relativo cronoprogramma di attività previste.
1.3.2 Valutazione dell’attività antiinfiammatoria
L’attività antinfiammatoria è stata stimata attraverso la valutazione dell’inibizione della produzione,
da parte delle cellule, di NO o più precisamente di nitriti (prodotti ossidati stabili del NO).
Inducendo uno stimolo infiammatorio mediante l’LPS (lipopolisaccaride) di E. Coli si attiva la via
del segnale dell’NF-KB che regola una varietà di geni coinvolti nelle risposte infiammatorie quali
citochine, IL-1β la iNOS (nitrossido sintasi inducibile) e la COX 2 (McKay et Cidlowski 1999;
Yamamoto et Gaynor 2001).
La NOS è presente in diverse isoforme: nNOS constitutiva neuronale o NOS 1; iNOS inducibile o
NOS 2; eNOS constitutiva endoteliale o NOS 3. Il NO è una molecola che possiede diverse
funzioni; agisce come vasodilatatore, neurotrasmettitore e modulatore dei processi infiammatori.
Esso può indurre la produzione di perossinitriti che sono tra i più importanti iniziatori del danno da
radicali liberi. Una produzione incontrollata di NO può portare a stress nitrossidativo, che causa
danno alle proteine, al DNA e alle cellule ed è coinvolta nella patogenesi di molti disturbi cronici
quali l’artrite reumatoide, l’aterosclerosi e i tumori.
L’inibizione selettiva della iNOS è un’importante strategia per il controllo di molti disturbi
antinfiammatori (Chan et al. 2000; Sild et al. 2009).
Il NO viene sintetizzato durante la conversione della L-arginina in L-citrullina operata dalla NOS la
cui attività e NADPH dipendente. L’enzima è regolato da una proteina regulatoria, la calmodulina
la quale richiede un influsso di Ca2+ nella cellula.
Il NO è detenuto in diversi tipi di cellule quali endoteliali, cerebrali, neutrofili, macrofagi, epatociti
e cellule tumorali; quello rilasciato nel sangue è rapidamente ossidato a NO3 come descritto di
seguito (Hb = emoglobina):
4NO + O2 + 2H2O _
4HbO2 + 4NO2 − + 4H+
4NO2 + 4H+
4NO3 − + 4Hb+ + O2 + 2H2O
E’ stato dimostrato che il NO3 formato nel sangue è un prodotto stabile del NO e che la
concentrazione di NO3 riflette la formazione o la disponibilità di NO nell’organismo (Zhai et al.
2009; Sild et al. 2009; Grisham et al.1999).
L’attività antinfiammatoria in vitro, è stata testata sulla linea cellulare RAW 264.7 macrofagica. Il
mezzo, DMEM (Dulbecco’s Modified Eagle’s Medium), è stato preparato aggiungendo: 1% di LGlutammina, 1% di P/S (penicillina-streptomicina) e 10% di FBS (fetal bovine serum). Le cellule
sono state poste in incubazione in presenza di 5% di CO2 e alla temperatura di 37° C. A confluenza
sono state slittate per raschiatura, risospese in mezzo fresco e piastrate in micro piastre a 96
pozzetti. Le cellule RAW 264.7, rimosse con uno scraper, sono state contate con la camera di
Burker mediante impiego di Trypan Blue, un colorante che rende il fondo scuro e le cellule
luminescenti, quindi più facilmente visibili.
Una volta effettuata la conta sono state piastrate 50.000 cellule per pozzetto (100 L) e poste in
incubazione per 24 ore.
Successivamente sono state preparate due soluzioni: una di mezzo semplice e una di “diluent”
(mezzo + 0,5% di MeOH) addizionati con una soluzione di LPS (lipopolisaccaride) di E. Coli in
grado di stimolare la produzione di NO da parte delle cellule. L’LPS deve essere presente nel
mezzo e nel diluent ad una concentrazione di 10 mg/mL. Sono state preparate diverse
concentrazioni di ogni campione utilizzando solo mezzo per la prima concentrazione e diluent per le
successive. Rimosso il sopranatante sono stati aggiunti 100 μL per ciascuna concentrazione,
riservando i primi 6 pozzetti della “microplate” rispettivamente 3 al Controllo (mezzo) e 3 al
Controllo + Solvente (Diluent) allo scopo di valutare l’effetto del solvente; successivamente la
piastra è stata posta nell’incubatore per 24 h.
Dopo 24 ore di incubazione il sopranatante è stato prelevato da ciascun pozzetto e posto in una
nuova piastra e sono stati aggiunti 100 μL di reagente di Griess (1% sulfamide ed 0,1% N-(1-naftil)
diidrocloruro di etilendiammina in 2,5 % H3PO4). Il reagente di Griess è un liquido normalmente
quasi incolore ma in presenza di NO3 esso acquista un colore rossastro. I valori di assorbanza sono
stati determinati ad una lunghezza d’onda di 490 nm, utilizzando un lettore di micropiastre.
La percentuale di inibizione di produzione del nitrossido è stata calcolata usando la seguente
formula:
% inibizione NO = [1- (assorbanza campione – assorbanza campione (senza cellule) / assorbanza
controllo – assorbanza controllo (senza cellule)] x 100.
tabella 3 valori di IC50 espressi in mg/ml
Cichorium intybus L 4a
0,122
Cichorium intybus L 4b
0,170
Cichorium intybus L 4c
0,108
Sonchus oleraceus L.
0,352
Picris hieracioides L
0,146
Indometacina
0,058
Per valutare la citotossicità dell’estratto sulla linea cellulare Raw 264.7 è stato effettuato l’ MTT
assay.
Il saggio citotossicologico MTT serve a valutare la vitalità delle cellule ed ad identificare
concentrazioni non tossiche dei campioni in analisi mediante un agente ossidante cromogeno [3(4,5-dimethylthiazol-2- yl)-2,5-diphenyl tetrazolium bromide] corrispondente ad un sistema
policiclico (C18H16BrN5S).
Questo composto è dotato di un anello tetrazolico che può essere facilmente ridotto dalle
deidrogenasi mitocondriali o da altri sistemi di trasporto elettronico, formando, per apertura
dell’anello tetrazolico, un composto cromogeno azotato detto formazano, il cui gruppo funzionale
caratteristico è R1NH−N=CR2−N=NR3.
Tale composto forma dei cristalli insolubili nell’ambiente intracellulare a cui le membrane risultano
sostanzialmente impermeabili: è quindi permessa l’entrata della molecola nella cellula, ma non
l’uscita del prodotto se questo è stato correttamente metabolizzato, cioè se le catene di trasporto
elettronico sono ancora metabolicamente attive (vale a dire dotate di un attivo potere riducente). La
trasformazione dell’MTT vede un viraggio della molecola da giallo a blu-violetto.
Appena prelevato il sopranatante i pozzetti sono stati lavati una volta con DPBS (una soluzione
tampone a ph 7.4 Dulbecco phosphate baffer saline); sono stati aggiunti poi 100 μL di MTT (0,5
mg/ml in DPBS) e la piastra è ad incubare per 4 ore.
Successivamente l’MTT è stato rimosso e sono stati aggiunti 100 μL di DMSO per pozzetto
ponendo poi la piastra ad incubare per altri 30 minuti con successiva lettura a 490 nm. La densità
ottica riflette la vitalità delle colture cellulari (Zeng et al. 2009).
La percentuale d’inibizione della vitalità cellulare è stata valutata secondo la seguente formula:
% inibizione MTT = [1- assorbanza campione con estratto – assorbanza DMSO / assorbanza
controllo senza estratto – assorbanza DMSO] x 100
In tabella 4 valori di IC50 espressi in mg/ml
Cichorium intybus L 4a
>1
Cichorium intybus L 4b
>1
Cichorium intybus L 4c
>1
Sonchus oleraceus L.
>1
Picris hieracioides L
>1
1.3.3 Valutazione dell’inibizione della lipasi pancreatica
Nell’ambito dei trattamenti delle condizioni di sovrappeso come precedentemente discusso un ruolo
di rilievo assumono i principi attivi in grado di inibire le lipasi, gli enzimi funzionalmente deputati
all’idrolisi dei grassi alimentari.
La ricerca farmacologia ha puntato molto sullo studio di molecole in grado di bloccare o comunque
rallentare il primo step del metabolismo dei grassi, indispensabile per il loro assorbimento
intestinale e dunque per la loro utilizzazione da parte dell’organismo a fini energetici o di deposito.
(Yamamoto et al. 2000; Birari et Bhutani 2007).
L’inibizione dell’attività della lipasi pancreatica viene valutata spettrofotometricamente utilizzando
come substrato il p-nitrophenyl caprylate p-NPC (Immagine) un estere cromogenico (SigmaAldrich 21742-1G). La lipasi possiede un’elevata affinità per questo substrato ed andrà ad
idrolizzare il legame estereo tra il p-nitrofenolo e la molecola di acido grasso; l’enzima mostra la
massima attività in condizioni alcaline (Yeoh et al. 1986; Rdakovi et al. 2007).
L’attività dell’enzima è stata misurata monitorando l’idrolisi del p-NPC; il cromogeno giallo
rilasciato, il p-nitrofenolo, quantificabile (Bendicho et al. 2001).
Come controllo positivo viene usato orlistat.
Orlistat, noto anche come tetraidro-lipostatina, inibisce in modo irreversibile circa il 30%
dell’attività delle lipasi gastrointestinali e pancreatica presenti nel lume intestinale, prevenendo in
tal modo l’assorbimento del 30 % circa dei trigliceridi introdotti con la dieta. L’orlistat ha una
struttura molto simile ai trigliceridi, per i quali la lipasi ha grande affinità. Si crea pertanto un
legame molto stabile tra orlistat e lipasi, tanto da non poter permettere la reversibilità del fenomeno
entro i normali tempi di transito del bolo intestinale (De Cristofaro et al. 2002); il successo
dell’orlistat ha promosso la ricerca di nuovi inibitori della lipasi pancreatica che mancano degli
spiacevoli e frequenti effetti collaterali che si hanno usando questo farmaco quali: flatulenza,
urgenza fecale, feci grasse e oleose e incontinenza fecale.
Per eseguire il test sono state preparate:
• Lipasi pancreatica 3mg/ml in acqua distillata
• p-Nitrofenil- caprilato 0,0075 M in DMSO (19,9 mg in 10 ml)
• soluzione tampone pH=8 (1000ml acqua distillata, 500 mg di TRIZMA, HCl al 37% goccia a
goccia fino a ph 8)
• orlistat 0,860 mg/ml.
• 5 diluizioni seriali dell’estratto in analisi
Sono state testate diverse concentrazioni di ciascun estratto. Come controllo è stata utilizzata una
soluzione contenente la soluzione tampone, p-NPC, metanolo e lipasi. Come bianco è stata
utilizzata una soluzione contenente la soluzione tampone, DMSO e p-NPC. Le provette sono state
poste in un bagno a 37° C per 30 minuti e successivamente è stata misurata l’assorbanza a 412 nm.
La percentuale d’inibizione è stata calcolata usando la seguente formula:
% Inibizione = [1 - (assorbanza campione - assorbnza solo estratto) / assorbanza controllo] x 100.
In tabella 5 valori di IC50 espressi in mg/ml.
Cichorium intybus L 4a
>10
Cichorium intybus L 4b
>10
Cichorium intybus L 4c
>10
Sonchus oleraceus L.
>10
Picris hieracioides L
9,753
Orlistat
0,018
FASE 2
La seconda fase del progetto ha riguardato lo studio delle specie scelte, e raccolte tra le specie
spontanee delle tare dell’azienda capofila del progetto. Lo scopo è quello di verificare come le
popolazioni residenti nel territorio aziendale fossero o meno influenzate dalla consociazione
colturale in confronto alle popolazioni raccolte in habitat non controllati. Inoltre per favorire il
confronto e stabile quanto i fattori abiotici possano influenzare il contenuto fitochimico delle specie
scelte, abbiamo analizzato le stesse specie raccolte nelle tare di una azienda modello che per
caratteristiche geopedologiche e colturali presentava delle diversità rispetto all’azienda Namastè.
L’obiettivo del progetto è quello di rivalutare, attraverso una proiezione commerciale, l’uso delle
piante alimurgiche della nostra regione, sperimentando tecniche di messa in coltura, individuando le
specie spontanee potenzialmente più interessanti, e, all’interno di ciascuna, le popolazioni che
hanno caratteristiche botaniche e fitochimiche più idonee agli usi previsti. Per raggiungere questo
obiettivo, la quarta fase del progetto è stata dedicata alla determinazione fitochimica e biologica di
campioni raccolti nell’azienda capofila del progetto, raccolti in due periodi differenti (maggio e
novembre 2011) al fine di stabilire un dettaglio fenologico che esprima il miglior prodotto in
funzione del contenuto fitochimico. Questi dati sono inoltre stati confrontati con quelli ottenuti da
campioni delle stesse specie scelte come oggetto di studio, raccolti in una azienda agricola sita in
località Pasquali di Mendicino (CS) facente parte della fascia collinare cosentina e scelta per le
caratteristiche geopedologiche simili a quella dell’azienda capofila del progetto. Questo confronto è
utile al fine di verificare il dato rilevato nell’azienda capofila e prevedere la possibilità di realizzare
un modello applicabile all’intera area caratterizzata da condizioni ambientali simili, ovvero
prevedere le differenze in funzione della diversità ambientate e apportare correttivi già in fase di
progettazione della coltura.
Le specie selezionate, tra quelle alimurgiche presenti nell’azienda capofila del progetto, sono:
Cichorium intybus
Sonchus crispus
Picris hieracioides
2.1. Raccolta delle piante
Le operazioni di identificazione e di raccolta delle tre specie sono state effettuate nelle tare di due
aziende agricole scelte come rappresentative (sia dal punto di vista organizzativo che
ecopedologico) del territorio cosentino. La scelta delle due aziende è stata fatta al fine di
evidenziare eventuali influenze dei fattori ambientali ed antropici sulla produzione quantitativa
(biomassa) e qualitativa (metabolomica) delle specie oggetto di studio. La raccolta è stata effettuata
in due stagioni diverse che corrispondono alle due fenofasi vegetativi diverse – i) in primavera
quando la pianta privilegia la produzione dei biomassa e approvvigionamento di sostanze nutritive
ii) in autunno prima della antesi quando la pianta privilegia il processo riproduttivo.
Tabella 6.
Campione
Azienda
Raccolta
Peso pianta secca (g)
Cichorium intybus
F
I
46.40
Sonchus asper
F
I
32.40
Picris hieracioides
F
I
29.00
Cichorium intybus
M
I
N.D.
Sonchus asper
M
I
13.10
Picris hieracioides
M
I
49.80
Cichorium intybus
F
II
20.15
Sonchus asper
F
II
22.77
Picris hieracioides
F
II
33.39
Cichorium intybus
M
II
33.13
Sonchus asper
M
II
27.45
Picris hieracioides
M
II
30.51
Le specie cichorioideae sono piante annuali/biennali di cui si usano tradizionalmente le foglie
raccolte in primavera ed in autunno (prima della comparsa degli scapi fiorali).
2.2. Procedura estrattiva
Sui campioni oggetto di studio è stata effettuata una procedura di estrazione rispettando la metodica
già messa a punto in occasione dello studio delle stesse specie spontanee raccolte in terreni limitrofi
all’azienda capofila del progetto.
La procedura di estrazione consiste in una macerazione a freddo usando come solvente una miscela
idroalcolica (etanolo/acqua 70/30 v/v). È stato utilizzato un solvente polare allo scopo di
solubilizzare in un’unica soluzione la quasi totalità dei principi attivi presenti nella droga vegetale
in particolare steroidi, flavonoidi, terpeni, consentendo contemporaneamente una prima operazione
di purificazione. La procedura eseguita sperimentalmente è consistita nel lasciare ogni campione a
contatto con metanolo per la durata di 48 ore con successiva filtrazione, ripetendo la procedura per
tre volte.
La soluzione estrattiva è stata portata a secco in condizioni di pressione ridotta, in modo da
abbassare la temperatura di ebollizione del solvente e favorirne l’evaporazione, utilizzando un
evaporatore rotante con bagno d’acqua a 35°C per preservare la composizione chimica dell’estratto.
E’ stata determinata la resa percentuale di estrazione utilizzando la seguente formula:
Resa = (Peso estratto / Peso pianta) x 100.
I risultati ottenuti sono stati raccolti nella tabella 1.
Tabella 7. Rese di estrazione.
Campione
Azienda
Raccolta
Peso pianta Estratto
Resa
secca (g)
(g)
(%)
Cichorium intybus
F
I
46.40
7.83
16.88
Sonchus crispus
F
I
32.40
9.63
29.72
Picris hieracioides
F
I
29.00
4.80
16.55
Cichorium intybus
M
I
N.D.
N.D.
N.D.
Sonchus crispus
M
I
13.10
3.09
23.59
Picris hieracioides
M
I
49.80
7.12
14.30
Cichorium intybus
F
II
20.15
5.14
25.51
Sonchus crispus
F
II
22.77
5.78
25.38
Picris hieracioides
F
II
33.39
8.87
26.56
Cichorium intybus
M
II
33.13
7.46
22.52
Sonchus crispus
M
II
27.45
7.16
26.08
Picris hieracioides
M
II
30.51
7.04
23.07
(periodi di raccolta: I-maggio 2011, II-novembre 2011; aziende: F: azienda agricola Filippelli
(capofila del progetto), M: azienda Agricola Martirano).
I risultati ottenuti mostrano come, per la specie scelte come oggetto di studio, la resa di estrazione
relativa alle due aree di raccolta è sostanzialmente simile. Per ciò che concerne invece il confronto
tra periodi di raccolta differenti, per Cichorium intybus e Picris hieracioides le rese di estrazione
ottenute mostrano come le raccolte fatte in novembre presentano valori significativamente maggiori
rispetto a quelli ottenuti per la raccolta effettuata in maggio, mentre per la specie Sonchus crispus
non vi sono differenze significative, mostrando una resa di estrazione significativamente più
abbondante delle altre specie studiate, anche per i campioni raccolti in maggio 2011.
Sull’estratto totale di ciascun campione è stato determinato il contenuto in polifenoli totali per
consentire una correlazione tra il contenuto fitochimico e l’attività biologica testata. Infatti, è
proprio a questi composti che è attribuita l’attività antiossidante. La possibilità di rafforzare le
difese antiossidanti endogene, con un apporto esterno di antiossidanti per via alimentare, sistemica
o topica rappresenta un'importante strategia preventiva e terapeutica. Un antiossidante può agire
prevenendo la formazione dei ROS, chelando gli ioni ferro e rame che ne catalizzano la formazione
o bloccandone l'azione con una reazione di terminazione che trasforma il radicale in una specie
stabile, in questo caso si parla anche di "radical scavenger".
2.3 Determinazione del Contenuto Fenolico totale:
I fenoli totali contenuti negli estratti sono stati determinati con il saggio di Folin-Ciocalteau e
l’acido clorogenico è stato usato come standard (Singleton et Rossi, 1965).
2 mg di campione sono stati diluiti in 1 ml di solvente di estrazione e poi messi a 60°C in bagno
d’acqua per 1 h, seguito da raffreddamento a temperatura ambiente e sono stati omogeneizzati per
30 secondi mediante l’impiego di un sonicatore. 200 μl (in triplicato) di siascun campione sono stati
introdotti in tubi falcon e a questi sono stati aggiunti 1 ml del reagente Folin-Ciocalteau e 1 ml di
carbonato di sodio (7.5%). I tubi sono stati vortexati e lasciati a bagno per 2 h a 60°C. Dopo questo
periodo di tempo l’assorbanza della miscela viene misurata a 726 nm (Perkin Elmer Lambada 40
UV/VIS spettrofotometro) e il contenuto totale fenolico è stato espresso come equivalenti di acido
clorogenico in mg per grammo di materiale secco.
Tabella 8. Contenuto totale di polifenoli.
Azienda F
Campione
raccolta I
Azienda M
raccolta II
raccolta I
raccolta II
mg/g pianta secca
Cichorium intybus
20.3 ± 0.6
55.3 ± 1.9
N.D.
27.4 ± 0.6
Sonchus crispus
36.7 ± 2.1
45.9 ± 5.1
30.1 ± 1.3
36.8 ± 0.2
Picris hieracioides
21.3 ± 0.6
67.3 ± 4.0
20.6 ± 1.7
35.0 ± 1.9
(periodi di raccolta: I-maggio 2011, II-novembre 2011; aziende: F: azienda agricola Filippelli
(capofila del progetto), M: azienda Agricola Martirano). Il contenuto fenolico totale è espresso
come equivalenti di acido clorogenico per g di materiale vegetale secco. I dati sono espressi come
media ± D.S. (n=3). N.D.= Non Determinato.
È interessante notare come, dall’incrocio dei dati ottenuti con le rese di estrazione, il contenuto di
polifenoli totali segua quello della resa di estrazione. Infatti, negli estratti provenienti dalle raccolte
nel II periodo, abbiamo complessivamente un quantitativo di polifenoli maggiore rispetto a quello
presente negli estratti delle specie raccolte nel I periodo. Questo vale in misura maggiore per
l’azienda F (capofila del progetto) dove il contenuto in polifenoli totali pressoché raddoppia tra il
primo ed il II periodo ed in questo II periodo è significativamente maggiore rispetto al
corrispondente contenuto di polifenoli totali riscontrato negli estratti provenienti dall’azienda M.
I polifenoli agiscono come antibatterici, antimutageni, antinfiammatori, vasodilatatori e soprattutto
antiossidanti. Esiste infatti un'ottima correlazione lineare tra il contenuto di polifenoli e le proprietà
antiossidanti e antiradicaliche di molte specie vegetali. La reattività dei polifenoli è determinata
principalmente dal carattere acido della funzione fenolica e dalla nucleofilicità dell'anello
benzenico. Inoltre, grazie alla capacità del sistema aromatico di delocalizzare un elettrone spaiato,
queste molecole possono facilmente donare a un radicale l'idrogeno del proprio gruppo fenolico, ed
esercitare così un'azione antiossidante. La diminuzione delle specie ossidanti presenti
nell'organismo protegge dal loro attacco le molecole bersaglio come i lipidi, le proteine e gli acidi
nucleici.
2.4 Determinazione dei flavonoidi totali
Il contenuto in flavonoidi totali è stato valutato usando un metodo basato sulla formazione di un
complesso flavonoide-alluminioII
Il test prevede la preparazione di una soluzione di estratto ad una concentrazione di 2 mg/ml in
EtOH 80%. La quercetina è stata utilizzata come standard.
1 ml di campione viene diluito con 1 ml di AlCl3 2% in soluzione etanolica. Si lascia riposare per
15 min al buio. L’assorbanza viene letta a 430 nm. Il contenuto totale di flavonoidi viene espresso
come equivalenti di quercetina in mg per g di estratto totale.
Tabella 9. Contenuto totale di polifenoli.
Campione
Azienda Filippelli
Azienda Martirano
I raccolta
II raccolta
I raccolta
II raccolta
55.3 ± 1.9
N.D.
27.4 ± 0.6
mg/g pianta secca
Cichorium
20.3 ± 0.6
intybus
Sonchus asper
Picris
36.7 ± 2.1
21.3 ± 0.6
45.9 ± 5.1
67.3 ± 4.0
30.1 ± 1.3
20.6 ± 1.7
36.8 ± 0.2
35.0 ± 1.9
hieracioides
Il contenuto fenolico totale è espresso come equivalenti di acido clorogenico per g di materiale
vegetale secco. I dati sono espressi come media ± D.S. (n=3). N.D.= Non Determinato. I-maggio
2011, II-novembre 2011.
È interessante notare come, dall’incrocio dei dati ottenuti con le rese di estrazione, il contenuto di
polifenoli totali segua quello della resa di estrazione. Infatti, negli estratti provenienti dalle raccolte
nel II periodo, abbiamo complessivamente un quantitativo di polifenoli maggiore rispetto a quello
presente negli estratti delle specie raccolte nel I periodo. Questo vale in misura maggiore per
l’azienda F dove il contenuto in polifenoli totali pressoché raddoppia tra il primo ed il II periodo ed
in questo II periodo è significativamente maggiore rispetto al corrispondente contenuto di polifenoli
totali riscontrato negli estratti provenienti dall’azienda M.
2.5 Attività antiossidante
La maggior parte delle patologie e l'invecchiamento degli esseri viventi sono causati da processi
chimici ossidativi, dovuti ad una eccessiva produzione di radicali liberi. I radicali liberi possono
quindi indurre danni anche gravissimi, modificando le caratteristiche strutturali e funzionali di un
tessuto vivente. Essi sono, infatti, chiamati in causa nella genesi biochimica di un gran numero di
eventi patologici. Lo stress ossidativo si ha quando, nell'organismo sano, si perde l’equilibrio fra i
meccanismi ossidativi e le difese antiossidanti; in condizioni normali il potenziale tossico dei
radicali liberi è neutralizzato da un complesso sistema di fattori antiossidanti che rappresenta il
meccanismo fisiologico di difesa e mantiene un adeguato rapporto tra fattori ossidanti e difese
antiossidanti che rappresenta il cosiddetto "bilancio ossidativo". Lo stress ossidativo è, pertanto,
l'espressione biologica di un danno che si verifica quando i fattori pro-ossidanti (farmaci, sostanze
tossiche, radiazioni, stati infiammatori, attività fisica esacerbata, ecc.) superano le difese
antiossidanti endogene (enzimi come la SOD, il coenzima Q10, la catalasi, la perossidasi, ecc.) ed
esogene (antiossidanti presenti negli alimenti). Si può incorrere in stress ossidativo sia in condizioni
normali di salute sia negli stati patologici: in condizioni normali di salute si ha aumento della
produzione di radicali liberi, ad esempio praticando sport o facendo sforzi muscolari. Elevati valori
di stress ossidativo si riscontrano anche in condizioni di stress psico-fisico, esposizione ad
inquinamento ambientale, fumo, radiazioni solari, abuso di alcol. Quasi tutte le patologie presentano
valori anomali di radicali liberi come l’obesità, il diabete, l’ipertensione, le patologie allergiche,
quelle flogistiche, l’artrite reumatoide, l’Alzheimer, il Parkinson ed altre. La possibilità di misurare
in forma accurata lo stato ossidante di un sistema biologico appare di fondamentale importanza per
la diagnostica clinica, nonché indispensabile in caso di trattamenti farmacologici che potrebbero
causare stress ossidativo, o per monitorare l’efficacia di terapie antiossidanti. L’analisi dello stress
ossidativo prende in considerazione i livelli ematici di: sostanze antiossidanti, per esempio vitamina
E ed A, in grado di interrompere la catena di reazioni determinata dai radicali liberi; enzimi
antiossidanti, che bloccano direttamente i radicali liberi; acidi grassi polinsaturi, componenti
essenziali per la costruzione delle membrane biologiche e quindi di importanza vitale per la salute
cellulare (Pontieri, 2005).
I radicali liberi sono coinvolti nella patogenesi delle malattie cardiovascolari. I danni indotti da
sostanze chimiche a livello cardiaco e vascolare possono essere di tipo morfologico e/o funzionale.
Dal punto di vista morfologico le reazioni avverse cardiovascolari possono essere distinte in
miocarditi e miocardiopatie allergiche o tossiche, fibrosi endocardica, cardiopatie neoplastiche,
pericarditi e vasculopatie. Le alterazioni della funzione cardiovascolare consistono in turbe
dell’automaticità della conduzione e della contrattilità, e possono essere a volte molto gravi,
essendo in grado di condurre fino all’arresto cardiaco. Per spiegare i meccanismi alla base di tali
fenomeni sono stati chiamati in causa diversi fattori. Negli ultimi anni grande attenzione è stata
riservata alla biochimica e al ruolo biologico delle specie reattive dell’ossigeno, in quanto esse
possono determinare danni ossidativi a livello cellulare e tessutale. Le sostanza proossidanti più
note, derivanti dall’ossigeno, sono l’anione superossido, il perossido di idrogeno ed il radicale
idrossilico, considerato il più tossico. A livello subcellulare e biochimico, è stato documentato che
le specie reattive dell’ossigeno alterano l’attività di enzimi quali Na+/K+-ATPasi, fosfolipasi D,
glucosio-6-fosfatasi e citocromo ossidasi. Risulta modificata anche l’omeostasi intracellulare del
calcio tramite alterazioni dello scambio Na+/Ca++, del trasporto del reticolo sarcoplasmatico e
dell’uptake mitocondriale dello ione.
I radicali liberi sembrano giocare un importante ruolo anche nella patogenesi della patologia
ischemica miocardica. Grandi quantità di radicali liberi come O2-•, OH•, 1O2, si formano durante la
riperfusione del miocardio ischemico. Il danno avviene non nella fase ischemica, ma durante la
riperfusione. Sotto condizioni ischemiche, la xantina deidrogenasi è convertita ad ossidasi,
producendo O2-• da ipoxantina o xantina e ossigeno, e OH• nella reazione di Fenton. E’ noto che i
radicali liberi danneggiano i monociti direttamente. Essi, inoltre, reagiscono con i PUFA (acidi
grassi polinsaturi) della parete e del siero dell’aorta, e con perossidi lipidici (LPO), contribuendo
alla formazione della cellula schiumosa .
I radicali liberi inducono, infine, degenerazione molecolare correlata all’invecchiamento, agendo
sulle varie macromolecole di fondamentale importanza per la vita cellulare (Robbins, 2000). Essi
infatti possono essere la causa dell’insorgenza di malattie neurodegenerative come: Morbo di
Alzhaimer, Morbo di Parkinson. L’Alzhaimer è la più frequente forma di demenza senile in cui il
deterioramento progressivo delle funzioni cognitive, del linguaggio e del comportamento è
associato a depositi extracellulari di una proteina β-amiloide e a inclusioni intracellulari di ammassi
neuro fibrillari in regioni cerebrali responsabili di funzioni intellettive. Nel morbo di Parkinson
l’attenzione è stata rivolta alla possibilità che lo stress ossidativo prodotto dal metabolismo della
dopamina potesse essere alla base della vulnerabilità selettiva dei neuroni dei neuroni
dopaminergici. E’ stato pertanto dimostrato che l’assunzione durante tutta la vita di sostanze
antiossidanti, come la vitamina E, rallenta il processo di invecchiamento (Pontieri, 2005)..
In funzione della determinazione del potenziale antiossidante degli estratti delle specie oggetto di
studio, sono stati applicati 2 metodi, che differiscono nelle condizioni sperimentali e nel principio
su cui si basano: il DPPH test ed il -carotene bleaching test.
2.5.1 DPPH test
Il DPPH test (Wang, 1998) è una tecnica usata frequentemente che prevede di generare un catione
radicale cromoforo stabile, come il DPPH (difenilpicrilidrazile), e di valutare poi la capacità
dell'antiossidante in base alla diminuzione di assorbanza che si osserva in seguito alla cattura del
radicale; la reazione che avviene è la donazione di un idrogeno dall'antiossidante (RH) al DPPH. Il
test è stato realizzato in accordo al protocollo messo a punto nella fase iniziale del progetto stesso e
viene calcolato in base all’equazione:
% inibizione = [1- (assorbanza DPPH con estratto - assorbanza estratto/assorbanza DPPH
senza estratto) x 100].
I risultati ottenuti sono riportati in tabella 3.
Tabella 10. Attività radical scavenging: DPPH test.
Azienda F
Campione
raccolta I
Azienda M
raccolta II
raccolta I
raccolta II
IC50 (μg/mL)
Cichorium intybus
24.14 ± 0.02
37.09 ± 0.02
N.D.
72.27 ± 0.01
Sonchus crispus
22.09 ± 0.02
33.00 ± 0.01
44.33 ± 0.02
43.01 ± 0.02
Picris hieracioides
11.32 ± 0.03
30.28 ± 0.01
40.67 ± 0.02
63.15 ± 0.01
Periodi di raccolta: I-maggio 2011, II-novembre 2011. I dati sono espressi come media ± E.S.(n =
3). N.D.=Non Determinato. L’acido ascorbico (IC50 = 2 ± 0.01 μg/mL) è stato impiegato come
controllo positivo.
Questo tipo di analisi è rapido e semplice, e garantisce risultati affidabili. Esistono, però, anche
alcuni svantaggi: per esempio, molti antiossidanti che reagiscono rapidamente con i radicali
perossile sono invece poco reattivi, o addirittura inerti, nei confronti del DPPH. Per questo motivo
l’attività antiossidante è stata valutata anche attraverso il -carotene bleaching test.
2.5.2 -carotene bleaching test
Questo metodo si basa sull’ossidazione accoppiata del β-carotene e dell’acido linoleico. La tecnica
consiste nella misurazione della decolorazione (bleaching) del β-carotene dovuta all’ossidazione
causata dai prodotti di degradazione dell’acido linoleico che si formano quando la miscela è
sottoposta a temperatura elevata. I prodotti di ossidazione (idrossiperossidi del lipide, dieni
coniugati e sottoprodotti volatili) dell’acido linoleico simultaneamente attaccano il β-carotene,
provocando la decolorazione del suo caratteristico colore giallo (Amin et al., 2004).
L’aggiunta alla miscela di reazione (β-carotene + acido linoleico) di una sostanza antiossidante
inibisce l’ossidazione del β-carotene e mantiene costante nel tempo i valori di assorbanza.
Sebbene questa metodica abbia limiti tecnici dovuti alla necessità di formare e mantenere
un’emulsione durante la prova, è un discreto indicatore dell’efficacia nella difesa ossidativa.
Gli estratti a diverse concentrazioni sono stati posti in un bagno di acqua a 45° C e l’assorbanza è
stata letta alla lunghezza d’onda di 470 nm ad un tempo iniziale (t = 0) e successivamente a 30 e 60
min.
2 ml di soluzione di -carotene (0.5 mg/ml in cloroformio) viene aggiunta a 0.04 ml di acido
linoleico e 0.4 ml Tween 20 al 100%. La miscela viene poi evaporata a 40 °C per 10 min attraverso
un evaporatore rotante per eliminare il cloroformio. Dopo evaporazione la miscela viene
immediatamente diluita con 150 ml di acqua distillata. L’acqua viene aggiunta lentamente alla
miscela e agitata vigorosamente per formare un’emulsione. 5 ml dell’emulsione vengono trasferiti
in differenti provette contenenti 0.2 ml di campioni a diverse concentrazioni. Come controllo è
stata usata una miscela di 0.2 ml di etanolo al 70% in 5 ml della su citata emulsione. Le provette
vengono poi agitate lentamente e poste a 45 °C in un bagno di acqua. La misura viene condotta ai
tempi visti precedentemente. Tutti i campioni vengono saggiati in triplicato. L’attività antiossidante
(AA) viene misurata in termini di successo di decolorazione del -carotene usando la seguente
equazione.
AA = [ 1- (A0 - At)/ (A0° - At°) ] x 100
dove:
A0 = valore assorbanza del campione misurato al tempo iniziale, t= 0, di incubazione;
A°0 = valore di assorbanza del controllo misurato al tempo iniziale, t= 0, di incubazione;
At = valore assorbenza del campione misurato dopo 30 o 60 minuti di incubazione;
A°t = valore assorbenza del controllo misurato dopo 30 o 60 minuti di incubazione.
I risultati ottenuti dal test antiossidante del -carotene sono riportati in tabella 4.
Tabella 11. Attività antiossidante: -carotene bleaching test
Campione
Azienda
Raccolta
IC50 (μg/mL)
30 min
60 min
Cichorium intybus
F
I
21.97 ± 0.03
23.02 ± 0.02
Sonchus crispus
F
I
13.96 ± 0.02
23.43 ± 0.02
Picris hieracioides
F
I
8.15 ± 0.01
12.91 ± 0.01
Cichorium intybus
M
I
N.D.
N.D.
Sonchus crispus
M
I
24.14 ± 0.03
27.35 ± 0.03
Picris hieracioides
M
I
11.82 ± 0.02
19.04 ± 0.01
Cichorium intybus
F
II
2.57 ± 0.10
2.74 ± 0.06
Sonchus crispus
F
II
3.69 ± 0.09
6.18 ± 0.05
Picris hieracioides
F
II
7.00 ± 0.03
8.66 ± 0.02
Cichorium intybus
M
II
28.52 ± 0.10
38.24 ± 0.10
Sonchus crispus
M
II
14.67 ± 0.06
27.71 ± 0.12
Picris hieracioides
M
II
40.65 ± 0.12
42.89 ± 0.22
(periodi di raccolta: I-maggio 2011, II-novembre 2011; aziende: F: azienda agricola Filippelli
(capofila del progetto), M: azienda Agricola Martirano) I dati sono espressi come media ± E.S.(n =
3). Il gallato di propile (IC50 = 1 ± 0.02 μg/mL) è stato impiegato come controllo positivo. N.D.=
Non Determinato.
I risultati mostrano come gli estratti possiedono una buona attività antiossidante se paragonati ai
composti usati come controllo positivo. In particolare, per i campioni raccolti presso l’azienda
Filippelli (azienda capofila del progetto) si segnala l’attività del Picris hieracioides raccolto nel
periodo primaverile (maggio) che presenta una attività dello stesso ordine di grandezza dell’acido
ascorbico (scelto come controllo positivo nel DPPH test). Mentre in relazione all’attività
antiossidante indagata attraverso il -carotene bleaching test, i risultati ottenuti dagli estratti di
Cichorium intybus provenienti dall’azienda Filippelli nel II periodo di raccolta, mostrano un’attività
similare al composto scelto come controllo positivo (propil gallato).
I risultati ottenuti in questa fase del progetto mostrano come gli estratti delle specie selezionate per
lo studio, presentano interessanti attività biologiche (antiossidanti) dipendenti dal periodo di
raccolta. Questo dato va tuttavia ulteriormente indagato per determinare (qualitativamente e
quantitativamente) la composizione fitochimica responsabile dell’attività biologica.
Il test prevede la preparazione di una soluzione di estratto ad una concentrazione di 2 mg/ml in
EtOH 80%. La quercetina è stata utilizzata come standard.
1 ml di campione viene diluito con 1 ml di AlCl3 2% in soluzione etanolica. Si lascia riposare per
15 min al buio. L’assorbanza viene letta a 430 nm. Il contenuto totale di flavonoidi viene espresso
come equivalenti di quercetina in mg per g di estratto totale.
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