i riflessi economici dell`assegnazione della casa familiare

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i riflessi economici dell`assegnazione della casa familiare
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AIAF RIVISTA 2011/3 • settembre-dicembre 2011
I RIFLESSI ECONOMICI DELL’ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE
Marina Blasi
Avvocato del Foro di Roma
1. Premessa
La crisi della famiglia e la rottura della comunione spirituale e materiale tra i coniugi impongono,
ad almeno uno di loro, uno sradicamento dal proprio habitat che si ripercuote sull’equilibrio e sulla stabilità della persona, oltre che incidere sensibilmente sul tenore di vita e sulle condizioni economiche dell’intero nucleo familiare.
L’attribuzione del godimento della casa coniugale, che viene disposto tenendo conto prioritariamente dell’interesse dei figli, produce però effetti anche nei confronti di terzi non appartenenti al
nucleo familiare in crisi, terzi ai quali è opponibile detta assegnazione. Si pensi ad esempio al comodante o al locatore che vedono la successione nel contratto di persona diversa da quella con
cui era stato stipulato.
Oggi dell’incidenza economica dell’assegnazione della casa coniugale prende atto l’art. 155 quater
c.c. che, disponendo che “il giudice deve tener conto nella regolamentazione dei rapporti economici tra i genitori, considerando l’eventuale titolo di proprietà”, senza indicazione di automatismi e di
criteri di valutazione, rimette al giudice della separazione o del divorzio la valutazione, caso per
caso, dell’incidenza delle conseguenze economiche, anche rispetto ai terzi, dell’assegnazione della casa coniugale, che può però controbilanciare solo tra i genitori. Si tratta di un punto di arrivo
che rimette all’interprete la valutazione caso per caso, recependo le difficoltà che lo stesso legislatore negli anni si è trovato ad affrontare per contemperare gli interessi della proprietà, l’interesse
della prole, l’interesse dei terzi.
Sino alla riforma del diritto di famiglia (l. 151/1975) nessuna norma in caso di separazione o di divorzio consentiva di privare il coniuge proprietario della casa del suo diritto di godimento dell’appartamento per assegnarlo in uso all’altro coniuge1 né di imporre al coniuge titolare del contratto
di locazione di mettere l’abitazione coniugale a disposizione dell’altro2, privilegiandosi in tal modo
il diritto del proprietario o la titolarità del diritto di godimento del bene.
Con la legge 151/1975 è stato riformato l’art. 155 c.c. al quarto comma disponendo che “l’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza, e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli”, mentre di poco successiva è la legge sull’equo canone (l. 392/1978) che all’art. 6 ha previsto
che nel caso di separazione giudiziale, di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nel contratto di locazione al conduttore succede l’altro coniuge, se il diritto di abitare la casa familiare sia stato attribuito dal giudice a quest’ultimo.
Si tratta del punto di partenza per la tutela del minore al mantenimento dell’habitat domestico.
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Cass. n. 122/1964.
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Cass. n. 2612/1951.
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In assenza di disposizioni analoghe nella legge per il divorzio, si discuteva se l’assegnazione potesse estendersi anche in caso di divorzio. Il contrasto giurisprudenziale che ne è conseguito è stato risolto in senso affermativo dalle Sezioni unite della Cassazione con sentenza n. 4089/1987. Nello stesso anno la legge di riforma del divorzio (l. 74/1987) modificava l’art. 6, introducendo al sesto comma la seguente previsione “l’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età”, e inserendo inoltre due paragrafi con cui dispone che “in ogni caso ai fini della assegnazione il giudice dovrà valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole. L’assegnazione in quanto trascritta è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell’art. 1599 c.c.”.
La riforma del divorzio introduce la possibilità di assegnazione al coniuge più debole, comprimendo in tal senso l’estensione del diritto di proprietà, ma al contempo evidenzia la necessità di considerare e valutare le condizioni economiche dei coniugi nel giudizio sull’an dell’assegnazione.
La legge 54 del 2006 sull’affidamento condiviso e per la tutela della prole nei processi separativi,
considerate le implicazioni di tale tutela con gli aspetti patrimoniali ed economici, è intervenuta
nella disciplina dell’assegnazione della casa familiare con l’introduzione dell’art. 155 quater c.c., eliminando gli elementi di discontinuità tra i diversi tipi di processi separativi attraverso l’equiparazione della prole.
L’art. 4.2 della citata legge prevede infatti che essa si applichi integralmente in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio nonché ai provvedimenti relativi ai
figli di genitori non coniugati. È dunque normata la possibilità di assegnazione della casa familiare nelle coppie di fatto, anche se questa era stata già riconosciuta dalla Corte Costituzionale con la
nota sentenza interpretativa di rigetto n. 166/19983 e dalla Corte di legittimità4.
Sempre ispirata alla tutela della prole, la l. 54/2006 ha altresì esteso la tutela dei figli minori anche
ai figli portatori di handicap con l’art. 155 quinquies, secondo comma, c.c., che recita: “Ai figli maggiorenni portatori di handicap grave ai sensi dell’art. 3, 3° cp, l. 104/1992 si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori”5.
Di tali disposizioni si ritiene non debbano applicarsi quelle relative alla capacità, in quanto a esse
si applicano le norme dell’amministrazione di sostegno, interdizione e inabilitazione. Si devono invece ritenere applicabili: le disposizioni in merito al contributo di mantenimento, anche considerando che frequentemente il portatore di handicap è titolare di pensione di invalidità e di indennità di accompagnamento; le disposizioni in merito alla suddivisione tra i genitori dei compiti di
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La Consulta con la pronuncia n. 166/1998 non riteneva necessaria una specifica norma, essendo la tutela del figlio naturale
immanente nell’ordinamento, dal momento che la condizione dei figli deve essere considerata come unica, senza che abbiano influenza le circostanze della nascita e perché il fatto che i genitori siano o meno legati da un vincolo coniugale non può determinare una condizione deteriore per i figli, ciò in forza dell’art. 30 Cost. La Consulta rinviava all’art. 261 c.c. che stabilisce che il riconoscimento comporta l’assunzione da parte del genitore naturale di tutti quei diritti e quei doveri previsti dalla legge in relazione alla filiazione legittima e, dunque, rinvia al disposto degli artt. 147 e 148 c.c. che impongono ai genitori l’obbligo di mantenere, educare e istruire i figli, ciascuno secondo le proprie sostanze e capacità. Nell’ambito dell’obbligo di mantenimento assume importanza primaria, al fine di “garantire un corretto sviluppo psicologico e fisico del figlio”, “la predisposizione e la conservazione dell’ambiente domestico, considerato quale centro di vita, che contribuisce in misura fondamentale alla formazione armonica della personalità del figlio”. Invero, la Corte Costituzionale già nel 1988 con la sentenza n. 404 aveva già dichiarato incostituzionale l’art. 6 della egge equo canone (n. 392/1978) nella parte in cui non prevedeva la successione nel contratto di locazione del conduttore che abbia cessato la convivenza a favore del già convivente quando vi sia prole naturale. Infine la Corte Costituzionale, con sentenza interpretativa di rigetto n. 395 del 2005, ha chiarito che anche il provvedimento di assegnazione della
casa familiare al genitore naturale è trascrivibile e opponibile ai terzi.
4 Si veda Cass. 26 maggio 2004, n. 10102 che, in tema di famiglia di fatto e nell’ipotesi di cessazione della convivenza more
uxorio per asserire l’assegnazione della casa familiare al genitore convivente con la prole, rinvia alla sentenza n. 166 del 1998 della Corte Costituzionale.
5 Per la nozione di portatore di grave handicap la l. 104/1992 individua “colui che presenta una menomazione fisica, psichica
o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale ovvero di emarginazione”. In particolare il terzo comma dell’art. 3 stabilisce
che: “Qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sua sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravità. Le situazioni riconosciute di gravità determinano priorità nei programmi e negli interventi pubblici”.
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accudimento e di cura del figlio; le disposizioni in merito all’assegnazione della casa coniugale. Anche in questo caso la novella ha normato una tutela per il figlio con grave handicap, recependo
un consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità6.
Se da un lato l’art. 155 quater c.c. presenta un’impronta volta alla preminente tutela dell’interesse
del figlio al mantenimento dell’habitat domestico, dall’altro elimina ogni riferimento al coniuge debole, non avendo riproposto il paragrafo dell’art. 6., sesto comma, l.div. che aveva indotto a ritenere la sussistenza di finalità ulteriori da perseguire oltre a quelle, pur primarie, dell’interesse dei
figli. La valutazione economica ai fini dell’assegnazione oggi imposta assume rilievo esclusivamente nella regolamentazione dei rapporti economici tra i “genitori” e non tra i coniugi. La norma presuppone parità di condizioni tra i genitori con la possibilità che i figli possano godere delle stesse
opportunità presso ciascuno di essi, ma è indubbio che l’assegnazione della casa familiare crei condizioni più favorevoli al coniuge assegnatario, condizioni che possono e devono essere controbilanciate con l’adeguata regolamentazione dei loro rapporti economici, anche alla luce dell’attuale
contesto socioeconomico di crisi.
2. Le conseguenze economiche dell’individuazione della casa familiare
La definizione di casa familiare postula di per sé una serie di conseguenze in merito all’individuazione dell’immobile e alla sua estensione, che incidono considerevolmente sull’equilibrio economico dei genitori e sul tenore di vita anche dei figli.
Per casa familiare si intende il luogo dove si svolge in modo continuo e prevalente la convivenza
familiare7, il luogo che costituisce il centro di aggregazione della famiglia, degli interessi e delle
abitudini in cui si esprime la vita familiare e si svolge la continuità delle relazioni domestiche, connotato da caratteri di stabilità e continuità.
L’importanza e la funzione della casa familiare, oltre che nel momento patologico della crisi, emergono altresì nella formazione della famiglia, come indicato dagli artt. 144, 145, 146 c.c. da cui si
evince la necessità di un centro di affetti e di aggregazione del nucleo familiare che abbia i caratteri di continuità e abitualità.
L’obbligo di coabitazione va interpretato in relazione all’art. 144 c.c., che sottopone la fissazione
della residenza familiare all’accordo tra i coniugi in base alle esigenze di entrambi e a quelle preminenti della famiglia, e all’art. 45 c.c., che attribuisce a ciascun coniuge la facoltà di avere un proprio domicilio autonomo rispetto alla residenza della famiglia, nel luogo in cui hanno sede principale i propri affari.
I coniugi non hanno l’obbligo di fissare la residenza anagrafica nel medesimo luogo e il dovere di
coabitazione è compatibile con la residenza anagrafica di uno o di entrambi i coniugi in altro luogo rispetto alla residenza familiare8.
Ai fini quindi dell’individuazione della casa familiare da assegnare ai sensi dell’art. 155 quater c.c.,
il giudice dovrà tenere conto della residenza familiare, indipendentemente dalla diversa residenza
anagrafica, scongiurando in tal modo la sottrazione dell’habitat domestico ai figli e al genitore collocatario attraverso espedienti meramente anagrafici.
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In particolare, con la sentenza n. 16027/2001 la Corte di Cassazione ha definitivamente chiarito la situazione dei figli maggiorenni portatori di handicap. In tale pronuncia, argomentando dal principio ispiratore dell’istituto dell’assegnazione della casa coniugale – e cioè di misura di protezione dei figli volta a evitare l’ulteriore lacerazione di un allontanamento coattivo dal focolare
domestico –, ha parificato la situazione del figlio maggiorenne completamente privo di autonomia economica – peraltro conseguenza della condizione di invalidità alla posizione del minore – e, quindi, ha ritenuto applicabile l’art. 155, quarto comma, c.c.
in forza di interpretazione estensiva.
7 Cass. n. 3934/1980; n. 9157/1993; n. 2338/2006.
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Sesta, Diritto di famiglia, Padova, 2005, 2° ed., 110 ss.; Belvedere, Residenza e casa familiare riflessioni critiche, in Riv. crit.
dir. priv., 1988, 244.
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Non può ritenersi motivo valido a costituire deroga al criterio preferenziale, previsto dall’art. 155
c.c., la destinazione a studio professionale di parte dell’abitazione coniugale, considerato che l’attività professionale può adeguatamente essere svolta anche in altro luogo, sicché lo spostamento di
uno studio professionale, non infrequente nell’attuale sistema sociale, non esclude il ripristino dell’attività in altra sede, comportando al più un iniziale rallentamento dell’attività lavorativa, destinato a dissolversi nel tempo9.
Qualificata la casa familiare in relazione alla funzione di centro di aggregazione, non possono essere considerate tali le case acquistate durante la convivenza matrimoniale con la finalità di divenire casa familiare ma che non lo sono mai diventate per il sopravvenire della crisi o che sono state abitate solo da uno dei coniugi dopo la cessazione della convivenza10 in quanto manca l’elemento qualificante del centro attrattivo della communio.
Allo stesso modo non può essere oggetto del provvedimento un immobile in cui i coniugi ancora
non si sono trasferiti11 o che era già stato abbandonato12, anche se solo poco tempo prima della separazione, o ancora quell’immobile utilizzato, sia pure per lunghi periodi dell’anno, ma come casa di villeggiatura.
Deve dunque escludersi ogni immobile di cui i coniugi avessero la disponibilità o che comunque
usassero in via temporanea o saltuaria.
L’impossibilità per il giudice di assegnare o disciplinare il godimento delle seconde case può determinare uno sbilanciamento delle posizioni, così come nel caso in cui l’assegnatario non proprietario della casa coniugale assegnata sia al contempo proprietario della seconda casa di villeggiatura. Il giudice, non potendo disporre assegnazioni in deroga di quanto sopra, dovrà tenere conto di
tale squilibrio ai fini della quantificazione dell’assegno, considerando il valore economico della seconda casa quale fonte di reddito. In ogni caso nella separazione consensuale o divorzio congiunto è possibile per i genitori disciplinare e costituire un diritto di abitazione su di un immobile diverso da quello che fu la casa coniugale, ricorrendo a figure tipiche diverse da quelle disciplinate
dall’art. 155 quater c.c.
Individuato l’immobile qualificabile come casa familiare, deve poi analizzarsi la possibilità della sua
estensione, anch’essa produttiva di conseguenze economiche che devono essere considerate dal
giudice nella fase di bilanciamento delle posizioni economiche dei genitori.
La Corte Costituzionale, con la pronuncia n. 454/1989, ha chiarito che la casa familiare è quel complesso di beni funzionalmente attrezzato per assicurare l’esistenza domestica della comunità familiare, pertanto non è esauribile nell’immobile, poiché esso non sarebbe certo idoneo a garantire alla prole la continuazione del tenore di vita realizzato nel periodo della convivenza dei genitori,
comprendendo la normale dotazione di beni mobili e suppellettili per l’uso quotidiano di essa. Ciò
posto, non vi è dubbio che i coniugi, possano accordarsi per escludere taluni beni normalmente
compresi nell’arredo della casa coniugale13.
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Cass. 28 ottobre 2003, n. 16152.
10 Si veda la sentenza della Corte d’Appello di Roma, Sezione Persona e Famiglia, del 27 maggio 2009, n. 2244, che nel caso di
genitore convivente con la prole minorenne si sia allontanato, da tempo precedente la separazione, con la prole da detta casa,
ha ritenuto che detto appartamento avesse perso la caratteristica di “casa familiare”, poiché la prole si è ormai senza dubbio ambientata altrove e, di conseguenza, attualmente quella casa non costituisce più il proprio ambito familiare. Ancora si rinvia a Cass.
14 dicembre 2007, n. 26476 in cui si è stabilito che l’assegnazione della casa coniugale si giustifica in quanto finalizzata ad assicurare l’interesse della prole alla permanenza nell’ambiente domestico in cui essa è cresciuta; evenienza, questa, che postula la
destinazione dell’immobile a stabile abitazione del coniuge e del figlio. (Nel caso di specie la nega in quanto ha invece ravvisato il carattere della stabilità nella permanenza della ricorrente in una diversa città).
11 Si veda Cass. 27 febbraio 2009, n. 4816, con cui è stata negata l’assegnazione di un appartamento differente da quello in cui
la famiglia aveva vissuto anche se maggiormente rispondente alle necessità quotidiane della figlia adolescente.
12 Al riguardo la Corte d’Appello di Catania civile con decreto del 21 maggio 2009, in tema di modifica delle condizioni di divorzio, ha ritenuto che un appartamento, che da alcuni anni non risulti più arredato e sia inagibile per la mancata esecuzione dei
lavori di manutenzione necessari e non particolarmente onerosi, ha perso i connotati propri della casa coniugale, intesa come
centro di affetti e di legami dove i figli, minori o maggiorenni ma non economicamente indipendenti, hanno il loro habitat e il
cui abbandono comporterebbe un ulteriore trauma rispetto a quello subìto a seguito della disgregazione del nucleo familiare.
13 Cass. 25 maggio 1998, n. 5189.
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Tale divisione degli oggetti di valore potrebbe avere uno sfruttamento economico o tali oggetti potrebbero essere utilizzati dal non assegnatario per l’arredamento del suo nuovo alloggio, contenendo in tal modo le spese di quest’ultimo.
L’assegnazione si estende, inoltre, alle pertinenze della casa familiare quali la cantina e il box. Se
è vero che esse, costituendo pertinenza dell’abitazione, devono seguire le sorti della casa principale, ci si domanda se tale applicazione rigida dell’istituto dell’assegnazione della casa familiare sia
soddisfacente. Ferme restando infatti le esigenze di tutela dell’interesse dei figli, il giudice potrebbe non procedere a una assegnazione automatica del box, effettuando una valutazione del caso
concreto attraverso la verifica del reale apporto dello stesso a quel centro di aggregazione nel quale si è svolta la vita familiare e lo stretto collegamento dei figli con questo spazio. In tal modo potrebbero essere valorizzate le esigenze di lavoro del coniuge non collocatario, che abbia riposto
nel box gli strumenti di lavoro, ovvero la necessità di locare a terzi il box per incrementare il reddito della famiglia14.
In merito all’estensione della casa familiare, qualora questa venga limitata alla parte occorrente ai
bisogni delle persone conviventi della famiglia, il giudice potrebbe limitare l’assegnazione a quella parte di casa familiare realmente occorrente ai bisogni delle persone conviventi, tenendo conto
delle esigenze di vita dell’altro coniuge, e delle possibilità di godimento separato e autonomo dell’immobile, attraverso modesti accorgimenti o piccoli lavori, consentendo così ai minori di poter
accedere con facilità al genitore non collocatario-assegnatario di una parte dell’immobile originariamente unitario15. Tale soluzione ridurrebbe altresì gli effetti dell’assegnazione sul tenore di vita
degli stessi figli e sarebbe auspicabile soprattutto per situazioni di famiglie monoreddito, o con redditi bassi, e di casa familiare gravata da mutuo.
3. Le conseguenze economiche dell’assegnazione della casa familiare in base al titolo originario di godimento
Gli effetti economico patrimoniali dell’assegnazione della casa familiare si atteggiano diversamente a seconda del titolo di godimento in capo al coniuge originariamente titolare, titolo che il giudice valuta potendo comportare una sensibile riduzione del contributo di mantenimento a favore
dei figli e influire anche nella quantificazione del contributo a favore del coniuge separato e dell’assegno divorzile. Invero, anche se la novella del 2006 ha imposto la valutazione unicamente nei
rapporti economici tra i genitori, non è dubbio che, una volta assegnato l’immobile pur a esclusiva tutela e nell’interesse dei figli, il valore di una simile attribuzione si ripercuota anche sulla disciplina della posizione del coniuge assegnatario16.
Nell’ipotesi di casa di proprietà esclusiva dell’altro coniuge ovvero in comproprietà tra l’altro coniuge e terzi, l’assegnazione non sarà limitata in alcun modo, non essendo preclusa la divisione
eventualmente richiesta tra i comproprietari, divisione che non incide sul diritto del coniuge assegnatario. L’assegnazione influisce infatti sul godimento ma non sugli atti di disposizione dell’immobile, ai quali è opponibile l’assegnazione nel novennio e oltre se trascritta ai sensi dell’art. 155 quater c.c.
14 Cattaneo, La casa familiare, in Fam. pers. succ., 5/2011, 366 ss.
15 Cass. n. 26586/2009.
16 Si riporta Cass. 20 aprile 2011, n. 9079, secondo cui l’art. 156, secondo comma, c.c. stabilisce che il giudice debba determinare la misura dell’assegno “in relazione alle circostanze ed ai redditi dell’obbligato”, mentre l’assegnazione della casa familiare,
prevista dall’art. 155 quater c.c., è finalizzata unicamente alla tutela della prole e non può essere disposta come se fosse una componente dell’assegno previsto dall’art. 156 c.c.; tuttavia, allorché il giudice del merito abbia revocato la concessione del diritto di
abitazione nella casa coniugale (nella specie, stante la mancanza di figli della coppia), è necessario che egli valuti, una volta modificato in tal modo l’equilibrio originariamente stabilito fra le parti e venuta meno una delle poste attive in favore di un coniuge, se sia ancora congrua la misura dell’assegno di mantenimento originariamente disposto.
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Sotto il profilo economico tale assegnazione può determinare il giudice a escludere il contributo
nelle situazioni di nuclei familiari con redditi bassi e soprattutto nel caso in cui la casa sia di esclusiva proprietà del genitore non collocatario ed eventualmente anche gravato dal mutuo contratto
per il suo acquisto. Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte antecedente la novella del
2006, nella determinazione del contributo di cui deve essere onerato il proprietario non assegnatario della casa familiare deve considerarsi che l’utilità della stessa dovrebbe valutarsi in misura pari all’esborso occorrente per godere dell’immobile a titolo di locazione dal momento che, se la debolezza economica dell’ex coniuge non può influire sull’an di tale assegnazione, non si può escludere che il vantaggio economico ottenuto incida sul quantum dell’assegno di divorzio17.
In realtà il valore locatizio può costituire un punto di partenza della valutazione ma non deve essere l’unico elemento traducendosi in applicazioni automatiche, in quanto l’assegnazione della casa familiare ha la sua ratio nel soddisfacimento delle esigenze abitative della prole.
La novella del 2006 ha lasciato all’interprete la valutazione dei fattori economici e il giudice terrà
conto di tutte le circostanze rilevanti – personali, patrimoniali e reddituali – che caratterizzano il
caso concreto, partendo non tanto dal vantaggio economico del coniuge assegnatario, ma dal sacrificio economico cui l’altro coniuge andrà incontro per assicurarsi un nuovo alloggio.
Una valutazione più prossima al valore locatizio, pur senza automatismi e rigidità di sorta, potrebbe essere adottata, invece, nel caso di convivenza more uxorio e/o nuovo matrimonio del coniuge affidatario o, comunque, in tutti quei casi in cui nell’immobile vivano soggetti terzi (per esempio figli del coniuge assegnatario).
Tale soluzione consentirebbe ai minori figli della coppia di continuare a vivere nella casa mantenendo le abitudini e le relazioni affettive che hanno caratterizzato la loro vita prima della separazione dei genitori, garantendo un equo ristoro al genitore titolare del diritto, almeno nella parte in
cui il godimento dell’immobile sia a vantaggio di terzi.
La situazione di genitori comproprietari della casa coniugale è la più frequente, sia che si tratti della casa caduta in comunione legale sia che si tratti di acquisto in comunione ordinaria.
In tal caso l’assegnazione al coniuge collocatario della prole non comporta eccessive problematiche, incidendo sul diritto di proprietà essendone peraltro ammessa dalla giurisprudenza la divisione. In tale ipotesi l’assegnazione ex art. 155 quater c.c. influenzerà gli esiti della divisione con riferimento alla quantificazione del valore dell’immobile18, con riguardo alla divisibilità in natura (dovendosi privilegiare il mantenimento del godimento degli spazi idonei alla funzione di casa familiare) e, nel momento dell’assegnazione in caso di impossibilità di divisione, al comproprietario richiedente già assegnatario ai sensi dell’art. 155 quater c.c., escludendosi il ricorso al sorteggio.
Nel caso in cui la casa familiare è goduta a titolo di locazione, l’art. 6 della legge sull’equo canone prevede espressamente che: “In caso di separazione giudiziale o di scioglimento o di cessazione
degli effetti civili del matrimonio nel contratto di locazione succede al conduttore l’altro coniuge se
il diritto di abitare nella casa familiare sia stato attribuito dal giudice a quest’ultimo. Analogamente in caso di separazione consensuale e di nullità matrimoniale se i coniugi hanno così convenuto”,
determinando una successione ex lege dell’assegnatario all’originario conduttore nel contratto di locazione. Il rapporto con l’originario conduttore si estingue e non è più suscettibile di reviviscenza,
anche nel caso di abbandono della casa da parte dell’affidatario. Gli effetti dell’assegnazione si ripercuoteranno sulla quantificazione dell’assegno di mantenimento, stante l’onerosità del godimento della casa familiare che dovrà essere sostenuta dall’assegnatario con il proprio reddito e l’eventuale contributo di cui benefici a titolo di mantenimento.
Nel caso di alloggi di edilizia residenziale pubblica, la situazione non cambia, atteso che numerose leggi regionali riproducono il contenuto dell’art. 6 l. equo canone prevedendo la successione
del coniuge convivente con la prole all’originario assegnatario. L’originario assegnatario potrà concorrere per una nuova assegnazione.
17 Cass. n. 15722/2005.
18 Cass. n. 9310/2009.
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Spesso accade che un genitore della coppia, o anche un terzo, conceda in comodato un immobile di sua proprietà affinché sia destinato a casa coniugale. L’orientamento consolidato della Cassazione è sempre stato nel senso di ammettere l’assegnabilità, con la conseguenza che il coniuge affidatario subentra nel rapporto di comodato così come subentra nel contratto di locazione19. La Corte di Cassazione a Sezioni unite, con sentenza n. 13603/2004, ha inoltre specificato che il diritto del
coniuge assegnatario trova nuovo e autonomo titolo nel provvedimento giudiziale in cui rileva la
nozione di casa familiare; in questa prospettiva il dato oggettivo della destinazione a casa familiare, finalizzato a consentire un godimento per definizione esteso a tutti i componenti della comunità familiare, comporta che il soggetto che formalmente assume la qualità di comodatario riceve il
bene, non solo e non tanto a titolo personale, quanto piuttosto quale esponente della comunità familiare.
Per effetto della concorde volontà delle parti, dunque, si configura un vincolo di destinazione dell’immobile alle esigenze abitative familiari idoneo a conferire all’uso cui la cosa doveva essere destinata il carattere di termine implicito della durata del rapporto, la cui scadenza non è determinata, ma è strettamente correlata alla destinazione impressa e alle finalità cui essa tende: né tale vincolo può considerarsi automaticamente caducato per il sopravvenire della crisi coniugale. Rigoroso dovrà pertanto essere l’accertamento della volontà delle parti di adibire l’immobile a casa familiare20. Resta salva in ogni caso la facoltà del comodante di chiedere la restituzione nell’ipotesi di
sopravvenienza di un bisogno segnato dai requisiti dell’urgenza e della non previsione ai sensi dell’art. 1809, secondo comma, c.c.21.
Da ultimo, una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione22 ha disatteso l’indirizzo espresso
dalle Sezioni unite, ribadendo che nel comodato precario la determinazione del termine di efficacia del vinculum iuris è rimesso in via potestativa al comodante che ha facoltà di manifestarla ad
nutum con la semplice richiesta di restituzione del bene, senza che assuma rilievo la circostanza
che l’immobile sia stato adibito a uso familiare e sia stato assegnato in sede di separazione dei beni al coniuge affidatario dei figli.
È bastata nel caso di specie la produzione di certificati medici e di una generica comunicazione
con la quale alla comodante era stata trasmessa la volontà da parte del figlio di non volerla più
ospitare in casa propria, per esigenze personali, perché si ritenesse sussistente lo stato di bisogno
sopravvenuto, caratterizzato dall’urgenza e non previsione, per considerare applicabile il disposto
della norma sopra richiamata.
Quanto agli effetti economici dell’assegnazione di casa familiare goduta in comodato, considerata
la gratuità del godimento del bene, valgono le considerazioni relative al bene di proprietà esclusiva del genitore, ai fini del bilanciamento degli interessi e delle questioni economiche, compreso il
costo del sacrificio per il non assegnatario di trovare altra abitazione.
Se la casa è attribuita a un coniuge in virtù di un contratto di portierato o di custodia, trattandosi
di una modalità di retribuzione di un’attività lavorativa prestata, si ritiene impossibile procedere all’assegnazione. Analogamente in caso di alloggio di servizio riservato al personale delle forze armate, soprattutto nel caso in cui il militare abbia tra i propri doveri connessi alla funzione ricoperta quello di abitare in detto alloggio sito in caserma o in aeroporto. Pertanto in tali casi dovrà te-
19 Cass. 929/1995; Cass. 10258/1997.
20 Si rinvia a Cass. 11 agosto 2010, n. 18619 che ha stabilito che l’effettività della destinazione a casa familiare da parte del comodante non può essere desunta dalla mera natura immobiliare del bene concesso, ma implica un accertamento in fatto che postula una specifica verifica della comune intenzione delle parti attraverso una valutazione globale dell’intero contesto nel quale il
contratto si è perfezionato, della natura dei rapporti tra le medesime, degli interessi perseguiti e di ogni altro elemento che possa far luce sull’effettiva intenzione di dare e ricevere il bene allo specifico fine della sua destinazione a casa familiare. Una volta
escluso, su tali basi, che il contratto di comodato concluso da una donna con il figlio implichi anche la destinazione a casa familiare, diviene inapplicabile il principio di diritto affermato nella citata sentenza n. 13603 del 2004 e, pertanto, la comodante non
è tenuta a consentire la continuazione del godimento dell’immobile da parte della nuora, pur essendo questa assegnataria dell’immobile in quanto convivente con i figli.
21 Analoga posizione è stata espressa dalla Cassazione con sentenza n. 3072/2006.
22 Cass. 7 luglio 2010, n. 15986.
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nersi conto, nel contributo per il mantenimento della prole e del genitore con essa convivente, della necessità di reperire altra abitazione da adibire a casa familiare e i relativi costi connessi.
4. Le conseguenze economiche della durata dell’assegnazione della casa familiare
Ai sensi dell’art. 155 quater c.c., la collocazione o l’affidamento della prole sono presupposti indispensabili dell’assegnazione della casa familiare, non potendosi disporre altrimenti alcuna assegnazione; diversamente non sarebbe modificabile a seguito del raggiungimento della maggiore età e
dell’indipendenza economica da parte dei figli, traducendosi in una sostanziale espropriazione del
diritto di proprietà, tendenzialmente per tutta la vita del coniuge assegnatario, in danno del titolare e/o contitolare.
Nonostante il rinnovarsi, nel tempo, di opinioni che ammettono l’assegnazione della casa anche
come componente in natura dell’adempimento dell’obbligo a mantenere il coniuge (o a corrispondere contribuzione post matrimoniale all’ex coniuge) economicamente più debole, ormai la costante giurisprudenza della Suprema Corte, seguita pure dalla quasi totalità dei giudici di merito, indica la possibilità di assegnare il godimento della casa esclusivamente al genitore convivente con la
prole23.
Il venir meno del presupposto della convivenza con i figli comporta quindi che la casa coniugale
non possa essere assegnata né al coniuge che non vanti alcun diritto, reale o personale, sull’immobile, né al coniuge che ne sia proprietario, proprio in virtù dello scopo dell’assegnazione, e in tal
caso il giudice della separazione o del divorzio deve respingere le contrapposte domande di assegnazione del godimento esclusivo della casa, lasciandone la disciplina agli accordi tra i coniugi24.
La sussistenza di un interesse dei figli a continuare a vivere nella casa in cui sono cresciuti va dunque accertato caso per caso dal giudice che, nel determinarsi, deve avere esclusivo riguardo all’interesse della prole, subordinando a tale interesse le esigenze di vita dell’altro coniuge, anche eventualmente collegate allo svolgimento di attività lavorativa o imprenditoriale nell’abitazione familiare25.
In tema di separazione, l’assegnazione della casa familiare postula l’affidamento dei figli minori o
la convivenza con i figli maggiorenni non ancora autosufficienti.
23 Si veda Cass. 17 dicembre 2007, n. 26574, che ha stabilito che in materia di separazione (come anche di divorzio) l’assegnazione della casa familiare è finalizzata all’esclusiva tutela della prole e dell’interesse di questa a permanere nell’ambiente domestico in cui è cresciuta, non potendo essere disposta, a titolo di componente degli assegni rispettivamente previsti dagli articoli
156 del c.c. e 5 della legge n. 898 del 1970, in caso di divorzio, per sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole,
a garanzia delle quali sono destinati unicamente gli assegni sopra indicati. Tali princìpi troverebbero conferma anche alla stregua
dello ius superveniens costituito dalla legge n. 54 del 2006 che ha aggiunto all’articolo 155 del c.c. – a proposito di provvedimenti riguardo ai figli – l’articolo 155 quater. La nuova disposizione, infatti, mostra di volere dare consacrazione legislativa, con riferimento all’interesse dei figli in genere – e non più all’affidamento dei figli minori – proprio al consolidato orientamento giurisprudenziale, statuendo che il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli e
che il giudice tiene conto dell’assegnazione nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerando l’eventuale titolo di proprietà. Nello stesso senso si vedano: Cass. 16 maggio 2007, n. 11305; Cass. 28 settembre 2007, n. 20514; Cass. 14 maggio 2007, n. 10994; Corte d’Appello di Roma, Sez. Persona e Famiglia civ., 4 febbraio 2009, n. 538.
24 Si veda Cass. 18 febbraio 2008, n. 3934. Conforme: Cass. 22 marzo 2007, n. 6979 secondo cui, inoltre, “In mancanza di una
normativa speciale in tema di separazione, la casa familiare in comproprietà è soggetta, infatti, alle norme sulla comunione, al
cui regime dovrà farsi riferimento per l’uso e la divisione”; Cass. 14 dicembre 2007, n. 26476; Cass. 20 settembre 2007, n. 19449
secondo cui l’assegnazione non può svolgere funzione perequativa delle condizioni reddituali del coniuge che ne goda; Cass. 26
gennaio 2006, n. 1545; Tribunale di Monza, Sez. IV, 10 dicembre 2007; Corte d’Appello di Roma, 28 maggio 2008, n. 2249.
Contra: la pronuncia del Tribunale di Viterbo del 12 ottobre 2006 secondo cui “l’istituto dell’assegnazione della casa familiare è
stato ridisegnato rispetto a quello precedentemente vigente, nel senso che scomparso il criterio preferenziale, costituito dall’affidamento dei figli minori o dalla presenza di figli maggiorenni, l’attribuzione dell’alloggio viene condizionata all’interesse dei figli.
Pertanto la norma non può escludere in via assoluta che in assenza di prole sia possibile assegnare la casa in virtù di altri criteri quali quello della tutela del coniuge economicamente o anche moralmente più debole dell’altro”. (Nello stesso senso Tribunale
di Lecce 10 novembre 2006, secondo il quale il godimento della casa familiare in comproprietà può essere assegnato dal giudice
della separazione anche al coniuge che non sia affidatario dei figli).
25 Cass. 17 dicembre 2009, n. 26586.
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Suddetta scelta però non può essere condizionata dalla ponderazione tra gli interessi di natura
esclusivamente economica dei coniugi, o tanto meno degli stessi figli, in cui non entrino in gioco
le esigenze della permanenza di questi ultimi nel quotidiano loro habitat domestico, dovendo essere subordinata esclusivamente a quest’ultima imprescindibile esigenza sulla quale possono interferire, ma non certo prevalere, interessi di carattere economico, ancorché riferiti, indirettamente, alla sfera patrimoniale degli stessi figli26.
La rigidità di applicazione di tale principio può determinare, nel privilegio della conservazione dell’habitat familiare, una riduzione delle altre abitudini del minore, quali ad esempio attività ludiche,
ricreative, sportive. In tal senso il trasferimento di residenza di un genitore non implica in alcun
modo il trasferimento della residenza del minore, prevedendosi che nell’ipotesi di mutamento della residenza o del domicilio da parte di uno dei genitori, l’altro possa chiedere – se il mutamento
interferisce con le modalità dell’affidamento – la ridefinizione degli accordi o dei provvedimenti
adottati, ivi compresi quelli economici, dopo aver valutato l’interesse della prole a cambiare o meno la residenza.
Il raggiungimento dell’indipendenza economica del maggiorenne determina la possibilità di revoca dell’assegno di mantenimento oltre alla revoca dell’assegnazione della casa coniugale.
Giova precisare che la revoca dell’assegno di mantenimento al figlio maggiorenne non comporta
automaticamente che il figlio sia da considerarsi autosufficiente e che di conseguenza debba essere revocata anche l’assegnazione della casa familiare alla madre con la quale il figlio continua a vivere27.
In relazione ai figli maggiorenni è emerso, in alcuni interventi giurisprudenziali, un particolare significato di autosufficienza intesa come autosufficienza di tipo psicologico, proprio con riguardo
alle problematiche legate alla casa familiare. Si è infatti ritenuto che i figli, una volta cresciuti, non
hanno più la stessa esigenza di mantenere l’ambiente domestico come punto di riferimento per il
loro equilibrio. Di conseguenza è più facile che, pur in assenza di una raggiunta indipendenza del
figlio, venga meno l’esigenza di comprimere i diritti dell’altro coniuge sulla casa familiare.
Nei rapporti familiari che interessano i figli maggiorenni va allora accertato non tanto il requisito
della mera coabitazione, ma piuttosto della convivenza, intesa come effettiva comunanza di vita,
condivisione dell’ambiente domestico.
Pertanto, l’attenzione dell’interprete dovrebbe polarizzarsi sul rapporto tra la casa e i soggetti che
la abitano, per verificare se il ritorno saltuario del figlio nell’immobile giustifichi il sacrificio del coniuge che ne è titolare, costituendo un sostegno, soprattutto morale e psicologico, al figlio nella
fase conclusiva della sua formazione culturale e sociale: quella che precede il momento della sua
indipendenza patrimoniale ed esistenziale, che nell’attuale contesto socio-economico è sempre più
ritardato. Devono distinguersi due situazioni: il caso in cui il ragazzo abbia ancora l’esigenza di
mantenere l’habitat domestico nel quale è cresciuto e il diverso caso in cui non sia ancora in grado di avere una propria abitazione. In questa seconda ipotesi il provvedimento di assegnazione si
trasformerebbe in una modalità di adempimento dell’obbligo di mantenimento gravante sul genitore non convivente28.
26 Cass. 22 novembre 2010, n. 23591.
27 Cass. 22 aprile 2005, n. 8539.
28 Cass. 22 marzo 2010, n. 6861 ha confermato la natura di casa familiare e non ha revocato l’assegnazione nel caso di un figlio che risultava trasferito in un altro Comune. Secondo la Corte, il trasferimento in altro Comune, risultante dai registri anagrafici, potrebbe essere collegato a una ricerca di lavoro, magari provvisoria. Sarebbe ipotizzabile, si sottolinea nella sentenza, una
scissione tra domicilio, luogo in cui il soggetto ha stabilito (o conservato) la sede principale dei suoi affari e interessi (personali
e patrimoniali) e residenza, luogo di dimora abituale (provvisoriamente differente), come indicato dall’articolo 43 c.c.
Il Tribunale di Catania, I Sez. civ., con decreto del 26 febbraio 2010, ha ritenuto che debba disporsi la revoca dell’assegnazione
della casa coniugale, essendo venuta meno la conformità dell’assegnazione della casa all’effettivo interesse della figlia al mantenimento dell’habitat domestico e dovendo prevalere l’interesse del padre all’esplicazione del proprio diritto dominicale. Nella specie il Tribunale, pur riconoscendo che la ragazza, maggiorenne, non è ancora economicamente autosufficiente e convive con la
madre, ha ritenuto che la stessa, che frequenta l’università in un’altra città, non ha più interesse a mantenere l’habitat, posto che
tra l’altro la madre ha contratto nuove nozze.
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L’art. 155 quater c.c., inoltre, ha inserito tra i fatti estintivi dell’assegnazione anche la convivenza
more uxorio o il nuovo matrimonio del genitore assegnatario non titolare di diritto reale o personale di godimento della casa familiare. Sembra che il legislatore abbia preso in considerazione la
situazione del coniuge non affidatario, a volte proprietario esclusivo dell’abitazione e che spesso,
nella prassi, deve tollerare di vedere la sua casa abitata dal nuovo compagno del suo ex.
Fin dall’entrata in vigore della norma se ne è però profilata l’incostituzionalità, evidenziando la
compromissione alla libertà individuale di coltivare nuove relazioni sentimentali dopo la cessazione della convivenza coniugale, l’ingiustificata disparità di trattamento dei figli a seconda delle scelte dei loro genitori, l’ingiusta sottovalutazione dell’interesse della prole a mantenere l’habitat familiare rispetto all’interesse del soggetto titolare del diritto reale o personale sulla casa familiare con
stravolgimento delle finalità dell’istituto.
La nuova normativa, ritenuta in contrasto con gli artt. 30, 3 e 29 Cost. laddove prevede la revoca
con carattere di automatismo dell’assegnazione in caso di nuovo matrimonio o di convivenza precludendo qualunque valutazione nell’interesse del minore, è stata sottoposta al vaglio della Corte
Costituzionale che, con sentenza interpretativa di rigetto n. 308 del 2008 ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale, individuando una lettura costituzionalmente orientata
della stessa.
La Consulta ha sottolineato che l’assegnazione della casa familiare è strettamente funzionale all’interesse dei figli e che la coerenza della disciplina e della sua costituzionalità è recuperata se interpretata nel senso che l’assegnazione della casa coniugale non venga meno di diritto al verificarsi
degli eventi di cui si tratta, ma che la decadenza dalla stessa sia subordinata a un giudizio di conformità all’interesse del minore29. In tal senso è anche la giurisprudenza successiva, frutto di tale interpretazione costituzionalmente orientata che vede il prevalere dell’interesse a mantenere l’habitat familiare alla prole, nonostante il mutamento dei componenti della comunità.
Il giudice dovrà comunque tenere conto della nuova situazione, procedendo a un bilanciamento
degli interessi concorrenti dei minori alla conservazione del proprio ambiente domestico e quello
del coniuge comproprietario dell’immobile che ne perde temporaneamente la disponibilità, conseguendone però una valutazione maggiormente significativa dell’utilità economica di cui il genitore
convivente con i figli beneficia con pregiudizio dell’altro proprietario esclusivo o comproprietario30.
5. Gli oneri economici del godimento della casa familiare
Anche gli oneri relativi alla casa familiare devono considerarsi in quel bilanciamento economico
tra i genitori operato dal giudice a seguito dell’assegnazione della casa familiare.
La giurisprudenza anche recentemente ha confermato che, qualora il giudice attribuisca a uno dei
coniugi l’abitazione di proprietà dell’altro, la gratuità di tale assegnazione si riferisce solo all’uso
dell’abitazione medesima, ma non si estende alle spese correlate a detto uso (comprese quelle, del
genere delle spese condominiali, che riguardano la manutenzione delle cose comuni poste a servizio anche dell’abitazione familiare), onde simili spese, in mancanza di un provvedimento espresso che ne accolli l’onere al coniuge proprietario, sono a carico del coniuge assegnatario31.
29 Al riguardo il Tribunale di Catania, con decreto del 16 gennaio 2009, ha ritenuto che in tema di modifica delle condizioni della separazione, nonostante la convivenza more uxorio della madre con un altro uomo (dal quale ha avuto un figlio), il mantenimento dell’assegnazione della casa familiare – sebbene di proprietà esclusiva del padre – si impone per meglio tutelare l’interesse del figlio minore, anche in considerazione della sua tenera età (appena sei anni), e, quindi, della particolare vulnerabilità dello stesso rispetto a un trasloco (evento, questo, normalmente fonte di disagi, se non addirittura traumatico). Analogamente la Corte d’Appello di Potenza, Sez. civ., con sentenza del 15 gennaio 2009, n. 8, ha ritenuto che la revoca dell’assegnazione della casa
familiare non può essere effettuata per il semplice fatto che l’assegnatario vi conduce una relazione more uxorio, a meno che tale situazione di fatto non determini nocumento al benessere psicologico ed educativo della prole.
30 In tal senso si veda Tribunale di Roma, Sez. I, 3 dicembre 2007, n. 23601.
31 In tal senso Cass. civ. 22 febbraio 2006, n. 3836; conforme Tribunale di Roma 13 luglio 2009, n. 15643.
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Per quanto riguarda invece le spese cosiddette straordinarie, queste saranno a carico del 50% a ciascun coniuge, in caso di comproprietà del bene, o a totale carico del proprietario esclusivo. Questa ripartizione non ha, però, rilievo nei confronti del condominio che potrà chiedere l’intero contributo per gli oneri straordinari a uno solo dei due ex coniugi proprietari in virtù del principio della solidarietà32.
Capita sempre più di frequente che, in sede di separazione personale dei coniugi o di divorzio, le
parti consensualmente o il giudice decidano di assegnare il godimento della casa familiare al coniuge affidatario dei figli, magari disciplinando il titolo del godimento e le spese inerenti a tale godimento nel contesto degli obblighi alimentari o di mantenimento.
Il giudice, nel porre a carico del coniuge obbligato altre spese oltre all’assegno di mantenimento
in denaro, deve procedere all’accertamento del loro importo, così da poterle valutare complessivamente, insieme all’assegno in denaro, in rapporto sia alle esigenze del coniuge, a cui favore è disposto il mantenimento, sia ai redditi dello stesso obbligato.
Altra ipotesi è quella relativa alla casa coniugale già goduta in locazione, per la quale opera il disposto dell’articolo 6, secondo e terzo comma, legge 392/78, con successione ex lege dell’assegnatario nel contratto. Il coniuge non assegnatario può essere obbligato a corrispondere, oltre all’assegno determinato in una somma di denaro, anche le altre spese, quali quelle relative al canone
di locazione per la casa coniugale e ai relativi oneri condominiali, purché queste spese abbiano
costituito oggetto di specifico accertamento nel loro ammontare e vengano attribuite, nel rispetto
dei criteri sanciti dal primo e secondo comma dell’articolo 156 c.c.
Infine dal momento che il diritto sulla casa coniugale, riconosciuto al coniuge non titolare di un
diritto di proprietà o di godimento con il provvedimento giudiziale di assegnazione di detta casa
in sede di separazione o divorzio, ha natura di atipico diritto personale di godimento e non già di
diritto reale, ne consegue che questi non è soggetto passivo dell’imposta comunale sugli immobili per la quota del medesimo immobile sulla quale non vanti il diritto di proprietà33.
32 Lo stesso dicasi per le spese straordinarie sostenute dall’assegnatario non proprietario. Si veda la sentenza del Tribunale di Bologna del 3 gennaio 2008, n. 8, che ha stabilito che il coniuge assegnatario della casa familiare, che per evitare la vendita forzata
della stessa corrisponda al condominio dello stabile ove è ubicato l’immobile una determina somma a titolo di spese condominiali e spese processuali, per estinguere un debito gravante sull’altro coniuge (proprietario esclusivo dell’immobile), surrogandosi per
espressa volontà del creditore nelle ragioni del condominio, ha diritto a ottenere la restituzione della somma versata.
33 La Cassazione in tema di Ici, con la sentenza n. 6192/2007, ha ribadito la natura personale del diritto in oggetto per escludere l’obbligo dell’assegnatario di pagare l’imposta comunale sugli immobili e per differenziare la posizione del coniuge da quella
dell’usufruttuario.
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