RIFLESSIONI SULLA “RILINDJA” ARBËRESHE di

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RIFLESSIONI SULLA “RILINDJA” ARBËRESHE di
RIFLESSIONI SULLA “RILINDJA” ARBËRESHE
di Francesco Cassiani
Con il termine “Rilindja” si individua quel movimento politico, intellettuale,
letterario, sviluppatosi tra il diciottesimo ed il diciannovesimo secolo, promosso dai
maggiori intellettuali arbëreshë, laici ed ecclesiastici, sulla scia dei movimenti
politico – letterari che caratterizzarono il risveglio delle coscienze meridionali contro
il governo oscurantista ed assolutista borbonico ed in linea con le nuove idee di
libertà e di indipendenza che, investendo la vita letteraria, politica e civile, si
andavano diffondendo per tutta la penisola, concretizzandosi in moti e sommosse a
cui parteciparono cittadini appartenenti alle più diverse classi sociali, accomunati
dalle stesse idee di libertà, democrazia e unità nazionale.
Il movimento della “Rilindja”, inquadrato, quindi, in questo contesto di fermenti di
nuove idee, contribuisce alla formazione di una nuova realtà letteraria e politica che,
oltre ad aver attivamente contribuito al rinnovamento della cultura calabroalbanese adeguandola alle nuove tendenze letterarie nazionali ed europee,
inserendola nel movimento romantico calabrese e nazionale, ed aver avuto parte
attiva alla causa del Risorgimento, si interessò alle sorti della patria degli avi, ancora
sotto il dominio turco ed oggetto delle attenzioni dell’impero austro- ungarico, che
cominciava a rivolgere le sue mire alle regioni balcaniche; pertanto, fa notare
Giuseppe Carlo Siciliano, “il movimento della “Rilindja” non nasce nella madre
patria, ma fa capo, in un primo momento, ai gruppi intellettuali che sono
espressione delle grandi comunità albanesi della diaspora e cioè alle colonie d’Italia,
di Istambul, di Bukarest, del Cairo e di Sofia”.
Importanza fondamentale per la diffusione delle nuove idee ed il consolidarsi del
movimento della “Rilindja” ebbe certamente il collegio S. Adriano di S. Demetrio
Corone, che, sotto la guida e l’impulso di Vescovi come Francesco Bugliari (a cui si
deve il trasferimento del collegio da San Benedetto Ullano a S. Demetrio nel 1794) e
Domenico Bellusci, si formarono quasi tutti i personaggi più illustri del firmamento
intellettuale politico-patriottico del mondo arbëresh e che tanta parte ebbero per
l’affermarsi della nuova cultura romantica e nelle vicende risorgimentali calabresi e
nazionali.
La figura centrale e preminente di questa nuova cultura fu sicuramente Girolamo
De Rada, alunno prima e docente poi del S. Adriano, il più alto esponente della
letteratura romantica arbëreshe e, come scrive F. Altimari “punto di riferimento
della “Rilindja” politico-patriottica e culturale della diaspora”.
L’opera del De Rada, così come le riviste da lui fondate, ebbero una vasta eco oltre i
confini regionali e nazionale, sensibilizzando il mondo culturale europeo alla causa
albanese.
A questo proposito una menzione particolare merita la figura e l’opera di papàs
Vincenzo Dorsa, quasi contemporaneo del De Rada, entrambi definiti da papàs
Giuseppe Ferrari “I grandi apostoli dell’idea di un Albania libera ed indipendente”.
Ma il Collegio di S. Demetrio fu anche perno (non solo per gli albanesi) per la
diffusione delle idee risorgimentali, infatti tra le sue mura si educò una schiera di
giovani che, infervorati dalle nuove idee di libertà ed unità nazionale che si
andavano diffondendo per la penisola, parteciparono attivamente ed eroicamente
alle vicende patriottiche e che serviranno anche da sprone per il risorgimento
albanese.
Per celebrare le gesta di questa schiera di “Eletti” cito alcuni versi tratti dal
poemetto “Brezia” del 1899 di Ferdinando Cassiani:
“ Fummo noi nella calabra tenzone
Presso Campotenese
Che sostenemmo la rivoluzione
Dell’italo paese”
ed ancora oltre
“Fra noi nacque Toscano, il difensore
Del Forte di Vigliena,
Falcone, il leggendario lottatore,
che con novella lena
marciò per Sapri insieme a Pisacane
e v’incontrò la morte,
chè furon tutte le speranze vane
della balda coorte.
Mauro,Nociti, Damis, e Milano,
pure nacquer tra noi,
e con animo nobile e romano
si mostrarono eroi”.
Ma oltre ad essere stato un movimento di rinnovamento la “Rilindja”
rappresentò anche un movimento di rivalsa e riscatto civile di una minoranza
etnica dalle angherie ed umiliazioni subite dai signorotti e nobili indigeni e
da parte di certo clero e contribuì alla sua definitiva integrazione nella realtà
italiana ed alla conseguente partecipazione alla formazione dello Stato che
si andava delineando, rafforzando, nello stesso tempo, “il concetto di appartenenza
ad una propria individualità etnico-culturale, che fino a quel momento si era
identificata nell’elemento religioso e rituale”.
Scrive Vincenzino Ducas Angeli Vaccaro: “Che cosa ha spinto queste popolazioni a
riporre da parte la loro condizione di minorità e quindi di misurarsi con i grandi
appuntamenti della Storia d’Italia? Sicuramente le cause sono da ricercare nelle
condizioni
di vita disumana che dovettero condurre fin dal loro primo
insediamento nell’Italia meridionale, dove stagnante ed ancestrale di presentava il
regime feudale”.
Alla luce di quanto sopra, si potrebbe quindi affermare che il processo della
“Rilindja” individua il “Rinascimento” politico, culturale e civile di un popolo dopo
un oscuro periodo “medioevale” che cominciò a schiarirsi con l’Istituzione del
Collegio italo- albanese il cui ruolo, come scriveva il già citato papàs Ferrari fu
fondamentale anche “per combattere l’ignoranza ed impedire il pericoloso
addormentarsi delle coscienze dei profughi”.
Fortunatamente questo pericolo, almeno per il momento, sembrerebbe
scongiurato, grazie alla “seconda Rilindja” che, come si legge nell’introduzione
all’opera “Antologia degli autori frascinetesi” di Caterina e Giulia Adduci ( Comune
di Frascineto 2009) è “tesa a richiamare l’attenzione sulla questione arbereshe per
dare ad essa nuova linfa vitale”, da qui, proseguono le suddette autrici, “l’attività di
rivitalizzazione culturale legata all’associazionismo e ad intense campagne
divulgative supportate da riviste specializzate”.
E’ auspicabile, quindi, che il concetto di “Rilindja” possa continuare a consolidarsi
cosicchè il vessillo del Castriota possa continuare a sventolare nel cuore di tutti gli
arbereshe.
Francesco Cassiani