I Balcani, l`Albania e la cultura italiana negli scritti di Ernesto Koliqi a

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I Balcani, l`Albania e la cultura italiana negli scritti di Ernesto Koliqi a
I Balcani, l’Albania e la cultura italiana negli scritti di Ernesto
Koliqi a 40 anni dalla morte: l’Adriatico che in contra il
Mediterraneo
Pierfranco Bruni
Il 15 gennaio di quarant’anni fa moriva Ernesto Koliqi. Il legame tra la cultura
italiana e la cultura albanese ha avuto sempre un protagonista che ha sancito
un rapporto di straordinaria valenza tra l’Occidente, i Balcani e l’Oriente:
Ernesto koliqi. Morto a Roma il 15 gennaio del 1975, era nato a Scutari il 20
maggio del 1903. È stato un studioso, uno scrittore, un saggista che ha
dedicato la sua via alla ricerca del mondo albanese e italo albanese. Il suo
impegno per diffondere la cultura e la letteratura, in modo particolare, ha
avuto una costante che è rintracciabile in quasi tutti i suoi scritti. La profonda
meditazione sui valori spirituali lo hanno portato a confrontarsi con gli scrittori
e con la letteratura attraverso parametri di comparazione al cui centro non
sono mai mancati i sentimenti.
La letteratura stessa è, per Koliqi, il risultato di una conoscenza di
sentimenti la cui tensione culturale non può che derivare da una visione
chiaramente spirituale della vita. I motivi legati al sentimento
dell'appartenenza provengono da una dimensione che ha come punto
cruciale il rapporto tra storia umana e storia cultura di un popolo. La
letteratura è il percorso di una eredità.
Koliqi non ha mai smesso di confrontarsi sia con gli scrittori e i poeti di
Albania sia con quelli arbereshe. Ha sempre indicato quegli interpreti che
hanno segnato un tracciato di spiritualità. Il suo rapporto con l'opera di
Girolamo De Rada, d'altronde, è una testimonianza emblematica. Ha scritto
su questo poeta ma scrivendo della sua opera e della sua vita non ha fatto
altro che indirizzare quella sua consapevolezza verso un testimone di una
eredità che ha assommato la spiritualità albanese con la spiritualità
arbereshe. Una chiave di lettura che ha permesso di penetrare realtà
complesse e quella storia degli uomini e dei territori il cui filo tra le comunità
italo albanesi e la cultura albanese è abbastanza consolidato. In una visione
poetica la storia si lascia catturare e offre legami inportanti.
In una sua conferenza letta il 20 settembre del 1964 a Cosenza annotava
riferendosi agli albanesi in Calabria: "Anche al viandante esperto di contrade
e genti le più diverse del mondo, raramente avviene d'incontrare come in
terra di Calabria, ricca di sconosciute meraviglie, costumi così suggestivi per
armoniosa fusione di tinte. Si riflettono in essi i colori ora vividi ora sfumati del
mare e del mediterranei e l'incanto delle primavere rigermoglianti su piane e
alture che coprono resti di antiche cività e di cui la risonanza musicale del
nome conserva tenaci sapori classici. I solenni orizzonti che ci dànno il senso
dell'infinito, perdendosi oltre i grandiosi scenari dei monti, sembrano immersi
in un' aura di primordiale solitudine dove spazio e tempo assistono immobili
all'avvicendarsi di condizioni umane, le quali mantengono pressoché intatta
nella loro interiorità una remota saggezza materiata in millenarie esperienze.
Terra di monaci, filosofi e poeti, di pastori ed eroici fuorilegge che sempre
preferivano la libertà dei boschi a una vita menomata nella sua dignità da
crude costrizioni tirraniche, nobilissima terra abitata gente rude e silenziosa
che cela nelle pieghe dell'anima singolari qualità umane, le quali
lampeggiano di viva improvvisa bellezza a chi vi si accosti con cuore amico a
somiglianza dei segreti recessi pieni di prode fiorite e fresche
acque, inseriti fra le quinte delle sue aspre rupi montane" (ora in“Saggi di
letteratura albanese”, Olschki Editore, 1972, pag. 76).
Un paesaggio, si nota benissimo, fatto non solo di luoghi ma dentro i
luoghi c'è l'anima. L'anima di un popolo ma anche l'anima di una geografia in
cui il sentimento della spiritualità si avverte. Koliqi proprio attraverso gli studi
su De Rada ha dato una dimostrazione di come l'approccio letterario deve
stabilirsi attraverso i testi. Lo studio dei testi ci introduce in una visione
prettamente critica. Ovvero di valutazione critica. Una valutazione non basata
su elementi storici ma creativi. Infatti quel gioco (prima citato) di fantasie
calato dentro una geografia ben definita Koliqi lo adotta anche negli studi
sugli autori.
Una prosa d'arte, la sua, che ha una indelebile forza interiore. Riferendosi
a De Rada ne coglie in alcune battute il senso vero di una definizione poetica:
"I poliedrici aspetti della eccezionale personalità di Girolamo De Rada si
sintetizzano nel suo genuino talento di poeta, che ad essi infonde vigorosa
efficacia di irradiazione. L'ispirazione poetica è all'origine di tutta la sua
molteplice attività di linguista, di “grammatologo”, di studioso di estetica e di
ordinamenti statali, di politico e di propagatore dell'idea risorgimentale
albanese". Ma Koliqi va oltre perché è un convinto assertore di un De Rada
che va oltre i confini della stessa cultura arbereshe.
E', in altri termini, un poeta che va oltre il senso del nazionale che non
può essere circoscritto ad un ambito rigorosamente culturale. Infatti coglie
con acume questo aspetto: "Il suo messaggio poetico non rimane circoscritto
agli interessi nazionali, sia pure nobili e generosi, della stirpe albanese, ma li
supera raggiungendo la sfera universale della grande arte nella quale si
trasfigura la sua profonda umanità grondante di sofferto dolore e lievitata da
uno schietto anelito di elevazione spirituale". Un'analisi che giunge ad una
sottolineatura significativa proprio nel campo dell'indagine spirituale: "Il de
Rada superò con l'ardore della fede e la luce della poesia ostacoli che
parevano ed erano insormontabili" (da una conferenza svoltasi a Palermo il
28 novembre 1964, e ora nel testo citato sopra, pag. 115).
Attenti studi Koliqi ha condotto sul rapporto tra Islam e Cristianesimo nella
letteratura albanese, sulle influenze orientali sulla letteratura, sui fenomeni
linguistici, sui poeti e sugli scrittori albanesi e arbereshe, sul legame tra poeti
italiani e poeti albanesi, sulla figura di Skanderbeg, sulle traduzioni. Un
capitolo imponente resta la lettura su gabriele D'Annunzio e la letteratura
degli albanesi. Al centro di questa sua ricerca ci sono sempre i temi
fondamentali della cultura popolare e dell'anima religiosa.
Temi, dunque, che hanno caratterizzato tutto il suo percorso di scrittore,
di studioso e di uomo. Quell'anima popolare che è la vera anima di una
spiritualità pregna di riferimenti religiosi. A conclusione di un suo scritto
dedicato a "Le nuove correnti della letteratura albanese" cesella: "L'anima
popolare si nutre ancora della poesia conservata viva nella memoria collettiva
del Fishta e di Naim Frasheri, di quella poesia che s'impernia sui temi
immortali: Dio, santità del focolare, vita sul solco delle tipiche usanze
schipetare, al ritmo delle quali è bello vivere e per cui vale la pena di morire"
(op. cit., pag 230).
Il richiamo alle origini, all'identità, all'appartenenza grazie a dei modelli
che sono culturali ma marcatamente, come già si è detto, spirituali resta
fondamentale. Un richiamo che è chiaramente inossidabile. Ma l'uomo Koliqi
era un uomo della tradizione, un uomo della conservazione, un uomo rimasto
fedele ai principi della fede. L'anima albanese non è mai stata un vissuto
soltanto culturale o soltanto letterario e storico ma dentro il valore della difesa
di una tradizione i segni della religiosità sono stati dei baluardi. Uomo che ha
rivestito, tra l'altro, anche delle prestigiose cariche politiche e istituzionali. Ma
la sua formazione umanistica lo ha sempre distaccato dalla burocrazia e dagli
apparati.
Ha pubblicato testi sulla letteratura albanese, ha fondato riviste (si pensi a
"La scintilla" del 1940), ha scritto poesie, novelle ("Le ombre delle montagne"
nel 1928 e "Mercante di bandiere" nel 1935), ha tradotto autori come Dante,
Petrarca, Ariosto, Tasso, Parini, Foscolo, Monti, Manzoni. Il mondo popolare
è stato sempre punto di riferimento dei suoi studi ma anche i suoi testi creativi
vanno in questa direzione (si pensi a "Le orme delle stagioni" nel 1933). Un
autore che è riuscito ad imporsi con straordinaria vitalità ed ha innovato la
ricerca sulla letteratura albanese e arbereshe. su questo non ci sono dubbi.
Giuseppe Schirò junior nel 1959 scriveva: "In Ernest Koliqi è possibile
ravvisare in linee più decise un nuovo stadio della letteratura albanese. (…)
Nella sua poesia, come nella sua prosa, s'avverte dunque il respiro delle Alpi
Albanesi e una elegante modernità occidentale, l'ampia eco degli aedi e dei
suoi monti e la melodia delle forme colte. E son questi i motivi per cui la
posizione spirituale ed artistica del Koliqi è destinata ad esercitare sensibili
influenze sia sui desiderosi radicali innovazioni sia sui retrivi di forme nuove e
di nuova poesia" (in “Storia della letteratura albanese”, Nuova Accademia,
Milano, 1959, pag. 244).
Schirò junior aveva visto bene. Dunque, Koliqi un innovatore. Ma non ha
mai tralasciato di leggere la letteratura albanese e italo albanese in un
contesto la cui dimensione culturale è legata alla spiritualità di un popolo. Una
spiritualità che si regge attraverso la difesa della tradizione. Innovatore nella
tradizione. Una tradizione in un intreccio che porta sempre ad un dialogare
tra civiltà.