Le politiche del lavoro in Italia e nei paesi sud
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Le politiche del lavoro in Italia e nei paesi sud
Le politiche del lavoro nei Paesi sud europei ai tempi dell' "austerità estrema". Itinerari di riforma a confronto Patrik Vesan (Università della Valle d'Aosta) Convegno nazionale Società italiana di Scienza politica - Università della Calabria 10-12 settembre 2015 [NOTA: primo draft, work in progress (commenti benvenuti!)] 1. Introduzione La recente crisi economica e finanziaria ha avuto forti ripercussioni sul mercato del lavoro dei paesi mediterranei. Dal 2008 al 2014, il tasso di disoccupazione in Spagna, Grecia, Italia e Portogallo è cresciuto in media di circa il 127% (contro il 53% dell'area euro), a fronte di una riduzione dell'11,4% del tasso di occupazione (-3% nell'area euro). Al fine di contrastare tale situazione di emergenza, nei quattro principali paesi del sud Europa sono state adottate una serie di incisive misure volte al drastico contenimento della spesa pubblica e alla promozione di riforme strutturali. Con riferimento alle politiche del lavoro, i provvedimenti posti in essere hanno in parte deviato il percorso di cambiamento già avviato in questi paesi negli anni precedenti alla crisi economica. In questo paper, ci proponiamo di illustrare i principali interventi che hanno determinato tale scostamento, concentrandoci, da una parte, sulle indennità di disoccupazione e, dall'altra, sulla disciplina dei rapporti di lavoro e della contrattazione collettiva. Lo scopo della nostra analisi è duplice. Innanzitutto, ricostruiremo la traiettoria delle riforme realizzate in Italia, Spagna, Grecia e Portogallo a partire dallo scoppio della recente crisi economica, al fine di illustrarne la direzione dominante e l'impatto sulla possibilità di (continuare a) distinguere alcune caratteristiche delle politiche del lavoro comuni ai paesi mediterranei. In tal senso, il nostro paper mira a contribuire alla comprensione dei processi di riforma delle politiche del lavoro in una specifica area dell'Unione europea. In letteratura sono pochi i contributi che ricostruiscono l'insieme dei cambiamenti avvenuti nei paesi mediterranei, nonostante la loro salienza e, come vedremo, la comune ricetta di policy seguita. Un'eccezione è rappresentata dal lavoro di Moreira et al (2015), che comunque si limitata a illustrare le principali riforme e i loro effetti sulla sicurezza del lavoro e le tutele offerte ai disoccupati, ma non fornisce un quadro interpretativo di quest'ultime. Inoltre, è possibile rinvenire alcuni studi, dedicati a singoli paesi o coppie di paesi sud europei, che enfatizzano il ruolo di uno o 1 più fattori, senza però ricondurli a uno schema esplicativo unitario (León et al., 2015; Petmesidou and Glatzer, 2015; Theodoropoulou, 2015; Sacchi 2015). Il secondo obiettivo del paper è quello di proporre un modello interpretativo dei cambiamenti realizzati in grado di tenere assieme fattori di spinta alle riforme di origine "esterna" e fattori di origine domestica. A tal proposito, riadatteremo ai nostri fini, anche a partire dai più recenti contributi della letteratura sull'europeizzazione delle politiche, sul policy change e sull'evoluzione delle politiche sociali e del lavoro, il cosiddetto "push-and -pull model". Per quanto riguarda la metodologia di ricerca, la nostra ricostruzione si basa essenzialmente su fonti documentali originarie (leggi e documenti governativi) e su fonti secondarie, quali report di organizzazioni internazionali, stampa nazionale e internazionale e articoli pubblicati in riviste scientifiche. Il paper è suddiviso in cinque parti. Nella prossima sezione presenteremo lo schema analitico utilizzato per lo studio delle riforme delle politiche del lavoro nei paesi mediterranei. Quest'ultime verranno illustrate e analizzate nella terza sezione, mentre la quarta sezione analizzerà i principali fattori che spiegano le riforme alla luce dello schema teorico-analitico proposto. Infine, la quinta sezione conclude, sintetizzando i principali risultati della ricerca. 2. Le riforme delle politiche del lavoro durante la crisi: uno schema per l'analisi A partire dalla metà degli anni novanta, i paesi mediterranei hanno avviato un processo di profonda revisione delle politiche del lavoro che ha conosciuto la sua fase più avanzata e decisiva dopo il 2010, a seguito della crisi dei debiti sovrani dell'area euro. In passato, alcuni autori avevano sottolineato l'esistenza di un comune modello di politiche sociali e del lavoro con riferimento all'Italia, alla Spagna, alla Grecia e al Portogallo (Ferrera, 1996; Gallie and Paugam, 2000; Karamessini, 2008). Tale modello aveva conosciuto importanti cambiamenti ben prima della "Grande Recessione", ma le più recenti riforme realizzate in tempi di "austerità estrema" (Karyotis and Rüdig, 2013) potrebbero avere messo definitivamente in discussione la possibilità di coglierne ancora i tratti distintivi, perlomeno dal punto di vista della configurazione delle politiche. Al fine di cogliere l'impatto di tali riforme sugli outputs istituzionali, faremo riferimento a due dimensione d'analisi. La prima dimensione, che chiameremo "coerenza interna", riguarda l'esistenza di alcune caratteristiche che accomunano l'assetto istituzionale delle labour policies nei paesi mediterranei. La seconda dimensione, che chiameremo "distintività", concerne invece la presenza di peculiarità che consentono di differenziare i quattro casi esaminati da altri paesi, quali la Germania e la Francia. L'analisi dei processi di cambiamento sarà inoltre volta a identificarne la traiettoria dominante, distinguendo tra tre possibili direzioni nelle strategie di riforma. 2 La prima direzione è quella del ridimensionamento o progressivo smantellamento delle politiche sociali, perseguita attraverso interventi di drastico contenimento della spesa e/o riducendo le tutele sociali (il cosiddetto "institutional retrenchment", cf. Green-Pedersen, 2004). Questa direzione sottrattiva delle riforme può realizzarsi attraverso un'accresciuta enfasi sulle politiche di means teasting oppure l'adozione di restrizioni nelle regole di eleggibilità ai benefici, la diminuzione nei loro importi e durata o ancora il ricorso a interventi normativi volti a congelare o ridurre i salari dei lavoratori. Anche la cessione di funzioni e servizi a soggetti privati o l'accresciuta possibilità di "opting out" rispetto a quanto stabilito dalla contrattazione collettiva di livello superiore o, più in generale, la spinta all'individualizzazione dei rapporti di lavoro, possono rappresentare ulteriori esempi di "institutional retrenchment", nella misura in cui tali interventi comportino un peggioramento delle condizioni di lavoro o di accesso ai servizi rispetto allo status quo ante. Una seconda direzione di riforma è quella dell'aggiustamento delle politiche esistenti a fronte delle mutate condizioni economico-sociali e finanziarie. L'aggiustamento si realizza grazie all'adozione di misure di natura prettamente correttiva, che di norma intervengono ai margini del sistema. Esso inoltre può comportare interventi di parziale contenimento dei costi o, viceversa, misure di carattere espansivo volte a far fronte, di norma in maniera transitoria o comunque circoscritta, a specifici bisogni sociali emergenti. Rientrano in questa categoria la ridefinizione del settaggio di alcuni strumenti (benefici o servizi, evitando però di modificarne radicalmente il funzionamento o gli obiettivi, oppure l'adozione di misure temporanee di contenimento dell'emergenza sociale, come gli ammortizzatori sociali in deroga in Italia e l'estensione o il rafforzamento temporaneo delle tutele riservate ad alcuni gruppi di lavoratori. Una delle caratteristiche di questa traiettoria di riforma, indipendentemente dal suo effetto sulla spesa sociale, è quella di essere per lo più finalizzata alla manutenzione degli assetti istituzionali preesistenti, senza prevederne un ripensamento complessivo nel breve o medio periodo. Una terza direzione di riforma è costituita dalla cosiddetta ricalibratura delle politiche realizzate a sostegno della copertura di nuove categorie e/o rischi sociali (Bonoli, 2005; Ferrera and Hemerijck, 2003; Häusermann, 2012). Tale terza traiettoria di cambiamento è distinguibile dalla prima (lo "smantellamento") nella misura in cui la razionalizzazione o modernizzazione delle politiche sociali si realizza per mezzo di una tendenziale espansione (o perlomeno mantenimento) del complesso delle risorse investite. Allo stesso tempo, essa differisce dal più semplice aggiustamento delle politiche poiché gli interventi adottati tendono a essere legittimati come aventi carattere strutturale. La ratio soggiacente è infatti quella di modificare alcuni dei principi di funzionamento su cui si fonda il sistema di welfare, senza disconoscere del tutto la funzione svolta dai tradizionali schemi di sicurezza sociale. Tra gli esempi di tale direzione di riforma possiamo citare il cosiddetto approccio di "investimento sociale" e, con riferimento alle politiche del lavoro, l'approccio dei "mercati del lavoro transizionali" (Hemerijck, 2015; Schmid, 2006). 3 Per quanto analiticamente distinguibili, è chiaro che nella realtà esistano ampie zone grigie, dove le traiettorie di cambiamento da noi identificate finiscano con l'intrecciarsi. Ciò è dovuto sia alla complessità dei pacchetti di misure adottati dai vari governi, sia al fatto che le strategie di riforma non possiedono sempre una nitida coerenza interna. Il secondo obiettivo di questo articolo è di contribuire alla comprensione dei fattori sottostanti il cambiamento delle politiche del lavoro da noi esaminate. In particolare, trarremo spunto reinterpretandolo - da uno specifico modello interpretativo, denominato "push-and-pull model", diffuso nell'ambito degli studi sui fenomeni migratori (Portes and Böröcz, 1989; Zimmermann, 1996), sulla compliance nazionale delle norme europee (Borzel, 2000) e sull'europeizzazione delle politiche (Schimmelfennig and Sedelmeier, 2005, 2004; Yilmaz, 2014). In base a tale modello, le riforme del lavoro realizzate nei paesi mediterranei durante la crisi possono essere spiegate esaminando la combinazione di alcuni fattori di pressione esterna (che possono rafforzare ciò che chiamiamo "push capacity") con fattori di pressione interna ("pull capacity") rinvenibili a livello domestico. Maggiore sarà la capacità di spinta e di "tiraggio", maggiore saranno le probabilità che le riforme vengano realizzate. Il nostro schema esplicativo non ha l'ambizione di porsi come modello generale per la comprensione dei processi di policy change, dal momento che la sua validità è soggetta a specifiche "scope conditions" quali la presenza, con riferimento a una specifica area di policy e in dato arco temporale, di significative pressioni al cambiamento che originano da un contesto "esterno" a quello puramente domestico 1. Ciò non comporta che tali pressioni esterne siano necessarie, né che, qualora esistenti, siano in grado di generare cambiamenti di policy. Affinché tale spinta possa produrre dei risultati essa deve infatti possedere determinate caratteristiche, nonché essere accompagnata da altri fattori riconducibili alla sfera domestica. Come vedremo, una delle principali spinte alle riforme delle politiche del lavoro sud europee durante la crisi è stata rappresenta dalle condizioni imposte da alcune istituzioni sovranazionali nell'ambito delle politiche di salvataggio finanzio rivolte ai Paesi a mediterranei. Seguendo Schimmelfennig e Sedelmeier (2004) e Yilmaz (2014), riteniamo che il livello della spinta impartita (push capacity) dipenda essenzialmente dalla credibilità delle richieste o condizioni formulate e dalle loro implicazioni. In particolare, la nostra prima ipotesi è che la "push capacity" tenda ad aumentare al crescere di alcuni fattori, di seguito illustrati. In primo luogo, essa dipende dal livello di "chiarezza" (determinacy) con cui le richieste sono formulate, vale a dire da quanto margine interpretativo, ovvero di discrezionalità, viene lasciato agli attori chiamati ad accoglierle. 1 Nella più recente letteratura nell'ambito della politica comparata e dei processi di europeizzazione, la tradizionale separazione tra sfera domestica e sfera internazionale è messa in discussione, riconoscendo l'ampia compenetrazione di questi due ambiti di attività. Pur accogliendo tale considerazione, nel nostro articolo faremo riferimento alla presenza di fattori (e pressioni) interni o esogeni e viceversa esterni o esogeni. Quest'ultimi sono caratterizzati dal fatto che il loro raggio d'azione appare più ampio dei confini nazionali e non dipendono esclusivamente da istituzioni e processi riconducibili a un singolo Stato. 4 In secondo luogo, la capacità di pressione aumenta all'aumentare della credibilità della minaccia sotto forma di mancata ricompensa o diretta sanzione associata alle indicazioni impartite o concordate. Altri due elementi che influenzano il livello di "spinta alle riforme" sono la portata (size) delle ricompense e/o sanzioni previste e la loro prossimità temporale, ovvero se esse siano in grado di esercitare i loro effetti in un lasso di tempo più o meno ravvicinato. Infine, la "push capacity" cresce quando si rafforza la capacità di monitoraggio e steering delle riforme domestiche da parte delle autorità sovranazionali, anche attraverso forme di coinvolgimento diretto nel disegno delle politiche, nella vigilanza del processo di implementazione e nella verifica dei risultati. Per quanto la capacità di spinta alle riforme possa essere elevata, essa necessita di combinarsi con un'adeguata capacità di "tiraggio" da parte degli attori domestici. Quest'ultima, a sua volta, può essere intesa come una funzione di alcune caratteristiche del contesto politico domestico. Innanzitutto, la "pull capacity" diminuisce al crescere delle "possibilità di veto" alle riforme. Seguendo Mahoney e Thelen (2010), tali veto possibilities dipendono dalla presenza di una solida "coalizione di blocco" che può essere composta sia da powerful veto players, sia da veto points istituzionali (à la Tsebelis 2002). Un ulteriore elemento del contesto politico che condiziona la "pull capacity" domestica è rappresentato dalla risolutezza o fermezza dell'azione di governo. Quest'ultima dipende dalla compatibilità fra le richieste delle istituzioni europee e internazionali e gli orientamenti dei singoli esecutivi. I costi di adozione delle riforme tendono infatti a salire al crescere della dissonanza cognitiva tra le posizioni assunte dagli attori sovranazionali e quelle dell'elite politica al governo. Un altro importante fattore riguarda la capacità decisionale dell'esecutivo, vale a dire il suo controllo sul processo decisionale: tanto più è elevata, tanto più è probabile che la pressione domestica per le riforme abbia un esito positivo. Infine, anche la capacità della pubblica amministrazione, centrale e locale, può influenzare la realizzazione delle riforme. Le idee e proposte circolanti a livello nazionale e internazionale necessitano infatti, per essere attivate, di strutture burocratiche in grado di disegnare gli interventi necessari e di portarli a compimento. Altrimenti il rischio è che il processo di riforma si limiti a semplici dichiarazioni di intenti e buoni propositi. Accanto ai quattro fattori che incidono sulla "pull capacity", l'analisi dovrà tenere in considerazione anche un ultimo aspetto che opera come variabile interveniente nel processo di policy chance: la possibilità di reperire le risorse finanziarie a sostegno delle riforme. In una condizione di penuria di bilancio è chiaro che l'adozione di provvedimenti che impattano in maniera significativa sulla spesa pubblica risulti difficile. Ciò nonostante, tale fattore non possiede una valenza esplicativa autonoma sia perché l'ammontare delle risorse finanziarie potrebbe non essere rilevante nel caso di interventi di natura prettamente regolativa, sia 5 perché gli esecutivi, a fronte di una chiara volontà politica, possono riuscire a scovare le risorse necessarie attraverso esercizi di spending review o ricalibratura delle spese. In sintesi, il "push-and-pull model" ci consente di cogliere la reazione derivante dal combinarsi di una pluralità di fattori, innestati da una causa scatenante come la crisi economico-finanziaria e le sue conseguenze sociali. La figura 1 sintetizza i principali elementi di tale schema interpretativo. Figura 1 Il modello "push-and-pull factors" Push capacity Crisi economicofinanziaria e sue implicazioni occupazionali - Determinacy - Credibilità delle condizioni/richieste RIFORME - Veto possibilities - Risolutezza e capacità decisionale del governo - Capacità delle pubbliche amministrazioni Pull capacity Ogni sequenza di riforma può dunque essere intesa come un processo di combustione innestato da qualche specifica causa o insieme di concause (il detonatore). Per aver luogo, tale combustione abbisogna di risorse con cui alimentarla, come le idee e le proposte sul "cosa e come fare" in termini di soluzioni e giustificazioni che circolano negli "issue networks" internazionali e nazionali (Heclo, 1978). Allo stesso tempo, occorre che vi sia di un'adeguata capacità di "tiraggio" che permetta al processo di combustione di essere avviato e di mantenersi. In altre parole, sono necessarie specifiche condizioni contestuali e/o la presenza di ulteriori risorse che non impediscano o limitino il cambiamento. La reazione prodotta, cioè il "consumarsi" delle riforme che ne deriva, può essere parziale o limitata, qualora una delle due fonti di pressione al cambiamento risulti debole. Al contrario, le possibilità che le riforme abbiano luogo aumentano quando si rafforzano sia i fattori di "push", sia quelli di "pull", 6 combinandosi gli uni con gli altri (Yilmaz, 2014). Nel prosieguo del paper ritorneremo su tale schema esplicativo, al fine di saggiarne l'utilità con riferimento alle riforme che descriveremo invece nella prossima sezione. 3. Le trattorie delle riforme delle politiche del lavoro nel sud Europa La crisi economico-finanziaria ha rappresentato una significativa "giuntura critica" (Pierson, 2001) che ha portato all'apertura di una nuova stagione di riforme. Il percorso intrapreso dai paesi mediterranei non ha semplicemente determinato un approfondimento delle strategie avviate anche solo negli anni a ridosso della recessione. Al contrario, il nuovo ciclo di riforme sembra risolversi in un vero e proprio "cambio di passo" che ha inciso sull'architettura istituzionale complessiva delle politiche del lavoro sud europee. In quanto segue, presenteremo gli interventi adottati nei vari paesi, raggruppandoli in base al loro oggetto: da una parte, ci soffermeremo sulle misure relative alla disciplina dei rapporti di lavoro e della contrattazione collettiva e, dall'altra, sulle riforme del sistema degli ammortizzatori sociali. Al fine di cogliere l'effetto dei provvedimenti realizzati in questi due ambiti faremo riferimento alle dimensioni di analisi che abbiamo illustrato nella seconda sezione, ovvero la "coerenza interna" e la "distintività" delle politiche del lavoro. 3.1 Licenziamenti più semplici e minori tutele delle condizioni di lavoro Gli interventi più rilevanti messi in atto in risposta alla crisi economica riguardano la disciplina dei rapporti di lavoro. A partire dagli anni novanta, i Paesi sud europei avevano già realizzato una serie di riforme "al margine", volte a liberalizzare il ricorso dei contratti a termine, preservando le tutele connesse ai contratti a tempo indeterminato 21. Una chiara discontinuità è invece rinvenibile a seguito dello scoppio della crisi dei debiti sovrani, quando i governi di Italia, Grecia, Spagna e Portogallo hanno proceduto a una "ricalibratura sottrattiva" dei diritti posti a tutela dei core workers, rendendo più semplici i licenziamenti dei lavoratori a tempo indeterminato. Una seconda novità, sempre nella direzione di una liberalizzazione più spinta del mercato del lavoro, ha riguardato l'adozione di politiche di "svalutazione interna" (Armingeon and Baccaro, 2012) volte a ridurre la pressione salariale e intervenire sulla strutturazione della contrattazione collettiva. Tali politiche hanno comportato il taglio dei salari minimi (Sotiropoulos 2015), la riduzione o congelamento delle buste paghe dei dipendenti pubblici o ancora l'adozione di norme volte a promuovere il decentramento della contrattazione collettiva ed estendere la capacità derogatoria degli accordi siglati a livello aziendale (Etuc 2013). 21 La Spagna costituisce un'eccezione importante, dal momento che, fin a partire dagli anni novanta, ha proceduto a una ri-regolazione dei contratti a termine al fine di contenerne la diffusione. 7 In Italia, all'indomani dello scoppio della crisi finanzia nell'estate del 2011, il governo Berlusconi adotta, in seno alla cosiddetta "manovra-bis", una misura indirizzata a promuovere la contrattazione a livello territoriale e la sua capacità derogatoria rispetto al quadro di regole definite a livello superiore (Vesan 2012)22. Tale provvedimento cercava di rispondere ad alcune delle richieste che la Banca centrale europea aveva rivolto al governo italiano e che erano, seppur non esplicitamente, connesse alla volontà di continuare a sostenere il nostro paese, acquistando i titoli di Stato italiani sul mercato secondario (Sacchi, 2015). Nell'agosto del 2011, infatti, Trichet e Draghi, rispettivamente presidenti entrante e uscente della Banca centrale europea, avevano inviato a Berlusconi una lettera (confidenziale) nella quale erano chiaramente elencate alcune delle principali riforme che l'Italia avrebbe dovuto adottare con urgenza. Tra le misure indicate in materia di politica del lavoro spiccavano la promozione del decentramento della contrattazione collettiva, la revisione delle norme sui licenziamenti e la riforma del sistema di tutela contro la disoccupazione. Il Presidente del Consiglio Berlusconi non riesce comunque a proseguire nell'azione di governo: l'aggravarsi della crisi del debito sovrano e il progressivo sfaldarsi della maggioranza politica al potere portano infatti alle sue dimissioni. Gli succede Mario Monti, economista e già commissario europeo, che dà vita a un esecutivo di tecnici con lo scopo di portare a termine nel breve periodo una serie di importanti riforme, a partire da quelle richieste dalle autorità sovranazionali. Il nuovo esecutivo vara infatti in tempi ristretti sia un'incisiva riforma delle pensioni alla fine del 2011, sia un'importante riforma del lavoro, con l'adozione della legge 92 nel luglio del 2012. Quest'ultimo provvedimento è caratterizzato da alcuni importanti elementi di novità: per la prima volta in Italia viene approvata una modifica delle norme sulla disciplina dei licenziamenti dei lavoratori a tempo indeterminato, rimaste sostanzialmente inalterate dagli anni settanta. Non si tratta più, dunque, solo di una riforma ai "margini" (Davidsson 2011), così come avvenuto a partire dalla metà degli anni novanta (Vesan 2012; Sacchi e Vesan, 2015), ma di una misura che tocca direttamente i core workers. La tutela reale garantita dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ovvero l'obbligo di reintegra del lavoratore illegittimamente licenziato, viene infatti significativamente circoscritta, prevedendo al suo posto l'introduzione di un compenso economico. Un passo ancora più incisivo in tale direzione si realizza nel 2015, con l'approvazione di un ampio intervento di riforma in materia di politica del lavoro promosso dal governo Renzi: il "Jobs Act". Viene infatti istituito un nuovo contratto detto "a tutele crescenti" per tutti i nuovi assunti a tempo indeterminato che limita la possibilità di reintegra del lavoratore solo per i licenziamenti nulli, discriminatori e specifiche 22 Facciamo riferimento all'introduzione dei cosiddetti "contratti di prossimità". Tale misura può essere considerata come l'ennesimo tentativo di Berlusconi, dopo alcuni fallimenti collezionati fin dai 2001, di liberalizzare le norme sui contratti a tempo indeterminato. 8 fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato. Per tutti gli altri casi, i licenziamenti dichiarati illegittimo danno diritto a un'indennità d'importo prestabilito, pari a 2 mensilità per ogni anno di anzianità di servizio, con un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità 23. Un'ulteriore flessibilizzazione dei rapporti di lavoro viene conseguita prevedendo la possibilità del "demansionamento" del lavoratore (a parità di retribuzione e solo fino a un livello inferiore) nei casi di processi di ristrutturazione aziendale, nonché l'eventuale stipula di accordi individuali, seppur in "sede protetta", tra datore di lavoro e lavoratore che possono portare a una modifica del livello retributivo e delle mansioni assegnate, al fine di conservare il posto di lavoro. Importanti cambiamenti sul fronte della disciplina dei rapporto di lavoro a tempo indeterminato possono essere osservati anche in Portogallo, Grecia e Spagna. A differenza dell'Italia, già prima della crisi economica ai lavoratori a tempo indeterminato era di norma garantita negli altri Paesi mediterranei solo un'indennità di licenziamento, concessa anche indipendentemente dalla legittimità dell'interruzione del rapporto di lavoro. Per questo motivo, gli interventi hanno sostanzialmente mirato a rendere meno costoso per il datore l'interruzione del rapporto di lavoro dal punto di vista procedurale e finanziario. Nel caso del Portogallo e della Grecia, tali riforme hanno costituito per lo più una risposta alle puntuali indicazioni espresse nei memorandum of undertanding, vale a dire negli accordi siglati con la troika (Commissione europea, Fondo monetario internazionale e Banca centrale europea), per accedere ai cospicui prestiti internazionali e far fronte alla grave situazione finanziaria nazionale. Più in dettaglio, a partire dal 2011 in Portogallo sono state ridotte le indennità di licenziamento per i lavoratori a tempo indeterminato che nel giro di pochi anni sono passate dagli originari 30 giorni a 12 giorni per ogni mese di anzianità lavorativa, con un tetto massimo di 8 mensilità, mentre il loro livello minimo, in precedenza pari a tre mesi di salario, è stato abrogato. In Grecia, è stato innalzato il numero di licenziamenti individuali che è possibile effettuare in un mese senza dover ricorrere alla più gravosa procedura del licenziamento collettivo. Sempre nel 2010, è stato ridotto il periodo massimo di notifica obbligatoria dei licenziamenti per i "colletti bianchi". Tale periodo, che in passato poteva arrivare fino a un massimo di 24 mesi, viene portato nel 2012 a 4 mesi per tutti i lavoratori. Questa modifica ha una conseguenza diretta sulle indennità di licenziamento. Il loro importo è infatti dimezzato qualora il datore rispetti i termini di notifica. Aver dunque drasticamente ridotto il periodo massimo di attesa per poter "allontanare" un lavoratore comporta dunque la possibilità di un forte abbattimento dei costi connessi al licenziamento dei lavoratori (Young Greek Scholars, 2014). 23 Al fine di evitare di andare in giudizio, il datore di lavoro può inoltre offrire al lavoratore una somma a titolo di indennizzo, non soggetta a trattenute fiscali e contributive pari a una mensilità per ogni anno di servizio fino a un massimo di 18 mensilità. Nel caso di imprese al di sotto dei 15 dipendenti, che in Italia costituiscono quasi la totalità delle imprese e impiegano circa il 55% dei dipendenti con contratti a tempo indeterminato, gli importi delle indennità previste nel caso di licenziamento illegittimo si riducono della metà, con un tetto massimo di 6 mensilità. 9 In Spagna, così come avvenuto in Italia, le richieste di revisione della disciplina dei licenziamenti da parte delle autorità sovranazionali non sono oggetto esplicito di un memorandum, ma rimangono ugualmente pressanti. A seguito di tali pressioni, e stante le oggettive difficoltà a contenere l'elevato utilizzo dei contratti a termine, i governi spagnoli decidono di perseguire con maggiore convinzione la strada della liberalizzazione dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Questa strategia viene portata avanti a partire dal 2010 da due esecutivi di diverso colore politico. La prima fase di interventi è realizzata dal governo Zapatero nel 2010 e 2011. La riforma del 2010 si concentra principalmente sull'estensione delle causali che legittimano il ricorso al licenziamento per motivi economici e sulla riduzione dei costi connessi ai licenziamenti. Questo avviene ampliando le possibilità di ricorso ai "contratti permanenti di promozione dell'occupazione", introdotti nel 1997, che prevedono in caso di licenziamento ingiustificato, un'indennità risarcitoria di 33 giorni lavorativi per ogni anno di servizio prestato (contro i 45 giorni per un massimo di 42 mesi previsti dai contratti a tempo indeterminato ordinari). La seconda fase di cambiamento si apre dopo la sconfitta elettorale del premier socialista e la formazione del nuovo governo di centro destra guidato da Rajoy. Nel 2012 viene adottata un'incisiva riforma volta a liberalizzare ulteriormente il mercato del lavoro spagnolo. Le motivazioni che giustificano il licenziamento vengono estese e rese più difficilmente impugnabili di fronte al giudice del lavoro. Questo ha un'implicazione anche sui costi che il datore deve sostenere: nel caso in cui il licenziamento sia giustificato, l'importo dell'indennità (severance payment) scende infatti a 20 giornate lavorative per ogni anno di anzianità di servizio, fino a un massimo di 12 mesi. L'indennizzo per il licenziamento illegittimo è invece portato per tutti i contratti a 33 giorni di salario per ogni anno di servizio prestato, con un tetto massimo di 24 mesi. Per comprendere le principali conseguenze di queste riforme sul modello istituzionale di politiche del lavoro sud europeo, possiamo considerare l'evoluzione dei valori dell'indice di tutela dell'occupazione elaborato dall'Ocse (Epl). La figura 2 mostra le variazioni nei valori dell'Epl relativi agli anni 1998, 2008 e 2013. Con riferimento al sud Europa, chiari segnali di liberalizzazione dei contratti a termine sono rinvenibili già nei primi anni duemila. Tale processo è proseguito anche durante il periodo della crisi, portando i paesi mediterranei ad assestarsi nel 2013 su valori dell'Epl di poco superiori a quelli registrati in media nei paesi continentali24. Al contrario, il livello di tutela dei contratti a tempo indeterminato ha conosciuto nei paesi sud europei un cambiamento solo negli ultimi anni. Si tratta in questo caso di una variazione più contenuta, rispetto a 24 I paesi continentali considerati al fine di calcolare il valore medio sono la Germania, la Francia, l'Austria, il Belgio e l'Olanda. 10 quella registrata con riferimento ai contratti a termine, ma egualmente significativa se si considera la portata politica di tali riforme. Figura 2 La tutela del lavoro nei paesi continentali, mediterranei e nel Regno Unito. Nota: per il lavoro a tempo indeterminato si fa riferimento ai dati dell'Epl versione 2, mentre per quello a termine all'Epl versione 1. Fonte: nostra elaborazione su Oecd Employment protection database. Se ancora alla fine degli anni novanta potevamo osservare un certo grado di "distintività" della famiglia dei paesi sud europei rispetto al gruppo di più immeditato riferimento, ovvero i paesi continentali, nell'ultimo 11 quindicennio le differenze nei valori medi sono state quasi completamente assorbite. I paesi mediterranei si mantengono comunque ancora lontani dal modello liberista di regolazione dei rapporti di lavoro di matrice anglosassone. Infine, per quel che riguarda invece il livello di coerenza interna del modello sud europeo, la figura 3 mostra la presenza di un chiaro processo di convergenza. Dal 1998 al 2013, le distanze tra i valori nazionali si sono ridotte in maniera significativa, grazie alla comune direzione delle riforme, ma anche alla loro diversa intensità che ha permesso ai paesi che presentavano una minore flessibilità normativa di recuperare terreno. Figura 3 Le tutele dell'occupazione a tempo indeterminato (Epl versione 2) e a termine (Epl versione 1). 12 Fonte: nostra elaborazione su Oecd Employment protection database. In sintesi, nonostante una serie di importanti differenze nelle condizioni di partenza e negli assetti socioeconomici dei Paesi mediterranei, la ricetta della liberalizzazione del lavoro a tempo indeterminato ha rappresentato una soluzione comune adottata dai vari governi, sotto la spinta delle autorità sovranazionali. Il risultato complessivo è una maggiore somiglianza fra Italia, Spagna, Grecia e Portogallo sotto il profilo delle minori tutele garantite ai lavoratori. Al contempo, tali riforme rendono il confine tra insiders e outsiders all'interno dei singoli paesi più sfumato, così come si sono ridotte drasticamente le distanze in termini di "rigidità" dei mercati del lavoro tra l'area sud europea e quella continentale. 3.1 Le indennità di disoccupazione: convergenze (quasi sempre) al ribasso La prima risposta adottata dal governo italiano nel 2008 per lenire gli effetti della crisi sul mercato del lavoro fu l'adozione di provvedimenti d'urgenza di natura temporanea, come i cosiddetti "ammortizzatori sociali in deroga", allo scopo di estendere il ricorso agli schemi di Cassa integrazione guadagni e le indennità di mobilità a categorie di lavoratori (e imprese) che non avrebbero potuto beneficiarne o perché ineleggibili o per via del protrarsi della loro condizione di bisogno al di là della durata ordinaria dei benefici. Nella prospettiva promossa dal governo Berlusconi questi primi interventi rimanevano dunque estranei a una politica di riforma complessiva del sistema degli ammortizzatori sociali, più volte annunciata, ma mai realizzata. Diversi esponenti della maggioranza di governo, a cominciare dal Ministro del Lavoro, valutavano infatti tale sistema come sostanzialmente efficace, grazie sopratutto alla flessibilità d'intervento della cassa integrazione e della mobilità. Il governo riteneva inoltre che la crisi mondiale si sarebbe assorbita in tempi 13 relativamente brevi, o comunque avrebbe toccato solo in parte il nostro Paese, consentendo di affrontare l'impatto occupazionale della recessione con strumenti temporanei di gestione straordinaria. Con lo scoppio della tempesta finanziaria nell'estate del 2011, la situazione economico-finanziaria italiana invece precipita rapidamente. A questo, come abbiamo detto, si accompagna anche una crisi politica con le dimissioni di Berlusconi e la formazione di un nuovo governo presieduto da Monti. La riforma delle politiche del lavoro (legge 92/2012) promossa da Elsa Fornero, neo ministro del Lavoro dell'esecutivo di tecnici formatosi a fine 2011, prevede importanti novità anche in materia di sistema degli ammortizzatori sociali. L'indennità di disoccupazione ordinaria è sostituita dall'introduzione dell'Assicurazione sociale per l'impiego (Aspi), più generosa negli importi e nella durata rispetto al precedente regime, fattasi eccezione per l'indennità di mobilità per la quale è comunque prevista l'abrogazione a partire dal 1 gennaio 2017. Anche in questo caso, il processo di riforma delle politiche italiane avviate dal governo Monti, conosce un suo ulteriore approfondimento con l'adozione del Jobs Act promosso da Matteo Renzi. Tale riforma procede infatti a un ripensamento del sistema delle indennità di disoccupazione, da poco modificato con la legge 92/2012. Dal primo maggio 2015, viene infatti istituita la Nuova assicurazione sociale per l'impiego (Naspi), prevedendo l'abbattimento dei requisiti contributivi e di anzianità assicurativa 26. Si tratta di un risultato importante perché, modificando le rigide condizioni di accesso previste in passato, dà vita per la prima volta a un'unica indennità assicurativa a copertura quasi universale. La durata della nuova indennità è pari alla metà delle settimane di contribuzione versate negli ultimi 4 anni, fino a un massimo potenziale di 24 mensilità, mentre per gli importi la nuova indennità, che segue le regole della vecchia Aspi, prevede una progressiva riduzione nella misura del 3% per ogni mese di fruizione a partire dal quarto 27. A fianco della Naspi possiamo inoltre menzionare altre due novità. La prima riguarda l'introduzione di un'indennità assicurativa riservata ai collaboratori a progetto (Dis-coll), di durata pari alla metà dei mesi di contribuzione versati fino a un massimo di sei mensilità. Tale indennità offre una forma di tutela a una categoria di lavoratori in precedenza coperta solo da una misura "una tantum" di importo limitato e stingenti requisiti di accesso, anche se esclude, a differenza delle più recenti misure adottate in Spagna, Grecia e Portogallo, altre categorie di lavoratori, come i detentori di partita iva in regime di monocommittenza o pluricommittenza. La seconda novità è l'introduzione di un Assegno di disoccupazione (Asdi), riservato alle persone in stato di bisogno e prioritariamente ai lavoratori appartenenti a nuclei familiari con minorenni e a quelli in età vi cina al pensionamento. Al momento si tratta di uno schema di durata semestrale che eroga una somma pari al 26 Questi ultimi vengono portati rispettivamente a 30 giornate di lavoro effettive nei 12 mesi precedenti l'inizio del periodo di disoccupazione e 13 settimane di contributi versati negli ultimi quattro anni. 27 Questo fa sì che in alcuni mesi l'ammontare della Naspi possa essere inferiore a quello attualmente previsto dalla vecchia Aspi. 14 75% dell'ultimo importo della Naspi ricevuto, fino a un ammontare non superiore all'assegno sociale (447 euro al mese nel 2014), più eventuali maggiorazioni. Tale schema ha comunque per ora una natura sperimentale. Infine, un'ultima novità riguarda il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, vale a dire il sistema delle casse integrazione guadagni ordinaria e straordinaria (CIGO e CGIS). Gli aspetti più salienti di tale provvedimento sono tre. In primo luogo, è prevista l'estensione dei trattamenti di integrazione salariale, ordinaria e straordinaria, anche per le imprese che occupano mediamente più di cinque dipendenti e per coloro che sono assunti con un contratto di apprendistato professionalizzante. In secondo luogo, è stabilita la diminuzione della durata massima delle integrazioni salariali a 24 mesi in un quinquennio (prorogabile per ulteriori 12 mesi in caso di utilizzo dei contratti di solidarietà). Infine, viene introdotto un meccanismo di responsabilizzazione delle imprese, prevedendo un incremento dei costi, sotto forma di contributo addizionale, al crescere dell'utilizzo della cassa integrazione. L'obiettivo di tale provvedimento è dunque allargare la platea dei beneficiari e razionalizzarne l'utilizzo da parte delle aziende, nel tentativo di valorizzare gli schemi di integrazione salariale come strumento complementare e non sostitutivo delle indennità di disoccupazione. Per quel che concerne invece le riforme delle indennità di disoccupazione negli altri Paesi sud europei, le novità più rilevanti riguardano il Portogallo e la Grecia, dove vengono realizzati importanti tagli alla durata e/o all'ammontare delle prestazioni. In Portogallo, la generosità dei benefici previsti è stata significativamente ridotta attraverso la contrazione della durata massima dei sussidi assicurativi (da 38 a 18 mesi), dei loro importi col passare del tempo e l'imposizione di un tetto massimo. Un destino analogo è riservato al reddito sociale di inserimento (Rsi) 28, il cui ammontare già esiguo (pari nel 2013 a meno di 3 euro al giorno) non è stato rivalutato con il passare degli anni e l'aggravarsi della crisi. Anche in Grecia le risposte alla crisi hanno portato a una contrazione della già limitata generosità dei sussidi a causa della riduzione del salario minimo, a cui le indennità di disoccupazione sono agganciate. Sono stati inoltre introdotti tetti alla durata dei sussidi rivolti ai lavoratori stagionali e agricoli (Petmesidou, 2013). Minori novità si registrano in Spagna, che ha mantenuto sostanzialmente inalterato il suo sistema, con l'eccezione di una diminuzione (dal 60 al 50%) del tasso di sostituzione previsto per le assicurazione di disoccupazione dopo un periodo di sei mesi. Accanto a questi interventi volti a contenere la spesa pubblica per l'assistenza ai disoccupati, al fine di contrastare gli effetti della crisi, gli stessi paesi hanno cercato di ampliare, seppur parzialmente, la platea dei potenziali beneficiari. Ad esempio, la soglia contributiva minima per l'accesso all'indennità assicurativa 28 Il Portogallo è l'unico paese mediterraneo ad aver introdotto uno schema nazionale di reddito minimo, adottato nel 1996. 15 in Portogallo è stata abbassata, passando da un minimo di 15 a 12 mesi. Inoltre, i sussidi di disoccupazione sono stati estesi ai lavoratori autonomi "economicamente dipendenti" (Ilo 2014). Provvedimenti analoghi a favore dei lavoratori autonomi sono stati adottati anche in Spagna e Grecia. In Spagna, per contrastare gli effetti della crisi occupazionale sono anche istituiti nel 2010 alcuni programmi di assistenza temporanea per i disoccupati che hanno esaurito la possibilità di godere di altri sussidi assicurativi o assistenziali. Allo stesso modo, in Grecia è prevista un ampliamento delle tutele per i sussidi assistenziali per i disoccupati di lungo periodo; ciò nonostante, i tassi complessivi di copertura delle indennità elleniche rimangono particolarmente bassi (Matsaganis, 2013, 2011). Ad aggravare la situazione concorre anche il fatto che in Grecia non solo non esiste uno schema di reddito minimo nazionale, come in Italia e Spagna, ma nemmeno schemi a livello locale, volti a contrastare il fenomeno della povertà. Dopo anni di inerzia, nell'autunno del 2014 è stato lanciato un progetto pilota per l'introduzione di misure di reddito minimo in alcune municipalità. Tale iniziativa pare comunque essersi già arenata per via di una serie di difficoltà connesse alla sua implementazione (Theodoropoulou, 2015). Anche nel caso delle riforme dei sistemi di indennità di disoccupazione, è interessate esaminare se le queste abbiano o meno compromesso la possibilità di individuare alcuni elementi comuni nel sistema degli ammortizzatori sociali dei Paesi sud europei. Nel loro complesso, le riforme realizzate hanno portato a una parziale convergenza nella generosità delle indennità di disoccupazione derivante sopratutto dall'effetto congiunto della crescita della generosità delle indennità di disoccupazione italiane e del contenimento di quelle portoghesi. Per quanto riguarda il grado di "distintività", le distanze tra i valori medi dei paesi mediterranei e dei paesi continentali sembrano invece mantenersi. Se consideriamo come misura della generosità dei sussidi i dati relativi alla spesa procapite per ogni persona in cerca di lavoro, il margine di distacco tra paesi mediterranei (compresi i paesi iberici) e quelli continentali (compresa la Germania) appare ancora visibile. I dati riportati nella tabella 1 confermano infatti una delle caratteristiche tipiche del modello mediterraneo: la scarsa generosità degli interventi di sostegno al reddito. Tabella 1 Spesa per le politiche passive del lavoro procapite riferita alle persone in cerca di occupazione PPS 2008 2009 2010 2011 2012 Germania 4.656 6.111 6.275 5.393 5.564 Francia 6.782 6.657 6.865 6.820 6.773 Grecia 2.537 2.944 2.343 : : Spagna 5.497 5.773 5.624 4.871 : Italia 2.176 3.533 3.628 3.454 3.633 16 Portogallo 3.845 4.150 4.125 2.754 2.798 Fonte: Eurostat, EU-LFS. In sintesi, le riforme delle indennità di disoccupazione sono state caratterizzate da diverse direzioni di marcia: tendenzialmente espansiva in Italia, di limitata contrazione in Spagna e di più netto taglio in Portogallo e Grecia. L'effetto combinato di tali provvedimenti ha portato a una, seppur parziale, maggiore coerenza interna al gruppo dei paesi mediterranei, sebbene sembra permanere in media una certa distanza tra questi paesi e alcuni dell'Europa continentale, sopratutto per via della condizione di outliner della Grecia. 3.3 Le riforme delle politiche del lavoro sud europee: alla ricerca di una stella polare A partire dalla ricostruzione presentata nelle precedenti sezioni, è possibile osservare come, al netto di alcune peculiarità nei processi di riforma nazionali, la traiettoria del cambiamento appare caratterizzata da una chiara dominante "sottrattiva", vale a dire orientata al contenimento della spesa pubblica e all'adozione di interventi di "retrenchment istituzionale". Tutti e quattro i paesi esaminati hanno infatti intrapreso un percorso di contrazione delle tutele dei lavoratori a tempo indeterminato e di flessibilizzazione e/o peggioramento delle condizioni di lavoro dei dipendenti privati e pubblici. A dire il vero, come sottolineano Moreira et al. (2015), questo indirizzo di riforma non ha riguardato solo l'area del sud Europa, ma anche numerosi altri paesi come la Repubblica Slovacchia e il Belgio. Nell'Europa mediterranea, la giustificazione che ha prevalso a sostegno delle riforme è la necessità di fronteggiare l'elevata segmentazione dei mercati del lavoro; le riforme realizzate si sono però spinte verso una "de-segmentazione al ribasso" i cui effetti positivi sulla riduzione della condizione di precarietà dei lavoratori e sulla crescita delle produttività sono ancora da dimostrare. Tali riforme potrebbero infatti essere iscritte nell'ambito di un disegno di ricalibratura delle politiche, solo nel caso in cui fossero accompagnate da un significativo calo delle assunzioni a termine e dal rafforzamento della sicurezza sociale e delle opportunità di formazione continua. Sul fronte delle indennità di disoccupazione assistiamo in Portogallo, Grecia e in misura minore in Spagna, a una riduzione della generosità dei sussidi. A complemento di tale strategia sono stati adottati alcuni provvedimenti volti ad ampliare la platea di possibili beneficiari: tali misure sembrano però configurarsi come misure emergenziali e transitorie, più che come elementi di una strategia di ri-orientamento strutturale degli strumenti di sostegno al reddito. 17 La riforma del sistema delle indennità di disoccupazione in Italia potrebbe rappresentare una parziale eccezione a questa tendenza 30. L'istituzione prima dell'Apsi e mini-Apsi e successivamente della Naspi e dell'Asdi può essere iscritta all'interno di un processo di catching-up, ovvero di tentata convergenza tra il sistema degli ammortizzatori sociali italiano e le esperienze di altri paesi, come quello tedesco. Tale percorso rimane però ancora incompleto per via del carattere sperimentale dell'Asdi e del permanere dell'assenza di uno schema nazionale di reddito minimo. Inoltre, se spostiamo lo sguardo al complesso degli ammortizzatori sociali, l'intervento di razionalizzazione si è mosso sia in direzione di un parziale retrenchment delle politiche dovuto all'abrogazione dell'indennità di mobilità a partire dal 2017 e al contenimento della durata delle Casse integrazioni guadagni, sia di estensione permanente delle integrazioni al reddito a categorie di lavoratori in precedenza esclusi. 6. Comprendere le riforme delle politiche del lavoro nel sud Europa: spunti interpretativi La crisi dei debiti sovrani e la concomitante recessione economica accompagnata dalle drammatiche ripercussioni sul mercato del lavoro rappresentano i principali fattori che hanno concorso ad accendere la "miccia" delle riforme nei paesi dell'Europa mediterranea. Come abbiamo argomentato nella seconda sezione, il processo di cambiamento per potersi dipanare necessita comunque di un valido "combustibile", ovvero di soluzioni in termini di quadri interpretativi e valoriali, idee e strumenti a disposizione dei decisionmakers, e di un "tiraggio" adeguato, affinché le riforme possano essere effettivamente avviate e realizzate. Per quanto concerne il combustibile, il riferimento principale va a quei fattori che hanno rafforzato la "capacità di spinta" (push capacity) alle riforme. In tal senso, un ruolo fondamentale è stato giocato dalle indicazioni provenienti dalle autorità sovranazionali, in primis la Commissione europea (DG Ecofin), la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale. Nel caso della Grecia e del Portogallo, tali richieste hanno raggiunto un elevato grado di formalizzazione, essendo state ricomprese negli accordi finanziari (i memorandum of undertanding) siglati dai rispettivi esecutivi e la cosiddetta "troika". Nel caso della Spagna e dell'Italia, le indicazioni sono invece pervenute seguendo canali meno formali, ma non per questo meno efficaci. Tale capacità di spinta alle riforme (push capacity) si è mostrata particolarmente efficace per via di alcune caratteristiche che hanno contrassegnato le indicazioni impartite dalle istituzioni sovranazionali. Innanzitutto, le richieste provenienti dall'Unione europea e dal Fmi hanno mostrato un elevato grado di specificità e chiarezza (determinacy) rispetto a quanto occorreva fare e alla "posta in gioco", ovvero alle sanzioni in caso di mancato adempimento. I margini di manovra interpretativi concessi ai governi nazionali sono stati infatti relativamente limitati e/o difficilmente negoziabili, a differenza di quanto avveniva per le linee guida elaborate nell'ambito dei processi di coordinamento aperto in materia occupazionale. 30 In merito ad alcuni aspetti critici di questa riforma si rinvia a Vesan (2015) e Raitano (2015). 18 Un secondo aspetto che ha inciso sulla capacità di spinta alle riforme riguarda la crescita del livello di credibilità delle condizioni concordate dai governi nazionali con le istituzioni sovranazionali. Tale credibilità rafforzata è riconducibile sostanzialmente alla marcata asimmetria di potere tra le parti contraenti. Se infatti l'asimmetria di potere è connaturale a qualsiasi esercizio di condizionalità, il suo livello - come abbiamo visto nella seconda sezione - dipende da una pluralità di fattori. Fra questi possiamo menzionare: la consistenza effettiva degli incentivi veicolati sotto forma di premio o scampata sanzione, la prossimità temporale degli effetti prodotti da tali incentivi e la capacità di monitoraggio e verifica puntuale e continuativa del rispetto delle prescrizioni. I primi due elementi (la consistenza degli incentivi e il loro rapido dispiegarsi) hanno costituto un elemento costante dei processi di riforme delle politiche del lavoro durante la crisi in tutti e quattro i casi presi in esame: direttamente o indirettamente l'adozione di determinate misure era connessa alle politiche di salvataggio finanziario da attuare in tempi serrati. Allo stesso tempo, l'effettiva esecuzione delle riforme è stata sottoposta a pressanti controlli da parte delle autorità sovranazionali durante l'iter processuale della loro adozione e la loro effettiva attuazione. In passato, la realizzazione di cicli iterativi di analisi e valutazione delle riforme nazionali in seno ai metodi aperti di coordinamento nell'ambito delle politiche sociali e del lavoro aveva già potenziato la capacità di screening da parte delle istituzioni europee (in particolare la Commissione) (Goetschy, 2003). Ma tali modalità di coordinamento soft e non gerarchico avevano finora esercitato una pressione relativamente debole, i cui effetti erano lasciati al "volontarismo" degli attori domestici, chiamati a seguire linee guide e raccomandazioni svincolate da puntuali e concreti incentivi attivabili nel breve periodo (Schäfer and Leiber, 2009; Streeck, 1995). Accanto ai fattori che hanno potenziato la capacità di spinta alle riforme occorre considerare un secondo elemento, ovvero la capacità di "tiraggio" di quest'ultime (pull capacity). Un primo elemento che ha contribuito a rafforzare la capacità di "tiraggio" è l'assenza di una forte dissonanza cognitiva tra le proposte di policy di matrice neoliberista formulate dalla troika e gli orientamenti dei leader domestici al potere. I governi nazionali hanno infatti giocato un ruolo proattivo, avvallando le ricette riformiste promosse dalle autorità sovranazionali e legittimandole come interventi ritenuti non solo necessari, ma anche appropriati. Un aspetto interessante è che, nonostante alcune variazioni sul tema, le politiche di austerità e di liberalizzazione del mercato del lavoro adottate durante la crisi sono state realizzate da governi sostenuti da maggioranze di diverso orientamento politico o da ampie coalizioni trasversali (Armingeon e Baccaro, 2012). Al fine di promuovere le riforme, tali governi hanno combinato strategie di blame avoidance e di credit claiming (Bonoli, 2012). Per quanto concerne la blame avoidance, l'appello allo "stato di necessità e urgenza", ovvero alla narrativa del "non ci sono alternative" (il thacheriano "TINA"), è risultato un elemento ricorrente sopratutto nelle fasi 19 più acute della crisi (León et al., 2015). In misura minore, ma pur sempre significativa, si è fatto ricorso alla stratagemma del "capro espiatorio", volto a identificare nei sindacati e in alcune corporazioni una delle con-cause del problema, accusandoli di ostacolare assieme al processo decisionale anche le possibilità di ripresa. Come sottolineato da Leon e Pavolini (2015), queste strategie di "blame avoidance" non sono però state accompagnate da ciò che Pierson (2001) ha chiamato un "path of least resistance", ovvero dal tentativo di far gravare il peso delle riforme principalmente su categorie più marginali o di procrastinare gli effetti delle riforme. Al contrario, le riforme delle politiche del lavoro hanno interessato direttamente categorie centrali nel mercato del lavoro, quali i lavoratori a tempo indeterminato, e politicamente salienti, come i dipendenti della pubblica amministrazione. Ciò è stato possibile non solo per via della forte "spinta alle riforme" derivante dai condizionamenti internazionali, ma perché le strategie di blame avoidance sono state spesso accompagnate da strategie di credit claiming tale per cui il loro intreccio è divenuto via via più complesso. I governi nazionali hanno infatti esplicitamente promosso le riforme avviate come una cura efficace per recuperare credibilità e competitività a livello internazionale. In tal senso, è anche possibile rileggere criticamente l'ipotesi di intrusione dell'Unione europea nelle politiche nazionali fatta propria da una parte della letteratura (Theodoropoulou, 2015). Qualora tale "intrusione" si sia realizzata, quest'ultima è stato perlomeno facilitata da attori nazionali che l'hanno assecondata, se non "sfruttata" a proprio vantaggio, nonché sostenuta da "comunità epistemiche" composte da esperti e alti funzionari che hanno visto in questa la possibilità di rafforzare la propria legittimità. Un secondo elemento che ha inciso positivamente sulla "pull capacity" riguarda la presenza di una solida "coalizione di blocco" alle riforme. Negli anni più acuti della crisi, le cosiddette veto possibilities sono apparse relativamente deboli sia con riferimento ai sindacati, sia alle opposizioni politiche. Alcuni importanti tentativi di mobilitazione sociale contro le riforme sono stati realizzati sopratutto in Portogallo, Grecia e Spagna e, allo stesso tempo, è possibile registrare una crescita delle formazioni partitiche che hanno costruito una parte del loro consenso intorno a programmi "anti-austerità". Ciò nonostante, la resistenza alle riforme da parte dei potenziali "veto players" si è rivelata incapace di mettere seriamente in discussione l'operato dei governi nel momento in cui questi si accingevano a varare provvedimenti anche fortemente impopolari. E anche quando i partiti al governo hanno visto calare sensibilmente i loro consensi fino a risultare sconfitti alle elezioni, i loro successori hanno di fatto continuato a implementare le stesse politiche di austerità. In altre parole, le conseguenze sociali della recente crisi economica e la realizzazione 20 di politiche di "austerità estrema" non ha portato al consolidamento di uno o più "coalizioni di blocco" in grado di soppiantare i governi in carica con una proposta radicalmente alternativa 33. Non solo la capacità dei veto players di ostacolare il processo di riforma attraverso i tipici strumenti di lotta e mobilitazione sociale, ma perfino la possibilità di condizionarlo attraverso i canali della cooperazione e della negoziazione è apparsa limitata. Anche se i paesi mediterranei, seppur con le dovute differenze, non hanno mai potuto vantare una forte tradizione neocorporativa, la prassi del dialogo sociale, che aveva accompagnato alcuni dei precedenti tentativi di modernizzazione delle politiche sociali in Portogallo, Italia e Spagna, è stata largamente estranea ai più recenti processi di riforma o, nel migliori dei casi, limitata ad "accordi di concessione" (concessionary agreements) destinati ad addolcire gli aspetti più radicali delle proposte di riforma (Armingeon e Baccaro 2012; Petmesidou and Glatzer, 2015). Per di più, i governi nazionali hanno proceduto ad adottare politiche di "svalutazione interna" (Armingeon and Baccaro, 2012) che hanno minato lo stesso "potere" dei sindacati nel sistema di relazioni industriali, rafforzando la controparte datoriale. Al di là alla debolezza dei veto players, è possibile notare come la capacità di "tiraggio" delle riforme non derivi automaticamente dal richiamo allo "stato di necessità e urgenza" delle riforme, ma da altri fattori concomitanti che hanno rinsaldato l'efficacia stessa di tale richiamo. In primo luogo, osserviamo una crescita della concentrazione del potere decisionale degli esecutivi, a dispetto di altri attori presenti nell'arena nazionale (León et al., 2015; Sotiropoulos 2015). Già negli anni precedenti alla "Grande recessione", si era assistito a un graduale rafforzamento del potere dei capi degli esecutivi e dei ministri delle Finanze, ovvero dei due soggetti istituzionali chiamati direttamente a interloquire con gli attori sovranazionali. Ciò era avvenuto anche attraverso il potenziamento delle funzioni di programmazione strategica, di coordinamento inter-ministeriale e di monitoraggio esercitato dallo staff alle loro dirette dipendenze (Fabbrini 2000; Sotiropoulos 2015). A seguito dello scoppio della crisi dei debiti sovrani e con l'intensificarsi della natura intergovernativa dei processi decisionali europei, la tendenza al rafforzamento dei vertici del governo, a danno di altri attori domestici, ha conosciuto un'ulteriore accelerazione. I principali partiti politici, spesso riuniti in "grandi coalizioni" a sostegno degli esecutivi nazionali, così come i maggiori sindacati, si sono ritrovati di fronte a un'alternativa che lasciava in realtà pochi margini di scelta: opporsi alle politiche di austerità, assumendosi la responsabilità dei severi contraccolpi che sarebbero derivati dai mancati aiuti finanziari internazionali, oppure accettare di sostenere l'azione portata avanti da "governi dell'emergenza", rispondenti più alle autorità sovranazionali che ai loro elettori. 33 L'esperienza più avanzata in tal senso è certamente quella Greca, con la vittoria di Syriza guidato dal suo leader Alexis Tsipras. Anche in questo caso, nonostante un ampio consenso raccolto intorno a un programma di governo inteso a respingere le più drastiche misure di austerità richieste dalla troika, il governo ellenico ha alla fine dovuto accogliere le nuove dure condizioni connesse al terzo memorandum of understanding firmato nel 2015. 21 In questa condizione di "stato di crisi", l'unico, seppur parziale, contropotere è stato rappresentato dall'intervento delle Corti supreme che, in alcuni casi, hanno rimesso in discussione le scelte operate dagli esecutivi. Il caso più lampante è quello del Portogallo, ma alcuni esempi sono riferibili anche con riferimento alla Corte costituzionale greca e italiana . Un ultimo aspetto connesso al rafforzamento della pull capacity concerne la capacità delle amministrazioni pubbliche. In questo caso, i paesi mediterranei mostrano burocrazie spesso descritte come inefficaci e inadatte a far fronte alle sfide della modernizzazione. Ad ogni modo, a partire dalla metà degli anni novanta numerose riforme sono state realizzate, al fine di rafforzare la capacità d'intervento degli apparati pubblici. Al di là dei diversi effetti prodotti da queste riforme nei Paesi mediterranei, le politiche di austerità hanno contratto in maniera significativa la spesa in conto corrente e conto capitale delle pubbliche amministrazioni, rallentando fortemente il tentativo di modernizzazione degli apparati e di potenziamento delle capacità di erogazione dei servizi. Tale effetto è ben visibile ad esempio con riferimento agli apparati burocratici a livello regionale e locale chiamati a implementare le politiche attive del lavoro e i servizi socioassistenziali. In conclusione, la concentrazione del potere decisionale favorita dalla contingenza della crisi e dalle pressanti richieste delle autorità sovranazionali ha accelerato il processo di cambiamento sopratutto negli ambiti di diretta attuazione, come la disciplina dei rapporti di lavoro e della tutela dei redditi. Laddove invece l'effettiva realizzazione delle riforme è subordinata all'implementazione da parte di servizi efficienti ed efficaci, la crisi economica ha semmai rappresentato un ostacolo in più nella realizzazione del percorso di riforma. Conclusioni A partire dalla metà degli anni novanta, i Paesi mediterranei hanno avviato un processo di profonda ristrutturazione delle politiche del lavoro che ha conosciuto una significativa accelerazione dopo il 2010, a seguito della crisi dei debiti sovrani dell'area euro. Le riforme adottate hanno avuto importanti conseguenze non solo sulle traiettorie di policy all'interno dei singoli paesi, ma anche con riferimento alla possibilità di continuare a individuare alcuni tratti comuni alle politiche del lavoro sud europee. Le somiglianze interne alla famiglia mediterranea si sono infatti in parte rafforzate, ma la direzione assunta dal processo di convergenza interna ha attenuato le distanze fra il modello mediterraneo e quello continentale. Ciò vale sopratutto per la disciplina dei rapporti di lavoro, mentre alcune differenze sembrano permanere sul fronte dei sussidi di disoccupazione, anche se vanno inquadrate in seno a un percorso di progressiva convergenza. 22 in questo paper abbiamo proposto anche un quadro interpretativo delle riforme realizzate in Italia, Spagna, Portogallo e Grecia, adattando il cosidetto "push-and-pull model", diffuso in particolare nella letteratura sulle politiche migratorie e sui processi di europeizzazione. La recente ondata di riforme può essere infatti intesa come il frutto dell'intreccio tra fattori che contribuiscono a rafforzare la capacità di spinta dall'esterno al cambiamento, influenzando contenuti e processi del policy change, e fattori che hanno potenziato la capacità di "tiraggio" di quest'ultimo a livello domestico. Un intreccio che è stato possibile grazie all'innesto fornito dalla crisi economico-finanziaria. Come abbiamo visto nelle precedenti sezioni, la maggiore capacità di spinta alle riforme sembra trovare fondamento in una razionalità di tipo strumentale, che opera attraverso l'elargizione di premi o mancate sanzioni. Tale "spinta rafforzata" è infatti dipesa dalla più stringente condizionalità imposta dagli attori sovranazionale e dagli strumenti e i processi della nuova governance economica europea. Al contrario, ciò che appare indebolito è la "push capacity" di natura normativo-valoriale, che in passato discendeva dalla forza legittimante dell'Unione europea. Nei paesi mediterranei, il richiamo all'Europa anche come opportunità di miglioramento e progresso sociale aveva infatti giocato un ruolo importante nei "discorsi comunicativi" (Schmidt, 2008) a sostegno delle riforme avviate tra la fine degli anni novanta e i primi anni duemila (Ferrera and Gualmini, 2000; Guillen e Alvarez 2004). A partire della scoppio della crisi economica e a fronte della crescita dell'euroscettismo, la retorica del "ce-lo-chiede-l'Europa", che ha accompagnato l'adozione politiche di austerità nei paesi mediterranei, ha invece portato le elite politiche nazionali a raffigurare le riforme per lo più come una medicina amara "per sopravvivere", a fronte della quale non c'erano valide alternative. Il risultato complessivo è stata una perdita netta del consenso dell'opinione pubblica nei confronti della membership europea sia sotto il profilo della legittimità dell'ouput (dove al contrario va affermandosi l'immagine di un'Europa non più in grado di garantire prosperità e crescita), sia dell'input (dove le decisioni adottate a livello sovranazionale appaiono sempre più come vincoli indebiti che mettono in discussione la possibilità di compiere libere scelte democratiche a livello nazionale). Le pressioni "esterne" alle riforme sono state inoltre accompagnate da una maggiore "push capacity" dovuta ad alcune specifiche condizioni del contesto politico domestico. In particolare, possiamo osservare un sostanziale avvallo da parte delle elite politiche nazionali della ricetta di policy definita dalla troika. Allo stesso tempo, lo "stato di crisi" ha finito col disarmare le possibili "coalizioni di blocco" alle riforme, portando viceversa a un ultra-rafforzamento della capacità decisionale degli esecutivi. Per quanto comunque un simile rafforzamento della "push capacity" dovuto alla caratteristiche intrinseche delle "condizioni" fissate a livello sovranazionale possa essere considerato come una conseguenza della congiuntura economico-finanziaria, non è detto che esso rappresenti solo un fenomeno transitorio. Al contrario, diversi segnali puntano in direzione di una sua possibile stabilizzazione ed estensione. Negli anni della crisi, la "credibilità rafforzata" dei condizionamenti sovranazionali è stata istituzionalizzata attraverso 23 l'adozione di nuovi strumenti e procedure di governance economica a livello europeo che sanciscono, a fronte della possibilità di comminare sanzioni, un'inedita asimmetria di potere delle istituzioni europee, anche in settori di policy in cui non vi è alcuna diretta cessione di competenze da parte degli Stati membri35. Allo stesso tempo, questa situazione potrebbe portare a una progressiva normalizzazione dello stato di "governo dell'emergenza" a livello nazionale, con severe ripercussioni sulla qualità, se non perfino sulla tenuta, del compromesso democratico nei paesi più periferici dell'Unione europea. 35 Per una panoramica generale delle trasformazioni in atto della governance europea si rimanda al numero speciale Comparative European Politics (1/2015), curato da Halpern e Graziano. 24 Bibliografia (T.B.C!!) Armingeon, K., Baccaro, L., 2012. 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