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fase dell’integrazione, ripetutamente sottolineato da Giuliano Amato e che il Trattato di Lisbona corregge solo parzialmente. Coloro, soprattutto francesi, che hanno a lungo frenato l’integrazione raccolgono oggi quello che hanno seminato. Come le guerre giacobine e napoleoniche
fecero nascere il nazionalismo tedesco, così il gollismo
ha forse prodotto una sua versione germanica. D’altro
canto, come il gollismo ha condotto la Francia in un vicolo cieco, la sua versione tedesca non avrebbe sorte migliore: qualsiasi persona sensata capisce che sia “la grande Germania”, sia “la grande Svizzera” sono oggi opzioni impraticabili.
ircolano voci insistenti secondo cui Parigi e Berlino stanno preparando un’iniziativa congiunta
per “rilanciare l’Europa”. Sarebbe un’ottima notizia, ma ad alcune condizioni. Anzitutto che non risulti essere un semplice accordo bilaterale, buono solo per
i due Paesi, ma di qualcosa capace di raccogliere vasti
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Il cancelliere tedesco Angela Merkel
con il presidente ceco Vaclav Klaus
nel corso del loro incontro al Castello di Praga.
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consensi anche altrove. Dovrebbero però essere pronti a
non ricercare necessariamente un consenso unanime.
Per questo devono riuscire a “volare alto”. I temi possibili non mancano. Dall’energia, dove l’apporto della Germania è essenziale per definire una politica che assicuri
allo stesso tempo la sicurezza degli approvvigionamenti e un rapporto costruttivo con la Russia, alla regolazione dei mercati finanziari, all’interno dei quali si sa che le
banche tedesche rappresentano l’incognita maggiore, per
non dire della rappresentanza dell’Europa nei consessi
internazionali: ora che la Germania sembra aver compreso l’impossibilità di ottenere un seggio permanente al
Consiglio di sicurezza dell’Onu, dovrà pur porsi il problema di una strategia alternativa. Se un qualsiasi coniglio è destinato a uscire dal cappello, è bene che ciò avvenga presto. Non più tardi della prossima primavera la
Gran Bretagna sarà guidata da un governo se possibile
ancora più euroscettico di quello attuale. Le sue richieste potrebbero paralizzare l’Unione per lunghi mesi: nella migliore delle ipotesi distruggeranno le residue aspettative per gli effetti dell’entrata in vigore del Trattato di
Lisbona. Non lasciare l’iniziativa ai britannici dovrebbe
quindi essere la prima preoccupazione degli altri.
Gli europei
non credono ai valori assoluti
I teoremi centrali di tale tradizione europea di pensiero sono l’accettazione e il rifiuto delle utopie e degli ideali, la loro disamina e l’insistenza sul realismo.
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Al contempo, a partire dall’Il-
luminismo, l’Europa ha acquisito la capacità di osservare se stessa dall’esterno per accettare
la propria contingenza, riconoscere che la
propria versione della verità non è assoluta,
che qualunque asserzione può (dovrebbe) essere messa in discussione. Il rifiuto di valori
assoluti...
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di György Schöpflin
e la prima metà del XX secolo fu un autentico disastro per l’Europa, un disastro creato dagli stessi europei, la seconda metà si rivelò un trionfo di portata ragguardevole, ancora per merito degli europei. Naturalmente, durante tutto il secolo anche Paesi non europei (Stati Uniti e Unione Sovietica in primo luogo) diedero il proprio forte contributo alle vicende del continente. L’esperienza del Novecento dimostra che gli europei
sono capaci di imparare le lezioni che ricevono e di applicare queste e il loro lascito intellettuale ai problemi
del presente. La lezione per eccellenza in tal senso è che
le decisioni migliori (le più efficaci, le più razionali dal
punto di vista dell’obiettivo) vengono prese quando gli
europei sono disposti a vedere se stessi solo come euro-
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La Cechia è stato l’ultimo Paese
a ratificare il Trattato di Lisbona.
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Afp Photo / J. Klamar
Afp Photo / M. Cizek
Un nutrito gruppo di esponenti
del partito ceco degli euroscettici
ha manifestato anche lo scorso 27 ottobre
a Brno davanti alla Corte Costituzionale
che doveva esprimersi sulla costituzionalità del Trattato.
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Il presidente francese Nicolas Sarkozy, nel corso
Due fra i maggiori filosofi tedeschi del secolo scorso:
del summit Ue a Bruxelles lo scorso 30 ottobre, ha annunciato
A SINISTRA Arthur Schopenhauer
che il Trattato di Lisbona entrerà in vigore dal primo dicembre.
e A DESTRA Friedrich Nietzsche.
li aspetti e le dimensioni fondamentali dell’eredità europea sono sempre controversi, e a dire il
vero lo sono perché il confronto delle diverse
idee è di per sé fondamentale ai fini di qualsiasi legittimo concetto di Europa; legittimo perché ritenuto accettabile dalla maggioranza degli europei. Va rilevato che
esistono altre tradizioni intellettuali non altrettanto disposte a convivere con il confronto delle idee, tradizioni che vedono la creazione dell’armonia come il fine più
importante della vita, e dunque attribuiscono priorità ai
sistemi di pensiero monistici.
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Afp Photo / E. Feferberg
E non è certo facile, tenuto conto che gli europei credono fermamente che i propri mondi cognitivo e volitivo
derivino dalla nazione-Stato, piuttosto che dall’Europa
I teoremi cardine di tale tradizione europea di pensiero
sono l’accettazione e il rifiuto delle utopie e degli ideali,
la loro disamina e l’insistenza sul realismo.
Al contempo, a partire dall’Illuminismo, l’Europa ha acquisito la capacità di osservare se stessa dall’esterno, per
così dire, per accettare la propria contingenza, riconoscere che la propria versione della verità non è assoluta, che qualunque asserzione può (dovrebbe) essere messa in discussione. Il rifiuto di valori assoluti, di progetti definitivi, di proposizioni incontestabili, consente all’Europa di riflettere sul proprio operato, ciò che la tradizione nazionale, con le sue potenti pressioni emotive,
non può fare.
E questo, a sua volta, ostacola il superamento delle tradizioni ormai antiquate.
Va da sé che tale meccanismo non è valido per tutti gli
europei, sempre e in tutte le situazioni, ma consente alle élite di comunicare nuovi teoremi, sfidando i più vec-
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chi, a una fascia sociale più ampia, che in tal modo può
cercare di fuggire la gabbia digressiva dei suoi precedenti assunti. Qualcosa del genere si verificò dopo il 1945,
quando alcuni membri dell’élite compresero che le argomentazioni messe in campo prima del 1939 avevano
condotto gli europei al disastro totale, che c’erano metodi atti a evitare il ripetersi degli stessi eventi e, soprattutto, che nel vuoto del dopoguerra esisteva un’unica opportunità di attuare questa nuova visione.
n’altra dimensione di tale impostazione riflessiva riguarda il potere. C’è una solida linea di discussione in Europa, secondo la quale il potere
non va mai concentrato in modo assoluto, che è necessario prevedere procedure mirate a contrastare il potere
stesso o che queste possano essere recuperate quando un
determinato responsabile politico abbia accumulato
troppo potere. Per alcuni aspetti, fu questo meccanismo
a fermare la Seconda guerra mondiale e a consentire che
la scalata al potere della Germania nazista venisse respinta. Nel dopoguerra, per contro, la costruzione di
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Nell’angusto spazio che occupa il continente, si contano
circa trentacinque prestigiose culture, con tanto di potere politico, che collidono, interagiscono e si occupano di
temi politici. Non stupisce, pertanto, che in Europa il
conflitto rimase endemico finché, dopo il 1945, non venne elaborato un sistema per smantellare le strutture foriere di scontro. Questo ha significato per forza di cose
subordinare parte (non tutta) della sovranità statale-nazionale, in passato considerata la migliore forma di tutela della superiore entità europea.
stessa. Tuttavia tali concetti, interessi e identità statalinazionali devono gran parte della loro esistenza proprio
al più vasto contesto europeo.
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pei e ad anteporre gli interessi del continente a quelli degli Stati, delle nazioni e dei Paesi di appartenenza, per
riconoscere che esiste davvero un’identità europea che
trascende le singole identità nazionali. Anzi, gli interessi di Stato vengono salvaguardati al meglio proprio quando sono agganciati all’Europa.
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Afp Photo / E. Feferberg
Il primo ministro spagnolo José Luis Zapatero con i suoi colleghi,
Afp Photo / J. Thys
il belga Herman Van Rompuy e l’ungherese, Gordon Bajnai.
un’Europa integrata si fondò, in tale contesto, sulla garanzia che nessuno avrebbe più potuto accumulare tanto potere in tutto il continente. La Guerra fredda avanzò
lo stesso assunto nei confronti all’Unione Sovietica.
L’edificio politico eretto sulla base di questi solidi principi era per forza di cose imperfetto, sebbene abbia resistito piuttosto bene alla prova del tempo. Il grande interrogativo è se gli strumenti lasciatici dal XX secolo per
costruire l’integrazione europea saranno ancora validi
anche nel XXI. Qui la risposta non può che essere un
punto interrogativo. Laddove a livello quotidiano il corpo di complessi regolamenti messi in campo dall’Unione europea e dalle comunità che l’hanno predeceduta
funziona in modo adeguato (sorvolando sulle assurdità,
tanto amate dai media, che generano le molte norme burocratiche), anche il primo decennio del nuovo secolo
dimostra l’esistenza di un paradosso in apparenza insolubile.
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l momento l’Ue esercita un potere considerevole, distinto dal potere degli Stati membri, e lo fa
per ragioni di efficienza funzionale (ad esempio
tutela dell’ambiente, sicurezza alimentare e una pletora
di altre aree poco affascinanti), ma detto potere non è legittimato tanto quanto il suo esercizio. I vari tentativi di
accrescere la legittimità democratica del potere dell’Ue
si scontrano con la riluttanza (in alcuni casi estrema riluttanza) degli Stati membri e dell’opinione pubblica degli stessi. Supponendo che esista un “popolo” europeo,
dovrebbe essere popolo dello Stato-nazione e al contempo europeo, il che non può funzionare. È stata questa la
lezione dei referendum francese, olandese e irlandese.
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Dunque, se il sentire comune è che l’Unione europea proceda sulla sua strada, è necessario potenziare la legittimità dell’Ue, non il potere, ma questo collide con l’opposizione sia tacita sia esplicita degli Stati membri, per
non parlare della forza crescente dell’eurofobia. Pertan-
NELLA PAGINA A FRONTE Jan Fischer, primo ministro ceco.
to, il dibattito sul futuro dell’Europa dovrebbe focalizzarsi su questo problema, non su timori vaghi e indefiniti, come quello di un fittizio super-Stato europeo.
Quanto agli Stati che hanno aderito nel 2004 e nel 2007
(salvo Cipro e Malta), si trovano ad affrontare un complesso di difficoltà particolari, che i vecchi Stati membri né
comprendono né sembrano voler intendere. Certo, l’aver
vissuto 45 anni di comunismo monistico è uno dei principali fattori. Ma ve ne sono anche altri. La ricostruzione
democratica in questi Paesi non è stata affatto completa e
la consuetudine ad opporsi al potere comunista si è tramutata in resistenza al potere democraticamente responsabile e al potere europeo, malgrado la distinzione tra
questi venga fatta di rado. Pertanto, i nuovi Stati membri
portano con sé problemi ereditati dal passato pre-comunista, il più significativo dei quali è che il modello di modernità che hanno cercato di costruire è stato acquistato
come pacchetto unico dall’Occidente (aver adottato l’acquis communautaire è un esempio in proposito), che non
è stato e non poteva essere adattato alle esigenze locali.
Il risultato è stato un duraturo senso di indeterminatezza, di carente rappresentanza, di potere esercitato senza
che l’opinione delle diverse popolazioni dei Paesi dell’Europa centro-orientale sia presa in considerazione. A
questo si può aggiungere il senso di marginalità che contraddistingue tutte queste società. E la conseguenza è una
debolezza del sistema politico nel quale le regole sono
viste come “morbide” e aperte alla contrattazione, l’esecuzione non è adeguata, l’autorità istituzionale è flebile
e dove trasparenza e responsabilità non sono conformi
agli standard europei. L’Ue, d’altro canto, non possiede
gli strumenti per imporre tali standard, perché la propria
premessa necessaria è che gli Stati membri vi si siano già
adeguati.
Da questo punto di vista, l’Ue e il processo di integrazione si trovano ad affrontare due problemi interni distinti:
come migliorare la legittimità del potere comunitario e
come assicurare che i nuovi Stati membri si avvicinino
al minimo necessario in termini di democrazia e di supremazia della legge (già ampiamente in essere nei vecchi Stati membri). A questi possiamo aggiungere le difficoltà provenienti dal mondo esterno: la traiettoria degli Usa, gli obiettivi della Russia, l’emergere della Cina e
di altre entità moderne non europee e l’impatto della globalizzazione. Fattori che sottolineano l’urgenza di trasformare la stessa Ue.
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