Notiziario della C.A.S.B. n. 21 - Luglio 2004

Transcript

Notiziario della C.A.S.B. n. 21 - Luglio 2004
Sommario
Editoriale
Commiato
Saluto
In memoria di un amico
A Gianpiero
Sede sociale
Itinerari di Fulvio Chiorino
Dalla Madonnina Nera di Oropa ai piedi del Cervino
Wilderness biellese
Gita sociale alle Rive Rosse di Curino
Bric Paglie
I Carët di Camandona
Sentieri sul Monte Casto
GTB - Seconda tappa
I circuiti della Frazione Chiavolino
Le bombe vulcaniche
Il sentiero della canapa
In cammino sulla Serra
Dove osano le piante
Come compresi il Vangelo
Mi ritorna in mente
Caratteristiche geologiche e geomorfologiche del Biellese
Per un inventario dei sentieri interrotti
Tra camosci e stambecchi, attenti alle volpi!
Spigolature
Gianinetto AE
Ringraziamenti
8
9
11
12
14
15
16
32
39
44
47
49
53
58
65
67
68
72
75
76
81
83
88
95
97
100
102
In redazione, Franco Frignocca.
© Copyright 2000 C.A.S.B. Tutti i diritti riservati.
Testi e fotografie contenuti in questa pubblicazione non possono essere
riprodotti, neppure parzialmente, senza Autorizzazione degli autori tramite la
C.A.S.B., che benvolentieri la rilascerà previo impegno della citazione dell’autore e della pubblicazione. Si prega di fare richiesta scritta.
La responsabilità sul contenuto degli articoli firmati ricade sui rispettivi
autori
Notiziario della C.A.S.B. n. 21 - Giugno 2004
Recapito postale:
c/o CAI - Via Pietro Micca, 13 - 13900 Biella
Tipolitografia Elle.Esse - Biella - Via Salita Riva, 3
7
Editoriale
Nell’assemblea generale tenutasi nel Giugno 2003 il
nostro presidente e fondatore della CASB, ing. Leonardo
Gianinetto, ha rassegnato le proprie irrevocabili dimissioni. L’assemblea ha demandato la nomina del nuovo
presidente al Consiglio Direttivo che, successivamente
riunitosi, ha eletto il sig. Franco Frignocca.
Caro Leonardo, ecco la CASB orfana del suo fondatore.
L’hai voluta, l’hai creata, e l’hai guidata per tanti anni. Ora,
per merito tuo, è conosciuta, apprezzata, quando si parla di
sentieri è la prima ad essere ascoltata. Nel nostro Biellese, i
sentieri hanno i segni bianco-rossi che i soci, sotto la tua
guida, hanno applicato; il catasto che tu hai voluto è ricco di
400 sentieri.
Ed ecco il primo notiziario senza di te.
Già nella lettera con cui la C.A.S.B. ha comunicato ai
soci l’avvenuto cambio nella direzione dell’ associazione ho
espresso la mia preoccupazione per il fardello affidatomi. A
maggior ragione sono preoccupato ora, nel presentare il
primo Notiziario senza di te. Così come la C.A.S.B., anche
il Notiziario è una tua creatura: impostazione, scelta degli
articoli, veste grafica, tutto è dovuto a te.
Ed è proprio grazie al Notiziario che molti di voi lettori
siete diventati soci della C.A.S.B., perché lo apprezzate e vi
fa piacere, una volta all’ anno, riceverlo a casa vostra. Posso
garantirvi due cose: che Leonardo continuerà a collaborare
coi suoi articoli e con le sue fotografie (e questo lo vedete
subito sfogliando questo numero) e che il Notiziario continuerà ad essere quello che è sempre stato da 20 anni ad oggi.
In questo numero vedrete che siamo tornati ad allegare le
cartine degli itinerari, alle quali ultimamente si era dovuto
rinunciare: è un notevole aggravio di costi, ma d’ altra parte
abbiamo constatato che erano molto gradite. Altra novità è
l’ aggiornamento degli itinerari dell’ ormai introvabile volume di Fulvio Chiorino: la famiglia, molto gentilmente, ci ha
concesso l’autorizzazione ed in questo numero ne troverete
alcuni. Alla descrizione originale segue l’ itinerario aggiornato alla situazione attuale: nuove strade, tratti scomparsi,
cascine abbandonate……
Per il resto, come di consueto: itinerari, note naturalistiche, ricordi del tempo che fu.
Cari lettori, a voi il giudizio: ogni vostro commento sarà
il benvenuto e verrà tenuto nella debita considerazione. Per
me, un augurio: Leonardo, continua ancora a lungo a collaborare al notiziario !!
Il Presidente
Franco Frignocca
8
Commiato
dai lettori di “Sentieri del Biellese”
Non mi pare giusto e rispettoso lasciare i miei estimatori, siano o no soci della CASB, senza rivolgere
loro alcune parole di commiato ed augurio.
Un affettuoso saluto ed un sentito ringraziamento
mi sembrano ben dovuti a chi per oltre vent’anni mi
ha seguito, aiutato e spronato nel compito non sempre facile di valorizzare e far conoscere il nostro caro
ed amato Biellese. Nel 1977 fidando nella collaborazione degli escursionisti biellesi accettai il compito
di reggere e dirigere quel comitato da cui, per naturale evoluzione, sorse la CASB che essenzialmente
ressi nei suoi compiti statutari tra i quali - molto
importante - la descrizione sul notiziario delle località, delle bellezze, della natura e degli aspetti del
Biellese, unendo in unico corpo studi, sensazioni,
sentimenti ed impegni statutari.
Non lascio questo compito per malattia - come è
stato scritto - ma solo ed unicamente per il disagio e
il magone - l’espressione settentrionale accettata
dallo Zingarelli sta per accoramento o dispiacere che l’emarginazione inflittami in questi ultimi anni,
dalla molto aggravata sordità, tanto da rendere molto
difficoltoso - molto sovente quasi inutile - il rapporto verbale negli scambi di idee ed opinioni sulla conduzione della CASB, che, oltre ai conversari e rapporti interni tra conosciuti amici, deve mantenere
importanti contatti e relazioni con le pubbliche autorità.
Certamente non era decoroso il dovermi fare
accompagnare ad ogni invito ad ogni richiesta di
incontro ed era per me deprimente il dover lasciare a
chi mi accompagnava l’incarico di rispondere in mia
vece, non sempre in linea con il mio pensiero. Allora,
pur con tanto rimpianto ho passato il testimone della
CASB come pure ho lasciato - per coerenza - quello
di “ Sentieri del Biellese “
Ora per me è saggia decisione il seguire l’esempio
di Cincinnato - non a caso qui ricordato - che, vinti i
nemici di Roma, volle ritornare ai suoi campi. Ma
9
anzichè ai campi od al giardino, riprendendo più letterariamente e modernamente il pensiero di Voltaire
“Laissez moi cultiver mon jardin” lasciatemi metter
mano ai miei libri, ai miei sogni, alle mie montagne,
alle mie tanto sognate bianche distese innevate.
In effetti i libri, la poesia e le opere d’arte - ben
inteso, in riproduzione tipografica - sono stati calmanti molto blandi e pur tuttavia sono riusciti a farmi
trascurare, anzi dimenticare, gli appunti già impostati per la rubrica “Ciak su...”.
Poi, improvvisamente, fatto rinsavire dalla richiesta di Franco, a cui non ho voluto togliere la speranza di poter contare sulla mia futura collaborazione,
ritornando a bomba, non mi sento l’animo di chiudere la mia attività di redazione di Sentieri del Biellese,
di ritirarmi in silenzio senza un sentito grazie, un
caloroso saluto ed un affettuoso abbraccio, (ben figurato s’intende) dedicato a tutti i lettori di questo notiziario, da me coraggiosamente e fortemente voluto,
ideato, curato dal primo numero sino a quello pubblicato nel 2003 ed inviato a tante persone, sparse per
tutta Italia. Secondo il mio sentire valeva la pena di
far conoscere il “mio” caro e amato Biellese, tanto
variegato quanto verdeggiante in mille e mille aspetti e così attraente per altrettanti non facilmente spiegabili motivi.
Il past presidente
Leonardo Gianinetto
^
10
^
^
Saluto
Al termine del 2003 non ci ha abbandonato solo il
nostro fondatore, Leonardo Gianinetto: anche sua sorella, la preziosa Adriana, ha dato le dimissioni.
I lettori del notiziario hanno avuto modo di conoscere Leonardo per gli articoli e le foto, ma solo i consiglieri ed i soci che hanno collaborato alla vita della
CASB hanno potuto apprezzare il contributo di Adriana
Gianinetto, e ben sanno che l’aggettivo ‘preziosa’ è più
che meritato.
Non solo nei vent’anni di vita della CASB, ma già dal
1977, quando nasceva la Commissione Coordinatrice
per la Segnaletica, tutto il lavoro di segreteria è sempre
stato scaricato sulle spalle di Adriana. Contabilità, elenco dei soci, rilascio tessere e bollini, circolari, spedizioni, incombenze postali e bancarie, corrispondenza: a noi
sembrava ovvio che tutto dovesse essere a posto, che i
revisori non muovessero mai un rilievo sui bilanci, che
tutti i soci ricevessero per tempo circolari e notiziari, che
le richieste di contributi giungessero per tempo ai vari
enti e che le richieste di pezze giustificative fossero sempre tempestivamente evase. Ecco, sono state necessarie
tutte queste righe di stampa solo per elencare quello che
Adriana ha fatto per quasi trent’anni.
Cara Adriana, come ce la caveremo senza di te? Per
forza ce la dovremo fare, e fortuna che ora ci sono i
computer. Ma sappi che tutte le volte che dovremo sbrigare un’incombenza urgente e magari complicata, penseremo a te, e ti diremo: grazie Adriana.
Il Presidente
Franco Frignocca
_
_
_
11
In memoria di un amico
“ Chi meglio di te potrebbe preparare un ricordo di
Gian Piero Acquadro da pubblicare sul notiziario ? “ è il
biglietto che il presidente Franco mi lasciò sulla scrivania.
Potrei rispondere che già il ricordo di Gian Piero fu
pubblicato su un giornale biellese, che in quel pezzo fu
detto tutto l’essenziale sul nostro amico andato avanti
lasciando un grande vuoto tanto nell’organizzazione
della CASB quanto -e forse ancor più- nel mio cuore.
Era un modesto che non faceva pesare la Sua presenza e la Sua attiva partecipazione alla vita sociale. Il Suo
handicap pareva isolarlo, invece il nostro amico riusciva
ad essere partecipe attivo a tutte le iniziative.
Il suo era il consiglio della persona ormai avviata
all’anzianità, ricco d’esperienza pratica, di buon senso,
di tanto cuore per tutti ed in modo preferenziale per i
disabili -pardon, per i diversamente abili dell’ANFFAS,
per i quali era valido, attivo e vigoroso accompagnatore.
“Passo io a prendervi, lascia in garage la tua macchina” era la frase tradizionale con cui mi salutava quando
si combinava una qualche uscita.
Che ricordare altro di Gian Piero? solo i suoi amici
personali di Pralungo, quelli a lui più vicini, potrebbero
illuminarci sulle doti, pudicamente nascoste, del Suo
animo.
Però ... una eccezione voglio fare.
So di certo che dai colloquii avuti nei suoi ultimi giorni fu tratto il pensiero caratterizzante il necrologio stampato dai giornali: “Salì sulle montagne per sentirsi vicino a Dio, finchè Dio lo volle con sè” e questa stessa
locuzione - molto significativa ed emblematica per il
mio animo - fu per me manoscritta dalla figlia sulla fotografia offertami in ricordo.
Forse potrei ancora accennare alla Sua forza d’animo
ed all’attiva rassegnata accettazione del Suo destino. Mi
pare che nulla di più ci sia da aggiungere alle poche
righe già scritte per il notiziario sociale in ricordo della
persona e dell’animo di Gian Piero. O forse è bene
ristampare le righe pubblicate in occasione della Sua
serena dipartita per una più pacata e ragionata rilettura.
« Per ricordare gli amici troppo sovente si sprecano le
12
parole. Di Gian Piero Acquadro, socio e consigliere della
CASB non voglio ricordare che il Suo passo fermo, la
Sua camminata lenta ma sicura e continua, la Sua disponibilità per le grandi e le piccole incombenze, il Suo
cuore generoso che lo sospingeva a trattenere il passo
per tendere la mano ad un ragazzo che madre natura
aveva dotato —secondo le più moderne ed attuali teorie— di abilità diverse dalle nostre. Gian Piero non guardava alla disabilità di quei ragazzi, non aveva bisogno di
eufemismi per accompagnare quei “disabili” in escursioni adatte alle loro possibilità e quei ragazzi più o
meno handicappati ampliamente gli mostravano il loro
affetto. Era il non apparente “organizzatore ed animatore della festa del laghetto dei pescatori di Pralungo”,
come altrettanto attivo e zelante, senza essere invadente,
si adoperava per la festa delle caldarroste organizzata per Suo suggerimento- dal gruppo degli Alpini di
Pralungo, in modo da poter offrire ai ragazzi
dell’ANFFAS un pomeriggio diverso dal solito.
Ricordati questi episodi pubblici, rinnovati di anno in
anno, ed aventi ormai il crisma dell’ufficialità, è per me
meglio tacere perché, degli afflati del Suo cuore, solo
Dio può essere testimone. »
Mi pare che nulla di essenziale sia stato dimenticato
dalla prosaica mia penna, nel rievocare e illustrare la
figura, la personalità, il comportamento e il cuore di
Gian Piero ma, con ben altri concetti e parole, in poetica composizione è stato ricordato da un altro amico che,
sicuro della mia riservatezza, onorandomi della Sua più
completa fiducia, volle affidarmi il manoscritto onde
fosse consegnato anonimamente alla redazione di
Sentieri del Biellese. Il che io ho fatto per veder pubblicato quell’accorato canto di doglianza,
Leonardo Gianinetto
J
J
J
13
A Gianpiero
La notizia mi affligge.
La mia mente non vuol capire.
Il mio cuore soffre
per Gianpiero.
La gravità della notizia mi porta a trovarlo:
non so se piangere o gridare.
L’uomo, con un sorriso,
gli occhi faceva brillare.
L’uomo che accompagnava a spasso i ragazzi
dell’A.N.F.F.A.S.
l’uomo semplice che amava le sue montagne,
Sì proprio LUI,
i miei occhi lo vedevano dimagrito e sofferente.
Si proprio LUI che mi diceva, ne ho per poco.
E LUI che mi racconta tutto il suo male.
Alla fine mi raccomanda i ragazzi dell’A.N.F.F.A.S..
Portali in montagna.
Portali a pescare.
Portali alla castagnata degli Alpini.
Non pensava al SUO male.
Il male ce l’ha portato via,
Ci ha tolto un amico prezioso,
che mai tornerà, ma che sempre con noi sarà.
Gianpiero, la Tua consorte lassù hai trovato,
questo ci consola, anche se abbiamo pianto tanto.
Guidaci nelle nostre passeggiate.
Guidaci nella bontà e nell’amore, come sai fare TU.
Ora non Ti disturbo più, però pensaci TU.
Ciao
Un amico
¶
14
¶
¶
Sede sociale
E’ già stato comunicato con vari mezzi, ma non sarà
inutile ripetere che ora la nostra sede è ospitata dal Cai
di Biella e che pertanto l’indirizzo è:
CASB - C/o CAI sezione di Biella
Via Pietro Micca, 13 - 13900 Biella
Poiché la presenza in sede è saltuaria, per contatti telefonici vi preghiamo di rivolgervi ai consiglieri:
SERGIO BORAINE
015405216
DONATA CUCCATO
01529170
ENRICO DAL PRA’
015 2536723
DON GIUSEPPE FINOTTO
015 2522389
FRANCO FRIGNOCCA
015 31465
GIORGIO GABOGNA
015 57231
GIAN CARLO GUERRA
015 8491850
FERDINANDO MANNA
015 406121
GIAN MARIO MARTINER
015 403039
PIER MARIO MIGLIETTI
015 8491882
LUCIANO PANELLI
015 562486
CELESTE PIVANO
015 61133
PIERO PRINA
015 26 884
GRAZIELLA SAVANT ROS CISILINO
015 8493214
GIANPIETRO ZETTEL
015 2423113
15
Itinerari di Fulvio Chiorino
Anni 1970
Si ripropongono cinque itinerari di Fulvio Chiorino,
già pubblicati sul suo libro “SENTIERI DEL BIELLESE” negli anni settanta. Questa guida ha avuto meritatamente molto successo (ne sono una prova le diverse
ristampe) per la logicità del percorsi, per la loro varietà e
piacevolezza. Si riporta qui integralmente per ognuno
degli itinerari il testo originale (in corsivo), sempre fresco ed attuale e si aggiungono opportuni aggiornamenti
accompagnati da uno schizzo con l’indicazione del percorso.
ELVO 14
BOSSOLA, m. 954
ROC DELLE FATE, m. 1247
PIAN DELLA MORTE, m. 1450
ALPETTO, m. 1477
L A COLLA NELLA VALLE DELLA VIONA, m.1359
Itinerario di traversata molto panoramica dalla valle
dell’Elvo alla valle della Viona a quota 1450
Ore 3,30
Si segue all’inizio lo stesso percorso dell’itinerario
ELVO 13. Non si attraversa il Rio Strusa e si prosegue in
salita nella pista tagliafuoco e poi lungo un sentiero al
limite est della pineta. Si sale nella faggeta e si trovano
segnavia bianchi che portano su un sentiero a sinistra
fuori dalla faggeta. Si attraversa ,in salita una marcita,
(mòje) e si ritrova, a sinistra, il sentiero che porta in una
bella località detta “Oscarone”.
Un magnifico gruppo di faggi dai tronchi singolarmente contorti sembra proteggere, a monte, la baita “Fò
Oscaron”. Proseguendo sul sentiero dietro la cascina e in
salita si arriva in una conca a monte del ripetitore della
T V Svizzera. Si attraversa altre “moje” e si sale sul sentiero che porta in pochi minuti al “Roc delle Fate” m.
1247, gruppo di rocce e punto di vista panoramico molto
esteso. Su una pietra è incisa una croce. In alto, a destra,
guardando le montagne un gruppo di baite, l’Alpe
16
Nuovo. A questo punto si lascia il sentiero che prosegue
in discesa verso l’Alpe Cugnolio e si sale diritto verso
monte su un sentiero che, serpeggiando, segue il filo
della dorsale.
Si guadagna presto quota. Arrivati su un dosso erboso
il sentiero si porta a sinistra in leggera salita verso due
baite diroccate e poi in salita ancora fino al “Pian della
Morte” m. 1450.
Bellissima località erbosa, piana ed estesa posta sotto
il Bric Paglie e a cavallo dei due valloncelli del Rio Grè
e Rio Camporetto.
Nei pressi del “Pian della Morte” a quota 1376 si
dovrebbe trovare la “Tana delle Fate” o “Bore d’Jafè” nei
cui pressi si dovrebbe pure trovare una pietra lamellare
residuo, si suppone, di un altare druidico (vedi
Fontanella “Biella e il Biellese” p.235 e Torrione e
Crovella “Il Biellese” p. 260).
Purtroppo le ricerche di chi scrive, svolte anche interpellando gli alpigiani, non hanno condotto alla localizzazione della grotta e dell’altare druidico. Rimane invece
viva nel ricordo degli alpigiani anziani la leggenda degli
stranieri venuti sul posto per la ricerca di minerali.
Questa leggenda parla di un incontro su questa montagna
fra gli stranieri e gli alpigiani locali. Durante questo
incontro gli alpigiani derisero le donne degli stranieri che
avevano i piedi vuoi di mulo o vuoi di oca. Gli stranieri
indispettiti fuggirono portando con loro i segreti delle
miniere. Rimane il detto popolare tuttora molto ricordato: “lj trapita ‘s n’andran, ma coi ‘d Netro e ‘d Donà s’
ne pentiran”.
Il “Pian della Morte” si può raggiungere anche con
altro itinerario da San Carlo di Graglia come descritto
nell’itinerario ELVO 12.
Dopo una sosta in questo bellissimo altipiano si prosegue il cammino ancora lunghetto. Un sentiero a ovest
porta in leggera salita alla baita “Alpetto” m. 1477 e di
qui in piano alla baita “Alpi Grè”. Questa baita è facilmente individuabile per la copertura del tetto in lamiera
e per la sua solida costruzione. Gli alpigiani salgono con
le loro mandrie da Donato a questi ubertosi pascoli nel
vallone del Rio Grè che nasce in questa conca.
Una breve sosta, un bicchiere di acqua fresca e si
riprende il cammino. Un sentiero si diparte verso sera
17
prima in piano e poi in leggera salita valica la dorsale,
quasi in cresta, che divide la valle dell’Elvo dalla valle
della Viona. In questo punto, molto panoramico, l’occhio
spazia su un orizzonte vastissimo praticamente su tutto il
Biellese occidentale e più lontano sino al lago di
Viverone, la Serra e gran parte del Canavese.
Dall’Alpe Grè in 20 minuti si raggiunge la strada carrareccia Andrate –Valle della Viona poco sotto una cava
di quarzite in esercizio nell’autunno del 1973 e poco
sopra la località Colla dove si trova una cascina, fabbricato lungo tinteggiato in bianco visibile da lontano.
A questo punto il turista può proporsi due conclusioni
alla sua gita:
ritornare sui propri passi alla Bossola;
scendere sui dossi della Valle della Viona sulla strada,
o meglio, fuori strada sino all’incrocio con la
Panoramica Andrate-Bossola sperando di trovare una
automobile amica per ritornare al punto di partenza.
Aggiornamento
La parte in comune con l’itinerario ELVO 13 inizia
dalla Bossola, frazione di Netro, raggiungibile in automobile da Graglia, su una pista che sale dal piazzaletto
sul “tracciolino” (la strada che congiunge Oropa ad
Andrate) direttamente nel bosco con forte pendenza.
Successivamente la stessa si snoda per una salita più
agevole in questa bella pineta di larici e di pochi abeti
con un sottobosco ricco di more e lamponi. Dopo il passaggio vicino al Rio Strusa si seguono le indicazione
sopra riportate. Il segnavia è B11 fino al bivio per
Oscarone; qui, su di un masso, è indicato B11 sia verso
destra che verso sinistra, mentre deve intendersi B11
verso destra e B11a verso sinistra. In prossimità del ripetitore della TV Svizzera (?) si deve percorrere un brevissimo tratto verso l’alto su una pista che sale dal “tracciolino”. Dopo il Roc delle Fate il sentiero è molto labile ma la direzione è evidente. Prima di arrivare al Pian
della Morte le due baite diroccate sono state ristrutturate. L’Alpe Grè è ora collegata con la carrareccia citata
nel testo che passa da Pian Bres ed arriva al “tracciolino”
e che si può seguire per il ritorno.
18
ELVO 14
19
ELVO 20 – Stra dle pajasse
NETRO, m. 600
MOLINASSO, m. 462
MONGRANDO S. MICHELE, m. 433
Itinerario verde
Da Netro 2 ore e 30’
Da Molinasso 2 ore
Lunga e bella passeggiata tutta in piano da
Molinasso, immersa, nel tratto da Molinasso alla strada per S. Michele, nel verde fitto dei valloncelli del
versante destro della Valle dell’Ingagna.
Particolarmente suggestivo nelle prime settimane di
maggio in giornate di sole quando la luce filtra attraverso la cortina di verde tenero della foglie appena
sbocciate.
Si consiglia di percorrere questo itinerario dopo
giornate di tempo asciutto: gli stivali di gomma non
sono sprecati.
Questa era la strada che percorrevano i fucinatori,
gli operai che da Netro si portavano al lavoro nelle
fucine lungo l’Ingagna e a Mongrando.
Punto di partenza Netro centro, nella piazzetta del
Municipio.
Si passa sotto un arco. Si percorre la via del Teatro il
cui vecchio frontone è a sinistra e si prosegue per la
frazione Cerea. E’ una strada molto stretta, asfaltata,
ben tracciata e ben inserita nel paesaggio che si percorre piacevolmente a piedi. Si può, volendo, scendere a
Molinasso in automobile, però con molta attenzione
per la pericolosità della strada stretta e a curve. Si scende rapidamente a Cerea, poche case a destra sul pendio
e una chiesetta dedicata all’Immacolata.
Poco prima di Cerea si stacca, a sinistra, una stradina che porta a Zumer, altra vecchia fucina a valle di
Molinasso.
Dopo Cerea, in fondo alla valle pochi metri sopra
l’Ingagna, la vecchia fucina, il mulino e la cascina di
Molinasso.
Una breve sosta. L’officina di Molinasso come le
altre a monte (Netro) e le altre a valle (Zumer-La
Fonderia-Mongrando) erano, 60-70 anni fa, in piena
20
attività per la produzione di falci, cazzuole, martelli,
incudini, dopo aver prodotto nel Medio Evo elmi,
corazze e spade e, nella prima metà dell’ottocento,
baionette per le guerre d’indipendenza.
Il lettore può ricercare notizie più dettagliate nel
libro “Il Biellese” pubblicato dal C.A.I. di Biella nel
1898 dove si parla delle antiche fucine di Netro e
Mongrando.
Il turista potrà osservare a Molinasso, aiutato dalla
cortesia dell’attuale proprietario signor Martinetti, quel
poco che rimane dell’attività di un tempo e formarsi
un’idea approssimata della tecnologia del lavoro di
allora.
Punto base era la derivazione d’acqua dall’Ingagna,
che ora aziona la ruota del mulino, e che, a suo tempo,
azionava la ruota idraulica per fornire l’energia motrice ai magli dell’officina.
Nell’officina più nessuna attrezzatura; solo muri e
travi anneriti. Nella parte a monte del fabbricato il
“carbonile”, deposito di carbone di legna per le forge,
carbone che era prodotto sul posto e portato dalle
donne nel deposito.
Nel cortiletto della casa si nota una vaschetta di pietra incavata a forma di falce. In questa vaschetta le
famose falci di Netro, uscite roventi dalle forge, subivano la tempera nel sego fuso ricavato dal grasso di
capre e montoni.
Da Molinasso, fatti pochi passi in discesa, si giunge
al T. Ingagna che si attraversa su un ponticello.
Si sale, per una strada campestre, sull’altro versante.
Dopo cinque minuti, uscendo dalla strada incassata
fra due ripe, si giunge ad un bivio. Si prosegue stretto
a sinistra in piano, si passa appena a monte della cascina “Pajasse”, e si continua una stradina, sovente sentiero, che si insinua nei valloncelli secondari alternando a tratti rettilinei diverse curve dove attraversa rii.
Anche il bosco denso di castagni vecchi e di ceduo,
di carpini e di faggi alterna al fitto della vegetazione
alcuni squarci verso Netro, le sue frazioni e i suoi verdi
dossi che digradano verso l’Ingagna.
Dopo 20 minuti a destra una cascina; su una pietra
del muro è inciso 1916.
E’ la cascina Prassono e pochi passi dopo si attra21
versa il rio Prassono.
Si percorre ancora cinquanta metri e si trova un
bivio.
A destra una strada in salita, scavata dall’acqua,
porta nei pressi della cascina Gasperino, poco a valle
della strada Mongrando S.Lorenzo-Donato.
Il nostro itinerario prosegue a sinistra, in piano, su
strada che diventa sentiero e dove i rovi ostacolano in
qualche punto il passaggio.
Dieci minuti ancora e si giunge al termine della
“Stra dle pajasse” uscendo sulla strada che scende dal
Trucco Bello.
Qui occorre decidere: o ritornare sui propri passi a
Molinasso o proseguire per Mongrando San Michele.
Se si intende raggiungere Mongrando si scende in
basso verso i prati e si svolta a destra dove sono due
grossi pini; si prosegue in piano su una buona strada
campestre dirigendosi a sinistra al primo bivio.
Tranquilla passeggiata in piano verso San Michele che
si raggiunge alla frazione Gatto.
Da San Michele o da Mongrando San Lorenzo l’automobile una volta tanto amica ci potrà riportare a
Netro passando per le cascine Gallo e Donato per la
strada che ha scompigliato il naturale aspetto di questo
paesaggio.
Aggiornamento
Al mulino di Molinasse si è ancora accolti con cortesia dalla signora Rosanna, figlia del signor
Martinetto citato da Chiorino. Vi si può acquistare dell’ottima farina di polenta, sempre prodotta nel mulino,
uno degli ultimi ancora azionati idraulicamente: basta
deviare manualmente con una saracinesca l’acqua sulla
grande ruota esterna, questa si mette a ruotare e fa girare le macine di pietra all’interno.
Il sottostante ponticello sull’Ingagna è stato travolto
dalla piena del 5 giugno 2002 e fino a che non lo si
ricostruisce occorre guadarlo in modo assai precario.
Pochi passi dopo l’Ingagna si ignora, a valle della
strada incassata, una pista a sinistra che porta direttamente alla cascina Pajasse. Da qui fino alla cascina
Prassono, percorso interamente su pista in piano (con
un solo bivio dove si prende a sinistra), occorrono
22
almeno 40 minuti.
Per arrivare a Mongrando vi è ora un’altra possibilità un po’ insolita, lungo l’invaso dell’Ingagna. Dal
mulino si raggiunge Zumer su stradina passando da
Cerea, oppure su sentiero e tracce vicino all’Ingagna,
sul vecchio canale (tendente a scomparire nella vegetazione) che portava acqua dal mulino alle fucine di
Zumer. Da qui si scende ripidamente prima su pista poi
su traccia di sentiero verso est fino al rio Borca che si
guada facilmente; un successivo sentiero in piano,
sempre verso est, porta sui prati degradanti dall’alto
fino all’Ingagna, che si segue sempre da vicino fino ad
un manufatto in costruzione per il controllo della acqua
all’invaso. In questo punto se si guada l’Ingagna si
trova di fronte una pista che risale il pendio boscoso
verso nord e porta dopo un paio di chilometri dove
sono i due grossi pini (che in realtà sono abeti) citati da
Chiorino.
E’ più interessante però, dopo il manufatto, continuare verso est, sempre sulla sinistra orografica; si arriva alla stradina che scende dalla Colla di Netro, la si
segue fino ad arrivare ad un ardito viadotto
sull’Ingagna, che si attraversa; la successiva ampia
strada sterrata costeggia tutto l’invaso sulla sua destra
orografica. Il paesaggio è insolito per i biellesi; vi si
possono scorgere parecchi uccelli acquatici. Dalla
parte opposta si vedono le diverse frazioni di
Vagliumina (purtroppo il sentiero riportato sulla Carta
del Biellese, terzo foglio, edito dalla Filatura di
Chiavazza, sulla riva sinistra dell’invaso, sotto quelle
frazioni non esiste più).
Giunti nei pressi della diga, dove la recinzione
impedisce di proseguire, si sale su una ripida e breve
traccia sulla destra, si prosegue sulla pista a sinistra poi
sulla strada a destra fino a S. Michele.
CERVO 22
23
ELVO 20
24
PANORAMICA ZEGNA al bivio per Oriomosso m.1100 circa
CASCINE CASEN, m.1152
CASCINE VEGLIO, m.1278
CASCINA FONTANA, m.1567
Bella passeggiata su facile largo sentiero, molto panoramica, consigliata all’inizio di giugno.
Ore 1,30
Si percorre la Panoramica Zegna oltre Piaro sino al bivio, a
destra, per Oriomosso (da Piaro circa 2 km.).
Si lascia il mezzo motorizzato nello slargo all’inizio del
bivio. Si inizia la passeggiata tornando indietro sull’asfalto per
circa 40 metri fino al punto in cui, sul muro a monte, si trova
l’imbocco di un sentiero e si legge sul muro la scritta “Casen”
con una freccia.
Si sale nel bosco per dieci minuti e si raggiungono prima le
cascine Casen e poi le cascine Veglio.
Questo sentiero, meglio mulattiera, è stato ampliato e riparato da poco tempo a cura del Corpo Forestale. Si snoda con pendenza moderata sulla dorsale che scende dalla Cima del
Bonom.
Lo sguardo spazia sulla media valle del Cervo, sul lato destro
dell’alta valle e su tutta la testata.
Il percorso è vario e piacevole anche per le diverse specie
arboree dal faggio agli abeti ai pini.
In ultimo, fuori dal bosco,il sentiero porta sul pendio erboso
dove è la cascina detta “Fontane” (sulla I.G.M. C. Fontana).
In questa cascina salgono per tutta la stagione estiva mandriani di Mosso S. Maria con 30/40 capi di bestiame.
Una fontana con un getto abbondante di acqua freschissima
disseta il viandante ed invita ad una sosta.
Chi vuol spendere ancora un po’ di fiato a godere gli orizzonti più ampi può salire, seguendo la dorsale, alla Cima del
Bonom m. 1877, spartiacque della Valle del Cervo con la Valle
Sessera, preventivando un’ora e un quarto di salita.
Aggiornamento
Alla partenza non vi è più sul muro la scritta “Casen”, ma
dieci metri a valle del bivio per Oriomosso ha inizio un sentiero con l’indicazione “22 – Sentiero delle Ginestre” dell’Oasi
Zegna. Lo si segue fino alle Cascine Casen, poste sulla dorsale,
ormai ridotte a ruderi; poi a mezza costa in lieve salita sull’altro
versante alle Cascine Veglio, anch’esse abbandonate. Subito
25
dopo queste ultime, al bivio, non evidentissimo, si prende a sinistra ( a destra si va alle Cascine Machetto, Custodia e Marletto)
la traccia in salita di quello che fu un bel sentiero, ora ancora
reperibile anche se a tratti semi-invaso dalle felci, fino alla meta.
Vicino a Casen si trova il masso scolpito dalla Forestale nel
1934 di cui ci sono due fotografie ed una descrizione di F.
Frignocca e L. Gianinetto nel notiziario CASB del 2000 n. 16.
CERVO 22
STRONA1
26
CAPOMOSSO, m. 812
CASCINA CROLLE, m. 960
SELLA DEL POMO, m. 1023
BOCCHETTA DI LUVERA, m. 1287
Ore 1,30
Si raggiunge Capomosso da Mosso Santa Maria e si parcheggia dove finisce la strada asfaltata. Si sale subito a destra qualche
scalino e poi un sentierino che immette dopo 5 minuti nella mulattiera. Un tratto in piano, poi nuovamente in salita seguendo segnavia rossi. Si passa a monte di una cascina, il sentiero si biforca; si
segue il sentiero di sinistra prima in piano e poi in lieve salita a
monte della cascina Crolle. La cascina Crolle, ora recintata, è posta
in amena verde località su un dosso che scende verso il M. Orbello.
Dopo 30-40 minuti si scende alla Sella del Pomo con una bella
vista sul vallone del Rio Poala su Veglio Mosso, Camandona, il M.
Casto e le montagne della Valle di Oropa e dell’Elvo.
Il sentiero prosegue sul dosso prima e a mezza costa in un bellissimo bosco di betulle. Usciti dal bosco si arriva su un’altra sella
e si vede di fronte la meta vicina, la Bocchetta di Luvera, che si raggiunge in 30-40 minuti.
Aggiornamento
La prima parte fa parte della GTB (Grande Traversata del
Biellese), segnavia L 21, mentre l’intero percorso è contrassegnato nell’ambito dell’Oasi Zegna “10 – Sentiero del Lupo”. La partenza è situata alla frazione Ferchiani; invece che sugli scalini si
può iniziare direttamente sulla mulattiera che comincia leggermente prima, quasi parallela, a monte delle case verso sud-est.
Dopo il tratto in piano alla prima biforcazione si prende a destra (a
sinistra una nuova pista porta alla cascina Crolle), diritto in salita
fino ad una cascina (ex Locanda Prealpina) che si vede a sinistra
in basso; qui al bivio, al limite del bosco, si va ancora a destra a
mezza costa (a sinistra si scende alla pista di prima per la cascina
Crolle, che in questo itinerario non deve essere raggiunta), si attraversa il rio Caramanzana in corrispondenza di una presa d’acqua
e si sale sul sentiero nel bosco verso sud-ovest fino ad un altro
bivio: a sinistra continua in piano la GTB verso il vicinissimo
dosso che divide i bacini Caramanzana e Poala, a destra prosegue
il nostro itinerario sempre più o meno in salita fino all’altra sella.
SERRA 13
ANDRATE, m. 852
27
STRONA1
28
CASCINE ROSSANA, m. 950
PONTIJE, m. 972
ANDRATE
Si descrive questa passeggiata appena fuori dal confine
del Biellese per la bellezza della località.
Si lascia l’automezzo nel piazzale della chiesa di
Andrate vicino all’antenna del ripetitore radio e TV in
un punto panoramico molto esteso.
Si scende all’incrocio delle strade e si volgono i
passi a sinistra sulla strada verso il cimitero. Si attraversa tutto il pianoro e si ha di fronte l’imbocco della
Valle d’Aosta e le montagne della Val Chiusella. Si
prosegue fra le prime cascine in salita, in piano e in
breve discesa sino ad incontrare una mulattiera che sale
da Nomaglio.
Si svolta stretto a destra ed in salita su questa mulattiera sino ai prati attorno alle varie cascine in regione
Rossana. Bella località con buona esposizione, alcune
cascine sono abitate tutto l’anno. In primavera questi
prati hanno una splendida fioritura di genziane.
Volendo prolungare la passeggiata si può salire a monte
delle cascine cercando sentieri da una cascina all’altra
in direzione est e sempre in salita. Si arriva in un pianoro, Pra Grande, a quota 1056. Proseguendo ancora in
salita verso le cascine Rionca e Vallerei si dovrebbe in
un’ora o poco più arrivare a San Giacomo (m. 1294).
Lo scrivente ha percorso questo itinerario solo fino a
Pra Grande.
Dalle cascine nella località Rossana si percorre per
il ritorno un sentiero in piano direzione est che in 15
minuti arriva a Pontije. Si ritorna ad Andrate sull’asfalto o per i prati a destra della strada.
Aggiornamento.
Ora si può lasciare l’automobile nel vasto pianoro
dove si trova il cimitero. Dopo aver attraversato
Techiale, si incrocia la mulattiera che sale da Nomaglio
dopo venti minuti dalla partenza, in un bosco. Essa si
interrompe in corrispondenza di un ponte nuovo pedonale in legno, in regione Rossana, dove arriva una pista
dalla strada Andrate-S. Giacomo. Se si vuol ritornare a
29
Pontije si prende questa pista a destra, al bivio successivo si tiene la sinistra, poi in corrispondenza di una
piccola piantagione di abeti recintata si imbocca un
sentiero a sinistra che in pochi minuti porta alla meta.
Tutta la zona è interessata ora da stradine e villette.
Se si vuole raggiungere San Giacomo si prosegue
come segue:
- al ponte nuovo in legno si prende la pista a sinistra
in salita, asfaltata in buona parte, la si segue fino al 5°
tornante, dal quale si stacca verso destra un’altra pista;
- la si segue e si attraversa in leggera salita verso est
una estesa e bella zona a prato (regione Rionca), con
cascine ristrutturate;
- si incrocia una pista che arriva dalla strada
Andrate-San Giacomo, che si può utilizzare per il ritorno (punto di partenza pochi metri a monte di Pontije)
- la si percorre in salita fino ad una caratteristica
costruzione con tre archi disposti su due piani
- si gira a destra su traccia di pista a mezza costa in
leggera salita e si passa dietro ad una cascina
-si arriva ad una mulattiera che, dopo aver raggiunto verso l’alto un altro gruppo di case, si trasforma in
pista e raggiunge, in mezzo al bosco, San Giacomo.
A cura di Gianpietro Zettel
30
SERRA 13
31
Un nostro affezionato socio, il sig. Luigi Sitia di
Mango, in provincia di Cuneo, ci invia per la pubblicazione un suo articolo, a suo tempo apparso su
“L’Escursionista”, periodico della sottosezione UET del
CAI di Torino. Il nostro socio manca da Biella da molto
tempo, e questo fa sì che oggi la parte biellese dell’ itinerario sia, come dire, obsoleta. Il sentiero che dalla
valle della Gragliasca sale al colle Irogna e scende nella
valle omonima è di difficile percorribilità, meglio seguire il filo della cresta fino al colle Torrison. In compenso
il sentiero tra l’ alpe La Scala ed il lago della Vecchia (E
49) è discreto; il sentiero E59, poi E69, dal lago della
Vecchia al rifugio Rivetti evita di scendere fino al bivio
per l’ Alpe Cunetta per poi risalire. Inoltre l’Alta Via
delle Alpi Biellesi permette, a chi lo vuole, di percorrere
quasi tutto l’itinerario seguendo il filo della cresta. Fatte
queste precisazioni, riteniamo lo scritto del nostro socio
molto interessante e qui lo proponiamo.
Dalla Madonnina Nera di Oropa ai
piedi del Cervino
Traversata Biella - Breuil - (Trekking attraverso quattro
valli).
Presentiamo una bella camminata che, attraverso
quattro magnifiche vallate, Biellese, valle di Gressoney,
valle d’Ayas e valle del Marmore, porta il pellegrino a
gustare la sfarzo di alcune tra le più prestigiose vette
delle nostre Alpi. Occorre preventivare almeno quattro
giorni, meglio se si dispone di un’intera settimana, allo
scopo di potersi eventualmente fermare nei punti più
interessanti, o anche di attendere che il maltempo si dilegui, e lasci al sole nuovo spazio per splendere.
L’attrezzatura necessaria è quella normale per una
marcia in quota, compresa tra 2000 e 3000 msm, e perciò partiremo provvisti di scarponi, giacca a vento, passamontagna e guanti, mantella da pioggia e il cambio di
calzettoni, canottiere e maglie. E’ inoltre necessaria la
piccozza o, almeno, un bastone ferrato e anche i ramponi, che possono venire utili nell’ultimo tratto dal colle
32
Superiore delle Cime Bianche alla stazione omonima
della teleferica che scende da Plateau Rosà.
Anche se è possibile contare su numerosi punti di
ristoro, è bene portare con sè il fornelletto da campagna,
per potersi regalare ogni tanto almeno un buon caffè liofilizzato.
Il percorso può essere suddiviso nelle seguenti tappe:
- Santuario d’Oropa - Rifugio Rivetti
- Rifugio Rivetti - Gressoney la Trinitè
- Gressoney la Trinitè - Saint Jacques
- Saint Jacques - Breuil
1a Tappa: Oropa - Rifugio Rivetti.
Il tempo necessario per percorrere questa tratta varia
da 1 a 3 giorni, a seconda del percorso scelto, del tempo
meteorologico e dell’allenamento dei camminatori.
L’autore di queste note ha però sempre percorso gli itinerari qui esposti nel volgere di una giornata, e quindi
ciò è ampiamente possibile. Bisogna però tener conto di
due fattori molto incerti: le condizioni meteorologiche,
che nel Biellese lasciano sempre molto a desiderare, e i
punti d’appoggio (rifugi, margerie) che non sono sempre
abitati. Suggeriamo intanto di arrivare ad Oropa verso il
tardo pomeriggio di un giorno di agosto avanzato o,
meglio ancora, di un corposo e tranquillo mese di settembre. Non sarà difficile trovare un giaciglio, soprattutto nella vasta foresteria del Santuario, meglio però essersi messi in contatto qualche giorno prima, con la Sezione
CAI di Biella.
A chi crede in Dio, una sera trascorsa a Oropa può
essere un meraviglioso incentivo di escalation spirituale.
A chi crede soltanto nei monti, la valletta queta, ricca di
rupi ferrigne e di tanto verde smeraldo, sarà culla per una
serata indimenticabile, soprattutto se avrà saputo scegliere una notte di luna piena.
Da Oropa è possibile scegliere due itinerari:
a) Oropa - Galleria Rosazza - Rosazza - Piedicavallo
- Rifugio Rivetti.
b) Oropa – M.Camino - Colle Gragliasca - Colle
d’Irogna - Lago della Vecchia - Rifugio Rivetti.
33
Itinerario A
Non presenta difficoltà ed è adatto, naturalmente, per
i buoni camminatori. Bisogna partire presto, almeno
verso le 6 e, in un’oretta circa si raggiunge, per strada
carrozzabile, ma non asfaltata, il buco o budello straordinario chiamato Galleria Rosazza, posto sotto il Colle
della Colma (1622 msm).
La galleria, lunga circa 300 metri, sbocca su di uno
spiazzo che domina tutta la Valle del Cervo. Una lunga
camminata, circa 2 ore, ci porta a Rosazza, antico borgo
biellese, che ha dato i natali a parecchi uomini illustri.
Lungo la strada si incontra il notevole Ospizio di S.
Giovanni.
A Rosazza, se si è fortunati, si può acchiappare la corriera che in dieci minuti ci porterà a Piedicavallo, altrimenti si copre questo percorso in tre quarti d’ora. Verso
le dieci-undici del mattino si può quindi essere a
Piedicavallo, ultimo centro della Valle Cervo.
A destra della Chiesa parrocchiale si inerpica una scalinata, in cima alla quale sgorga una fontana purissima:
fate provvista d’acqua! Si segue quindi la mulattiera che
risale, toccando numerosi casolari, fino al ristoro
Olimpia (1539 msm) e di là, salendo sempre duramente,
fino al Rifugio Rivetti (2201 msm). Da Piedicavallo al
Rifugio occorrono almeno quattro ore. Tenuto conto
delle soste, che è bene e doveroso fare, si può contare di
raggiungere il Rifugio verso le sei di sera. L’ultimo tratto di questo percorso, cioè da Piedicavallo al Rifugio, è
faticoso e ripido, ma molto bello, anche se non panoramico, perchè si risale un complesso di vallette e canaloni scoscesi e rupestri.
Itinerario B
Va lasciato a camminatori superbi, con qualche nozione di alpinismo, e puó anche richiedere due giorni di
marcia, con una notte trascorsa sotto le stelle. La cosa
migliore sarebbe di lasciare Oropa verso sera e, utilizzando la teleferica del Lago del Mucrone, ci si porta al
Rifugio Rosazza (1813 msm) dove si pernotta. Di buon
mattino si utilizza la seggiovia del Monte Camino (2391
msm) che così può essere raggiunto senza fatica in un
quarto d’ora circa. Comunque sia, il Monte Camino deve
vederci in vetta al più tardi verso le otto. Panorama
34
magnifico sul gruppo del Rosa, Cervino compreso, e
sulle montagne biellesi. Da lì bisogna seguire la cresta
che, puntando decisamente a nord senza difficoltà, salvo
qualche roccione che può essere aggirato, porta fino al
Colle Gragliasca (2213 msm) dopo aver toccato la Punta
Lei Long (2326 msm) e la Punta Gragliasca (2337 msm).
Sono le nove circa e ora si scende verso Rosazza, percorrendo la bella mulattiera che scende dal colle. Dopo
circa un chilometro e appena attraversato uno scosceso
canalone, fate attenzione per individuare un sentiero
malamente tracciato che in un quarto d’ora circa, ci porta
al Colle d’Irogna (2092 msm). Sempre seguendo il sentiero e marciando verso nord, si toccano le Alpi Irogna,
si supera un colletto posto tra il Monte Cresto e la Punta
Canaggia e si raggiunge l’orrido Lago della Vecchia, col
suo rifugio, posto a 1872 msm. Raggiungendo tale meta
per mezzogiorno si può proseguire, altrimenti è consigliabile di fare tappa, trascorrendo il pomeriggio a lanciar sassi nel lago e la notte a battere i denti nel rifugio.
Infatti ora il percorso va scelto con cura, secondo un
certo fiuto alpinistico, e può richiedere parecchio tempo,
per cui è bene avere ancora molte ore di luce davanti a
sè.
Dal Rifugio della Vecchia prendere la mulattiera che
scende a Piedicavallo, poi, all’altezza delle Alpi Canabà,
accostare a sinistra e procedere a naso, tenendosi paralleli alla cresta che ci sovrasta. Per dossi e forre raggiungere l’Alpe La Bosa (2018 msm), poi l’Alpe Mologna
Piccola, si attraversa il torrente Mologna, si osserva con
nostalgia la bella mulattiera che scende a valle, ci si inerpica nuovamente sul costone che precipita dal Monte
Gemelli e si raggiunge l’Alpe Lavazei (2043 msm). Da
lì, per ciapiè e prati si raggiunge il Rifugio Rivetti. Dal
Lago della Vecchia al Rifugio bisogna preventivare
almeno cinque buone ore e non temere di affrontate terreno ignoto e selvaggio, con lievi difficoltà dovute più
che altro alla vegetazione (rododendri) e a qualche ciapiè
da attraversare,
Panoramicamente la traversata è tutta da godere,
soprattutto dal Monte Camino fino al Lago della
Vecchia. Fatto in primavera avanzata questo percorso
offre una flora interessantissima e non è raro vedere l’aquila volteggiare sulle teste.
35
2a Tappa: Rifugio Rivetti – Gressoney la Trinité
Percorso panoramico spettacolare, che si compie in 78 ore di marcia serena, su sentieri facilmente individuabili o mulattiere che ricordano il duro lavoro dei montanari che le hanno costruite.
Anche qui vale il consiglio di partire presto, prima del
levar del sole, la cui comparsa all’orizzonte fumoso della
pianura padana è bene sia guardata dal Colle della
Mologna Grande (2314 msm) raggiungibile in un quarto
d’ora dal Rifugio Rivetti.
Da questo colle bisogna proseguire quasi in piano, per
ciapié e roccioni, lungo un sentiero non sempre ben rintracciabile, ma individuabile a occhio, e che ci porta in
un’oretta circa al Colle Lazoney (2395 msm) dopo esser
passato accanto al lago Zukie. Da questo colle ora si
scende nel vallone del torrente Loo, lunghissimo e
magnifico, che ci invita a camminare speditamente, con
un quadro di montagne belle e fascinose, costantemente
davanti agli occhi. La pista si trasforma in bella mulattiera dalle Alpi Loo Sup. (2064 msm) che ci porta, con
un’altra ora e mezza di marcia fino a Gressoney S. Jean,
dopo aver toccato Loomatten e Mettien.
Attenzione: all’altezza delle Alpi Loo di sotto non
lasciarsi attirare dal sentiero che risale verso “il Colle”.
E’ una strada possibile, ma a non ben conoscerla si corre
il rischio di perdersi entro le forre pericolose che formano il fianco sud-ovest del Corno Rosso. A Gressoney S.
Jean e anche prima, sul Piazzale della seggiovia di
Weissmatten, si può attendere la corriera che porta a
Gressoney La Trinité, risparmiando così due ore di marcia su stradone. E’ vero che tale marcia è alleviata del
panorama del M. Rosa, ormai onnipresente, ma chi scrive è dell’opinione che le strade asfaltate siano da percorrere motorizzati, se appena ciò sia possibile.
Una variante a questo percorso, consigliabile però
solo ad alpinisti esperti, muniti di corda, è la seguente.
Dal Colle di Lazoney puntare decisamente a nord e raggiungere l’orrido passo del Maccagno (2495 msm). Indi,
per cresta, raggiungere il Corno del Pallone (2874 msm)
e poi il Corno Rosso (2979 msm). Dal Colle del Pallone
al Corno Rosso si percorre un’aerea e affilata cresta, che
può soddisfare anche un esigente rocciatore. (3° e 4°
grado).
36
Dal Corno Rosso si divalla rapidamente fino alle Alpi
Brunnen e poi, per buon sentiero, si raggiunge la borgata Valdobbia di Gressoney S. Jean.
A coloro che non desiderassero pernottate in un centro come Gressoney, consigliamo allora ancora una
buona ora di cammino, fino a raggiungere la Capanna
Carla Rivetti, posta poco prima di Ciavàl. Potranno
gustare una trota al forno di impareggiabile qualità, e
dormire al rumore dell’acqua scrosciante del Rio che
discende dal Rifugio Lys.
3a Tappa. Gressoney La Trinité - St. Jacques
Questa tappa è di tutto riposo, e ci vuole, dopo le due
tirate precedenti. Inoltre si svolge in uno scenario grandioso, che va centellinato con cura come una bottiglia di
vino prezioso. Il percorso chiede da 5 a 6 ore, al massimo, ma è bene, per quanto detto sopra, dedicarvici l’intera giornata.
Da Gressoney la Trinité, o dalla Capanna Carla, raggiungere Stafal e lì, orribile dictu sed optime factu, servirsi della comoda seggiovia che porta al Colle della
Bettaforca (2675 msm). Il Colle può comunque essere
raggiunto, dai camminatori arrabbiati, in tre ore circa di
placida salita. In previsione di quel che ci attende domani, noi però vi saliremo in mezz’ora circa con l’aiuto
della suddetta seggiovia.
Dalla Bettaforca, in tre ore si divalla a S. Jacques.
Non dimenticarsi una fermata a Resy, per farsi servire
una succosa polenta concia al Rifugio Ferraro. Un buon
posto per dormire si può avere senza difficoltà a S.
Jacques, o meglio ancora a Fiery. Però è bene informarsi, prima di affrontare l’erta mulattiera che vi porta.
A questo punto consigliamo un giorno di sosta, magari con una puntata fino al lago Blu, sotto la morena del
Ghiacciaio di Verra. Il posto è degno di questa sosta, e le
nostre gambe pure, perchè l’ultima tappa è durissima,
anche se affascinante.
37
4a Tappa. S. Jacques - Cime Bianche - Breuil
La partenza va fissata molto presto, non più tardi delle
cinque del mattino. Non esistono difficoltà di percorso,
almeno fino al Colle delle Cime Bianche (2980 msm),
ma la strada da fare è tanta e il dislivello ragguardevole
(ca. 1400 m).
Mentre si cammina, torreggia sulla nostra sinistra il
Gran Tournalin, mentre a destra biancheggiano i seracchi
del Ghiacciaio di Ventina. Giunti di fronte alle Cime
Bianche, poggiare a destra escludendo il sentiero che
sale al Colle Inferiore delle Cime Bianche, raggiungere
il Gran Lago e su, inerpicandosi per comodo, ma duro
sentiero, fino al Colle Superiore. Dire ciò che si prova
quando, di colpo, ci si trova di fronte al Cervino, lì a portata di mano, esula dalle capacità della penna di chi scrive, Bisogna provarlo e fare in modo di arrivare al Colle
per mezzogiorno.
Dal Colle i percorsi sono due. Quello più semplice,
ma più faticoso, consiste nel scendere lungo il sentiero
che passa sotto il lago Golliet, fino al Breuil (due-tre ore
di marcia). Fare attenzione nel primo tratto, perchè il
sentiero non è facilmente decifrabile, a causa del terreno
costituito da ciapiè e detriti.
Chi volesse gustarsi il Cervino fino a sera, dovrà proseguire verso nord, su ciapié e lastroni, fino a raggiungere le ultime propaggini del Ghiacciaio di Valtournanche.
Si prosegue a occhio, guidati dallo sperone della
Stazione delle Cime Bianche, dove bisogna giungere non
oltre le 16 per poter afferrare l’ultima corsa della teleferica che scende dal Plateau Rosà. Questo tratto può
richiedere l’uso dei ramponi, ma generalmente è scoperto, soprattutto se la traversata è compiuta in settembre
avanzato. E’ possibile trovarvi genepi, arquebuse e molte
marmotte.
Giunti al Breuil, ovverossia Cervinia, non fermarsi.
Prendere la prima corriera per Torino, e allontanarsi precipitosamente da quel luogo, diventato ormai un pugno
nello stomaco per ogni alpinista.
Questa traversata, specie se accompagnata dal bel
tempo, vi lascierà nell’anima ricordi indimenticabili.
Buon cammino!
Luigi Sitia
38
Wilderness Biellese
Credo che ben pochi Biellesi sappiano dov’è il rio
Riasco; eppure questo minuscolo ruscello ha creato una
valletta di non trascurabili dimensioni. Scendendo in auto
da Pettinengo a Zumaglia, si sovrasta appunto questa
valle, delimitata a sinistra (est) dalla costa su cui sono
poste le frazioni Perino e Gurgo di Pettinengo, ed a destra
da quella su cui sorge l’ abitato di Zumaglia. In alto, poco
sotto l’ abitato di Pettinengo, isolata, c’è la frazione
Miniggio: di lì in giù la valle è completamente disabitata:
dall’ alto si vede solo un fitto, impenetrabile bosco.
Subito dopo la strada Ronco-Ternengo, il rio svolta decisamente ad est e va a buttarsi nel Quargnasca all’altezza
del Mulino di Piatto.
Nella valle, pochi ruderi di cascine: evidentemente
anche nei tempi andati non dev’essere mai stata fittamente abitata. Ora è frequentata solo dai boscaioli e, d’inverno, da un pastore con qualche pecora. Il tratto in fondovalle è umido ed il percorso richiede tre guadi; è bene non
affrontarlo in periodi di abbondanti precipitazioni.
Per i locali è la “Bunda Granda”; Massimo Sella, nel
suo “la Bürsch” la chiama Val Grande (a proposito di wilderness......): già ai suoi tempi la descrive solitaria e selvaggia.
Per percorrerla conviene andare a Ronco Biellese ed
imboccare la strada per Ternengo. Dopo un fabbricato ed
alcune vasche in cui, un tempo, vi era un allevamento di
trote, si attraversa il ponte sul nostro rio e subito, a sinistra, si imbocca la strada per S.Francesco e Pettinengo: la
si percorre per poche centinaia di metri fino ad un tornante dove si può lasciare l’ auto.
Proprio sul gomito del tornante si innesta la carrareccia che inizia il nostro itinerario.
La stradina scende ripida e dissestata fino al livello del
rio, poi si snoda in piano e lo costeggia. In alto, sulla
nostra sinistra, ci sovrasta il Brich di Zumaglia (ma il
castello è nascosto dietro al cocuzzolo); più in là, sul crinale, le case del paese di Zumaglia. Dopo una decina di
minuti dalla partenza, ecco il primo guado, subito seguito dal secondo (la carrareccia taglia un’ ansa del torrente).
Non sempre l’ attraversamento più agevole è sulla strada,
buona per i trattori un po’ meno per i pedoni, ma guardandosi un po’ attorno si trova il passaggio migliore.
39
Poco dopo, la valle piega a destra e si raggiunge il terzo
(ed ultimo) guado. Sullo sfondo appaiono in alto le case
delle prime frazioni di Pettinengo.
Un’ altra decina di minuti (20 dalla partenza) e la strada attraversa un altro guado: noi lo trascuriamo ed imbocchiamo sulla sinistra un sentiero che ha piuttosto l’aspetto di una roggia. Sul fondovalle che abbiamo abbandonato, poco più in là sono i ruderi Zorio, una delle tante fabbrichette sorte per sfruttare l’energia motrice dell’acqua.
Riflettiamo un attimo sui sacrifici di chi veniva a lavorarci, percorrendo questi boschi disabitati con sole, pioggia,
vento, neve: i vecchi ricordano ancora come nei giorni di
paga fosse necessario traversarli tutti insieme per paura
dei malfattori.
Il nostro sentiero-roggia è ben presto sbarrato da una
serie di alberi caduti. E’ questo, sia pur breve, il tratto più
disagevole del percorso: conviene salire a sinistra per la
massima pendenza (ci sono comunque tracce di passaggio) ed in breve si ritorna sul sentiero che ora ha svoltato
a sud per aggirare una costa; subito dopo però torna a
girare per dirigersi a nord-ovest. Ora che siamo saliti più
in alto sul Brich di Zumaglia ci appare anche il castello.
E’ poco più di mezz’ora che camminiamo e raggiungiamo i ruderi di una cascina, edificio di non trascurabili
dimensioni che ai suoi tempi deve aver avuto un certo
valore; ora è impossibile raggiungerla, circondata com’è
da una impenetrabile cortina di rovi. Nel cortile sopravvive una pianta di cachi, che quand’è stagione nessuno
viene a raccogliere e per settimane rimangono a marcire
sulla pianta.
Il sentiero è ora agevole e ben identificabile; ci siamo
alzati e sulla destra appaiono le frazioni di Pettinengo
(Ruccio, Perino, Gurgo). Il bosco è ora meno selvaggio;
agli onnipresenti castagni si alternano le querce.
Dopo 45’ dalla partenza, giungiamo sul sentiero che
collega Zumaglia con Miniggio. Dire sentiero è riduttivo:
in origine, quando era l’ unica via di collegamento, era
una mulattiera; ora, nel tratto da Zumaglia fin qui e poco
oltre, è una carrareccia. La seguiamo a destra (direzione
nord): poco oltre v’è una strada privata che scende ad una
cascina in fase di ristrutturazione e poi la carrareccia
ritorna mulattiera: si vedono le tracce dell’ antica cura
costruttiva: muretti di contenimento, recinzioni, a tratti
affiora addirittura del selciato. Dopo 5’ di cammino,
40
attenzione: la mulattiera sembra perdersi tra i rovi. Noi
dobbiamo prendere il sentiero di sinistra, che in trincea
raggiunge una specie di dosso; ancora a sinistra il sentiero prosegue a mezza costa, sempre più o meno in piano.
Si passa sotto ad una casetta bianca e, giunti ad una svolta, ci appare Miniggio. Il sentiero riprende il suo aspetto
originario di mulattiera e giungiamo alla strada asfaltata
a servizio di questo paese. Traversiamo per l’ultima volta
il nostro rio Riasco (questa volta su un lussuoso ponte) e,
dopo poco più di un’ora dalla partenza, raggiungiamo
Miniggio.
Questo, sconosciuto, a casa del diavolo, non ci si passa
ma bisogna andarci apposta, è uno dei più graziosi paesi
del Biellese. E’ completamente rivolto a sud e prende il
sole dall’alba al tramonto; alle spalle ha la collina di
Pettinengo che lo ripara dal freddo del nord: non per niente la maggior parte delle sue case sono tuttora abitate tutto
l’anno.
Qui termina la parte “selvaggia” della nostra passeggiata; d’ora in poi cammineremo su terreno aperto e
panoramico, tra case, cascine ed orti.
All’ inizio del paese ci accoglie un lavatoio (moderno,
in cemento); poco oltre, a sinistra, su una casa v’è un
grande affresco dell’ Immacolata. Noi deviamo per la
strada che fiancheggia questa casa e raggiungiamo la
chiesetta dedicata, appunto, all’Immacolata. E’ graziosissima, come pure è pregevole l’affresco della lunetta sopra
l’ingresso.
Dietro alla chiesa una strada selciata, in salita, ci condurrebbe a Pettinengo, presso la chiesa dei S.S .Fabiano e
Sebastiano: noi la trascuriamo per un sentiero pianeggiante che si distacca sulla destra, passa accanto ai ruderi
di una baita, ad un orto cintato (notare il pozzetto semicircolare di pietre a secco sull’ altro lato del sentiero) ed
ahimè poco dopo è interrotto da due piante cadute. Le
aggiriamo a monte, proseguiamo in piano fino a passar
sotto ad una grande cascina (cascina Cravetto), abitata
tutto l’anno e purtroppo giungiamo ad una frana (alluvione 2002). Anche questa la scavalchiamo a monte e giungiamo a due case ristrutturate, servite non diciamo da una
carrozzabile ma almeno da una trattorabile che ci conduce alla frazione Gurgo di Pettinengo. Sono passati 45’ da
quando siamo partiti.
Siamo sbucati sulla provinciale Pettinengo-Ternengo;
41
svoltiamo a destra ed abbandoniamo subito la provinciale
per proseguire diritti in via Duca d’Aosta ed imboccare una
stradina contraddistinta dal cartello di strada senza uscita. E’
la vecchia strada che collegava le frazioni prima della
costruzione della carrozzabile ed è tuttora ottimamente selciata. Siamo ora sull’ altro versante del ciglio che delimita la
valle del Riasco; la vista spazia dalla Rovella, Bioglio con le
sue frazioni, fino a Cossato ed alla pianura. Con una ripida
discesa giungiamo in un quarto d’ora alla frazione Trivero;
di qui è giocoforza seguire la provinciale fino a S.Francesco.
In 5’ siamo al cimitero di questa frazione con la sua curiosa
chiesa (sembra l’abside di una chiesa più grande mai completata) e poi alla frazione stessa. Quando la provinciale
svolta a sinistra per scendere sotto la parrocchiale, noi proseguiamo diritti per una strada asfaltata in salita (possiamo
anche prendere la pedonale che passa sotto ad un caratteristico arco). La strada asfaltata passa sul crinale, panoramico, tra case ristrutturate e nuove ville; quando inizia a scendere notiamo a destra un ben conservato pozzo. Ora la strada diventa sterrata, quando svolta a destra per scendere nel
vallone del Riasco (sulla strada c’è un grosso “termine” di
pietra) prendiamo un sentiero a sinistra che si dirige verso
una pineta, la costeggia, poi vi entra, infine ne esce sulla
sinistra e prosegue evidente tra betulle, querce e felci.
Sempre sul crinale, risaliamo un dosso appena accennato e poi scendiamo ripidamente finchè, mezz’ora dopo
S.Francesco ed un’ ora e mezza dopo la partenza, siamo
sulla provinciale, un centinaio di metri a monte della nostra
auto.
Maglificio Zorio
Fu fondato nella seconda metà dell’ ottocento da Pietro
Zorio; nel 1885, alla sua morte, fu diretto dal figlio Giacomo
fino al 1913, quando fu distrutto da un incendio. Nel 1882
ottenne un diploma di menzione onorevole all’ Esposizione
Generale dei Prodotti Biellesi; alla fine del secolo fu presentato un progetto per la sopraelevazione a tre piani.
Fonte: Archivi del centro di documentazione dell’ industria tessile del DocBi.
Oratorio dell’ Immacolata di Miniggio
Risale alla prima metà del ‘700. Particolare la sua costruzione: quattro absidi semicircolari, sopra una cupola quadrata che sopra ancora diventa ottagonale.
42
Fonte: d.Delmo Lebole, Storia della Chiesa biellese
Oratorio della Madonna del Brago
Non è, come potrebbe sembrare, la chiesa del cimitero di
S.Francesco: risale infatti al 1700 mentre il cimitero è stato
lì trasferito solo nel 1800. Poiché S.Francesco è diviso tra
due comuni, Bioglio e Pettinengo, con una sola chiesa, l’oratorio di S.Francesco appunto, la cosa dava luogo a liti, e
perciò i dissidenti hanno pensato bene di costruirsi un proprio oratorio. Nel 1823 fu richiesto al Vescovo il permesso
di costruire una navata davanti alla cappella; il permesso fu
negato, e l’oratorio rimase come lo vediamo.
Fonti: S.Trivero, Vie del Biellese ai Santuari Mariani
d.Delmo Lebole, Storia della Chiesa biellese
Franco Frignocca
Il Campanellino (Leucojum vernum L.)
Ciuchëtte o Ciuchëtte ‘d san Giusep.
Famiglia: Amarjllidaceae.
E' frequente nei prati freschi montani e collinari, nei boschi ombrosi; ha sei tépali
bianchi a punta verde ed una fioritura precoce che spesso avviene quando la neve
non è del tutto scomparsa.Viene molto raccolto come pianta ornamentale.
43
Domenica 27 aprile:
Rive Rosse di Curino
Diario di una gita sociale CASB
Percorso ad anello: Bioletto - Valle dell’Ostola Madonna dei Sabbioni - Cima le Pietre - Bioletto.
Dislivello 450 m - Tempo di percorrenza 4 ore.
Vedi cartina allegata.
Cenni Storici.
Nella preistoria troviamo nel Biellese i Liguri quali
primi abitatori, successivamente i Celti e nel 2^ secolo
a.C. i Romani i quali si limitarono a controllare le vie di
accesso ai passi con le vallate laterali con l’insediamento di presidi militari, quali il Castrum Quirinum da cui
deriva il nome di Curino.
Le prime notizie storiche risalgono all’anno 882 che
citano le cave di calce di Sostegno in uso ai Romani.
All’inizio del 1^ millennio Curino era dominato dal
Vescovado di Vercelli per poi passare alla Contea, al
Marchesato ed al Principato di Masserano.
Nel secolo 19^ Curino contava 3.000 abitanti per poi
ridursi, dopo una continua ma inesorabile emigrazione,
odiernamente a meno di 500 persone.
Il Territorio.
Il territorio di Curino si estende lungo la strada che
unisce Brusnengo a Pray in Valsessera, e alla Colma di
Balticati nel Mortigliengo, con una superficie di circa
2.200 ettari con altitudini comprese tra i 300 mt. e i 787
mt. della Cima la Guardia.
Curino è percorso a Sud dal torrente Bisingana, a
Nord dal torrente Coggiolasca e dal torrente Rovasenda
che scende a Sostegno.
Curino si estende nelle Colline Biellesi; non è paese
vero e proprio in quanto è suddiviso in frazioni, in cantoni ed in case sparse.
Le Rive Rosse.
Uno strano paesaggio con terreno di colore rossastro
dovuto a porfidi quarziferi ed a sfasciume di graniti rossi
di 300 milioni di anni fa con bassa vegetazione disposta
su aride dune e calanchi.
Percorrendo queste Rive, ci si aspetta di veder sbucare John Wayne inseguito dagli indiani.
44
La flora è caratterizzata da querce, castagni, betulle,
eriche, ginestre e ginepro; vi si trova pure il pero corvino ed una specie rara di felce. La fauna è presente
con i cinghiali.
Il Percorso.
Trenta persone al ritrovo di Biella S. Biagio, con
tempo splendido.
Direzione Biella-Laghi lungo la SS 142 con deviazione a sinistra per Brusnengo - Curino SP 142.
Si lascia alla destra Brusnengo e si prosegue seguendo l’indicazione Curino oltrepassando i Cantoni
Gianadda e Chiocchetti della frazione di S. Martino.
Alla frazione di S. Martino dove ha sede il
Municipio, si devia a sinistra per i cantoni di Bugellio,
Livera ed il terminale Bioletto (30 km. da Biella). Un
piazzaletto permette il parcheggio delle autovetture.
Cantone Bioletto (m 475) è la partenza dell’escursione che prevede un dislivello di 450 mt. con un
tempo di percorrenza di 4 ore.
Si oltrepassano le case e ci si immette nel sentiero
contrassegnato M35 fino a scendere dolcemente, nel
tipico paesaggio delle Rive Rosse, all’invaso di
Masserano (325 m) alla confluenza del torrente Ostola.
Si prosegue in lieve salita lungo la sponda sinistra
del torrente in un paesaggio completamente diverso dal
precedente: la vegetazione è più fitta con platani secolari sulla sponda destra. Il limpido torrente corre parallelamente al sentiero con piccole cascatelle che offrono piacevoli scorci. Un mulino diroccato segnala la
presenza fissa dell’uomo fino al secolo 19^.
Si prosegue fino all’Oratorio della Madonna delle
Neve (370 m) per poi risalire alla frazione Molinengo
(470 m), comune di Soprana, territorio di
Mortigliengo; sono visibili in questa frazione due case
semidiroccate tipiche del secolo 19^ con poggioli di
legno ed arcate.
Si riprende il sentiero con imbocco tra le case, contrassegnato M34, per raggiungere la strada asfaltata
che immette nella pista dell’oratorio Madonna del
Sabbione (510 m), ristrutturato nel 1993.
Si oltrepassa l’Oratorio per immetterci a destra nel
sentiero M41 che conduce alla Cima le Pietre a quota
600 m.
45
Siamo ora nel cuore delle Rive Rosse e la dimostrazione ne è la discesa a volte ripida e sdrucciolevole sul
terreno rossastro della dorsale che spazia a sinistra
sulle frazioni di Curino del torrente Bisingana, e a
destra sulle frazioni di Mortigliengo del torrente
Ostola.
Raggiunto un piano con pinetina si devia a sinistra e
si raggiunge Bioletto in breve tempo, oppure si prosegue fino ad immettersi nel sentiero M35 percorso all’inizio dell’escursione, con deviazione a sinistra si raggiunge il cantone Bioletto.
Luciano Panelli - Gianpietro Zettel
La Nigritella (Nigritella nigra L.)
Cuncòrdia o discuncòrdia
Famiglia: Orchidaceae.
Si tratta di una piccola orchidea con spigha sferoidale e fiori di colore variabile
dal porpora al rosa e perfino al bianco. Fiorisce da giugno ad agosto nei pascoli
alpini, ma può scendere fino ai limiti del piano montano. Ha un intenso profumo
che viene emanato dall'intera pianta quando è in fioritura e che non viene perso
neppure con il disseccamento.
Ogni pianta ha due tuberi palmati che la fantasia popolare paragona a due mani
accostate; la loro disposizione però può variare da un esemplare all’altro: possono presentarsi congiunte, quasi palmo a palmo, oppure divaricate, quasi dorso
contro dorso. Si credeva che il decotto dei primi (somministrato di nascosto)
creasse la concordia tra le persone, quello dei secondi la discordia.
(cfr. Alfonso Sella,1964) Caratteristico il profumo di cioccolato dei fiori.
46
Valle Elvo
Bric Paglie (1859 m) (da San Carlo attraverso le alpi
Amburnero di Sopra, Paglie di Sopra e di Baracchette)
Partenza: Colle S. Carlo (1028 m)
Dislivello in salita: 831 m
Tempo di percorrenza: ore 2,20
Segnavia: sentiero B7 e sentiero non segnalato
Note: Itinerario classico e molto frequentato su sentiero ben evidente e ottimamente segnalato fino all’alpe
Amburnero di Sopra. Oltre questo alpeggio si abbandona il sentiero segnalato e si percorre una via alternativa a
quella solitamente usata. Questa può essere usata in
discesa in modo di compiere un breve itinerario ad anello.
Lasciata l’auto nel parcheggio del colle S. Carlo
(1028 m), si prende a sinistra (cartello indicatore) un
marcato sentiero che parte a fianco di una strada sterrata. Si risale un prato ripido, si incrocia la strada e la si
attraversa per salire nuovamente tra i prati.
All’ennesimo incrocio con lo sterrato lo si segue percorrendo un tratto rettilineo in prossimità di alcune belle
case ristrutturate ed in ultimo con due tornanti si raggiunge un piccolo serbatoio dell’acqua. (1200 m ca. ore
0,20). Si abbandona la pista che prosegue verso destra e
si prende a sinistra (indicazioni in rosso sul serbatoio) un
marcato sentiero che, prima ripido e poi con andamento
pianeggiante, costeggia il lato sinistro di un boscoso crinale e raggiunge una piccola sella. Su pendenza più
accentuata, dapprima tra grandi faggi e poi tra betulle si
perviene ad un altra sella. Si taglia il pendio in direzione dell’alpe Amburnero di Graglia in modo di evitare
una poco accentuata elevazione della costa che si riguadagna poco oltre in corrispondenza di una panoramica
spianata. Il sentiero risale per un breve tratto la larga
dorsale poi, quando questa si raddrizza, la lascia per
spingersi verso sinistra tagliando su terreno un pò disagevole il bosco sovrastante l’alpe Amburnero di Graglia.
Al termine del breve mezza costa si esce dal bosco e si
risale rapidamente il lato destro del sovrastante pascolo
fino a guadagnare nuovamente la larga dorsale poco
47
oltre una elevazione rocciosa. Si segue verso sinistra la
larga groppa ed in breve si raggiunge l’alpe Amburnero
di Sopra (1538 m ore 0,55 tot. ore 1,15), dove giunge
dalla Bossola il sentiero contrassegnato con il segnavia
B11 (scritte su massi). Si lascia a monte il sentiero principale per il Bric Paglie e il Mombarone (segnavia B7) e
si attraversa in piano la dorsale guidati da sbiaditi segni
rossi e alcuni ometti di pietre. Oltrepassato il largo crinale la via diviene più evidente e diventano visibili le
costruzioni dell’alpe Paglie di Sopra. Il sentiero, con un
lungo mezza costa a pendenza moderata, taglia le pendici del Bric Paglie e raggiunge il piccolo pianoro dove è
ubicato l’alpeggio (1608 m ore 0,25 tot. ore 1,40). Si
passa tra le baite più basse (bella fontana in pietra) e si
prosegue su incerte tracce in direzione di una piccola
costruzione più a monte. Da quest’ultima si svolta a sinistra in forte salita e poco oltre si tende a destra. A un
poco evidente bivio, si lascia a destra il sentiero che prosegue diagonalmente verso destra e che conduce all’alpe Senioli e si sale sulla ripida costola erbosa in direzione di alcune protuberanze rocciose oltre le quali, con un
lungo tratto ascendente verso sinistra si raggiunge la ben
visibile costruzione dell’alpe Baracchette (1812 m),
recentemente ristrutturata (ore 0,30 tot. ore 2,10). Si
lascia a destra la baita e si attraversa diagonalmente
verso sinistra in direzione di un alto ometto di pietre.
Dapprima su terreno in prevalenza roccioso, poi tra
rododendri si raggiunge questo primo segnale e poco
oltre il grande ometto sulla sommità del Bric Paglie
(1859 m ore 0,10 tot. ore 2,20). Qui si incrocia il sentiero contrassegnato dal segnavia B7 che prosegue verso la
Colma di Mombarone con il quale si può tornare all’alpe Amburnero di Sopra compiendo un breve ma interessante giro ad anello.
CORRADO MARTINER TESTA
Testo tratto dal libro “Itinerari escursionistici nel Biellese”
Volume 3°.34 camminate per conoscere i dolci pascoli e le
dirupate vette della Valle Elvo (prima parte itinerario 12 e itinerario 11)
M
48
M
M
I “Carët” di Camandona
Nell’ ormai lontano 1988 il Notiziario CASB pubblicò una ricerca delle scuole medie dell’Alta Valle
Cervo in cui venivano descritti i ‘traves’, le mulattiere
che collegavano –collegano- i paesi e le borgate della
zona.
Ovviamente le mulattiere esistevano ovunque; nell’alta valle Strona e nel Triverese si chiamano ‘carët’.
Fino a circa metà dell’ 800 esse furono le uniche vie di
comunicazione di questi paesi: in una mostra documentaria, organizzata nel 1998 dal comune di
Camandona, erano esposti, oltre a numerosi altri, i
documenti catastali relativi ad opere di viabilità. E’ del
1847 il progetto della strada e del ponte verso Veglio,
del 1863 quello del ponte sullo Strona a Pianezze, e del
1865 della strada dal ponte al paese.
Qui descriverò i ‘carët’ di Camandona, che in buona
parte sono tuttora in ottimo stato e che costituiscono
una piacevole e facile passeggiata.
Faremo un percorso ad anello partendo da Pianezze.
Pianezze è un fazzoletto di terra con un pugno di case;
ciononostante ha la particolarità di essere ripartito tra
Camandona, Callabiana, Pettinengo, Bioglio, Valle
S.Nicolao, e spero di non aver dimenticato nessuno.
Questo è dovuto al fatto che era punto di transito e di
sosta per le mandrie in transumanza, che poi salivano
(o scendevano) ai rispettivi alpeggi comunali. Più
tardi, agli albori della rivoluzione industriale, la presenza di 3 corsi d’acqua: Tamarone, che scende da
Pettinengo, Soccasca, da Callabiana, e Strona fece sorgere i caratteristici edifici multipiano: dei Maggia sul
Tamarone, parzialmente danneggiato dall’alluvione del
‘68, dei Galfione sullo Strona, in parte recentemente
demolito, ed il Lanificio di Pianezze a cavallo tra
Soccasca e Strona, tuttora fiorente come Lanificio
Carlo Barbera. Essendo il primo lanificio lungo il
corso dello Strona, poteva usufruire di acque pulite
(allora gli scarichi di tintoria finivano nel torrente) e
quindi era rinomato per i tessuti bianchi.
Finita la disgressione pseudo-storica, parcheggiamo
la vettura davanti ai campi da tennis, di fianco alla
49
chiesa di Pianezze, ci infiliamo nel passaggio tra tennis
e chiesa, ed imbocchiamo la strada che porta al bel
ponte di pietra ad arco: è un falso, perché quello antico
è stato portato via dall’ alluvione del giugno 2002, ma
è stato ricostruito con estremo scrupolo esattamente
com’era. Passato il ponte, a fianco di una casa distrutta da un incendio, vediamo l’antico ‘Circolo ricreativo
famiglia pianezzese’, ora in disuso. Alla fine dell’ edificio giriamo a sinistra ed imbocchiamo la mulattiera,
con il primo degli sfiati del metanodotto che ci accompagneranno fino al centro del paese. La mulattiera sale
rapidamente e presto sovrasta il lanificio Barbera: è
riconoscibile l’antico edificio multipiano, affiancato
dalla ciminiera, una delle pochissime del Biellese
ancora integre.
Sempre a causa dell’ alluvione del 2002, ci tocca ora
scavalcare la frana che ha portato via la carrozzabile
per D’Agostino ed ha lasciato questa frazione isolata
per molti mesi; un po’ di pazienza, e dopo un quarto
d’ora dalla partenza eccoci appunto a D’Agostino,
davanti ad una cappella. E’ necessario percorrere un
tratto della provinciale che sale alla nostra sinistra, passiamo sotto ad un edificio moderno (è una delle prime
INA-case, conosciute come ‘case Fanfani’), svoltiamo
come per entrare nel cortile, ma subito giriamo a sinistra dove, segnalato da un arrugginito ‘divieto di circolazione’, ricomincia il nostro ‘carët’. Qui cominciano i
faggi, che ci accompagneranno fino al cimitero del
paese, via via più maestosi; poi passiamo tra orti e giardino ed in 10’ siamo a Viglieno. Svoltiamo a sinistra,
allo stop a destra e, senza soluzione di continuità, eccoci a Governati. Subito dopo la chiesetta della frazione,
uno spiazzo attrezzato ci permette un bel panorama
sulle frazioni di Veglio. Proseguiamo e, di fronte al
ristorante Rosella, notiamo un lavatoio con una vasca
monolitica. Quando la strada raggiunge una cappella
(grande, quasi un oratorio) sulla sinistra riecco la
nostra mulattiera, contrassegnata dal solito divieto di
circolazione. Altre 2 cappelle ed in 10’ eccoci al cimitero di Camandona. Qui il panorama si apre: davanti a
noi, dietro alla chiesa parrocchiale ed al suo celebre
campanile pendente, Bielmonte e la cresta
dell’Argimonia; a destra Veglio e la valle di Mosso; a
50
sinistra, inquadrati tra Casto e Terlo, il Lejlong ed il
vallone della Gragliasca; dietro di noi le cime gemelle
della Rovella e di S.Eurosia, colle con le fortificazioni
antidolciniane.
Saliamo sul piazzale del cimitero e di qui una scalinata alberata, recentissimamente rinnovata, ci conduce
sul sagrato della chiesa. Imbocchiamo la strada provinciale che attraversa tutta la frazione e ci porta a Ciarej
(tradotto in ‘frazione Cerale’). Lasciamo alla nostra
destra la provinciale che conduce a Veglio, lasciamo
dritta davanti a noi la mulattiera che conduce al
Bocchetto Sessera (strada dell’ Alpe) ed imbocchiamo
la strada asfaltata alla nostra sinistra. Dopo pochi
minuti, ad un bivio, prendiamo a destra in salita e giungiamo a Mino (15-20’ dalla chiesa). Proseguiamo fino
al negozio di alimentari (ottimi i formaggi!!), svoltiamo a sinistra al suo fianco, al termine a destra poi subito a sinistra, ed imbocchiamo il ‘carët’ che scende alla
frazione Gallo. Meno di 5’ e ad un bivio trascuriamo il
ramo diritto che scende ed imbocchiamo quello di sinistra, più o meno pianeggiante. In breve giungiamo ad
un gruppo di case (in una mappa di metà ‘800 sono
definite ‘case nuove’). Notiamo sulla nostra destra un
pozzo, tuttora in uso, con una grande ruota in legno a
far da volano, dentata perché un tempo impegnava un
nottolino; di fronte una casa dalle bellissime arcate e
volte a crociera. Passiamo sotto un arco e giungiamo
sulla provinciale; breve disgressione a sinistra per
ammirare la fontana con la vasca monolitica. Reca
scolpita la data 1851; raccontavano i vecchi che fu trascinata a forza di muli e di braccia su per la mulattiera
che ora percorreremo.
Dalla fontana torniamo indietro lungo la provinciale
ma, dove essa curva, noi proseguiamo diritto per entrare nella frazione; un galletto policromo ci indica la
strada. Proseguiamo più o meno diritti e, dopo uno
spiazzo panoramico recentemente realizzato demolendo costruzioni in rovina, e prima di una casa bianca ben
curata, svoltiamo a sinistra. Passiamo davanti ad un
cappella ed in breve giungiamo alla frazione
Vacchiero. Sul piazzale, conviene girare a destra,
entrare nella frazione, e poi prendere a sinistra il breve
vicolo che scende sulla provinciale. Qui è giocoforza
51
proseguire sull’ asfalto; sotto di noi vediamo la mulattiera ma il muro di sostegno della strada rende impossibile raggiungerla. Proseguiamo fino al bivio per la
frazione Mulino ed entriamo in questa frazione; sono
passati 20-25’ da quando siamo partiti da Gallo. Un
piccolo ponte di pietra a secco scavalca lo Strona; un
altro ancora più piccolo il suo affluente. Piccoli, a
secco: eppure quante alluvioni hanno passato indenni,
quella terribile del ’68 e l’ultima del giugno 2002 per
citarne qualcuna !
Proprio all’ inizio del ponte, che non attraversiamo,
il nostro sentiero costeggia il lato sinistro dello Strona,
stretto da una siepe da un lato ed una recinzione dall’
altro. Al termine della recinzione, il sentiero scende
verso lo Strona ed ahimè, qui le alluvioni hanno lasciato il segno. Il sentiero è praticamente scomparso ma si
può camminare abbastanza agevolmente sui pietroni
che fiancheggiano il torrente. Non più di 5’ di difficoltà, poi il sentiero torna evidente, diventa una carrareccia e voilà: frana del giugno 2002. Comunque il percorso è sempre evidente ed abbastanza agevole, e con
qualche tortuosità raggiungiamo la carrareccia di fronte a noi.
In questo tratto abbiamo percorso una gola stretta,
aspra e rocciosa: ad una svolta, improvvisamente si
apre un conca verde e pianeggiante. Qui c’ è una delle
ultime cascine, peraltro modernamente attrezzata con
stalle, fienili, ecc.; curioso l’ abbeveratoio di moderna
costruzione ma con la vasca costituita da un albero scavato, eredità di altri tempi.
Malgrado ci sembri di trovarci fuori dal mondo, in
un prato verde su cui incombono boscose colline deserte, in realtà siamo alla fine del nostro giro: subito dietro la cascina troviamo la strada che da Camandona
scende a Pianezze e che, fiancheggiando il lanificio
Barbera, ci riporta alla nostra auto.
Sono passati 20-25’ dal Mulino, un’ ora e mezza –
un’ora e tre quarti da quando siamo partiti.
Franco Frignocca
52
Sentieri sul Monte Casto
Per gli abitanti della bassa Valle Cervo il Monte Casto
è assai familiare, con la sua forma tondeggiante, quasi
completamente ricoperta di boschi.
I comuni che amministrano il suo territorio sono
Tavigliano in primo luogo, poi Andorno e Callabiana, ed
in piccola parte Sagliano e Selve Marcone. La sua elevazione è modesta, arriva a 1138 metri di quota, non vi
sono asperità degne di nota ed è quindi un terreno ideale per tranquille passeggiate anche in inverno quando
non c’è la neve.
Con l’esclusione del versante nord, da 900 metri in
giù il monte Casto è stato in passato intensamente sfruttato dagli abitanti: vi sono state costruite molte cascine,
distribuite un po’ dappertutto, s’intravedono nei boschi i
resti di innumerevoli muretti di contenimento per le
varie coltivazioni, molte dovevano essere state le mulattiere ed i sentieri. Attualmente la maggior parte delle
cascine è in stato di abbandono, parecchie sono state
ristrutturate a villette per vacanze, poche sono ancora in
esercizio. Dei vasti prati e terrazzamenti coltivati che
certamente predominavano nel paesaggio di un tempo
sono rimasti molti muretti in rovina e qualche spiazzo
erboso, tra i quali quelli in regione Varda, vicino alle
cascine Mariotta, Barsola e più in basso, a ridosso di
Tavigliano, Locato e S. Giuseppe. Quasi tutto il resto è
stato inghiottito dal bosco, di castani piantati un tempo
per la coltivazione, di ontani, faggi, aceri, carpini, betulle, ecc. I vecchi sentieri sono in parte scomparsi ed in
parte sostituiti con piste sterrate per rendere agevole
l’accesso alle villette e con tagliafuochi percorribili a
piedi.
Nella parte più alta, sotto la sommità, predominano le
conifere, piantate in varie campagne di rimboschimento,
dopo che gli incendi avevano distrutto buona parte di
quello che c’era prima: vi sono stati costruiti razionali
tagliafuoco e, a cura della Comunità Bassa Valle Cervo
e del gruppo Antincendi Boschivi di Tavigliano, sono
percorribili svariati sentieri col soffice fondo di aghi di
pino a cui noi Biellesi non siamo abituati. In zona ci
sono pure tavole sinottiche che ne indicano i percorsi e
53
le caratteristiche.
Malgrado queste profonde trasformazioni la zona è
ricchissima di piste, mulattiere, sentieri e tracce che
confondono le idee all’escursionista che qui sa da dove
parte, ma spesso non sa dove può arrivare. Ho pensato
quindi di fare una piantina, (vedi cartina allegata a questo notiziario) assemblando le carte catastali dei primi
tre Comuni di cui sopra e riportandovi i vari tracciati che
ho incrociato in diverse escursioni. Penso che non ne
manchino molti; l’area considerata è quella delimitata a
nord dal Pratetto, dal rio Morezza e dal torrente Strona;
a ovest dal rio Nelva; a est ed a sud dalla strada
Andorno-Callabiana.
E’ impossibile qui illustrare i diversi percorsi, ci si
deve guidare solo con la cartina di cui sopra, in cui:
- sono distinguibili i sentieri dalle piste o dalle tracce;
si intende per mulattiere e piste secondarie percorsi con
sede larga più di un metro, anche se talvolta rovinata
dallo scorrimento delle acque o semi invasa da bassa
vegetazione; le tracce sono talvolta quasi sentieri, ma
possono anche essere difficilmente reperibili seppure
ancora percorsi. In molti punti sono dipinti su tronchi di
alberi o su pietre dei segnali gialli e rossi, purtroppo talvolta sbiaditi, che aiutano a trovare la giusta direzione;
- si possono seguire i cambiamenti di direzione;
- le distanze sono calcolabili pensando che un centimetro sulla carta rappresenta poco più di 100 metri;
- sono indicate anche alcune curve di livello ed il percorso dei rii principali
- anche le cascine possono dare un aiuto, perché in
buona parte indicate.
Scriverò qui solamente alcune note per facilitare il
reperimento della via in alcuni punti o per fare qualche
commento utile allo stesso scopo. I numeri dell’elenco
corrispondono a quelli riportati sulla cartina.
1. La pista di sinistra che parte da Vercellone di
Locato inizia al termine di Via Casto a cui si arriva dalla
Via Principe Umberto; il successivo incrocio sulla pista
si trova in corrispondenza delle sponde di un ruscelletto
solitamente asciutto. La pista di destra che parte dalla
stessa località inizia alla fine della Via Bonesio; dalla
pista si va su un sentiero che scende e successivamente
54
su una traccia non sempre evidente che percorre un
dosso fino alla Cascina Bianca; il trattino da quest’ultima alla mulattiera sovrastante è un caratteristico sentiero a scaletta.
2. La pista che parte da S.Giuseppe di Casto per
Lavalle inizia sulla via Diaz, verso monte.
3. Il sentiero che parte da Vincio verso sud-est si
trova imboccando Via Zara verso monte e, subito dopo,
a destra incassata fra due muri, una stradina selciata fra
gli orti che diventa ben presto un sentiero; si attraversa
un ponticello e davanti ad un ampio spiazzo erboso si
prende a sinistra in salita verso il bosco. Invece il sentiero che parte da Vincio verso nord inizia in uno stretto
passaggio fra muri al termine della strada centrale, in
alto e si immette sulla Vincio-Callabiana vicino ad una
recinzione.
4. Da Causso è facile reperire la pista sentiero alla
sommità della frazione, spostata verso sinistra rispetto
alla strada principale, mentre la traccia alla destra della
cartina, che praticamente inizia al termine della stessa
strada tende a perdersi; essa è maggiormente individuabile se presa al suo culmine superiore.
5. La pista privata che sale nel cuore del Casto fino al
tagliafuoco superiore è il prolungamento della Via Nino
Meliga (questa pista sarà qui citata come PP); il primo
sentiero a destra si stacca in corrispondenza dell’acquedotto di Tavigliano.
6. Siamo sul ramo inferiore della Vincio-Callabiana
in prossimità di vecchie recinzioni; dal basso arrivano
tracce di sentieri o piste dal “ruscelletto solitamente
asciutto” del punto 1; verso l’alto la traccia non è evidente ma ben presto si trasforma in sentiero, parallelo ad
una vecchia mulattiera invasa dagli arbusti.
7. Siamo sul ramo superiore della Vincio o
Tavigliano-Callabiana in un bello spiazzo erboso con due
cascine al limite dei bosco in alto, collegate con la PP. Per
scendere occorre percorrere il bordo del prato in discesa
sulla sinistra fino ad un manufatto dell’acquedotto, successivamente la pista, seppur malandata, è evidente.
8. Questo collegamento fra i due rami della VincioCallabiana è segnalato con tratti verniciati sugli alberi e
termina in basso a ridosso della Cascina Plat. L’altro collegamento, più verso est, è invece molto labile e termina
55
alle spalle della cappelletta nei pressi della C. Mariotta.
9. Questa traccia, non molto evidente, si svolge su
terreno pulito, interamente sul dosso esistente fra la C.
Mariotta e Case Jorio.
10. Questo collegamento, diretto ma non più evidente, si svolge, all’interno del bosco, a pochi metri di
distanza dai resti dell’antico muretto che delimitava il
prato della C. Morisa verso est e che è ben visibile dall’inizio alla fine.
11. In questo punto termina una pista in salita che si
stacca dalla stradina che collega la parte più a nord del
paese di Tavigliano (Polo) a PP. L’ambiente è particolarmente boscoso e ripido; una “Casa del Bosco” pone termine alla pista: proseguendo sul sentiero in piano verso
destra si arriva alla regione Varda; inerpicandosi sul sentierino a sinistra prima di superare il limite di proprietà
della cascina si arriva ad una vasta radura con cascine ed
al sovrastante tagliafuoco.
12. PP si stacca in questo punto dalla pista tagliafuoco principale che percorre praticamente in piano a quota
1000 le pendici nord, ovest e sud del Casto. Volendo
divallare su PP non si devono considerare le prime due
stradine che scendono sulla destra in pochi metri alle
cascine sottostanti, una delle quali in esercizio con alcuni cani che danno coi loro latrati un segno di presenza di
vita.
13. Al termine della pista un sentiero ripido in discesa porta, dopo aver attraversato il Rio Soccasca alla C.
Galletta, collegata con Trabbia da una pista. Pochi metri
dopo la Galletta verso est, in prossimità di prese per l’acquedotto, vi è la traccia di una pista, sbarrata con una
catenella, che porta al sentiero sovrastante.
14. La vecchia via Tavigliano-Trabbia transitava sul
tratto iniziale della carrareccia attuale Trabbia-Galletta
per poi raccordarsi con l’attuale sottostante pista
(Tavigliano-Socco); il raccordo si è quasi perso, ma si
vedono qua e là i ruderi dell’antica via.
15. E’ questa la zona sottostante la stradina asfaltata
che sale al Pratetto da Tavigliano. E’ caratterizzata da
una serie di piste e sentieri quasi pianeggianti che si
spingono verso il Rio Morezza, al servizio di numerose
cascine. Solo in basso, con la pista che arriva da Sella di
Tavigliano si può a piedi arrivare alla strada per Falletti.
56
Un sentiero più in alto, arriva al Rio Morezza sotto il
Pratetto e sopra Falletti, ma è interrotto sui bordi del
rio e non vi sono più tracce sulla riva opposta, molto
ripida. La distanza da percorrere per raggiungere il
sentiero Falletti-Pratetto è qui di poco superiore a
200 metri..
16. Da questo punto scende un sentiero, che ben
presto si trasforma in traccia, rigorosamente su un
dosso. In basso, vicino al sentiero per la C.Carla la
traccia svanisce, ma non ci si perde se si segue sempre lo stesso dosso.
17. E’ questa la parte sommitale del Casto, coi
suoi sentieri ben tracciati e segnalati sotto le conifere, coi suoi tagliafuoco, le sue fontane, l’area picnic.
Poco staccato dalla cima, accanto alla croce, si trova
uno di quei tabelloni illustrativi di cui si è accennato
sopra.
Alcuni di questi percorsi, variamente concatenati,
sono stati descritti da Fulvio Chiorino su “Sentieri
del Biellese” in Cervo 1 e 2 e in Strona 3,4 e 5; da G.
e R. Regis su “Camminando nelle Valli Biellesi” in
Andorno 1,2,3 e 4 e in Callabiana 1 e 2; da G. Zettel
su Notiziario CASB n. 11 - 1995 pag. 59.
La Grande Traversata del Biellese (GTB) tocca il
Monte Casto da Trabbia, alla C. Galletta, al tagliafuoco (punto 13) fino a Pratetto col segnavia E 90.
Gianpietro Zettel
\
\
\
57
GTB Grande Traversata del Biellese
La GTB – Grande Traversata del Biellese – esiste
ormai da diversi anni; non esiste però una guida che la
descriva tappa per tappa in modo da rendere agevole il
percorso agli escursionisti, in particolar modo ai non
biellesi che non conoscono il territorio. Se sarà adeguatamente appoggiata dagli Enti Pubblici, la CASB potrà
accollarsi questa incombenza: per il momento daremo la
descrizione dettagliata di una tappa. Avvertiamo però i
lettori che è in corso il rifacimento della segnaletica sull’intero percorso: poiché la nostra ricognizione sul terreno risale all’autunno 2003, la descrizione non è aggiornata sotto questo aspetto e potrebbe talora risultare errata.
Seconda tappa: Graglia - Torrazzo
Descrizione a cura di Luciano Panelli e Gianpietro
Zettel
Santuario di Graglia m 860
Netro m 606 (ore 2.10)
Donato m 770 (ore 3.40)
Torrazzo m 620 (ore 5.30)
Dislivello globale in salita m 390
Dislivello globale in discesa m 630
Questa tappa può essere suddivisa in due parti: la
prima si svolge sulle amene pendici degradanti dalla
Colma di Monbarone, su e giù in mezzo a boschi che si
alternano ad estesi pascoli alpini, con magnifici scorci
sulla pianura; la seconda sulla parte alta della Serra
lungo percorsi rettilinei fra il Biellese ed il Canavese. Si
cammina su sentieri e stradine asfaltate nella prima parte
e su piste nella seconda. Interessanti sono pure i borghi
e le numerose cascine che si incrociano fra il Santuario
di Graglia e Donato, a testimonianza dell’operosità degli
abitanti della Valle dell’Elvo.
Desrizione itinerario
1. Tempo
Quota
Segnavia
Metri 820
B15
Ore 0.0
- Imboccare a nord del Santuario la strada a sinistra in
58
salita che attraversa la frazione di Campiglie, in direzione di Netro (insegna sulla casa)
- Attraversare piazza Borrione Pierino (segnavia
prima dell’incrocio) e proseguire su strada asfaltata in
discesa
Sono interessanti qui alcune case in parte ristrutturate coi caratteristici porticati utilizzati un tempo per essiccare le pannocchie di mais. Questo tipo di costruzione è
diffuso in tutto il Biellese
- Lasciare a sinistra una strada privata
- Alla fine della strada asfaltata imboccare un sentiero su prato con segnavia poco avanti
- Attraversare il Rio Ara a monte del ponte crollato e
raggiungere il sentiero in basso
- Attraversare un secondo rio dove un pannello didascalico descrive i “Boschi umidi” ed entrare nel bosco di
castagni; poco oltre c’è un segnavia
Sono numerosi nel Biellese i luoghi umidi quali vallette boscose, pendii a nord ecc. dove si sviluppano
determinate essenze quali ontani, noccioli, frassini, saliconi, sambuchi
- Al successivo incrocio di sentieri proseguire diritto
in discesa lasciando a destra la pista che sale; poco più
avanti c’è un segnavia
2. Tempo
Quota
Segnavia
Ore 0.30
Metri 800
B15
- Attraversare un rio con caratteristico roccione
- Oltrepassare un pino strobo abbattuto ed un ciliegio
sradicato
- Giunti ad un quadrivio dopo una recinzione verde
(segnavia), proseguire in discesa a destra
- Attraversare il Rio Strusa con adiacente fabbricato
per captazione acqua
- Oltrepassare la cascina a sinistra sulla radura –
Regione Campiglie - e proseguire la discesa
- Oltrepassare un gruppo di cascine in località Bagno
- Imboccare la strada asfaltata in discesa (segnavia;
qui finisce il B15 ed inizia il B11); a destra si vede il Bric
Paglie e si incontra un successivo segnavia adiacente
all’area pic-nic di Netro
- Proseguire sulla strada asfaltata, con vista sull’invaso
dell’Ingagna e sulla Serra (alla sinistra si incontra un frassino monumentale col tronco da 1,5 metri di diametro)
59
3. Tempo
Ore 1.00
Quota
Segnavia
Metri 630
B11
- Proseguire la discesa con vista su parte di Netro,
fino all’incrocio con una pista che sale ripida a destra
con palina indicatrice “Casale di Donato” e “Donato” (la
strada asfaltata porta in pochi minuti a Netro); qui finisce il B11 ed inizia il B12
- Imboccare la pista di cui sopra (segnavia in prossimità di una cascina)
4. Tempo
Quota
Segnavia
Ore 1.30
Metri 750
B12
- Raggiunto un segnavia nei pressi di una pinetina,
con a destra un sedile scavato in un tronco e a sinistra la
recinzione dell’Azienda agricola TROL proseguire la
pista in salita
- Al successivo segnavia abbandonare la pista e proseguire a sinistra su sentiero in piano
- Attraversare un rio con un ponticello di legno non
agibile e proseguire
- In prossimità di una cascina ristrutturata con un
prato davanti (segnavia) proseguire su pista sterrata in
parte inghiaiata, in piano
- Dopo aver lasciato sulla destra un palo della luce,
raggiungere due cascine in località Castignolio (segnavia)
- Proseguire su pista in leggera salita (segnavia)
- Raggiungere una strada asfaltata, in prossimità di un
acquedotto; proseguire a sinistra in discesa (segnavia
adiacente ad un guard-rail); qui termina il B12 ed inizia
il B10; a destra la strada prosegue in salita verso Creta e
Mollie
- Raggiungere un successivo bivio (segnavia) e svoltare a destra (a sinistra si scende a Netro)
- Attraversare un ponticello: alla sinistra si può vedere una cascina ristrutturata e a destra piacevoli cascine
con ameni prati
5. Tempo
Quota
Segnavia
Ore 2.00
Metri 780
B10
- Attraversare un ponticello con assi di legno appoggiate su putrelle sempre su stradina asfaltata
- Oltrepassare sulla destra un “Fraidel”
Il “Fraidel” è una costruzione tipica della Valle
dell’Elvo; è un piccolo locale ricoperto da cotica erbo60
sa, costruito sopra un riscelletto per mantenere a temperatura ed umidità costante il formaggio
- Attraversare un ponticello su tubazione e seguire il
segnavia
- Lasciare la strada asfaltata che prosegue in discesa
all’area picnic ed a Ceresito, tenendo la destra su pista in
salita; qui termina il B10 ed inizia il B35
- Dopo pochi metri (segnavia) inboccare una pista
inghiaiata per regione Poneira, con a valle una nuova
stalla costruita con blocchi rossicci - cascina Poniglia con nicchia affrescata (un’altra pista transita poco a
monte incrociandosi con la precedente)
- Al successivo segnavia, posto vicino ad una fontana
- abbeveratoio deviare su pista a sinistra in lieve discesa
attraversando un prato
- Al termine del prato (segnavia ) cui fa seguito un
bosco di betulle proseguire su pista pianeggiante e successivamente in discesa
- Giunti ad una cappelletta (segnavia) proseguire in
discesa a destra su sentiero con a monte un muro a secco
Tutto il Biellese è disseminato da queste cappellette
con raffigurazioni ora naif ora molto aggraziate della
Madonna, poste ad indicare il cammino dei pellegrini
verso Oropa; e che l’itinerario in questo punto fosse una
delle vie per raggiungere il Santuario è dimostrato dal
fatto che poco prima, sull’angolo di un muro di una
cascina si intravede ancora la sbiadita scritta”Strada per
Oropa”con l’indice di una mano puntato ad indicare la
direzione.
6. Tempo
Quota
Segnavia
Ore 2.30
Metri 750
B35
- Al termine della discesa attraversare un rio su ponte
in cemento
- Proseguire sul sentiero in piano nel bosco
- Continuare in discesa all’uscita dal bosco, a margine di un prato, con alla destra una cappelletta sommersa
dai rovi; al termine rientrare nel bosco a destra dove
poco più avanti il sentiero passa tra muri a secco con
segnavia
- Attraversare un rio con passerella in cemento, a
seguire sempre su sentiero con alla sinistra degli ontani,
dei castani e dei bossi e alla destra un muro a secco
- Attraversare un rio a sinistra in discesa (segnavia);
61
in alto a destra si vede Casale Donà (Comune di Donato)
- All’incrocio con la strada asfaltata (segnavia) prendere a destra, raggiungere la piazzetta S. Rocco e dopo
la chiesetta svoltare a destra e seguire a sinistra via
Solferino con selciato in autobloccanti rossicci. Qui termina il B35 ed inizia il B36
- Alla fontana successiva tenere la destra oltrepassando il voltone a seguire a sinistra nel vicolo; al termine
riprendere a destra in salita su selciato di autobloccanti
- Seguire il sentiero acciottolato tra due muri a secco
sempre in salita
- Al bivio proseguire diritto su sentiero in salita ripida fino al raggiungimento di un palo elettrico con a
destra un rudere di cascina; proseguire a destra dove il
sentiero si allarga ed in seguito si restringe
- Al bivio dove a destra c’è un ponticello, salire diritto
7. Tempo
Quota
Segnavia
Ore 3.00
Metri 850
B36
- All’incrocio con strada asfaltata (segnavia) proseguire sulla stessa verso destra, al culmine della salita c’è
una cappelletta
- Proseguire sulla pista ora inghiaiata in breve discesa fino all’avvallamento
- Dopo aver visitato qui sulla destra nel prato, presso
un rio, una fontana con la scritta”ACQUA MERENDINA BEVINE UN SORSO E SARAI SAGGIO” costruita negli anni 1990, proseguire sulla pista in salita poi in
discesa
- Uscire su un dosso prativo con vista su Donato e
proseguire sulla stradina ora asfaltata fino all’area picnic di Donato
- All’area pic-nic, dove c’è una cappelletta, lasciare la
strada asfaltata e piegare a sinistra (segnavia vicino
all’acquedotto); proseguire su tratturo in discesa
- Raggiungere la strada asfaltata (dove a sinistra c’è
la “FONTE LUNGA VITA”) con segnavia indicante il
proseguimento a destra su strada asfaltata in discesa
8. Tempo
Quota
Segnavia
Ore 3.30
Metri 770
B36
- All’incrocio (segnavia) mantenere la sinistra, in
vista della palina, a monte di un lavatoio diroccato, indicante Donato m 770-Casale di Donato e Netro
62
- Scendere su strada asfaltata a Donato poi a destra
per Via Umberto
- Raggiungere la piazzetta con l’Asilo Infantile, proseguire per Via Umberto, Piazza del Municipio, Chiesa
ed incrocio con la statale, scendere per via Martiri della
Libertà (non per Aosta) e proseguire sempre diritto in
discesa su strada asfaltata; qui termina il B36 ed inizia
il B44
- Alla Cappelletta svoltare a destra in vista del cartello segnaletico “PASSEGGIATA DELLE COSTE e
REGIONE MULINO”. Si giunge così ad una palina
indicante “DONATO m 675 – MULINO DI DONATO
– SCALVEIS – TORRAZZO”;
- Proseguire in discesa su strada acciottolata e successivamente su strada asfaltata fino al ponte sul Viona
(segnavia). Il mulino, che dà il nome alla regione, è
diroccato e si trova prima del ponte in basso a sinistra
Questo mulino è uno dei tanti, sparsi in tutte le valli e
vallecole del Biellese, ormai ridotti a ruderi. Erano edifici importanti, anche come luoghi d’incontro, costruiti
lungo i torrenti dove potevano sfruttare l’acqua per muovere le possenti macine che ancora si possono vedere in
qualche raro caso, ormai sepolte nelle macerie invase
dalla vegetazione. Non lontanissimo da qui, verso S.
Sudario vi è la Valle Sorda o “Valle dei Mulini” dove
fino a ottant’anni fa ve ne erano in attività più di dieci,
alimentati dalle acque del Riale della Valle e del Rio
Parogno. La stessa cosa si può dire delle vallette
dell’Ostola e di Curino.
Oltrepassare il ponte e proseguire su pista alla sinistra dove si trova il segnavia; procedere sulla destra
orografica del torrente Viona in vista dello stabilimento delle “Acque Guizza” situato prima della galleria
sulla provinciale per Settimo Vittone
9. Tempo
Quota
Segnavia
Ore 4.00
Metri 580
B44
- Al successivo segnavia abbandonare la pista e proseguire a destra su un sentiero erboso fino ad una cascina che si lascia a destra per entrare nel bosco in leggera salita
- Al successivo incrocio (segnavia) proseguire a
sinistra nel bosco di castani su ampio sentiero in piano
dove più avanti a sinistra un cippo indica il passaggio
63
ENEL
- Al successivo incrocio con pista inghiaiata (segnavia) proseguire a destra in leggera salita, quindi sempre su pista fino al raggiungimento di un palo ENEL
con trasformatore e successiva fontana
10. Tempo
Quota
Segnavia
Ore 4.30
Metri 700
S1
- All’incrocio con la strada Provinciale per
Croceserra (in alto si scorge Scalveis) andare a sinistra
in discesa per Sala Biellese e raggiungere il cartello
indicante “SALA BIELLESE” dove alla destra c’è una
cappella diroccata
- Al segnavia abbandonare la strada asfaltata in
prossimità del lago Cossavella, oltrepassare il lago su
pista tagliafuoco e proseguire in salita dove, prima del
dosso, al segnavia si svolta a sinistra su pista inghiaiata in piano, su uno dei crinali della Serra
- Al segnavia nella pineta dei pini strobi proseguire
diritto sul crinale a sinistra
- Proseguire sempre diritto incrociando vari tagliafuoco
11. Tempo
Quota
Segnavia
Ore 5.00
Metri 640
S1
- Raggiungere un segnavia prima di iniziare la
discesa sulla pista
- Proseguire in lieve discesa fino al raggiungimento
di un ampio spazio prativo con un capannone ad uso
stalla sulla sinistra
- Raggiungere la strada asfaltata alla cascina, proseguire fino all’abitato; allo STOP svoltare sempre su
strada asfaltata in discesa (segnavia) e successivamente in salita
- Proseguire per via Mombarone poi a sinistra per
via Monte Nero e successivamente per via Pietro
Micca
12. Tempo
Quota
Segnavia
Ore 5.30
Metri 620
S1
- Raggiungere la chiesa di Torrazzo ed il vicino
campeggio.
h
64
h
h
I circuiti dalla frazione Chiavolino di
Pollone (m. 762)
Da piazza S. Rocco a Pollone (ampio parcheggio),
salendo lungo la strada asfaltata si raggiunge la frazione
Chiavolino. Può però essere interessante, lasciare l’auto
nel parcheggio antistante la palestra e proseguire poi per
la via De Agostini che fiancheggia il lato est della palestra dalla quale, dopo alcune svolte, si stacca la ‘Via
antica per Chiavolino’. E’ stata sistemata come le antiche strade, ‘sternia con i trutadore’, e cioè selciata con
sassi tondeggianti e con due file di lastre strette e lunghe, distanti tra loro quanto le ruote di un carro.
Attraversiamo la frazione Trotti con alcuni interessanti
edifici e ritorniamo sulla via principale.
Raggiunto Chiavolino dopo due tornanti, a metà circa
della frazione notiamo sulla nostra destra un passaggio
incassato fra le case, una delle quali reca un pregevole
affresco: lo imbocchiamo ed al termine svoltiamo a
destra, lungo il muro di sostegno che regge il cortile dell’ultima casa a monte. Pochi passi e sulla nostra sinistra
notiamo una cappella votiva. Poco dopo il sentiero raggiunge la carrareccia che parte poco sotto Chiavolino,
serve alcune ville, e raggiunge una baita a monte. La
seguiamo per poco, ma quando svolta a sinistra noi proseguiamo diritti, in leggera discesa lungo un sentiero
con mancorrente, fino ad incontrare sulla destra una casa
disabitata (Gaversc m. 768).
Poco avanti il bosco si fa più rado e, tra prati e betulle, il paesaggio si apre sulla Burcina e sulle case del lato
occidentale del Favaro. Quando giungiamo ad un poggio
particolarmente panoramico ci si prospettano due possibilità.
Se proseguiamo diritti in discesa passiamo vicini ad
una cascina e poi incontriamo la strada carraia che arriva dal Favaro; svoltiamo a destra ed arriviamo, tra bei
pascoli ben curati, in leggera discesa, a Cavalelli (m.
716), poi a Surie (m. 641) ed infine a Valdorba, sulla
strada provinciale Pollone - Favaro. Svoltiamo a destra
e, su strada asfaltata, arriviamo a piazza S. Rocco a
Pollone, il nostro punto di partenza.
Se invece preferiamo prendere il sentiero che, sulla
65
nostra sinistra, sale ripido (evidenti segni di passaggio di
mountain bike) in breve raggiungiamo il sedime della
tramvia Biella - Oropa in corrispondenza della fermata
del Pian d’Iusei, dove la tramvia compiva una curva di
180°.
Qui abbiamo di nuovo due possibilità.
Possiamo, percorsi pochi metri sul sedime della tramvia, imboccare il sentiero che, ancora alla nostra sinistra,
sale nel bosco, passa dietro alla cascina Spinel, e giunge
sulla strada asfaltata (ma chiusa al traffico) che da
Chiavolino sale a Vanej.
Oppure possiamo proseguire lungo il sedime, passare
prima nella galleria e poi sopra di essa (il famoso girone
del Favaro: 360° di curva elicoidale) fino ad incontrare
una carrareccia che arriva dalla statale di Oropa.
Svoltiamo a sinistra, la seguiamo finchè la pista svolta a
destra e proseguiamo su un sentiero che costeggia una
casina recentemente molto ben ristrutturata. Il sentiero
continua pianeggiante e ben presto arriviamo alla regione Vanej, dove incontriamo la strada asfaltata che, con
una ripida discesa, ci porterà al Chiavolino e poi al
nostro punto di partenza.
Celeste Pivano
´
66
´
´
Le bombe vulcaniche
L’itinerario inizia da Grisce (m. 715) sopra Pollone,
vicino alla cappelletta votiva, piccolo parcheggio; si può
anche sfruttare il parcheggio antistante la palestra e proseguire poi per la via De Agostini che fiancheggia il lato
est della palestra seguendo la quale, dopo alcune svolte,
si giunge alla cappelletta.
Si segue la strada asfaltata, a sinistra in piano, fino
alla cascina Teggia (m. 718), si prosegue la carraia fino
a raggiungere la cascina Balma (m. 728) dove termina la
carrareccia; si prosegue passando dietro alla cascina, si
attraversa il rio Romioglio, si sale fino a raggiungere la
cascina Tre Roc (m. 775), si continua in leggera salita.
Al termine del prato, dove inizia la pineta, ci sono tre
grosse Bombe Vulcaniche del diametro di parecchi
metri: una a valle del sentiero, e due a monte, una delle
quali reca la scritta ‘bomba’.
Si prosegue poi fino a raggiungere il rio Meri, e si
continua a salire fino ad addentrarsi nella pineta; si continua in mezzo ai pini e poi, tenendo la destra, si raggiungere il pozzetto dell’acqua della cascina Rench (m.
870), sita un centinaio di metri più a valle; si prosegue
in leggera salita fino a raggiungere la carraia che da S.
Grato di Sordevolo porta a Pian Paris. La si segue fino
ad incontrare, sulla destra, i segnali della GTB seguendo
i quali si sale fino alla cascina Brichetta (m. 950).
A questo punto ci sono due possibilità:
-a sinistra si prosegue seguendo la pista forestale che
attraversa tutta la conca di Meri Sup., si raggiunge la
baita ‘Forgnunet’ (diroccata) (m.1000) superata la quale
si giunge all’alpe Forgnun (m. 1020); fatti pochi passi si
scende ad incontrare il sentiero D41, e cioè il sentiero
Frassati, che si segue in discesa fino a Grisce.
-se invece imbocchiamo il sentiero di destra (sentiero
C29) si scende fino a raggiungere i ruderi di Meri Sup.
Si prosegue in discesa e si raggiunge la cascina Musin
dopo la quale ci si congiunge col sentiero D41 e quindi
si scende a Grisce.
Celeste Pivano
67
Il sentiero della canapa
Le prime notizie sulla coltivazione della canapa
a Curino risalgono al 1622, anno in cui nei registri
parrocchiali di S. Maria sono annotati acquisti e
offerte di canapa. La canapa veniva seminata nelle
piane adiacenti il Rio Bisingana che attraversa il
territorio del Comune di Curino, generalmente nel
fondovalle, alla vigilia di San Giuseppe o al centesimo giorno dell’anno, sempre sperando nel bel
tempo: “sa piou a carlavè a va mal al canvè”.
La raccolta avveniva a fine Luglio, dopodichè
era posta a macerare nelle anse tranquille del torrente, pressata con pietre, per circa 1 o 2 settimane,
poi la si metteva in cumuli ad asciugare all’aria ed
al sole. Dopo questo primo trattamento il compito
delle donne era quello di togliere i filamenti dal
gambo della pianta. La fibra così ricavata era portata al mulino, dove una macina ruotandole sopra la
rendeva più soffice e duttile ad essere lavorata. Da
Masserano si aspettava l’arrivo dei “pettinatori”
che la pettinavano con i loro strumenti rudimentali,
ricavandone fibra di prima qualità detta “rista” o di
seconda scelta detta “crapi”. Nelle lunghe serate
invernali, le donne, nelle calde stalle, con conocchia e fuso iniziavano a filare, cioè a ricavare da
queste fibre vegetali del filo pronto ad essere tessuto. Per quest’ultima operazione, forse la più
importante si ricorreva all’abilità dei tessitori del
Mortigliengo, molto ricercati, si consegnava la
rista e si ritirava in ugual peso altrettanta tela,
unico patrimonio per molte famiglie, oltre ai
Marenghi d’oro.
La tela, tessuta in pezze larghe 60 cm. e lunghe
6-8 metri, veniva ammorbidita e candeggiata con
continue immersioni nel Bisingana e posta poi ad
asciugare nei prati dietro la Chiesa di S. Martino.
Una lavorazione della canapa fatta invece a
Curino era quella delle corde, generalmente nella
68
zona bassa del Paese, nei Cantoni verso Brusnengo.
La produzione era per ogni uso, dalle corde per
campane, per uso agricolo, corde per il secchiello
del pozzo, alle più ricercate trecce per le ceste,
esportate in tutta la Valsessera e Valsesia la cui proprietà era quella di non attorcigliarsi, tale era l’abilità dei cordari di Curino.
L’itinerario di quest’anno parte proprio alla
ricerca di questi luoghi del passato. Giunti nella
Piazza antistante il Comune, si imbocca la pista
laterale che corre a sinistra della Chiesa di San
Martino, in leggera discesa per arrivare in pochissimo tempo sulle rive del torrente Bisingana, ora
attraversabile comodamente con una passerella.
Era appunto nelle anse visibili del torrente che la
canapa veniva seminata, posta a macerare, e nei
prati circostanti una volta tessuta ad asciugare.
Giunti sull’altra parte della riva, continuiamo il
nostro sentiero, poco dopo una biforcazione potrebbe indurvi in errore, basterà tenere la sinistra; un
leggero piano, con evidenti tracce di terrazzamenti
della collina con muri a secco vi condurranno dopo
10 minuti ad un secondo torrentello oltrepassato il
quale il sentiero sale, addolcito da numerose curve
verso il Cantone Salero della Frazione San Nicolao,
punto di arrivo del nostro breve percorso.
Si sale per altri dieci minuti e si sbuca appunto
in questo gruppetto di case ora tutte restaurate e
meta di villeggianti milanesi. Di fronte a noi in alto
la Chiesa Parrocchiale di San Nicolao, da cui si può
ammirare un suggestivo panorama su tutta la pianura vercellese e la catena delle Alpi con il suo
“Re” il Monviso. Per il ritorno si deve percorrere a
ritroso il percorso, tra l’andata ed il ritorno non
impieghiamo più di un’ora.
Ritornati a San Martino, nei prati dietro la
Chiesa vi potrebbe capitare di fare conoscenza con
l’Adriano Seira Ozino, l’unico agricoltore rimasto
nel territorio comunale, mentre conduce le sue
69
mucche al pascolo; se avete qualche consiglio da
chiedergli sugli innesti delle piante, è il più bravo
che io conosca; vi consiglio inoltre una sosta al Bar
Pizzeria Italia o all’Agriturismo “I Buscarin”,
sapranno come saziare il vostro famelico appetito.
Per giungere sul posto Statale Biella Laghi, direzione Brusnengo, strada provinciale per Curino
fino alla sede del Municipio.
Luca Sturm
Messo di Curino
Cartina di Luca Sturm
^
70
^
^
Disegno di Don Guido Galfione
Parroco di Curino
71
In cammino sulla Serra
Il 25 del mese di Marzo noi della Consociazione dei
Sentieri ci siamo trovati in riunione. Ci ha accolti il
nostro presidente, il caro Franco Frignocca. Il saluto e
l’ascolto dell’ ordine del giorno. E’ sempre tanto bello
stare assieme. Una serata molto cara. Il gruppo dei partecipanti è animato di buona volontà. E’ tanto sensibile.
Porta con amore il suo contributo. Si interessa dei problemi. Io vi ammiro tutti, vi ringrazio della vostra disponibilità, e sono riconoscente per il bene che mi volete.
Adesso vi lascio e mi dirigo al mio paese. Io sono di
Torrazzo. Amo il mio paese, la mia gente. Contento di
fare conoscere la Serra. La definiscono una delle morene più belle. Un po’ di presentazione: i colli di Masino,
di Caluso, di Strambinello e di Brosso furono vomitati
da un ghiacciaio sceso dal Monte Bianco e dal Monte
Rosa. Il ghiacciaio vomitò massi, ciottoli, cumuli di
terra, di sabbia, di tufo, di sassi erratici e formò la Serra,
morena di sinistra. A destra rovesciò un’ altra morena
più piccola e formò le colline di Brosso. La Serra, da
Andrate a Cavaglià, è lunga 25 chilometri. La larghezza,
da Mongrando a Bollengo, è di 7 chilometri. Non è una
collina unica: è costituita da otto cordoni paralleli. Tra l’
uno e l‘altro cordone vi sono vallette.
Ritiratosi il mare e sciolti i ghiacciai, le acque formarono un grosso lago intermorenico. Sommergeva tutto il
Canavese. L’ emissario del lago usciva presso Cavaglià.
La settimana passata ho accompagnato in sepoltura
una cugina al cimitero di Albiano. All’ uscita mi sono
fermato ad ammirare la imponenza della morena. Ai
piedi c’ è la vita di ridenti paesi. Uno spettacolo meraviglioso. Dall’ alto, Andrate, poi Chiaverano, Burolo,
Bollengo, Piverone, Roppolo, Dorzano, Salussola,
Zimone, Magnano, Zubiena, Sala, Torrazzo, Donato.
Mi fermo in fondo valle. Qui c’è la fontana di
72
S.Rocco. I nostri antenati hanno utilizzato l’acqua,
hanno fabbricato il lavatoio. Può accogliere una cinquantina di donne. E’ comodo, riparato dalle correnti
d’aria. Ai lati c’è l’abbeveratoio delle mucche. Pochi
anni fa è stata perfezionata la fontana. Sono arrivate le
trivelle. Hanno perforato il terreno fino a 82 metri di
profondità. Sono stati trovati tre strati di sabbia. E’ la
sabbia aurifera. Noi siamo della zona della Victimula. E’
acqua fresca. Proviene dai ghiacciai. Il sottosuolo è ricco
di acqua. I muratori lo sanno. Curano la costruzione nei
terreni asciutti.
Da S.Rocco si apre la visione di una parte della Serra.
La prima strada è la via Nova. E’ antica. Ci porta verso
il mezzogiorno. Il paese incontrato è Magnano. I caseggiati sono adagiati in un vasto territorio. Nei tempi lontani è stata costruita la chiesa di S.Secondo. E’ un monumento di fede e di arte. Qui si è insediata la comunità di
Bose. La sua evangelizzazione è seguita. Nella zona
c’era una strada che univa due monasteri. E’ la via
Lascaris: univa il monastero di San Giacomo della Bessa
a quello di S.Martino. Noi il S.Giacomo lo conosciamo
col nome di Badia; è nel comune di Sala. Il monastero
canavesano è nel comune di Burolo. E’ visibile per l’
imponente campanile; infatti è chiamato il Ciucarun. La
strada praticata dai monaci attraversava le colline della
Serra.
Dall’ alto dell’ultima morena si apre un’ampia visione del territorio. E’ costellato di colli, di laghi, di vegetazione. Sono visibili gli antichi castelli. Sulla punta
brilla il masso più imponente: è il roc Basariund. A forza
e furia di rotolare sul ghiacciaio da valle a valle ha perduto tutti gli spigoli. Mi incammino nel sentiero di
Chiaverano, mi sposto al lago di Prè. Mi introduco nel
territorio di Scalveis. E’ una foresta. Ha i suoi antichi
casolari, la ricca fontana; ci sono i castagni, le betulle.
Siamo sulla piazza di Torrazzo. E’ un crocevia. Di qui
transitava la più breve scorciatoia che unisce il Canavese
73
con la Bessa. E’ chiamata via Solata: vuole dire selciata.
Solcava i quattro cordoni principali della Serra. Dal
Ciucarun, campanile romanico del XII° secolo, in aperta campagna, si snodava per la Strà, la Viaerta, la piazza
di Torrazzo, la Madonnina di Sala, il pilone della Scafa.
I primi passi sono nei territori della Sesa e del Ciusuri.
Così sono chiamati. Indicano l’impegno per la ricerca
dell’oro. La località Sesa vuol dire che l’acqua è arrivata. Ciusuri, è racchiusa. Le sabbie aurifere vengono
lavate. Poco più avanti c’è il territorio chiamato
Schiavato. Gli schiavi che lavoravano alla ricerca dell’
oro erano migliaia.
Carissimi. Sono contento. Nello stendere l’articolo ho
pensato a voi. Vi ho sentiti vicini. Ho visto gli abitanti
dei paesi della Serra. Sono i miei paesi. Li amo tutti. Vi
auguro buona fortuna.
Don Giuseppe Finotto
F
74
F
F
Dove osano...le piante
Curiosità sulle piante di montagna
Le piante delle sorgenti
Quante volte ci siamo fermati a riposare e rinfrescarci presso le sorgenti ed i ruscelli di montagna!
E’ gradevole sostare tra le rocce vicino all’acqua corrente, dove si può mangiare un panino e riempire la borraccia.
Ma quanti di noi si sono soffermati a curiosare nel
verde di questi angolini?
In natura la vita si adatta all’ambiente in forme le più
disparate e bizzarre possibili, sempre perfette per la
situazione.
L’acqua delle sorgenti è in genere fredda e povera di
sostanze nutritive; scorrendo in cascatelle, spruzzi e gorghi si arricchisce di ossigeno. Ai margini della sorgente
cresce una vegetazione caratterizzata da abbondanti
muschi, che formano verdi e morbidi cuscini (foto n.1).
Si possono trovare poi altre pianticelle poco appariscenti, come la Saxifraga stellaris con fiorellini bianchi a
stella (foto n.2), la Cardamine amara o falso crescione
(foto n.3) e la Saxifraga aizoides, dai fiori gialli, che fiorendo annuncia l’arrivo dell’autunno.
Talvolta i ruscelli sono segnalati da vistosi fiori giallo-arancio: sono quelli della Caltha palustris che fiorisce
in primavera (foto n.4).
Senza dubbio, però, le piante più curiose sono l’erba
unta (Pinguicula vulgaris) e la rosolida (Drosera rotundifolia), piccole piante carnivore, che si procurano le
sostanze azotate e il fosforo necessari da organismi animali, ovvero insetti.
L’erba unta (foto n.5) ha una rosetta di foglie basali
ricoperte da una sostanza appiccicosa che intrappola gli
insetti che si posano su di esse e li digerisce. Se ne possono trovare due specie: una a fiori viola e una a fiori
bianchi.
Piuttosto rara, sulle rocce bagnate, la rosolida (foto
n.6) ha un altro sistema di cattura degli insetti: le sue
foglie rotonde sono dotate di pelucchi vischiosi, simili a
spilli rossastri, che lentamente si richiudono sul malcapitato insetto e lo bloccano, finché la sua digestione non
è completata, quindi si distendono. Non spaventatevi!
Queste carnivore hanno dimensioni lillipuziane e non
potranno mai morderci mentre sostiamo vicino ad esse,
magari armati di lente per osservarle nei dettagli!
Francesca Pivani, dott. Naturalista
75
Come dalle parti del Bocchetto di
Sessera compresi il Vangelo della
Trasfigurazione
Una compagnia di bambini, almeno una dozzina,
cammina sul sentiero che da Pratetto porta al Bocchetto
di Sessera. Sono fra loro fratelli, cugini, amici e salgono
annoiati e con un po’ di fatica sul sentiero ripido e sassoso. Hanno già fatto un bel po’ di strada: da Callabiana,
frazione Trabbia, camminando intorno a quel panettone
che è il monte Casto, hanno raggiunto Pratetto; di lì si
tratta ora di arrivare al Bocchetto, da dove si affacceranno sulla Val Sessera. Là troveranno mirtilli e lamponi in
abbondanza. Così le mamme promettono per incoraggiarli e superare un momento di crisi.
Chi dice che è stanco, chi dice che non ce la fa più,
che è stufo di camminare, che ha fame e sete.
Le mamme conoscono bene quel sentiero; l’hanno
fatto tante volte quando erano bambine e la nonna Flavia
faceva da capo-gita. La nonna Flavia, che del Biellese
conosceva tutti i sentieri e che nella sua giovinezza era
stata addirittura segretaria dell’associazione alpinistica e
sportiva “Pietro Micca”, ogni estate portava infatti i
nipotini torinesi sulle sue amate montagne. E se una gita
era stata decisa, si partiva con qualunque tempo, a meno
che proprio diluviasse. Quante volte i bambini di allora
si erano trovati immersi nella nebbia che, come una
finissima pioggia, si posava sui loro capelli e sui loro
golfini. Erano in mezzo alle nubi, non si vedeva più
nulla, solo si sentivano, che arrivavano da chissà dove,
le campane delle mucche al pascolo.
Allora la nonna Flavia diceva ai bambini: “Adesso vi
insegno io come far uscire il sole dalle nubi” e incominciava:
“Sol, sol
vene fora
d’la capela dal Signor
mi t’daria ‘na parpaiola
mesa mi, mesa ti
mesa a la vegia
ch’a la va per lì”.
76
“ Che cosa è, nonna, la parpaiola?”
“E’ un soldino che c’era una volta.” Spiegava la
nonna.
Non si chiedevano invece i bambini come potesse
una parpaiola essere divisa in tre metà e ripetevano la
filastrocca.
Qualche volta capitava che il disco del sole, al richiamo, comparisse dietro le nubi come dietro un velo.
“Nonna, nonna, il sole viene davvero!”. Ah, la nonna
Flavia sapeva proprio tutto delle sue montagne, persino
snidare il sole nascosto dietro le nubi.
Ma i bambini nuovi non sono incappati in una giornata di nebbia: solo un po’ di foschia dalla pianura sale
verso le montagne.
Non hanno proprio più voglia di camminare e sono
tutti d’accordo a cercare un posto per sedersi e riposarsi
un po’.
Il sentiero sale, a sinistra la costa è ripida, a destra
scende altrettanto ripida fino al fondo valle; oltre il
fondo c’è il “Cavaiun”, che sembra una cesta rovesciata.
Ma non c’è più un prato come si deve, di quelli che
invitano a una sosta. Sono tutti là sotto, verdi e morbidi,
intorno alle baite di Pratetto. Poi finalmente sulla sinistra, d’improvviso una piccolissima conca morbida e
fresca, così piccola che sembra essere tutta occupata,
quando i bambini buttano a terra i loro zaini e si distendono sull’erba. Dietro di loro, a chiudere la conca, il terreno si alza come una piccola parete coperta d’erba e di
muschio. Al di là non si vede altro che il cielo.
Bastano pochi minuti di sosta, un po’ di pane e cioccolato, perché i bambini ritrovino energia e si mettano a
saltare e a far capriole.
Adesso sono tutti contenti e Giorgio, non un piccolo
cittadino, ma un birichino vivacissimo, che qui è nato e
qui cresce, esclama alzandosi in piedi e allargando le
braccia: “io mi faccio una tenda e sto sempre qui”
“Anch’io mi faccio una tenda....” Gli rispondono gli altri
bambini.
Fu in quel momento che io capii, cioè mi parve pieno
di verità, il racconto della Trasfigurazione.
Pietro era ridiventato un bambino, come Giorgio,
stava sulla soglia del regno dei cieli e con tre tende
77
voleva fermare lì, sulla cima del Tabor, Gesù, Mosè ed
Elia. Per lui, per Giacomo e per Giovanni sarebbe stata
la felicità perfetta.
Gesù “prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e salì
sul monte a pregare. E, mentre pregava, il suo volto
cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano
Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria. Pietro disse a
Gesù: “Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre
tende, una per te una per Mosè e una per Elia”. Egli non
sapeva quel che diceva” (Luca 9, 28-33).
Un’altra storia invece mi feci capire, o meglio sentire, la parabola della pecorella smarrita, non nel suo
significato allegorico, ma nel suo significato letterale.
Quando ero ragazzina incontravo spesso d’estate una
mia coetanea, figlia di margari, mentre custodiva le
mucche al pascolo.
La indicherò solo con l’iniziale del suo nome, perché
se mai dovesse leggere queste righe, potrebbe dispiacerle veder stampata una storia che la riguarda. Noi piemontesi siamo sovente fatti così.
S. aveva un bellissimo viso ed era una ragazza simpatica, vivace e gentile; io ero una studentessa e la vita
ci portò in direzioni diverse. S., figlia di margari sposò
un margaro: d’inverno al piano, nella bella stagione sui
pascoli della Valsessera, a guardare le bestie, a raccogliere il latte, a far burro e formaggio; io intanto a Torino
finivo di studiare e poi incominciavo a far scuola. Per lei
e per me vennero poi i figli da crescere e, poiché, quando io d’estate tornavo alla mia amatissima casa e al mio
nido biellese, S. era già in montagna, ci perdemmo di
vista. E mi dispiacque, perché avrei voluto che quella
spontanea simpatia di ragazze diventasse un’amicizia
duratura e profonda, quasi potesse essere per me l’esperienza di una vita diversa. Certamente molto mitizzata
da parte mia, che, se pensavo a pastori e margari, li
immaginavo ancora come quelli di Virgilio, semplici e
ingenui, lontani dalla corruzione del mondo e immersi
nella benevolenza della natura.
Ma una terribile avventura capitata a S. corresse la
mia poetica fantasia e la sostituì con una immagine più
nobile e alta.
78
S. con i genitori, il marito, i figli era salita in montagna e la vita all’alpeggio era ripresa come ogni estate. I
figli erano ormai ragazzi e anche ad essi toccava la loro
parte di lavoro: partire la mattina all’alba e portare le
mucche ai pascoli alti con i cani che vanno avanti e
indietro per tenere insieme la mandria, e una pagnotta di
pane e formaggio in tasca. Alla sera tornare all’alpeggio
per la mungitura, mangiare la cena preparata dalle
donne, buttarsi a dormire sul saccone di fieno e ricominciare il giorno dopo alla prima luce.
Ma una sera uno dei figli di S. non tornò alla baita.
Tornarono il cane e le mucche, ma non il ragazzo.
I genitori, i nonni, il fratello sulla porta attendevano,
chiamavano e non c’era risposta. Mangiarono una cena
piena di ansia, andando dentro e fuori dalla cucina, mentre i bocconi andavano per traverso. “Arriverà, arriverà....” dicevano il padre e il nonno alle donne sempre
più inquiete.
Intanto scendeva la sera e poi scendeva la notte e la
luce era solo più quella della lampada a petrolio. Nella
Valsessera non arrivavano le luci della pianura e le notti
erano buie come quelle antiche.
Presero le pile e incominciarono a cercarlo. Passò
tutta la notte, ma non trovarono il ragazzo. Venne l’alba
e le ricerche ripresero sempre più lontano. Niente. Ai
genitori, ai nonni, al fratello si unirono altri margari e
così passarono un giorno e una notte, un altro giorno e
un’altra notte ancora.
Le speranze si andavano spegnendo e anche la
volontà di credere che l’avrebbero trovato e che bisognava continuare a cercarlo.
Ai margari sembrava di aver perlustrato tutta l’alta
Valsessera, di aver percorso tutti i sentieri, di aver cercato fra tutti i cespugli, fra tutte le macchie di rododendri, di aver guardato in fondo ad ogni pietraia. “Non lo
troviamo più... “ si dicevano scuotendo la testa e intanto
bisognava riprendere il ritmo normale di vita, perché,
quando si lavora con le bestie non si può far altro. Può
accadere qualsiasi cosa, ma all’ ora giusta bisogna portarle a pascolare, a bere, soprattutto bisogna mungerle,
se no anch’esse reclamano con lunghi muggiti.
“Fa’ conto che sia morto ... fa conto che sia scappato... “
dicevano alla S., ma lei rispondeva di no, piangeva pregava
79
e, mentre gli altri tornavano a fare le cose di sempre, lei,
appoggiandosi a un bastone, continuava ad andare su e giù
per la Valsessera.
“Forse, di qui non è ancora passato nessuno... forse là
nessuno ha guardato
E finalmente fu proprio lei, la S., a trovarlo: caduto
fra i rododendri, ferito, senza conoscenza, ma con un
debole respiro, ma ancora vivo...
La S. non poteva lasciarlo lì e correre a chiamare gli
altri: forse, mentre lei era lontana, sarebbe morto.
Si inginocchiò vicino a lui, lo sollevò adagio e se lo
appoggiò alla schiena, si mise le sue braccia intorno al
collo e si sollevò adagio appoggiandosi al bastone, come
faceva con le gerle cariche di fieno.
Si avviò verso il Bocchetto di Sessera. Là si poteva
trovare aiuto, chiamare un’autoambulanza. Il peso le
piegava la schiena, le incurvava le gambe, ma quel
ragazzo, quasi un uomo, era suo figlio.
La videro arrivare così, allo stremo delle forze: non la
bella immagine del Buon Pastore, che cammina diritto,
portando senza fatica la pecorella smarrita che non ha
peso, che si riposa sulle spalle di lui, già guarita delle
sue ferite, ma una donna distrutta dall’angoscia passata
e dalla fatica sovrumana, con l’ansia di arrivare in tempo
per quel figlio che le stava morendo sulle spalle.
I margari le corsero incontro, la sollevarono di quel
peso che la schiacciava e intanto qualcuno immediatamente telefonò al soccorso alpino.
Dopo poco un elicottero atterrava al Bocchetto di
Sessera e subito ripartiva per Novara con la pecorella
smarrita, ritrovata, forse salva.
E infatti il ragazzo si salvò. Sua madre, ne sono certa,
non pensò mai di essere stata una vera immagine del
Buon Pastore, la figura di Cristo che cerca e ritrova la
pecora smarrita.
Rosaria Odone Ceragioli
L
80
L
L
Mi ritorna in mente
Attimi di vita di altri tempi in Alta Valle Cervo.
...si conduceva una vita serena in alpeggio andando io
bambina con il nonno al pascolo, la nonna raccoglieva il
“siun” (erba) con la “miola” (falce a semicerchio) che
caricato nella gerla veniva portato all’alpe per l’essiccamento al sole, accudivamo alle mucche nella stalla mungendole e ripulendo la “chintana” (solco centrale della
stalla dove veniva raccolto lo sterco), ed il giaciglio,
mentre il nonno aveva il compito di fare il burro con il
“buz” (zangola).
La nonna inoltre era incaricata a produrre il “tumet”
che depositava nel “truinét” (bassa costruzione di pietra
nella quale scorreva acqua).
Ci recavamo prima nella cascina del Pianel sopra
Piedicavallo, successivamente in una baita del Muntè e
poi all’alpe Piane ed infine all’alpe Ambruse a quota
1.700 metri scollinando dal colle della Cunetta e poi a
ritroso alla fine dell’estate.
Per salire e scendere dal colle il nonno, per la mia
tenera età, mi legava con una fune tenendomi vicino a
lui, per evitare cadute che su quell’impervio sentiero
potevano essere fatali.
...impresse nitidamente nella memoria sono le serate
trascorse alle Piane con il cielo stellato a contorno delle
vette e gli abitanti delle baite seduti su un masso a cantare in perfetta intonazione varie canzoni dell’epoca.
Risento ancora in particolare la squillante voce femminile di una “uitta” (margara valdostana di Niel) mentre io giocavo con altri miei coetanei.
...la nonna si affaticava nel camminare perché i morsi
di un cane le avevano leggermente leso una gamba.
Era lei a raccontare:
“per evitare un passaggio scomodo con la gerla sulle
spalle, avevo attraversato un terreno di altri.
Il proprietario infastidito mi aizzò contro il cane che
alle mie parole suadenti ritornò dal padrone.
Nuovamente aizzato, il cane si fermò a pochi metri da
me e con occhi quasi da scusarsi mi fece capire che
doveva mordermi, e così fece”.
...a Piedicavallo parecchie famiglie possedevano una
81
capra; queste capre che in totale potevano essere una
trentina, venivano radunate al mattino nella “piazza
delle capre” al termine della strada del paese, ed a rotazione, due persone le portavano al pascolo per riportarle
nella stessa piazza alla sera dove i rispettivi proprietari
le venivano a ritirare.
...quando diventai grande facevo gite in montagna.
Ricordo un’escursione al Monte Bo per veder sorgere il sole da quella cima di 2.556 metri.
Partimmo da Rosazza alle ore otto di una serata del
mese di agosto con una fitta nebbia, muniti di una torcia
elettrica e con inadeguati indumenti.
La nebbia si dissolse all’alpe Finestre di Montesinaro.
Ai piedi del monte Bo nel luogo denominato Piazza
d’Armi trovammo ancora tanta neve ed alle ore due del
mattino giungemmo alla Cima.
Bivaccammo nell’allora fatiscente rifugio accendendo un misero fuoco con ramoscelli trovati nelle vicinanze ed alle prime luci dell’alba ci apprestammo a veder
sorgere il sole.
La vista da quell’altezza era meravigliosa: il Monte
Rosa era rosa, il Monte Bianco era bianco, il Cervino era
grigio , il lago della Vecchia sembrava una bacinella ed
il tutto sovrastava un mare di nebbia.
Il mio pensiero fu rivolto al Creatore. In quell’ambiente mi sono sentita una formica.
U
U
U
Una ricetta per alleviare la sofferenza dei piedi dopo
un’escursione è di fare un infuso caldo di timo raccolto
durante l’escursione stessa e di immergervi i piedi.
Rina Jon Tonion
A
82
A
A
Caratteristiche geologiche e geomorfologiche del Biellese
L’area Biellese, incuneata tra la Valle d’Aosta e la
Valsesia, presenta caratteri geologici comuni ad entrambe
le regioni e per il suo sviluppo, che si estende dalla zona
montuosa dei primi contrafforti alpini alla pianura vercellese, mostra una complessità e una varietà singolare di
ambienti, anche sotto il profilo geomorfologico.
In linea generale la morfologia del Biellese risulta
profondamente influenzata dalla tettonica e dalla natura
delle rocce cristalline che costituiscono gran parte del territorio, con le varie formazioni litologiche frequentemente separate da superfici di scorrimento che hanno dislocato in età molto diverse e con effetti differenti sia il substrato che la copertura sedimentaria. Infatti, sulla destra
idrografica del torrente Cervo il limite tra zona collinare e
zona montana è evidenziato da una brusca rottura di pendenza, corrispondente ad una linea di frattura con direzione NE-SW denominata Linea del Canavese (Fig. 1). Essa
rappresenta il segmento più occidentale di un ampio sistema di discontinuità detto Linea Insubrica, che separa
lungo tutto il suo sviluppo, fino all’estremità orientale dell’arco alpino, le parti più direttamente coinvolte negli
eventi deformativi e metamorfici all’origine della catena
alpina (complessi dell’Austroalpino e Pennidico) da quelle solo marginalmente deformate e pertanto prive dell’impronta metamorfica dell’età Alpina (Sudalpino o Alpi
Meridionali).
Lo stesso ruolo di separazione è giocato a Est del Cervo
tra la zona pedemontana e quella montana da un’altra
importante linea tettonica (faglia), che si può seguire da
Andorno Micca con direzione ENE-WSW, attraverso
Callabiana, Mosso, Trivero e Guardabosone, fino alla
valle Cremosina: tale faglia è nota come Linea della
Cremosina (Fig.1).
Queste principali faglie rappresentano le tracce fondamentali dei maggiori disturbi tettonici regionali, ai quali si
accompagna tutta una serie di fenomeni collaterali. Nella
realtà le faglie non sono normalmente lineazioni singole,
ma sono costituite da fasci di fratture parallele, all’interno
83
dei quali ogni singolo elemento ha caratteristiche e dimensioni del tutto proprie. Come si può osservare in fig.1, la
linea del Canavese separa l’unità strutturale denominata
“Zona Dioritica-Kinzigitica Ivrea-Verbano” da quelle
delle Pennidi superiori. Queste ultime sono rappresentate
in parte dalla “Zona Sesia Lanzo”, complesso di scisti cristallini di età precarbonifera i cui termini tipici sono gneiss
a grana variabile, spesso granatiferi, passanti a micascisti
di vario tipo (eclogitico, feldspatico, pirossenico talora
intercalati in masse più o meno potenti nel complesso
principale), quarziti e, localmente, noduli e lenti di anfiboliti ed eclogiti mediocremente scistose o granulari.
Tali rocce si possono osservare nel settore nordoccidentale del Biellese, a monte della dislocazione tettonica
che, dal Santuario di Graglia, corre a Nord interessando
Sordevolo, Favaro, Casale (oltre la valle del Cervo) e il
Bocchetto Sessera.
In corrispondenza di un lungo tratto del corso superiore del torrente Cervo, nella parte estrema meridionale
della “Zona Sesia-Lanzo”, ed inclusa nella stessa, affiora
una massa rocciosa eruttiva, nota in letteratura come
«Plutone della valle del Cervo» (Fig.1), le cui ben note
proprietà tecniche l’hanno resa, in passato, oggetto di un
intensa coltivazione in cava, le più famose e produttive
delle quali si trovano tra le località Bogna e Balma di
Quittengo. Recenti studi hanno evidenziato che il plutone
presenta una struttura concentrica costituita, procedendo
dal nucleo verso l’esterno, da un granito grigio-biancastro
a grana fine, da un granito porfirico, da una sienite violacea (la ben nota sienite di Balma), da una sienite grigia e
dalle monzoniti, che si localizzano solitamente alla periferia.
La “Zona Dioritica-Kinzigitica Ivrea-Verbano”, posta a
oriente della linea del Canavese, è costituita nel Biellese
da rocce eruttive e metamorfiche di età molto antica. Tra
le prime si riscontrano prevalentemente tipi petrografici
che vanno dalle dioriti e dioriti quarzifere al gabbro ed alla
norite; subordinatamente si rilevano anche tonaliti (zona
settentrionale di Miagliano) e rocce ultrabasiche. Le zone
di massimo sviluppo dei termini eruttivi si localizzano al
Monte Casto, Camandona ed alla Rocca d’Argimonia. Tra
le rocce metamorfiche prevalgono di gran lunga gli gneiss
granatiferi biotitico-sillimanitici a grafite (kinzigiti), con
84
intercalazioni di anfiboliti a grana minuta, di marmi e calcefiri (Zumaglia, Ternengo, Bioglio, Pettinengo,
Callabiana, Veglio, M. Rovella). In una fase della sua storia geologica (Permo-Carbonifero) tale complesso di rocce
subì l’intrusione di un magma granitico, che formò un
ammasso di notevoli dimensioni (Massiccio Granitico
Biellese). Di questo evento ci offre testimonianza la estesa
area, formata da rocce granitiche che affiorano nel settore
a Nord di Cossato (Vallanzengo, Valle San Nicolao,
Strona, Valle Mosso, Soprana, Mezzana, Casapinta). Altre
masse minori affiorano diffusamente in altre località biellesi (Graglia, Ternengo, Ronco Biellese, Valdengo, ecc.),
spesso intimamente compenetrate per largo spessore
(come del resto anche la massa principale) con le rocce
incassanti nella zona di contatto, a formare particolari tipi
di rocce dette “migmatiti”. Ancora più ad Est del massiccio granitico (ma per un’area di ridotta estensione entro i
limiti della zona di studio) affiora un’estesa e potente formazione di rocce vulcaniche, composta fondamentalmente
da unità ignimbritiche (in maniera preponderante tufi riolitici) cui si accompagnano brecce con inclusi di rocce cristalline ed eruttive. Il contatto fra le rocce basiche ed il
complesso kinzigitico-granitico è di natura tettonica, poiché coincidente con la Linea della Cremosina, fiancheggiata sui due lati da larghe fasce di brecce tettoniche. Altri
elementi tettonici da segnalare sono i disturbi secondo
NNO-SSE, intersecanti sia la linea della Cremosina che
quella del Canavese, tra cui ha fondamentale importanza la
linea ad Ovest di Valle Mosso, tra Falletti e Bioglio (Valle
dello Strona di Camandona e Valle del torrente
Quargnasca).
Passando ora ad esaminare il settore collinare del territorio biellese si distingue innanzitutto un gruppo di rilievi
di natura morenica (depositi glaciali in fig.2), dovuti essenzialmente all’azione di deposito della grande lingua glaciale che, con diverse pulsazioni nel corso del Pleistocene, si
protendeva sulla pianura allo sbocco della Valle d’Aosta.
Questi rilievi sono rappresentati essenzialmente dall’anfiteatro morenico della Serra e dal gruppo di colline che circondano il lago di Viverone. Tali depositi sono costituiti da
sedimenti granulometricamente molto eterogenei (da grossi massi ad argilla) privi di stratificazione e di cementazione. Da un punto di vista morfologico essi formano colline
85
caratteristicamente allungate da NW a SE nel settore a NW
del Lago di Viverone, dove formano la parte laterale sinistra dell’anfiteatro morenico di Ivrea. Presentano profilo
progressivamente più scosceso avanzando dalla zona periferica in direzione dell’asse dell’edificio glaciale, in corrispondenza del quale si riscontrano i depositi legati alle fasi
glaciali più recenti.
Oltre a quelle fin qui descritti vi sono altre morene nell’area in studio (non rappresentate in fig.2), ma esse sono
di importanza meno rilevante: ad esempio nell’area occidentale si osservano numerosi relitti di piccoli bacini glaciali, con rocce levigate e massi erratici. Il ghiacciaio del
Monte Mars, lungo l’alto bacino dell’Elvo, giungeva fino
a Sordevolo ed ha lasciato depositi alla Raia di Graglia, alla
Trappa, ed a Salvina. Il ghiacciaio del Mucrone e del
Camino ha scavato la sua conca frontale là ove sorge il
Santuario di Oropa, che si trova così cinto da colline moreniche, risalenti verso l’alto fino a 1300 metri e portate nella
valle fino sotto i 900 metri. I laghetti del Mucrone, del
Rosso, del Piano della Ceva e del Camino sono originati
dai circhi morenici della Vedretta di Oropa in ritiro.
Nell’alta valle del Cervo una grande morena si alza di 300
metri sul fondo valle, fra Piedicavallo e Montesinaro, testimoniando la lunga permanenza del ghiacciaio. Anche l’origine del Lago della Vecchia è legata a fenomeni glaciali,
così come la zona del Monte Rosso, la Cima del Bo, e la
Valletta di San Giovanni, sopra Rosazza.
Un secondo gruppo di colline è quello situato più a
Nord, in corrispondenza approssimativamente della fascia
pedemontana tra Mongrando e Villa del Bosco. In questo
caso abbiamo a che fare con un substrato di rocce cristalline diverse, sul quale poggiano, verso il margine meridionale (al confine con la pianura) e lungo le principali incisioni vallive (Elvo, Cervo, Strona, Ostola, Rovasenda),
depositi di rocce sedimentarie più recenti. Localmente
(zona di Sostegno) sono conservati lembi residui di una
antica copertura mesozoica costituita prevalentemente da
calcari di origine marina (Coperture Mesozoiche in fig.2).
Fra Valdengo, Cerreto Castello e Rivone, e lungo le vallate del torrente Quargnasca e del suo affluente Miola, verso
Mombello ed alle pendici inferiori della collina di Ronco,
affiorano i sedimenti del Pliocene. Essi formano una serie
di basse collinette isolate, con morfologia dolce, altezza
86
massima attorno ai 350 metri s.l.m., poste a contatto col
margine settentrionale del vasto altipiano sito attorno al
torrente Cervo e poggianti, verso monte, contro le prime
dorsali del Massiccio Granitico Biellese. Tali depositi
hanno origine marina e manifestano una potenza di circa
100 metri, sono rappresentati da sabbie argillose giallastre, localmente ghiaiose, passanti a sabbie spesso grossolane di colore giallastro o rossiccio per la presenza di alterazioni. Anche lungo le aste torrentizie del Quargnasca e
dell’Ostola, superiormente ai graniti ed ai porfidi profondamente alterati, si rilevano delle sabbie, più o meno argillose con grosse sacche ghiaiose, e talora, con lenticelle ricche di lignite. Il settore occidentale della zona collinare
pedemontana (area sub triangolare con vertici in
Mongrando, Passobreve e Quaregna) è formato in prevalenza da estesi e potenti depositi di alluvioni ghiaiose legati a un antico reticolato idrografico che corrisponde parzialmente ai corsi attuali dei torrenti Elvo, Oropa e Cervo
(fig.2).
La giustapposizione di questi depositi continentali,
riferibili alle prime fasi quaternarie, sui depositi marini
pliocenici è chiaramente osservabile nel settore collinare
tra Vigliano e Cossato, dove i primi formano una sottile
coltre (qualche metro di spessore) che si riduce progressivamente verso Est (depositi villafranchiani in fig.2). Nella
zona di pianura si rilevano vari tipi di alluvioni che furono deposte da quelle imponenti fiumare che, scendendo
dalle Alpi, dilavando ed erodendo le regioni montane,
vennero ad espandersi nel piano depositando il loro carico
solido in forma di vasti ventagli di materiali sciolti (conoidi), tra loro sovrapposti ed intercalati lateralmente. I termini che si osservano con maggiore facilità sono le alluvioni ciottolose grossolane, ghiaiose, sabbiose, spesso
intensamente ferrettizzate, dello spessore variabile da
qualche metro fino a parecchie decine di metri
(Fluvioglaciale Wurm/Riss in fig.2). Infine, quasi al centro della pianura biellese si estende l’altipiano di
Bellavista-Villanova Biellese (Fluvioglaciale Mindel in
fig.2), idealmente collegato al lungo altipiano di Lessona
- Vallelonga.
Massimo Biasetti e Barbara Loi
87
Per un inventario dei sentieri interrotti
Quando succede di trovarsi di fronte a cambiamenti
inaspettati del paesaggio, siano essi piccoli o grandi,
proviamo un senso di confusione, di disagio e di
sconforto. Le sensazioni che proviamo nel nostro intimo
possono non corrispondere alle dimensioni oggettive,
materiali dei cambiamenti, ma chi può giudicare i valori della vita degli altri?
Mentre si può arrendersi all’ineluttabilità dei fenomeni naturali, che hanno stravolto il verde torrente, legato
a una parte felice della nostra infanzia, si resta infastiditi e amareggiati dal comportamento di chi decide di
demolire una parte di sentiero, per chiudere la proprietà
con un recinto metallico.
Forse la mia reazione non tiene conto di nuovi equilibri tra chi abita in un luogo e chi di quel luogo ha conservato nella mente e nel cuore una memoria, forse non
in sintonia con i cambiamenti prodotti dal tempo. Mi
chiedo però se è giusto che il tracciato di sentieri venga
interrotto, senza che nessuno si chieda se possano avere
qualche utilità. Tra le possibili, ricordo che non molto
tempo fa una baita, situata in un paese di montagna del
Piemonte, pur essendo in vista è stata distrutta da un
incendio, perché nessuno sapeva come fare a raggiungerla.
Non va poi dimenticato che, nonostante il verde, il
nostro Biellese è una conurbazione in continuo sviluppo,
oberata da un traffico automobilistico sempre più intenso, dove sembra che solo chi utilizza un qualche veicolo, sci compresi, debba avere la precedenza su chi va a
piedi.
Le riflessioni sin qui esposte non vogliono essere
lamentele di chi ricorda il buon tempo antico, ma proposte operative. In vari periodi storici la chiusura degli
spazi ha rappresentato cambiamenti a volte drammatici
e anche oggi non è priva di conseguenze sociali. Come
sono stati interrotti o stravolti i millenari percorsi della
transumanza, se non si interviene in qualche modo,
scompariranno anche i sentieri. Questa operazione
riguarda anche le città, ricordo come siano importanti le
“coste” che portano a Biella Piazzo, le polemiche sulla
88
sparizione di stradine e sulla possibilità di accedere alle
rive dei torrenti.
Forse qualcuno potrebbe cercare di raccogliere le
memorie di vecchi abitanti dei paesi, e delle città, oppure organizzare passeggiate e gite scolastiche, per far
conoscere ad abitanti e turisti vie poco note, che possono offrire visioni inusuali, oltre a facilitare il percorso di
chi deve, o vuole, andare a piedi. La raccolta di queste
informazioni potrebbe essere utile anche a Vigili del
Fuoco, personale sanitario e assistenti sociali in visita
domiciliare, a tutti coloro che hanno bisogno di una
scorciatoia e non hanno il tempo di cercarla e a quelli
che vogliono soltanto camminare.
Propongo ai Consoci di buona memoria di segnalare
sentieri interrotti e al CASB di riproporre, insieme alle
altre Associazioni interessate, un dibattito sull’interruzione dei sentieri. Offro, come spunto di riflessione, le
citazioni che seguono, con l’augurio di buon cammino a
tutti.
Carlo Brini
Sentiero interrotto
Collegava il centro di Piedicavallo con la base della
mulattiera per la frazione Tetto Nuovo. Partendo dal
centro paese, dove la strada inizia leggermente a scendere, si vede sulla destra una volta in pietra, sotto la
quale si inerpica un sentiero a scalini ineguali di ciottoli. Il sentierino passava di fianco al Teatro Regina
Margherita e, salendo con scalini molto asimmetrici,
rasentava una proprietà posta sotto il muro di contenimento del sentiero che va al Cimitero. Una volta si poteva raggiungere la stradina per il Tetto Nuovo, grazie a
una scalinata in pietra, ora demolita. Peccato!
La mente va a piedi
Camminare è una delle costellazioni del cielo stellato della cultura umana, una costellazione formata da tre
stelle: il corpo, la fantasia e il mondo aperto. Sebbene
ciascuna di esse abbia un’esistenza indipendente, sono
89
le linee tracciate tra di esse - tracciate dall’atto del camminare con scopi culturali - a farne una costellazione.
Le costellazioni non sono fenomeni naturali, ma
imposizioni culturali; le linee tracciate tra le stelle sono
come sentieri, consumati dall’immaginazione di coloro
che li hanno calcati in precedenza. La costellazione
chiamata “camminare” ha una storia, la storia percorsa
da tutti quei poeti e quei filosofi e quei rivoluzionari, da
pedoni distratti, da passeggiatrici, da pellegrini, turisti,
escursionisti, alpinisti, ma il suo futuro dipende dal fatto
che quei sentieri di collegamento vengano percorsi
ancora.
da: “La storia del camminare” di Rebecca Solnit Bruno Mondadori Ed.
Strade e piazze sono luoghi “pericolosi” di democrazia.
La strada era ed è, per Rebecca Solnit, la chiave della
democrazia, soprattutto in America, un paese che ha
dimenticato molto presto come il diritto a riunirsi per
strada, insieme al diritto ad essere sconosciuto tra sconosciuti, sia alla base della vita sociale e all’esercizio
della libertà comune. Le città, nella storia americana e
in quella europea sono state il luogo dove questo diritto
si è incarnato con forza. Le città hanno smesso o rischiano di smettere di essere democratiche, quando alla vita
di strada si sostituisce uno spazio diviso in aree recintate e sorvegliate ed una circolazione riservata solo alle
automobili.
Rudolph Giuliani, il sindaco di New York della zero
tolerance, la tolleranza zero, che si vantava di aver ripulito Manhattan dai suoi pericoli, nel 1977 aveva dichiarato pubblicamente che i pedoni disturbavano il traffico....
Il camminare dà fastidio, perché genera molte cose,
alcune delle quali non facilmente controllabili. Anzitutto
questa esposizione di sé al mondo e l’impressione di
essere uno dei corpi che ne costituiscono il paesaggio: e
poi la democrazia che viene dall’impressione della compresenza tra altri corpi viventi. Un mondo di stranieri, sì,
ma un mondo in cui il gioco del camminare invita alla
90
vetrina e al rispecchiamento.
Attenzione: alla base di dell’antipatia profonda che
Multinazionali e Governi hanno nei confronti della vita
di strada c’è una tentazione totalitaria. La televisione si
candida a sostituire strada, paesaggio e piazza perché in
televisione non si possono fare manifestazioni e barricate. Messa così può suonare naif, ma in realtà abbiamo
dimenticato che ci sono certe garanzie della vita democratica che sono legate alla spazialità e al diritto allo spazio pubblico.
Camminare oggi è sempre di più un’infrazione, in
altre epoche era considerata un’attività essenziale all’esercizio del pensiero, del gusto, del gioco sociale. Poesia
ed arte sono state a lungo coltivate per strada, camminando e la città è stata quella cosa complicata e grande
descritta da Budelaire e da Benjamin, perché era un
luogo che consentiva un attraversamento a tu per tu.
Franco La Cecla. Dalla recensione a: “La storia del
camminare” di Rebecca Solnit; La Stampa TTL n. 1329,
21/9/2002, p.1
Il ritmo dei sentieri.
Gli zoccoli ferrati dei muli scandiscono il tempo della
marcia, i basti cigolano sotto il peso dei carichi. A fare
da contrappunto il rumore dei finimenti di cuoio, il fruscio dell’equipaggiamento militare, il rumore dei passi
della compagnia di alpini. Una sensazione forte, un
ricordo indimenticabile di rumori antichi, una specie di
concerto ritmato a più voci, che sembrano destinati a
svanire nel vento. Le differenze che distinguono uomini
e animali sembrano ridursi, facciamo parte di un’entità
che a tratti si muove, soffre e percepisce all’unisono. La
lunga carovana si snoda seguendo lo sviluppo del sentiero; il rumore, il ritmo, cambiano e divengono cadenzati, veloci, gravi. Chissà se mi capiterà di sentire ancora quei suoni, quel ritmo.
Ritmo: l’ordine di una successione nel tempo di una
qualsiasi forma di movimento.
91
La strada militare si inerpica lungo la montagna,
ondeggiando in pigre volute, che sono interrotte da ripidi tornanti. In mezzo al tornante un grande anello di
ferro, assicurato alla parte rocciosa. L’immaginazione ha
il sopravvento: ecco la moltitudine grigioverde dei soldati della Prima Guerra Mondiale che avanza a ritmo
lento, curva sotto il peso degli zaini. Prima rallenta, poi
accelera di colpo, per fare la “volata”, cioè riuscire a
spingere il cannone oltre l’angolo del tornante. Urla,
imprecazioni, ragli e nitriti degli animali, cigolio di
ruote e di meccanismi, tonfo degli scarponi chiodati. Poi
di nuovo via, con cadenza sempre uguale, sino al prossimo maledetto tornante.
Ritmo: movimento in cadenza; successione di
impressioni uditive che variano regolarmente nella loro
intensità obiettiva.
Sul ripido sentiero nascosto nel bosco corre la staffetta partigiana, il ritmo del cuore e quello dei passi si
confondono, la paura è tutto intorno, ogni momento può
capitare l’imboscata. Mentre corre con i sensi allo spasimo, la mente rimanda immagini di un mondo diverso.
Come era bello passeggiare languidamente sulla stessa
via, con un passo che non ci riportasse troppo presto al
mondo degli altri.
Ritmo: il carattere di un movimento periodico, in
quanto produce un effetto di bellezza o di espressione.
Come può essere diverso il ritmo di ogni sentiero! Se
cerchiamo di sentire ciò che ci sta intorno, riusciamo ad
entrare in sintonia con il mondo. Non è solo in conseguenza della maggiore o minore pendenza, che il ritmo
dei passi aumenta o diminuisce. La natura dei luoghi
influisce sull’andatura, ma esistono altri livelli di consapevolezza.
Siamo apparentemente sempre più prigionieri di supporti inanimati: autoveicoli, attrezzature sportive, strumenti che ci rimandano a mondi virtuali e inesistenti. Il
nostro stesso corpo rischia di diventare una prigione,
92
così come la mente, che non si vuole mai lasciare libera
di vagare, di esplorare quello che ci sta intorno.
Inguainati in una splendida tuta, calzando scarpette da
olimpionici, con le orecchie impegnate nell’ascolto di
rumori esterni ai luoghi che attraversiamo, ben difficilmente riusciremo a cogliere l’essenza della natura in cui
siamo immersi.
Ritmo (termine filosofico): il modo caratteristico di
svolgersi di una funzione, il carattere periodico di un
processo.
I sentieri spesso sono lì da migliaia di anni, a volte da
sempre. Pensiamo al sentiero che dalla Val Senales porta
all’Huslab Joch o Passo di Tisa, per raggiungere la
Otztal, l’alpeggio al quale probabilmente conduceva gli
armenti Otzi, l’uomo di Similaun. E’ lì da sempre e,
come tutti gli anni, da tempo immemorabile, le pecore
arrancano sulle pietraie e nella neve, per raggiungere
l’alpeggio vicino al cielo. Certo, si può correre anche su
questo sentiero ma, se si è interessati a quello che da
fuori può entrare in noi, allora lasciamo che la mente
nascosta, il lato sensoriale, sia libera di vagare. Ecco che
a poco a poco sentiamo arrivare il ritmo del gregge,
migliaia di zoccoli in perenne movimento, con le sue
ondate, gli intervalli, le regolarità e le dissonanze. Su
questo livello si sovrappongono i suoni prodotta dagli
umani, la risposta del terreno, percosso e popolato dal
gregge. Chi ha mai pensato di provare a camminare con
un gregge, per capire che cosa possa voler dire essere
nomade? Gli animali domestici hanno i loro ritmi e, se
si vuole viaggiare insieme, bisogna saperli accettare,
imparando a vivere delle alleanze con esseri viventi, che
hanno carattere e personalità anche molto spiccate.
Ritmo (termine musicale): lo sviluppo dell’espressione musicale nel tempo.
Il sentierino si riduce ad un’esile traccia, che costeggia il torrente, gonfio delle acque di pioggia. Al rombo
sordo del torrente si uniscono, man mano che vengono
93
superati, le voci gorgoglianti di rivoli e ruscelli, che corrono a riunirsi con il corso d’acqua principale. Il vento
canta tra gli alberi che ondeggiando creano altre armonie. Le foglie a terra frusciano, mosse dalla corrente d’aria. Nel corso della giornata, mentre cambia il vento,
sentiamo suoni ritmi diversi, dalla brezza al temporale
incombente, alla quiete dopo la tempesta.
Ritmo (termine medico): il battito regolare del polso.
Il caldo sembra attutire tutte le sensazioni. Il passo è
lento, mentre si cerca di orientarsi, tra la macchia.
Improvvisamente, dietro una svolta del sentiero, non si
percepiscono più rumori. Il silenzio viene subito rotto da
qualcosa di strano, da un suono che sembra di conoscere ma che non siamo abituati a percepire: il battito del
cuore. Per un fenomeno fisiologico, ecco che la circolazione del sangue prende corpo, sentiamo la vita che
scorre in noi. E’ un fenomeno che dovrebbe farci pensare e che, forse, dovremmo cercare di far provare ai nostri
figli.
Ritmo
“Il ritmo dei passi ci accompagnerà, verso orizzonti
lontani si va….” Versi di una canzone dimenticata, brandelli di memoria che riaffiorano a sprazzi. Tanti ritmi,
tanti sentieri, tante strade. Buon viaggio a tutti, con l’augurio di saper riconoscere i ritmi della natura e di conservare il nostro.
Carlo Brini
C
94
C
C
Cogne - Valnontey / Tra camosci e
stambecchi, attenti alle volpi!
Vorrei raccontare un’avventura straordinaria, la cui
piacevolezza è degenerata purtroppo in maniera assai
rischiosa.
- Mercoledì 7 maggio, splendida giornata di sole, mio
marito ed io percorriamo l’intero vallone di Valnontey,
dirigendoci verso i Casolari dell’Herbetet, dove non arriviamo per poco, intimorita la paurosa della famiglia, da
una lingua di slavina che rende insidioso un sentiero un
pò esposto. Pazienza, ridiscendiamo volgendo i nostri
passi nel fascino silenzioso della piana innevata sottostante il Money, circondati da vette e ghiacciai, tra le
quali fà capolino la Torre del Gran San Pietro.
Consumiamo dunque felici il nostro pranzetto, quando,
sorpresa! Si avvicina all’ immediato una incredibile
VOLPE, divora voracemente gli avanzi, ci gira intorno,
fa tenerezza.
Com’ è bella, il manto è un pò argentato, la coda rossiccia, gli occhi pungenti luccicano ora di verde ora di
marrone, a seconda di come si volta e ci osserva.
Conquistati (e ingenui) da una simile dimostrazione di
amichevole vicinanza, le sporgiamo - mano bocca - tozzi
di pane avidamente divorati dai dentini corti, piccoli e
aguzzi, e poi ancora .... Una delizia -non mi era mai successo di guardare una volpe negli occhi. Che emozione!
tutta diversa da quella che poi verrà. La accarezzo pure.
Annusa gli zaini, attratta dall’ odore del cibo; Franco
accenna un lieve gesto e questa, inaspettatamente, gli
azzanna l’ indice sinistro e lo serra stretto, intenzionata
tutta a rosicchiarselo. Non molla.
Scioccata, terrorizzata, non so cosa fare: urlare per
spaventarla, tramortirla col bastoncino, offrirle la mocetta per indurla a lasciare la presa ..... con quale reazione?
Mentre mio marito, dolorante e prigioniero, visto
come si mettono male le cose, coraggiosamente le ficca
in bocca la mano destra, ferendosi pure questa, e spinge
con forza disperatamente per aprirle le tenaci fauci. Ci
riesce ed è libero. Sono trascorsi terribili minuti.
La nostra selvatica traditrice non fugge, gira un attimo
in tondo e, com’è venuta, se ne va, forse stordita e scontenta per non aver terminato lo spuntino di carne umana.
Siamo stati noi troppo fiduciosi, sottovalutandone la
pericolosità, pur non ignorando le leggi della natura; lei,
95
inconsapevole, ha semplicemente assecondato l’istinto di
animale affamato, carnivoro e predatore.
Con queste mani sanguinanti, tamponandole ogni
poco con la neve per bloccare, ci apprestiamo al ritorno
piuttosto lungo ancora.
Un pò agitati, ma sul governabile, incrociamo più in
basso un cortese guardiaparco che, rovistando nel nostro
sacco, rimedia una provvisoria medicazione, tranquillizandoci intanto sull’ assenza di rabbia negli animali quivi
stanziati.
Giunti all’ ambulatorio di Cogne, la dottoressa, gentilissima, presta con molta competenza le cure necessarie.
Questa l’ esperienza vissuta, a seguito della quale
desidero informare e consigliare più cautela in situazioni
facilmente ingannevoli, diffidando comunque, pure
gioiendo e godendo il fascino degli incontri con gli abitanti della nostra meravigliosa natura selvaggia.
Maria Grazia Ramella
a
a
a
Il Giglio Martagone (Lilium martagon L.)
Famiglia: Giliaceae.
E' un bellissimo giglio selvatico alto 30 - 60 cm., con fusti eretti e foglie allungate. I fiori sono penduli e costituiti di sei tépali di colore rosso con macchioline più
scure. Cresce nei prati montani freschi ed ai margini dei boschi in tutta la catena
alpina. E' una delle piante più spesso raccolte per la sua bellezza e spesso se ne
estirpano i bulbi. Questo potrebbe causare prima o poi la sua scomparsa.
96
Spigolature
Spigolature non vuol essere altro che uno stralcio
dallo zibaldone personale di alcune anzi pochissime
notizie lette su libri o riviste e ritenute importanti e
degne di essere segnalate ai soci della CASB ed ai lettori di Sentieri del Biellese. Non hanno né la pretesa di
presentare novità od originalità di argomento, né tanto
meno ambiscono a valori linguistici o letterari.
Escursionismo e cultura ... binomio inscindibile
E’ il titolo di un articolo scritto da Carlo A. Mattio,
presidente della Commissione Ligure Piemontese
Valdostana escursionismo del CAI , pubblicato su
Camminiamo insieme notiziario semestrale N. 18 (febbraio 2004) della Commissione interregionale di escursionismo e segnaletica L.P.V. in cui viene evidenziata
l’importanza culturale e formativa del camminare dopo
aver letto e studiato le caratteristiche del percorso con
tutte le evidenze ed emergenze naturali o artificiali che
si possono incontrare lungo il percorso previsto per la
programmata escursione
Cercatori d’oro nell’arena tra Biella e Ivrea
di Enrico Bassignana è il titolo di un articolo presentato dal periodico “Pagine del Piemonte” n. 17 inverno
2002/2003 molto ben illustrato: io lo lessi non solo come
relazione sull’esistenza e sulla storia del centro di incontro dei cercatori ma come invito a scendere sino all’Elvo
ed a percorrerne un tratto per conoscere il territorio irrigato da questo fiume che trova le sue origini tra i monti
del biellese occidentale, raccogliendo le acque apportategli dai numerosi affluenti.
Molto competente ed interessante l’articolo “La rappresentazione del territorio alpino nelle antiche carte
geografiche” di Enzo Bragante pubblicato nel bollettino
della sottosezione G.E.A.T. del gennaio-dicembre 2002
che si ricollega, ampliamente sviluppando l’argomento,
a “L’escursionismo e la cartografia” di Leonardo
Gianinetto pubblicato su Sentieri del Biellese per l’anno
1995. Lo scritto di Bragante è illustrato da una ventina
97
di riproduzioni di antiche carte geografiche.
Ai naturalisti segnalo l’articolo “Per dare un nome ad
ogni fiore che ami” di Adriano Soldano pubblicato sulla
Rivista Biellese n. 4 dell’ottobre 2002 a pag. 43, in cui
si parla della Scopola, della Pseudostellaria, del citiso di
Zumaglini, accennando inoltre ad altri importanti ritrovamenti nel biellese. Un apposito capitolo evidenzia
l’importanza della documentazione fotografica e dell’erbario.
Più importanti ed interessanti le pubblicazioni del
nostro consocio Gian Paolo Chiorino che, in un primo
tempo dedicò parecchie pagine della Rivista Biellese n.
3 luglio 2002 ( dalla pag. 45 alla pag. 54), corredate da
molte riproduzioni fotografiche, e successivamente curò
il catalogo della mostra tenutasi a Occhieppo Superiore
nel novembre 2003, dedicata a Cesare Schiaparelli
(1859 - 1940) fotografo paesaggista. Pleonastico scrivere delle moltissime riproduzioni di paesaggi biellesi nel
catalogo e dei confronti che si possono fare sull’ambiente biellese tra l’epoca dello Schiapparelli e quella
odierna.
Di Gian Paolo Chiorino ricordo l’articolo “Tracce di
salita sulla neve”, illustrato da riproduzioni tratte da
meravigliose fotografie in bianco e nero del molto
apprezzato Franco Antonaci. In questa citazione mi ha
trascinato il cuore ed i ricordi delle tante montagne innevate che ho potuto frequentare in compagnia di Antonaci
e di Chiorino: peccato che sulla Rivista Biellese (n. 1
gennaio 2003 pag. 64-74) non ne compaia almeno una
del biellese onde permettere un raffronto tra l’ambiente
invernale e quello estivo.
Percorrere le sponde del Cervo per conoscere il territorio bagnato da questo fiume è facile ed è... difficile; il
geologo Brunello Maffeo alle pagine 20-27 della Rivista
Biellese n. 3 marzo 2003 ci accenna ad “un incessante
spostamento del suo percorso” e si pone la domanda di
“quale sarà il suo futuro”. Le fotografie si riferiscono al
percorso montano tra Biella e Piedicavallo. Un invito a
scoprire il fiume attuale ... praticando un escursionismo
98
un po’ particolare, possibilmente con gli stivali e accompagnati da un pescatore.
Un invito a conoscere la non facile e talvolta rischiosa vita dei pastori ed i loro sentieri, a noi cittadini amanti della saporita toma dei nostri monti, indirettamente ce
lo rivolge il professore Giuseppe Paschetto (socio della
CASB e collaboratore in diverse occasioni al nostro
notiziario) che in un articolo, corredato da intervista in
dialetto ai pastori, pubblicato alle pagine da 73 a 78
della Rivista Biellese n. 2 aprile 2003, racconta di due
nevicate eccezionali nel tardo autunno e delle fatiche per
far scendere a valle il gregge.
Molta Cina nel Biellese pliocenico è il titolo di un
contributo di Carlo Gavazzi pubblicato sempre sulla
Rivista Biellese (questa volta Carlo Caselli direttore
della pubblicazione potrà essere soddisfatto della pubblicità fattagli dalla pagine di Sentieri del Biellese) nel
n. 3 ottobre 2003. Siamo nuovamente lungo il fiume
Cervo, nei pressi della confluenza dell’Ostola, tra
Gifflenga e Castelletto Cervo ove il Cervo erodendo fortemente le rive ha scoperto un affioramento in cui il
fotografo biellese Roberto Ecclesia ha notato e segnalato al Museo Regionale di Scienze Naturali la presenza di
resti di vegetali che agli studiosi torinesi Cavallo e
Martinetto si sono rivelati per esemplari tipici del clima
della Cina ...
Inoltre la presenza di una faglia che attraversa l’affioramento, con abbassamento di un blocco e rialzamento
dell’altro, rende ancor più evidente ed interessante la
scoperta che forse è stata conseguenza indiretta del praticare un escursionismo di tipo culturale... di un escursionismo che dopo una osservazione attenta dell’ambiente percorso non esita a dedicarsi alla comparazione
delle osservazioni fatte con altre precedenti o susseguenti.
Leonardo Gianinetto
99
Leonardo Gianinetto
Accompagnatore di Escursionismo
emerito del Club Alpino Italiano
Non può essere ignorato il trafiletto, accompagnato
da una bella fotografia, apparso sul Notiziario Mensile
del Club Alpino Italiano LO SCARPONE nel numero di
settembre 2003 a pag. 21, che suona come segue: “LEONARDO GIANINETTO, AE EMERITO. Socio vitalizio
della Sezione di Biella, “grande vecchio” e figura di
spicco del CAI biellese. Ha svolto una meritoria opera
per la promozione dell’escursionismo e la diffusione
della segnaletica dei sentieri sul territorio biellese, che
continua tuttora attraverso la CASB, Consociazione
amici dei sentieri del Biellese di cui è presidente e animatore. La nomina è stata conferita il 24 novembre
2002, presso il Santuario di Oropa, in occasione del
pranzo sociale della “Sezione di Biella”. Con questa
nomina egli entra nell’albo d’oro della COMMISSIONE
CENTRALE DI ESCURSIONISMO DEL CAI, in compagnia di Annibale Salza, vicepresidente generale del
CAI e di Tarcisio Deflorian, vicepresidente della
Commissione stessa, tutte “autorevoli figure di di indiscusso valore che hanno contribuito con passione, dedizione, impegno e competenza a fare grande l’escursionismo”.
Con la creazione di questa Commissione, nata nei
primi anni 90, il CAI intese dare maggior importanza
all’escursionismo ed alla sentieristica in generale, anche
se i sentieri di montagna sono sempre stati importanti
non solo per la gente che vi vive ma anche per gli alpinisti che li percorrono per raggiungere le terre alte, i
ghiacciai e le pareti da scalare; e per gli escursionisti che
preferiscono fermarsi a quote più basse. Il compito che
si prefisse la Commissione fu quello: di formare scuole
di accompagnatori escursionistici (AE), che attualmente
sono circa 790, veri e propri “uomini di territorio” impegnati nelle sezioni e sottosezioni a praticare e divulgare
un escursionismo evoluto, attento ai valori ambientali,
ma soprattutto culturali della montagna; di emanare
norme precise per un sistema unificato di segnalazione
100
dei sentieri per tutta l’Italia; di dare direttive per il loro
tracciamento e per la manutenzione; ultimamente si
lavora per arrivare ad un catasto nazionale informatizzato che contenga le caratteristiche principali di ognuno di
essi. D’altronde una legge di Stato riconosce al CAI la
facoltà di provvedere “al tracciamento, alla realizzazione ed alla manutenzione dei sentieri”. Anche le Regioni
cominciano ad entrare in questa ottica; ed in particolare
la Regione Piemonte ha adottato in questi ultimi mesi
questa normativa.
Leonardo Gianinetto ebbe un ruolo di primo piano in
questo processo non solo nell’ambito biellese, ma direttamente all’interno della Commissione centrale, quindi è
più che meritato l’alto riconoscimento conferitogli: tutti
gli amici della CASB sono onorati di felicitarsi con Lui.
Gianpietro Zettel
Z
Z
Z
Il Ciclamino (Cyclamen purpurascen Mill.)
Famiglia: Primulaceae
Il ciclamino è una pianta ben conosciuta ma con distribuzione apparentemente
capricciosa per cui, mentre in certe nostre valli alpine si può dire abbastanza frequente, in altre è raro o non esiste affatto.
I fiori sono tutti basali alti 5 - 15 cm., di colore porporino a fauce più scura formante un anello a 5 lobi ovali rivolti all'indietro.
E' opportuno ricordare che questo fiore è velenoso.
101
Ringraziamenti
Città di Biella
In fondo al notiziario, come di
consueto, ecco i ringraziamenti a chi ne ha permesso la
pubblicazione.
Ringraziamento rivolto innanzitutto ai soci, che col
loro contributo hanno reso possibile la realizzazione del
notiziario, ed in particolare a quei soci che con liberalità
hanno offerto cifre anche considerevoli a favore del
notiziario.
- Agenzia Giovanni Scaramuzzi & figli sas
- Roberto Borsetti
- Famiglia Chiorino, alla quale va anche un particolare ringraziamento per averci permesso la pubblicazione
dell’aggiornamento ad alcuni itinerari dell’ormai introvabile libro di Fulvio Chiorino.
Un ringraziamento va poi agli enti pubblici, che
anche quest’ anno hanno indirizzato alla CASB i loro
contributi:
- Fondazione CRB
- Provincia di Biella
- Comune di Biella
- Vari Comuni del Biellese, Pro Loco, ed altri
Mai come quest’ anno le somme da loro versateci
sono state importanti, poiché, dopo qualche anno di
pausa, la CASB ha ripreso a lavorare ‘sul terreno’:
segnaletica, manutenzione, progetti.
Ed infine un ringraziamento particolare a chi alla
CASB, oltre a dare, ha chiesto: mi riferisco in particolare agli assessorati all’ ambiente del Comune di Biella e
della Provincia di Biella, coi quali vi è stato un proficuo
rapporto di collaborazione nella progettazione, nella
manutenzione e nella classificazione dei sentieri, nonché
nella preparazione di una rinnovata cartografia.
A tutti, ed a tutti i nostri affezionati lettori, il nostro
sentito “grazie”.
Il consiglio direttivo
102