Decidere di non avere un (altro) figlio. Valori - UniFI

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Decidere di non avere un (altro) figlio. Valori - UniFI
Decidere di non avere un (altro) figlio. Valori, costrizioni e possibilità
Maria Castiglioni
Introduzione. In questo lavoro, riflettiamo sui valori che sottostanno alle scelte
riproduttive e sulle costrizioni con cui si trovano a fare i conti le coppie. Ragioneremo
su questi temi partendo dalle motivazioni espresse dalle donne per non avere il primo, il
secondo, il terzo figlio. Vogliamo anche capire se e come queste costrizioni possono
essere superate, cioè capire se ci sono delle possibilità per andare incontro alla
realizzazione dei progetti di costruzione della propria famiglia. Queste possibilità,
naturalmente, possono essere diverse a seconda dei valori e delle priorità delle coppie.
Le analisi empiriche su cui ci baseremo sono state condotte sui dati raccolti
nell’indagine “Troppi o nessuno”, realizzata nel 2001-02 in cinque città italiane. Alle
donne senza figli, di 40-44 anni, che sono entrate almeno una volta in unione, che non
hanno avuto problemi noti di sterilità, e che non hanno mai provato ad avere un figlio è
stato chiesto di indicare se una serie di motivazioni sono state importanti per
determinare la scelta di non avere voluto figli. Le stesse motivazioni, con i necessari
adattamenti, sono state sottoposte alle donne con 1 o 2 figli, che fisicamente avrebbero
potuto averne altri ma che comunque non pensavano di averne più, madri di ragazzi in
terza media. Per loro si tratta dunque di motivazioni per non volere un altro figlio1.
I motivi che portano le donne e le coppie a non volere un (altro) figlio possono
essere ricondotti ad alcune delle ipotesi interpretative della bassa fecondità proposte
dalla letteratura. Usualmente queste ipotesi vengono sottoposte a verifica empirica
tramite l’analisi di tassi di fecondità o di probabilità di avere un figlio (in più), si studia
cioè la propensione ad avere figli tramite il confronto tra chi ha avuto e chi non ha avuto
un figlio. In questo lavoro, invece, studiamo i motivi della rinuncia (distinguendo,
naturalmente, a seconda del numero di figli avuti). Mettendo in evidenza chi privilegia,
per esempio, motivazioni di natura economica, possiamo riflettere sulla rilevanza delle
chiavi di lettura più economiche sulla bassa fecondità italiana. È necessario dunque
ripercorrere velocemente le ipotesi interpretative a cui si riferiscono le motivazioni della
rinuncia alla fecondità (par.1).
Alle stesse donne (senza figli e con 1 o 2 figli) nel questionario sono stati proposti
alcuni interventi pubblici, molto generosi e certamente irrealistici, a favore delle
famiglie con figli. Si voleva capire se, di fronte a interventi decisamente orientati al
sostegno della maternità, le coppie avrebbero ripensato le loro scelte2. Dopo aver
presentato le risposte fornite dalle donne alle diverse motivazioni (par.2), verifichiamo
la “forza”di ciascuna costrizione o preferenza espressa osservando appunto l’eventuale
disponibilità delle donne a modificare le proprie scelte (par.3). Infine, un’analisi delle
1
I dati per le donne senza figli sono stati raccolti tramite intervista telefonica sulla base di un questionario
strutturato, quelli per le donne con figli tramite questionario autocompilato. Le motivazioni per non avere
un (altro) figlio sono state rilevate sottoponendo alle donne un elenco di possibili motivi (15 per le donne
senza figli, 14 per quelle con uno o due figli) e chiedendo loro di indicare per ciascuno di essi se è stato o
no importante nella decisione di non avere un figlio (in più). Per una presentazione delle risposte alle
motivazioni delle madri di uno o due figli, separatamente nelle cinque città, si veda Dalla Zuanna e
Salvini (2003), per le donne senza figli Tanturri e Mencarini (2003).
2
Con riferimento ad alcune proposte ipotetiche si chiedeva alle donne se avrebbero modificato il loro
comportamento fecondo. Trattandosi di donne presumibilmente al termine della loro vita riproduttiva, le
domande sono ancora più irrealistiche perché si riferiscono a scelte ormai definitive. Tuttavia, proprio a
causa della razionalizzazione a posteriori di quanto vissuto, le risposte dovrebbero riflettere i sistemi di
valore delle donne.
1
caratteristiche di chi esprime le singole motivazioni, permette di approfondire le
condizioni che portano alle scelte riproduttive (par.4) e offre l’opportunità di riflettere
su quali sono le costrizioni percepite come più pesanti dalle coppie (par.5).
1. I fattori esplicativi della fecondità. Secondo i sostenitori della New Home
Economics, le scelte riproduttive sono una risposta razionale ad una valutazione di costi
(diretti e indiretti) e benefici (anche di ordine psicologico) derivanti da un nato (in più).
Alla luce di questa chiave di lettura, si può pensare che coppie più ricche possano
permettersi con più facilità di avere un figlio; nello stesso tempo, però, le coppie più
ricche sono anche quelle che hanno investito di più nel proprio capitale umano, e
dunque potrebbero percepire in misura più pesante la presenza di un figlio, se questa è
di ostacolo alla realizzazione economica o personale degli investimenti fatti.
L’esperienza della maternità può entrare in concorrenza con la partecipazione della
donna nel mercato del lavoro non solo se comporta una riduzione di reddito, ma anche
una diminuzione delle gratificazioni personali e delle opportunità di carriera, soprattutto
all’interno di un contesto sociale in cui il sostegno dei servizi è debole, e la divisione dei
compiti interni alla famiglia è ancora di tipo tradizionale.
La relazione negativa tra fecondità e lavoro della donna in Italia è documentata da
molte analisi empiriche3, ed è opposta a quanto si osserva nei paesi del centro e nord
Europa, in cui il sistema di welfare è molto più orientato al sostegno delle madri che
lavorano ed è maggiore la condivisione dei compiti domestici tra i partner. Il reddito
femminile da lavoro sembra dunque deprimere la fecondità in Italia. Non è così, invece,
con riferimento al reddito maschile, come sembrerebbe suggerito dalle analisi di Ongaro
e Salvini (2003), in cui il titolo di studio è interpretato come una proxy del livello
economico4.
Per misurare quanto queste componenti hanno condizionato le scelte riproduttive
delle coppie, abbiamo introdotto nel questionario una serie di motivazioni che
dovrebbero cogliere con sfumature diverse i vincoli e le preferenze di natura economica.
“Era troppo costoso avere un (altro) figlio” e “Il mio lavoro serviva per tirare avanti, e
con un (altro) figlio sarebbe stato per me impossibile continuare a lavorare” cercano di
cogliere i vincoli imposti da un reddito, altrimenti insufficiente. “Un altro figlio avrebbe
danneggiato il benessere economico di quelli che ho” (rivolto solo alle donne con figli)
si riferisce ancora al costo dei figli, ma in forma indiretta, cioè come sottrazione di
risorse economiche ai figli già nati. “Con un (altro) figlio, avrei dovuto rinunciare a
lavorare o a migliorare il mio lavoro, e per me il lavoro è importante, non solo dal punto
di vista economico” cerca invece di escludere la componente della necessità, per
mettere in evidenza l’importanza del lavoro come ambito di realizzazione della donna
fuori dalla sfera domestica. Infine, “Per avere un (altro) figlio avrei dovuto rinunciare a
troppe cose” esprime una valutazione dei costi/opportunità, cioè del costo indiretto
associato alla rinuncia (almeno temporanea) ad altre opportunità ed esperienze
significative per la famiglia5.
3
Si vedano i riferimenti proposti in Ongaro e Salvini (2003) e in Giraldo et al., in questo volume.
Lo stesso risultato è confermato anche con riferimento alla probabilità di avere il secondo figlio tra le
donne che hanno sempre lavorato, nel contributo di Mencarini e Tanturri in questo volume. Lo stesso
lavoro, inoltre, mostra che le donne che mantengono costante il loro impegno per il mercato e non hanno
una riduzione di reddito hanno più probabilità di avere un secondo figlio, evidenziando così un possibile
effetto reddito anche tra le donne. Anche l’intervento di Giraldo et al., in questo volume, cerca di rilevare
l’influenza del reddito (al netto degli effetti spuri dipendenti dal lavoro) sulla fecondità.
5
Anche De Santis e Breschi (2003) cercano la presenza di un “freno economico” alla fecondità nella
risposta a tre dei quesiti qui considerati (il costo dei figli, il lavoro per esigenze economiche e il danno
4
2
Come messo in evidenza nel lavoro di Dalla Zuanna in questo volume, la chiave di
lettura della seconda transizione demografica enfatizza l’importanza dei nuovi valori
postmaterialisti e postmoderni nel determinare le scelte di fecondità. Ai valori
tradizionali, condizionati dall’adesione alle istituzioni, si contrappongono quelli che
riportano al centro delle scelte l’individuo: la libertà, il prestigio, l’autorealizzazione.
Tra i valori postmoderni può rientrare anche il desiderio di maternità: il figlio diventa
generatore di senso, attribuisce un ruolo sociale all’individuo, arricchisce di relazioni
forti la vita quotidiana, è fonte di gioia6. Il valore del figlio passa dunque attraverso la
qualità della relazione con lui. Per questo è necessario avere tempo, tempo liberato da
altri impegni di lavoro, tempo che potrebbe scarseggiare se il numero di figli fosse
elevato. Questo investimento nella relazione con i figli potrebbe essere accentuato
all’interno della società italiana, permeata da un sistema di legami forti tra le
generazioni, in cui i genitori si sentono responsabili della qualità della vita dei figli. Per
valutare l’importanza – nelle scelte riproduttive – delle attenzioni e delle risorse non
solo economiche da dedicare al figlio, abbiamo introdotto nel questionario le seguenti
motivazioni: “Non avevamo abbastanza tempo per seguire bene un bambino” (per le
donne senza figli) e “Con un figlio in più, avremmo seguito male sia il nuovo nato sia i
figli che avevamo già” (per le donne con uno o due figli).
Uno dei fattori già ricordati che concorrono a tenere bassa la fecondità italiana è da
ricondurre a un sistema di genere privato che presenta ancora elementi di disequilibrio.
Di fronte a un capitale umano equiparabile a quello dell’uomo, e alle stesse possibilità
di accesso al mercato del lavoro, la donna rimane sovraccaricata dal lavoro domestico e
dai compiti di cura e allevamento dei figli. Secondo quanto suggerito da Mc Donald
(2000), ci si potrebbe aspettare che nelle coppie in cui vi è una maggiore condivisione
tra i partner nei compiti di cura familiari la fecondità sia più elevata. Ciò non emerge in
alcune analisi della probabilità di avere il primo o il secondo figlio sui dati dell’Indagine
Nazionale sulla Fecondità del 1996, in cui però erano state considerate tutte le donne,
sia le lavoratrici, sia le casalinghe (Rivellini e Zaccarin, 1999; Rampichini e Salvini,
2001). Viceversa, in un’analisi limitata alle donne che hanno sempre lavorato
(Mencarini e Tanturri in questo volume), la probabilità di avere il secondo figlio è più
alta se il marito si prende cura del primo, e la probabilità di avere il terzo è più elevata
quando il marito non riduce il suo impegno in casa dopo la nascita del secondo. Nelle
analisi presentate in questo lavoro vedremo come agisce il sistema di genere interno alla
famiglia nel determinare le motivazioni alla scelta di non avere (altri) figli7.
Infine, la realizzazione delle scelte riproduttive deve fare i conti anche con vincoli
di altra natura. Innanzitutto, la fecondità ha luogo all’interno di una esperienza di
coppia. In Italia, le nascite fuori del matrimonio sono ancora pochissime, per cui la
rottura di un’unione coniugale segna spesso anche l’uscita, almeno temporanea, da una
condizione che rende possibile la procreazione. In secondo luogo, anche se si sono
allungate le fasi di passaggio all’assunzione di ruoli tipici dell’età adulta, i vincoli
biologici nell’intervallo di vita fertile della donna sono rimasti (ovviamente) invariati,
imponendo un serio ostacolo alla realizzazione di progetti riproduttivi procrastinati nel
tempo. Se da un lato questi due aspetti costituiscono delle condizioni oggettive di
economico ai figli già nati), con riferimento però solo alle madri: essi ritengono che questo freno sia “nel
complesso debole”.
6
Si vedano i contributi di Maggioni e di Dalla Zuanna in questo volume.
7
A differenza delle altre chiavi di lettura, non ci sono nel questionario motivazioni riconducibili al
sistema di genere. Per studiare dunque l’impatto della condivisione dei ruoli sulle scelte di fecondità,
introduciamo alcune variabili di comportamento delle coppie tra le esplicative nei modelli di analisi delle
diverse motivazioni.
3
ostacolo alla riproduzione, ci si può chiedere se e come entrano in gioco, nella
percezione soggettiva, tra le motivazioni per non volere (altri) figli. Ciò può essere
esplorato attraverso l’analisi delle seguenti motivazioni: “La nostra coppia non era così
forte per poter pensare di avere un (altro) figlio” e “La nostra coppia si è divisa poco
dopo il matrimonio/la nascita dell’ultimo figlio”, verificano l’importanza della tenuta
della relazione di coppia, e “Ci sentivamo troppo vecchi per avere un (altro) figlio” e “I
primi anni con i nostri figli sono stati così duri, che non ce la siamo sentita di
‘ricominciare da capo’” (solo per le madri), si riferiscono al fatto di sentirsi troppo
vecchi e stanchi.
2. Valori, costrizioni… Una lettura delle motivazioni espresse dalle donne permette
di mettere in risalto i valori e le costrizioni più sentiti nel determinare le scelte
riproduttive (fig. 1).
[figura 1 circa qui]
Con riferimento agli aspetti economici e alle scelte lavorative alcune motivazioni
sottolineano più la presenza di vincoli, altre indicano invece scelte e priorità. Tra i
vincoli, il costo diretto dei figli è molto importante, soprattutto per chi ne ha già due. È
un po’ meno sentito da chi ne ha uno, ancora meno da chi non ne ha. Questa
motivazione certamente riflette l’esperienza diretta della donna. Allo stesso modo, il
timore di privare di risorse economiche i figli già nati cresce al crescere del numero di
figli.
Il lavoro femminile ha condizionato le scelte riproduttive soprattutto per il timore
che una (nuova) maternità avrebbe limitato le possibilità di realizzazione della donna al
di fuori della famiglia (in particolare per le donne senza figli). Le differenze rispetto al
lavoro come fonte di reddito indispensabile non sono in realtà molto elevate, e dunque il
dilemma lavoro-fecondità si manifesta in tutte e due le sue dimensioni: come
espressione di una preferenza, di una scelta, da un lato, e come vincolo, dall’altro.
Ma tra le valutazioni di costi e benefici, quella che sembra dominare è la
preoccupazione che un (altro) figlio costringa a rinunciare “a molte cose”, senza
differenze tra donne con diverso numero di figli. I figli dunque entrano in concorrenza
con altre scelte ad ogni ordine di parità. Probabilmente il paniere di scelte alternative
cambia in funzione del numero di figli già nati, ma l’aver lasciato ad una valutazione
soggettiva l’individuazione delle “cose importanti” non permette di fare distinzioni
ulteriori.
Con la motivazione “Con un figlio in più avremmo seguito male sia il nuovo nato
sia i figli che avevamo già” si vuole esplorare l’importanza della qualità della relazione
con i figli, e quanto questa possa essere messa in discussione se i figli sono numerosi.
Effettivamente, questa motivazione ha raccolto gran parte dei consensi, soprattutto tra le
donne con due figli. Anche per le donne senza figli, la rinuncia alla maternità dipende
fortemente dalla consapevolezza di non avere il tempo per instaurare una relazione di
qualità.
I vincoli dati dall’età sono poco importanti tra le donne senza figli, mentre crescono
all’aumentare del numero di figli; tra chi è già genitore pesano anche le esperienze
precedenti, se sono state faticose.
Infine, la debolezza della relazione di coppia è uno dei vincoli principali che hanno
condizionato le scelte riproduttive delle donne senza figli: quasi il 20% delle donne
infeconde che sono state in coppia riportano la separazione come motivo dell’essere
senza figli.
4
In conclusione: la scelta di non avere figli dipende da alcune priorità (importanza
della realizzazione personale tramite il lavoro, timore che la maternità costringa a
rinunciare ad altre cose importanti) e da alcuni vincoli (mancanza di tempo da dedicare
al figlio, e debolezza della relazione di coppia), ma sembra essere largamente
indipendente da vincoli di natura economica. La scelta di non superare i due figli
dipende certamente dai costi, ma anche dall’impressione che una famiglia più numerosa
sottragga risorse, non solo economiche, ai figli, e si ponga in alternativa ad altre
opportunità ed esperienze; viene percepito anche un vincolo legato all’età. La scelta del
figlio unico si colloca in una situazione intermedia: pesano ancora i costi, ma
specialmente la preoccupazione di dover rinunciare ad altre cose e di non riuscire a
seguire bene i figli.
3. …e possibilità. Quanto la fecondità raggiunta è espressione di una scelta, è
realizzazione di un desiderio, e quanto, invece, nasconde una rinuncia a un (altro)
figlio? Se ci fossero state circostanze diverse, se l’intervento pubblico avesse dato forme
di sostegno molto più incisive, le coppie avrebbero avuto un bambino in più? E tra le
motivazioni indicate, ve ne sono alcune che sarebbero state superate con un sostegno
adeguato da parte dello Stato? Rispondiamo a queste domande osservando le reazioni
(ipotetiche) delle donne di fronte a diverse proposte di intervento pubblico (fig. 2)8.
[figura 2 circa qui]
Le donne senza figli sono quelle più difficili da smuovere dalla loro scelta, mentre
quelle con un solo figlio sarebbero le più disposte ad averne un altro. Le donne con due
figli si discostano un po’ da quelle con un figlio solo. Tra gli interventi proposti quello
che sembra riscuotere maggior successo è il congedo parentale, seguito – alla pari – da
alti assegni familiari fino all’adolescenza e da servizi scolastici a costi molto bassi, con
ampia disponibilità di orario, adattabile alle esigenze familiari. In ultima posizione sono
gli assegni familiari molto consistenti, limitati però ai primi tre anni di vita del bambino.
L’ordine di preferenza non varia in funzione del numero di bambini avuti.
Questi risultati permettono di proporre alcune prime considerazioni. La preferenza
per il congedo sottolinea come sia forte la preoccupazione di conciliare il lavoro con la
cura dei figli. La proposta è certamente allettante: permette di assentarsi dal lavoro per
tre anni, conservando reddito e posizione9. Risponde quindi all’esigenza del lavoro
8
Si riportano in modo esteso i quesiti: “Se lo Stato avesse versato un assegno familiare molto alto (ad
esempio 750 euro al mese), dal momento della nascita fino al terzo compleanno, avrebbe voluto avere un
(altro) figlio?”; “Se lei o suo marito aveste potuto stare a casa per tre anni dal lavoro, conservando il
vostro reddito e con la certezza di poter riprendere a lavorare, avrebbe voluto avere un (altro) figlio?”;
“Se lo Stato avesse versato un alto assegno familiare (ad esempio 250 euro al mese), dal momento della
nascita di un figlio fino ai suoi 16 anni, avrebbe voluto avere un (altro) figlio?”; “Se gli asili nido e le
scuole materne, elementari e medie fossero state disponibili a costi molto bassi, a tempo pieno e flessibile,
lei avrebbe voluto avere un (altro) figlio?”. A tutte le domande le possibilità di risposta erano le seguenti:
Certamente no, Penso di no, Penso di sì, Certamente sì. Nelle figure del testo si riporta la somma di chi
risponde Certamente sì e Penso di sì. Una presentazione dei risultati differenziati nelle cinque città si può
trovare in Dalla Zuanna e Salvini (2003) per le madri di 1 o 2 figli, e in Tanturri e Mencarini (2003), per
l’insieme delle donne senza figli. De Santis e Breschi (2003) cercano di stimare il numero di figli ipotetici
aggiuntivi sulla base delle risposte date dalle madri.
9
La legislazione italiana attuale in questa materia è tra le più avanzate all’interno dell’Europa, definita
“all’avanguardia” nell’intervento di Brollo e Filì in questo volume. In questo contesto, il grado di
adesione al congedo parentale proposto nel questionario sembra suggerire che la legislazione italiana si
sta muovendo nella giusta direzione. Uno degli aspetti problematici di ogni legge di tutela della maternità
riguarda le ricadute discriminatorie nella partecipazione effettiva della donna nel mercato del lavoro.
5
come fonte di reddito, e non compromette la carriera lavorativa – salvo il fatto di
interromperla provvisoriamente. Nello stesso tempo permette di dedicarsi per tre anni
completamente al bambino. Anche la disponibilità di servizi a basso costo, tempo pieno
e orario flessibile permette di conciliare il tempo del lavoro con la cura dei figli.
Tuttavia, il fatto che il congedo abbia ottenuto una percentuale di preferenze più alta di
quella raccolta dai servizi sottolinea come la difficoltà di conciliare lavoro e maternità
non si traduce solo in un problema organizzativo, ma riguarda anche la quantità di
tempo da poter dedicare ai figli: secondo le mamme italiane, la costruzione di una
relazione con loro non può essere delegata a nessuno10.
La preferenza verso un assegno distribuito fino ai 16 anni piuttosto che un
contributo molto più elevato per un periodo limitato della crescita potrebbe da un lato
essere frutto dell’esperienza maturata dalle madri di figli quattordicenni (i figli costano,
non solo nei primi tre anni di vita), dall’altro dal fatto che l’impatto di un nuovo nato sul
bilancio familiare è per gran parte delle madri intervistate un’esperienza ormai lontana e
superata. Tuttavia, l’intervento è preferito anche dalle donne senza figli. Ciò sembra
piuttosto sottolineare quanto sia ritenuta importante e seria la scelta di avere un figlio.
Non è una scelta di un momento, non si tratta di affrontare un’emergenza temporanea; si
tratta di assumere un impegno che dura nel tempo, che non si esaurisce dopo la prima
infanzia.
Per capire quanto la decisione di non avere (altri) figli sia espressione di una scelta
o di una costrizione, mettiamo in relazione le motivazioni indicate dalle donne con la
loro reazione di fronte alle proposte di intervento pubblico. Scegliamo cinque
motivazioni, una per ogni chiave teorica proposta. Nella figura 3 si riporta la
percentuale di donne che avrebbero avuto un figlio se fosse stato attuato uno specifico
intervento, calcolata sulle donne senza figli che hanno indicato una specifica
motivazione.
[figura 3 circa qui]
Tra le donne senza figli, che – lo ricordiamo – sono le più ferme sulla loro scelta
riproduttiva, alcune condizioni sono vincolanti: la debolezza del rapporto di coppia, e il
sentirsi troppo avanti negli anni costituiscono delle costrizioni che non potevano essere
rimosse. Viceversa, le poche donne che hanno rinunciato a diventare madri in
previsione dei costi elevati avrebbero modificato più facilmente la propria scelta se
fosse stata sostenuta da un intervento pubblico, e in misura un po’ inferiore anche le
donne che ritenevano il lavoro importante per la propria realizzazione. Gli interventi di
maggior successo sono il congedo e i servizi. Il congedo, in particolare, poteva spingere
anche le donne che erano preoccupate di non avere abbastanza tempo per seguire bene i
Nella proposta del questionario non si fa riferimento a questo aspetto, anche se l’espressione “con la
certezza di poter riprendere a lavorare” lascia intendere, probabilmente, che questo problema è superato.
Le donne intervistate, comunque, hanno messo al mondo i figli quando la legge era circoscritta solo ad
alcune categorie di lavoratrici, era ristretta a un periodo limitato di vita del bambino, ed era rivolta
esclusivamente alle madri e non ai padri.
10
Un altro modo per conciliare il lavoro con la famiglia è il ricorso al part-time. Questa prospettiva non è
stata presentata alle donne intervistate, così non siamo in grado di verificare il grado di adesione che
avrebbe potuto raccogliere. Avremmo potuto vedere attraverso i modelli quali motivazioni alla rinuncia a
un figlio in più erano sostenute dalle donne che hanno scelto il part-time in qualche momento della loro
vita lavorativa. Tuttavia, le analisi di Mencarini e Tanturri (in questo volume) mostrano che le donne che
hanno avuto una riduzione di orario di lavoro dopo la nascita dei figli hanno una minore propensione ad
avere un altro figlio. Sembra dunque prevalere il vincolo della diminuzione del reddito, piuttosto che la
risorsa del tempo liberato.
6
figli a modificare la loro scelta. Ancora una volta, gli interventi più apprezzati sembrano
essere quelli che non solo liberano tempo, ma permettono di utilizzarlo per costruire una
relazione di qualità con il figlio.
Come già detto, le madri di un figlio unico sembrano le più disponibili a rivedere la
scelta. Le stesse condizioni che erano risultate vincolanti per le donne senza figli, sono
ora meno stringenti (fig. 4). Anche la sensazione di “vecchiaia”, se sostenuta
adeguatamente dal congedo o dai servizi (molto meno efficaci gli assegni) poteva essere
superata. La debolezza della coppia sembra riflettere più una fatica di fondo (o una
situazione determinatasi ex-post?) che una situazione di effettiva rottura, visto che di
fronte a tutti gli interventi si nota una certa disponibilità a ripensare alla propria scelta.
Come per le donne senza figli, il costo è il vincolo che più facilmente poteva essere
rimosso dalla mano pubblica (con un discreto apprezzamento anche degli assegni
familiari), e chi ha rinunciato al figlio perché in concorrenza con un lavoro importante
nella vita della donna avrebbe forse fatto una scelta diversa di fronte a una possibilità di
congedo molto generosa. Ancora una volta è più difficile andare incontro alla
preoccupazione di non riuscire a seguire bene i figli e il congedo è l’intervento che
sembra rispondere meglio a questa difficoltà.
[figura 4 circa qui]
L’osservazione della figura 5 offre un quadro diverso per le madri con due figli: la
disponibilità a rivedere le proprie scelte non sembra dipendere dalla motivazione
indicata. Questa stabilità suggerisce che un numero di figli pari a due è espressione di
una scelta piuttosto che il risultato di una costrizione. Sembra una scelta di fondo, che
coincide, non casualmente, con il numero di figli indicato come ideale da gran parte
delle donne nelle indagini italiane ed europee. Certamente una scelta giustificata anche
da vincoli e priorità, come emerso dai risultati relativi alle motivazioni, ma non il
risultato di una rinuncia11.
[figura 5 circa qui]
4. Le motivazioni per la rinuncia a un figlio: le caratteristiche delle donne e
delle coppie. Le analisi finora presentate sembrano mettere in evidenza che le scelte
delle coppie – rilevate attraverso quanto dichiarato dalle donne – sono espressione di
valori, come la qualità della relazione con i figli o l’importanza del lavoro per la
realizzazione personale, e di vincoli, intesi come limitazioni alle possibilità di scelta,
come per esempio le difficoltà di conciliare lavoro e famiglia, i costi, la debolezza della
relazione di coppia, l’età. In questo paragrafo vogliamo capire meglio le caratteristiche
di chi esprime quattro diverse motivazioni, riferite a ipotesi esplicative diverse. Con
riferimento alla dimensione economica consideriamo il costo dei figli (come vincolo
economico in senso stretto) e l’importanza del lavoro per la realizzazione personale
(come espressione di una priorità quale la valorizzazione delle proprie risorse); con
riferimento alla lettura della seconda transizione demografica consideriamo il timore di
non riuscire a seguire bene i figli (come indicatore del valore dei figli); tra i vincoli,
infine, consideriamo la solidità della relazione di coppia. Il sistema di genere è
11
Anche l’analisi di Ongaro e Salvini (2003) sulla probabilità di avere il secondo e il terzo figlio,
condotta sugli stessi dati, suggerisce che “almeno fino al 2° figlio, il lavoro è una irrinunciabile fonte di
reddito familiare” e che “la scelta del 3° figlio appare maggiormente influenzata da aspetti valoriali
piuttosto che economici” (pp. 162-163).
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considerato tra le variabili che possono contribuire a formare i diversi motivi che
portano a rinunciare ai figli.
La motivazione che fa riferimento alla preoccupazione per il costo dei figli viene
indicata da chi manifesta, sotto diversi aspetti, la presenza di difficoltà economiche
(tab.1). Si tratta di coppie con basso titolo di studio, che provengono da famiglie di
classe sociale medio-bassa, con una situazione economica non favorevole, in cui la
donna contribuisce poco al reddito della famiglia. Sono coppie in cui il marito aumenta
il proprio carico di lavoro (peraltro già alto) dopo la nascita dei figli, a causa,
evidentemente, della necessità di aumentare il reddito familiare. Oppure coppie in cui il
padre si occupa dei figli: questo risultato, che mette in evidenza una condivisione dei
ruoli parentali, può indicare ancora una volta una necessità: non basta un solo stipendio,
la donna deve andare a lavorare e dunque anche il padre deve prendersi cura dei figli. Il
timore dei costi viene indicato anche dalle donne che provengono da una famiglia
numerosa: è possibile che durante la loro crescita abbiano maturato la percezione di un
costo più elevato delle famiglie numerose. Risulta meno facilmente interpretabile
l’effetto della pratica religiosa tra le madri di due figli di Messina.
[tabella 1 circa qui]
Le variabili riconducibili alle costrizioni economiche sono del tutto assenti quando
si analizza l’importanza del lavoro come ambito di realizzazione e soddisfazione
personale (tab.2). È un risultato interessante, perché sta a indicare che, contrariamente a
quanto si pensa di solito, tutte le donne, anche quelle con qualifiche più basse, ritengono
importante il lavoro. La conciliazione dell’impegno lavorativo con la cura della famiglia
è dunque un problema condiviso da tutti, e va affrontato tenendo conto delle esigenze di
tutte le categorie professionali.
Coerentemente con l’interesse espresso per il lavoro, si individuano gruppi di donne
che hanno scelto di privilegiare l’attività professionale: sono le donne senza figli che
hanno poco tempo libero, le donne con due figli che hanno sempre lavorato, e le madri
di Messina che sono consapevoli del loro ruolo centrale nella determinazione del reddito
familiare (donne che hanno sempre lavorato, che hanno sollevato la situazione
economica della famiglia, il cui marito non occupa lo stesso ruolo).
Gli altri fattori che risultano associati alla motivazione dell’importanza del lavoro
mettono in evidenza aspetti diversi. L’importanza del lavoro è indicata dalle coppie in
cui è maggiore la condivisione nella cura della casa (anche se il risultato è opposto a
quello relativo alla cura del figlio per le madri di un bambino): in questo caso la parità
del sistema di genere privato porta a privilegiare il lavoro rispetto alla scelta di avere un
primo o un secondo figlio. Ancora: il lavoro è sentito come opportunità per realizzare
forme di mobilità sociale ascendente.
[tabella 2 circa qui]
Esaminiamo ora le caratteristiche di chi ritiene di non avere abbastanza tempo per
seguire bene il figlio o comunque ritiene che con un nuovo nato non avrebbe potuto
dedicarsi al meglio ai figli già presenti (tab.3). Nelle famiglie con due figli esistono dei
vincoli economici in senso stretto, non tanto tra chi gode di risorse limitate, quanto tra
chi ha visto un peggioramento della propria condizione in corrispondenza della nascita
dei figli precedenti. Inoltre, in tutte le famiglie in cui almeno uno dei due genitori
proviene da una classe sociale medio-bassa è evidente il desiderio di non sottrarre
risorse ai figli, e di offrire loro tutte le opportunità per accrescere il proprio capitale
8
umano. La consapevolezza di avere poco tempo libero è – come era facile attendersi –
un ostacolo alla cura dei figli, come pure, per le madri di due figli del centro nord, il
fatto di non poter contare sulla collaborazione del marito né per la cura della casa, né
per quella della prole. La mancanza di una condivisione dei ruoli all’interno della
coppia mostra invece un effetto opposto tra le donne con un figlio e tra le meridionali
con due figli. Questo risultato potrebbe trovare una duplice giustificazione: da un lato si
potrebbe trattare di coppie in cui la parità di genere si traduce nella partecipazione al
lavoro di entrambi i coniugi (come in tab.2 per le donne con un figlio), piuttosto che in
un aumento della dimensione della famiglia, dall’altro di coppie in cui la più elevata
collaborazione del marito dipende da più pesanti esigenze economiche che costringono
anche la donna a lavorare. Il vincolo del poco tempo libero è espressamente indicato
dalle donne senza figli e dalle meridionali con due figli. E la mancanza di tempo è
probabilmente anche il motivo per cui le donne che hanno sempre lavorato temono di
non riuscire a seguire bene i figli nell’eventualità di un nuovo nato. Il fatto, invece, che
questa motivazione sia stata indicata anche da coppie con alto titolo di studio (al netto
delle altre variabili) suggerisce che esse abbiano delle elevate aspettative nei confronti
del figlio e della relazione con lui, in coerenza con la lettura della seconda transizione
demografica, che inserisce l’esperienza della maternità e della paternità tra i valori postmoderni. Infine, richiamiamo l’attenzione sugli effetti della socializzazione nella
famiglia d’origine. Le coppie che provengono da famiglie numerose indicano con
minore probabilità questa tra le motivazioni alla rinuncia a un figlio (in più): nella loro
esperienza, probabilmente, avere avuto tanti fratelli non ha portato alla percezione di
una sottrazione di risorse e attenzioni da parte dei genitori; viceversa, le donne che
lavorano e la cui madre aveva lavorato potrebbero avere maturato maggiormente la
percezione di vincoli nella disponibilità di tempo. L’effetto della pratica religiosa
sembra suggerire che questa motivazione è più forte tra coppie meno ancorate alla
tradizione, più secolarizzate, in linea con la lettura della seconda transizione
demografica. Per inciso, anche la dimensione della famiglia di origine potrebbe essere
un indicatore di famiglie più o meno tradizionali.
[tabella 3 circa qui]
La motivazione della fragilità della coppia viene associata a fattori che riflettono
possibili situazioni di conflitto (tab.4). Essa è indicata da chi ha vissuto dei momenti di
difficoltà economica, che probabilmente hanno creato delle tensioni all’interno della
relazione. Inoltre, se i coniugi hanno titolo di studio diverso o provengono da famiglie
di diversa estrazione culturale, se la donna è sempre stata impegnata nel lavoro e
proviene da una famiglia in cui la madre ha sempre lavorato, se ha sempre contribuito al
reddito familiare, se il marito si occupa poco dei figli, è molto occupato nel versante
lavorativo e è stato protagonista di un salto di classe sociale molto elevato, se non c’è
una condivisione tra i coniugi nell’adesione alla religione, in tutte queste circostanze
viene percepita una maggiore debolezza della relazione di coppia. Ciò accade sovente
anche nelle coppie poco praticanti e provenienti da famiglie di piccole dimensioni, che
probabilmente si rifanno a modelli familiari meno tradizionali.
[tabella 4 circa qui]
5. Conclusioni. Nelle realtà urbane in Italia, c’è spazio per interventi a sostegno delle
nascite? Quali interventi potrebbero andare incontro ai desideri e alle aspirazioni delle
9
coppie? Proviamo a sintetizzare i risultati delle nostre analisi cercando di rispondere a
queste domande.
Cominciamo dalle coppie che hanno già due figli, e confrontiamo le donne che
hanno espresso diverse motivazioni alla scelta di non avere il terzo. Tra di esse, la
proporzione che avrebbe potuto riconsiderare la propria decisione sul numero di figli
(nell’ipotesi che fossero stati disponibili interventi molto generosi da parte dello Stato)
è molto stabile, non varia, cioè, in funzione delle motivazioni indicate. Questo fatto
suggerisce che la scelta di avere due figli è in realtà determinata “a priori”. È una scelta
dalla quale è anche possibile scostarsi (il 30-40% dichiara che a fronte di generosi
interventi forse avrebbe voluto avere un altro figlio), ma non perché si superano
problemi legati al basso reddito, o alla difficoltà di seguire bene i propri figli, o al fatto
di sentirsi troppo avanti negli anni. I due figli sembrano più il risultato di una scelta che
di una costrizione. Ciò sarebbe coerente anche con le fonti che indicano percentuali
basse di donne con due figli, che hanno intenzione di averne ancora12.
Tra le donne che hanno fatto esperienza di coppia ma non hanno avuto figli, la
proporzione di coloro che poteva modificare il proprio comportamento di fronte a
interventi pubblici è molto bassa. Mediamente essa oscilla tra il 10 e il 20%. Tuttavia,
vi sono profonde differenze a seconda delle motivazioni che hanno concorso alla
scelta. Da un lato si sono presentate alcune situazioni che hanno reso di fatto
impossibile la maternità: l’età avanzata all’inizio dell’unione (motivazione indicata dal
13% delle donne), e la debolezza della relazione di coppia (35%). Pochissime tra
queste donne avrebbero preso in considerazione la possibilità di avere un bambino,
anche di fronte a interventi generosi da parte dello Stato. Dall’altro lato, alcune
condizioni sono state sì di ostacolo, ma non è escluso che, con un adeguato sostegno, le
scelte non potessero essere diverse (ad esempio, le poche donne che sentono il peso del
costo dei figli avrebbero rivisto la loro scelta in proporzioni che variano tra il 40 e il
60%).
Le donne con un solo figlio sono quelle che più di tutte avrebbero potuto
modificare la scelta fatta. Anche in questo caso le diverse motivazioni alla rinuncia
sono associate con una maggiore o minore “disponibilità” al secondo figlio. Come per
le donne senza figli, la sensazione di essere troppo vecchie non può essere superata con
ricchi assegni familiari. Meno stringente sembra invece la crisi dei legami di coppia: è
probabile che essa indichi un non completo affiatamento più che una vera e propria
situazione di crisi. Ancora una volta, le donne che percepiscono fortemente i vincoli
economici sono quelle che più facilmente avrebbero reagito positivamente a interventi
di sostegno della maternità.
In conclusione, le coppie con un figlio solo potrebbero essere quelle più “sensibili”
a interventi di sostegno alla fecondità, seguite a distanza dalle donne con due figli
(qualunque sia la motivazione della loro scelta) e in parte dalle donne che non hanno
avuto figli a causa soprattutto di vincoli di natura economica o della difficoltà di
conciliare il lavoro con la famiglia. Riflettiamo ancora sulle circostanze che
concorrono a definire le scelte riproduttive e sulle possibilità di intervento.
Gli ostacoli economici sono sentiti soprattutto dalle donne di classe sociale mediobassa, che sanno di dover lavorare e con il marito che ha dovuto aumentare l’impegno
lavorativo. Tutti gli ambiti di intervento proposti potrebbero essere utili per alleggerire
questo vincolo. Si tratta di un elemento di costrizione, che, se allentato, potrebbe
12
I dati dell’Indagine Nazionale sulla Fecondità condotta in Italia nel 1996 indicano che l’86%
delle donne di 20-49 anni con due figli non intende avere il terzo (De Sandre et al. 1997).
10
permettere a molte coppie (con un figlio ma anche senza figli) di realizzare delle scelte
riproduttive diverse.
Il desiderio di non rinunciare al proprio lavoro non è inconciliabile con la famiglia,
tanto che più del 50% delle donne con un figlio avrebbe ripensato alla possibilità di
averne un altro, soprattutto grazie agli interventi che da un lato permettono di dedicare
del tempo ai figli e dall’altro tutelano la posizione lavorativa (di fronte a questa
prospettiva la percentuale sale al 68%, e al 41% tra le donne senza figli). È importante
osservare che questa aspirazione non dipende dalla classe sociale della coppia, ma è
comune a tutte le donne. Anche chi svolge mansioni apparentemente più modeste
ritiene importante il proprio lavoro non solo come fonte di guadagno, e desidera
migliorarlo.
I vincoli sulle risorse materiali entrano in gioco anche nel determinare il timore di
non riuscire a seguire bene i figli. Se le risorse sono limitate, è evidente che non è
possibile offrire a molti figli molte opportunità. Ma la preoccupazione non riguarda
solo questo aspetto. È sentita maggiormente da chi ha poco tempo libero, ha sempre
lavorato, sente che il lavoro sottrae tempo al rapporto con i figli, vorrebbe più
collaborazione da parte del marito nella gestione quotidiana della casa. È più sentita
dalle coppie in cui entrambi i coniugi hanno un titolo di studio alto, che hanno
un’aspettativa elevata nei confronti della qualità del rapporto con i figli. Non è facile
proporre interventi che aiutino le coppie a realizzare questo loro irrinunciabile
obiettivo. Infatti, le donne che indicano questo tra i motivi della rinuncia a un figlio (in
più) avrebbero ripensato alle proprie scelte in proporzione minore rispetto a quello che
accade per altre motivazioni. L’intervento che ha più successo riguarda ancora una
volta i lunghi congedi parentali, sia per le donne senza figli, sia per le madri di un
figlio unico. È una ulteriore conferma di quanto sia importante la possibilità di
instaurare con i figli una relazione vera, di qualità. I problemi non sono solo
organizzativi, non si tratta solo di disporre di servizi a cui affidare i figli. Secondo le
donne da noi intervistate, la relazione con i figli può essere costruita solo dai genitori.
È importante dunque offrire aiuti che liberino tempo, energia, risorse per stare con i
figli.
Riferimenti bibliografici
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urbane, in M. Breschi, M. Livi Bacci (a cura di), La bassa fecondità italiana tra
costrizioni economiche e cambio di valori. Presentazione delle indagini e risultati,
Forum, Udine, 77-106.
P. De Sandre, F. Ongaro, R. Rettaroli, S. Salvini 1997, Matrimonio e figli: tra rinvio e
rinuncia, il Mulino, Bologna.
G. De Santis, M. Breschi 2003, Fecondità, costrizioni economiche e interventi politici,
in M. Breschi, M. Livi Bacci (a cura di), La bassa fecondità italiana tra costrizioni
economiche e cambio di valori. Presentazione delle indagini e risultati, Forum, Udine,
189-210.
P. Mc Donald 2000, Gender equity in theories of fertility transition, «Population and
Development Review», 26, 3, 427-439.
F. Ongaro, S. Salvini 2003, Variazioni lavorative e passaggi di parità, in M. Breschi,
M. Livi Bacci (a cura di), La bassa fecondità italiana tra costrizioni economiche e
cambio di valori. Presentazione delle indagini e risultati, Forum, Udine, 151-168.
11
G. Rivellini, S. Zaccarin 1999, Comportamenti riproduttivi: biografie individuali e
contesto in un’ottica multilevel, in P. De Sandre, A. Pinnelli, A. Santini (a cura di),
Nuzialità e fecondità in trasformazione: percorse e fattori del cambiamento, il Mulino,
Bologna, 651-665.
C. Rampichini, S. Salvini 2001, A dynamic study of the work-fertility relationship in
Italy, «Statistica», Anno LXI, 3, 386-405.
M.L. Tanturri, L. Mencarini 2003, Il mistero della donna senza figli: I risulatati di
un’indagine ad hoc, in M. Breschi, M. Livi Bacci (a cura di), La bassa fecondità
italiana tra costrizioni economiche e cambio di valori. Presentazione delle indagini e
risultati, Forum, Udine, 107-126.
12
Tab. 1. Fattori associati alla motivazione “Era troppo costoso avere un altro figlio”.
Risultati di modelli logistici espressi attraverso il rischio relativo. Donne senza figli,
con un figlio, con due figli di Udine, Padova, Firenze, Pesaro, con due figli di Messina
Donne con
0 figli
1 figlio
2 figli
2 figli
C/N
Messina
NECESSITÀ ECONOMICHE
Titolo di studio di donna e marito
entrambi basso
2.89***
3.06***
3.75***
donna alto, marito basso
2.76***
2.46***
donna basso, marito alto
2.89***
1.65***
4.49***
entrambi alto
1.00
1.00
1.00
Titolo di studio dei padri
entrambi medio-basso
5.03**
entrambi alto
1.00
Situazione economica della famiglia
non buona o peggiorata
2.23**
4.12***
sempre buona o migliorata
1.00
1.00
Contributo donna al bilancio familiare
sempre nullo o scarso
0.32*
1.56***
buono poi peggiorato
1.53***
1.85*
sempre buono
1.00
1.00
1.00
Carico di lavoro del marito
sempre scarso o calato
0.57**
alto e aumentato un po’
0.76*
alto e aumentato molto
1.00
1.00
Cure del marito al figlio
scarse
0.68*
0.65**
buone
1.00
1.00
CARATTERISTICHE INDIVIDUALI
Dimensione della famiglia di origine
donna 3 figli o più, marito 1 o 2
2.75*
entrambi 1 o 2 figli
1.00
Pratica religiosa di donna e marito
donna alta, marito bassa
1.60**
entrambi bassa
1.00
*** p <0,01
** 0,01< p <0,05 * 0,05< p <0,1
Nota: I modelli logistici sono stati calcolati includendo anche altri parametri, non presentati in questa
sede: l’intercetta, più la città e l’età al matrimonio, o – alternativamente – alla nascita del primo o del
secondo figlio, come variabili di controllo.
13
Tab. 2. Fattori associati alla motivazione “Con un altro figlio, avrei dovuto rinunciare
a lavorare o a migliorare il mio lavoro, e per me il lavoro è importante, non solo dal
punto di vista economico”. Risultati di modelli logistici espressi attraverso il rischio
relativo. Donne senza figli, con un figlio, con due figli di Udine, Padova, Firenze,
Pesaro, con due figli di Messina
Donne con
0 figli
1 figlio
2 figli
2 figli
C/N
Messina
COERENZA TRA MOTIVAZIONE E COMPORTAMENTO
Tempo libero della donna
poco
2.05**
molto, poi calato
--0.75**
costante
1.00
1.00
Lavoro della donna
mai o discontinuo
0.44***
0.23***
sempre
1.00
1.00
Situazione economica della famiglia
scarsa e poi migliorata
2.06**
sempre buona o migliorata
1.00
Carico di lavoro del marito
sempre alto o calato
1.58*
alto e aumentato molto
1.00
CONDIVISIONE DEI RUOLI E EQUILIBRIO DI GENERE
Lavoro domestico del marito
peggiorato
0.53**
0.62*
migliorato
1.00
1.00
Cure del marito al figlio
scarse
1.56*
buone
1.00
COSTI / OPPORTUNITÀ
Titolo di studio dei padri
donna alto, marito medio-basso
1.99*
donna medio-basso, marito alto
0.66*
2.26**
entrambi alto
1.00
1.00
Mobilità sociale del marito
ascendente debole
0.71**
ascendente forte
1.00
*** p <0,01
** 0,01< p <0,05 * 0,05< p <0,1
Nota: I modelli logistici sono stati calcolati includendo anche altri parametri, non presentati in questa
sede: l’intercetta, più la città e l’età al matrimonio, o – alternativamente – alla nascita del primo o del
secondo figlio, come variabili di controllo.
14
Tab. 3. Fattori associati alla motivazione “Con un figlio in più, avremmo seguito male
sia il nuovo nato sia i figli che avevamo già”. Risultati di modelli logistici espressi
attraverso il rischio relativo. Donne senza figli, con un figlio, con due figli di Udine,
Padova, Firenze, Pesaro, con due figli di Messina
Donne con
0 figli
1 figlio
2 figli
2 figli
N/C
Messina
NECESSITÀ ECONOMICHE
Contributo donna al bilancio familiare
sempre nullo o scarso
0.76*
buono poi peggiorato
1.45**
sempre buono
1.00
Situazione economica della famiglia
buona poi peggiorata
1.54*
sempre buona o migliorata
1.00
Titolo di studio dei padri
entrambi basso
2.60*
1.64**
entrambi medio-basso
2.05***
donna alto, marito medio-basso
2.38***
donna medio-basso, marito alto
1.48*
entrambi alto
1.00
1.00
1.00
1.00
CONDIVISIONE DEI RUOLI E EQUILIBRIO DI GENERE
Cure del marito al figlio
scarse
1.44***
buone
1.00
Lavoro domestico del marito
peggiorato
0.70*
migliorato
1.00
scarso e peggiorato
1.38*
0.60**
sempre buono o peggiorato
1.55***
buono e migliorato
1.00
1.00
TEMPO E QUALITÀ DELLA RELAZIONE
Tempo libero della donna
molto, poi calato
1.67*
poco, poi calato
2.14**
1.73*
costante
1.00
1.00
Lavoro della donna
mai o discontinuo
0.65*
0.62***
0.51***
sempre
1.00
1.00
1.00
Titolo di studio di donna e marito
entrambi basso
0.31**
0.73**
entrambi alto
1.00
1.00
CARATTERISTICHE INDIVIDUALI
Dimensione della famiglia di origine
entrambi 3 figli o più
0.65*
0.61**
entrambi 1 o 2 figli
1.00
1.00
Lavoro della donna e della madre
almeno una non sempre
0.77**
entrambe sempre
1.00
15
Pratica religiosa di donna e marito
entrambi alta
entrambi bassa
0.58**
1.00
*** p <0,01
** 0,01< p <0,05 * 0,05< p <0,1
Nota: I modelli logistici sono stati calcolati includendo anche altri parametri, non presentati in questa
sede: l’intercetta, più la città e l’età al matrimonio, o – alternativamente – alla nascita del primo o del
secondo figlio, come variabili di controllo.
Tab. 4. Fattori associati alla motivazione “La nostra coppia non era così forte per
poter pensare di avere un altro figlio”. Risultati di modelli logistici espressi attraverso
il rischio relativo. Donne senza figli, con un figlio, con due figli di Udine, Padova,
Firenze, Pesaro, con due figli di Messina
Donne con
0 figli
1 figlio
2 figli
2 figli
N/C
Messina
NECESSITÀ ECONOMICHE
Situazione economica della famiglia
non buona e peggiorata
1.59**
1.47**
2.29**
sempre buona e migliorata
1.00
1.00
1.00
COERENZA TRA MOTIVAZIONE E COMPORTAMENTO
Pratica religiosa di donna e marito
entrambi alta
0.35***
0.40**
donna alta, marito bassa
1.78**
entrambi bassa
1.00
1.00
1.00
CONDIVISIONE DEI RUOLI E EQUILIBRIO DI GENERE
Titolo di studio di donna e marito
donna alto, marito basso
4.75***
entrambi alto
1.00
Titolo di studio dei padri
donna medio-basso, marito alto
2.03**
2.75**
entrambi alto
1.00
1.00
Lavoro della donna
mai o discontinuo
0.63*
sempre
1.00
Lavoro della donna e della madre
almeno una non sempre
0.50**
entrambe sempre
1.00
Contributo donna al bilancio familiare
scarso poi migliorato
0.49**
sempre buono
1.00
Cure del marito al figlio
scarse
2.48***
1.41**
1.90*
buone
1.00
1.00
1.00
Carico di lavoro del marito
alto
1.99*
basso
1.00
Mobilità sociale del marito
discendente o stabile
0.23*
ascendente debole
0.21***
16
ascendente forte
CARATTERISTICHE INDIVIDUALI
Dimensione della famiglia di origine
entrambi 3 o più figli
entrambi 1 o 2 figli
1.00
0.61*
1.00
*** p <0,01
** 0,01< p <0,05 * 0,05< p <0,1
Nota: I modelli logistici sono stati calcolati includendo anche altri parametri, non presentati in questa
sede: l’intercetta, più la città e l’età al matrimonio, o – alternativamente – alla nascita del primo o del
secondo figlio, come variabili di controllo.
17
Fig.1. Proporzione di donne per le quali sono stati importanti vari motivi per non avere un (altro) figlio. Dati in percentuale
Era troppo costoso
No benessere economico figli
Mio lavoro indispensabile
Per me il lavoro è importante
Rinunciare a troppe cose
Avremmo seguito male i figli
Ci sentivamo troppo vecchi
Primi anni sono stati duri
La nostra coppia si è divisa
Nostra coppia non così forte
0
0 figli
1 figlio
5
10
2 figli
15
20
25
30
35
40
Fig.2. Proporzione di donne che dichiarano che avrebbero avuto un altro figlio se fossero stati
attuati alcuni interventi a sostegno delle famiglie con figli. Dati in percentuale
Scuole disponibili con
orario flessibile
Congedo per 3 anni e
stipendio pieno
Assegni familiari alti
fino a 16 anni
Assegni familiari molto
alti fino a 3 anni
0
0 figli
10
1 figlio
20
2 figli
30
40
50
60
Fig.3. Proporzione di donne senza figli che avrebbero avuto il primo se fossero stati attuati alcuni
interventi a sostegno delle famiglie con figli, per motivo per cui non hanno avuto figli. Dati in
percentuale
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
costo
seguire figli
lavoro importante
coppia debole
vecchiaia
Scuole disponibili con orario flessibile
Congedo per 3 anni e stipendio pieno
Assegni familiari alti fino a 16 anni
Assegni familiari molto alti fino a 3 anni
Fig.4. Proporzione di donne con un figlio che avrebbero avuto il secondo se fossero stati attuati
alcuni interventi a sostegno delle famiglie con figli, per motivo per cui non hanno avuto altri figli.
Dati in percentuale
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
costo
seguire figli
lavoro importante
coppia debole
vecchiaia
Scuole disponibili con orario flessibile
Congedo per 3 anni e stipendio pieno
Assegni familiari alti fino a 16 anni
Assegni familiari molto alti fino a 3 anni
Fig.5. Proporzione di donne con due figli che avrebbero avuto il terzo se fossero stati attuati alcuni
interventi a sostegno delle famiglie con figli, per motivo per cui non hanno avuto altri figli. Dati in
percentuale
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
costo
seguire figli
lavoro
importante
coppia debole
vecchiaia
Scuole disponibili con orario flessibile
Congedo per 3 anni e stipendio pieno
Assegni familiari alti fino a 16 anni
Assegni familiari molto alti fino a 3 anni