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Numero completo
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 167-168
INDICE
Editoriale
Editorial
M. Prearo ……..………………………………………………………….....
MONOGRAFIE
La vaccinazione in acquacoltura
Vaccination in aquaculture
ITTIOPATOLOGIA
Pubblicazione quadrimestrale
Rivista ufficiale della
Società Italiana di Patologia Ittica
Direttore responsabile:
Dott. Giuseppe Ceschia
Responsabile scientifico:
Dott. Marino Prearo
c/o Laboratorio Specialistico di
Ittiopatologia, Istituto Zooprofilattico
Sperimentale del Piemonte, Liguria e
Valle d’Aosta
Via Bologna, 148
10154 Torino
Tel.: 011-2686251
Fax: 011-2474458
E-mail: [email protected]
Comitato scientifico:
Prof.ssa Maria Letizia Fioravanti
Prof. Francesco Quaglio
Prof. Pietro Giorgio Tiscar
Segreteria S.I.P.I.:
Dott. Marino Prearo
Istituto Zooprofilattico Sperimentale
del Piemonte, Liguria e Valle
d’Aosta
Via Bologna, 148 – 10154 Torino
Tel.: 011-2686251
Fax: 011-2474458
E-mail: [email protected]
Autorizzazione:
Tribunale di Udine n° 10 del 27
marzo 1990
Codice ISSN:
ISSN 1824-0100
Tipografia:
Sistem Copy S.a.s.
Via Emilia, 47 – 40064 Ozzano
Emilia (BO)
M. Prearo .......................................................................................................
pag. 169
pag. 171
Osservazioni su un caso di Epiteliocisti in orate (Sparus
aurata) d’allevamento
Observations on a case of Epitheliocystis in cultured
gilthead seabream (Sparus aurata)
F. Agnetti, D. Sola, S. Salamida, F. Rogato, M. Latini, C. Ghittino ……….
pag. 187
Stato sanitario di una popolazione selvatica di siluri
(Silurus glanis) pescati nel tratto alessandrino del bacino
idrografico del fiume Po
Health status of a wild wels catfish (Silurus glanis)
populations in Po river basin (Alessandria Province,
Piedmont, North-western Italy)
I. Giorgi, M. Pascale, E. Pavoletti, P. Arsieni, S. Guarise, T. Scanzio,
G. Forneris, M. Prearo ...................................................................................
pag. 195
Valutazione della biodisponibilità di amoxicillina
microincapsulata e micronizzata a seguito di
somministrazione
orale
singola
nel
branzino
(Dicentrarchus labrax)
Bioavailability of microencapsulated and micronized
amoxicillin in seabass (Dicentrarchus labrax) after single
oral administration
A. Di Salvo, G. della Rocca, J. Malvisi ……………………………….....…
pag. 203
Parassitofauna di Scomber scombrus L. pescato nel Mar
Adriatico e Scomber japonicus Houttuyn d’importazione
The parasite fauna of Scomber scombrus L. caught off the
Adriatic Sea and of imported Scomber japonicus Houttuyn
G. Paladini, L. Tarsi, D. Minardi, M.L. Fioravanti …………………...……
pag. 211
Presenza di Photobacterium damselae subsp. damselae e
Photobacterium damselae subsp. piscicida in cefali del
fiume Magra (Italia)
Detection of Photobacterium damselae subsp. damselae and
Photobacterium damselae subsp. piscicida in mullet caught
in the Magra River (Italy)
L. Serracca, C. Ercolini, I. Rossini, R. Battistini, I. Giorgi, M. Prearo …….
pag. 221
Norme per gli autori
Instructions to authors
pag. 229
Foto di copertina:
Trota iridea (Oncorhynchus mykiss)
con emorragie muscolari, sulle
sierose e coaguli intraviscerali
dovuti ad incidente vaccinale.
Foto tratta da Prearo, 2009.
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ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 167-168
Referees:
Abete Maria Cesarina
Agnetti Francesco
Beraldo Paola
Bossù Teresa
Bovo Giuseppe
Bozzetta Elena
Caffara Monica
Ceschia Giuseppe
Ciulli Sara
Colorni Angelo
D’Amelio Stefano
Di Guardo Giovanni
Dörr Ambrosius Josef Martin
Elia Antonia Concetta
Figueras Antonio
Fioravanti Maria Letizia
Florio Daniela
Galeotti Marco
Galuppi Roberta
Ghittino Claudio
Gustinelli Andrea
Malvisi Josè
Manfrin Amedeo
Marcer Federica
Marino Giovanna
Mattiucci Simonetta
Merella Paolo
Mutinelli Franco
Quaglio Francesco
Regoli Francesco
Romalde Jesus Lopez
Rubini Silva
Salati Fulvio
Scapigliati Giuseppe
Tampieri Maria Paola
Tiscar Pietro Giorgio
Volpatti Donatella
Zaghini Anna
Zanoni Renato Giulio
168
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 169-170
Editoriale
Editorial
Marino Prearo
Segretario della Società Italiana di Patologia Ittica
______________________________
Cari soci,
anche per questa volta le due pagine che state per leggere sono nuovamente a mio
appannaggio, visto che le numerose richieste di aiuto si sono perse nel nulla.
Scherzi a parte, questa volta, invece di propinarvi la solita manfrina sulle difficoltà della
rivista, del povero responsabile scientifico, dei referees, ecc., mi sembra opportuno effettuare
una panoramica sui soci della Società Italiana di Patologia Ittica, andando a verificare come
si sia modificata la geografia societaria ed altre amenità simili.
Mi diverte molto giocare con i numeri e anche per questo motivo provo a tracciare una
mappa dei soci al 2009 con una sorta di censimento in chiave spiritosa (… spero!).
Innanzitutto, i soci attualmente “attivi”, cioè in pari o quasi con il pagamento delle quote
societarie sono 116, suddivisi in 75 soci, 39 socie e 2 asessuati (strutture pubbliche e
fondazioni).
Rispetto
all’ultimo
censimento societario pubblicato
2
(Ittiopatologia, 2005), le quote rosa
appaiono grossomodo le stesse, non
♀ = 39
riuscendo a superare il 33,6%; la
parte del leone quindi, nell’ambito
ittico è sempre maschile (non so se
♂ = 75
riuscite a cogliere il triplo senso ….).
La regione che presenta il numero
maggiore di soci è l’Emilia Romagna,
con 18, seguita dalla Sicilia con 13 e
dal Friuli Venezia Giulia con 12.
Fanalini di coda sono Lombardia,
Trentino Alto Adige e Toscana con 4,
Campania con 2 e Calabria con 1
socio. Ci sono ancora però delle
regioni in cui non riusciamo a fare proseliti: Valle d’Aosta, Liguria, Molise e Basilicata. In
compenso siamo riusciti a diffondere il nostro prodotto societario all’estero e precisamente
in Grecia, dove abbiamo un iscritto che imperterrito rimane affezionato a noi, qualunque
cosa succeda.
Andando a quantizzare il numero di soci per area geografica, nelle regioni del Nord
confluiscono 36 soci, pari al 31,1%; circa il 22% è di sesso femminile, mentre il 72% circa è
di sesso maschile (nell’area sono presenti anche i 2 soci “neutri”). Nell’area del Centro Italia
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ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 169-170
convergono 47 soci, pari al 40,5%; il rapporto femmine/maschi è molto bilanciato, con 21
socie (44,7%) e 26 soci (55,3%).
Nelle regioni del Sud invece, sono
iscritti solamente 14 soci (pari al
ISOLE = 18
12,1%) con solamente 2 presenze del
NORD = 36
gentil sesso (14,3%).
SUD = 14
Sicilia e Sardegna le ho volute
conteggiare separatamente dai tre
areali in quanto realtà produttive
CENTRO = 47
particolari: infatti in queste due
regioni si possono contare ben 18 soci
(15,5%), di cui 12 di sesso maschile
(66,7%) e 6 di sesso femminile
(33,3%).
Del caro socio internazionale ho già
dato i numeri, anche se resta da ribadire che in questo caso abbiamo un 100% di quote rosa.
Altre elucubrazioni sui nostri soci non mi sento di fare anche perché negli ultimi due anni
il quadro societario è in notevole mutazione, subentrando molte forze nuove che speriamo si
attestino e rimangano fedeli. Anche nella nostra società il precariato ha un grosso impatto,
ma proprio dalle forze giovani possiamo aspettarci un vigore nuovo per poter far vivere e
crescere la Società.
Il mio ultimo sforzo per questo ennesimo editoriale è un appello rivolto proprio ai giovani
iscritti che si incamminano nel difficile sentiero del lavoro: bisogna cercare di armarsi di
buona volontà, perseveranza e tenacia per poter andare fino in fondo …. e soprattutto cercare
di rimanere fedeli alla Società e scrivere degli articoli interessanti per dare vita alla nostra
povera Rivista.
Spero che vorrete scusare queste amenità e piccole sciocchezze che con questo editoriale
ho prodotto e con la promessa di trovare argomenti più seri e consoni per il futuro, vi rivolgo
un cordiale saluto
Il Segretario-Tesoriere
della S.I.P.I.
Marino Prearo
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ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 171-186
MONOGRAFIE
La vaccinazione in acquacoltura
Vaccination in aquaculture
Marino Prearo*
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta,
Via Bologna, 148 – 10154 Torino
______________________________
RIASSUNTO – La vaccinazione, in un sistema oculato di profilassi in acquacoltura, se ben supportata da una
gestione attenta e da una corretta prassi igienica, è una strategia vincente in quanto permette di ottenere un
prodotto ittico di alta qualità, ridurre l’impatto delle pratiche terapeutiche sull’ambiente e raggiungere una
produzione maggiormente redditizia.
Nel presente lavoro monografico vengono delineate le modalità di vaccinazione, con descrizione di alcune
possibili strategie, le tipologie di vaccino e i loro requisiti, i parametri che possono influenzare la risposta
immunitaria ed i sistemi di vaccinazione attualmente impiegati (immersione, iniezione e somministrazione
orale).
Infine, vengono trattate le tipologie di preparazioni vaccinali presenti in commercio sul territorio nazionale, con
una descrizione delle fasi di preparazione e produzione di un vaccino stabulogeno.
SUMMARY – In the context of an appropriate prophylactic system to be applied in aquaculture, the vaccination
represents an useful way to obtain a high quality fish production, to reduce the impact of therapeutic practices
on environment and to achieve a more profitable production, especially when well supported by careful
management and good hygiene practices,.
In this review the procedures for vaccination, with the description of some possible vaccination strategies, the
characteristics of different types of vaccines, the parameters which may influence the fish immune response and
the vaccination systems currently in use in aquaculture (immersion, injection and oral administration) are
outlined.
Finally, the types of vaccines authorized for aquaculture and commercialized in Italy are presented, together
with a description of the phases of preparation and production of a homologous vaccine.
Key words: Aquaculture; Vaccine; Vaccination.
______________________________
* Corresponding Author: c/o Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta,
Laboratorio Specialistico di Ittiopatologia, Via Bologna, 148 - 10154 Torino. Tel.: 011-2686251;
Fax: 011-2474458; E-mail: [email protected].
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INTRODUZIONE
Questa monografia prende spunto da alcune lezioni sul tema della vaccinazione svolte
negli ultimi due anni in scuole di specializzazione e in corsi di laurea presso alcune facoltà di
Medicina Veterinaria; non vuole essere una trattazione esaustiva sull’argomento, ma è una
raccolta di dati che possono risultare efficaci per comprendere l’importanza e l’utilità di tale
pratica in un’acquacoltura moderna, ecocompatibile e maggiormente remunerativa.
La vaccinazione è una pratica ancora relativamente poco utilizzata in Italia, a differenza
invece di quanto avviene in altri paesi europei, in cui l’acquacoltura rappresenta
un’importante fonte di reddito (come ad esempio la Norvegia).
E allora perché si deve vaccinare? La vaccinazione è utile nel controllo di patologie
estremamente gravi e ricorrenti: un esempio calzante lo possiamo trovare direttamente in
Italia, con la campagna vaccinale effettuata dagli allevatori e dalle associazioni di settore,
con l’aiuto di alcuni ricercatori e della rete degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali, contro
la lattococcosi (Ghittino et al., 1995a; 1997; 1999; 2002; Prearo, 2003; Prearo et al., 2004b;
Manfrin et al., 2006b).
I vaccini rappresentano anche un’utile associazione o, in molti casi addirittura una
alternativa alla terapia antibiotica. Di conseguenza, il minor utilizzo di antibiotici, limita i
costi di intervento, determina un minore impatto ambientale, permette di ottenere derrate
senza residui di inibenti nelle carni e quindi un’eliminazione dei tempi di sospensione
obbligatori per rendere le carni commerciabili dopo un trattamento (Ellis, 1989; Subasinghe,
2009).
Come già asserito precedentemente, una delle nazioni che hanno utilizzato al meglio la
pratica della vaccinazione in acquacoltura e l’utilizzo di numerose e diverse preparazioni
vaccinali è la Norvegia, dove la salmonicoltura è particolarmente sviluppata. A partire dalla
fine degli anni ’80, la pratica della vaccinazione in salmonicoltura è notevolmente
aumentata, facendo diminuire in modo netto l’utilizzo di antibiotici, nonostante l’incremento
della produzione (Gravninger & Berntsen, 2008).
La trattazione di questo lavoro, che segue grosso modo il percorso utilizzato nelle lezioni
effettuate su tale argomento, prevede un insieme di capitoli da inserire nella tematica delle
modalità di vaccinazione, a cui fanno seguito un capitolo sulle preparazioni vaccinali e uno
sulla produzione di un vaccino stabulogeno.
STRATEGIE DI VACCINAZIONE
La strategia vaccinale, in un sistema oculato di profilassi in acquacoltura, se ben supportato
da un attento management e da buone pratiche di igiene zootecnica, risulta vincente in
quanto permette di ottenere un prodotto ittico di alta qualità, con una riduzione dell’impatto
sull’ambiente per pratiche terapeutiche ed ottenere una produzione maggiormente
remunerativa (Prearo, 2007b).
La scelta del tipo di vaccinazione da adottare può essere influenzata da molteplici fattori,
quali le caratteristiche dell’allevamento, il tipo di vaccino presente in commercio o la
patologia su cui intervenire (Evensen, 2009; Le Breton, 2009).
Per quanto riguarda le caratteristiche dell’allevamento, le scelte vanno gestite in base al
management operato e alla tipologia di prodotto ittico commercializzato. Infatti, operare una
profilassi vaccinale che utilizzi vaccini adiuvati con oli minerali che consentono un
prolungamento della risposta anticorpale, in un allevamento di riproduttori di salmonidi ad
esempio, risulta controproducente, proprio per la comparsa di aderenze in cavità celomatica
che rendono difficoltosa la successiva spremitura delle uova. Anche il periodo in cui operare
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ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 171-186
la vaccinazione deve essere valutato in base alle caratteristiche dell’allevamento e dal tipo di
management seguito; la scelta del tempo di intervento deve essere stabilita anche sul tipo di
vaccino somministrato e sulla tipologia di soggetti da vaccinare (Prearo et al., 2004b;
Evensen, 2009; Manfrin et al., 2009).
Anche le tipologie di vaccino presenti sul mercato possono influenzare le strategie di
vaccinazione, così come le patologie su cui investire per la profilassi vaccinale. Questo
rappresenta un discorso valido ad esempio nella realtà norvegese, dove sono presenti diversi
prodotti commerciali e diverse preparazioni su cui far ricadere una scelta manageriale. In
Italia, proprio per la mancanza di una cultura della vaccinazione in acquacoltura, spesso si è
costretti ad operare solamente con quello che offre il mercato, che non sempre può
rappresentare la scelta ottimale per determinate realtà produttive.
TIPO DI VACCINO
Per vaccino s’intende un preparato contenente dei microrganismi (particelle virali, batteri,
parassiti, miceti) o parte di essi che presentino proprietà antigeniche che una volta
somministrato induca una risposta immunitaria protettiva senza causare degli effetti
indesiderabili (Ellis, 1989).
I vaccini vengono suddivisi in vaccini spenti o inattivati, in cui il microrganismo utilizzato
viene inattivato tramite mezzi chimici (come la formaldeide) o fisici (con il calore) e in
vaccini vivi attenuati, in cui il microrganismo è vivo ed è in grado di replicare nell’ospite,
ma presenta un’attività patogena attenuata (Ellis, 1988).
Tutti i vaccini utilizzati attualmente in Italia appartengono alla categoria dei vaccini
inattivati.
Un vaccino può essere a base acquosa, come nel caso dei semplici bacterin, cioè quei
vaccini costruiti da cellule batteriche inattivate e diluite nella concentrazione desiderata in
soluzione acquosa (generalmente soluzione salina o PBS), oppure a base oleosa, in cui è
stato aggiunto un adiuvante tecnologico oleoso. Tali adiuvanti possono essere costituiti da
emulsioni oleose minerali e non, da liposomi, estratti di lievito o quant’altro possa
determinano un effetto deposito, con lento rilascio degli antigeni vaccinali, che porta ad una
aumentata attività macrofagica e ad una stimolazione aspecifica del sistema immunitario
(Ellis, 1988; Evensen, 2009).
Quindi l’adiuvante è una sostanza che amplifica la risposta immunitaria del soggetto, sia
specifica che aspecifica, innesca il processo infiammatorio nel punto di inoculazione, può
migliorare l’esposizione degli antigeni, amplifica l’effetto di certi antigeni di ridotte
dimensioni o di difficile produzione, determina un lento rilascio dell’antigene, prolungando
nel tempo la copertura vaccinale (Ellis, 1988; Evensen, 2009).
REQUISITI DI UN VACCINO
Un vaccino, perché possa essere commercializzato, deve avere almeno tre caratteristiche
che risultano essere indispensabili per il suo utilizzo: deve avere il requisito dell’innocuità,
considerato come assenza di rischi sia per i soggetti vaccinati, sia per gli operatori, che per il
consumatore finale; deve avere il requisito dell’immunogenicità, cioè deve essere costituito
da antigeni che abbiano una attività immunogena e che producano anticorpi proteggenti
(risposta immunitaria specifica) ed eventualmente deve essere variamente adiuvato (per
permettere anche una risposta immunitaria di tipo aspecifica); deve inoltre avere il requisito
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ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 171-186
di dare una copertura immunitaria adeguata e sufficientemente lunga (Alderman, 2009;
Evensen, 2009).
Risultano essere comunque importanti anche altre caratteristiche quali la facilità di
somministrazione e il basso costo di produzione.
PARAMETRI CHE
VACCINAZIONE
INFLUENZANO
LA
RISPOSTA
IMMUNITARIA
NELLA
Perché la vaccinazione abbia effetto deve essere effettuata su soggetti immunocompetenti.
Infatti, una vaccinazione eseguita su soggetti ad una età o a una taglia non consona, implica
generalmente una scarsa immunizzazione degli individui e porta, soprattutto nelle specie
ittiche marine ad inevitabili rivaccinazioni (Le Breton, 2009).
I parametri che influenzano maggiormente la risposta immunitaria nella vaccinazione sono
suddivisibili in parametri fisici, come la concentrazione dell’antigene nella soluzione
vaccinale utilizzata, il tempo di contatto del soggetto da vaccinare con la soluzione vaccinale
(nella vaccinazione per immersione), la temperatura dell’acqua al momento della
vaccinazione (in generale, maggiore è la temperatura, più rapida è l’insorgenza
dell’immunità e più elevato è il titolo anticorpale che si ottiene) e in parametri biologici,
quali l’età del pesce (i soggetti adulti presentano una risposta immunitaria più intensa e
duratura rispetto ai soggetti giovani), lo stato fisiologico e sanitario del pesce (Alderman,
2009; Evensen, 2009).
Un discorso un po’ più approfondito va effettuato sull’età del pesce che viene vaccinato.
Tenendo presente che la vaccinazione rappresenta sempre un costo nel bilancio dell’impresa,
questa deve essere effettuata nel periodo più consono, in modo da avere un’efficacia
massima con il minimo della spesa; in parte anche queste scelte rappresentano delle strategie
di vaccinazione, anche se non possono essere totalmente gestite dall’imprenditore, in quanto
esistono dei vincoli ben precisi, dati appunto dall’età dei pesci e quindi dallo sviluppo del
loro sistema immunitario. A prescindere dal tipo di vaccinazione, si può asserire che nelle
specie dulciacquicole si ha un buon sviluppo del sistema immunitario, che diventa
sufficientemente competente, intorno alla taglia compresa tra i 2-3 grammi, mentre per le
specie marine, in cui si ha una fase larvale più complessa, un buon sviluppo del sistema
immunitario avviene circa intorno al centesimo giorno di vita. Questo risulta particolarmente
importante nella pratica di vaccinazione per immersione, in cui si deve operare su soggetti
che siano sufficientemente competenti, ma nello stesso tempo siano di una taglia
sufficientemente piccola tale da permettere un risparmio sul costo del vaccino.
SISTEMI DI VACCINAZIONE IN ACQUACOLTURA
Attualmente, i sistemi di vaccinazione in uso negli impianti ittici sono da ricondursi
principalmente a tre: la vaccinazione per immersione o per bagno, la vaccinazione per
iniezione intraperitoneale e la vaccinazione orale.
Nella vaccinazione per immersione o per bagno, la somministrazione del vaccino
avviene utilizzando soluzioni liquide da diluire nell’acqua a dosaggi prestabiliti dalle ditte
produttrici, in cui vengono immersi i pesci da trattare per tempi prestabiliti (Figura 1).
Generalmente il vaccino deve essere diluito 1:10 ed il pesce deve sostare nella soluzione
vaccinale per un tempo variabile dai 30 ai 120 secondi (Figura 2). Le formulazioni
attualmente in commercio consento di vaccinare con un litro di vaccino 100 kg di pesce.
Come già anticipato in un capitolo precedente, per l’alto costo delle soluzioni vaccinali, tale
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ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 171-186
tipo di vaccinazione viene usato per trattare novellame di circa 2-5 grammi; infatti al di sotto
di tale taglia, il sistema immunitario dei pesci non risulta ancora totalmente sviluppato e
quindi la vaccinazione non è pienamente efficiente ed efficace; al di sopra di tale taglia,
l’operazione risulta essere poco economica (Ghittino & Pedroni, 2001; Prearo et al., 2004a;
Volpatti et al., 2006; Prearo, 2007a; 2007b; Prearo et al., 2009).
Generalmente i vaccini formulati per la vaccinazione per immersione, se utilizzati su
animali sani e in buone condizioni fisiologiche e nei dosaggi e tempi previsti, consentono di
ottenere una copertura immunitaria molto buona per un tempo variabile intorno ai 12 mesi.
Nella vaccinazione per iniezione, la somministrazione della dose vaccinale può essere
effettuata mediante iniezione intramuscolare o intraperitoneale. Quella intramuscolare non è
utilizzabile in operazioni routinarie, in quanto, per la minore consistenza del tessuto
muscolare propria dei pesci, il canale che si viene a formare con l’inserimento dell’ago nella
porzione muscolare, non si chiude velocemente e quindi permette facilmente la fuoriuscita
del liquido iniettato (Prearo, 2007b). Inoltre, l’utilizzo di vaccini adjuvati con oli minerali, se
iniettati nella porzione muscolare, può causare degli inconvenienti gravi, con grave
deprezzamento del prodotto, per la formazione di granulomi provocati dall’attività istolesiva
di tali prodotti. Pertanto, la via di somministrazione classica nei pesci è quella
intraperitoneale che consente la diffusione del liquido tra i visceri, senza una fuoriuscita dal
tragitto effettuato nella sottile parete muscolare del ventre, evitando così anche la formazione
di granulomi muscolari indesiderati. L’iniezione intraperitoneale viene effettuata mediante
l’introduzione dell’ago a livello ventrale, poco al di sopra delle pinne ventrali, per evitare di
ledere gli organi interni; l’ago dovrà essere dimensionato proporzionalmente alla taglia del
pesce in cui si pratica l’iniezione.
Prima di iniziare la vaccinazione per iniezione di un lotto di pesci, indipendentemente dal
sistema utilizzato, bisogna effettuare alcune operazioni preliminari molto importanti perché
gli interventi seguenti abbiano un buon successo. Innanzitutto si deve verificare lo stato di
salute della partita, che non deve essere colpita dalla malattia per cui si vaccina e non deve
presentare segni gravi di patologie branchiali e cutanee, che nel corso della vaccinazione
potrebbero acuirsi e causare mortalità indesiderate. Inoltre, la partita scelta per la
vaccinazione dovrà subire un periodo di digiuno di almeno un paio di giorni, per permettere
una migliore gestione degli animali soprattutto durante l’anestesia e le pratiche effettuate
fuori dall’acqua. E’ bene comunque che si prepari in modo adeguato le vasche che dovranno
contenere i pesci vaccinati, effettuando una accurata pulizia delle stesse, fornendo
abbondante acqua ricca di ossigeno. Prima di iniziare le operazioni di vaccinazione vere e
proprie, bisogna effettuare la cattura dei pesci mediante una rete: è opportuno che la
circuizione del pesce avvenga in modo che i soggetti catturati non siano particolamente
numerosi, per evitare al massimo fattori di stress che potrebbero complicare la risposta del
pesce alla sedazione. Una volta ottenuta una riserva di pesce da pescare per le successive
operazioni, gli addetti prebanco dovranno prelevare il pesce, mediante retini adeguati alla
taglia dei soggetti e collocarlo nelle vasche per la sedazione (Figura 3). Questa operazione
avviene mediante un bagno in una soluzione contenente anestetico (ad esempio, MS-222 o
composti similari) per un tempo prestabilito, fino ad ottenere una buona sedazione dei
soggetti: il pesce deve essere completamente anestetizzato sia per evitare traumatismi allo
stesso dati da possibili movimenti inconsulti, sia per tutelare gli operatori che devono
effettuare la vaccinazione (Figura 4). Fino a questo punto le operazioni descritte risultano
comuni sia per il sistema di vaccinazione intraperitoneale manuale, sia per quello
semiautomatico.
Per quanto riguarda il sistema manuale, la vaccinazione viene effettuata da personale
esperto, utilizzando siringhe autocaricanti; il pesce viene posto sul tavolo di lavoro (Figura
5) e viene prelevato e vaccinato dagli operatori (Figura 6).
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ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 171-186
1
2
3
4
5
6
TAVOLA 1 / PLATE 1
Figura 1 – Vaccinazione per bagno: immissione nella soluzione vaccinale di novellame di trota iridea. Figura 2 –
Vaccinazione per bagno: permanenza del pesce da trattare nella soluzione vaccinale per il tempo dichiarato dalla
casa produttrice. Figura 3 – Vaccinazione per iniezione intraperitoneale con sistema manuale: prelievo del pesce
da immettere nella soluzione anestetica. Figura 4 – Vaccinazione per iniezione intraperitoneale con sistema
manuale: il pesce sosta nella soluzione anestetica il tempo necessario per un’ottimale sedazione. Figura 5 –
Vaccinazione per iniezione intraperitoneale con sistema manuale: il pesce anestetizzato viene posto sul tavolo di
lavoro per l’iniezione da parte degli operatori. Figura 6 – Vaccinazione per iniezione intraperitoneale con sistema
manuale: il pesce viene prelevato dall’operatore e tramite una siringa autocaricante viene iniettata la dose
vaccinale.
Figure 1 – Bath vaccination: fingerlings of rainbow trout introducing in vaccine solution. Figure 2 – Bath
vaccination: permanence of the fish to be treated in the vaccine solution for the time stated by the pharmaceutical
industry. Figure 3 – Vaccination with manual intraperitoneal injection: the fish to be placed in the anesthetic
solution. Figure 4 – Vaccination for manual intraperitoneal injection: the fish remains in the anesthetic solution
for the time required for your optimal sedation. Figure 5 – Vaccination for manual intraperitoneal injection: the
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ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 171-186
fish anesthetized is placed on the workbench for the injection of the operators. Figure 6 – Vaccination for manual
intraperitoneal injection: the fish is taken by the operator and is injected through a syringe-loading dose vaccine.
7
8
9
TAVOLA 2 / PLATE 2
Figura 7 – Vaccinazione per iniezione intraperitoneale con sistema semiautomatico: vasca con soluzione
anestetica con autoprelievo del pesce. Figura 8 – Vaccinazione per iniezione intraperitoneale con sistema
semiautomatico: visione del sistema vaccinante a sviluppo orizzontale (particolare). Figura 9 – Vaccinazione per
iniezione intraperitoneale con sistema semiautomatico: particolare dell’introduzione del pesce nella sede apposita
per l’iniezione da parte dell’operatore.
Figure 7 – Vaccination by intraperitoneally injection with semi-automatic system: tank with anesthetic solution.
Figure 8 – Vaccination for intraperitoneal injection with semi-automatic system: overview of the horizontal
vaccination system (detail). Figure 9 – Vaccination for intraperitoneal injection with semi-automatic system:
introduction of the fish in its housing for injection by the operator (particular).
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ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 171-186
Utilizzando le macchine vaccinatrici invece, non è necessario disporre di personale
esperto, in quanto la manualità consiste solamente di porre il pesce anestetizzato negli
appositi alloggiamenti (Figure 8 e 9). Generalmente, nel complesso vaccinante sono annesse
anche le vasche di sedazione (Figura 7). Una volta inserito il pesce nell’alloggiamento, la
dose vaccinale verrà iniettata sempre attraverso delle siringhe autocaricanti.
Fino a qualche anno fa, le macchine vaccinatrici erano a sviluppo verticale con una ruota
dove erano inseriti gli alloggiamenti per il pesce; attualmente invece, le macchine
vaccinatrici sono a sviluppo orizzontale a 2 vie (o suoi multipli) (Figura 8).
In entrambi i metodi, una volta vaccinato il pesce, questo viene direttamente convogliato
nelle vasche con acqua pulita e ben ossigenata e, dopo alcune decine di secondi, si risveglia,
nuotando normalmente. Il pesce vaccinato deve subire un periodo di digiuno postvaccinazione, variabile dai 3 ai 5 giorni, per evitare eventuali problemi di mortalità da stress.
Dopo questa breve descrizione dei due sistemi di vaccinazione per iniezione
intraperitoneale, si può operare un loro confronto, prendendo in considerazioni alcuni
parametri particolarmente importanti sia per il management della vaccinazione, sia per
l’economicità delle operazioni, tenendo in considerazione la realtà degli allevamenti presenti
sul territorio nazionale (Prearo et al., 2005).
Un parametro molto importante da valutare risulta essere la manodopera che va utilizzata
nelle operazioni di vaccinazione ed il suo grado di specializzazione; nel caso si utilizzi il
sistema manuale, è necessario avere una squadra di vaccinatori molto esperti e una seconda
squadra che svolga tutte le operazioni preliminari (circuizione e pesca del pesce, anestesia e
presentazione dei soggetti sul tavolo da lavoro); per ottenere una produttività di circa 50.000
pesci/giorno sono necessarie due squadre di almeno 3 persone al prebanco e 4 al banco di
vaccinazione. Nel caso invece si utilizzi il sistema semiautomatico, sono necessarie
solamente 2 persone alle operazioni prebanco e due all’inserimento del pesce negli appositi
alloggiamenti; in questo caso il sistema non necessita di personale altamente specializzato.
Per utilizzare al meglio questi sistemi semiautomatici di vaccinazione si deve però operare
una rigorosa selezione dei pesci, in quanto si deve ottenere una notevole uniformità di taglia
per poter gestire al meglio le operazioni; inoltre risultano di difficile gestione negli
spostamenti e si devono affrontare dei costi rilevanti sia d’acquisto che di manutenzione;
nella vaccinazione con il sistema manuale invece, grazie proprio all’esperienza e alla
sensibilità degli operatori, è possibile ovviare ad eventuali difformità di taglia, operando
pressioni differenziate nell’introduzione dell’ago (Prearo, 2003; Prearo et al., 2003). Proprio
grazie alla sensibilità che gli operatori esperti possiedono, si ha una maggiore duttilità del
sistema vaccinale manuale, permettendo di operare in situazioni che possono modificarsi nel
corso delle operazioni senza avere delle flessioni di produttività. E’ ancora da rimarcare
come la mano e l’occhio allenati di un operatore ben formato, permettono di giudicare e
discernere tutte le situazioni e gli inevitabili imprevisti che si possono venire a presentare
durante il corso delle fasi di vaccinazione (Prearo, 2007b).
Per verificare se la vaccinazione è stata condotta con successo, si deve effettuare un
controllo direttamente sul pesce, effettuando l’apertura della cavità celomatica di alcuni
esemplari per verificare la dispersione della soluzione vaccinale tra gli organi (Figura 10).
Come si è accennato precedentemente si può incorrere in incidenti vaccinali più o meno
gravi; le lesioni che si possono provocare nel pesce vaccinato possono andare da semplici
quadri di petecchie emorragiche a livello del sito di introduzione a gravi lesioni muscolari e
viscerali, con presenza di emorragie e coaguli tra gli organi interni (Figura 11). Tale
evenienza risulta più frequente durante le operazioni di vaccinazione semiautomatica,
soprattutto su gruppi di pesci aventi taglia disomogenea, mentre sono di minore rilevanza e
gravità nella vaccinazione manuale, dove la capacità e la sensibilità degli operatori
178
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 171-186
consentono di ovviare a iniezioni mal eseguite (Prearo et al., 2004b; 2005; Manfrin et al.,
2006a; 2006b).
Si possono riscontrare anche degli incidenti vaccinali all’operatore, soprattutto alle dita o
alle mani (Figura 12); tale evenienza è senz’altro una possibilità che si può verificare nel
corso della vaccinazione con sistema manuale, sia per disattenzione dell’operatore stesso, sia
per la fretta e la troppa sicurezza che si acquisisce, ma soprattutto durante le operazioni
effettuate con animali poco sedati, i quali effettuando movimenti inconsulti possono causare
delle punture accidentali sull’operatore. Anche l’utilizzo di dispositivi di protezione
individuale idonei possono non essere sempre sufficienti affinché non si verifichino degli
infortuni.
10
11
12
TAVOLA 3 /PLATE 3
Figura 10 – Trota iridea (Oncorhynchus mykiss): apertura della cavità celomatica per evidenziare la dispersione
della soluzione vaccinale iniettata. Figura 11 – Incidente vaccinale in trota iridea (Oncorhynchus mykiss):
presenza di emorragie muscolari, a livello delle sierose e coaguli intraviscerali. Figura 12 – Incidente vaccinale in
operatore: lesione cicatriziale ad un dito.
Figure 10 – Rainbow trout (Oncorhynchus mykiss): opening of the coelomic cavity to highlight the spread of
vaccine solution injected. Figure 11 – Incident of vaccination in rainbow trout (Oncorhynchus mykiss): presence
of muscle bleed, hemorrhages and blood clots in the viscera. Figure 12 – Incident of vaccination in operator:
scar with a finger injury.
179
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 171-186
Nella Tabella 1 vengono riportate sinteticamente le caratteristiche dei due sistemi di
vaccinazione intraperitoneale manuale e semiautomatica.
MANUALE
SEMIAUTOMATICO
3 (operazioni prebanco)
+
4 (operazioni al banco)
2 (operazioni prebanco)
+
2 (operazioni al banco)
Esperto
Non esperto
Disomogenea
Omogenea
Presenza di pesci non vaccinati
Bassa
Alta
Presenza incidenti vaccinali nei
pesci
Bassa
Alta
Presenza incidenti vaccinali nel
personale
SI
NO
Numero del personale
(minimo)
Tipologia del personale
Taglia del pesce
Tabella 1 – Quadro sintetico delle caratteristiche dei due sistemi di vaccinazione per iniezione intraperitoneale.
Table 1 – Overview of the characteristics of two systems of vaccination for intraperitoneal injection.
13
Figura 13 – Vaccinazione orale: somministrazione di mangime trattato con il vaccino.
Figure 13 – Oral vaccination: administration of food with vaccine.
180
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 171-186
La vaccinazione orale invece, è una pratica di immunizzazione ancora poco utilizzabile in
acquacoltura, in quanto esiste una difficoltà nella presentazione dell’antigene, che deve
essere microincapsulato per renderlo gastroresistente (Prearo, 2007b). La somministrazione
del vaccino viene effettuata direttamente con la razione giornaliera, miscelandolo nelle dosi
prestabilite con il mangime (Figura 13). La somministrazione del vaccino viene effettuata
seguendo delle schedule operative ben precise che consentono di fornire le quantità utili di
antigene per il tempo sufficiente all’attivazione del sistema immunitario (Manuali et al.,
2007).
Tale via risulterebbe essere quella da prediligere, in quanto, oltre all’estrema facilità di
somministrazione del prodotto, si ottengono un’eliminazione dei costi di vaccinazione, una
riduzione dello stress del pesce, dovuto alla manipolazione da vaccinazione ed un’assenza
dei rischi per gli operatori e degli effetti collaterali sul pesce, che risultano inevitabili con le
altre pratiche di vaccinazione.
LE PREPARAZIONI VACCINALI
Attualmente in Italia sono in commercio solamente tre formulazioni vaccinali: un vaccino
contro la vibriosi da Vibrio anguillarum, uno contro la Bocca Rossa, sostenuta da Yersinia
ruckeri e una formulazione bivalente per i due germi sopra citati. Questi vaccini sono
commercializzati da differenti ditte e possono essere somministrati per immersione, ma
anche per inoculazione.
In altre nazioni europee ed extraeuropee invece, sono autorizzati anche altri vaccini come
quelli contro la Foruncolosi da Aeromonas salmonicida, la Fotobatteriosi da Photobacterium
damselae piscicida, la Flavobatteriosi (Toranzo et al., 2009).
Per ovviare a questa mancanza è possibile produrre dei vaccini cosidetti stabulogeni da
parte degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali, previa autorizzazione del Ministero della
Salute; queste preparazioni vengono prodotte utilizzando ceppi di campo, previa
sperimentazione di efficacia. Possono essere utilizzati esclusivamente nell’ambito
dell’allevamento di provenienza del ceppo batterico utilizzato per produrre il vaccino
stabulogeno. Tali preparazioni subiscono dei controlli severi di sterilità e di innocuità, onde
garantire al massimo la sicurezza del prodotto.
Attualmente sono prodotti dei vaccini stabulogeni contro la lattococcosi sostenuta da
Lactococcus garvieae, ma sono allo studio preparazioni contro alcune aeromonosi
(Aeromonas sobria).
Per quanto riguarda il vaccino stabulogeno contro la lattococcosi, risulta essere un presidio
immunizzante molto valido, messo a punto dai ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico
Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta di Torino, grazie anche al finanziamento
di diversi progetti di ricerca del Ministero della Salute e all’aiuto di alcuni allevatori
(Ghittino et al., 1995a; 1995b; 1997; 1999; 2002; Prearo et al., 2004b). Dagli studi condotti
durante gli anni ’90 e seguenti, i vari isolati di Lactococcus garvieae presenti sul territorio
nazionale costituiscono un gruppo geneticamente omogeneo; nonostante l’elevata omologia
genetica, la diversificazione fenotipica invece è relativamente alta (Ghittino & Prearo, 1993;
Ghittino et al., 1995a; 1998; Prearo et al., 2002; Eyngor et al., 2004). Da un’indagine
epidemiologica, svolta mediante RFLP ribotyping, si è potuto dimostrare che l’evoluzione
dei ceppi italiani e spagnoli ha seguito dei percorsi autonomi; per quanto riguarda invece i
ceppi francesi, la situazione appare alquanto eterogenea (Eyngor et al., 2004). Ecco perché è
importante utilizzare, per la situazione italiana, dei ceppi autoctoni. Infatti, la scarsa efficacia
dimostrata negli anni passati di vaccini sperimentali preparati da diverse ditte europee, in cui
erano stati utilizzati ceppi differenti da quelli presenti sul nostro territorio, hanno portato ad
181
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 171-186
insuccessi totali. È per tale motivo che l’utilizzo di vaccini stabulogeni, oltre che previsti
dalla nostra legislazione, hanno presentato un successo sempre maggiore rispetto le
sperimentazioni messe in atto dalle sopraccitate ditte. Attualmente sono a disposizione degli
allevatori due formulazioni vaccinali stabulogene distinte, entrambe iniettabili per via
intraperitoneale: un vaccino non adiuvato o bacterin ed un vaccino adiuvato con oli minerali
(Manfrin et al., 2006a; 2006b). La dose iniettabile varia da 0,1 a 0,2 ml/capo, in base alle
richieste dell’allevatore. Dai dati sperimentali condotti nella seconda metà degli anni ’90, si è
potuto stabilire come la quantità di batteri presenti nella dose vaccinale di un vaccino non
adiuvato, debba essere molto elevata: la concentrazione standard deve essere all’incirca di
60 grammi di “pasta batterica” per litro di vaccino (10.000 dosi iniettabili) (Ghittino et al.,
1997; 1999; 2002; Prearo et al., 2004b). Per quanto riguarda invece la quantità di batteri
presenti nella dose vaccinale di un vaccino adiuvato di ultima generazione, questa può essere
notevolmente più bassa, aggirandosi intorno a 1/4-1/10 rispetto la dose prevista per il
vaccino non adiuvato (Prearo et al., 2004b; Manfrin et al., 2006a; 2006b). l’utilizzo di una
formulazione piuttosto che un’altra deve essere basato, come già detto in un capitolo
precedente, su una corretta gestione dell’allevamento ed un oculato management. Quindi, la
scelta del tipo di vaccino deve essere fatta valutando la movimentazione del pesce alla
lavorazione, l’andamento climatico stagionale, il regime idrico, ecc.
LA PRODUZIONE DI UN VACCINO STABULOGENO
Come si è visto nel capitolo precedente, In Italia è possibile attuare un programma di
vaccinazione anche con vaccini stabulogeni. Per tale tipo di produzione, si deve
assolutamente partire da una precisa diagnosi effettuata presso un laboratorio specializzato;
tale diagnosi deve essere certa e deve essere corredata da un isolamento batteriche e da una
precisa identificazione.
Una volta isolato il germe causa della patologia nell’allevamento, previa richiesta ufficiale
di un medico veterinario che segue l’impianto (effettuata mediante richiesta scritta), il
laboratorio di produzione vaccini di un Istituto Zooprofilattico Sperimentale autorizzato, può
procedere alla preparazione dell’intermedio di produzione a base di cellule batteriche morte.
Si procede dapprima con la preparazione di un master seed, inoculando il germe
responsabile della patologia presente nell’impianto, in una bottiglia sterile contenente 200300 ml di terreno liquido (brodo nutritivo, Tryptic Soy broth, BHI broth, Todd-Hewitt o altri
terreni di primo isolamento), incubandolo per 24-36 ore a temperatura termostatata di 22 ±
2°C (Figura 14). Successivamente, dopo aver controllato l’avvenuta crescita del germe nella
preparazione master seed, si inocula direttamente nel biofermentatore, in cui è stato inserito
altro terreno liquido di primo isolamento nelle quantità necessarie. A seconda delle tipologie
di biofermentatore, si potrà controllare le condizioni chimico-fisiche della fermentazione che
dovranno rimanere ottimali e le più costanti possibili per tutto il periodo di lavorazione (pH,
temperatura). Al termine del ciclo di fermentazione (dopo circa 18-24 ore dall’attivazione),
si procede ad un piccolo prelievo di un’aliquota del prodotto ottenuto, per effettuare i primi
controlli di qualità della produzione (controllo della specie batterica, conta batterica e del suo
grado di purezza); successivamente si procede all’inattivazione del prodotto, mediante
l’immissione di formalina in base al volume trattato e si effettua dopo qualche ora un
secondo prelievo di un’aliquota per verificare l’avvenuta inattivazione.
Per quanto riguarda questi primi controlli di qualità del prodotto ottenuto, si deve
procedere in modo celere, valutando se la specie batterica ottenuta risponde ai requisiti
richiesti (stessa specie batterica isolata nell’allevamento, mediante una semina su piastra e
successiva identificazione biochimica), il suo grado di purezza (mediante un semplice
182
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 171-186
striscio su vetrino colorato con la metodica Gram) e la valutazione della concentrazione del
germe nel terreno liquido, mediante una conta batterica a diluizioni successive, effettuata
direttamente su piastra (questo per valutare la concentrazione della sospensione batterica).
Nel successivo controllo di qualità invece si deve valutare l’avvenuta totale inattivazione da
parte della formalina della sospensione batterica ottenuta, andando a verificare la mancata
crescita di colonie batteriche su piastre di Agar sangue (mancata crescita dopo 72 ore di
incubazione). Una volta ottenuti risultati favorevoli da questi controlli di processo,
l’intermedio di produzione ottenuto può procedere alle successive lavorazioni. Qualora
invece i risultati non fossero quelli attesi si può procedere ad un’ulteriore fase di
inattivazione nel caso di crescita batterica al secondo prelievo o addirittura l’eliminazione
del prodotto, nel caso in cui la specie batterica fosse inquinata da altri germi o diversa da
quella desiderata.
L’intermedio di produzione a questo punto deve subire una prima filtrazione per eliminare
il terreno di coltura presente; tale operazione che viene fatta su un grosso volume di liquido,
può essere facilmente causa di inquinamenti secondari involontari; per tale motivo, una volta
ottenuto il centrifugato e risospeso in un piccolo volume di PBS sterile, è possibile effettuare
per sicurezza un’ulteriore inattivazione con formalina nella percentuale dello 0,4% rispetto il
volume ottenuto. Dopo questa prima filtrazione, si devono effettuare 3 lavaggi seriali
mediante centrifugazione, eliminazione del liquido presente e successiva immissione di PBS
sterile tamponato (pH = 7,2), per eliminare tutti i residui sia di terreno che di formalina
eventualmente ancora presenti.
Una volta terminati i lavaggi, si dovrà effettuare un ulteriore controllo di sterilità del
prodotto; nel caso di idoneità del prodotto, si dovrà procedere alla diluizione voluta dello
stesso ed eventualmente alla miscelazione di sostanze adiuvanti; il concentrato batterico
diluito opportunamente, viene avviato all’imbottigliamento. Il vaccino così preparato deve
subire ancora dei controlli di qualità, quali un ulteriore controllo di sterilità, effettuato
direttamente sul contenuto delle varie bottiglie prodotte (in base al numero di bottiglie si
sceglie di testare un numero campione di esse, generalmente una bottiglia ogni 5 prodotte),
mediante semina a varie concentrazioni in tubi con Tryptic Soy Agar a becco di clarino e in
tubi di thioglicolato, incubati per 7 giorni a 37 ± 2°C; inoltre, un’aliquota del vaccino
prodotto dovrà essere preventivamente testata su trote iridea o altro pesce sensibile, onde
valutare la sua innocuità. Tale test viene condotto su almeno 10 trote (100-200 grammi) e
viene valutata la sua innocuità per 7 giorni, valutando l’eventuale grado di mortalità
riscontrato. Al termine di tale periodo, i pesci inoculati verranno sacrificati, mediante
anestesia profonda con MS-222 e successiva spinalizzazione, per valutare ulteriormente
l’eventuale quadro anatomopatologico riscontrabile.
Quando entrambi questi controlli hanno esito favorevole, il vaccino risulta un prodotto
controllato e idoneo alla successiva consegna; qualora invece gli esiti siano sfavorevoli, si
procede ad una semplice nuova inattivazione del vaccino quando si ha crescita batterica sui
terreni di primo isolamento (con successiva nuova procedura di centrifugazione, lavaggio,
sospensione e ulteriori controlli di qualità) oppure alla totale eliminazione del lotto vaccinale
in casi di tossicità nelle trote testate (comprovata oltre che dalla mortalità, anche dal quadro
anatomopatologico riscontrato) (Minardi et al., 2009).
Ottenuto il prodotto controllato, si devono chiudere ermeticamente le bottiglie mediante
tappi a ghiera e si deve effettuare la loro etichettatura. L’etichetta deve riportare il tipo di
vaccino, contro quale malattia o quale agente patogeno deve essere utilizzato, il nome e la
località dell’allevamento in cui deve essere usato, il lotto di produzione (per la
rintracciabilità del prodotto), la data di preparazione e quella di scadenza, la temperatura di
stoccaggio e ulteriori informazioni utili a contraddistinguere il prodotto ed il suo uso
183
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 171-186
(prodotto per uso veterinario, la dicitura agitare prima dell’uso o quant’altro il produttore
ritenga necessario riportare in etichetta) (Figura 15).
14
15
Figura 14 – Master seed in beuta pronto all’inoculo nel biofermentatore. Figura 15 – Bottiglia di vaccino
stabulogeno, etichettata e pronta alla commercializzazione.
Figure 14 – Master seed in bottle for injected in the biofermentator. Figure 15 – Bottle of autovaccine, labelled
and ready to commercialization.
Il vaccino consegnato all’allevatore, deve essere comunque accompagnato, oltre che da
una bolla e dalla rispettiva fattura, anche dalla relativa ricetta medica. Il prodotto dovrà
essere caricato sull’apposito registro in allevamento, mantenuto secondo le norme riportate
in etichetta ed utilizzato solamente nell’allevamento indicato, da cui è provenuto
l’isolamento iniziale del patogeno e la richiesta formale del medico veterinario.
La produzione di un vaccino stabulogeno necessita, per la sua produzione, di una
tempistica notevole, che può variare, in base alle dosi richieste, dalle 5 alle 15 settimane. Il
tempo a volte può essere maggiore, qualora intervengano problemi di produzione come ad
esempio degli inquinamenti secondari. Per tale motivo è opportuno pianificare per tempo
l’eventuale vaccinazione e richiedere all’Istituto produttore il vaccino con largo anticipo
sulla data prevista di vaccinazione, onde evitare ritardi che possono compromettere parte
della produzione ittica.
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in orate (Sparus aurata) d’allevamento
Observations on a case of Epitheliocystis
in cultured gilthead seabream (Sparus aurata)
Francesco Agnetti 1*, Diego Sola 1, Sonia Salamida 1, Fabio Rogato 2,
Mario Latini 1, Claudio Ghittino 1
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche, Centro di Riferimento Regionale per
l’Ittiopatologia, Via L.A. Muratori, 4 – 05100 Terni; 2 Hendrix S.p.A., Frazione San Zeno 37060 Mozzecane (VR).
_________________________________
RIASSUNTO - Nel presente lavoro viene descritto un caso di Epiteliocisti verificatosi nel luglio 2008 in orate
(Sparus aurata) allevate intensivamente in gabbie galleggianti off-shore, presso un impianto di maricoltura del
centro Italia. I pesci sono pervenuti in laboratorio con anamnesi clinica riferente dimagrimento, letargia e dispnea.
Quaranta soggetti sono stati sottoposti ad esame anatomopatologico e campioni di branchie sono stati osservati a
fresco al microscopio ottico e poi processati istologicamente e in microscopia elettronica. Sono stati osservati
pallore e ipermucosità branchiale, con assenza di lesioni macroscopiche a livello viscerale. Le lamelle branchiali
hanno mostrato all’esame microscopico a fresco numerose formazioni cistiche intercalate fra gli spazi
interlamellari. L’esame istologico ha evidenziato presenza di cisti a contenuto amorfo e cisti granulose basofile,
con edema e fusione delle lamelle secondarie. L’esame al TEM ha permesso di evidenziare cellule epiteliali
ipertrofiche caratterizzate dalla presenza di un grande vacuolo fagosomiale, al cui interno, immersi in materiale
amorfo, è stato possibile distinguere elementi morfologicamente riferibili a corpi reticolati, corpi intermedi e
corpi elementari, espressione della presenza di microrganismi Chlamydia-like.
SUMMARY - A case of Epitheliocystis in gilthead seabream (Sparus aurata), occurred during July 2008 in an
Italian offshore mariculture plant, is here described. Fish showed slimming, lethargy and dyspnea. Forty
specimens were collected to perform anatomo-pathological, histological and TEM examinations. At necropsy,
gills appeared pale and hypermucous; no visceral lesions were noticed. Microscopical examination of the gills
showed the presence of several cystic elements in the interlamellar spaces. Histological examination pointed out
the presence of amorphous and basophilic granular cysts, associated with oedema and fusion of the secondary
lamellae, while TEM examination revealed the presence of hypertrophic epithelial cells containing a large
phagosome vacuole; within it, elements morphologically referable to reticulate, intermediate and elementary
bodies were noticed, thus expression of Chlamydia-like organisms.
Key words: Epitheliocystis; Gilthead seabream; Sparus aurata; Gills; Chlamydia-like organisms.
_________________________________
* Corresponding Author: c/o Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche, Centro di
Riferimento Regionale per l’Ittiopatologia, via L.A. Muratori, 4 – 05100 Terni (TR) – Italy; Tel.: 0744-402476;
Fax: 0744-59718; E-mail: [email protected].
187
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 187-194
INTRODUZIONE
L’Epiteliocisti è una patologia infettiva descritta in numerosi teleostei, causata da bacilli
Gram negativi riferibili alle famiglie Chlamydiaceae e Rickettsiaceae. Segnalata per la prima
volta nella carpa (Cyprinus carpio) con il termine di Mucofilosi (Plehn, 1920), è stata poi
diagnosticata in numerose altre specie ittiche, sia dulciacquicole che marine, soprattutto
d’allevamento, quali orata (Sparus aurata) e branzino (Dicentrarchus labrax) (Paperna,
1977), Ictalurus punctatus (Zimmer et al., 1984), ricciola (Seriola dumerilii) (Crespo et al.,
1990). Il periodo dell’anno in cui si manifesta con maggior frequenza è l’estate, anche se
sono stati segnalati alcuni episodi di malattia durante la stagione invernale (Ceschia &
Makovec, 1995). Sebbene le branchie rappresentino il principale sito di localizzazione
dell’agente causale, anche l’apparato tegumentario può esserne coinvolto, con particolare
riferimento allo strato epiteliale (Nowak & La Patra, 2006). L’infezione intracellulare
causata da questi microrganismi si traduce in fenomeni di ipertrofia a carico delle cellule
ospiti, microscopicamente evidenziabili come cisti bianco-giallastre traslucide. Da un punto
di vista patogenetico l’Epiteliocisti si articola attraverso la presenza di tre differenti stadi di
sviluppo intracellulare: corpo reticolato (CR), corpo intermedio (CI) e corpo elementare
(CE), tipicamente ascrivibili al ciclo di sviluppo del genere Chlamydia; oppure cellula lunga
primaria (CLP), cellula lunga intermedia (CLI) e cellula piccola (CP), tipicamente ascrivibili
al ciclo di sviluppo del genere Rickettsia (Nowak & La Patra, 2006). L’età dei pesci colpiti,
lo stress e le condizioni ambientali sembrerebbero essere fattori in grado di determinare lo
svilupparsi di uno dei due cicli sopracitati, indipendentemente dalla specie ittica interessata o
dall’agente patogeno (Paperna & Alves de Matos, 1984; Crespo et al., 1999). L’Epiteliocisti
normalmente si presenta come un’infezione a decorso benigno; tuttavia, a seguito di fattori
predisponenti stressogeni e della tipica localizzazione branchiale, può determinare
ipofunzionalità respiratoria e, presumibilmente, predisposizione del tessuto respiratorio a
patologie secondarie (Ceschia & Makovec, 1995; Quaglio et al., 2006). Dal punto di vista
diagnostico, accanto al rilevamento microscopico delle lesioni in sede branchiale e/o
cutanea, risulta fondamentale l’esame istologico, nonché la microscopia elettronica (Roberts,
2001). Dal punto di vista terapeutico, risultati efficaci sono stati ottenuti in persici trota
(Micropterus salmoides) sperimentalmente infettati e trattati con ossitetraciclina alla dose di
25 ppm per tre giorni (Goodwin et al., 2005); tuttavia l’eventuale terapia farmacologica non
prescinde da misure di profilassi ambientale al fine di limitare la diffusione degli elementi
infettanti nel contesto dell’allevamento (Miyaki et al., 1998).
Nel presente lavoro viene descritto un caso di Epiteliocisti verificatosi nel luglio 2008 in
orate allevate intensivamente in gabbie galleggianti off-shore, presso un allevamento
dell’Italia centrale.
MATERIALI E METODI
Quaranta orate del peso medio di 50 grammi sono pervenute in laboratorio con
un’anamnesi clinica riferente dimagrimento, letargia e dispnea. Tutti gli esemplari sono stati
sottoposti ad esame anatomopatologico, al fine di evidenziare eventuali lesioni
macroscopiche esterne e/o viscerali. Conseguentemente, campioni di branchie sono stati
prelevati ed osservati al microscopio ottico (10x, 25x) e successivamente processati per
indagini istologiche e di microscopia elettronica, così come di seguito riportato.
Esame istologico: i campioni di branchie sono stati fissati in formaldeide al 4%. I pezzi,
dopo adeguata riduzione, sono stati disidratati mediante passaggio in una serie crescente di
188
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 187-194
alcool etilico, chiarificati in xilolo, impregnati ed inclusi in paraffina. Il processo di
inclusione è stato attuato mediante l’uso di processatore automatico (Leica TP 1050) e di
dispensatore di paraffina (Leica EG 1140 H). Dai blocchetti così ottenuti, dopo
raffreddamento sono state tagliate con microtomo a slitta (Leitz) sezioni sottili dello spessore
di 4-5 µm e allestiti i vetrini. Le sezioni sono state poi colorate con Ematossilina-Eosina
(E-E) mediante coloratore automatico (Leica Autostainer XL V 1.81). Dopo montaggio con
vetrino coprioggetto, i preparati sono stati osservati (10x, 40x, 100x) e fotografati al
microscopio ottico (Leica, Mod. DMR Fluo HC).
Esame al microscopio elettronico a trasmissione (TEM): i campioni di branchie sono stati
fissati in glutaraldeide al 2,5% (TAAB, UK) in tampone fosfato 0,1M, pH 7,4 per 2 ore a
4°C e post fissati in tetrossido di osmio (OsO4) all’1% (Heraeus Chemicals, Sud Africa) in
tampone fosfato 0,1M, pH 7,4 per 2 ore a 4°C. Sono stati poi disidratati attraverso passaggio
in una serie crescente di alcool etilico, chiarificati in ossido di propilene (TAAB, UK) e
inclusi in resina epossidica, EPON 812 (TAAB, UK). I blocchetti di resina sono stati lasciati
polimerizzare in stufa a 60°C per 72 ore. Le sezioni semifini sono state colorate con blu di
toulidina all’1%, in sodio carbonato allo 0,5%. Le sezioni ultrafini (80-100 nm) sono state
raccolte su griglie di rame e contrastate con acetato di uranile e citrato di piombo. I campioni
sono stati quindi osservati (x 10000, x 17000) e fotografati al microscopio elettronico (CM
12 STEM, Philips) a 80 kV.
Un secondo gruppo di orate, sempre di 40 esemplari e facente parte dello stesso lotto del
primo gruppo, è stato esaminato circa dopo 20 giorni dal precedente campionamento, al fine
di valutare l’evoluzione del quadro morboso.
RISULTATI
L’esame anatomopatologico ha evidenziato dimagrimento associato a pallore ed
ipermucosità branchiale, in assenza di lesioni macroscopiche a livello viscerale (Figura 1).
1
2
Figura 1 – Orata (Sparus aurata), quadro anatomopatologico: dimagrimento associato a pallore
ed ipermucosità branchiale. Figura 2 – Esame microscopico a fresco delle branchie (25x):
presenza di formazioni cistiche rotondeggianti riferibili a Epiteliocisti.
Figure 1 – Gilthead seabream (Sparus aurata), anatomopathological features: slimming associated
with pale and hypermucous gills. Figure 2 – Gills microscopical examination
(25x): presence of round shaped cysts consistent with Epitheliocystis.
189
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 187-194
L’esame microscopico a fresco delle lamelle branchiali ha mostrato numerose formazioni
cistiche rifrangenti rotondeggianti (Figura 2), morfologicamente riconducibili a Epiteliocisti,
intercalate fra gli spazi interlamellari e una modica presenza di monogenei.
L’esame istologico delle branchie ha evidenziato la presenza, massiva in alcuni campioni,
di lesioni cistiche di dimensioni variabili (40-60 µm) (Figura 3) di due tipologie: cisti a
contenuto amorfo (Figura 4) e cisti granulose basofile (Figura 5).
3
4
Figura 3 – Esame istologico delle branchie: presenza di formazioni cistiche con edema ed iperplasia
con fusione delle lamelle secondarie (EE, 10x). Figura 4 – Esame istologico delle branchie:
cisti a contenuto amorfo (EE, 100x).
Figure 3 – Gills histological examination: cystic elements with oedema and hyperplasia,
with fusion of the secondary lamellae (HE, 10x). Figure 4 – Gills histological examination:
cysts with amorphous contents (HE, 100x).
5
Figura 5 – Esame istologico delle branchie: cisti granulose basofile (EE, 100x).
Figure 5 – Gills histological examination: basophilic granular cysts (HE, 100x).
190
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 187-194
Tali formazioni sono state riscontrate per lo più a carico dell’epitelio delle lamelle
secondarie, in alcuni casi associate ad edema e iperplasia epiteliale più o meno marcata.
Reperto frequente è stato il riscontro di fusione di lamelle secondarie (Figura 6).
6
Figura 6 – Esame istologico delle branchie: edema e fusione di lamelle secondarie (EE, 20x).
Figure 6 – Gills histological examination: oedema and fusion of the secondary lamellae (HE, 20x).
8
7
Figura 7 – Esame al TEM delle branchie: vacuolo fagosomiale con corpi reticolati (CR) e corpi intermedi (CI)
immersi in materiale amorfo; nucleo della cellula ospite spostato alla periferia (N), mitocondri disposti attorno al
vacuolo (Mit), presenza di caratteristiche proiezioni del plasmalemma (freccia) (x 10000). Figura 8 – Esame al
TEM delle branchie: corpi reticolari e corpi intermedi, alcuni dei quali in divisione (freccia) (x 10000).
Figure 7 - Gills TEM examination: phagosome vacuole with reticulate bodies (CR) and intermediate bodies (CI)
immersed in an amorphous material; nucleus of the host cell at periphery (N), mitochondria around the vacuole
(Mit), presence of the typical plasmalemma projections (arrow) (x 10000). Figure 8 - Gills TEM examination:
reticulate and intermediate bodies, some of them in division (arrow) (x 10000).
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ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 187-194
L’esame al TEM ha permesso di evidenziare cellule epiteliali ipertrofiche caratterizzate
dalla presenza di un grande vacuolo fagosomiale contenente batteri a diverso grado di
sviluppo, con nucleo sospinto alla periferia della cellula e mitocondri disposti attorno al
suddetto vacuolo. All’interno, immersi in un materiale amorfo, sono stati osservati elementi
morfologicamente riferibili a corpi reticolati, corpi intermedi e corpi elementari (Figura 7).
I primi, notevolmente pleomorfi e di dimensioni variabili, risultavano caratterizzati da
presenza di uno o più nucleoidi (l’assenza di nucleoide sarebbe stata indice di un’infezione
precoce) e citoplasma di aspetto granulare, indicativo della presenza di ribosomi. I corpi
intermedi, spesso osservati in processi di divisione (Figura 8), sono apparsi con un nucleoide
elettrondenso centrale, una zona trasparente agli elettroni e ribosomi disposti alla periferia
della cellula. I corpi elementari, che nel ciclo delle Chlamydiaceae rappresentano la forma
infettante, si sono mostrati molto elettrondensi, con un grande nucleoide eccentrico e
fortemente “compattati” tra di loro (Figura 9).
9
Figura 9 – Esame al TEM delle branchie: corpi elementari (CE) addensati con grande nucleoide elettrondenso ed
eccentrico; leggermente a sinistra si distingue un corpo intermedio (CI) (x 10000).
Figure 9 – Gills TEM examination: thickened elementary bodies (CE), with an eccentric elettrondense nucleoid;
slightly on the left, an intermediate body (CI) can be distinguished (x 10000).
Il secondo gruppo di orate esaminato a circa 20 giorni di distanza non ha mostrato rilievi
anatomopatologici degni di nota, né quadri microscopici branchiali riconducibili ad
Epiteliocisti.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Gli organismi Chlamydia-like sono da tempo considerati patogeni per i pesci; tuttavia,
l’acquisizione di conoscenze in ambito laboratoristico e quindi di più affinati strumenti
192
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 187-194
analitici ha solo recentemente potenziato le cognizioni in questo ambito (Karlsen et al.,
2008).
Il caso descritto nel presente lavoro ha permesso di focalizzare l’attenzione sui seguenti
punti:
• il sovraffollamento e le condizioni di scarsa igiene che si possono verificare in
allevamento, uniti alle elevate temperature del periodo estivo, possono
rappresentare fattori predisponenti per lo sviluppo della patologia;
• il quadro sintomatologico ed anatomopatologico è a carico soprattutto delle
branchie; in particolare, l’epitelio delle lamelle branchiali risulta essere il tessuto
target, sia in specie ittiche di acqua dolce che salata, come già descritto da altri
autori (Groff et al., 1996; Crespo et al., 1999; Kim et al., 2005; Karlsen et al.,
2008);
• l’istologia e la microscopia elettronica permettono di descrivere la morfologia degli
stadi di sviluppo del microrganismo e ricondurlo eventualmente alla famiglia
Chlamydiaceae o Rickettsiaceae; di conseguenza è interessante, da un punto di vista
tassonomico e soprattutto biologico, studiarne la probabile specie-specificità ospiteparassita;
• a fronte di un’efficacia terapeutica sicuramente dimostrata per alcuni antibiotici,
spesso la rapidità di insorgenza della malattia, il quadro istolesivo e la potenziale
predisposizione ad agenti patogeni branchiali secondari si traducono in un effetto
depauperante per l’ospite, con conseguenti ripercussioni negative sul management
d’allevamento. Pertanto, sarebbe opportuno, da parte degli addetti del settore, non
affidarsi esclusivamente all’approccio terapeutico, ma investire su adeguate e
proficue strategie di prevenzione; ad esempio, l’esecuzione di indagini molecolari
(PCR) a campione, consentirebbe di individuare la patologia anche in soggetti non
ancora clinicamente sospetti.
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194
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 195-202
Stato sanitario di una popolazione selvatica
di siluri (Silurus glanis L., 1758) pescati nel tratto
alessandrino del bacino idrografico del fiume Po
Health status of a wild Wels catfish (Silurus glanis L., 1758)
populations in Po river basin
(Alessandria Province, Piedmont, North-western Italy)
Ilaria Giorgi 1*, Massimo Pascale 2, 3, 4, Elena Pavoletti 1, Paola Arsieni 1,
Sabrina Guarise 3, Tommaso Scanzio 4, Gilberto Forneris 3, Marino Prearo 1
1
2
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna, 148 – Torino;
Ittiologo, Via Aurora, 5 - Pinerolo (TO); 3 Facoltà di Medicina Veterinaria, Via Leonardo da Vinci, 44 –
Grugliasco (TO); 4 Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, Via P. Giuria, 15 – Torino.
______________________________
RIASSUNTO – La presenza del siluro (Silurus glanis) nei fiumi italiani rappresenta una minaccia per le
popolazioni ittiche autoctone; questo porta ad un’alterazione degli equilibri ambientali con una riduzione del
numero delle specie e degli individui. Gli esemplari di grossa taglia possono essere posizionati al vertice della
catena alimentare fluviale, in quanto quasi esclusivamente ittiofagi.
Questo lavoro ha l’obiettivo di valutare lo stato sanitario di questo grande predatore, in una zona circoscritta del
bacino idrografico del fiume Po (zona nella provincia di Alessandria) dove la popolazione di siluri risulta
particolarmente consistente. Sono stati analizzati 92 esemplari di taglia diversa nel periodo compreso tra marzo
2007 e novembre 2008; l’esame anatomopatologico non ha rilevato lesioni evidenti; l’esame virologico,
condotto su monostrati cellulari, ha sempre dato esito negativo. L’esame parassitologico ha evidenziato la
presenza, in circa il 50% dei soggetti, di Thaparocleidus vistulensis (Monogenea) a livello branchiale, di
Orientocreadium spp. (Digenea), Pomphorhynchus laevis, Acanthocephalus anguillae ed A. lucii
(Acanthocephala) a livello intestinale. L’esame colturale ha rilevato positività non significative per Aeromonas
hydrophila, A. sobria, Plesiomonas shigelloides e Pseudomonas aeruginosa, come altrettanto non significative
sono risultate le positività all’esame colturale per micobatteri (Mycobacterium fortuitum e M. flavescens) senza
evidenziare lesioni agli organi, riconducibili a detta patologia. I risultati riscontrati in questa popolazione hanno
permesso di evidenziare come lo stato di salute sia da considerasi buono, vista anche la notevole varietà di
soggetti appartenenti alle diverse taglie.
SUMMARY – The presence of wels catfish (Silurus glanis) in Italian rivers is a threat to native fish
populations; this leads to an alteration of the environmental equilibrium, with reduction in the number of fish
species and specimens. Large individuals can be placed at the top of the food chain in rivers, being exclusively
ichthyophagous. The present work aims to assess the health status of this big predator in a restricted area of
the Po River basin (Alessandria Province, Piedmont, North-western Italy), area where the population of wels
catfish is particularly abundant. 92 specimens of different size were analyzed during the period between March
2007 and November 2008; at anatomopathological examination no lesions were found; virological tests,
carried out on cell monolayers, were always negative. In about 50% of specimens, parasitological examination
revealed the presence of Thaparocleidus vistulensis (Monogenea) in gills, Orientocreadium spp. (Digenea),
Pomphorhynchus laevis, Acanthocephalus anguillae and A. lucii (Acanthocephala) in the intestine.
Bacteriological tests were positive for Aeromonas hydrophila, A. sobria, Plesiomonas shigelloides and
Pseudomonas aeruginosa, but these results are not significant, as well as not significant is the positivity found
for mycobacteria (Mycobacterium fortuitum and M. flavescens) without evidence of lesions in organs. Results
show how the health condition of this wels catfish population is optimal, considering the large number of
specimens of different size analyzed.
Key words: Wels catfish, Silurus glanis, Health status, Po river basin.
______________________________
* Corresponding Author: c/o Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta,
Laboratorio di Ittiopatologia e Acquacoltura, Via Bologna, 148 – 10154 Torino. Tel.: 011-2686295; Fax: 0112474458; E-mail: [email protected].
195
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 195-202
INTRODUZIONE
I pesci appartenenti all’ordine Siluriformes sono suddivisi in circa 36 famiglie, con oltre
4.000 specie presenti in tutto il mondo; vivono quasi tutte in acqua dolce e hanno una
distribuzione ormai cosmopolita (Ferraris, 2007).
Il genere Silurus appartiene alla famiglia Siluridae, rappresentata in Europa da 2 specie, il
siluro (o siluro d’Europa), Silurus glanis (Tortonese, 1970) e il siluro di Aristotele, Silurus
aristotelis, diffuso in Grecia e nella regione del mar Ionio (Ladiges & Vogt, 1986;
Economidis & Banarescu, 1991; Bornbusch, 1995; Triantafyllidis et al., 1999).
L'areale originario di distribuzione è piuttosto ampio, estendendosi dall'Asia occidentale
(Mar Caspio e lago d'Aral) all'Europa centrale e orientale, compresa la Svezia meridionale.
L’areale attuale di distribuzione risulta però notevolmente ampliato, a seguito
dell’espansione della specie in buona parte dell’Europa, inclusa l’Italia (settentrionale e da
poco anche centrale) (Puzzi et al., 2007).
In Italia è specie alloctona: la prima segnalazione risale al 1937 ed è relativa a un
esemplare pescato nel fiume Adda (Manfredi, 1957), la cui presenza è stata però considerata
del tutto occasionale, legata ad un carico di pesce importato dall’estero. La sua
acclimatazione è stata osservata con certezza alla fine degli anni ’70 (Gandolfi & Giannini,
1979). Da allora le catture sono andate via via moltiplicandosi con impressionante intensità:
dagli anni ’80 la presenza del siluro può essere considerata comune e continua nel medio e
basso corso del fiume Po ed in generale in tutto il bacino padano, compresi i numerosi canali
artificiali (Piccinini & Pattini, 1996). Attualmente la specie è diffusa anche in alcuni bacini
idrografici dell’Italia centrale (Arno, Tevere e Pescara) (Zerunian, 2002).
Il siluro preferisce le zone di fiume a corrente moderata, con discreta profondità e
abbondanza di anfratti nei quali si rifugia e tende agguati alle prede. I soggetti giovani
dimostrano una certa gregarietà, mentre gli adulti sono più solitari (Piccinini & Pattini,
1996).
Il siluro è un pesce fotofobo, il suo picco di massima attività coincide con le ore
crepuscolari e notturne, durante le quali nuota sul fondo ricercando il cibo con i barbigli
tattili. Si può alimentare anche durante il giorno, specialmente in condizioni di tempo
coperto e di torbidità delle acque. Se viene costretto ad alimentarsi di giorno, si riduce
notevolmente la quantità di cibo assunta, ma ritorna facilmente alla sua normale attività
notturna se gli viene lasciato libero accesso al cibo (Boujard, 1995). L'attività alimentare è
massima durante i mesi caldi, mentre invece cessa del tutto in inverno, quando l'animale
cade in una fase di latenza (Piccinini & Pattini, 1996). Il siluro è considerato tra i maggiori
predatori delle acque dolci europee; poiché è in grado di adattarsi alle diverse disponibilità
alimentari, la dieta non appare altamente specializzata, tanto da definirlo come un onnivoro
opportunista (Piccinini & Pattini, 1996). La dieta del siluro varia in relazione alle sue
dimensioni; nei primi stadi di vita, appena riassorbito il sacco vitellino, il novellame si nutre
di zooplancton e piccoli invertebrati bentonici. Con l’aumentare della taglia, il regime
alimentare cambia e fino alle dimensioni di circa 35 cm, la dieta è composta prevalentemente
da larve di insetti, oligocheti, crostacei, molluschi e da piccoli pesci; in questa fase
l’alimentazione è ancora onnivora, ma negli esemplari di taglia maggiore cambia
radicalmente diventando quasi esclusivamente ittiofaga, anche se occasionalmente si
possono cibare di anfibi, rettili, uccelli e piccoli mammiferi (Rossi et al., 1992).
Negli ecosistemi acquatici dell’Italia settentrionale, il siluro mostra degli accrescimenti più
rapidi rispetto a quelli osservati nei paesi d’origine; una comparazione tra le curve di
accrescimento relative a vari corsi d’acqua europei mette in evidenza come nel fiume Po la
specie mostri di gran lunga la migliore capacità di crescita, probabilmente grazie ad un
196
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 195-202
regime termico ottimale e all’assenza di validi competitori e predatori (Balma et al., 1989;
Rossi et al., 1992).
L’impatto di questo enorme predatore alieno sulle comunità ittiche è stato molto forte e sta
producendo consistenti alterazioni nella piramide alimentare fluviale (Balma et al., 1989). La
presenza del siluro nei fiumi italiani rappresenta una forte minaccia per le popolazioni
indigene di pesci, che rischia di alterare gli equilibri ambientali determinando una riduzione
del numero delle specie e degli individui (Zerunian, 2002). Il siluro si sta progressivamente
affermandosi a discapito delle specie autoctone, rispetto alla maggior parte delle quali ha il
vantaggio dell’enorme taglia che può raggiungere, dell’estrema versatilità (che lo porta a
colonizzare ambienti anche molto diversi, compresi tratti fluviali a corrente veloce) e
all’abitudine di cacciare di notte, durante la quale gli altri pesci risultano più vulnerabili e gli
altri grandi predatori, di norma, non sono attivi.
Scopo di questo lavoro è quello di valutare lo stato sanitario di questo grande predatore, in
una zona circoscritta del bacino idrografico del fiume Po (zona nei dintorni della città di
Alessandria) dove la popolazione di siluri risulta particolarmente consistente.
MATERIALI E METODI
Da marzo 2007 a novembre 2008 sono stati esaminati, presso il laboratorio specialistico di
Ittiopatologia dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle
d’Aosta di Torino, 92 esemplari di siluro, provenienti dal bacino idrografico del fiume Po
situato in provincia di Alessandria; più precisamente sono stati prelevati 69 soggetti dal
fiume Po (località Valmacca e Frassineto Po), 12 dal fiume Bormida (località Spinetta
Marengo) e 11 dal Tanaro (località ponte della Cittadella, Alessandria).
Il prelievo è stato condotto mediante pesca con elettrostorditore su natante, costeggiando le
zone di sotto sponda ove sono presenti massicciate o rifugi naturali.
Tutti i soggetti sono stati pesati e misurati ed è stato valutato il sesso e l’età approssimativa
mediante il conteggio degli annuli di accrescimento del tessuto osseo delle vertebre
toraciche.
Per ogni esemplare catturato sono stati eseguiti in laboratorio l’esame anatomopatologico,
parassitologico, l’esame colturale e l’esame virologico.
Esame anatomopatologico
L’esame anatomopatologico è stato condotto secondo le consuete procedure. Dapprima
sono stati visionati cute e branchie, successivamente, dopo l’apertura della cavità celomatica,
sono stati osservati gli organi interni.
Esame parassitologico
L’esame parassitologico a fresco per la ricerca degli ectoparassiti, è stato eseguito a livello
branchiale prelevando un arco branchiale in toto e a livello cutaneo, effettuando un raschiato,
soprattutto alle inserzioni delle pinne, servendosi dei vetrini coprioggetto; l’osservazione è
stata condotta al microscopio ottico a basso e medio ingrandimento (10x, 40x).
Sono state quindi effettuate impronte su vetrino degli organi interni (fegato e rene) ed
osservate al microscopio ottico (40x, 100x), mentre a livello gastro-intestinale, sono stati
eseguiti preparati per raschiamento della parete e del contenuto.
Esame colturale
L’esame colturale è stato condotto direttamente dal rene: servendosi di un’ansa sterile da
batteriologia è stato effettuato il prelievo; la semina è avvenuta per striscio su terreni di
197
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 195-202
primo isolamento (Agar sangue e Tryptic Soy Agar). Le piastre ottenute sono state incubate
a 22 ± 2°C per un massimo di 72 ore, trascorse le quali, se non si osservava crescita, l’esame
veniva considerato negativo. In caso di crescita batterica, le colonie erano sottoposte alla
colorazione di Gram e al test dell’ossidasi. La successiva identificazione biochimica è stata
condotta tramite le gallerie API (bioMérieux).
Per la ricerca di micobatteri sono stati prelevati con pinze e forbici sterili porzioni di
fegato, rene e in alcuni casi milza. Tali organi sono stati omogenati singolarmente in
stomacher, decontaminati con 10 ml di HPC, lasciati in agitazione per 30 minuti e
centrifugati a 4.000 giri per 15 minuti. Terminata la centrifugazione sono stati eliminati i
surnatanti e i sedimenti ottenuti, sono stati seminati su terreni in tubo (Löwenstein-Jensen e
Stonebrink) ed incubati a 28 ± 2°C. I tubi sono stati controllati per 2 mesi; se, trascorso tale
periodo, non si verificava crescita di colonie di micobatteri, i campioni venivano considerati
negativi. In quelli in cui si assisteva ad una crescita di colonie si effettuava una colorazione
di Ziehl-Neelsen per verificarne l’acido-alcool resistenza; qualora fosse risultata positiva
veniva eseguita l’identificazione fenotipica e biochimica, seguendo le modalità indicate dal
CDC Manual: alotolleranza, crescita su MacConkey senza cristalvioletto, cromogenicità e
temperatura di crescita del micobatterio in esame, capacità di riduzione dei nitrati, presenza
dell’enzima ureasi, capacità di idrolisi del Tween 80, test della catalasi e prova
dell’arilsulfatasi a 3 e 14 giorni (Kent & Kubica, 1985).
Esame virologico
Sono state prelevate sterilmente porzioni di milza, rene e cuore e sottoposte ad
omogeneizzazione in potter sterili in MEM-Earle antibiotato. L’omogenato ottenuto è stato
successivamente centrifugato a 3.750 rpm per 15 minuti alla temperatura di 4°C. Il
surnatante ottenuto è stato posto in frigorifero over night e successivamente inoculato su
monostrati cellulari di linee cellulari comunemente utilizzate in laboratorio (EPC, BF2,
RTG2). I monostrati sono stati osservati ogni giorno al microscopio ottico rovesciato per
individuare un’eventuale comparsa di effetto citopatico. L’esame è stato effettuato su tre
subculture della durata di 10 giorni ciascuna.
RISULTATI
È stato possibile distinguere tra i 92 siluri campionati, un numero pressoché equivalente tra
maschi e femmine (rispettivamente 45 e 42, più 5 esemplari ancora con gonadi
indifferenziate). La lunghezza media degli esemplari pescati era di 79,95 centimetri
(± D.S. 28,1265), con una lunghezza minima di 12 centimetri ed una massima di 160
centimetri; il peso medio registrato è stato di 4,60 kg (± D.S. 4,4341) con un valore minimo
di 13 grammi e un peso massimo di 25 kg. L’età media, valutata mediante il conteggio degli
anelli di accrescimento a livello vertebrale, è di 5 anni circa con un intervallo di età
compreso tra 0 (soggetti nati nell’anno di prelievo) e 12.
Il soggetto di maggiore taglia, di sesso femminile, avente un peso di 25 kg e una lunghezza
di 160 centimetri, dell’età approssimativa di 12 anni, è stato pescato nel fiume Bormida
durante l’autunno 2008.
Esame anatomopatologico
Nessuno degli esemplari esaminati ha evidenziato lesioni macroscopicamente evidenti,
riconducibili a stati morbosi o a patologie in atto. La cute è risultata sempre integra e
cosparsa di abbondante muco; le branchie sono apparse normali in tutti i soggetti, anche nei
casi in cui erano presenti parassiti monogenei.
198
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 195-202
All’apertura della cavita celomatica tutti gli organi interni sono risultati normotipici, senza
evidenziare lesioni di sorta. A livello intestinale si è potuto osservare, in alcuni soggetti, la
presenza di parassiti acantocefali infissi nella parete, mai però in numero considerevole.
Esame parassitologico
E’ stato possibile osservare in 47 siluri (51,1%) una infestazione da Thaparocleidus
vistulensis (Monogenea, Dactylogyridea, Ancylodiscoididae) a livello branchiale.
Si è inoltre potuto repertare, soprattutto nei soggetti di taglia media, la presenza a livello
intestinale di Digenei appartenenti alla famiglia Plagiorchidae, genere Orientocreadium, in
30 soggetti (pari a 32,6%) e di alcune specie di Acanthocephala (Pomphorhynchus laevis,
Acanthocephalus anguillae ed A. lucii) in 36 esemplari (pari al 39,1%).
Esame colturale
Le positività riscontrate all’esame colturale su terreni di primo isolamento nei due anni di
ricerca, sono state 32 su 92 siluri analizzati (34,8%). È stato possibile identificare mediante i
test fenotipici e biochimici, delle specie batteriche considerate come possibili patogeni ad
irruzione secondaria, quali Aeromonas hydrophila, A. sobria, Plesiomonas shigelloides e
Pseudomonas aeruginosa (Tabella 1).
Specie batteriche
Aeromonas hydrophila
Plesiomonas shigelloides
Aeromonas sobria
Pseudomonas aeruginosa
N°
positivi
21
6
3
2
Tabella 1 – Specie batteriche isolate e numerosità.
Table 1 – Isolated bacterial species and numbers.
Per quanto riguarda la ricerca di micobatteri, sono risultati positivi solamente 7 soggetti
(7,6%): 4 isolamenti sono stati effettuati su soggetti prelevati dal fiume Po e 3 dal fiume
Tanaro. Le specie di micobatteri isolate sono state Mycobacterium fortuitum con 5
isolamenti (3 dal rene e 2 dal fegato) e M. flavescens con 2 isolamenti (Tabella 2).
Dai sette siluri in cui è stato possibile evidenziare tali positività, non è stata evidenziata
alcuna lesioni macroscopicamente riferibile a micobatteriosi.
Esame virologico
Nessuno dei soggetti esaminati hanno evidenziato positività all’esame virologico; i
monostrati cellulari non hanno mostrato alcun effetto citopatico nei 30 giorni successivi
l’inoculazione (3 passaggi seriali).
199
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 195-202
Provenienza – Fiume
Valmacca (AL) – Po
Valmacca (AL) – Po
Valmacca (AL) – Po
Valmacca (AL) – Po
Alessandria – Tanaro
Alessandria – Tanaro
Alessandria – Tanaro
Organo
colpito
Rene
Fegato
Rene
Rene
Rene
Fegato
Fegato
Specie
Mycobacterium flavescens
Mycobacterium fortuitum
Mycobacterium fortuitum
Mycobacterium fortuitum
Mycobacterium fortuitum
Mycobacterium flavescens
Mycobacterium fortuitum
Tabella 2 – Specie di micobatteri riscontrati, organo riscontrato positivo e località di prelievo
del soggetto riscontrato positivo.
Table 2 – Mycobacterium species found, organ positive and the sampling location of the subject positive.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Nonostante l’obiettivo del presente lavoro non fosse uno studio di popolazione, si è potuto
osservare come, attraverso le catture, la presenza di siluri nel tratto di bacino idrico
considerato, sia ben distribuita nelle varie classi di età. Inoltre è stato possibile evidenziare
che si trovano molti soggetti giovani e sub-adulti, mentre la popolazione di soggetti di
grande taglia non appare dominante (anche se alcuni soggetti di taglia ragguardevole,
durante la pesca con l’elettrostorditore non sono stati catturati per difficoltà contingenti).
Andando a valutare il rapporto lunghezza/peso/età dei soggetti campionati, si è potuto
osservare come l’accrescimento riscontrato sia in linea con la curva teorica di accrescimento
(Piccinini & Pattini, 1996).
Non è stato possibile isolare alcun tipo di agente virale; l’esame è stato condotto su
monostrati cellulari comunemente utilizzati nelle indagini virologiche, anche per poter
valutare o meno la presenza di eventuali Rhabdovirus, oltre che di virus specifici.
L’esame parassitologico ha portato all’evidenziazione di parassiti sia a livello branchiale
che a livello intestinale in circa il 50% dei soggetti esaminati. La pressione della popolazione
parassitaria riscontrata, non è però risultata tale, a nostro avvisto, da provocare gravi danni
agli organi interessati. I soggetti parassitati a livello branchiale presentavano sempre
un’infestazione modesta con una media di circa 13 parassiti per arco branchiale (range 8-21
parassiti) (Paladini et al., 2008), così come a livello intestinale, dove il grado di infestazione
appariva sempre di media entità.
Gli esami batteriologici non hanno evidenziato la presenza di agenti riconducibili a
patologie specifiche; l’identificazione di alcune specie batteriche, quali Aeromonas
hydrophila, A. sobria, Plesiomonas shigelloides e Pseudomonas aeruginosa indica
probabilmente una possibile irruzione secondaria ed in ogni modo, vista l’assenza di lesioni
specifiche, appare di scarsa importanza.
Un discorso un po’ più particolareggiato va fatto nei confronti delle positività riscontrate
per micobatteri atipici. Queste sono veramente esigue (7,6%) e tutte sono solamente di tipo
colturale. La mancanza di lesioni macroscopicamente e microscopicamente evidenti,
riconducibili a granulomi da micobatteri, fa supporre che, almeno nei casi da noi verificati,
gli esemplari possano essere considerati dei portatori asintomatici. L’isolamento di
micobatteri atipici in fegato e rene potrebbe comunque essere indicativo di un
interessamento sistemico; essendo patologie ad andamento cronico, la mancanza di lesioni
200
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 195-202
macroscopiche potrebbe anche essere espressione di un recente contatto dei pesci con i
micobatteri. È importante proseguire tali indagini in modo da monitorare la presenza di
queste patologie in questi predatori e verificare il reale ruolo patogeno che tali batteri
possono svolgere nell’ecosistema fluviale. Il siluro inoltre, potrebbe rivestire un importante
ruolo epidemiologico nella diffusione delle micobatteriosi ittiche nell’ambiente acquatico,
con potenziali ripercussioni sulla salute pubblica (zoonosi minore), visto che la pesca a tale
preda, è un’attività che si sta sempre più affermando nell’Italia settentrionale, non solo di
tipo sportivo, ma anche a scopo alimentare.
Indipendentemente dallo stato sanitario, la presenza del siluro nei nostri fiumi rappresenta
comunque una minaccia per le popolazioni indigene di pesci e rischia di alterare gli equilibri
ambientali (Zerunian, 2002).
In questi anni si è assistito in molti casi ad un peggioramento generale della qualità
dell’acqua nei nostri fiumi e delle condizioni ecologiche (inquinamenti, rettificazioni,
riduzioni di portata, costruzioni di sbarramenti alle migrazioni dei pesci, etc.), con dirette
ripercussioni, sia quantitative che qualitative sulle comunità ittiche. La presenza di questa
specie alloctona ha costituito e costituisce tutt’ora un’ulteriore fonte di impatto sulle
biocenosi acquatiche, sia per le grandi dimensioni e sia per le spiccate attitudini predatorie;
da non trascurare il possibile ruolo epidemiologico che potrebbe svolgere come reservoir di
patologie ittiche.
Dal presente studio si mette in evidenza come le comunità di siluro esaminate nei siti
campionati, goda di uno stato di salute ottimale e che non si sono verificati in quell’arco di
tempo gravi problematiche sanitarie.
Resta da puntualizzare come tale specie possa essere considerata anche un ottimo
indicatore del grado di inquinamento ambientale, proprio per le sue caratteristiche
ecologiche ed etologiche; essendo all’apice della catena alimentare, i fenomeni di accumulo
di xenobiotici sono importanti, tanto da permettere la valutazione del degrado ambientale da
cause antropiche ed industriali di un corso d’acqua, in base alle concentrazioni di residui
presenti nelle sue carni e negli organi target (rene e fegato) (Tarasco et al., 2009).
Questi tipi di monitoraggi pertanto, risultano estremamente importanti e dovrebbero essere
estesi in più punti della rete fluviale e lacustre del nostro paese, in modo da conoscere le reali
situazioni sanitarie delle varie popolazioni ittiche e valutare gli eventuali possibili rischi di
introduzione o di trasmissione di patologie che possono veicolare.
RINGRAZIAMENTI
Si ringrazia il personale della Provincia di Alessandria, Ufficio Tutela Fauna Ittica per
l’indispensabile supporto fornito durante i prelievi ittici.
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202
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 203-210
Valutazione della biodisponibilità di amoxicillina
microincapsulata e micronizzata a seguito di
somministrazione orale singola nel branzino
(Dicentrarchus labrax)
Bioavailability of microencapsulated and micronized
amoxicillin in seabass (Dicentrarchus labrax) after
single oral administration
Alessandra Di Salvo1*, Giorgia della Rocca1, Josè Malvisi1
1
Dipartimento di Patologia, Diagnostica e Clinica Veterinaria, Università degli Studi di Perugia,
Via S. Costanzo, 4 - 06126 Perugia.
_______________________________
RIASSUNTO - Al fine di ridurre gli svantaggi connessi all'antibiotico-terapia in acquacoltura (scarso
assorbimento dei farmaci, dosi di impiego più elevate di quelle normalmente in uso negli animali omeotermi e
conseguente impatto ambientale) è stata intrapresa una ricerca nel branzino (Dicentrarchus labrax) con lo scopo
di migliorare l'assorbimento orale di amoxicillina (AMX), sfruttando tecniche di microincapsulazione e
micronizzazione volte a favorirne l’assorbimento. Le due formulazioni (microincapsulata e micronizzata)
addizionate al mangime, sono state saggiate comparativamente al mangime normalmente medicato in commercio
a seguito di somministrazione orale singola. Tutti i mangimi medicati con le tre differenti formulazioni sono stati
somministrati a tre gruppi di 120 branzini ognuno in ragione dell’1% della biomassa, ottenendo una dose
nominale di 80 mg/kg p.c. Campioni di sangue sono stati prelevati a diverse scadenze sperimentali prefissate ed i
sieri ottenuti refrigerati a –80°C fino al momento dell’analisi quantitativa eseguita con metodica HPLC. I valori
delle aree sotto la curva (AUC) ottenute dagli andamenti delle concentrazioni delle tre differenti formulazioni nel
siero rispetto al tempo, sono risultate pari a 8,03 µg/ml/h per AMX micronizzata, 9,40 µg/ml/h per AMX
commerciale e 15,07 µg/ml/h per AMX microincapsulata. Le biodisponibilità relative dei formulati micronizzato
e microincapsulato verso il formulato commerciale sono risultate essere 85,40% e 160,31% rispettivamente,
evidenziando un notevole miglioramento dell’assorbimento orale di AMX nella formulazione microincapsulata.
SUMMARY - In order to reduce the disadvantages linked to antimicrobial therapy to fish (poor absorption of
drugs, very high doses administered that ultimately ends up in the water environment) a research in seabass
(Dicentrarchus labrax) was undertaken with the purpose to improve the oral bioavailability of amoxicillin (AMX)
exploiting techniques of microencapsulation and micronization. The bioavailabilities of the drug from the
microencapsulated and micronized formulations added to feed were compared with this of commercial medicated
feed (AMX conventional). These medicated diets were fed at 1% of the biomass, so administering 80 mg/kg b.w.
as nominal doses of the antibacterial. Blood samples were collected at different intervals of time up to six days
after single administration and the sera obtained by centrifugation were analysed by HPLC methods. The area
under concentration-time curves (AUC) were found to be equal to 8.03 µg/ml/h for AMX micronized, 9.40
µg/ml/h for AMX conventional and 15.07 µg/ml/h for AMX microencapsulated. The improvement of the
bioavailability of AMX from the micro-encapsulated form was achieved as demonstrated by the relative
(encapsulated form vs. conventional one) F% value: 160.31% .
Key words: Amoxicillin; Seabass; Dicentrarchus labrax, Bioavailabilities; Microencapsulation; Micronization.
______________________________
* Corresponding Author: c/o Dipartimento di Patologia, Diagnostica e Clinica Veterinaria, Sezione di Scienze
Sperimentali e Biotecnologie Applicate, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Perugia, Via S.
Costanzo 4 - 06126 Perugia, Italy. Tel.: 075-5857605; Fax: 075-5857611; E-mail: [email protected].
203
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 203-210
INTRODUZIONE
Ancorché la tendenza dei ricercatori sia rivolta allo sviluppo di vaccini, alla terapia
antibatterica continua ad essere riconosciuto un ruolo importante nel controllo delle malattie
batteriche che causano gravi perdite nell’allevamento ittico. Non va tuttavia sottovalutato
che la risoluzione delle diverse patologie che colpiscono gli allevamenti ittici, legalmente
consentita solo attraverso l’impiego di idonei vaccini o di mangimi medicati, è strettamente
connessa, per quanto riguarda l’impiego del farmaco, ad un suo valido assorbimento
dall’intestino. Da un esame approfondito della letteratura a tal proposito si evince che
l’assorbimento dei farmaci dal tratto gastroenterico dei pesci è incompleto sia per la scarsa
lunghezza dell’intestino che, soprattutto, per il realizzarsi nella parte posteriore di questo
apparato. Inoltre, altri fattori chimico-fisici, quali in particolare le caratteristiche fisicochimiche del farmaco (pKa, lipo- e idrosolubilità, stabilità) e le variazioni di pH nei diversi
distretti intestinali che influenzano significativamente lo stato non-ionizzato/ionizzato del
farmaco, nonché la composizione della dieta in cui viene incluso il farmaco, concorrono in
alcuni casi in maniera rilevante a diminuirne l’assorbimento e, di conseguenza, anche
l’efficacia. Inoltre, la lisciviazione o “leaching” del farmaco nell’acqua da tutte le forme di
mangime medicato in aggiunta al fatto che circa il 20% del mangime medicato non viene
assunto dai pesci e si deposita nei sedimenti sottostanti le gabbie di contenimento delle
specie allevate “off-shore”, ne comporta una cospicua perdita, perdita destinata ad aumentare
in caso di somministrazione di antibiotici a scarsa appetibilità e come conseguenza di una
riduzione dell’appetito che spesso si associa a stati patologici. Tali situazioni giustificano la
necessità di impiegare dosaggi più elevati di farmaco in modo da sopperire al ridotto
assorbimento, alle varie cause di perdita e favorire un’adeguata assunzione anche nei
soggetti meno veloci a carpire l’alimento riferibile ad una sorta di “organizzazione
gerarchica” all’interno delle vasche dell’allevamento (Hustvedt et al., 1991; Smith, 1996;
Uno, 1996; Treves-Brown, 2000).
Tutti questi fattori concorrono a creare diverse problematiche, quali una maggiore
dispersione del farmaco nell’ambiente e il conseguente impatto ambientale, la riassunzione
del farmaco da parte dei pesci in corso di trattamento, un possibile incremento di quote
residuali nelle carni, il reperimento in concentrazioni più o meno significative ai fini della
sicurezza alimentare nei pesci selvatici, nonché la comparsa di farmacoresistenza.
Dalla letteratura emergono già alcuni studi intesi a migliorare la biodisponibilità dei
farmaci per uso ittico che coinvolgono soprattutto la formulazione del medicamento: dal tipo
di salificazione che rende più facilmente assorbibile la sulfadimetossina somministrata come
sale sodico, con una biodisponibilità nella trota del 63% rispetto al 34% della forma base
(Kleinov & Lech, 1988), all’impiego di tecniche più raffinate, rappresentate da processi di
micronizzazione che, riducendo le particelle di acido ossolinico a 1 µm di diametro rispetto
ai 6,4 µm del formulato standard, ne hanno comportato una biodisponibilità 1,7 volte
superiore a quella iniziale (Endo et al., 1987), o dall’impiego di capsule di gelatina
contenenti soluzioni metanoliche di ossitetraciclina, che hanno prodotto un netto
miglioramento della biodisponibilità orale del farmaco sia nel salmone che nella trota, con
percentuali pari al 24,84 e al 30,3% (Abedini et al., 1998).
In precedenti ricerche condotte con diverse matrici, quali acidi grassi saturi, polimeri
dell’amido, della pectina, dell’alginato e polisaccaridi naturali ionici e neutri si era
evidenziata una certa potenzialità delle matrici polisaccaridiche nel miglioramento della
biodisponibilità di ossitetraciclina (della Rocca et al., 1999; 2005).
Con il presente studio è stata intrapresa una ricerca nel branzino (Dicentrarchus labrax)
con lo scopo di valutare a seguito di somministrazione orale singola l’assorbimento di
204
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 203-210
amoxicillina micronizzata e microincapsulata e di compararlo a quello ottenuto fornendo ai
pesci il mangime normalmente medicato del commercio.
MATERIALI E METODI
Farmaco impiegato
Amoxicillina triidrata convenzionale e amoxicillina triidrata micronizzata sono state
prodotte da Industria Italiana Integratori TREI S.p.A. (Modena) con un grado di purezza del
99%.
La microincapsulazione di amoxicillina è stata effettuata da Polytech s.r.l. (Padriciano,
Trieste), che ha allestito un microincapsulato con un titolo in antibiotico del 38,46% p/p.
Allestimento del mangime medicato
Il mangime medicato è stato allestito dalla Ditta Hendrix S.p.A. (Mozzecane, VR)
utilizzando come supporto il mangime di base impiegato per la normale alimentazione delle
specie ittiche, i cui componenti sono costituiti da farina di pesce (51%), farina di soia (15%)
e, per il rimanente, farina di frumento, lecitine e olio di pesce. La Ditta stessa ha inoltre
fornito il mangime non medicato (Trouvit).
L’amoxicillina micronizzata e quella convenzionale sono state addizionate in quantità di 8
g/kg di mangime, mentre la microincapsulata in quantità di 21 g/kg per poter fornire in tutti i
casi un dosaggio nominale di 80 mg/kg p.c. in considerazione di un’alimentazione all’1%
della biomassa.
In tutte le prove il mangime normale o addizionato con le diverse formulazioni di
amoxicillina è stato dispensato mediante apparecchiatura automatica temporizzata.
Animali e trattamenti
360 branzini del peso compreso tra 200 e 400 g sono stati divisi in 3 grandi vasche
cilindriche in vetroresina con acqua di mare ossigenata a ricircolo continuo (contenuto di O2
pari a 8-10 ppm, salinità 30±1‰, temperatura 20±2°C) e sottoposti ad una settimana di
acclimatazione e tre giorni di digiuno. Nelle fasi precedenti e successive ai trattamenti i pesci
sono stati alimentati con mangime di base in quantità pari all’1% della biomassa.
Le somministrazioni singole dei tre differenti formulati di mangime medicato oggetto del
nostro studio sono state effettuate come di seguito riportato:
Gruppo I:
n° 120 branzini trattamento con amoxicillina triidrata
convenzionale (AMX com.)
Gruppo II:
n° 120 branzini trattamento con amoxicillina triidrata
microincapsulata (AMX inc.)
Gruppo III:
n° 120 branzini trattamento con amoxicillina triidrata
micronizzata (AMX micro.)
Il trattamento è stato condotto rispettando le reali condizioni di campo per variazione
ponderale.
Il mangime medicato è stato somministrato in un’unica soluzione alle ore 8 del mattino.
205
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 203-210
Prelievi
A scadenze prefissate, previa sedazione con tricaina metansulfonato (MS222; dose: 10
mg/l) per 8 minuti sono stati prelevati campioni di sangue dalla vena caudale di 10 pesci per
ciascun tempo di prelievo stabilito (30 minuti, 1, 2, 4, 6, 8, 10, 12, 24, 36 ore dopo il
trattamento); pool di sangue sono stati raccolti anche prima del trattamento per effettuare
degli “spiked” e ottenere la retta di taratura. Il contenimento ed il sacrificio dei pesci nelle
diverse prove è stato realizzato secondo i dettami della Direttiva del Consiglio CE 86/609
EEC, riconosciuta e adottata dalla legge italiana (DL 27/1/92, n. 116).
Successivamente al prelievo ciascun campione di sangue è stato sottoposto a
centrifugazione a 3500 rpm per 10 minuti e i sieri ottenuti sono stati conservati a -80°C per
consentire una perfetta stabilità del farmaco fino al momento delle analisi.
Trattamento dei campioni
L’antibiotico è stato estratto dal siero apportando alcune modifiche alla metodica descritta
da Miyazaki et al. (1983). 500 µl di siero sono stati addizionati di 2 ml di acqua distillata e
1,5 ml di acido tricloroacetico 10%, vortexati e centrifugati a 3000 rpm per 5 minuti Tre ml
di surnatante sono stati prelevati, addizionati di 500 µl di NaOH 2N e lasciati a temperatura
ambiente per 5 minuti, quindi sono stati neutralizzati con 500 µl di HCl 2N.
E’ stata quindi effettuata una derivatizzazione mediante aggiunta di 2 ml di Na2HPO4 0,5M
+ 0,002% HgCl2 (soluzione finale: pH 6) e incubazione in bagno a 50°C per 30 minuti
Si è quindi proceduto all’estrazione con 4 ml di etilacetato; 3 ml di estratto sono stati
portati a secco in evaporatore rotante a 40°C. Il residuo è stato ripreso in 150 µl di MeOH e
iniettato in HPLC in ragione di 30 µl.
Condizioni cromatografiche
Le condizioni cromatografiche hanno previsto l’impiego di un sistema HPLC
comprendente una pompa 126, un autocampionatore 507 con loop da 100 µl (Beckman, San
Ramon, California, USA), un detector fluorimetrico Shimadzu RF-551 (Shimadzu, Kyoto,
Japan) settato a λex 355nm e λem 435nm, una colonna analitica Gemini C18 (5 µm, 250 mm x
4,6 mm ID, Phenomenex) munita di precolonna Gemini C18 (5 µm, 3 mm x 4,6 mm ID)
entrambe mantenute a 30°C. La fase mobile era costituita da MeOH/ H2O (60:40, v:v) e il
flusso pari a 1 ml/minuto.
Retta di calibrazione
Soluzioni standard di AMX a varie concentrazioni sono state preparate in MeOH e
utilizzate per ottenere la retta di taratura per AMX (range 0,025-1 µg/ml), allestite
aggiungendo le soluzioni standard a siero “drug-free”. Le aree dei picchi di AMX ottenute e
le corrispondenti concentrazioni nominali sono state usate per definire l’equazione della retta
di calibrazione, di questa si è calcolato il valore del coefficiente di correlazione quadrato (R2
= 0,9998). I valori di accuratezza sono risultati compresi tra 96,75 e 120,40%, quelli del
coefficiente di variazione inter-day tra 4,06 e 16,43% e il limite di quantificazione (LOQ) è
risultato essere di 25 ppb (Tabella 1).
La concentrazione di AMX nei campioni di siero dei pesci trattati è stata calcolata
dall’equazione della corrispondente curva di calibrazione.
206
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 203-210
LOD
LOQ
Concentrazioni
0,025
0,025
(µg/ml)
(µg/ml)
0,025 (µg/ml) (n=3)
0,05 (µg/ml) (n=3)
0,1 (µg/ml) (n=4)
0,5 (µg/ml) (n=4)
0,5 (µg/ml) (n=5)
1 (µg/ml) (n=3)
Accuratezza
(%)
120,40
105,63
99,68
96,75
99,56
100,27
Interday
C.V. (%)
11,79
16,43
9,91
13,44
11,84
4,06
Tabella 1 – Limite di determinazione (LOD), limite di quantificazione (LOQ), accuratezza e coefficiente
di variazione inter-day della metodica analitica.
Table 1 – Limit of determination (LOD), limit of quantitation (LOQ), accuracy and inter-day coefficients
of variation of analytical method.
Analisi farmacocinetica
Per il calcolo dell’Area Sotto la Curva (AUC) è stata applicata la regola dei trapezoidi
(Trapezoidal & Simson’s Rules- Pharmacologic Calculation System – Version 4.0 – 1999).
La biodisponibilità relativa (Frel) è stata calcolata secondo la seguente formula:
Frel = 100*AUCmicro o inc /AUCcom
RISULTATI
L’appetibilità del mangime medicato è apparsa buona, non avendo riscontrato rigetto dei
pellets ingeriti.
Le proiezioni delle concentrazioni sieriche medie ± errore medio standard (S.E.M.)
rilevate nel siero di branzino con i diversi formulati orali sono visualizzate nella Figura 1.
I valori delle aree sotto la curva (AUC) sono risultati pari a 8,03 µg/ml/h per AMX
micronizzata, 9,40 µg/ml/h per AMX commerciale e 15,07 µg/ml/h per AMX
microincapsulata (Figura 2).
Le biodisponibilità relative dei formulati micronizzato e microincapsulato verso il
formulato commerciale sono risultate essere 85,40% e 160,31% rispettivamente.
207
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 203-210
1,6
COMMERCIALE
MICRONIZZATA
1,4
MICROINCAPSULATA
1,2
0,8
0,6
0,4
0,2
0
0,5
1
2
4
6
8
10
12
24
36
ore
Figura 1 – Andamento delle concentrazioni sieriche medie ± S.E.M. di AMX commerciale, micronizzata
e microincapsulata in branzini a seguito di somministrazione orale.
Figure 1 – Mean serum concentrations ± S.E.M of AMX in sea bass following single oral administration
of commercial, micronized and microencapsulated formulations.
MICRONIZZATA
1,2
COMMERCIALE
1
conc (µg/ml)
conc (µg/ml)
1
MICROINCAPSULATA
0,8
0,6
0,4
AUC= 9.40
AUC= 15.07
0,2
0
0,5
1
AUC= 8.03
2
4
6
ORE
8
10
12
24
36
Figura 2 – AUC relative alle formulazioni commerciale, micronizzata e microincapsulata
in branzini a seguito di somministrazione orale.
Figure 2 – AUCs in sea bass following single oral administration of commercial, micronized
and microencapsulated formulations.
208
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 203-210
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
L’approccio farmacocinetico volto a valutare la biodisponibilità del farmaco nelle due
particolari formulazioni allestite, ha consentito di delinearne un maggiore assorbimento dalla
forma microincapsulata rispetto a quella micronizzata, come dimostra l’area sotto la curva
concentrazione-tempo pressoché doppia e a quella del commercio. Per quanto riguarda il
micronizzato, l’assorbimento è risultato insoddisfacente in quanto l’area sotto la curva
risulta, anche se di poco, addirittura inferiore a quella della formulazione convenzionale.
Si ritiene che tali differenze non possano essere imputate a fattori ambientali o a condizioni
di stabulazione, dal momento che i vari gruppi di branzini erano stabulati nelle stesse
condizioni e a temperature comprese fra 25 e 28°C. Per quanto concerne la variabilità
ponderale, i branzini sono stati immessi nelle vasche in modo da avere una variabilità
pressoché analoga in tutti i gruppi, che riproducesse la variabilità presente nelle vasche
dell’allevamento. Dalla figura 1, che presenta l’andamento delle concentrazioni sieriche di
amoxicillina ai diversi tempi di prelievo, si rileva una grande fluttuazione dei livelli del
farmaco nel periodo di campionamento. Considerando che la somministrazione del farmaco
è stata fatta per somministrazione unica e che ogni gruppo costituisce un numero di branzini
diversi dagli altri gruppi sacrificati ad ogni “collection-time”, queste fluttuazioni sono
interpretabili esclusivamente sulla base di variazioni soggettive di ingestione del mangime
medicato.
Nel valutare la biodisponibilità si è ritenuto più attendibile operare nelle condizioni del
reale impiego in campo piuttosto che effettuare la sperimentazione mediante intubazione
gastrica: infatti questa pratica può inficiare il risultato in quanto i pesci rivelano stress e
rigurgitano il mangime anche sotto lieve sedazione.
Dai risultati dei nostri studi è possibile concludere che la formulazione di AMX
microincapsulata testata ha fornito risultati incoraggianti ancorché da confermare con
ulteriori studi e prove di efficacia in campo. Ad una miglior biodisponibilità di un farmaco
infatti può seguire una riduzione dei dosaggi utilizzati ed una conseguente diminuzione
dell’impatto ambientale che può derivare dall’impiego di chemioterapici, problematica che
attualmente desta particolare interesse.
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210
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 211-219
Parassitofauna di Scomber scombrus L.
pescato nel Mar Adriatico e
Scomber japonicus Houttuyn d’importazione
The parasite fauna of Scomber scombrus L.
caught off the Adriatic Sea and
of imported Scomber japonicus Houttuyn
Giuseppe Paladini 1*, Lucia Tarsi 2,
Diana Minardi 2, Maria Letizia Fioravanti 2
1
Institute of Aquaculture, University of Stirling, Stirling, FK9 4LA, Scotland, UK; 2 Dipartimento di Sanità
Pubblica Veterinaria e Patologia Animale, Via Tolara di Sopra, 50 – 40064 Ozzano Emilia (BO), Italy.
______________________________
RIASSUNTO - Da gennaio a settembre 2007 è stata condotta un’indagine parassitologica volta a studiare la
parassitofauna di due specie ittiche della famiglia Scombridae d’interesse commerciale in Italia, Scomber
scombrus L. e Scomber japonicus Houttuyn. Sono stati esaminati in totale 65 esemplari di taglia compresa tra 24
e 30 cm, in particolare 35 S. scombrus pescati nel mar Adriatico e 30 S. japonicus provenienti da areali atlantici
della Spagna. Gli esami parassitologici hanno permesso di evidenziare la presenza di almeno una specie
parassitaria in 48 (73,8%) dei 65 soggetti esaminati, con una percentuale di positività del 100% in S. japonicus e
del 51,4% in S. scombrus. In entrambe le specie sono stati reperiti stadi larvali di nematodi Anisakidae del genere
Anisakis in sede viscerale, monogenei Mazocraeidae della specie Kuhnia scombri a livello branchiale e crostacei
copepodi del genere Caligus adesi al lato interno dell’opercolo. Solo in S. japonicus sono stati individuati coccidi
della specie Goussia clupearum a livello epatico ed un unico esemplare di digeneo della specie Opechona
bacillaris a livello intestinale, mentre solo in S. scombrus si sono osservati digenei Didymozoidae del genere
Nematobothrium a livello branchiale. I risultati di questa indagine hanno messo in luce alcune differenze tra la
parassitofauna di S. scombrus pescati in Italia e quella di S. japonicus d’importazione, con presenza di maggiori
problematiche parassitologiche negli sgombri d’importazione, soprattutto in relazione ai monogenei della specie
Kuhnia scombri ed ai coccidi epatici, nonché a parassiti zoonosici quali i nematodi del genere Anisakis.
SUMMARY - From January to September 2007 a parasitological survey aimed at studying the parasite fauna of
two commercially valuable scombrid species, i.e. Atlantic mackerel (Scomber scombrus L.) and chub mackerel
(Scomber japonicus Houttuyn), was carried out. A total of 65 fish (total length ranging from 24 to 30 cm) was
examined, in particular 35 specimens of S. scombrus caught off the Adriatic Sea and 30 specimens of
S. japonicus from Atlantic areas of Spain. Parasitological examination showed the presence of at least one
parasite species in 48 (73.8%) out of 65 fish examined, with a prevalence of 100% in S. japonicus and 51.4% in
S. scombrus. In both the host species the following parasites were found: larval stages of anisakid nematodes of
the genus Anisakis in the visceral area, mazocraeid monogeneans belonging to the species Kuhnia scombri in the
gills and copepod crustaceans of the genus Caligus attached to the internal side of the opercula. In S. japonicus
only, coccidia belonging to the species Goussia clupearum and a single specimen of the digenean Opechona
bacillaris were recovered respectively in liver and gut, while only in S. scombrus didymozoid digeneans of the
genus Nematobothrium were found in the gills. This survey has revealed several differences between the parasite
fauna of Italian S. scombrus and that of imported S. japonicus. The latter showed higher intensities of the
monogenean Kuhnia scombri and of hepatic coccidians, as well as of zoonotic parasites such as nematodes
belonging to the genus Anisakis.
Key words: Scomber scombrus; Scomber japonicus; Parasites; Italy; Spain.
______________________________
* Corresponding Author: c/o Institute of Aquaculture, University of Stirling, Stirling, FK9 4LA, Scotland, UK.
Tel: +44 1786 467874; Fax: +44 1786 472133; E-mail: [email protected].
211
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 211-219
INTRODUZIONE
Lo sgombro Scomber scombrus L. ed il lanzardo Scomber japonicus Houttuyn sono due
specie ittiche marine di notevole interesse commerciale ampiamente distribuite nell’Oceano
Atlantico settentrionale e nel Mar Mediterraneo. Entrambe le specie sono pelagiche,
migratorie e gregarie, pur presentando notevoli differenze di carattere biologico. In Italia
vengono commercializzati prevalentemente esemplari di S. scombrus di provenienza
nazionale e S. japonicus d’importazione pescati in areali dell’Atlantico nord-orientale.
Negli ultimi decenni studi di genetica di popolazione condotti su S. scombrus hanno
dimostrato l’esistenza di una separazione riproduttiva tra gli stock (sub-popolazioni)
distribuiti lungo l’asse occidentale-orientale del mar Mediterraneo, con segregazioni evidenti
anche tra quelli presenti nell’Adriatico (Zardoya et al., 2008). Parimenti S. japonicus, pur
presentando una notevole omogeneità delle popolazioni del Mediterraneo occidentale e
dell’Atlantico orientale, mostrerebbe una separazione genetica degli stock presenti negli
areali dell’atlantico occidentale (Scoles et al., 1998), come già suggerito dai risultati delle
ricerche di MacKenzie (1983), che aveva individuato notevoli differenze nella composizione
della parassitofauna di tre diversi stock di S. japonicus pescati in questi distretti atlantici.
Recentemente Oliva et al. (2008) hanno utilizzato lo studio della parassitofauna di
esemplari di S. japonicus pescati lungo le coste atlantiche e pacifiche dell’America
meridionale ed intorno all’arcipelago di Madeira (Portogallo) per supportare questioni di
carattere tassonomico già evidenziate da analisi di tipo molecolare condotte da Infante et al.
(2006). In base a queste ricerche, lo stato tassonomico del genere Scomber andrebbe rivisto e
la distribuzione di S. japonicus in areali atlantici e pacifici andrebbe in realtà riferita a specie
filogeneticamente diverse.
Il genere Scombrus sembra quindi prestarsi, così come già dimostrato per altri generi di
teleostei marini quali ad esempio Merluccius (vedi Szidat, 1955), alla conduzione di ricerche
di carattere parassitologico volte a meglio comprenderne la struttura di popolazione, le vie
migratorie, la distribuzione geografica e l’assetto tassonomico.
Vengono qui presentati i risultati di un’indagine preliminare volta a caratterizzare la
parassitofauna di sgombri nazionali e d’importazione per individuare i parassiti che
potrebbero essere indicatori di specie/provenienza e, al contempo, rilevare gli indici di
presenza di parassiti zoonosici che potrebbero rappresentare un rischio per il consumatore.
MATERIALI E METODI
La presente indagine parassitologica, realizzata al fine di definire la parassitofauna di due
specie ittiche appartenenti alla famiglia Scombridae, e più precisamente Scomber scombrus e
Scomber japonicus, si è svolta da gennaio a settembre 2007.
Sono stati condotti 20 campionamenti, per un totale di 65 esemplari. Sono stati analizzati
in particolare 35 soggetti di S. scombrus, tutti di provenienza nazionale, prelevati presso
l’Azienda Adler di Cesenatico (FC), la Cooperativa Sena di Senigallia (AN) ed il mercato
ittico di Giulianova (TE), e 30 soggetti di S. japonicus d’importazione provenienti dalla
Spagna (areali di pesca atlantici – FAO27) e prelevati presso l’Azienda Adler di Cesenatico
(FC). Tutti i soggetti erano di taglia compresa tra 24 e 30 cm.
Nella tabella seguente (Tabella 1) vengono schematizzati i campionamenti effettuati in
relazione a specie ittica, periodo di prelievo e provenienza.
212
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 211-219
Periodo
Febbraio 2007
Marzo 2007
Aprile 2007
Maggio 2007
Giugno 2007
Giugno 2007
Luglio 2007
Luglio 2007
Settembre 2007
Settembre 2007
Numero
campionamenti
3
2
3
4
1
1
1
2
2
1
Provenienza
Specie ittica
Spagna
Spagna
Spagna
Spagna
Giulianova (TE)
Spagna
Cesenatico (FC)
Spagna
Senigallia (AN)
Spagna
Scomber japonicus
S. japonicus
S. japonicus
S. japonicus
Scomber scombrus
S. japonicus
S. scombrus
S. japonicus
S. scombrus
S. japonicus
Numero
soggetti esaminati
6
2
6
6
10
4
10
4
15
2
Tabella 1 – Campionamenti di Scomber japonicus importati dalla Spagna (oceano Atlantico)
e Scomber scombrus provenienti dal Mar Adriatico.
Table 1 – Samples of Scomber japonicus imported from Spain (Atlantic Ocean) and
Scomber scombrus from the Adriatic Sea.
Su tutti i soggetti esaminati si è condotto un esame visivo volto al rilievo di eventuali
macroparassiti esterni e/o di lesioni, quindi si è proceduto all’asportazione degli opercoli ed
all’esame macroscopico e microscopico delle camere branchiali e delle branchie.
Successivamente si è proceduto all’apertura della cavità addominale ed all’esame
macroscopico del pacchetto viscerale, quindi all’esame microscopico a fresco mediante
raschiamento/compressione di porzioni di organi interni.
I parassiti reperiti venivano isolati, puliti in soluzione fisiologica, fissati in alcool etilico
70% e successivamente chiarificati in glicerina o lattofenolo di Amman per lo studio delle
loro caratteristiche morfologiche. L’identificazione a livello di genere e/o specie è stata
raggiunta mediante utilizzo di specifiche chiavi tassonomiche riportate in letteratura.
RISULTATI
Gli esami parassitologici hanno permesso di evidenziare la presenza di almeno una specie
parassitaria in 48 (73,8%) dei 65 soggetti di sgombro esaminati. Va però evidenziato come,
scorporando i risultati relativi alle due diverse specie ittiche, la percentuale di positività per
parassiti sia stata pari al 100% in S. japonicus e notevolmente inferiore (51,4%) in S.
scombrus (Tabelle 2 e 3).
Nel corso dell’indagine solo in soggetti di S. japonicus sono stati individuati coccidi del
genere Goussia a livello epatico (Figura 1 a-b) ed un digeneo del genere Opechona a livello
intestinale (Figura 1 c), mentre digenei Didymozoidae del genere Nematobothrium sono stati
reperiti a livello branchiale in S. scombrus. I seguenti parassiti sono stati invece osservati in
entrambe le specie ittiche: stadi larvali di nematodi Anisakidae del genere Anisakis in sede
viscerale (Figura 1 i-j), monogenei Mazocraeidae del genere Kuhnia a livello branchiale
(Figura 1 d-h) e crostacei copepodi del genere Caligus adesi al lato interno dell’opercolo.
Nella tabella 2 vengono riportati nel dettaglio i risultati relativi ai reperti parassitari
riscontrati nelle due specie ittiche esaminate, in relazione al mese di campionamento.
213
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 211-219
Mese /
specie ittica
Coccidia
Nematoda
Monogenea
Digenea
Crustacea
Anisakis sp.
Kuhnia scombri
-
Caligus sp.
Anisakis sp.
Kuhnia scombri
-
Mar / S.j.
Goussia
clupearum
-
Apr / S.j.
-
Anisakis sp.
Kuhnia scombri
Mag / S.j.
-
Anisakis sp.
Kuhnia scombri
Giu / S.s.
-
Anisakis sp.
Kuhnia scombri
Giu / S.j.
Lug / S.s.
Goussia
clupearum
-
Anisakis sp.
-
Kuhnia scombri
-
Opechona
bacillaris
Nematobothrium
sp.
-
Anisakis sp.
Kuhnia scombri
-
-
-
Kuhnia scombri
Kuhnia scombri
-
Caligus sp.
Caligus sp.
Feb / S.j.
Lug / S.j.
Set / S.s.
Set / S.j.
Caligus sp.
Caligus sp.
Tabella 2 – Parassiti reperiti in Scomber japonicus (S.j.) provenienti da areali atlantici della Spagna e in
S. scombrus (S.s.) pescati nel Mar Adriatico, divisi per mese di campionamento.
Table 2 – Parasites collected on Scomber japonicus (S.j.) from Atlantic areas of Spain and on S. scombrus (S.s.)
collected from the Italian coast of Adriatic Sea, ordered by sampling period.
La presenza di nematodi Anisakidae e di monogenei del genere Kuhnia è stata osservata
nel corso di tutto il periodo di campionamento, ad eccezione dei campioni di S. scombrus
prelevati in luglio a Cesenatico e dei campioni di entrambe le specie esaminati in settembre,
per quanto riguarda solo i parassiti del genere Anisakis. I parassiti appartenenti agli altri
gruppi tassonomici, contrariamente, non hanno mostrato un andamento costante durante
l’anno (Tabella 2).
Dalla tabella 3 si evince come in S. japonicus d’importazione sia stata osservata
un’altissima prevalenza di nematodi Anisakidae del genere Anisakis (93,3%) e di monogenei
appartenenti alla specie Kuhnia scombri (Kuhn, 1829) Sproston, 1945 (93,3%), mentre solo
3 soggetti (10%) sono risultati positivi per crostacei caligidi del genere Caligus e per coccidi
della specie Goussia clupearum (Thélohan, 1894) Reichenow, 1921 a livello epatico.
Infine, un singolo esemplare di digeneo Lepocreadiidae, identificato come Opechona
bacillaris (Molin, 1859) Dollfus, 1927, è stato reperito a livello intestinale in un unico
soggetto (3,3%).
In S. scombrus di provenienza nazionale è stata invece rilevata, in generale, una minore
prevalenza ed una minore intensità di infestazione (N. parassiti/soggetto positivo). In
particolare, larve di Anisakis sp. e monogenei della specie Kuhnia scombri sono stati reperiti
rispettivamente nel 17,1% e nel 8,6% dei soggetti esaminati.
Crostacei copepodi del genere Caligus e digenei Didymozoidae del genere
Nematobothrium sono stati invece osservati rispettivamente nel 20,0% e nel 17,1%. In questa
specie ittica non sono mai stati reperiti coccidi a livello epatico.
214
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 211-219
Parassiti reperiti
Localizzazione
Anisakis sp.
Caligus sp.
Goussia clupearum
Kuhnia scombri
Opechona bacillaris
Cavità corporea
Branchie
Fegato
Branchie
Intestino
Anisakis sp.
Caligus sp.
Kuhnia scombri
Nematobothrium sp.
Cavità corporea
Branchie
Branchie
Branchie
N. positivi /
totale
Prevalenza
Intensità media (N.
parassiti/ospite)
Scomber japonicus - Spagna
28/30
3/30
3/30
28/30
1/30
93,3%
10,0%
10,0%
93,3%
3,3%
15,04
2,66
++
6,29
1
Scomber scombrus - Italia
6/35
7/35
3/35
6/35
17,1%
20,0%
8,6%
17,1%
7,16
5,57
1,33
8,83
Tabella 3 – Dati quantitativi relativi ai parassiti reperiti in Scomber japonicus e Scomber scombrus.
Table 3 – Quantitative data of parasites collected on Scomber japonicus and Scomber scombrus.
In relazione all’identificazione dei parassiti riscontrati, non è stato possibile condurre
un’identificazione a livello di specie su base morfologica delle larve di Anisakis sp., dei
crostacei copepodi del genere Caligus, in esiguo numero e spesso rovinati, e dei digenei
Didymozoidae del genere Nematobothrium, che venivano reperiti sotto forma di piccole cisti
giallastre di difficile isolamento dal tessuto branchiale.
Per quanto concerne i monogenei branchiali, lo studio morfologico condotto sulle
caratteristiche delle strutture dell’opisthaptor ha permesso di identificarli come Kuhnia
scombri, monogeneo poliopistocotileo della famiglia Mazocraeidae già frequentemente
descritto negli sgombri pescati in diversi areali marini temperati (Cremonte & Sardella,
1997; Alves et al., 2003; Costa et al., 2007) e ritenuto un parassita specifico all’interno del
genere Scombrus, ma comune alle diverse specie appartenenti a questo genere (Oliva et al.,
2008).
In base alle osservazioni morfometriche condotte sugli esemplari di Kuhnia scombri
raccolti nel corso dell’indagine è stato quindi possibile effettuare una comparazione con la
morfologia e le misure fornite per questa specie da Sproston (1945), trovando una eccellente
corrispondenza (dati non presentati) e permettendo di operare una differenziazione dalle altre
specie descritte in Scomber spp.
Per quanto concerne l’unico esemplare di digeneo Lepocreadiidae identificato come
Opechona bacillaris è stato possibile condurre l’identificazione grazie alle chiavi
tassonomiche riportate da Bray & Gibson (1997) ed alle numerose segnalazioni su sgombri
in diversi areali marini (Bray & Gibson, 1990; Cremonte & Sardella, 1997, Shukhgalter &
Rodjuk, 2007).
Infine, in relazione ai coccidi reperiti nel fegato di alcuni soggetti di S. japonicus, le misure
e le caratteristiche morfometriche dell’oocisti e della sporocisti li hanno fatti riferire alla
specie Goussia clupearum, già descritta nello sgombro e in altre specie ittiche anche sotto il
vecchio nome Eimeria clupearum in diverse aree geografiche (Gaevskaya et al., 1985; Jones,
1990).
215
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 211-219
TAVOLA 1 – PLATE 1
Figura 1 – a-b, oocisti di Goussia clupearum a fresco da fegato di Scomber japonicus; c, Opechona bacillaris da
intestino di S. japonicus; d-h, Kuhnia scombri da Scomber scombrus: d, zona cefalica del prohaptor composto da
due ventose orali, bulbo faringeo e atrio genitale (freccia); e, opisthaptor composto da quattro paia di clamps
laterali, due hamuli e due uncini marginali posti al centro degli hamuli; f, hamuli ed uncini marginali; g, clamp; h,
atrio genitale; i-j, larva di terzo stadio di Anisakis sp. da S. japonicus.
Figure 1 – a-b, oocysts of Goussia clupearum wet-mounted from the liver of Scomber japonicus; c, Opechona
bacillaris from the gut of S. japonicus; d-h, Kuhnia scombri from Scomber scombrus: d, prohaptor composed by
two oral suckers, the pharyngeal bulb and the genital atrium (arrow); e, opisthaptor composed by four pairs or
lateral clamps, two hamuli and two small marginal hooks in the middle; f, hamuli and marginal hooks; g, clamp;
h, genital atrium; i-j, third stage larvae of Anisakis sp. from S. japonicus.
216
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 211-219
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
I risultati di questa indagine hanno messo in luce notevoli differenze tra la parassitofauna
degli sgombri della specie S. scombrus pescati in Italia e quella dei soggetti di S. japonicus
d’importazione. Tali differenze indicano in linea generale la presenza di maggiori
problematiche parassitologiche negli sgombri d’importazione, soprattutto in relazione a
parassiti zoonosici quali i nematodi Anisakidae del genere Anisakis, che in S. japonicus sono
risultati essere presenti nel 93,3% dei soggetti esaminati, a differenza degli sgombri
nazionali in cui si è osservata una percentuale di positività del 17,1%, peraltro riferibile solo
ai soggetti provenienti dal mercato ittico di Giulianova (TE).
Anche per quanto riguarda i monogenei Mazocraeidae appartenenti alla specie Kuhnia
scombri, gli sgombri d’importazione hanno evidenziato una percentuale di positività molto
più elevata rispetto agli sgombri nazionali (93,3% vs. 8,6%), maggiore anche rispetto alle
prevalenze osservate in sgombri pescati in areali atlantici dell’America meridionale (Rego et
al., 1985; Cremonte & Sardella, 1997). Il reperto di K. scombri sia in S. scombrus sia in S.
japonicus provenienti da diverse aree geografiche conferma il carattere cosmopolita di
questa specie parassitaria nel genere Scomber come descritto da Oliva et al. (2008).
Alla luce dei risultati di questa indagine preliminare, la presenza di coccidi della specie
Goussia clupearum e di digenei della specie Opechona bacillaris solo in S. japonicus
d’importazione potrebbe rappresentare un elemento utile a differenziare la composizione
della parassitofauna delle due specie ittiche prese in considerazione. Per quanto concerne i
digenei Didymozoidae del genere Nematobothrium, reperiti solo in soggetti di S. scombrus
provenienti da mari nazionali, andranno condotte indagini più estese per meglio definirne la
diffusione in S. japonicus d’importazione, considerando che Oliva et al. (2008) riportano
prevalenze del 27,8% per N. scombri in areali atlantici prossimi all’arcipelago di Madeira.
Inoltre ulteriori ricerche utili a definire i fattori biotici condizionanti la trasmissione e la
diffusione di questi parassiti nelle popolazioni di sgombri degli areali mediterranei ed
atlantici potrebbero aiutare in futuro a meglio definire il loro possibile utilizzo quali bioindicatori.
Per quanto concerne gli sgombri di provenienza nazionale, va poi messo in evidenza come,
parimenti ai nematodi del genere Anisakis, i digenei Didymozoidae siano stati riscontrati
solo negli sgombri provenienti dal mercato ittico di Giulianova (TE), mentre tutti gli altri
sono risultati negativi. Campionamenti più cospicui di sgombri condotti da diversi areali
potrebbero essere utili a definire la parassitofauna di questa specie ittica in relazione alla
presenza di differenti sub-popolazioni nel mar Adriatico, anche alla luce dei risultati delle
ricerche di Scoles et al. (1998) e di Zardoya et al. (2004) che indicherebbero l’esistenza di
popolazioni distinte di S. scombrus negli areali centro-settentrionali e meridionali adriatici.
La completa negatività per parassiti evidenziata negli sgombri pescati a Cesenatico (FC)
supporterebbe questa ipotesi, indicando una situazione completamente diversa per quanto
concerne la parassitofauna degli sgombri presenti nei diversi areali costieri adriatici e
suggerendo di condurre in futuro campionamenti più cospicui sulle popolazioni di sgombri
distribuite lungo le coste adriatiche.
Va poi evidenziato come, sebbene la parassitofauna degli sgombri nazionali e
d’importazione sia risultata in linea generale piuttosto simile per quanto concerne i taxa
parassitari riscontrati (ad eccezione di coccidi e digenei), differenze macroscopiche siano
emerse nella valutazione dei dati quantitativi (prevalenza ed intensità d’infestazione) relativi
alle infestazioni sostenute da Kuhnia scombri e da stadi larvali di Anisakis sp.
In riferimento a quest’ultimo parassita, S. japonicus ha mostrato una prevalenza pari al
100% ed una intensità d’infestazione media intorno a 15 parassiti/ospite, indicando come i
maggiori rischi zoonosici siano legati a questo prodotto d’importazione.
217
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 211-219
Le differenze di positività per larve di Anisakis sp. evidenziate nei campioni di sgombri
provenienti da diverse zone del Mar Adriatico indicano comunque la necessità di
approfondire le indagini volte a definire la presenza/diffusione di questo parassita zoonosico
nei diversi areali di pesca, in modo da meglio caratterizzare il prodotto ittico nazionale anche
ai fini dell’applicazione di piani di autocontrollo.
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ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 220
220
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 221-228
Presenza di Photobacterium damselae subsp. damselae
e Photobacterium damselae subsp. piscicida
in cefali del fiume Magra (Italia)
Detection of Photobacterium damselae subsp. damselae
and Photobacterium damselae subsp. piscicida
in mullets caught in the Magra River (Italy)
Laura Serracca 1*, Carlo Ercolini 1, Irene Rossini 1,
Roberta Battistini 1, Ilaria Giorgi 2, Marino Prearo 2
1
Laboratorio di Microbiologia Marina, Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle
d’Aosta, Via degli Stagnoni, 96 - 19136 La Spezia; 2 Laboratorio Specialistico di Ittiopatologia, Istituto
Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna, 148 - 10154 Torino.
______________________________
RIASSUNTO - Con il presente lavoro si è valutata la presenza in Mugilidi prelevati dal fiume Magra di due
microrganismi, Photobacterium damselae subsp. piscicida e Photobacterium damselae subsp. damselae,
considerati la possibile causa di passate epidemie epizootiche in Italia. Duecentosettantotto Mugilidi sono stati
raccolti nel corso di un monitoraggio di due anni (2008-2009) e analizzati mediante multiplex PCR. Durante il
monitoraggio, il 57% dei pesci è risultato positivo per Photobacterium damselae subsp. piscicida e il 37% per
Photobacterium damselae subsp. damselae, con una presenza maggiore nei mesi estivi, anche se nessuno dei
pesci analizzati mostrava segni clinici di malattia.
Sulla base dei dati ottenuti possiamo concludere che le due sottospecie di Photobacterium sono sempre presenti
in un gran numero di individui nella popolazione di Mugilidi indagata e possono quindi essere la causa di un
eventuale focolaio epidemico nella zona studiata.
SUMMARY - In the present study, we assessed the occurrence of Photobacterium damselae subsp. piscicida and
Photobacterium damselae subsp. damselae, in mullets caught in the Magra River, considered to be the possible
reason of past epizootic outbreaks in mullets caught by Magra river in Italy. Two hundred and seventy-eight
mullets were collected during a monitoring of two years (2008-2009) and analyzed using multiplex PCR. During
the two years of monitoring, 57% of fishes were positive for Photobacterium damselae subsp. piscicida and 37%
for Photobacterium damselae subsp. damselae with an higher presence in summer months although none of PCR
positive mullets showed clinical signs of disease.
Based on the obtained data we can conclude that the two subspecies of Photobacterium are always present in a
large number of individuals in the studied mullet population and they are therefore a possible outbreak cause in
the investigated area.
Key words: Photobacterium damselae subsp. piscicida; Photobacterium damselae subsp. damselae; Mullets;
Multiplex PCR; Monitoring.
______________________________
* Corresponding Author: c/o Laboratorio di Microbiologia Marina, Istituto Zooprofilattico Sperimentale del
Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via degli Stagnoni, 96 - 19136 La Spezia – Italia. Tel.: 0187507370;
Fax: 0187500308; E-mail: [email protected].
221
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 221-228
INTRODUZIONE
La specie Photobacterium damselae è comunemente suddivisa in due sottospecie:
Photobacterium damselae subsp. damselae (Pdd) e Photobacterium damselae subsp.
piscicida (Pdp).
Photobacterium damselae subsp. damselae è stato principalmente descritto come la causa
di mortalità nel rombo e in un certo numero di altre specie di pesci nel Mediterraneo (Fouz et
al., 1992; Labella et al., 2006; Pedersen et al., 2008; 2009) e può essere anche patogeno per i
mammiferi, compresi gli esseri umani (Clarridge & Zighelboim-Daum 1985). La virulenza
dei microrganismi isolati è altamente dipendente dalla temperatura; è noto infatti che questo
microrganismo preferisce l'acqua calda, tra 13°C e 20 °C (Pedersen et al., 2009). Questa
caratteristica aiuta a spiegare il fatto che Pdd è stato isolato dalla trota iridea allevata in
acqua di mare, principalmente durante la stagione estiva. Indagini svolte, in periodi con
temperature più alte rispetto a quelle avvenute durante la stagione invernale nel Nord
Europa, hanno indicato che Pdd è in grado di sopravvivere in acqua di mare e sedimenti e
restare infettivo per lunghi periodi con la capacità di essere trasmesso a pesci suscettibili
(Fouz et al., 1998; 2000).
Photobacterium damselae subsp. piscicida (precedentemente conosciuto come Pasteurella
piscicida) è un batterio gram-negativo a forma bastoncellare che causa una malattia nel pesce
nota come Pasteurellosi o fotobatteriosi; nella forma cronica è caratterizzata dalla presenza
di noduli granulomatosi di color bianco panna o tubercoli biancastri in vari organi interni,
composti da masse di cellule batteriche, cellule epiteliali e fibroblasti. I noduli sono più
caratteristici nei visceri interni, in particolar modo in rene e milza e l'infezione è
accompagnata da una diffusa necrosi interna (Romalde, 2002; Barnes et al., 2005). Gli unici
segni clinici esterni che vengono spesso osservati sono anoressia, melanosi e necrosi
localizzata alle branchie; queste lesioni sono generalmente assenti nella forma acuta.
Il primo focolaio europeo di Fotobatteriosi è stato riportato da alcuni ricercatori italiani nel
1990 (Ceschia et al., 1990; 1991); nell'estate dello stesso anno una grave epizoozia si è
verificata in una popolazione di Mugilidi del fiume Magra, nel nord-ovest d'Italia. Il focolaio
interessò l’intero tratto delle acque di transizione del fiume che si estendono per circa sette
chilometri con una durata di circa due mesi e con una mortalità di parecchie tonnellate di
pesce. Gli accertamenti microbiologici portarono all’isolamento e all’identificazione di un
batterio allora denominato Pasteurella piscicida e successivamente Photobacterium
damselae subsp. piscicida, ritenuto esotico per l’Italia, ma che in altri areali era stato
frequentemente associato ad imponenti morie ittiche (Ercolini et al., 1991). Negli anni
successivi la patologia non si è più manifestata in forma così eclatante, ma solo con focolai
sporadici di piccola entità, sino al 2006-2007, anni in cui la patologia si è ripresentata con
effetti disastrosi.
Fattori abiotici quali l'inquinamento organico ed inorganico delle acque, artificializzazione
e nautica selvaggia, possono aver contribuito a creare situazioni di stress in grado di rendere
i pesci più sensibili a diversi fattori patogeni. Infatti in condizioni di stress e quando la
qualità e la quantità dell’acqua sono più scarse, i pesci portatori cronici possono soffrire di
reinfezioni (Le Breton, 1999).
Alcuni studi sulla sopravvivenza di Pdp in acqua di mare e sedimenti hanno mostrato che
sebbene questo microrganismo non persista per un lungo periodo di tempo in una forma
coltivabile lontano dal pesce, possiede la capacità di entrare in un stato vitale, ma non
coltivabile. Questi risultati suggeriscono che nonostante Pdp sembri essere un
microrganismo molto labile, l'ambiente acquatico costituisce un serbatoio e un veicolo di
trasmissione di questo patogeno. Inoltre è stato dimostrato che le cellule vitali, ma non
proliferanti di Pdp mantengono il loro potenziale patogeno per i pesci e sono in grado di
222
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 221-228
riprendere la crescita appena si ripresentano le condizioni idonee al loro sviluppo (Magariños
et al., 1996).
La persistenza ambientale di ceppi virulenti è quindi un fattore importante per
l'epidemiologia della Fotobatteriosi; sicuramente questa malattia è dipendente dalla
temperatura e si verifica in genere quando i valori dell'acqua superano i 18-20°C con una
salinità del 20-30‰. Al di sotto di questa temperatura i pesci sono in grado di ospitare gli
agenti patogeni come infezione sub-clinica e diventare vettori per un lungo periodo di tempo
(Romalde, 2002).
Risulta quindi molto importante raccogliere quante più informazioni possibili in merito alla
presenza di questi batteri nell'ambiente, al fine di prevenire future epidemie nelle specie
ittiche allevate e selvatiche.
Lo scopo di questo lavoro è stato quindi quello di effettuare un monitoraggio sulla specie
di Mugilidi selvatiche per la rilevazione di questi agenti patogeni, al fine di ottenere
informazioni sullo stato di salute di questi organismi selvatici ed evidenziare la presenza di
portatori sani.
Al momento non è nota la presenza e la distribuzione di queste specie batteriche in Italia;
risulta quindi necessario svolgere approfondite indagini quantitative spazio-temporali.
Figura 1 – Luogo di campionamento dei Mugilidi alla foce del fiume Magra (Regione Liguria).
Figure 1 – Sampling site of mullets along Magra River (Liguria Region, North-western Italy).
223
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 221-228
MATERIALI E METODI
Raccolta e trattamento dei campioni
Il monitoraggio in oggetto si è sviluppato nell’arco di due anni, non in forma continuativa:
un primo ciclo di campionamenti è stato effettuato da Maggio a Settembre 2008 (154
campioni) ed un secondo ciclo da Maggio a Settembre 2009 (124 campioni). In totale sono
stati campionati 278 Mugilidi appartenenti alle specie Mugil cephalus, Liza aurata,
L. ramada e L. saliens (dimensione media >30 cm, peso medio >300 g), con cadenza
mensile alla foce del fiume Magra, in provincia di La Spezia (Figura 1). I campionamenti
sono stati effettuati nel periodo più caldo dell’anno; tale scelta si basa sulle caratteristiche
biologiche del germe in esame. I campioni sono stati conservati a 4°C e trasportati subito in
laboratorio. Per ogni soggetto è stato effettuato un esame anatomopatologico, al fine di
evidenziare lesioni interne ed esterne e un esame biomolecolare, per l’identificazione
batterica; a questo scopo campioni tissutali di milza sono stati prelevati in condizioni
asettiche ed analizzati tramite multiplex PCR.
Estrazione del DNA
Per l’estrazione del DNA, 1 mg di milza è stata sottoposta ad estrazione degli acidi
nucleici utilizzando un kit commerciale (PureLink Genomic DNA Kits, Invitrogen)
seguendo le istruzioni indicate dalla ditta. Il kit si basa sul legame selettivo degli acidi
nucleici ad una membrana in silice e sulla successiva eluizione da questa. Il DNA così
ottenuto è stato conservato a -20°C fino all’utilizzo.
Multiplex PCR
L’amplificazione del DNA è stata eseguita mediante una multiplex PCR precedentemente
descritta da Amagliani et al. (2009), apportando alcune modifiche. Due µl dell’acido
nucleico estratto sono stati aggiunti a 48 µl di miscela di amplificazione contenente PCR
buffer 1x (Roche), 2,5 mmol L-1 MgCl2 (Roche), 0,2 mmol L-1 dNTPs (Fermentas),
0,08 µmol L-1 of Pdp primers (Invitrogen), 1 µmol L-1 di ciascun primer ureC (Invitrogen),
1,25 U FastStart Taq DNA Polymerase (Roche). I primer usati per la sottospecie piscicida
(Pdp) amplificano un frammento di 297 bp di un gene codificante per una proteina putativa
codificante per la penicillina (1A) (Amagliani et al., 2009), mentre i primers per la
sottospecie damselae (Pdd) (ureC) amplificano un frammento di 448 bp di un gene
codificante per l’enzima UreasiC (Osorio et al., 2000).
L’amplificazione è stata eseguita in un termociclatore secondo le seguenti condizioni: step
di attivazione per la Taq a 95°C per 4 minuti, 50 cicli di denaturazione a 95°C per 30
secondi, appaiamento dei primers a 65°C per 30 secondi, estensione dei primer a 72°C per 1
minuto ed estensione finale a 72°C per 10 minuti.
In ciascuna serie di amplificazioni sono stati inclusi un controllo negativo ed uno positivo
(Ceppo Pdd ATCC 33539 e Pdp ATCC 29688).
Analisi dei prodotti di PCR su gel di agarosio e sequenziamento
I prodotti di PCR (10 µl) sono stati aggiunti a 2 µl di loading buffer 5x (Bio-Rad) e
sottoposti ad elettroforesi in gel d’agarosio al 2% (Cambrex Bioscience) a 120 V per 35
minuti (Bio-Rad PowerPac basic). Al gel è stato aggiunto Gel Green 10000 X (Biotium) per
la visualizzazione dei prodotti di PCR alla luce UV (Gel Doc Bio-Rad).
Alcuni dei campioni risultati positivi alla PCR sono stati purificati utilizzando il kit
“NucleoSpin Extract II purification kit” (Macherey-Nagel) e confermati tramite
sequenziamento genico con lo strumento ABI PRISM 310 Genetic Analyser (Applied
Biosystem); le sequenze ottenute sono state infine comparate con l’NCBI Genbank.
224
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 221-228
RISULTATI
In totale durante lo studio sono stati campionati 278 cefali di cui 154 nel 2008 e 124 nel
2009. Non in tutti i campionamenti è stato possibile reperire lo stesso numero di soggetti
(circa 30) e in un caso il campionamento ha portato alla pesca di solo 9 soggetti.
Nel monitoraggio del 2008 il 64,29% (99/154) dei pesci analizzati è risultato positivo alla
PCR per Pdp effettuata sulla milza, con un massimo nei mesi di Agosto e Settembre mentre
il 40,26% (62/154) è risultato positivo alla PCR per Pdd con un massimo nei mesi di Luglio
e Settembre (Tabella 1). Il 31,82% dei campioni (49/154) è risultato positivo per entrambe le
sottospecie di batteri mentre il 27,27% (42/154) non presentava nessuna delle due.
Numero di campioni positivi alla PCR
Data del
campionamento
Numero di
campioni
Pdp (%)
Pdd (%)
22 Maggio 2008
34
12 (35)
8 (24)
18 Giugno 2008
9
2 (22)
0
3 Luglio 2008
27
15 (56)
17 (63)
13 Agosto 2008
29
26 (90)
9 (31)
15 Settembre 2008
30
24 (80)
18 (60)
22 Settembre 2008
25
20 (80)
10 (40)
TOT
154
99 (64)
62 (40)
Tabella 1 – Presenza di Photobacterium damselae subsp. piscicida (Pdp) e Photobacterium damselae
subsp. damselae (Pdd) nelle milze dei cefali prelevati durante il 2008.
Table 1 – Photobacterium damselae subsp. piscicida (Pdp) and Photobacterium damselae subsp. damselae (Pdd)
detection in spleen mullets collected in 2008.
Nel 2009 il DNA di Pdp è stato ritrovato nel 48,39% (60/124) dei cefali analizzati ed il
DNA di Pdd nel 32,26% (40/124). Nel primo campionamento effettuato a Luglio tutti i cefali
esaminati presentavano entrambi i microrganismi mentre in quelli di Maggio e fine Luglio
solo il 3,01% dei cefali è risultato positivo solamente per la presenza del DNA di Pdp
(Tabella 2). In totale 11 campioni (8,87%) sono risultati positivi per entrambi i
microrganismi.
Tra i campioni positivi quelli sottoposti a sequenziamento genico sono stati confermati
come Pdp (Accession number EU164926) e come Pdd (Accession number LDU40071).
Nessuno dei cefali positivi alla PCR mostrava segni clinici di malattia ad eccezione di un
soggetto pescato a Giugno 2008 che presentava noduli sulla milza, probabilmente dovuti a
una malattia pregressa.
225
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 221-228
Numero di campioni positivi alla PCR
Data del
campionamento
Numero di
campioni
Pdp (%)
Pdd (%)
21 Maggio 2009
32
1 (3)
0
1 Luglio 2009
29
29 (100)
29 (100)
24 Luglio 2009
33
1 (3)
0
8 Settembre 2009
30
29 (97)
11 (36)
TOT
124
60 (48)
40 (32)
Tabella 2 – Presenza di Photobacterium damselae subsp. piscicida (Pdp) and Photobacterium damselae
subsp. damselae (Pdd) nelle milze dei cefali prelevati durante il 2009.
Table 2 – Photobacterium damselae subsp. piscicida (Pdp) and Photobacterium damselae subsp. damselae (Pdd)
detection in spleen mullets collected in 2009.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
I risultati ottenuti nei due anni di monitoraggio hanno permesso di avere un quadro
generale della circolazione microbica dei due patogeni nella popolazione ittica indagata
in assenza di fenomeni di mortalità elevata. Dai dati si evidenzia che Photobacterium
damselae subsp. piscicida è presente nei cefali in percentuale maggiore (57,19%) rispetto a
Photobacterium damselae subsp. damselae (36,69%); in generale la presenza dei due
microrganismi è risultata maggiore nel 2008 rispetto al 2009 e soprattutto nei mesi di Luglio,
Agosto e Settembre, probabilmente in relazione ad una maggior temperatura e salinità
dell’acqua, come riportato già da precedenti studi (Hawke et al., 1987; Frerichs & Roberts
1989). Poiché in nessuno dei cefali risultati positivi alla PCR sono stati riscontrati segni
clinici di malattia, i cefali analizzati sembrano essere portatori sani di entrambi i
microrganismi patogeni e dal momento che questi pesci sono eurialini, migrando tra acque
dolci e salate possono contribuire alla diffusione di questi patogeni ad altri ospiti suscettibili
della stessa specie o di specie diverse, sia in ambienti fluviali che marini. La persistenza
ambientale di questi ceppi patogeni quindi è un fattore importante che deve essere preso in
considerazione come una possibile causa di eventi epidemici nell’ambiente acquatico
naturale ed in acquacoltura; infatti esistono evidenze che in condizioni di stress e quando la
qualità e la quantità dell’acqua è scarsa, i portatori sani possono andare incontro a
reinfezione con conseguenti possibili epidemie nelle popolazioni ittiche (Le Breton, 1999).
Condizioni apparentemente analoghe, con periodi di siccità e riduzione della portata d’acqua,
prolungamento del cuneo salino, innalzamento delle temperature, riduzione dell’ossigeno
disciolto, si sono verificate nel fiume indagato negli anni in cui si sono verificate le morie di
cefali e anche negli anni successivi, anche se fortunatamente la malattia non si è più
manifestata in forma così grave.
226
ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 221-228
Generalmente nei pesci portatori sani i batteri possono persistere in un basso numero ed è
quindi molto difficoltoso poter isolarli con i metodi colturali classici (Osorio et al., 1999); da
alcuni anni grazie all’introduzione della PCR, è stato possibile rilevare la presenza di questi
microrganismi anche se presenti in basso numero e ridurre notevolmente i tempi di
identificazione. Negli studi futuri risulta di fondamentale importanza poter correlare
positività colturali e PCR di questi microrganismi, con le condizioni ambientali. Le
variazioni climatico-ambientali delle acque (pH, ossigeno disciolto e temperatura) infatti
possono rappresentare un informazione preziosa per valutare il passaggio del microrganismo
dalla condizione di latenza a quella di patogeno attivo.
Concludendo, i dati ottenuti hanno evidenziato la presenza di patogeni in forma latente in
cefali apparentemente sani suggerendo così una possibile causa di epidemie in condizioni
ambientali favorevoli anche se per confermare questo risultato sono necessari un maggior
numero di dati.
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ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 229-231
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Ghittino C., Prearo M., Bozzetta E. & Eldar A. (1995). Caratterizzazione della
patogenicità dell’agente eziologico della Streptococcosi ittica e prove di
vaccinazione in trota iridea. Boll. Soc. It. Patol. Ittica, 16: 2-12.
Austin B. & Austin D.A. (1999). Bacterial fish pathogens. In “Disease of farmed
and wild fish. 3rd Ed.”, Praxis Publishing, Chichester, England.
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