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ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 167-168 INDICE Editoriale Editorial M. Prearo ……..…………………………………………………………..... MONOGRAFIE La vaccinazione in acquacoltura Vaccination in aquaculture ITTIOPATOLOGIA Pubblicazione quadrimestrale Rivista ufficiale della Società Italiana di Patologia Ittica Direttore responsabile: Dott. Giuseppe Ceschia Responsabile scientifico: Dott. Marino Prearo c/o Laboratorio Specialistico di Ittiopatologia, Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta Via Bologna, 148 10154 Torino Tel.: 011-2686251 Fax: 011-2474458 E-mail: [email protected] Comitato scientifico: Prof.ssa Maria Letizia Fioravanti Prof. Francesco Quaglio Prof. Pietro Giorgio Tiscar Segreteria S.I.P.I.: Dott. Marino Prearo Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta Via Bologna, 148 – 10154 Torino Tel.: 011-2686251 Fax: 011-2474458 E-mail: [email protected] Autorizzazione: Tribunale di Udine n° 10 del 27 marzo 1990 Codice ISSN: ISSN 1824-0100 Tipografia: Sistem Copy S.a.s. Via Emilia, 47 – 40064 Ozzano Emilia (BO) M. Prearo ....................................................................................................... pag. 169 pag. 171 Osservazioni su un caso di Epiteliocisti in orate (Sparus aurata) d’allevamento Observations on a case of Epitheliocystis in cultured gilthead seabream (Sparus aurata) F. Agnetti, D. Sola, S. Salamida, F. Rogato, M. Latini, C. Ghittino ………. pag. 187 Stato sanitario di una popolazione selvatica di siluri (Silurus glanis) pescati nel tratto alessandrino del bacino idrografico del fiume Po Health status of a wild wels catfish (Silurus glanis) populations in Po river basin (Alessandria Province, Piedmont, North-western Italy) I. Giorgi, M. Pascale, E. Pavoletti, P. Arsieni, S. Guarise, T. Scanzio, G. Forneris, M. Prearo ................................................................................... pag. 195 Valutazione della biodisponibilità di amoxicillina microincapsulata e micronizzata a seguito di somministrazione orale singola nel branzino (Dicentrarchus labrax) Bioavailability of microencapsulated and micronized amoxicillin in seabass (Dicentrarchus labrax) after single oral administration A. Di Salvo, G. della Rocca, J. Malvisi ……………………………….....… pag. 203 Parassitofauna di Scomber scombrus L. pescato nel Mar Adriatico e Scomber japonicus Houttuyn d’importazione The parasite fauna of Scomber scombrus L. caught off the Adriatic Sea and of imported Scomber japonicus Houttuyn G. Paladini, L. Tarsi, D. Minardi, M.L. Fioravanti …………………...…… pag. 211 Presenza di Photobacterium damselae subsp. damselae e Photobacterium damselae subsp. piscicida in cefali del fiume Magra (Italia) Detection of Photobacterium damselae subsp. damselae and Photobacterium damselae subsp. piscicida in mullet caught in the Magra River (Italy) L. Serracca, C. Ercolini, I. Rossini, R. Battistini, I. Giorgi, M. Prearo ……. pag. 221 Norme per gli autori Instructions to authors pag. 229 Foto di copertina: Trota iridea (Oncorhynchus mykiss) con emorragie muscolari, sulle sierose e coaguli intraviscerali dovuti ad incidente vaccinale. Foto tratta da Prearo, 2009. 167 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 167-168 Referees: Abete Maria Cesarina Agnetti Francesco Beraldo Paola Bossù Teresa Bovo Giuseppe Bozzetta Elena Caffara Monica Ceschia Giuseppe Ciulli Sara Colorni Angelo D’Amelio Stefano Di Guardo Giovanni Dörr Ambrosius Josef Martin Elia Antonia Concetta Figueras Antonio Fioravanti Maria Letizia Florio Daniela Galeotti Marco Galuppi Roberta Ghittino Claudio Gustinelli Andrea Malvisi Josè Manfrin Amedeo Marcer Federica Marino Giovanna Mattiucci Simonetta Merella Paolo Mutinelli Franco Quaglio Francesco Regoli Francesco Romalde Jesus Lopez Rubini Silva Salati Fulvio Scapigliati Giuseppe Tampieri Maria Paola Tiscar Pietro Giorgio Volpatti Donatella Zaghini Anna Zanoni Renato Giulio 168 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 169-170 Editoriale Editorial Marino Prearo Segretario della Società Italiana di Patologia Ittica ______________________________ Cari soci, anche per questa volta le due pagine che state per leggere sono nuovamente a mio appannaggio, visto che le numerose richieste di aiuto si sono perse nel nulla. Scherzi a parte, questa volta, invece di propinarvi la solita manfrina sulle difficoltà della rivista, del povero responsabile scientifico, dei referees, ecc., mi sembra opportuno effettuare una panoramica sui soci della Società Italiana di Patologia Ittica, andando a verificare come si sia modificata la geografia societaria ed altre amenità simili. Mi diverte molto giocare con i numeri e anche per questo motivo provo a tracciare una mappa dei soci al 2009 con una sorta di censimento in chiave spiritosa (… spero!). Innanzitutto, i soci attualmente “attivi”, cioè in pari o quasi con il pagamento delle quote societarie sono 116, suddivisi in 75 soci, 39 socie e 2 asessuati (strutture pubbliche e fondazioni). Rispetto all’ultimo censimento societario pubblicato 2 (Ittiopatologia, 2005), le quote rosa appaiono grossomodo le stesse, non ♀ = 39 riuscendo a superare il 33,6%; la parte del leone quindi, nell’ambito ittico è sempre maschile (non so se ♂ = 75 riuscite a cogliere il triplo senso ….). La regione che presenta il numero maggiore di soci è l’Emilia Romagna, con 18, seguita dalla Sicilia con 13 e dal Friuli Venezia Giulia con 12. Fanalini di coda sono Lombardia, Trentino Alto Adige e Toscana con 4, Campania con 2 e Calabria con 1 socio. Ci sono ancora però delle regioni in cui non riusciamo a fare proseliti: Valle d’Aosta, Liguria, Molise e Basilicata. In compenso siamo riusciti a diffondere il nostro prodotto societario all’estero e precisamente in Grecia, dove abbiamo un iscritto che imperterrito rimane affezionato a noi, qualunque cosa succeda. Andando a quantizzare il numero di soci per area geografica, nelle regioni del Nord confluiscono 36 soci, pari al 31,1%; circa il 22% è di sesso femminile, mentre il 72% circa è di sesso maschile (nell’area sono presenti anche i 2 soci “neutri”). Nell’area del Centro Italia 169 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 169-170 convergono 47 soci, pari al 40,5%; il rapporto femmine/maschi è molto bilanciato, con 21 socie (44,7%) e 26 soci (55,3%). Nelle regioni del Sud invece, sono iscritti solamente 14 soci (pari al ISOLE = 18 12,1%) con solamente 2 presenze del NORD = 36 gentil sesso (14,3%). SUD = 14 Sicilia e Sardegna le ho volute conteggiare separatamente dai tre areali in quanto realtà produttive CENTRO = 47 particolari: infatti in queste due regioni si possono contare ben 18 soci (15,5%), di cui 12 di sesso maschile (66,7%) e 6 di sesso femminile (33,3%). Del caro socio internazionale ho già dato i numeri, anche se resta da ribadire che in questo caso abbiamo un 100% di quote rosa. Altre elucubrazioni sui nostri soci non mi sento di fare anche perché negli ultimi due anni il quadro societario è in notevole mutazione, subentrando molte forze nuove che speriamo si attestino e rimangano fedeli. Anche nella nostra società il precariato ha un grosso impatto, ma proprio dalle forze giovani possiamo aspettarci un vigore nuovo per poter far vivere e crescere la Società. Il mio ultimo sforzo per questo ennesimo editoriale è un appello rivolto proprio ai giovani iscritti che si incamminano nel difficile sentiero del lavoro: bisogna cercare di armarsi di buona volontà, perseveranza e tenacia per poter andare fino in fondo …. e soprattutto cercare di rimanere fedeli alla Società e scrivere degli articoli interessanti per dare vita alla nostra povera Rivista. Spero che vorrete scusare queste amenità e piccole sciocchezze che con questo editoriale ho prodotto e con la promessa di trovare argomenti più seri e consoni per il futuro, vi rivolgo un cordiale saluto Il Segretario-Tesoriere della S.I.P.I. Marino Prearo 170 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 171-186 MONOGRAFIE La vaccinazione in acquacoltura Vaccination in aquaculture Marino Prearo* Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna, 148 – 10154 Torino ______________________________ RIASSUNTO – La vaccinazione, in un sistema oculato di profilassi in acquacoltura, se ben supportata da una gestione attenta e da una corretta prassi igienica, è una strategia vincente in quanto permette di ottenere un prodotto ittico di alta qualità, ridurre l’impatto delle pratiche terapeutiche sull’ambiente e raggiungere una produzione maggiormente redditizia. Nel presente lavoro monografico vengono delineate le modalità di vaccinazione, con descrizione di alcune possibili strategie, le tipologie di vaccino e i loro requisiti, i parametri che possono influenzare la risposta immunitaria ed i sistemi di vaccinazione attualmente impiegati (immersione, iniezione e somministrazione orale). Infine, vengono trattate le tipologie di preparazioni vaccinali presenti in commercio sul territorio nazionale, con una descrizione delle fasi di preparazione e produzione di un vaccino stabulogeno. SUMMARY – In the context of an appropriate prophylactic system to be applied in aquaculture, the vaccination represents an useful way to obtain a high quality fish production, to reduce the impact of therapeutic practices on environment and to achieve a more profitable production, especially when well supported by careful management and good hygiene practices,. In this review the procedures for vaccination, with the description of some possible vaccination strategies, the characteristics of different types of vaccines, the parameters which may influence the fish immune response and the vaccination systems currently in use in aquaculture (immersion, injection and oral administration) are outlined. Finally, the types of vaccines authorized for aquaculture and commercialized in Italy are presented, together with a description of the phases of preparation and production of a homologous vaccine. Key words: Aquaculture; Vaccine; Vaccination. ______________________________ * Corresponding Author: c/o Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Laboratorio Specialistico di Ittiopatologia, Via Bologna, 148 - 10154 Torino. Tel.: 011-2686251; Fax: 011-2474458; E-mail: [email protected]. 171 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 171-186 INTRODUZIONE Questa monografia prende spunto da alcune lezioni sul tema della vaccinazione svolte negli ultimi due anni in scuole di specializzazione e in corsi di laurea presso alcune facoltà di Medicina Veterinaria; non vuole essere una trattazione esaustiva sull’argomento, ma è una raccolta di dati che possono risultare efficaci per comprendere l’importanza e l’utilità di tale pratica in un’acquacoltura moderna, ecocompatibile e maggiormente remunerativa. La vaccinazione è una pratica ancora relativamente poco utilizzata in Italia, a differenza invece di quanto avviene in altri paesi europei, in cui l’acquacoltura rappresenta un’importante fonte di reddito (come ad esempio la Norvegia). E allora perché si deve vaccinare? La vaccinazione è utile nel controllo di patologie estremamente gravi e ricorrenti: un esempio calzante lo possiamo trovare direttamente in Italia, con la campagna vaccinale effettuata dagli allevatori e dalle associazioni di settore, con l’aiuto di alcuni ricercatori e della rete degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali, contro la lattococcosi (Ghittino et al., 1995a; 1997; 1999; 2002; Prearo, 2003; Prearo et al., 2004b; Manfrin et al., 2006b). I vaccini rappresentano anche un’utile associazione o, in molti casi addirittura una alternativa alla terapia antibiotica. Di conseguenza, il minor utilizzo di antibiotici, limita i costi di intervento, determina un minore impatto ambientale, permette di ottenere derrate senza residui di inibenti nelle carni e quindi un’eliminazione dei tempi di sospensione obbligatori per rendere le carni commerciabili dopo un trattamento (Ellis, 1989; Subasinghe, 2009). Come già asserito precedentemente, una delle nazioni che hanno utilizzato al meglio la pratica della vaccinazione in acquacoltura e l’utilizzo di numerose e diverse preparazioni vaccinali è la Norvegia, dove la salmonicoltura è particolarmente sviluppata. A partire dalla fine degli anni ’80, la pratica della vaccinazione in salmonicoltura è notevolmente aumentata, facendo diminuire in modo netto l’utilizzo di antibiotici, nonostante l’incremento della produzione (Gravninger & Berntsen, 2008). La trattazione di questo lavoro, che segue grosso modo il percorso utilizzato nelle lezioni effettuate su tale argomento, prevede un insieme di capitoli da inserire nella tematica delle modalità di vaccinazione, a cui fanno seguito un capitolo sulle preparazioni vaccinali e uno sulla produzione di un vaccino stabulogeno. STRATEGIE DI VACCINAZIONE La strategia vaccinale, in un sistema oculato di profilassi in acquacoltura, se ben supportato da un attento management e da buone pratiche di igiene zootecnica, risulta vincente in quanto permette di ottenere un prodotto ittico di alta qualità, con una riduzione dell’impatto sull’ambiente per pratiche terapeutiche ed ottenere una produzione maggiormente remunerativa (Prearo, 2007b). La scelta del tipo di vaccinazione da adottare può essere influenzata da molteplici fattori, quali le caratteristiche dell’allevamento, il tipo di vaccino presente in commercio o la patologia su cui intervenire (Evensen, 2009; Le Breton, 2009). Per quanto riguarda le caratteristiche dell’allevamento, le scelte vanno gestite in base al management operato e alla tipologia di prodotto ittico commercializzato. Infatti, operare una profilassi vaccinale che utilizzi vaccini adiuvati con oli minerali che consentono un prolungamento della risposta anticorpale, in un allevamento di riproduttori di salmonidi ad esempio, risulta controproducente, proprio per la comparsa di aderenze in cavità celomatica che rendono difficoltosa la successiva spremitura delle uova. Anche il periodo in cui operare 172 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 171-186 la vaccinazione deve essere valutato in base alle caratteristiche dell’allevamento e dal tipo di management seguito; la scelta del tempo di intervento deve essere stabilita anche sul tipo di vaccino somministrato e sulla tipologia di soggetti da vaccinare (Prearo et al., 2004b; Evensen, 2009; Manfrin et al., 2009). Anche le tipologie di vaccino presenti sul mercato possono influenzare le strategie di vaccinazione, così come le patologie su cui investire per la profilassi vaccinale. Questo rappresenta un discorso valido ad esempio nella realtà norvegese, dove sono presenti diversi prodotti commerciali e diverse preparazioni su cui far ricadere una scelta manageriale. In Italia, proprio per la mancanza di una cultura della vaccinazione in acquacoltura, spesso si è costretti ad operare solamente con quello che offre il mercato, che non sempre può rappresentare la scelta ottimale per determinate realtà produttive. TIPO DI VACCINO Per vaccino s’intende un preparato contenente dei microrganismi (particelle virali, batteri, parassiti, miceti) o parte di essi che presentino proprietà antigeniche che una volta somministrato induca una risposta immunitaria protettiva senza causare degli effetti indesiderabili (Ellis, 1989). I vaccini vengono suddivisi in vaccini spenti o inattivati, in cui il microrganismo utilizzato viene inattivato tramite mezzi chimici (come la formaldeide) o fisici (con il calore) e in vaccini vivi attenuati, in cui il microrganismo è vivo ed è in grado di replicare nell’ospite, ma presenta un’attività patogena attenuata (Ellis, 1988). Tutti i vaccini utilizzati attualmente in Italia appartengono alla categoria dei vaccini inattivati. Un vaccino può essere a base acquosa, come nel caso dei semplici bacterin, cioè quei vaccini costruiti da cellule batteriche inattivate e diluite nella concentrazione desiderata in soluzione acquosa (generalmente soluzione salina o PBS), oppure a base oleosa, in cui è stato aggiunto un adiuvante tecnologico oleoso. Tali adiuvanti possono essere costituiti da emulsioni oleose minerali e non, da liposomi, estratti di lievito o quant’altro possa determinano un effetto deposito, con lento rilascio degli antigeni vaccinali, che porta ad una aumentata attività macrofagica e ad una stimolazione aspecifica del sistema immunitario (Ellis, 1988; Evensen, 2009). Quindi l’adiuvante è una sostanza che amplifica la risposta immunitaria del soggetto, sia specifica che aspecifica, innesca il processo infiammatorio nel punto di inoculazione, può migliorare l’esposizione degli antigeni, amplifica l’effetto di certi antigeni di ridotte dimensioni o di difficile produzione, determina un lento rilascio dell’antigene, prolungando nel tempo la copertura vaccinale (Ellis, 1988; Evensen, 2009). REQUISITI DI UN VACCINO Un vaccino, perché possa essere commercializzato, deve avere almeno tre caratteristiche che risultano essere indispensabili per il suo utilizzo: deve avere il requisito dell’innocuità, considerato come assenza di rischi sia per i soggetti vaccinati, sia per gli operatori, che per il consumatore finale; deve avere il requisito dell’immunogenicità, cioè deve essere costituito da antigeni che abbiano una attività immunogena e che producano anticorpi proteggenti (risposta immunitaria specifica) ed eventualmente deve essere variamente adiuvato (per permettere anche una risposta immunitaria di tipo aspecifica); deve inoltre avere il requisito 173 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 171-186 di dare una copertura immunitaria adeguata e sufficientemente lunga (Alderman, 2009; Evensen, 2009). Risultano essere comunque importanti anche altre caratteristiche quali la facilità di somministrazione e il basso costo di produzione. PARAMETRI CHE VACCINAZIONE INFLUENZANO LA RISPOSTA IMMUNITARIA NELLA Perché la vaccinazione abbia effetto deve essere effettuata su soggetti immunocompetenti. Infatti, una vaccinazione eseguita su soggetti ad una età o a una taglia non consona, implica generalmente una scarsa immunizzazione degli individui e porta, soprattutto nelle specie ittiche marine ad inevitabili rivaccinazioni (Le Breton, 2009). I parametri che influenzano maggiormente la risposta immunitaria nella vaccinazione sono suddivisibili in parametri fisici, come la concentrazione dell’antigene nella soluzione vaccinale utilizzata, il tempo di contatto del soggetto da vaccinare con la soluzione vaccinale (nella vaccinazione per immersione), la temperatura dell’acqua al momento della vaccinazione (in generale, maggiore è la temperatura, più rapida è l’insorgenza dell’immunità e più elevato è il titolo anticorpale che si ottiene) e in parametri biologici, quali l’età del pesce (i soggetti adulti presentano una risposta immunitaria più intensa e duratura rispetto ai soggetti giovani), lo stato fisiologico e sanitario del pesce (Alderman, 2009; Evensen, 2009). Un discorso un po’ più approfondito va effettuato sull’età del pesce che viene vaccinato. Tenendo presente che la vaccinazione rappresenta sempre un costo nel bilancio dell’impresa, questa deve essere effettuata nel periodo più consono, in modo da avere un’efficacia massima con il minimo della spesa; in parte anche queste scelte rappresentano delle strategie di vaccinazione, anche se non possono essere totalmente gestite dall’imprenditore, in quanto esistono dei vincoli ben precisi, dati appunto dall’età dei pesci e quindi dallo sviluppo del loro sistema immunitario. A prescindere dal tipo di vaccinazione, si può asserire che nelle specie dulciacquicole si ha un buon sviluppo del sistema immunitario, che diventa sufficientemente competente, intorno alla taglia compresa tra i 2-3 grammi, mentre per le specie marine, in cui si ha una fase larvale più complessa, un buon sviluppo del sistema immunitario avviene circa intorno al centesimo giorno di vita. Questo risulta particolarmente importante nella pratica di vaccinazione per immersione, in cui si deve operare su soggetti che siano sufficientemente competenti, ma nello stesso tempo siano di una taglia sufficientemente piccola tale da permettere un risparmio sul costo del vaccino. SISTEMI DI VACCINAZIONE IN ACQUACOLTURA Attualmente, i sistemi di vaccinazione in uso negli impianti ittici sono da ricondursi principalmente a tre: la vaccinazione per immersione o per bagno, la vaccinazione per iniezione intraperitoneale e la vaccinazione orale. Nella vaccinazione per immersione o per bagno, la somministrazione del vaccino avviene utilizzando soluzioni liquide da diluire nell’acqua a dosaggi prestabiliti dalle ditte produttrici, in cui vengono immersi i pesci da trattare per tempi prestabiliti (Figura 1). Generalmente il vaccino deve essere diluito 1:10 ed il pesce deve sostare nella soluzione vaccinale per un tempo variabile dai 30 ai 120 secondi (Figura 2). Le formulazioni attualmente in commercio consento di vaccinare con un litro di vaccino 100 kg di pesce. Come già anticipato in un capitolo precedente, per l’alto costo delle soluzioni vaccinali, tale 174 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 171-186 tipo di vaccinazione viene usato per trattare novellame di circa 2-5 grammi; infatti al di sotto di tale taglia, il sistema immunitario dei pesci non risulta ancora totalmente sviluppato e quindi la vaccinazione non è pienamente efficiente ed efficace; al di sopra di tale taglia, l’operazione risulta essere poco economica (Ghittino & Pedroni, 2001; Prearo et al., 2004a; Volpatti et al., 2006; Prearo, 2007a; 2007b; Prearo et al., 2009). Generalmente i vaccini formulati per la vaccinazione per immersione, se utilizzati su animali sani e in buone condizioni fisiologiche e nei dosaggi e tempi previsti, consentono di ottenere una copertura immunitaria molto buona per un tempo variabile intorno ai 12 mesi. Nella vaccinazione per iniezione, la somministrazione della dose vaccinale può essere effettuata mediante iniezione intramuscolare o intraperitoneale. Quella intramuscolare non è utilizzabile in operazioni routinarie, in quanto, per la minore consistenza del tessuto muscolare propria dei pesci, il canale che si viene a formare con l’inserimento dell’ago nella porzione muscolare, non si chiude velocemente e quindi permette facilmente la fuoriuscita del liquido iniettato (Prearo, 2007b). Inoltre, l’utilizzo di vaccini adjuvati con oli minerali, se iniettati nella porzione muscolare, può causare degli inconvenienti gravi, con grave deprezzamento del prodotto, per la formazione di granulomi provocati dall’attività istolesiva di tali prodotti. Pertanto, la via di somministrazione classica nei pesci è quella intraperitoneale che consente la diffusione del liquido tra i visceri, senza una fuoriuscita dal tragitto effettuato nella sottile parete muscolare del ventre, evitando così anche la formazione di granulomi muscolari indesiderati. L’iniezione intraperitoneale viene effettuata mediante l’introduzione dell’ago a livello ventrale, poco al di sopra delle pinne ventrali, per evitare di ledere gli organi interni; l’ago dovrà essere dimensionato proporzionalmente alla taglia del pesce in cui si pratica l’iniezione. Prima di iniziare la vaccinazione per iniezione di un lotto di pesci, indipendentemente dal sistema utilizzato, bisogna effettuare alcune operazioni preliminari molto importanti perché gli interventi seguenti abbiano un buon successo. Innanzitutto si deve verificare lo stato di salute della partita, che non deve essere colpita dalla malattia per cui si vaccina e non deve presentare segni gravi di patologie branchiali e cutanee, che nel corso della vaccinazione potrebbero acuirsi e causare mortalità indesiderate. Inoltre, la partita scelta per la vaccinazione dovrà subire un periodo di digiuno di almeno un paio di giorni, per permettere una migliore gestione degli animali soprattutto durante l’anestesia e le pratiche effettuate fuori dall’acqua. E’ bene comunque che si prepari in modo adeguato le vasche che dovranno contenere i pesci vaccinati, effettuando una accurata pulizia delle stesse, fornendo abbondante acqua ricca di ossigeno. Prima di iniziare le operazioni di vaccinazione vere e proprie, bisogna effettuare la cattura dei pesci mediante una rete: è opportuno che la circuizione del pesce avvenga in modo che i soggetti catturati non siano particolamente numerosi, per evitare al massimo fattori di stress che potrebbero complicare la risposta del pesce alla sedazione. Una volta ottenuta una riserva di pesce da pescare per le successive operazioni, gli addetti prebanco dovranno prelevare il pesce, mediante retini adeguati alla taglia dei soggetti e collocarlo nelle vasche per la sedazione (Figura 3). Questa operazione avviene mediante un bagno in una soluzione contenente anestetico (ad esempio, MS-222 o composti similari) per un tempo prestabilito, fino ad ottenere una buona sedazione dei soggetti: il pesce deve essere completamente anestetizzato sia per evitare traumatismi allo stesso dati da possibili movimenti inconsulti, sia per tutelare gli operatori che devono effettuare la vaccinazione (Figura 4). Fino a questo punto le operazioni descritte risultano comuni sia per il sistema di vaccinazione intraperitoneale manuale, sia per quello semiautomatico. Per quanto riguarda il sistema manuale, la vaccinazione viene effettuata da personale esperto, utilizzando siringhe autocaricanti; il pesce viene posto sul tavolo di lavoro (Figura 5) e viene prelevato e vaccinato dagli operatori (Figura 6). 175 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 171-186 1 2 3 4 5 6 TAVOLA 1 / PLATE 1 Figura 1 – Vaccinazione per bagno: immissione nella soluzione vaccinale di novellame di trota iridea. Figura 2 – Vaccinazione per bagno: permanenza del pesce da trattare nella soluzione vaccinale per il tempo dichiarato dalla casa produttrice. Figura 3 – Vaccinazione per iniezione intraperitoneale con sistema manuale: prelievo del pesce da immettere nella soluzione anestetica. Figura 4 – Vaccinazione per iniezione intraperitoneale con sistema manuale: il pesce sosta nella soluzione anestetica il tempo necessario per un’ottimale sedazione. Figura 5 – Vaccinazione per iniezione intraperitoneale con sistema manuale: il pesce anestetizzato viene posto sul tavolo di lavoro per l’iniezione da parte degli operatori. Figura 6 – Vaccinazione per iniezione intraperitoneale con sistema manuale: il pesce viene prelevato dall’operatore e tramite una siringa autocaricante viene iniettata la dose vaccinale. Figure 1 – Bath vaccination: fingerlings of rainbow trout introducing in vaccine solution. Figure 2 – Bath vaccination: permanence of the fish to be treated in the vaccine solution for the time stated by the pharmaceutical industry. Figure 3 – Vaccination with manual intraperitoneal injection: the fish to be placed in the anesthetic solution. Figure 4 – Vaccination for manual intraperitoneal injection: the fish remains in the anesthetic solution for the time required for your optimal sedation. Figure 5 – Vaccination for manual intraperitoneal injection: the 176 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 171-186 fish anesthetized is placed on the workbench for the injection of the operators. Figure 6 – Vaccination for manual intraperitoneal injection: the fish is taken by the operator and is injected through a syringe-loading dose vaccine. 7 8 9 TAVOLA 2 / PLATE 2 Figura 7 – Vaccinazione per iniezione intraperitoneale con sistema semiautomatico: vasca con soluzione anestetica con autoprelievo del pesce. Figura 8 – Vaccinazione per iniezione intraperitoneale con sistema semiautomatico: visione del sistema vaccinante a sviluppo orizzontale (particolare). Figura 9 – Vaccinazione per iniezione intraperitoneale con sistema semiautomatico: particolare dell’introduzione del pesce nella sede apposita per l’iniezione da parte dell’operatore. Figure 7 – Vaccination by intraperitoneally injection with semi-automatic system: tank with anesthetic solution. Figure 8 – Vaccination for intraperitoneal injection with semi-automatic system: overview of the horizontal vaccination system (detail). Figure 9 – Vaccination for intraperitoneal injection with semi-automatic system: introduction of the fish in its housing for injection by the operator (particular). 177 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 171-186 Utilizzando le macchine vaccinatrici invece, non è necessario disporre di personale esperto, in quanto la manualità consiste solamente di porre il pesce anestetizzato negli appositi alloggiamenti (Figure 8 e 9). Generalmente, nel complesso vaccinante sono annesse anche le vasche di sedazione (Figura 7). Una volta inserito il pesce nell’alloggiamento, la dose vaccinale verrà iniettata sempre attraverso delle siringhe autocaricanti. Fino a qualche anno fa, le macchine vaccinatrici erano a sviluppo verticale con una ruota dove erano inseriti gli alloggiamenti per il pesce; attualmente invece, le macchine vaccinatrici sono a sviluppo orizzontale a 2 vie (o suoi multipli) (Figura 8). In entrambi i metodi, una volta vaccinato il pesce, questo viene direttamente convogliato nelle vasche con acqua pulita e ben ossigenata e, dopo alcune decine di secondi, si risveglia, nuotando normalmente. Il pesce vaccinato deve subire un periodo di digiuno postvaccinazione, variabile dai 3 ai 5 giorni, per evitare eventuali problemi di mortalità da stress. Dopo questa breve descrizione dei due sistemi di vaccinazione per iniezione intraperitoneale, si può operare un loro confronto, prendendo in considerazioni alcuni parametri particolarmente importanti sia per il management della vaccinazione, sia per l’economicità delle operazioni, tenendo in considerazione la realtà degli allevamenti presenti sul territorio nazionale (Prearo et al., 2005). Un parametro molto importante da valutare risulta essere la manodopera che va utilizzata nelle operazioni di vaccinazione ed il suo grado di specializzazione; nel caso si utilizzi il sistema manuale, è necessario avere una squadra di vaccinatori molto esperti e una seconda squadra che svolga tutte le operazioni preliminari (circuizione e pesca del pesce, anestesia e presentazione dei soggetti sul tavolo da lavoro); per ottenere una produttività di circa 50.000 pesci/giorno sono necessarie due squadre di almeno 3 persone al prebanco e 4 al banco di vaccinazione. Nel caso invece si utilizzi il sistema semiautomatico, sono necessarie solamente 2 persone alle operazioni prebanco e due all’inserimento del pesce negli appositi alloggiamenti; in questo caso il sistema non necessita di personale altamente specializzato. Per utilizzare al meglio questi sistemi semiautomatici di vaccinazione si deve però operare una rigorosa selezione dei pesci, in quanto si deve ottenere una notevole uniformità di taglia per poter gestire al meglio le operazioni; inoltre risultano di difficile gestione negli spostamenti e si devono affrontare dei costi rilevanti sia d’acquisto che di manutenzione; nella vaccinazione con il sistema manuale invece, grazie proprio all’esperienza e alla sensibilità degli operatori, è possibile ovviare ad eventuali difformità di taglia, operando pressioni differenziate nell’introduzione dell’ago (Prearo, 2003; Prearo et al., 2003). Proprio grazie alla sensibilità che gli operatori esperti possiedono, si ha una maggiore duttilità del sistema vaccinale manuale, permettendo di operare in situazioni che possono modificarsi nel corso delle operazioni senza avere delle flessioni di produttività. E’ ancora da rimarcare come la mano e l’occhio allenati di un operatore ben formato, permettono di giudicare e discernere tutte le situazioni e gli inevitabili imprevisti che si possono venire a presentare durante il corso delle fasi di vaccinazione (Prearo, 2007b). Per verificare se la vaccinazione è stata condotta con successo, si deve effettuare un controllo direttamente sul pesce, effettuando l’apertura della cavità celomatica di alcuni esemplari per verificare la dispersione della soluzione vaccinale tra gli organi (Figura 10). Come si è accennato precedentemente si può incorrere in incidenti vaccinali più o meno gravi; le lesioni che si possono provocare nel pesce vaccinato possono andare da semplici quadri di petecchie emorragiche a livello del sito di introduzione a gravi lesioni muscolari e viscerali, con presenza di emorragie e coaguli tra gli organi interni (Figura 11). Tale evenienza risulta più frequente durante le operazioni di vaccinazione semiautomatica, soprattutto su gruppi di pesci aventi taglia disomogenea, mentre sono di minore rilevanza e gravità nella vaccinazione manuale, dove la capacità e la sensibilità degli operatori 178 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 171-186 consentono di ovviare a iniezioni mal eseguite (Prearo et al., 2004b; 2005; Manfrin et al., 2006a; 2006b). Si possono riscontrare anche degli incidenti vaccinali all’operatore, soprattutto alle dita o alle mani (Figura 12); tale evenienza è senz’altro una possibilità che si può verificare nel corso della vaccinazione con sistema manuale, sia per disattenzione dell’operatore stesso, sia per la fretta e la troppa sicurezza che si acquisisce, ma soprattutto durante le operazioni effettuate con animali poco sedati, i quali effettuando movimenti inconsulti possono causare delle punture accidentali sull’operatore. Anche l’utilizzo di dispositivi di protezione individuale idonei possono non essere sempre sufficienti affinché non si verifichino degli infortuni. 10 11 12 TAVOLA 3 /PLATE 3 Figura 10 – Trota iridea (Oncorhynchus mykiss): apertura della cavità celomatica per evidenziare la dispersione della soluzione vaccinale iniettata. Figura 11 – Incidente vaccinale in trota iridea (Oncorhynchus mykiss): presenza di emorragie muscolari, a livello delle sierose e coaguli intraviscerali. Figura 12 – Incidente vaccinale in operatore: lesione cicatriziale ad un dito. Figure 10 – Rainbow trout (Oncorhynchus mykiss): opening of the coelomic cavity to highlight the spread of vaccine solution injected. Figure 11 – Incident of vaccination in rainbow trout (Oncorhynchus mykiss): presence of muscle bleed, hemorrhages and blood clots in the viscera. Figure 12 – Incident of vaccination in operator: scar with a finger injury. 179 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 171-186 Nella Tabella 1 vengono riportate sinteticamente le caratteristiche dei due sistemi di vaccinazione intraperitoneale manuale e semiautomatica. MANUALE SEMIAUTOMATICO 3 (operazioni prebanco) + 4 (operazioni al banco) 2 (operazioni prebanco) + 2 (operazioni al banco) Esperto Non esperto Disomogenea Omogenea Presenza di pesci non vaccinati Bassa Alta Presenza incidenti vaccinali nei pesci Bassa Alta Presenza incidenti vaccinali nel personale SI NO Numero del personale (minimo) Tipologia del personale Taglia del pesce Tabella 1 – Quadro sintetico delle caratteristiche dei due sistemi di vaccinazione per iniezione intraperitoneale. Table 1 – Overview of the characteristics of two systems of vaccination for intraperitoneal injection. 13 Figura 13 – Vaccinazione orale: somministrazione di mangime trattato con il vaccino. Figure 13 – Oral vaccination: administration of food with vaccine. 180 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 171-186 La vaccinazione orale invece, è una pratica di immunizzazione ancora poco utilizzabile in acquacoltura, in quanto esiste una difficoltà nella presentazione dell’antigene, che deve essere microincapsulato per renderlo gastroresistente (Prearo, 2007b). La somministrazione del vaccino viene effettuata direttamente con la razione giornaliera, miscelandolo nelle dosi prestabilite con il mangime (Figura 13). La somministrazione del vaccino viene effettuata seguendo delle schedule operative ben precise che consentono di fornire le quantità utili di antigene per il tempo sufficiente all’attivazione del sistema immunitario (Manuali et al., 2007). Tale via risulterebbe essere quella da prediligere, in quanto, oltre all’estrema facilità di somministrazione del prodotto, si ottengono un’eliminazione dei costi di vaccinazione, una riduzione dello stress del pesce, dovuto alla manipolazione da vaccinazione ed un’assenza dei rischi per gli operatori e degli effetti collaterali sul pesce, che risultano inevitabili con le altre pratiche di vaccinazione. LE PREPARAZIONI VACCINALI Attualmente in Italia sono in commercio solamente tre formulazioni vaccinali: un vaccino contro la vibriosi da Vibrio anguillarum, uno contro la Bocca Rossa, sostenuta da Yersinia ruckeri e una formulazione bivalente per i due germi sopra citati. Questi vaccini sono commercializzati da differenti ditte e possono essere somministrati per immersione, ma anche per inoculazione. In altre nazioni europee ed extraeuropee invece, sono autorizzati anche altri vaccini come quelli contro la Foruncolosi da Aeromonas salmonicida, la Fotobatteriosi da Photobacterium damselae piscicida, la Flavobatteriosi (Toranzo et al., 2009). Per ovviare a questa mancanza è possibile produrre dei vaccini cosidetti stabulogeni da parte degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali, previa autorizzazione del Ministero della Salute; queste preparazioni vengono prodotte utilizzando ceppi di campo, previa sperimentazione di efficacia. Possono essere utilizzati esclusivamente nell’ambito dell’allevamento di provenienza del ceppo batterico utilizzato per produrre il vaccino stabulogeno. Tali preparazioni subiscono dei controlli severi di sterilità e di innocuità, onde garantire al massimo la sicurezza del prodotto. Attualmente sono prodotti dei vaccini stabulogeni contro la lattococcosi sostenuta da Lactococcus garvieae, ma sono allo studio preparazioni contro alcune aeromonosi (Aeromonas sobria). Per quanto riguarda il vaccino stabulogeno contro la lattococcosi, risulta essere un presidio immunizzante molto valido, messo a punto dai ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta di Torino, grazie anche al finanziamento di diversi progetti di ricerca del Ministero della Salute e all’aiuto di alcuni allevatori (Ghittino et al., 1995a; 1995b; 1997; 1999; 2002; Prearo et al., 2004b). Dagli studi condotti durante gli anni ’90 e seguenti, i vari isolati di Lactococcus garvieae presenti sul territorio nazionale costituiscono un gruppo geneticamente omogeneo; nonostante l’elevata omologia genetica, la diversificazione fenotipica invece è relativamente alta (Ghittino & Prearo, 1993; Ghittino et al., 1995a; 1998; Prearo et al., 2002; Eyngor et al., 2004). Da un’indagine epidemiologica, svolta mediante RFLP ribotyping, si è potuto dimostrare che l’evoluzione dei ceppi italiani e spagnoli ha seguito dei percorsi autonomi; per quanto riguarda invece i ceppi francesi, la situazione appare alquanto eterogenea (Eyngor et al., 2004). Ecco perché è importante utilizzare, per la situazione italiana, dei ceppi autoctoni. Infatti, la scarsa efficacia dimostrata negli anni passati di vaccini sperimentali preparati da diverse ditte europee, in cui erano stati utilizzati ceppi differenti da quelli presenti sul nostro territorio, hanno portato ad 181 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 171-186 insuccessi totali. È per tale motivo che l’utilizzo di vaccini stabulogeni, oltre che previsti dalla nostra legislazione, hanno presentato un successo sempre maggiore rispetto le sperimentazioni messe in atto dalle sopraccitate ditte. Attualmente sono a disposizione degli allevatori due formulazioni vaccinali stabulogene distinte, entrambe iniettabili per via intraperitoneale: un vaccino non adiuvato o bacterin ed un vaccino adiuvato con oli minerali (Manfrin et al., 2006a; 2006b). La dose iniettabile varia da 0,1 a 0,2 ml/capo, in base alle richieste dell’allevatore. Dai dati sperimentali condotti nella seconda metà degli anni ’90, si è potuto stabilire come la quantità di batteri presenti nella dose vaccinale di un vaccino non adiuvato, debba essere molto elevata: la concentrazione standard deve essere all’incirca di 60 grammi di “pasta batterica” per litro di vaccino (10.000 dosi iniettabili) (Ghittino et al., 1997; 1999; 2002; Prearo et al., 2004b). Per quanto riguarda invece la quantità di batteri presenti nella dose vaccinale di un vaccino adiuvato di ultima generazione, questa può essere notevolmente più bassa, aggirandosi intorno a 1/4-1/10 rispetto la dose prevista per il vaccino non adiuvato (Prearo et al., 2004b; Manfrin et al., 2006a; 2006b). l’utilizzo di una formulazione piuttosto che un’altra deve essere basato, come già detto in un capitolo precedente, su una corretta gestione dell’allevamento ed un oculato management. Quindi, la scelta del tipo di vaccino deve essere fatta valutando la movimentazione del pesce alla lavorazione, l’andamento climatico stagionale, il regime idrico, ecc. LA PRODUZIONE DI UN VACCINO STABULOGENO Come si è visto nel capitolo precedente, In Italia è possibile attuare un programma di vaccinazione anche con vaccini stabulogeni. Per tale tipo di produzione, si deve assolutamente partire da una precisa diagnosi effettuata presso un laboratorio specializzato; tale diagnosi deve essere certa e deve essere corredata da un isolamento batteriche e da una precisa identificazione. Una volta isolato il germe causa della patologia nell’allevamento, previa richiesta ufficiale di un medico veterinario che segue l’impianto (effettuata mediante richiesta scritta), il laboratorio di produzione vaccini di un Istituto Zooprofilattico Sperimentale autorizzato, può procedere alla preparazione dell’intermedio di produzione a base di cellule batteriche morte. Si procede dapprima con la preparazione di un master seed, inoculando il germe responsabile della patologia presente nell’impianto, in una bottiglia sterile contenente 200300 ml di terreno liquido (brodo nutritivo, Tryptic Soy broth, BHI broth, Todd-Hewitt o altri terreni di primo isolamento), incubandolo per 24-36 ore a temperatura termostatata di 22 ± 2°C (Figura 14). Successivamente, dopo aver controllato l’avvenuta crescita del germe nella preparazione master seed, si inocula direttamente nel biofermentatore, in cui è stato inserito altro terreno liquido di primo isolamento nelle quantità necessarie. A seconda delle tipologie di biofermentatore, si potrà controllare le condizioni chimico-fisiche della fermentazione che dovranno rimanere ottimali e le più costanti possibili per tutto il periodo di lavorazione (pH, temperatura). Al termine del ciclo di fermentazione (dopo circa 18-24 ore dall’attivazione), si procede ad un piccolo prelievo di un’aliquota del prodotto ottenuto, per effettuare i primi controlli di qualità della produzione (controllo della specie batterica, conta batterica e del suo grado di purezza); successivamente si procede all’inattivazione del prodotto, mediante l’immissione di formalina in base al volume trattato e si effettua dopo qualche ora un secondo prelievo di un’aliquota per verificare l’avvenuta inattivazione. Per quanto riguarda questi primi controlli di qualità del prodotto ottenuto, si deve procedere in modo celere, valutando se la specie batterica ottenuta risponde ai requisiti richiesti (stessa specie batterica isolata nell’allevamento, mediante una semina su piastra e successiva identificazione biochimica), il suo grado di purezza (mediante un semplice 182 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 171-186 striscio su vetrino colorato con la metodica Gram) e la valutazione della concentrazione del germe nel terreno liquido, mediante una conta batterica a diluizioni successive, effettuata direttamente su piastra (questo per valutare la concentrazione della sospensione batterica). Nel successivo controllo di qualità invece si deve valutare l’avvenuta totale inattivazione da parte della formalina della sospensione batterica ottenuta, andando a verificare la mancata crescita di colonie batteriche su piastre di Agar sangue (mancata crescita dopo 72 ore di incubazione). Una volta ottenuti risultati favorevoli da questi controlli di processo, l’intermedio di produzione ottenuto può procedere alle successive lavorazioni. Qualora invece i risultati non fossero quelli attesi si può procedere ad un’ulteriore fase di inattivazione nel caso di crescita batterica al secondo prelievo o addirittura l’eliminazione del prodotto, nel caso in cui la specie batterica fosse inquinata da altri germi o diversa da quella desiderata. L’intermedio di produzione a questo punto deve subire una prima filtrazione per eliminare il terreno di coltura presente; tale operazione che viene fatta su un grosso volume di liquido, può essere facilmente causa di inquinamenti secondari involontari; per tale motivo, una volta ottenuto il centrifugato e risospeso in un piccolo volume di PBS sterile, è possibile effettuare per sicurezza un’ulteriore inattivazione con formalina nella percentuale dello 0,4% rispetto il volume ottenuto. Dopo questa prima filtrazione, si devono effettuare 3 lavaggi seriali mediante centrifugazione, eliminazione del liquido presente e successiva immissione di PBS sterile tamponato (pH = 7,2), per eliminare tutti i residui sia di terreno che di formalina eventualmente ancora presenti. Una volta terminati i lavaggi, si dovrà effettuare un ulteriore controllo di sterilità del prodotto; nel caso di idoneità del prodotto, si dovrà procedere alla diluizione voluta dello stesso ed eventualmente alla miscelazione di sostanze adiuvanti; il concentrato batterico diluito opportunamente, viene avviato all’imbottigliamento. Il vaccino così preparato deve subire ancora dei controlli di qualità, quali un ulteriore controllo di sterilità, effettuato direttamente sul contenuto delle varie bottiglie prodotte (in base al numero di bottiglie si sceglie di testare un numero campione di esse, generalmente una bottiglia ogni 5 prodotte), mediante semina a varie concentrazioni in tubi con Tryptic Soy Agar a becco di clarino e in tubi di thioglicolato, incubati per 7 giorni a 37 ± 2°C; inoltre, un’aliquota del vaccino prodotto dovrà essere preventivamente testata su trote iridea o altro pesce sensibile, onde valutare la sua innocuità. Tale test viene condotto su almeno 10 trote (100-200 grammi) e viene valutata la sua innocuità per 7 giorni, valutando l’eventuale grado di mortalità riscontrato. Al termine di tale periodo, i pesci inoculati verranno sacrificati, mediante anestesia profonda con MS-222 e successiva spinalizzazione, per valutare ulteriormente l’eventuale quadro anatomopatologico riscontrabile. Quando entrambi questi controlli hanno esito favorevole, il vaccino risulta un prodotto controllato e idoneo alla successiva consegna; qualora invece gli esiti siano sfavorevoli, si procede ad una semplice nuova inattivazione del vaccino quando si ha crescita batterica sui terreni di primo isolamento (con successiva nuova procedura di centrifugazione, lavaggio, sospensione e ulteriori controlli di qualità) oppure alla totale eliminazione del lotto vaccinale in casi di tossicità nelle trote testate (comprovata oltre che dalla mortalità, anche dal quadro anatomopatologico riscontrato) (Minardi et al., 2009). Ottenuto il prodotto controllato, si devono chiudere ermeticamente le bottiglie mediante tappi a ghiera e si deve effettuare la loro etichettatura. L’etichetta deve riportare il tipo di vaccino, contro quale malattia o quale agente patogeno deve essere utilizzato, il nome e la località dell’allevamento in cui deve essere usato, il lotto di produzione (per la rintracciabilità del prodotto), la data di preparazione e quella di scadenza, la temperatura di stoccaggio e ulteriori informazioni utili a contraddistinguere il prodotto ed il suo uso 183 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 171-186 (prodotto per uso veterinario, la dicitura agitare prima dell’uso o quant’altro il produttore ritenga necessario riportare in etichetta) (Figura 15). 14 15 Figura 14 – Master seed in beuta pronto all’inoculo nel biofermentatore. Figura 15 – Bottiglia di vaccino stabulogeno, etichettata e pronta alla commercializzazione. Figure 14 – Master seed in bottle for injected in the biofermentator. Figure 15 – Bottle of autovaccine, labelled and ready to commercialization. Il vaccino consegnato all’allevatore, deve essere comunque accompagnato, oltre che da una bolla e dalla rispettiva fattura, anche dalla relativa ricetta medica. Il prodotto dovrà essere caricato sull’apposito registro in allevamento, mantenuto secondo le norme riportate in etichetta ed utilizzato solamente nell’allevamento indicato, da cui è provenuto l’isolamento iniziale del patogeno e la richiesta formale del medico veterinario. La produzione di un vaccino stabulogeno necessita, per la sua produzione, di una tempistica notevole, che può variare, in base alle dosi richieste, dalle 5 alle 15 settimane. Il tempo a volte può essere maggiore, qualora intervengano problemi di produzione come ad esempio degli inquinamenti secondari. Per tale motivo è opportuno pianificare per tempo l’eventuale vaccinazione e richiedere all’Istituto produttore il vaccino con largo anticipo sulla data prevista di vaccinazione, onde evitare ritardi che possono compromettere parte della produzione ittica. 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Valutazione della risposta anticorpale e della protezione indotta da un vaccino per immersione anti Yersinia ruckeri in trota iridea (Oncorhynchus mykiss). Ittiopatologia, 3, 1: 21-31. 186 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 187-194 Osservazioni su un caso di Epiteliocisti in orate (Sparus aurata) d’allevamento Observations on a case of Epitheliocystis in cultured gilthead seabream (Sparus aurata) Francesco Agnetti 1*, Diego Sola 1, Sonia Salamida 1, Fabio Rogato 2, Mario Latini 1, Claudio Ghittino 1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche, Centro di Riferimento Regionale per l’Ittiopatologia, Via L.A. Muratori, 4 – 05100 Terni; 2 Hendrix S.p.A., Frazione San Zeno 37060 Mozzecane (VR). _________________________________ RIASSUNTO - Nel presente lavoro viene descritto un caso di Epiteliocisti verificatosi nel luglio 2008 in orate (Sparus aurata) allevate intensivamente in gabbie galleggianti off-shore, presso un impianto di maricoltura del centro Italia. I pesci sono pervenuti in laboratorio con anamnesi clinica riferente dimagrimento, letargia e dispnea. Quaranta soggetti sono stati sottoposti ad esame anatomopatologico e campioni di branchie sono stati osservati a fresco al microscopio ottico e poi processati istologicamente e in microscopia elettronica. Sono stati osservati pallore e ipermucosità branchiale, con assenza di lesioni macroscopiche a livello viscerale. Le lamelle branchiali hanno mostrato all’esame microscopico a fresco numerose formazioni cistiche intercalate fra gli spazi interlamellari. L’esame istologico ha evidenziato presenza di cisti a contenuto amorfo e cisti granulose basofile, con edema e fusione delle lamelle secondarie. L’esame al TEM ha permesso di evidenziare cellule epiteliali ipertrofiche caratterizzate dalla presenza di un grande vacuolo fagosomiale, al cui interno, immersi in materiale amorfo, è stato possibile distinguere elementi morfologicamente riferibili a corpi reticolati, corpi intermedi e corpi elementari, espressione della presenza di microrganismi Chlamydia-like. SUMMARY - A case of Epitheliocystis in gilthead seabream (Sparus aurata), occurred during July 2008 in an Italian offshore mariculture plant, is here described. Fish showed slimming, lethargy and dyspnea. Forty specimens were collected to perform anatomo-pathological, histological and TEM examinations. At necropsy, gills appeared pale and hypermucous; no visceral lesions were noticed. Microscopical examination of the gills showed the presence of several cystic elements in the interlamellar spaces. Histological examination pointed out the presence of amorphous and basophilic granular cysts, associated with oedema and fusion of the secondary lamellae, while TEM examination revealed the presence of hypertrophic epithelial cells containing a large phagosome vacuole; within it, elements morphologically referable to reticulate, intermediate and elementary bodies were noticed, thus expression of Chlamydia-like organisms. Key words: Epitheliocystis; Gilthead seabream; Sparus aurata; Gills; Chlamydia-like organisms. _________________________________ * Corresponding Author: c/o Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche, Centro di Riferimento Regionale per l’Ittiopatologia, via L.A. Muratori, 4 – 05100 Terni (TR) – Italy; Tel.: 0744-402476; Fax: 0744-59718; E-mail: [email protected]. 187 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 187-194 INTRODUZIONE L’Epiteliocisti è una patologia infettiva descritta in numerosi teleostei, causata da bacilli Gram negativi riferibili alle famiglie Chlamydiaceae e Rickettsiaceae. Segnalata per la prima volta nella carpa (Cyprinus carpio) con il termine di Mucofilosi (Plehn, 1920), è stata poi diagnosticata in numerose altre specie ittiche, sia dulciacquicole che marine, soprattutto d’allevamento, quali orata (Sparus aurata) e branzino (Dicentrarchus labrax) (Paperna, 1977), Ictalurus punctatus (Zimmer et al., 1984), ricciola (Seriola dumerilii) (Crespo et al., 1990). Il periodo dell’anno in cui si manifesta con maggior frequenza è l’estate, anche se sono stati segnalati alcuni episodi di malattia durante la stagione invernale (Ceschia & Makovec, 1995). Sebbene le branchie rappresentino il principale sito di localizzazione dell’agente causale, anche l’apparato tegumentario può esserne coinvolto, con particolare riferimento allo strato epiteliale (Nowak & La Patra, 2006). L’infezione intracellulare causata da questi microrganismi si traduce in fenomeni di ipertrofia a carico delle cellule ospiti, microscopicamente evidenziabili come cisti bianco-giallastre traslucide. Da un punto di vista patogenetico l’Epiteliocisti si articola attraverso la presenza di tre differenti stadi di sviluppo intracellulare: corpo reticolato (CR), corpo intermedio (CI) e corpo elementare (CE), tipicamente ascrivibili al ciclo di sviluppo del genere Chlamydia; oppure cellula lunga primaria (CLP), cellula lunga intermedia (CLI) e cellula piccola (CP), tipicamente ascrivibili al ciclo di sviluppo del genere Rickettsia (Nowak & La Patra, 2006). L’età dei pesci colpiti, lo stress e le condizioni ambientali sembrerebbero essere fattori in grado di determinare lo svilupparsi di uno dei due cicli sopracitati, indipendentemente dalla specie ittica interessata o dall’agente patogeno (Paperna & Alves de Matos, 1984; Crespo et al., 1999). L’Epiteliocisti normalmente si presenta come un’infezione a decorso benigno; tuttavia, a seguito di fattori predisponenti stressogeni e della tipica localizzazione branchiale, può determinare ipofunzionalità respiratoria e, presumibilmente, predisposizione del tessuto respiratorio a patologie secondarie (Ceschia & Makovec, 1995; Quaglio et al., 2006). Dal punto di vista diagnostico, accanto al rilevamento microscopico delle lesioni in sede branchiale e/o cutanea, risulta fondamentale l’esame istologico, nonché la microscopia elettronica (Roberts, 2001). Dal punto di vista terapeutico, risultati efficaci sono stati ottenuti in persici trota (Micropterus salmoides) sperimentalmente infettati e trattati con ossitetraciclina alla dose di 25 ppm per tre giorni (Goodwin et al., 2005); tuttavia l’eventuale terapia farmacologica non prescinde da misure di profilassi ambientale al fine di limitare la diffusione degli elementi infettanti nel contesto dell’allevamento (Miyaki et al., 1998). Nel presente lavoro viene descritto un caso di Epiteliocisti verificatosi nel luglio 2008 in orate allevate intensivamente in gabbie galleggianti off-shore, presso un allevamento dell’Italia centrale. MATERIALI E METODI Quaranta orate del peso medio di 50 grammi sono pervenute in laboratorio con un’anamnesi clinica riferente dimagrimento, letargia e dispnea. Tutti gli esemplari sono stati sottoposti ad esame anatomopatologico, al fine di evidenziare eventuali lesioni macroscopiche esterne e/o viscerali. Conseguentemente, campioni di branchie sono stati prelevati ed osservati al microscopio ottico (10x, 25x) e successivamente processati per indagini istologiche e di microscopia elettronica, così come di seguito riportato. Esame istologico: i campioni di branchie sono stati fissati in formaldeide al 4%. I pezzi, dopo adeguata riduzione, sono stati disidratati mediante passaggio in una serie crescente di 188 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 187-194 alcool etilico, chiarificati in xilolo, impregnati ed inclusi in paraffina. Il processo di inclusione è stato attuato mediante l’uso di processatore automatico (Leica TP 1050) e di dispensatore di paraffina (Leica EG 1140 H). Dai blocchetti così ottenuti, dopo raffreddamento sono state tagliate con microtomo a slitta (Leitz) sezioni sottili dello spessore di 4-5 µm e allestiti i vetrini. Le sezioni sono state poi colorate con Ematossilina-Eosina (E-E) mediante coloratore automatico (Leica Autostainer XL V 1.81). Dopo montaggio con vetrino coprioggetto, i preparati sono stati osservati (10x, 40x, 100x) e fotografati al microscopio ottico (Leica, Mod. DMR Fluo HC). Esame al microscopio elettronico a trasmissione (TEM): i campioni di branchie sono stati fissati in glutaraldeide al 2,5% (TAAB, UK) in tampone fosfato 0,1M, pH 7,4 per 2 ore a 4°C e post fissati in tetrossido di osmio (OsO4) all’1% (Heraeus Chemicals, Sud Africa) in tampone fosfato 0,1M, pH 7,4 per 2 ore a 4°C. Sono stati poi disidratati attraverso passaggio in una serie crescente di alcool etilico, chiarificati in ossido di propilene (TAAB, UK) e inclusi in resina epossidica, EPON 812 (TAAB, UK). I blocchetti di resina sono stati lasciati polimerizzare in stufa a 60°C per 72 ore. Le sezioni semifini sono state colorate con blu di toulidina all’1%, in sodio carbonato allo 0,5%. Le sezioni ultrafini (80-100 nm) sono state raccolte su griglie di rame e contrastate con acetato di uranile e citrato di piombo. I campioni sono stati quindi osservati (x 10000, x 17000) e fotografati al microscopio elettronico (CM 12 STEM, Philips) a 80 kV. Un secondo gruppo di orate, sempre di 40 esemplari e facente parte dello stesso lotto del primo gruppo, è stato esaminato circa dopo 20 giorni dal precedente campionamento, al fine di valutare l’evoluzione del quadro morboso. RISULTATI L’esame anatomopatologico ha evidenziato dimagrimento associato a pallore ed ipermucosità branchiale, in assenza di lesioni macroscopiche a livello viscerale (Figura 1). 1 2 Figura 1 – Orata (Sparus aurata), quadro anatomopatologico: dimagrimento associato a pallore ed ipermucosità branchiale. Figura 2 – Esame microscopico a fresco delle branchie (25x): presenza di formazioni cistiche rotondeggianti riferibili a Epiteliocisti. Figure 1 – Gilthead seabream (Sparus aurata), anatomopathological features: slimming associated with pale and hypermucous gills. Figure 2 – Gills microscopical examination (25x): presence of round shaped cysts consistent with Epitheliocystis. 189 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 187-194 L’esame microscopico a fresco delle lamelle branchiali ha mostrato numerose formazioni cistiche rifrangenti rotondeggianti (Figura 2), morfologicamente riconducibili a Epiteliocisti, intercalate fra gli spazi interlamellari e una modica presenza di monogenei. L’esame istologico delle branchie ha evidenziato la presenza, massiva in alcuni campioni, di lesioni cistiche di dimensioni variabili (40-60 µm) (Figura 3) di due tipologie: cisti a contenuto amorfo (Figura 4) e cisti granulose basofile (Figura 5). 3 4 Figura 3 – Esame istologico delle branchie: presenza di formazioni cistiche con edema ed iperplasia con fusione delle lamelle secondarie (EE, 10x). Figura 4 – Esame istologico delle branchie: cisti a contenuto amorfo (EE, 100x). Figure 3 – Gills histological examination: cystic elements with oedema and hyperplasia, with fusion of the secondary lamellae (HE, 10x). Figure 4 – Gills histological examination: cysts with amorphous contents (HE, 100x). 5 Figura 5 – Esame istologico delle branchie: cisti granulose basofile (EE, 100x). Figure 5 – Gills histological examination: basophilic granular cysts (HE, 100x). 190 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 187-194 Tali formazioni sono state riscontrate per lo più a carico dell’epitelio delle lamelle secondarie, in alcuni casi associate ad edema e iperplasia epiteliale più o meno marcata. Reperto frequente è stato il riscontro di fusione di lamelle secondarie (Figura 6). 6 Figura 6 – Esame istologico delle branchie: edema e fusione di lamelle secondarie (EE, 20x). Figure 6 – Gills histological examination: oedema and fusion of the secondary lamellae (HE, 20x). 8 7 Figura 7 – Esame al TEM delle branchie: vacuolo fagosomiale con corpi reticolati (CR) e corpi intermedi (CI) immersi in materiale amorfo; nucleo della cellula ospite spostato alla periferia (N), mitocondri disposti attorno al vacuolo (Mit), presenza di caratteristiche proiezioni del plasmalemma (freccia) (x 10000). Figura 8 – Esame al TEM delle branchie: corpi reticolari e corpi intermedi, alcuni dei quali in divisione (freccia) (x 10000). Figure 7 - Gills TEM examination: phagosome vacuole with reticulate bodies (CR) and intermediate bodies (CI) immersed in an amorphous material; nucleus of the host cell at periphery (N), mitochondria around the vacuole (Mit), presence of the typical plasmalemma projections (arrow) (x 10000). Figure 8 - Gills TEM examination: reticulate and intermediate bodies, some of them in division (arrow) (x 10000). 191 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 187-194 L’esame al TEM ha permesso di evidenziare cellule epiteliali ipertrofiche caratterizzate dalla presenza di un grande vacuolo fagosomiale contenente batteri a diverso grado di sviluppo, con nucleo sospinto alla periferia della cellula e mitocondri disposti attorno al suddetto vacuolo. All’interno, immersi in un materiale amorfo, sono stati osservati elementi morfologicamente riferibili a corpi reticolati, corpi intermedi e corpi elementari (Figura 7). I primi, notevolmente pleomorfi e di dimensioni variabili, risultavano caratterizzati da presenza di uno o più nucleoidi (l’assenza di nucleoide sarebbe stata indice di un’infezione precoce) e citoplasma di aspetto granulare, indicativo della presenza di ribosomi. I corpi intermedi, spesso osservati in processi di divisione (Figura 8), sono apparsi con un nucleoide elettrondenso centrale, una zona trasparente agli elettroni e ribosomi disposti alla periferia della cellula. I corpi elementari, che nel ciclo delle Chlamydiaceae rappresentano la forma infettante, si sono mostrati molto elettrondensi, con un grande nucleoide eccentrico e fortemente “compattati” tra di loro (Figura 9). 9 Figura 9 – Esame al TEM delle branchie: corpi elementari (CE) addensati con grande nucleoide elettrondenso ed eccentrico; leggermente a sinistra si distingue un corpo intermedio (CI) (x 10000). Figure 9 – Gills TEM examination: thickened elementary bodies (CE), with an eccentric elettrondense nucleoid; slightly on the left, an intermediate body (CI) can be distinguished (x 10000). Il secondo gruppo di orate esaminato a circa 20 giorni di distanza non ha mostrato rilievi anatomopatologici degni di nota, né quadri microscopici branchiali riconducibili ad Epiteliocisti. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI Gli organismi Chlamydia-like sono da tempo considerati patogeni per i pesci; tuttavia, l’acquisizione di conoscenze in ambito laboratoristico e quindi di più affinati strumenti 192 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 187-194 analitici ha solo recentemente potenziato le cognizioni in questo ambito (Karlsen et al., 2008). Il caso descritto nel presente lavoro ha permesso di focalizzare l’attenzione sui seguenti punti: • il sovraffollamento e le condizioni di scarsa igiene che si possono verificare in allevamento, uniti alle elevate temperature del periodo estivo, possono rappresentare fattori predisponenti per lo sviluppo della patologia; • il quadro sintomatologico ed anatomopatologico è a carico soprattutto delle branchie; in particolare, l’epitelio delle lamelle branchiali risulta essere il tessuto target, sia in specie ittiche di acqua dolce che salata, come già descritto da altri autori (Groff et al., 1996; Crespo et al., 1999; Kim et al., 2005; Karlsen et al., 2008); • l’istologia e la microscopia elettronica permettono di descrivere la morfologia degli stadi di sviluppo del microrganismo e ricondurlo eventualmente alla famiglia Chlamydiaceae o Rickettsiaceae; di conseguenza è interessante, da un punto di vista tassonomico e soprattutto biologico, studiarne la probabile specie-specificità ospiteparassita; • a fronte di un’efficacia terapeutica sicuramente dimostrata per alcuni antibiotici, spesso la rapidità di insorgenza della malattia, il quadro istolesivo e la potenziale predisposizione ad agenti patogeni branchiali secondari si traducono in un effetto depauperante per l’ospite, con conseguenti ripercussioni negative sul management d’allevamento. Pertanto, sarebbe opportuno, da parte degli addetti del settore, non affidarsi esclusivamente all’approccio terapeutico, ma investire su adeguate e proficue strategie di prevenzione; ad esempio, l’esecuzione di indagini molecolari (PCR) a campione, consentirebbe di individuare la patologia anche in soggetti non ancora clinicamente sospetti. BIBLIOGRAFIA Ceschia G. & Makovec E. (1995). Epiteliocisti in orate (Sparus aurata) allevate in Italia. Boll. Soc. It. Patol. Ittica, 17: 18-24. Crespo S., Grau A. & Padros F. (1990). Epitheliocystis disease in the cultured amberjack, Seriola dumerilii Risso (Carangidae). Aquaculture, 90: 197-207. Crespo S., Zarza C., Padros F. & Marin de Mateo M. (1999). Epitheliocystis agents in sea bream Sparus aurata: morphological evidence for two distinct chlamydia-like developmental cycles. Dis. Aquat. Org., 37: 61-72. Goodwin A.E., Park E. & Nowak B.F. (2005). Successful treatment of largemouth bass, Micropterus salmoides (L.), with epitheliocystis hyperinfection. J. Fish Dis., 28: 623-625. Groff J.M., La Patra S.E., Munn R.J., Anderson M.L. & Osburn B.I. (1996). Epitheliocystis infection in cultured white sturgeon (Acipenser transmontanus): antigenic and ultrastructural similarities of the causative agent to the Chlamydiae. J. Vet. Diagn. Invest., 8: 172-180. Karlsen M., Nylund A., Watanabe K., Helvik J.V., Nylund S. & Plarre H. (2008). Characterization of “Candidatus Clavochlamydia salmonicola”: an intracellular bacterium infecting salmonid fish. Environ. Microbiol., 10, 1: 208-218. 193 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 187-194 Kim D.-J., Park J.-H., Seok S.-H., Cho S.-A, Baek M.-W., Lee H.-Y. & Park J.-H. (2005). Epitheliocystis in carp (Cyprinus carpio) in South Korea. J. Vet. Med. Sci., 67, 1: 119-120. Miyaki K., Mizuta K., Yamamoto N., Yoshikoshi K., Kanai K. & Tabeta O. (1998). Mass mortality of hatchery-reared juveniles of bartail flathead, Platycephalus sp. due to epitheliocystis-like disease. Bull. Nagasaki Prefectural Institute of Fisheries, 24: 7-10. Nowak B.F. & La Patra S.E. (2006). Epitheliocystis in fish. J. Fish Dis., 29: 573-588. Paperna I. (1977). Epitheliocystis infection in wild and cultured sea bream (Sparus aurata, Sparidae) and grey mullets (Liza ramada, Mugilidae). Aquaculture, 10: 169-176. Paperna I. & Alves de Matos A.P. (1984). The developmental cycle of Epitheliocystis in carp, Cyprinus carpio L. J. Fish Dis., 7: 137-147. Plehn M. (1920). Praktikum der fischkrankheiten. In: Handbuch der Binnenfischeri Mitteluropas (ed. by R. Demoll & H. Maier): 301-429. Quaglio F., Florio D., Caffara M, Rogato F. & Fioravanti M.L. (2006). Epiteliocisti in orata (Sparus aurata) d’allevamento: osservazioni istopatologiche. Atti del XIII Convegno Nazionale SIPI, Abano Terme (PD), 26-28 ottobre 2006: 43. Roberts R.J. (2001). Fish Pathology. Third Edition. Ed. W.B. Saunders: 329. Zimmer M.A., Ewing M.S. & Kocan K.M. (1984). Epitheliocystis disease in the channel catfish, Ictalurus punctatus (Rafinesque). J. Fish Dis., 7: 407-410. 194 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 195-202 Stato sanitario di una popolazione selvatica di siluri (Silurus glanis L., 1758) pescati nel tratto alessandrino del bacino idrografico del fiume Po Health status of a wild Wels catfish (Silurus glanis L., 1758) populations in Po river basin (Alessandria Province, Piedmont, North-western Italy) Ilaria Giorgi 1*, Massimo Pascale 2, 3, 4, Elena Pavoletti 1, Paola Arsieni 1, Sabrina Guarise 3, Tommaso Scanzio 4, Gilberto Forneris 3, Marino Prearo 1 1 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna, 148 – Torino; Ittiologo, Via Aurora, 5 - Pinerolo (TO); 3 Facoltà di Medicina Veterinaria, Via Leonardo da Vinci, 44 – Grugliasco (TO); 4 Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, Via P. Giuria, 15 – Torino. ______________________________ RIASSUNTO – La presenza del siluro (Silurus glanis) nei fiumi italiani rappresenta una minaccia per le popolazioni ittiche autoctone; questo porta ad un’alterazione degli equilibri ambientali con una riduzione del numero delle specie e degli individui. Gli esemplari di grossa taglia possono essere posizionati al vertice della catena alimentare fluviale, in quanto quasi esclusivamente ittiofagi. Questo lavoro ha l’obiettivo di valutare lo stato sanitario di questo grande predatore, in una zona circoscritta del bacino idrografico del fiume Po (zona nella provincia di Alessandria) dove la popolazione di siluri risulta particolarmente consistente. Sono stati analizzati 92 esemplari di taglia diversa nel periodo compreso tra marzo 2007 e novembre 2008; l’esame anatomopatologico non ha rilevato lesioni evidenti; l’esame virologico, condotto su monostrati cellulari, ha sempre dato esito negativo. L’esame parassitologico ha evidenziato la presenza, in circa il 50% dei soggetti, di Thaparocleidus vistulensis (Monogenea) a livello branchiale, di Orientocreadium spp. (Digenea), Pomphorhynchus laevis, Acanthocephalus anguillae ed A. lucii (Acanthocephala) a livello intestinale. L’esame colturale ha rilevato positività non significative per Aeromonas hydrophila, A. sobria, Plesiomonas shigelloides e Pseudomonas aeruginosa, come altrettanto non significative sono risultate le positività all’esame colturale per micobatteri (Mycobacterium fortuitum e M. flavescens) senza evidenziare lesioni agli organi, riconducibili a detta patologia. I risultati riscontrati in questa popolazione hanno permesso di evidenziare come lo stato di salute sia da considerasi buono, vista anche la notevole varietà di soggetti appartenenti alle diverse taglie. SUMMARY – The presence of wels catfish (Silurus glanis) in Italian rivers is a threat to native fish populations; this leads to an alteration of the environmental equilibrium, with reduction in the number of fish species and specimens. Large individuals can be placed at the top of the food chain in rivers, being exclusively ichthyophagous. The present work aims to assess the health status of this big predator in a restricted area of the Po River basin (Alessandria Province, Piedmont, North-western Italy), area where the population of wels catfish is particularly abundant. 92 specimens of different size were analyzed during the period between March 2007 and November 2008; at anatomopathological examination no lesions were found; virological tests, carried out on cell monolayers, were always negative. In about 50% of specimens, parasitological examination revealed the presence of Thaparocleidus vistulensis (Monogenea) in gills, Orientocreadium spp. (Digenea), Pomphorhynchus laevis, Acanthocephalus anguillae and A. lucii (Acanthocephala) in the intestine. Bacteriological tests were positive for Aeromonas hydrophila, A. sobria, Plesiomonas shigelloides and Pseudomonas aeruginosa, but these results are not significant, as well as not significant is the positivity found for mycobacteria (Mycobacterium fortuitum and M. flavescens) without evidence of lesions in organs. Results show how the health condition of this wels catfish population is optimal, considering the large number of specimens of different size analyzed. Key words: Wels catfish, Silurus glanis, Health status, Po river basin. ______________________________ * Corresponding Author: c/o Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Laboratorio di Ittiopatologia e Acquacoltura, Via Bologna, 148 – 10154 Torino. Tel.: 011-2686295; Fax: 0112474458; E-mail: [email protected]. 195 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 195-202 INTRODUZIONE I pesci appartenenti all’ordine Siluriformes sono suddivisi in circa 36 famiglie, con oltre 4.000 specie presenti in tutto il mondo; vivono quasi tutte in acqua dolce e hanno una distribuzione ormai cosmopolita (Ferraris, 2007). Il genere Silurus appartiene alla famiglia Siluridae, rappresentata in Europa da 2 specie, il siluro (o siluro d’Europa), Silurus glanis (Tortonese, 1970) e il siluro di Aristotele, Silurus aristotelis, diffuso in Grecia e nella regione del mar Ionio (Ladiges & Vogt, 1986; Economidis & Banarescu, 1991; Bornbusch, 1995; Triantafyllidis et al., 1999). L'areale originario di distribuzione è piuttosto ampio, estendendosi dall'Asia occidentale (Mar Caspio e lago d'Aral) all'Europa centrale e orientale, compresa la Svezia meridionale. L’areale attuale di distribuzione risulta però notevolmente ampliato, a seguito dell’espansione della specie in buona parte dell’Europa, inclusa l’Italia (settentrionale e da poco anche centrale) (Puzzi et al., 2007). In Italia è specie alloctona: la prima segnalazione risale al 1937 ed è relativa a un esemplare pescato nel fiume Adda (Manfredi, 1957), la cui presenza è stata però considerata del tutto occasionale, legata ad un carico di pesce importato dall’estero. La sua acclimatazione è stata osservata con certezza alla fine degli anni ’70 (Gandolfi & Giannini, 1979). Da allora le catture sono andate via via moltiplicandosi con impressionante intensità: dagli anni ’80 la presenza del siluro può essere considerata comune e continua nel medio e basso corso del fiume Po ed in generale in tutto il bacino padano, compresi i numerosi canali artificiali (Piccinini & Pattini, 1996). Attualmente la specie è diffusa anche in alcuni bacini idrografici dell’Italia centrale (Arno, Tevere e Pescara) (Zerunian, 2002). Il siluro preferisce le zone di fiume a corrente moderata, con discreta profondità e abbondanza di anfratti nei quali si rifugia e tende agguati alle prede. I soggetti giovani dimostrano una certa gregarietà, mentre gli adulti sono più solitari (Piccinini & Pattini, 1996). Il siluro è un pesce fotofobo, il suo picco di massima attività coincide con le ore crepuscolari e notturne, durante le quali nuota sul fondo ricercando il cibo con i barbigli tattili. Si può alimentare anche durante il giorno, specialmente in condizioni di tempo coperto e di torbidità delle acque. Se viene costretto ad alimentarsi di giorno, si riduce notevolmente la quantità di cibo assunta, ma ritorna facilmente alla sua normale attività notturna se gli viene lasciato libero accesso al cibo (Boujard, 1995). L'attività alimentare è massima durante i mesi caldi, mentre invece cessa del tutto in inverno, quando l'animale cade in una fase di latenza (Piccinini & Pattini, 1996). Il siluro è considerato tra i maggiori predatori delle acque dolci europee; poiché è in grado di adattarsi alle diverse disponibilità alimentari, la dieta non appare altamente specializzata, tanto da definirlo come un onnivoro opportunista (Piccinini & Pattini, 1996). La dieta del siluro varia in relazione alle sue dimensioni; nei primi stadi di vita, appena riassorbito il sacco vitellino, il novellame si nutre di zooplancton e piccoli invertebrati bentonici. Con l’aumentare della taglia, il regime alimentare cambia e fino alle dimensioni di circa 35 cm, la dieta è composta prevalentemente da larve di insetti, oligocheti, crostacei, molluschi e da piccoli pesci; in questa fase l’alimentazione è ancora onnivora, ma negli esemplari di taglia maggiore cambia radicalmente diventando quasi esclusivamente ittiofaga, anche se occasionalmente si possono cibare di anfibi, rettili, uccelli e piccoli mammiferi (Rossi et al., 1992). Negli ecosistemi acquatici dell’Italia settentrionale, il siluro mostra degli accrescimenti più rapidi rispetto a quelli osservati nei paesi d’origine; una comparazione tra le curve di accrescimento relative a vari corsi d’acqua europei mette in evidenza come nel fiume Po la specie mostri di gran lunga la migliore capacità di crescita, probabilmente grazie ad un 196 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 195-202 regime termico ottimale e all’assenza di validi competitori e predatori (Balma et al., 1989; Rossi et al., 1992). L’impatto di questo enorme predatore alieno sulle comunità ittiche è stato molto forte e sta producendo consistenti alterazioni nella piramide alimentare fluviale (Balma et al., 1989). La presenza del siluro nei fiumi italiani rappresenta una forte minaccia per le popolazioni indigene di pesci, che rischia di alterare gli equilibri ambientali determinando una riduzione del numero delle specie e degli individui (Zerunian, 2002). Il siluro si sta progressivamente affermandosi a discapito delle specie autoctone, rispetto alla maggior parte delle quali ha il vantaggio dell’enorme taglia che può raggiungere, dell’estrema versatilità (che lo porta a colonizzare ambienti anche molto diversi, compresi tratti fluviali a corrente veloce) e all’abitudine di cacciare di notte, durante la quale gli altri pesci risultano più vulnerabili e gli altri grandi predatori, di norma, non sono attivi. Scopo di questo lavoro è quello di valutare lo stato sanitario di questo grande predatore, in una zona circoscritta del bacino idrografico del fiume Po (zona nei dintorni della città di Alessandria) dove la popolazione di siluri risulta particolarmente consistente. MATERIALI E METODI Da marzo 2007 a novembre 2008 sono stati esaminati, presso il laboratorio specialistico di Ittiopatologia dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta di Torino, 92 esemplari di siluro, provenienti dal bacino idrografico del fiume Po situato in provincia di Alessandria; più precisamente sono stati prelevati 69 soggetti dal fiume Po (località Valmacca e Frassineto Po), 12 dal fiume Bormida (località Spinetta Marengo) e 11 dal Tanaro (località ponte della Cittadella, Alessandria). Il prelievo è stato condotto mediante pesca con elettrostorditore su natante, costeggiando le zone di sotto sponda ove sono presenti massicciate o rifugi naturali. Tutti i soggetti sono stati pesati e misurati ed è stato valutato il sesso e l’età approssimativa mediante il conteggio degli annuli di accrescimento del tessuto osseo delle vertebre toraciche. Per ogni esemplare catturato sono stati eseguiti in laboratorio l’esame anatomopatologico, parassitologico, l’esame colturale e l’esame virologico. Esame anatomopatologico L’esame anatomopatologico è stato condotto secondo le consuete procedure. Dapprima sono stati visionati cute e branchie, successivamente, dopo l’apertura della cavità celomatica, sono stati osservati gli organi interni. Esame parassitologico L’esame parassitologico a fresco per la ricerca degli ectoparassiti, è stato eseguito a livello branchiale prelevando un arco branchiale in toto e a livello cutaneo, effettuando un raschiato, soprattutto alle inserzioni delle pinne, servendosi dei vetrini coprioggetto; l’osservazione è stata condotta al microscopio ottico a basso e medio ingrandimento (10x, 40x). Sono state quindi effettuate impronte su vetrino degli organi interni (fegato e rene) ed osservate al microscopio ottico (40x, 100x), mentre a livello gastro-intestinale, sono stati eseguiti preparati per raschiamento della parete e del contenuto. Esame colturale L’esame colturale è stato condotto direttamente dal rene: servendosi di un’ansa sterile da batteriologia è stato effettuato il prelievo; la semina è avvenuta per striscio su terreni di 197 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 195-202 primo isolamento (Agar sangue e Tryptic Soy Agar). Le piastre ottenute sono state incubate a 22 ± 2°C per un massimo di 72 ore, trascorse le quali, se non si osservava crescita, l’esame veniva considerato negativo. In caso di crescita batterica, le colonie erano sottoposte alla colorazione di Gram e al test dell’ossidasi. La successiva identificazione biochimica è stata condotta tramite le gallerie API (bioMérieux). Per la ricerca di micobatteri sono stati prelevati con pinze e forbici sterili porzioni di fegato, rene e in alcuni casi milza. Tali organi sono stati omogenati singolarmente in stomacher, decontaminati con 10 ml di HPC, lasciati in agitazione per 30 minuti e centrifugati a 4.000 giri per 15 minuti. Terminata la centrifugazione sono stati eliminati i surnatanti e i sedimenti ottenuti, sono stati seminati su terreni in tubo (Löwenstein-Jensen e Stonebrink) ed incubati a 28 ± 2°C. I tubi sono stati controllati per 2 mesi; se, trascorso tale periodo, non si verificava crescita di colonie di micobatteri, i campioni venivano considerati negativi. In quelli in cui si assisteva ad una crescita di colonie si effettuava una colorazione di Ziehl-Neelsen per verificarne l’acido-alcool resistenza; qualora fosse risultata positiva veniva eseguita l’identificazione fenotipica e biochimica, seguendo le modalità indicate dal CDC Manual: alotolleranza, crescita su MacConkey senza cristalvioletto, cromogenicità e temperatura di crescita del micobatterio in esame, capacità di riduzione dei nitrati, presenza dell’enzima ureasi, capacità di idrolisi del Tween 80, test della catalasi e prova dell’arilsulfatasi a 3 e 14 giorni (Kent & Kubica, 1985). Esame virologico Sono state prelevate sterilmente porzioni di milza, rene e cuore e sottoposte ad omogeneizzazione in potter sterili in MEM-Earle antibiotato. L’omogenato ottenuto è stato successivamente centrifugato a 3.750 rpm per 15 minuti alla temperatura di 4°C. Il surnatante ottenuto è stato posto in frigorifero over night e successivamente inoculato su monostrati cellulari di linee cellulari comunemente utilizzate in laboratorio (EPC, BF2, RTG2). I monostrati sono stati osservati ogni giorno al microscopio ottico rovesciato per individuare un’eventuale comparsa di effetto citopatico. L’esame è stato effettuato su tre subculture della durata di 10 giorni ciascuna. RISULTATI È stato possibile distinguere tra i 92 siluri campionati, un numero pressoché equivalente tra maschi e femmine (rispettivamente 45 e 42, più 5 esemplari ancora con gonadi indifferenziate). La lunghezza media degli esemplari pescati era di 79,95 centimetri (± D.S. 28,1265), con una lunghezza minima di 12 centimetri ed una massima di 160 centimetri; il peso medio registrato è stato di 4,60 kg (± D.S. 4,4341) con un valore minimo di 13 grammi e un peso massimo di 25 kg. L’età media, valutata mediante il conteggio degli anelli di accrescimento a livello vertebrale, è di 5 anni circa con un intervallo di età compreso tra 0 (soggetti nati nell’anno di prelievo) e 12. Il soggetto di maggiore taglia, di sesso femminile, avente un peso di 25 kg e una lunghezza di 160 centimetri, dell’età approssimativa di 12 anni, è stato pescato nel fiume Bormida durante l’autunno 2008. Esame anatomopatologico Nessuno degli esemplari esaminati ha evidenziato lesioni macroscopicamente evidenti, riconducibili a stati morbosi o a patologie in atto. La cute è risultata sempre integra e cosparsa di abbondante muco; le branchie sono apparse normali in tutti i soggetti, anche nei casi in cui erano presenti parassiti monogenei. 198 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 195-202 All’apertura della cavita celomatica tutti gli organi interni sono risultati normotipici, senza evidenziare lesioni di sorta. A livello intestinale si è potuto osservare, in alcuni soggetti, la presenza di parassiti acantocefali infissi nella parete, mai però in numero considerevole. Esame parassitologico E’ stato possibile osservare in 47 siluri (51,1%) una infestazione da Thaparocleidus vistulensis (Monogenea, Dactylogyridea, Ancylodiscoididae) a livello branchiale. Si è inoltre potuto repertare, soprattutto nei soggetti di taglia media, la presenza a livello intestinale di Digenei appartenenti alla famiglia Plagiorchidae, genere Orientocreadium, in 30 soggetti (pari a 32,6%) e di alcune specie di Acanthocephala (Pomphorhynchus laevis, Acanthocephalus anguillae ed A. lucii) in 36 esemplari (pari al 39,1%). Esame colturale Le positività riscontrate all’esame colturale su terreni di primo isolamento nei due anni di ricerca, sono state 32 su 92 siluri analizzati (34,8%). È stato possibile identificare mediante i test fenotipici e biochimici, delle specie batteriche considerate come possibili patogeni ad irruzione secondaria, quali Aeromonas hydrophila, A. sobria, Plesiomonas shigelloides e Pseudomonas aeruginosa (Tabella 1). Specie batteriche Aeromonas hydrophila Plesiomonas shigelloides Aeromonas sobria Pseudomonas aeruginosa N° positivi 21 6 3 2 Tabella 1 – Specie batteriche isolate e numerosità. Table 1 – Isolated bacterial species and numbers. Per quanto riguarda la ricerca di micobatteri, sono risultati positivi solamente 7 soggetti (7,6%): 4 isolamenti sono stati effettuati su soggetti prelevati dal fiume Po e 3 dal fiume Tanaro. Le specie di micobatteri isolate sono state Mycobacterium fortuitum con 5 isolamenti (3 dal rene e 2 dal fegato) e M. flavescens con 2 isolamenti (Tabella 2). Dai sette siluri in cui è stato possibile evidenziare tali positività, non è stata evidenziata alcuna lesioni macroscopicamente riferibile a micobatteriosi. Esame virologico Nessuno dei soggetti esaminati hanno evidenziato positività all’esame virologico; i monostrati cellulari non hanno mostrato alcun effetto citopatico nei 30 giorni successivi l’inoculazione (3 passaggi seriali). 199 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 195-202 Provenienza – Fiume Valmacca (AL) – Po Valmacca (AL) – Po Valmacca (AL) – Po Valmacca (AL) – Po Alessandria – Tanaro Alessandria – Tanaro Alessandria – Tanaro Organo colpito Rene Fegato Rene Rene Rene Fegato Fegato Specie Mycobacterium flavescens Mycobacterium fortuitum Mycobacterium fortuitum Mycobacterium fortuitum Mycobacterium fortuitum Mycobacterium flavescens Mycobacterium fortuitum Tabella 2 – Specie di micobatteri riscontrati, organo riscontrato positivo e località di prelievo del soggetto riscontrato positivo. Table 2 – Mycobacterium species found, organ positive and the sampling location of the subject positive. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI Nonostante l’obiettivo del presente lavoro non fosse uno studio di popolazione, si è potuto osservare come, attraverso le catture, la presenza di siluri nel tratto di bacino idrico considerato, sia ben distribuita nelle varie classi di età. Inoltre è stato possibile evidenziare che si trovano molti soggetti giovani e sub-adulti, mentre la popolazione di soggetti di grande taglia non appare dominante (anche se alcuni soggetti di taglia ragguardevole, durante la pesca con l’elettrostorditore non sono stati catturati per difficoltà contingenti). Andando a valutare il rapporto lunghezza/peso/età dei soggetti campionati, si è potuto osservare come l’accrescimento riscontrato sia in linea con la curva teorica di accrescimento (Piccinini & Pattini, 1996). Non è stato possibile isolare alcun tipo di agente virale; l’esame è stato condotto su monostrati cellulari comunemente utilizzati nelle indagini virologiche, anche per poter valutare o meno la presenza di eventuali Rhabdovirus, oltre che di virus specifici. L’esame parassitologico ha portato all’evidenziazione di parassiti sia a livello branchiale che a livello intestinale in circa il 50% dei soggetti esaminati. La pressione della popolazione parassitaria riscontrata, non è però risultata tale, a nostro avvisto, da provocare gravi danni agli organi interessati. I soggetti parassitati a livello branchiale presentavano sempre un’infestazione modesta con una media di circa 13 parassiti per arco branchiale (range 8-21 parassiti) (Paladini et al., 2008), così come a livello intestinale, dove il grado di infestazione appariva sempre di media entità. Gli esami batteriologici non hanno evidenziato la presenza di agenti riconducibili a patologie specifiche; l’identificazione di alcune specie batteriche, quali Aeromonas hydrophila, A. sobria, Plesiomonas shigelloides e Pseudomonas aeruginosa indica probabilmente una possibile irruzione secondaria ed in ogni modo, vista l’assenza di lesioni specifiche, appare di scarsa importanza. Un discorso un po’ più particolareggiato va fatto nei confronti delle positività riscontrate per micobatteri atipici. Queste sono veramente esigue (7,6%) e tutte sono solamente di tipo colturale. La mancanza di lesioni macroscopicamente e microscopicamente evidenti, riconducibili a granulomi da micobatteri, fa supporre che, almeno nei casi da noi verificati, gli esemplari possano essere considerati dei portatori asintomatici. L’isolamento di micobatteri atipici in fegato e rene potrebbe comunque essere indicativo di un interessamento sistemico; essendo patologie ad andamento cronico, la mancanza di lesioni 200 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 195-202 macroscopiche potrebbe anche essere espressione di un recente contatto dei pesci con i micobatteri. È importante proseguire tali indagini in modo da monitorare la presenza di queste patologie in questi predatori e verificare il reale ruolo patogeno che tali batteri possono svolgere nell’ecosistema fluviale. Il siluro inoltre, potrebbe rivestire un importante ruolo epidemiologico nella diffusione delle micobatteriosi ittiche nell’ambiente acquatico, con potenziali ripercussioni sulla salute pubblica (zoonosi minore), visto che la pesca a tale preda, è un’attività che si sta sempre più affermando nell’Italia settentrionale, non solo di tipo sportivo, ma anche a scopo alimentare. Indipendentemente dallo stato sanitario, la presenza del siluro nei nostri fiumi rappresenta comunque una minaccia per le popolazioni indigene di pesci e rischia di alterare gli equilibri ambientali (Zerunian, 2002). In questi anni si è assistito in molti casi ad un peggioramento generale della qualità dell’acqua nei nostri fiumi e delle condizioni ecologiche (inquinamenti, rettificazioni, riduzioni di portata, costruzioni di sbarramenti alle migrazioni dei pesci, etc.), con dirette ripercussioni, sia quantitative che qualitative sulle comunità ittiche. La presenza di questa specie alloctona ha costituito e costituisce tutt’ora un’ulteriore fonte di impatto sulle biocenosi acquatiche, sia per le grandi dimensioni e sia per le spiccate attitudini predatorie; da non trascurare il possibile ruolo epidemiologico che potrebbe svolgere come reservoir di patologie ittiche. Dal presente studio si mette in evidenza come le comunità di siluro esaminate nei siti campionati, goda di uno stato di salute ottimale e che non si sono verificati in quell’arco di tempo gravi problematiche sanitarie. Resta da puntualizzare come tale specie possa essere considerata anche un ottimo indicatore del grado di inquinamento ambientale, proprio per le sue caratteristiche ecologiche ed etologiche; essendo all’apice della catena alimentare, i fenomeni di accumulo di xenobiotici sono importanti, tanto da permettere la valutazione del degrado ambientale da cause antropiche ed industriali di un corso d’acqua, in base alle concentrazioni di residui presenti nelle sue carni e negli organi target (rene e fegato) (Tarasco et al., 2009). Questi tipi di monitoraggi pertanto, risultano estremamente importanti e dovrebbero essere estesi in più punti della rete fluviale e lacustre del nostro paese, in modo da conoscere le reali situazioni sanitarie delle varie popolazioni ittiche e valutare gli eventuali possibili rischi di introduzione o di trasmissione di patologie che possono veicolare. RINGRAZIAMENTI Si ringrazia il personale della Provincia di Alessandria, Ufficio Tutela Fauna Ittica per l’indispensabile supporto fornito durante i prelievi ittici. BIBLIOGRAFIA Balma G.A.C., Del Mastro G.B. & Forneris G. (1989). Segnalazione di alcune specie ittiche esotiche d’importazione in Italia settentrionale con particolare riferimento alle acque piemontesi (Pisces, Osteichthyes). Atti Soc. Ital. Sci. Nat. Mus. Civ. Storia Nat., Milano, 130, 7: 109-116. Bornbusch A.H. (1995). Phylogenetic relationships within Eurasian catfish family Siluridae (Pisces: Siluriformes), with comments on genetic validities and biogeography. Zool. J. 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Franco Muzzio Editore, Padova: 1-234. Manfredi P. (1957). Cattura di un Silurus glanis nell’Adda presso Lecco. Natura, Soc. Ital. Sci. Nat. Mus. Civ. Storia Nat. Acquario Civ. Milano, 48: 28-30. Paladini G., Gustinelli A., Fioravanti M.L., Minardi D. & Prearo M. (2008). Ridescrizione di Thaparocleidus vistulensis (Monogenea: Ancylodiscoididae) da siluro europeo (Silurus glanis L.) del fiume Po e status tassonomico del genere. Ittiopatologia, 5, 2: 129-138. Piccinini A. & Pattini L. (1996). Il siluro: la biologia della specie, le tecniche di pesca e la storia. Collana Ed.: 1-84. Puzzi C.M., Trasforini S., Casoni A., Bardazzi M.A. & Bellani A. (2007). Il siluro (Silurus glanis). Ecologia della specie nel fiume Ticino e risultati dell’azione di contrasto alla sua espansione svolta nel parco negli anni 2001-2006. Consorzio del Parco lombardo della Valle del Ticino, Pontevecchio di Magenta (MI): 1-80. Rossi R., Trisolini R., Rizzo M.G., Dezfuli B.S., Franzoi P. & Grandi G. (1992). Biologia ed ecologia di una specie alloctona, il siluro (Silurus glanis) (Osteichthyes, Siluridae) nella parte terminale del fiume Po. Atti Soc. Ital. Sci. Nat. Museo Civ. Storia Nat., Milano, 132, 7: 69-87. Tarasco R., Squadrone S., Leogrande M., Pellegrino M., Guarise S., Giorgi I., Palmegiano P., Pascale M., Prearo M. & Abete M.C. (2009). Monitoraggio in siluri (Silurus glanis) pescati lungo il tratto alessandrino del bacino idrografico del fiume Po: livelli di contaminazione da mercurio. Atti XI Congresso Nazionale S.I.Di.L.V., Parma 30 settembre-2 ottobre 2009: 254-255. Tortonese E. (1970). Fauna d’Italia. Osteichthyes – Pesci ossei. Ed. Calderini, Bologna, Vol. X: 296297. Triantafyllidis A., Abatzopoulos T.J. & Economidis P.S. (1999). Genetic differentiation and phylogenetic relationship among Greek Silurus glanis and Silurus aristotelis (Pisces, Siluridae) populations, assessed by PCR-RFLP analysis of mitochondrial DNA segments. Heredity, 82: 503-509. Zerunian S. (2002). Condannati all’estinzione? Biodiversità, biologia, minacce e strategie di conservazione dei pesci d’acqua dolce indigeni in Italia. Edagricole, Bologna: 1-220. 202 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 203-210 Valutazione della biodisponibilità di amoxicillina microincapsulata e micronizzata a seguito di somministrazione orale singola nel branzino (Dicentrarchus labrax) Bioavailability of microencapsulated and micronized amoxicillin in seabass (Dicentrarchus labrax) after single oral administration Alessandra Di Salvo1*, Giorgia della Rocca1, Josè Malvisi1 1 Dipartimento di Patologia, Diagnostica e Clinica Veterinaria, Università degli Studi di Perugia, Via S. Costanzo, 4 - 06126 Perugia. _______________________________ RIASSUNTO - Al fine di ridurre gli svantaggi connessi all'antibiotico-terapia in acquacoltura (scarso assorbimento dei farmaci, dosi di impiego più elevate di quelle normalmente in uso negli animali omeotermi e conseguente impatto ambientale) è stata intrapresa una ricerca nel branzino (Dicentrarchus labrax) con lo scopo di migliorare l'assorbimento orale di amoxicillina (AMX), sfruttando tecniche di microincapsulazione e micronizzazione volte a favorirne l’assorbimento. Le due formulazioni (microincapsulata e micronizzata) addizionate al mangime, sono state saggiate comparativamente al mangime normalmente medicato in commercio a seguito di somministrazione orale singola. Tutti i mangimi medicati con le tre differenti formulazioni sono stati somministrati a tre gruppi di 120 branzini ognuno in ragione dell’1% della biomassa, ottenendo una dose nominale di 80 mg/kg p.c. Campioni di sangue sono stati prelevati a diverse scadenze sperimentali prefissate ed i sieri ottenuti refrigerati a –80°C fino al momento dell’analisi quantitativa eseguita con metodica HPLC. I valori delle aree sotto la curva (AUC) ottenute dagli andamenti delle concentrazioni delle tre differenti formulazioni nel siero rispetto al tempo, sono risultate pari a 8,03 µg/ml/h per AMX micronizzata, 9,40 µg/ml/h per AMX commerciale e 15,07 µg/ml/h per AMX microincapsulata. Le biodisponibilità relative dei formulati micronizzato e microincapsulato verso il formulato commerciale sono risultate essere 85,40% e 160,31% rispettivamente, evidenziando un notevole miglioramento dell’assorbimento orale di AMX nella formulazione microincapsulata. SUMMARY - In order to reduce the disadvantages linked to antimicrobial therapy to fish (poor absorption of drugs, very high doses administered that ultimately ends up in the water environment) a research in seabass (Dicentrarchus labrax) was undertaken with the purpose to improve the oral bioavailability of amoxicillin (AMX) exploiting techniques of microencapsulation and micronization. The bioavailabilities of the drug from the microencapsulated and micronized formulations added to feed were compared with this of commercial medicated feed (AMX conventional). These medicated diets were fed at 1% of the biomass, so administering 80 mg/kg b.w. as nominal doses of the antibacterial. Blood samples were collected at different intervals of time up to six days after single administration and the sera obtained by centrifugation were analysed by HPLC methods. The area under concentration-time curves (AUC) were found to be equal to 8.03 µg/ml/h for AMX micronized, 9.40 µg/ml/h for AMX conventional and 15.07 µg/ml/h for AMX microencapsulated. The improvement of the bioavailability of AMX from the micro-encapsulated form was achieved as demonstrated by the relative (encapsulated form vs. conventional one) F% value: 160.31% . Key words: Amoxicillin; Seabass; Dicentrarchus labrax, Bioavailabilities; Microencapsulation; Micronization. ______________________________ * Corresponding Author: c/o Dipartimento di Patologia, Diagnostica e Clinica Veterinaria, Sezione di Scienze Sperimentali e Biotecnologie Applicate, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Perugia, Via S. Costanzo 4 - 06126 Perugia, Italy. Tel.: 075-5857605; Fax: 075-5857611; E-mail: [email protected]. 203 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 203-210 INTRODUZIONE Ancorché la tendenza dei ricercatori sia rivolta allo sviluppo di vaccini, alla terapia antibatterica continua ad essere riconosciuto un ruolo importante nel controllo delle malattie batteriche che causano gravi perdite nell’allevamento ittico. Non va tuttavia sottovalutato che la risoluzione delle diverse patologie che colpiscono gli allevamenti ittici, legalmente consentita solo attraverso l’impiego di idonei vaccini o di mangimi medicati, è strettamente connessa, per quanto riguarda l’impiego del farmaco, ad un suo valido assorbimento dall’intestino. Da un esame approfondito della letteratura a tal proposito si evince che l’assorbimento dei farmaci dal tratto gastroenterico dei pesci è incompleto sia per la scarsa lunghezza dell’intestino che, soprattutto, per il realizzarsi nella parte posteriore di questo apparato. Inoltre, altri fattori chimico-fisici, quali in particolare le caratteristiche fisicochimiche del farmaco (pKa, lipo- e idrosolubilità, stabilità) e le variazioni di pH nei diversi distretti intestinali che influenzano significativamente lo stato non-ionizzato/ionizzato del farmaco, nonché la composizione della dieta in cui viene incluso il farmaco, concorrono in alcuni casi in maniera rilevante a diminuirne l’assorbimento e, di conseguenza, anche l’efficacia. Inoltre, la lisciviazione o “leaching” del farmaco nell’acqua da tutte le forme di mangime medicato in aggiunta al fatto che circa il 20% del mangime medicato non viene assunto dai pesci e si deposita nei sedimenti sottostanti le gabbie di contenimento delle specie allevate “off-shore”, ne comporta una cospicua perdita, perdita destinata ad aumentare in caso di somministrazione di antibiotici a scarsa appetibilità e come conseguenza di una riduzione dell’appetito che spesso si associa a stati patologici. Tali situazioni giustificano la necessità di impiegare dosaggi più elevati di farmaco in modo da sopperire al ridotto assorbimento, alle varie cause di perdita e favorire un’adeguata assunzione anche nei soggetti meno veloci a carpire l’alimento riferibile ad una sorta di “organizzazione gerarchica” all’interno delle vasche dell’allevamento (Hustvedt et al., 1991; Smith, 1996; Uno, 1996; Treves-Brown, 2000). Tutti questi fattori concorrono a creare diverse problematiche, quali una maggiore dispersione del farmaco nell’ambiente e il conseguente impatto ambientale, la riassunzione del farmaco da parte dei pesci in corso di trattamento, un possibile incremento di quote residuali nelle carni, il reperimento in concentrazioni più o meno significative ai fini della sicurezza alimentare nei pesci selvatici, nonché la comparsa di farmacoresistenza. Dalla letteratura emergono già alcuni studi intesi a migliorare la biodisponibilità dei farmaci per uso ittico che coinvolgono soprattutto la formulazione del medicamento: dal tipo di salificazione che rende più facilmente assorbibile la sulfadimetossina somministrata come sale sodico, con una biodisponibilità nella trota del 63% rispetto al 34% della forma base (Kleinov & Lech, 1988), all’impiego di tecniche più raffinate, rappresentate da processi di micronizzazione che, riducendo le particelle di acido ossolinico a 1 µm di diametro rispetto ai 6,4 µm del formulato standard, ne hanno comportato una biodisponibilità 1,7 volte superiore a quella iniziale (Endo et al., 1987), o dall’impiego di capsule di gelatina contenenti soluzioni metanoliche di ossitetraciclina, che hanno prodotto un netto miglioramento della biodisponibilità orale del farmaco sia nel salmone che nella trota, con percentuali pari al 24,84 e al 30,3% (Abedini et al., 1998). In precedenti ricerche condotte con diverse matrici, quali acidi grassi saturi, polimeri dell’amido, della pectina, dell’alginato e polisaccaridi naturali ionici e neutri si era evidenziata una certa potenzialità delle matrici polisaccaridiche nel miglioramento della biodisponibilità di ossitetraciclina (della Rocca et al., 1999; 2005). Con il presente studio è stata intrapresa una ricerca nel branzino (Dicentrarchus labrax) con lo scopo di valutare a seguito di somministrazione orale singola l’assorbimento di 204 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 203-210 amoxicillina micronizzata e microincapsulata e di compararlo a quello ottenuto fornendo ai pesci il mangime normalmente medicato del commercio. MATERIALI E METODI Farmaco impiegato Amoxicillina triidrata convenzionale e amoxicillina triidrata micronizzata sono state prodotte da Industria Italiana Integratori TREI S.p.A. (Modena) con un grado di purezza del 99%. La microincapsulazione di amoxicillina è stata effettuata da Polytech s.r.l. (Padriciano, Trieste), che ha allestito un microincapsulato con un titolo in antibiotico del 38,46% p/p. Allestimento del mangime medicato Il mangime medicato è stato allestito dalla Ditta Hendrix S.p.A. (Mozzecane, VR) utilizzando come supporto il mangime di base impiegato per la normale alimentazione delle specie ittiche, i cui componenti sono costituiti da farina di pesce (51%), farina di soia (15%) e, per il rimanente, farina di frumento, lecitine e olio di pesce. La Ditta stessa ha inoltre fornito il mangime non medicato (Trouvit). L’amoxicillina micronizzata e quella convenzionale sono state addizionate in quantità di 8 g/kg di mangime, mentre la microincapsulata in quantità di 21 g/kg per poter fornire in tutti i casi un dosaggio nominale di 80 mg/kg p.c. in considerazione di un’alimentazione all’1% della biomassa. In tutte le prove il mangime normale o addizionato con le diverse formulazioni di amoxicillina è stato dispensato mediante apparecchiatura automatica temporizzata. Animali e trattamenti 360 branzini del peso compreso tra 200 e 400 g sono stati divisi in 3 grandi vasche cilindriche in vetroresina con acqua di mare ossigenata a ricircolo continuo (contenuto di O2 pari a 8-10 ppm, salinità 30±1‰, temperatura 20±2°C) e sottoposti ad una settimana di acclimatazione e tre giorni di digiuno. Nelle fasi precedenti e successive ai trattamenti i pesci sono stati alimentati con mangime di base in quantità pari all’1% della biomassa. Le somministrazioni singole dei tre differenti formulati di mangime medicato oggetto del nostro studio sono state effettuate come di seguito riportato: Gruppo I: n° 120 branzini trattamento con amoxicillina triidrata convenzionale (AMX com.) Gruppo II: n° 120 branzini trattamento con amoxicillina triidrata microincapsulata (AMX inc.) Gruppo III: n° 120 branzini trattamento con amoxicillina triidrata micronizzata (AMX micro.) Il trattamento è stato condotto rispettando le reali condizioni di campo per variazione ponderale. Il mangime medicato è stato somministrato in un’unica soluzione alle ore 8 del mattino. 205 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 203-210 Prelievi A scadenze prefissate, previa sedazione con tricaina metansulfonato (MS222; dose: 10 mg/l) per 8 minuti sono stati prelevati campioni di sangue dalla vena caudale di 10 pesci per ciascun tempo di prelievo stabilito (30 minuti, 1, 2, 4, 6, 8, 10, 12, 24, 36 ore dopo il trattamento); pool di sangue sono stati raccolti anche prima del trattamento per effettuare degli “spiked” e ottenere la retta di taratura. Il contenimento ed il sacrificio dei pesci nelle diverse prove è stato realizzato secondo i dettami della Direttiva del Consiglio CE 86/609 EEC, riconosciuta e adottata dalla legge italiana (DL 27/1/92, n. 116). Successivamente al prelievo ciascun campione di sangue è stato sottoposto a centrifugazione a 3500 rpm per 10 minuti e i sieri ottenuti sono stati conservati a -80°C per consentire una perfetta stabilità del farmaco fino al momento delle analisi. Trattamento dei campioni L’antibiotico è stato estratto dal siero apportando alcune modifiche alla metodica descritta da Miyazaki et al. (1983). 500 µl di siero sono stati addizionati di 2 ml di acqua distillata e 1,5 ml di acido tricloroacetico 10%, vortexati e centrifugati a 3000 rpm per 5 minuti Tre ml di surnatante sono stati prelevati, addizionati di 500 µl di NaOH 2N e lasciati a temperatura ambiente per 5 minuti, quindi sono stati neutralizzati con 500 µl di HCl 2N. E’ stata quindi effettuata una derivatizzazione mediante aggiunta di 2 ml di Na2HPO4 0,5M + 0,002% HgCl2 (soluzione finale: pH 6) e incubazione in bagno a 50°C per 30 minuti Si è quindi proceduto all’estrazione con 4 ml di etilacetato; 3 ml di estratto sono stati portati a secco in evaporatore rotante a 40°C. Il residuo è stato ripreso in 150 µl di MeOH e iniettato in HPLC in ragione di 30 µl. Condizioni cromatografiche Le condizioni cromatografiche hanno previsto l’impiego di un sistema HPLC comprendente una pompa 126, un autocampionatore 507 con loop da 100 µl (Beckman, San Ramon, California, USA), un detector fluorimetrico Shimadzu RF-551 (Shimadzu, Kyoto, Japan) settato a λex 355nm e λem 435nm, una colonna analitica Gemini C18 (5 µm, 250 mm x 4,6 mm ID, Phenomenex) munita di precolonna Gemini C18 (5 µm, 3 mm x 4,6 mm ID) entrambe mantenute a 30°C. La fase mobile era costituita da MeOH/ H2O (60:40, v:v) e il flusso pari a 1 ml/minuto. Retta di calibrazione Soluzioni standard di AMX a varie concentrazioni sono state preparate in MeOH e utilizzate per ottenere la retta di taratura per AMX (range 0,025-1 µg/ml), allestite aggiungendo le soluzioni standard a siero “drug-free”. Le aree dei picchi di AMX ottenute e le corrispondenti concentrazioni nominali sono state usate per definire l’equazione della retta di calibrazione, di questa si è calcolato il valore del coefficiente di correlazione quadrato (R2 = 0,9998). I valori di accuratezza sono risultati compresi tra 96,75 e 120,40%, quelli del coefficiente di variazione inter-day tra 4,06 e 16,43% e il limite di quantificazione (LOQ) è risultato essere di 25 ppb (Tabella 1). La concentrazione di AMX nei campioni di siero dei pesci trattati è stata calcolata dall’equazione della corrispondente curva di calibrazione. 206 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 203-210 LOD LOQ Concentrazioni 0,025 0,025 (µg/ml) (µg/ml) 0,025 (µg/ml) (n=3) 0,05 (µg/ml) (n=3) 0,1 (µg/ml) (n=4) 0,5 (µg/ml) (n=4) 0,5 (µg/ml) (n=5) 1 (µg/ml) (n=3) Accuratezza (%) 120,40 105,63 99,68 96,75 99,56 100,27 Interday C.V. (%) 11,79 16,43 9,91 13,44 11,84 4,06 Tabella 1 – Limite di determinazione (LOD), limite di quantificazione (LOQ), accuratezza e coefficiente di variazione inter-day della metodica analitica. Table 1 – Limit of determination (LOD), limit of quantitation (LOQ), accuracy and inter-day coefficients of variation of analytical method. Analisi farmacocinetica Per il calcolo dell’Area Sotto la Curva (AUC) è stata applicata la regola dei trapezoidi (Trapezoidal & Simson’s Rules- Pharmacologic Calculation System – Version 4.0 – 1999). La biodisponibilità relativa (Frel) è stata calcolata secondo la seguente formula: Frel = 100*AUCmicro o inc /AUCcom RISULTATI L’appetibilità del mangime medicato è apparsa buona, non avendo riscontrato rigetto dei pellets ingeriti. Le proiezioni delle concentrazioni sieriche medie ± errore medio standard (S.E.M.) rilevate nel siero di branzino con i diversi formulati orali sono visualizzate nella Figura 1. I valori delle aree sotto la curva (AUC) sono risultati pari a 8,03 µg/ml/h per AMX micronizzata, 9,40 µg/ml/h per AMX commerciale e 15,07 µg/ml/h per AMX microincapsulata (Figura 2). Le biodisponibilità relative dei formulati micronizzato e microincapsulato verso il formulato commerciale sono risultate essere 85,40% e 160,31% rispettivamente. 207 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 203-210 1,6 COMMERCIALE MICRONIZZATA 1,4 MICROINCAPSULATA 1,2 0,8 0,6 0,4 0,2 0 0,5 1 2 4 6 8 10 12 24 36 ore Figura 1 – Andamento delle concentrazioni sieriche medie ± S.E.M. di AMX commerciale, micronizzata e microincapsulata in branzini a seguito di somministrazione orale. Figure 1 – Mean serum concentrations ± S.E.M of AMX in sea bass following single oral administration of commercial, micronized and microencapsulated formulations. MICRONIZZATA 1,2 COMMERCIALE 1 conc (µg/ml) conc (µg/ml) 1 MICROINCAPSULATA 0,8 0,6 0,4 AUC= 9.40 AUC= 15.07 0,2 0 0,5 1 AUC= 8.03 2 4 6 ORE 8 10 12 24 36 Figura 2 – AUC relative alle formulazioni commerciale, micronizzata e microincapsulata in branzini a seguito di somministrazione orale. Figure 2 – AUCs in sea bass following single oral administration of commercial, micronized and microencapsulated formulations. 208 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 203-210 DISCUSSIONE E CONCLUSIONI L’approccio farmacocinetico volto a valutare la biodisponibilità del farmaco nelle due particolari formulazioni allestite, ha consentito di delinearne un maggiore assorbimento dalla forma microincapsulata rispetto a quella micronizzata, come dimostra l’area sotto la curva concentrazione-tempo pressoché doppia e a quella del commercio. Per quanto riguarda il micronizzato, l’assorbimento è risultato insoddisfacente in quanto l’area sotto la curva risulta, anche se di poco, addirittura inferiore a quella della formulazione convenzionale. Si ritiene che tali differenze non possano essere imputate a fattori ambientali o a condizioni di stabulazione, dal momento che i vari gruppi di branzini erano stabulati nelle stesse condizioni e a temperature comprese fra 25 e 28°C. Per quanto concerne la variabilità ponderale, i branzini sono stati immessi nelle vasche in modo da avere una variabilità pressoché analoga in tutti i gruppi, che riproducesse la variabilità presente nelle vasche dell’allevamento. Dalla figura 1, che presenta l’andamento delle concentrazioni sieriche di amoxicillina ai diversi tempi di prelievo, si rileva una grande fluttuazione dei livelli del farmaco nel periodo di campionamento. Considerando che la somministrazione del farmaco è stata fatta per somministrazione unica e che ogni gruppo costituisce un numero di branzini diversi dagli altri gruppi sacrificati ad ogni “collection-time”, queste fluttuazioni sono interpretabili esclusivamente sulla base di variazioni soggettive di ingestione del mangime medicato. Nel valutare la biodisponibilità si è ritenuto più attendibile operare nelle condizioni del reale impiego in campo piuttosto che effettuare la sperimentazione mediante intubazione gastrica: infatti questa pratica può inficiare il risultato in quanto i pesci rivelano stress e rigurgitano il mangime anche sotto lieve sedazione. Dai risultati dei nostri studi è possibile concludere che la formulazione di AMX microincapsulata testata ha fornito risultati incoraggianti ancorché da confermare con ulteriori studi e prove di efficacia in campo. Ad una miglior biodisponibilità di un farmaco infatti può seguire una riduzione dei dosaggi utilizzati ed una conseguente diminuzione dell’impatto ambientale che può derivare dall’impiego di chemioterapici, problematica che attualmente desta particolare interesse. BIBLIOGRAFIA Abedini S., Namdari R. & Law F.C.P. (1998). Comparative pharmacokinetics and bioavailability of oxytatetracycline in rainbow trout and chinook salmon. Aquaculture, 162: 23-32. della Rocca G., Di Salvo A. & Malvisi J. (2005). Valutazione della biodisponibilità di ossitetraciclina microincapsulata a seguito di somministrazione orale singola e protratta nella trota fario (Salmo trutta trutta) e nel branzino (Dicentrarchus labrax). Ittiopatologia, 2: 137-144. della Rocca G., Di Salvo A., Zaghi M., Magni A., Zanchetta S. & Malvisi J. (1999). Prove di biodisponibilità di diverse formulazioni microincapsulate di ossitetraciclina nell’orata (Sparus aurata). Boll. Soc. It. Pat. Ittica, 27: 35-44. Endo T., Onozawa M., Hamaguchi M. & Kasuda R. (1987). Enhanced bioavailability of oxolinic acid in red seabream. In: “Chemotherapy in Aquaculture: from theory to reallety”. Michel C.M. e Alderman D.J. Eds:, Symposium O.I.E., Paris, 12-15 march 1991: 404-418. Hustvedt S.O., Storekten T. & Salte R. (1991). Does oral administration of oxolinic acid or oxytetracycline affect feed intake of rainbow trout? Aquaculture, 92: 109-113. 209 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 203-210 Kleinov K.M. & Lech J.J. (1988). A review of the pharmacokinetic and metabolism of sulfadimetoxine in the rainbow trout (Salmo gairdneri). Vet. Hum. Toxicol., 30: 231-241. Miyazaki K., Ohtani K., Sunada K. & Arita T. (1983). Determination of ampicillin, amoxicillin, cephalexin and cephradine in plasma by high-performance liquid chromatography using fluorometric detection. J. Chromatography, 276: 478-482. Smith P. (1996). Is sediment deposition the dominant fate of oxytetracycline used in marine salmonid farms: a review of available evidence. Aquaculture, 146: 157-169. Treves-Brown K.M. (2000). Methods of drug administration. In “Applied Fish Pharmacology” Kluwer Academic Publishers. Dordrecht, The Netherlands. Uno K. (1996). Pharmacokinetic study of oxytetracycline in healthy and vibriosis-infected ayu (Plecoglossus altivelis). Aquaculture, 143: 33-42. 210 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 211-219 Parassitofauna di Scomber scombrus L. pescato nel Mar Adriatico e Scomber japonicus Houttuyn d’importazione The parasite fauna of Scomber scombrus L. caught off the Adriatic Sea and of imported Scomber japonicus Houttuyn Giuseppe Paladini 1*, Lucia Tarsi 2, Diana Minardi 2, Maria Letizia Fioravanti 2 1 Institute of Aquaculture, University of Stirling, Stirling, FK9 4LA, Scotland, UK; 2 Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Patologia Animale, Via Tolara di Sopra, 50 – 40064 Ozzano Emilia (BO), Italy. ______________________________ RIASSUNTO - Da gennaio a settembre 2007 è stata condotta un’indagine parassitologica volta a studiare la parassitofauna di due specie ittiche della famiglia Scombridae d’interesse commerciale in Italia, Scomber scombrus L. e Scomber japonicus Houttuyn. Sono stati esaminati in totale 65 esemplari di taglia compresa tra 24 e 30 cm, in particolare 35 S. scombrus pescati nel mar Adriatico e 30 S. japonicus provenienti da areali atlantici della Spagna. Gli esami parassitologici hanno permesso di evidenziare la presenza di almeno una specie parassitaria in 48 (73,8%) dei 65 soggetti esaminati, con una percentuale di positività del 100% in S. japonicus e del 51,4% in S. scombrus. In entrambe le specie sono stati reperiti stadi larvali di nematodi Anisakidae del genere Anisakis in sede viscerale, monogenei Mazocraeidae della specie Kuhnia scombri a livello branchiale e crostacei copepodi del genere Caligus adesi al lato interno dell’opercolo. Solo in S. japonicus sono stati individuati coccidi della specie Goussia clupearum a livello epatico ed un unico esemplare di digeneo della specie Opechona bacillaris a livello intestinale, mentre solo in S. scombrus si sono osservati digenei Didymozoidae del genere Nematobothrium a livello branchiale. I risultati di questa indagine hanno messo in luce alcune differenze tra la parassitofauna di S. scombrus pescati in Italia e quella di S. japonicus d’importazione, con presenza di maggiori problematiche parassitologiche negli sgombri d’importazione, soprattutto in relazione ai monogenei della specie Kuhnia scombri ed ai coccidi epatici, nonché a parassiti zoonosici quali i nematodi del genere Anisakis. SUMMARY - From January to September 2007 a parasitological survey aimed at studying the parasite fauna of two commercially valuable scombrid species, i.e. Atlantic mackerel (Scomber scombrus L.) and chub mackerel (Scomber japonicus Houttuyn), was carried out. A total of 65 fish (total length ranging from 24 to 30 cm) was examined, in particular 35 specimens of S. scombrus caught off the Adriatic Sea and 30 specimens of S. japonicus from Atlantic areas of Spain. Parasitological examination showed the presence of at least one parasite species in 48 (73.8%) out of 65 fish examined, with a prevalence of 100% in S. japonicus and 51.4% in S. scombrus. In both the host species the following parasites were found: larval stages of anisakid nematodes of the genus Anisakis in the visceral area, mazocraeid monogeneans belonging to the species Kuhnia scombri in the gills and copepod crustaceans of the genus Caligus attached to the internal side of the opercula. In S. japonicus only, coccidia belonging to the species Goussia clupearum and a single specimen of the digenean Opechona bacillaris were recovered respectively in liver and gut, while only in S. scombrus didymozoid digeneans of the genus Nematobothrium were found in the gills. This survey has revealed several differences between the parasite fauna of Italian S. scombrus and that of imported S. japonicus. The latter showed higher intensities of the monogenean Kuhnia scombri and of hepatic coccidians, as well as of zoonotic parasites such as nematodes belonging to the genus Anisakis. Key words: Scomber scombrus; Scomber japonicus; Parasites; Italy; Spain. ______________________________ * Corresponding Author: c/o Institute of Aquaculture, University of Stirling, Stirling, FK9 4LA, Scotland, UK. Tel: +44 1786 467874; Fax: +44 1786 472133; E-mail: [email protected]. 211 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 211-219 INTRODUZIONE Lo sgombro Scomber scombrus L. ed il lanzardo Scomber japonicus Houttuyn sono due specie ittiche marine di notevole interesse commerciale ampiamente distribuite nell’Oceano Atlantico settentrionale e nel Mar Mediterraneo. Entrambe le specie sono pelagiche, migratorie e gregarie, pur presentando notevoli differenze di carattere biologico. In Italia vengono commercializzati prevalentemente esemplari di S. scombrus di provenienza nazionale e S. japonicus d’importazione pescati in areali dell’Atlantico nord-orientale. Negli ultimi decenni studi di genetica di popolazione condotti su S. scombrus hanno dimostrato l’esistenza di una separazione riproduttiva tra gli stock (sub-popolazioni) distribuiti lungo l’asse occidentale-orientale del mar Mediterraneo, con segregazioni evidenti anche tra quelli presenti nell’Adriatico (Zardoya et al., 2008). Parimenti S. japonicus, pur presentando una notevole omogeneità delle popolazioni del Mediterraneo occidentale e dell’Atlantico orientale, mostrerebbe una separazione genetica degli stock presenti negli areali dell’atlantico occidentale (Scoles et al., 1998), come già suggerito dai risultati delle ricerche di MacKenzie (1983), che aveva individuato notevoli differenze nella composizione della parassitofauna di tre diversi stock di S. japonicus pescati in questi distretti atlantici. Recentemente Oliva et al. (2008) hanno utilizzato lo studio della parassitofauna di esemplari di S. japonicus pescati lungo le coste atlantiche e pacifiche dell’America meridionale ed intorno all’arcipelago di Madeira (Portogallo) per supportare questioni di carattere tassonomico già evidenziate da analisi di tipo molecolare condotte da Infante et al. (2006). In base a queste ricerche, lo stato tassonomico del genere Scomber andrebbe rivisto e la distribuzione di S. japonicus in areali atlantici e pacifici andrebbe in realtà riferita a specie filogeneticamente diverse. Il genere Scombrus sembra quindi prestarsi, così come già dimostrato per altri generi di teleostei marini quali ad esempio Merluccius (vedi Szidat, 1955), alla conduzione di ricerche di carattere parassitologico volte a meglio comprenderne la struttura di popolazione, le vie migratorie, la distribuzione geografica e l’assetto tassonomico. Vengono qui presentati i risultati di un’indagine preliminare volta a caratterizzare la parassitofauna di sgombri nazionali e d’importazione per individuare i parassiti che potrebbero essere indicatori di specie/provenienza e, al contempo, rilevare gli indici di presenza di parassiti zoonosici che potrebbero rappresentare un rischio per il consumatore. MATERIALI E METODI La presente indagine parassitologica, realizzata al fine di definire la parassitofauna di due specie ittiche appartenenti alla famiglia Scombridae, e più precisamente Scomber scombrus e Scomber japonicus, si è svolta da gennaio a settembre 2007. Sono stati condotti 20 campionamenti, per un totale di 65 esemplari. Sono stati analizzati in particolare 35 soggetti di S. scombrus, tutti di provenienza nazionale, prelevati presso l’Azienda Adler di Cesenatico (FC), la Cooperativa Sena di Senigallia (AN) ed il mercato ittico di Giulianova (TE), e 30 soggetti di S. japonicus d’importazione provenienti dalla Spagna (areali di pesca atlantici – FAO27) e prelevati presso l’Azienda Adler di Cesenatico (FC). Tutti i soggetti erano di taglia compresa tra 24 e 30 cm. Nella tabella seguente (Tabella 1) vengono schematizzati i campionamenti effettuati in relazione a specie ittica, periodo di prelievo e provenienza. 212 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 211-219 Periodo Febbraio 2007 Marzo 2007 Aprile 2007 Maggio 2007 Giugno 2007 Giugno 2007 Luglio 2007 Luglio 2007 Settembre 2007 Settembre 2007 Numero campionamenti 3 2 3 4 1 1 1 2 2 1 Provenienza Specie ittica Spagna Spagna Spagna Spagna Giulianova (TE) Spagna Cesenatico (FC) Spagna Senigallia (AN) Spagna Scomber japonicus S. japonicus S. japonicus S. japonicus Scomber scombrus S. japonicus S. scombrus S. japonicus S. scombrus S. japonicus Numero soggetti esaminati 6 2 6 6 10 4 10 4 15 2 Tabella 1 – Campionamenti di Scomber japonicus importati dalla Spagna (oceano Atlantico) e Scomber scombrus provenienti dal Mar Adriatico. Table 1 – Samples of Scomber japonicus imported from Spain (Atlantic Ocean) and Scomber scombrus from the Adriatic Sea. Su tutti i soggetti esaminati si è condotto un esame visivo volto al rilievo di eventuali macroparassiti esterni e/o di lesioni, quindi si è proceduto all’asportazione degli opercoli ed all’esame macroscopico e microscopico delle camere branchiali e delle branchie. Successivamente si è proceduto all’apertura della cavità addominale ed all’esame macroscopico del pacchetto viscerale, quindi all’esame microscopico a fresco mediante raschiamento/compressione di porzioni di organi interni. I parassiti reperiti venivano isolati, puliti in soluzione fisiologica, fissati in alcool etilico 70% e successivamente chiarificati in glicerina o lattofenolo di Amman per lo studio delle loro caratteristiche morfologiche. L’identificazione a livello di genere e/o specie è stata raggiunta mediante utilizzo di specifiche chiavi tassonomiche riportate in letteratura. RISULTATI Gli esami parassitologici hanno permesso di evidenziare la presenza di almeno una specie parassitaria in 48 (73,8%) dei 65 soggetti di sgombro esaminati. Va però evidenziato come, scorporando i risultati relativi alle due diverse specie ittiche, la percentuale di positività per parassiti sia stata pari al 100% in S. japonicus e notevolmente inferiore (51,4%) in S. scombrus (Tabelle 2 e 3). Nel corso dell’indagine solo in soggetti di S. japonicus sono stati individuati coccidi del genere Goussia a livello epatico (Figura 1 a-b) ed un digeneo del genere Opechona a livello intestinale (Figura 1 c), mentre digenei Didymozoidae del genere Nematobothrium sono stati reperiti a livello branchiale in S. scombrus. I seguenti parassiti sono stati invece osservati in entrambe le specie ittiche: stadi larvali di nematodi Anisakidae del genere Anisakis in sede viscerale (Figura 1 i-j), monogenei Mazocraeidae del genere Kuhnia a livello branchiale (Figura 1 d-h) e crostacei copepodi del genere Caligus adesi al lato interno dell’opercolo. Nella tabella 2 vengono riportati nel dettaglio i risultati relativi ai reperti parassitari riscontrati nelle due specie ittiche esaminate, in relazione al mese di campionamento. 213 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 211-219 Mese / specie ittica Coccidia Nematoda Monogenea Digenea Crustacea Anisakis sp. Kuhnia scombri - Caligus sp. Anisakis sp. Kuhnia scombri - Mar / S.j. Goussia clupearum - Apr / S.j. - Anisakis sp. Kuhnia scombri Mag / S.j. - Anisakis sp. Kuhnia scombri Giu / S.s. - Anisakis sp. Kuhnia scombri Giu / S.j. Lug / S.s. Goussia clupearum - Anisakis sp. - Kuhnia scombri - Opechona bacillaris Nematobothrium sp. - Anisakis sp. Kuhnia scombri - - - Kuhnia scombri Kuhnia scombri - Caligus sp. Caligus sp. Feb / S.j. Lug / S.j. Set / S.s. Set / S.j. Caligus sp. Caligus sp. Tabella 2 – Parassiti reperiti in Scomber japonicus (S.j.) provenienti da areali atlantici della Spagna e in S. scombrus (S.s.) pescati nel Mar Adriatico, divisi per mese di campionamento. Table 2 – Parasites collected on Scomber japonicus (S.j.) from Atlantic areas of Spain and on S. scombrus (S.s.) collected from the Italian coast of Adriatic Sea, ordered by sampling period. La presenza di nematodi Anisakidae e di monogenei del genere Kuhnia è stata osservata nel corso di tutto il periodo di campionamento, ad eccezione dei campioni di S. scombrus prelevati in luglio a Cesenatico e dei campioni di entrambe le specie esaminati in settembre, per quanto riguarda solo i parassiti del genere Anisakis. I parassiti appartenenti agli altri gruppi tassonomici, contrariamente, non hanno mostrato un andamento costante durante l’anno (Tabella 2). Dalla tabella 3 si evince come in S. japonicus d’importazione sia stata osservata un’altissima prevalenza di nematodi Anisakidae del genere Anisakis (93,3%) e di monogenei appartenenti alla specie Kuhnia scombri (Kuhn, 1829) Sproston, 1945 (93,3%), mentre solo 3 soggetti (10%) sono risultati positivi per crostacei caligidi del genere Caligus e per coccidi della specie Goussia clupearum (Thélohan, 1894) Reichenow, 1921 a livello epatico. Infine, un singolo esemplare di digeneo Lepocreadiidae, identificato come Opechona bacillaris (Molin, 1859) Dollfus, 1927, è stato reperito a livello intestinale in un unico soggetto (3,3%). In S. scombrus di provenienza nazionale è stata invece rilevata, in generale, una minore prevalenza ed una minore intensità di infestazione (N. parassiti/soggetto positivo). In particolare, larve di Anisakis sp. e monogenei della specie Kuhnia scombri sono stati reperiti rispettivamente nel 17,1% e nel 8,6% dei soggetti esaminati. Crostacei copepodi del genere Caligus e digenei Didymozoidae del genere Nematobothrium sono stati invece osservati rispettivamente nel 20,0% e nel 17,1%. In questa specie ittica non sono mai stati reperiti coccidi a livello epatico. 214 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 211-219 Parassiti reperiti Localizzazione Anisakis sp. Caligus sp. Goussia clupearum Kuhnia scombri Opechona bacillaris Cavità corporea Branchie Fegato Branchie Intestino Anisakis sp. Caligus sp. Kuhnia scombri Nematobothrium sp. Cavità corporea Branchie Branchie Branchie N. positivi / totale Prevalenza Intensità media (N. parassiti/ospite) Scomber japonicus - Spagna 28/30 3/30 3/30 28/30 1/30 93,3% 10,0% 10,0% 93,3% 3,3% 15,04 2,66 ++ 6,29 1 Scomber scombrus - Italia 6/35 7/35 3/35 6/35 17,1% 20,0% 8,6% 17,1% 7,16 5,57 1,33 8,83 Tabella 3 – Dati quantitativi relativi ai parassiti reperiti in Scomber japonicus e Scomber scombrus. Table 3 – Quantitative data of parasites collected on Scomber japonicus and Scomber scombrus. In relazione all’identificazione dei parassiti riscontrati, non è stato possibile condurre un’identificazione a livello di specie su base morfologica delle larve di Anisakis sp., dei crostacei copepodi del genere Caligus, in esiguo numero e spesso rovinati, e dei digenei Didymozoidae del genere Nematobothrium, che venivano reperiti sotto forma di piccole cisti giallastre di difficile isolamento dal tessuto branchiale. Per quanto concerne i monogenei branchiali, lo studio morfologico condotto sulle caratteristiche delle strutture dell’opisthaptor ha permesso di identificarli come Kuhnia scombri, monogeneo poliopistocotileo della famiglia Mazocraeidae già frequentemente descritto negli sgombri pescati in diversi areali marini temperati (Cremonte & Sardella, 1997; Alves et al., 2003; Costa et al., 2007) e ritenuto un parassita specifico all’interno del genere Scombrus, ma comune alle diverse specie appartenenti a questo genere (Oliva et al., 2008). In base alle osservazioni morfometriche condotte sugli esemplari di Kuhnia scombri raccolti nel corso dell’indagine è stato quindi possibile effettuare una comparazione con la morfologia e le misure fornite per questa specie da Sproston (1945), trovando una eccellente corrispondenza (dati non presentati) e permettendo di operare una differenziazione dalle altre specie descritte in Scomber spp. Per quanto concerne l’unico esemplare di digeneo Lepocreadiidae identificato come Opechona bacillaris è stato possibile condurre l’identificazione grazie alle chiavi tassonomiche riportate da Bray & Gibson (1997) ed alle numerose segnalazioni su sgombri in diversi areali marini (Bray & Gibson, 1990; Cremonte & Sardella, 1997, Shukhgalter & Rodjuk, 2007). Infine, in relazione ai coccidi reperiti nel fegato di alcuni soggetti di S. japonicus, le misure e le caratteristiche morfometriche dell’oocisti e della sporocisti li hanno fatti riferire alla specie Goussia clupearum, già descritta nello sgombro e in altre specie ittiche anche sotto il vecchio nome Eimeria clupearum in diverse aree geografiche (Gaevskaya et al., 1985; Jones, 1990). 215 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 211-219 TAVOLA 1 – PLATE 1 Figura 1 – a-b, oocisti di Goussia clupearum a fresco da fegato di Scomber japonicus; c, Opechona bacillaris da intestino di S. japonicus; d-h, Kuhnia scombri da Scomber scombrus: d, zona cefalica del prohaptor composto da due ventose orali, bulbo faringeo e atrio genitale (freccia); e, opisthaptor composto da quattro paia di clamps laterali, due hamuli e due uncini marginali posti al centro degli hamuli; f, hamuli ed uncini marginali; g, clamp; h, atrio genitale; i-j, larva di terzo stadio di Anisakis sp. da S. japonicus. Figure 1 – a-b, oocysts of Goussia clupearum wet-mounted from the liver of Scomber japonicus; c, Opechona bacillaris from the gut of S. japonicus; d-h, Kuhnia scombri from Scomber scombrus: d, prohaptor composed by two oral suckers, the pharyngeal bulb and the genital atrium (arrow); e, opisthaptor composed by four pairs or lateral clamps, two hamuli and two small marginal hooks in the middle; f, hamuli and marginal hooks; g, clamp; h, genital atrium; i-j, third stage larvae of Anisakis sp. from S. japonicus. 216 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 211-219 DISCUSSIONE E CONCLUSIONI I risultati di questa indagine hanno messo in luce notevoli differenze tra la parassitofauna degli sgombri della specie S. scombrus pescati in Italia e quella dei soggetti di S. japonicus d’importazione. Tali differenze indicano in linea generale la presenza di maggiori problematiche parassitologiche negli sgombri d’importazione, soprattutto in relazione a parassiti zoonosici quali i nematodi Anisakidae del genere Anisakis, che in S. japonicus sono risultati essere presenti nel 93,3% dei soggetti esaminati, a differenza degli sgombri nazionali in cui si è osservata una percentuale di positività del 17,1%, peraltro riferibile solo ai soggetti provenienti dal mercato ittico di Giulianova (TE). Anche per quanto riguarda i monogenei Mazocraeidae appartenenti alla specie Kuhnia scombri, gli sgombri d’importazione hanno evidenziato una percentuale di positività molto più elevata rispetto agli sgombri nazionali (93,3% vs. 8,6%), maggiore anche rispetto alle prevalenze osservate in sgombri pescati in areali atlantici dell’America meridionale (Rego et al., 1985; Cremonte & Sardella, 1997). Il reperto di K. scombri sia in S. scombrus sia in S. japonicus provenienti da diverse aree geografiche conferma il carattere cosmopolita di questa specie parassitaria nel genere Scomber come descritto da Oliva et al. (2008). Alla luce dei risultati di questa indagine preliminare, la presenza di coccidi della specie Goussia clupearum e di digenei della specie Opechona bacillaris solo in S. japonicus d’importazione potrebbe rappresentare un elemento utile a differenziare la composizione della parassitofauna delle due specie ittiche prese in considerazione. Per quanto concerne i digenei Didymozoidae del genere Nematobothrium, reperiti solo in soggetti di S. scombrus provenienti da mari nazionali, andranno condotte indagini più estese per meglio definirne la diffusione in S. japonicus d’importazione, considerando che Oliva et al. (2008) riportano prevalenze del 27,8% per N. scombri in areali atlantici prossimi all’arcipelago di Madeira. Inoltre ulteriori ricerche utili a definire i fattori biotici condizionanti la trasmissione e la diffusione di questi parassiti nelle popolazioni di sgombri degli areali mediterranei ed atlantici potrebbero aiutare in futuro a meglio definire il loro possibile utilizzo quali bioindicatori. Per quanto concerne gli sgombri di provenienza nazionale, va poi messo in evidenza come, parimenti ai nematodi del genere Anisakis, i digenei Didymozoidae siano stati riscontrati solo negli sgombri provenienti dal mercato ittico di Giulianova (TE), mentre tutti gli altri sono risultati negativi. Campionamenti più cospicui di sgombri condotti da diversi areali potrebbero essere utili a definire la parassitofauna di questa specie ittica in relazione alla presenza di differenti sub-popolazioni nel mar Adriatico, anche alla luce dei risultati delle ricerche di Scoles et al. (1998) e di Zardoya et al. (2004) che indicherebbero l’esistenza di popolazioni distinte di S. scombrus negli areali centro-settentrionali e meridionali adriatici. La completa negatività per parassiti evidenziata negli sgombri pescati a Cesenatico (FC) supporterebbe questa ipotesi, indicando una situazione completamente diversa per quanto concerne la parassitofauna degli sgombri presenti nei diversi areali costieri adriatici e suggerendo di condurre in futuro campionamenti più cospicui sulle popolazioni di sgombri distribuite lungo le coste adriatiche. Va poi evidenziato come, sebbene la parassitofauna degli sgombri nazionali e d’importazione sia risultata in linea generale piuttosto simile per quanto concerne i taxa parassitari riscontrati (ad eccezione di coccidi e digenei), differenze macroscopiche siano emerse nella valutazione dei dati quantitativi (prevalenza ed intensità d’infestazione) relativi alle infestazioni sostenute da Kuhnia scombri e da stadi larvali di Anisakis sp. In riferimento a quest’ultimo parassita, S. japonicus ha mostrato una prevalenza pari al 100% ed una intensità d’infestazione media intorno a 15 parassiti/ospite, indicando come i maggiori rischi zoonosici siano legati a questo prodotto d’importazione. 217 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 211-219 Le differenze di positività per larve di Anisakis sp. evidenziate nei campioni di sgombri provenienti da diverse zone del Mar Adriatico indicano comunque la necessità di approfondire le indagini volte a definire la presenza/diffusione di questo parassita zoonosico nei diversi areali di pesca, in modo da meglio caratterizzare il prodotto ittico nazionale anche ai fini dell’applicazione di piani di autocontrollo. BIBLIOGRAFIA Alves D.R., Luque J.L. & Abdallah V.D. (2003). Metazoan parasites of chub mackerel, Scomber japonicus Houttuyn (Osteichthyes: Scombridae), from the coastal zone of the State of Rio de Janeiro, Brazil. Rev. Bras. Parasitol. Vet., 12, 4: 164-170. Bray R.A. & Gibson D.I. (1990). 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Infante C., Blanco E., Zuasti E., Crespo A. & Machado M. (2006). Phylogenetic differentiation between Atlantic Scomber colias and Pacific Scomber japonicus based on nuclear DNA sequences. Genetica, 130: 1-8. Jones J.B. (1990). Goussia auxidis (Dogiel, 1948) (Apicomplexa: Calyptosporidae) from tuna (Pisces: Scombridae) in the South Pacific. J. Fish Dis., 13: 215-223. Mackenzie K. (1983). Parasites as biological tags in fish population studies. Adv. Appl. Biol., 7: 251331. Oliva M.E., Valdivia I.M., Costa G., Freitas N., Pinheiro De Carvalho M.A., Sánchez L. & Luque J.L. (2008). What can metazoan parasites reveal about the taxonomy of Scomber japonicus Houttuyn in the coast of South America and Madeira Islands? J. Fish Biol., 72: 545-554. Rego A.A., Carvalho-Varela M., Mendonça M.M. & Afonso-Roque M.M. (1985). Helmintofauna da sarda (Scomber scombrus L.) peixe da costa continental portuguesa. Mem. Inst. Oswaldo Cruz, 80: 97100. Scoles D.L., Collette B.B. & Graves J.E. (1998). 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Differential population structuring of two closely related fish species, the mackerel (Scomber scombrus) and the chub mackerel (Scomber japonicus), in the Mediterranean Sea. Mol. Ecol., 13: 1785-1798. 219 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 220 220 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 221-228 Presenza di Photobacterium damselae subsp. damselae e Photobacterium damselae subsp. piscicida in cefali del fiume Magra (Italia) Detection of Photobacterium damselae subsp. damselae and Photobacterium damselae subsp. piscicida in mullets caught in the Magra River (Italy) Laura Serracca 1*, Carlo Ercolini 1, Irene Rossini 1, Roberta Battistini 1, Ilaria Giorgi 2, Marino Prearo 2 1 Laboratorio di Microbiologia Marina, Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via degli Stagnoni, 96 - 19136 La Spezia; 2 Laboratorio Specialistico di Ittiopatologia, Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna, 148 - 10154 Torino. ______________________________ RIASSUNTO - Con il presente lavoro si è valutata la presenza in Mugilidi prelevati dal fiume Magra di due microrganismi, Photobacterium damselae subsp. piscicida e Photobacterium damselae subsp. damselae, considerati la possibile causa di passate epidemie epizootiche in Italia. Duecentosettantotto Mugilidi sono stati raccolti nel corso di un monitoraggio di due anni (2008-2009) e analizzati mediante multiplex PCR. Durante il monitoraggio, il 57% dei pesci è risultato positivo per Photobacterium damselae subsp. piscicida e il 37% per Photobacterium damselae subsp. damselae, con una presenza maggiore nei mesi estivi, anche se nessuno dei pesci analizzati mostrava segni clinici di malattia. Sulla base dei dati ottenuti possiamo concludere che le due sottospecie di Photobacterium sono sempre presenti in un gran numero di individui nella popolazione di Mugilidi indagata e possono quindi essere la causa di un eventuale focolaio epidemico nella zona studiata. SUMMARY - In the present study, we assessed the occurrence of Photobacterium damselae subsp. piscicida and Photobacterium damselae subsp. damselae, in mullets caught in the Magra River, considered to be the possible reason of past epizootic outbreaks in mullets caught by Magra river in Italy. Two hundred and seventy-eight mullets were collected during a monitoring of two years (2008-2009) and analyzed using multiplex PCR. During the two years of monitoring, 57% of fishes were positive for Photobacterium damselae subsp. piscicida and 37% for Photobacterium damselae subsp. damselae with an higher presence in summer months although none of PCR positive mullets showed clinical signs of disease. Based on the obtained data we can conclude that the two subspecies of Photobacterium are always present in a large number of individuals in the studied mullet population and they are therefore a possible outbreak cause in the investigated area. Key words: Photobacterium damselae subsp. piscicida; Photobacterium damselae subsp. damselae; Mullets; Multiplex PCR; Monitoring. ______________________________ * Corresponding Author: c/o Laboratorio di Microbiologia Marina, Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via degli Stagnoni, 96 - 19136 La Spezia – Italia. Tel.: 0187507370; Fax: 0187500308; E-mail: [email protected]. 221 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 221-228 INTRODUZIONE La specie Photobacterium damselae è comunemente suddivisa in due sottospecie: Photobacterium damselae subsp. damselae (Pdd) e Photobacterium damselae subsp. piscicida (Pdp). Photobacterium damselae subsp. damselae è stato principalmente descritto come la causa di mortalità nel rombo e in un certo numero di altre specie di pesci nel Mediterraneo (Fouz et al., 1992; Labella et al., 2006; Pedersen et al., 2008; 2009) e può essere anche patogeno per i mammiferi, compresi gli esseri umani (Clarridge & Zighelboim-Daum 1985). La virulenza dei microrganismi isolati è altamente dipendente dalla temperatura; è noto infatti che questo microrganismo preferisce l'acqua calda, tra 13°C e 20 °C (Pedersen et al., 2009). Questa caratteristica aiuta a spiegare il fatto che Pdd è stato isolato dalla trota iridea allevata in acqua di mare, principalmente durante la stagione estiva. Indagini svolte, in periodi con temperature più alte rispetto a quelle avvenute durante la stagione invernale nel Nord Europa, hanno indicato che Pdd è in grado di sopravvivere in acqua di mare e sedimenti e restare infettivo per lunghi periodi con la capacità di essere trasmesso a pesci suscettibili (Fouz et al., 1998; 2000). Photobacterium damselae subsp. piscicida (precedentemente conosciuto come Pasteurella piscicida) è un batterio gram-negativo a forma bastoncellare che causa una malattia nel pesce nota come Pasteurellosi o fotobatteriosi; nella forma cronica è caratterizzata dalla presenza di noduli granulomatosi di color bianco panna o tubercoli biancastri in vari organi interni, composti da masse di cellule batteriche, cellule epiteliali e fibroblasti. I noduli sono più caratteristici nei visceri interni, in particolar modo in rene e milza e l'infezione è accompagnata da una diffusa necrosi interna (Romalde, 2002; Barnes et al., 2005). Gli unici segni clinici esterni che vengono spesso osservati sono anoressia, melanosi e necrosi localizzata alle branchie; queste lesioni sono generalmente assenti nella forma acuta. Il primo focolaio europeo di Fotobatteriosi è stato riportato da alcuni ricercatori italiani nel 1990 (Ceschia et al., 1990; 1991); nell'estate dello stesso anno una grave epizoozia si è verificata in una popolazione di Mugilidi del fiume Magra, nel nord-ovest d'Italia. Il focolaio interessò l’intero tratto delle acque di transizione del fiume che si estendono per circa sette chilometri con una durata di circa due mesi e con una mortalità di parecchie tonnellate di pesce. Gli accertamenti microbiologici portarono all’isolamento e all’identificazione di un batterio allora denominato Pasteurella piscicida e successivamente Photobacterium damselae subsp. piscicida, ritenuto esotico per l’Italia, ma che in altri areali era stato frequentemente associato ad imponenti morie ittiche (Ercolini et al., 1991). Negli anni successivi la patologia non si è più manifestata in forma così eclatante, ma solo con focolai sporadici di piccola entità, sino al 2006-2007, anni in cui la patologia si è ripresentata con effetti disastrosi. Fattori abiotici quali l'inquinamento organico ed inorganico delle acque, artificializzazione e nautica selvaggia, possono aver contribuito a creare situazioni di stress in grado di rendere i pesci più sensibili a diversi fattori patogeni. Infatti in condizioni di stress e quando la qualità e la quantità dell’acqua sono più scarse, i pesci portatori cronici possono soffrire di reinfezioni (Le Breton, 1999). Alcuni studi sulla sopravvivenza di Pdp in acqua di mare e sedimenti hanno mostrato che sebbene questo microrganismo non persista per un lungo periodo di tempo in una forma coltivabile lontano dal pesce, possiede la capacità di entrare in un stato vitale, ma non coltivabile. Questi risultati suggeriscono che nonostante Pdp sembri essere un microrganismo molto labile, l'ambiente acquatico costituisce un serbatoio e un veicolo di trasmissione di questo patogeno. Inoltre è stato dimostrato che le cellule vitali, ma non proliferanti di Pdp mantengono il loro potenziale patogeno per i pesci e sono in grado di 222 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 221-228 riprendere la crescita appena si ripresentano le condizioni idonee al loro sviluppo (Magariños et al., 1996). La persistenza ambientale di ceppi virulenti è quindi un fattore importante per l'epidemiologia della Fotobatteriosi; sicuramente questa malattia è dipendente dalla temperatura e si verifica in genere quando i valori dell'acqua superano i 18-20°C con una salinità del 20-30‰. Al di sotto di questa temperatura i pesci sono in grado di ospitare gli agenti patogeni come infezione sub-clinica e diventare vettori per un lungo periodo di tempo (Romalde, 2002). Risulta quindi molto importante raccogliere quante più informazioni possibili in merito alla presenza di questi batteri nell'ambiente, al fine di prevenire future epidemie nelle specie ittiche allevate e selvatiche. Lo scopo di questo lavoro è stato quindi quello di effettuare un monitoraggio sulla specie di Mugilidi selvatiche per la rilevazione di questi agenti patogeni, al fine di ottenere informazioni sullo stato di salute di questi organismi selvatici ed evidenziare la presenza di portatori sani. Al momento non è nota la presenza e la distribuzione di queste specie batteriche in Italia; risulta quindi necessario svolgere approfondite indagini quantitative spazio-temporali. Figura 1 – Luogo di campionamento dei Mugilidi alla foce del fiume Magra (Regione Liguria). Figure 1 – Sampling site of mullets along Magra River (Liguria Region, North-western Italy). 223 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 221-228 MATERIALI E METODI Raccolta e trattamento dei campioni Il monitoraggio in oggetto si è sviluppato nell’arco di due anni, non in forma continuativa: un primo ciclo di campionamenti è stato effettuato da Maggio a Settembre 2008 (154 campioni) ed un secondo ciclo da Maggio a Settembre 2009 (124 campioni). In totale sono stati campionati 278 Mugilidi appartenenti alle specie Mugil cephalus, Liza aurata, L. ramada e L. saliens (dimensione media >30 cm, peso medio >300 g), con cadenza mensile alla foce del fiume Magra, in provincia di La Spezia (Figura 1). I campionamenti sono stati effettuati nel periodo più caldo dell’anno; tale scelta si basa sulle caratteristiche biologiche del germe in esame. I campioni sono stati conservati a 4°C e trasportati subito in laboratorio. Per ogni soggetto è stato effettuato un esame anatomopatologico, al fine di evidenziare lesioni interne ed esterne e un esame biomolecolare, per l’identificazione batterica; a questo scopo campioni tissutali di milza sono stati prelevati in condizioni asettiche ed analizzati tramite multiplex PCR. Estrazione del DNA Per l’estrazione del DNA, 1 mg di milza è stata sottoposta ad estrazione degli acidi nucleici utilizzando un kit commerciale (PureLink Genomic DNA Kits, Invitrogen) seguendo le istruzioni indicate dalla ditta. Il kit si basa sul legame selettivo degli acidi nucleici ad una membrana in silice e sulla successiva eluizione da questa. Il DNA così ottenuto è stato conservato a -20°C fino all’utilizzo. Multiplex PCR L’amplificazione del DNA è stata eseguita mediante una multiplex PCR precedentemente descritta da Amagliani et al. (2009), apportando alcune modifiche. Due µl dell’acido nucleico estratto sono stati aggiunti a 48 µl di miscela di amplificazione contenente PCR buffer 1x (Roche), 2,5 mmol L-1 MgCl2 (Roche), 0,2 mmol L-1 dNTPs (Fermentas), 0,08 µmol L-1 of Pdp primers (Invitrogen), 1 µmol L-1 di ciascun primer ureC (Invitrogen), 1,25 U FastStart Taq DNA Polymerase (Roche). I primer usati per la sottospecie piscicida (Pdp) amplificano un frammento di 297 bp di un gene codificante per una proteina putativa codificante per la penicillina (1A) (Amagliani et al., 2009), mentre i primers per la sottospecie damselae (Pdd) (ureC) amplificano un frammento di 448 bp di un gene codificante per l’enzima UreasiC (Osorio et al., 2000). L’amplificazione è stata eseguita in un termociclatore secondo le seguenti condizioni: step di attivazione per la Taq a 95°C per 4 minuti, 50 cicli di denaturazione a 95°C per 30 secondi, appaiamento dei primers a 65°C per 30 secondi, estensione dei primer a 72°C per 1 minuto ed estensione finale a 72°C per 10 minuti. In ciascuna serie di amplificazioni sono stati inclusi un controllo negativo ed uno positivo (Ceppo Pdd ATCC 33539 e Pdp ATCC 29688). Analisi dei prodotti di PCR su gel di agarosio e sequenziamento I prodotti di PCR (10 µl) sono stati aggiunti a 2 µl di loading buffer 5x (Bio-Rad) e sottoposti ad elettroforesi in gel d’agarosio al 2% (Cambrex Bioscience) a 120 V per 35 minuti (Bio-Rad PowerPac basic). Al gel è stato aggiunto Gel Green 10000 X (Biotium) per la visualizzazione dei prodotti di PCR alla luce UV (Gel Doc Bio-Rad). Alcuni dei campioni risultati positivi alla PCR sono stati purificati utilizzando il kit “NucleoSpin Extract II purification kit” (Macherey-Nagel) e confermati tramite sequenziamento genico con lo strumento ABI PRISM 310 Genetic Analyser (Applied Biosystem); le sequenze ottenute sono state infine comparate con l’NCBI Genbank. 224 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 221-228 RISULTATI In totale durante lo studio sono stati campionati 278 cefali di cui 154 nel 2008 e 124 nel 2009. Non in tutti i campionamenti è stato possibile reperire lo stesso numero di soggetti (circa 30) e in un caso il campionamento ha portato alla pesca di solo 9 soggetti. Nel monitoraggio del 2008 il 64,29% (99/154) dei pesci analizzati è risultato positivo alla PCR per Pdp effettuata sulla milza, con un massimo nei mesi di Agosto e Settembre mentre il 40,26% (62/154) è risultato positivo alla PCR per Pdd con un massimo nei mesi di Luglio e Settembre (Tabella 1). Il 31,82% dei campioni (49/154) è risultato positivo per entrambe le sottospecie di batteri mentre il 27,27% (42/154) non presentava nessuna delle due. Numero di campioni positivi alla PCR Data del campionamento Numero di campioni Pdp (%) Pdd (%) 22 Maggio 2008 34 12 (35) 8 (24) 18 Giugno 2008 9 2 (22) 0 3 Luglio 2008 27 15 (56) 17 (63) 13 Agosto 2008 29 26 (90) 9 (31) 15 Settembre 2008 30 24 (80) 18 (60) 22 Settembre 2008 25 20 (80) 10 (40) TOT 154 99 (64) 62 (40) Tabella 1 – Presenza di Photobacterium damselae subsp. piscicida (Pdp) e Photobacterium damselae subsp. damselae (Pdd) nelle milze dei cefali prelevati durante il 2008. Table 1 – Photobacterium damselae subsp. piscicida (Pdp) and Photobacterium damselae subsp. damselae (Pdd) detection in spleen mullets collected in 2008. Nel 2009 il DNA di Pdp è stato ritrovato nel 48,39% (60/124) dei cefali analizzati ed il DNA di Pdd nel 32,26% (40/124). Nel primo campionamento effettuato a Luglio tutti i cefali esaminati presentavano entrambi i microrganismi mentre in quelli di Maggio e fine Luglio solo il 3,01% dei cefali è risultato positivo solamente per la presenza del DNA di Pdp (Tabella 2). In totale 11 campioni (8,87%) sono risultati positivi per entrambi i microrganismi. Tra i campioni positivi quelli sottoposti a sequenziamento genico sono stati confermati come Pdp (Accession number EU164926) e come Pdd (Accession number LDU40071). Nessuno dei cefali positivi alla PCR mostrava segni clinici di malattia ad eccezione di un soggetto pescato a Giugno 2008 che presentava noduli sulla milza, probabilmente dovuti a una malattia pregressa. 225 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 221-228 Numero di campioni positivi alla PCR Data del campionamento Numero di campioni Pdp (%) Pdd (%) 21 Maggio 2009 32 1 (3) 0 1 Luglio 2009 29 29 (100) 29 (100) 24 Luglio 2009 33 1 (3) 0 8 Settembre 2009 30 29 (97) 11 (36) TOT 124 60 (48) 40 (32) Tabella 2 – Presenza di Photobacterium damselae subsp. piscicida (Pdp) and Photobacterium damselae subsp. damselae (Pdd) nelle milze dei cefali prelevati durante il 2009. Table 2 – Photobacterium damselae subsp. piscicida (Pdp) and Photobacterium damselae subsp. damselae (Pdd) detection in spleen mullets collected in 2009. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI I risultati ottenuti nei due anni di monitoraggio hanno permesso di avere un quadro generale della circolazione microbica dei due patogeni nella popolazione ittica indagata in assenza di fenomeni di mortalità elevata. Dai dati si evidenzia che Photobacterium damselae subsp. piscicida è presente nei cefali in percentuale maggiore (57,19%) rispetto a Photobacterium damselae subsp. damselae (36,69%); in generale la presenza dei due microrganismi è risultata maggiore nel 2008 rispetto al 2009 e soprattutto nei mesi di Luglio, Agosto e Settembre, probabilmente in relazione ad una maggior temperatura e salinità dell’acqua, come riportato già da precedenti studi (Hawke et al., 1987; Frerichs & Roberts 1989). Poiché in nessuno dei cefali risultati positivi alla PCR sono stati riscontrati segni clinici di malattia, i cefali analizzati sembrano essere portatori sani di entrambi i microrganismi patogeni e dal momento che questi pesci sono eurialini, migrando tra acque dolci e salate possono contribuire alla diffusione di questi patogeni ad altri ospiti suscettibili della stessa specie o di specie diverse, sia in ambienti fluviali che marini. La persistenza ambientale di questi ceppi patogeni quindi è un fattore importante che deve essere preso in considerazione come una possibile causa di eventi epidemici nell’ambiente acquatico naturale ed in acquacoltura; infatti esistono evidenze che in condizioni di stress e quando la qualità e la quantità dell’acqua è scarsa, i portatori sani possono andare incontro a reinfezione con conseguenti possibili epidemie nelle popolazioni ittiche (Le Breton, 1999). Condizioni apparentemente analoghe, con periodi di siccità e riduzione della portata d’acqua, prolungamento del cuneo salino, innalzamento delle temperature, riduzione dell’ossigeno disciolto, si sono verificate nel fiume indagato negli anni in cui si sono verificate le morie di cefali e anche negli anni successivi, anche se fortunatamente la malattia non si è più manifestata in forma così grave. 226 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 221-228 Generalmente nei pesci portatori sani i batteri possono persistere in un basso numero ed è quindi molto difficoltoso poter isolarli con i metodi colturali classici (Osorio et al., 1999); da alcuni anni grazie all’introduzione della PCR, è stato possibile rilevare la presenza di questi microrganismi anche se presenti in basso numero e ridurre notevolmente i tempi di identificazione. Negli studi futuri risulta di fondamentale importanza poter correlare positività colturali e PCR di questi microrganismi, con le condizioni ambientali. Le variazioni climatico-ambientali delle acque (pH, ossigeno disciolto e temperatura) infatti possono rappresentare un informazione preziosa per valutare il passaggio del microrganismo dalla condizione di latenza a quella di patogeno attivo. Concludendo, i dati ottenuti hanno evidenziato la presenza di patogeni in forma latente in cefali apparentemente sani suggerendo così una possibile causa di epidemie in condizioni ambientali favorevoli anche se per confermare questo risultato sono necessari un maggior numero di dati. BIBLIOGRAFIA Amagliani G., Omiccioli E., Androni F., Boiani R., Bianconi I., Zaccone R., Mancuso M. & Magnani M. (2009). Development of a multiplex PCR assay for Photobacterium damselae subsp. piscicida identification in fish samples. J. Fish Dis., 32: 645-653. Barnes A.C., dos Santos N.M. & Ellis A.E. (2005). Update on bacterial vaccines: Photobacterium damselae subsp. piscicida. Dev. Biol., 121: 75-84. Ceschia G., Giorgetti G. & Bovo G. (1990). 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ITTIOPATOLOGIA pubblica lavori scientifici e comunicazioni brevi riguardanti la patologia degli organismi acquatici ed argomenti ad essa correlati. I lavori scientifici potranno essere pubblicati in italiano o in inglese ed andranno articolati secondo il seguente schema: titolo (in italiano ed in inglese), cognome, nome ed indirizzo degli autori, riassunto (in italiano ed in inglese), introduzione, materiali e metodi, risultati, discussione e conclusioni, (eventuali) ringraziamenti, bibliografia. Le comunicazioni brevi possono essere stilate senza divisione in sezioni e non devono superare complessivamente le 4 pagine. I lavori scientifici dovranno pervenire su supporto informatico (Floppy Disk o CD o Email) a: Dott. Marino Prearo c/o Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna 148 – 10154 Torino – Tel. 011-2686251; Fax 011-2474458; Email [email protected]. La prima pagina del manoscritto dovrà contenere le seguenti sezioni: Titolo: va riportato sia in italiano che in inglese e non deve superare possibilmente le 4 righe totali. Autori: nome completo seguito dal cognome; gli autori vanno contrassegnati utilizzando numeri esponenziali in riferimento all’istituzione di appartenenza; l’autore a cui dovranno essere indirizzate le comunicazioni dovrà essere contrassegnato anche con un asterisco. Enti di appartenenza: dovranno essere elencati con la progressione numerica utilizzata per gli autori, riportando l’indirizzo completo. Riassunto: deve sintetizzare l’intero contenuto del lavoro e deve essere stilato sia in italiano che in inglese (summary); la lunghezza totale (riassunto + summary) non deve superare 30 righe, utilizzando dimensioni del carattere 9 (Times New Roman). Parole chiave: vanno riportate dopo il riassunto/summary in lingua inglese (max. 8). 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Le fotografie a colori saranno stampate a spese degli autori (150 euro per pagina). Didascalie: vanno scritte sia in italiano che in inglese in una pagina a parte, con indicazione del numero della figura a cui si riferiscono. 229 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 229-231 Bibliografia: i riferimenti bibliografici vanno elencati in ordine alfabetico e senza numerazione, come da esempi qui riportati: Ghittino C., Prearo M., Bozzetta E. & Eldar A. (1995). Caratterizzazione della patogenicità dell’agente eziologico della Streptococcosi ittica e prove di vaccinazione in trota iridea. Boll. Soc. It. Patol. Ittica, 16: 2-12. Austin B. & Austin D.A. (1999). Bacterial fish pathogens. In “Disease of farmed and wild fish. 3rd Ed.”, Praxis Publishing, Chichester, England. Le abbreviazioni dei titoli delle riviste vanno controllate su “World List of Scientific Periodicals”. Tutti i lavori saranno valutati dal Comitato Scientifico di “Ittiopatologia” ed inviati a referees. Instructions to authors _______________________________ ITTIOPATOLOGIA - Rivista di Patologia degli Organismi Acquatici – is a four-monthly publication and represents the official Journal of Italian Society of Fish Pathology (S.I.P.I.). ITTIOPATOLOGIA publishes original scientific papers and short communications concerning the pathology of aquatic organisms and correlated topics. The scientific papers, written in Italian or English, have to be composed as the following scheme: title (in Italian and English), surname, name and address of the authors, summary (in Italian and English), introduction, material and methods, results, discussion and conclusions, (eventual) acknowledgements, references. The text of short communications should neither exceed 4 pages nor be divided up into conventional sections. One complete copy of the paper should be sent together with the file on disk (or by E-mail) to: Dott. Marino Prearo c/o Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna 148 – 10154 Torino – Tel. 011-2686251; Fax 011-2474458; E-mail [email protected] first page of the manuscript should include the following sections: Title: both in Italian and English, possibly not exceeding 4 lines. Authors: complete name and surname, with exponential numbers referring to their affiliation; the corresponding author should be marked also with an asterisk. Affiliation: reported under the names. Summary: should be written both in Italian (Riassunto) and English, not exceeding an overall length (riassunto + summary) of 30 lines, using 9 point font (Times New Roman). Key words: no more than 8 key words should follow the summary. Corresponding Author: has to be reported as a footnote (marked with asterisk) with address, telephone, fax number and E-mail. Text: use approximately 11 point font (Times New Roman) and single spacing. Latin names must be written in italics. The headings of sections should be in bold capital. The illustrations (figures, tables, and graphics) must be referred to in correct numerical order in the text [e.g. (Figure 1) (Table 1) (Graphic 1)]. References in the text should appear as 230 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 229-231 follows: for 1 author (Diamant, 1996), for 2 authors (Wright & Colorni, 2002), for 3 authors or more (Toranzo et al., 2003). Illustrations: figures, tables and graphics should be printed greyscale and saved separately. Figures should have a resolution of about 300 dpi at final size; preferred format is tif(f). Colour illustrations will be charged to the authors (150 euros/ page). Legends: should be listed in a separate page, both in Italian and English, marked with the number of the illustration. Reference: the references should be listed in alphabetical order without numbers and composed as follows: Ghittino C., Prearo M., Bozzetta E. & Eldar A. (1995). Caratterizzazione della patogenicità dell’agente eziologico della Streptococcosi ittica e prove di vaccinazione in trota iridea. Boll. Soc. It. Patol. Ittica, 16: 2-12. Austin B. & Austin D.A. (1999). Bacterial fish pathogens. In “Disease of farmed and wild fish. 3rd Ed.” Praxis Publishing, Chichester, England: 48-49. Manuscripts will be evaluated by the Scientific Committee of “Ittiopatologia” and sent to referees. 231 ITTIOPATOLOGIA, 2009, 6: 232 Elenco dei soci sostenitori della Società Italiana di Patologia Ittica: Azienda Ittica “Il Padule” di Fornaciari Argo Castiglione della Pescaia (GR) Elenco degli sponsor della Società Italiana di Patologia Ittica: Associazione Piscicoltori Italiani Verona Acquavet Pozzuoli (NA) Skretting Italia – Hendrix S.p.A. Mozzecane (VR) Biomar Group Italia Treviso AllerAqua A/S Casarsa della Delizia (PN) AGCI Agrital Roma Fatro S.p.A. Ozzano Emilia (BO) Veronesi S.p.A. Verona Schering Plough Animal Health Milano Valle Ca’ Zuliani S.r.l. Pila di Porto Tolle (RO) 232