testo di Marta Moretti
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testo di Marta Moretti
Consegna: Utilizzando gli appunti delle lezioni, le esposizioni dei compagni di classe, il materiale messo a disposizione dell’insegnante e le informazioni tratte dalla visita di istruzione a Torviscosa, scrivi un testo espositivo dal titolo: LA CITTA’ INDUSTRIALE DEL NOVECENTO. IL CASO PARTICOLARE DI TORVISCOSA. L’elaborato dovrà fornire in modo chiaro e completo tutte le informazioni richieste dalla seguente scaletta: La città industriale tra Ottocento e Novecento I villaggi operai in Italia La scelta della costruzione di Torviscosa: motivazioni storico-economiche Storia del territorio di Torviscosa prima della fondazione del nuovo comune La progettazione della nuova città e della fabbrica Caratteristiche degli edifici della fabbrica e della produzione Caratteristiche dell’edilizia abitativa Caratteristiche degli edifici pubblici L’azienda agricola e le agenzie Breve excursus sull’evoluzione subita dalla fabbrica e dall’insediamento di Torviscosa dal 1938 a oggi L’esposizione può essere arricchita con una breve descrizione della visita alla città: aspetti di maggior interesse, informazioni ricavate, curiosità (integrazione delle informazioni ricavate dalla visita con quelle avute in classe, peculiarità del museo visitato, osservazioni conclusive sull’esperienza...) Marta Moretti Cl. 5D a.s. 2014/2015 20 dicembre 2014 LA CITTA' INDUSTRIALE DEL NOVECENTO. IL CASO PARTICOLARE DI TORVISCOSA. Illustrazione 1: Torviscosa, edifici adibiti alla produzione La genesi delle città industriali che nacquero in Italia tra la fine dell'800 e gli inizi del '900 ha cause radicate, collocabili nella seconda metà del XVIII secolo, in seguito alla cosiddetta rivoluzione industriale. LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE In Inghilterra, a partire dalla seconda metà del XVIII secolo, andò affermandosi un processo di crescita economica e di industrializzazione che fu reso possibile dalla combinazione di una serie di precondizioni. Dobbiamo innanzitutto tener presente che l'Inghilterra, a seguito della cosiddetta Rivoluzione Gloriosa1, era l'unica potenza internazionale a disporre di una monarchia costituzionale che garantiva una forte stabilità politica; in secondo luogo la mentalità della società risultava aperta alle innovazioni e la ricerca scientifica avanzata favoriva le scoperte tecnologiche. Per di più questo Paese presentava un'industria manifatturiera ed estrattiva dinamica, un'eccellente rete di trasporti, un elevato tasso di urbanizzazione e un prospero commercio interno e internazionale all'interno di un impero 1 Avvenimenti che si verificarono tra il 1688 e il 1689 e posero fine all'assolutismo monarchico in Inghilterra coloniale ricco di risorse. Per circa un secolo la rivoluzione industriale rimase circoscritta all'Inghilterra, al Belgio, a parte della Francia e a zone ristrette della Germania, invece successivamente, tra gli anni Settanta e Ottanta dell'Ottocento e il primo decennio del Novecento, l'industrializzazione si estese e si intensificò in Germania e anche nell'Italia settentrionale. Con questo processo di evoluzione economica, che inizialmente interessò prevalentemente il settore tessilemetallurgico, ci fu una generale industrializzazione della società che da sistema agricolocommerciale passò ad un sistema industriale moderno, caratterizzato dall'utilizzo di nuovi macchinari azionati dall'energia cinetica e dall'impiego di nuove fonti energetiche. Da non dimenticare l'invezione ed il perfezionamento della macchina a vapore, ad opera di James Watt tra il 1765 e il 1781, che aumentò enormemente la disponibilità di energia, grazie anzitutto a un imponente incremento dell'estrazione di carbone, e il suo impiego nell'industria, nell'agricoltura e nei trasporti rese possibile la produzione e lo scambio di beni su una scala in precedenza impensabile. Tuttavia, bisogna osservare che questa grande crescita economica e commerciale comportò in primo luogo uno spostamento di massa di contadini verso le città e un rapido inurbamento di queste ultime; si verificò poi un drastico mutamento del suolo a causa dell'eccessivo intervento umano e crebbero in maniera smisurata i sobborghi urbani attorno alla fabbrica, spesso malsani, sporchi, inquinati e caotici, necessari però ad ospitare gli operai che lavoravano nello stabilimento. LA CITTA' INDUSTRIALE Per far fronte a queste problematiche che assumevano sempre più le sembianze di piaghe sociali, a partire dal 1900, architetti, filosofi e pensatori iniziarono a teorizzare una diversa organizzazione della città che, per garantire benessere, doveva basarsi sulla vivibilità e sul ritorno al contatto con la natura. In questo contesto corre l'obbligo di menzionare l'architetto e urbanista Tony Garnier (1869-1948), il quale pubblicò La citè industrielle, un libro nel quale riportò tutte le indicazioni, soprattutto di carattere tecnico, a cui attenersi circa la costruzione di una città industriale. La disposizione illustrata da T. Garnier prevedeva la presenza di corsi d'acqua e vie di comunicazione, atti a facilitare il trasporto di materie prime e prodotti finiti; inoltre la fabbrica doveva essere collocata in un territorio pianeggiante e separata dalla zona residenziale tramite uno spazio verde. A differenza dello stabilimento, il centro urbano, dotato di strade ordinate, doveva trovarsi su un altopiano e i servizi sanitari venivano posti ancora più in alto rispetto alla zona residenzale. Questo modello funse da base per la realizzazione dei villaggi operai che sorsero a cavallo tra '800 e '900 i quali, oltre alle caratteristiche già sopra elencate, ne presentavano altre di eguale importanza. Innanzitutto la scelta del territorio non si basava soltanto sulla disponibilità di abbondanza d'acqua e vie di comunicazione, ma anche sulla presenza di un territorio agricolo circostante a cui poter strappare la manodopera locale, affinchè venisse impiegata nelle mansioni dello stabilimento; in questo modo anche il contadino ne traeva dei vantaggi in quanto il lavoro in fabbrica, a differenza di quello nei campi, risultava lievemente meno faticoso e garantiva un salario sicuro. Il cuore di questi villaggi era costituito dalla fabbrica che rappresentava inoltre il centro della vita dell'operaio e attorno alla quale venivano costruiti tutti i servizi pubblici quali la chiesa, la casa del fascio in periodo fascista, ambulatori, scuole... e servizi come il consorzio agrario, gli spacci..., organizzati attorno ad una piazza con asse vario. Dal punto di vista sociale si trattava di una città fortemente divisa e caratterizzata da stridenti disuguaglianze; vi si associa quindi ancora l'immagine di una piramide in cui ci sono persone abbienti al vertice e una base molto grande di lavoratori manifatturieri in larga misura non specializzati e a basso reddito. Questo aspetto è chiaramente visibile soprattutto nell'edilizia abitativa, in cui persiste fortemente la distinzione gerarichica sociale nelle forme e nelle dimensioni delle abitazioni; più spaziose e complesse per i dirigenti, bifamiliari per gli impiegati e più semplici ed essenziali per contadini e operai. Un ulteriore stilema distintivo di quest'epoca, sia negli edifici pubblici sia in quelli privati, è rappresentato dal costante utilizzo dell'intonaco bianco, simbolo di pulizia e rigore morale; ricorrente altresì l'ordine geometrico nella disposizione delle strade che rimandava alla disciplina e all'impegno nel lavoro e nella famiglia. IL PATERNALISMO INDUSTRIALE: LA FIGURA DELL'IMPRENDITORE A capo di questi villaggi va collocata la figura dell'imprenditore che, mostrandosi al tempo stesso padrone e filantropo, mirava a gestire e a tutelare la vita dei suoi operai dentro e fuori la fabbrica, realizzando così un progetto fabbrica-comunità in cui tutte le opere pubbliche e le attività erano funzionali allo stabilimento stesso. Non dobbiamo infatti pensare che l'imprenditore esercitasse un'azione magnanima nei confronti del suo dipendente bensì un controllo totalmente subdolo e infido, attraverso il quale, migliorando le condizioni di vita dell'operaio, quest'ultimo diventasse più efficiente nel lavoro. Per poter svolgere tutto ciò gli imprenditori si servirono di ristori, teatri, attività ricreative e di svago, campi sportivi per il mantenimento della forma fisica... per mezzo dei quali riuscirono ad ingraziarsi gli operai. Tuttavia, tra questi ultimi e gli imprenditori si instaurarono spesso rapporti conflittuali poichè, nonostante le abitazioni venissero offerte dall'azienda quasi gratuitamente, i salari erano molto bassi, le condizioni di lavoro non sempre ottimali, le norme di sicurezza assai scarse e l'orario di lavoro eccessivamente lungo. In questo difficile scenario si evidenzia l'intervento delle organizzazioni sindacali, che, facendosi portavoce degli interessi dei lavoratori, chiedevano aumenti salariali e garanzie contro il licenziamento; spesso però questi scioperi e manifestazioni di protesta venivano proibiti dalle aziende e tutti coloro che erano iscritti al sindacato rischiavano il licenziamento. Dunque, con il ricatto del posto di lavoro, i proprietari delle aziende riuscivano a domare le rivolte degli operai, limitando d'altra parte la loro libertà sia dal punto di vista umano che dal punto di vista lavorativo. Questa condotta imprenditoriale tipica del '900 assunse pertanto un'accezione piuttosto negativa e ci è nota con il nome di "paternalismo industriale". I PRIMI ESEMPI DI VILLAGGI OPERAI Emblematico in questo contesto il villaggio di Crespi d'Adda, che fu realizzato verso la fine dell'Ottocento dalla famiglia di industriali cotonieri Crespi, in provincia di Bergamo. Questo piccolo centro, oggi patrimonio dell'UNESCO, è inserito in un bassopiano dalla forma triangolare, delimitato da due fiumi confluenti, l'Adda e il Brembo, e da un dislivello del terreno, una lunga costa che lo cinge da Nord. Accanto alla fabbrica, situata lungo il fiume, è visibile la villa padronale della famiglia Crespi, circondata da ampi giardini. Nel villaggio potevano abitare solamente coloro che lavoravano nell'opificio e la vita di tutti i singoli e della comunità intera ruotava attorno alla fabbrica stessa; ai lavoratori venivano messi a disposizione una casa con orto e giardino e tutti i servizi necessari. Le case operaie di ispirazione inglese, sono allineate ordinatamente a est dell'opificio lungo strade parallele, mentre a sud vi è un gruppo di ville per impiegati e dirigenti. Questa disposizione dell'edilizia abitativa mostra appunto un'evidente distinzione gerarchica sociale e un forte rigore geometrico. Oggi il villaggio di Crespi ospita una comunità in gran parte discendente dagli operai che vi hanno vissuto o lavorato e la fabbrica stessa è rimasta in funzione fino al 2003, sempre nel settore tessile cotoniero. Un ulteriore esempio di villaggio operaio è rappresentato dal villaggio di Leumann, situato a Colegno in provincia di Torino. Il fondatore di questo villaggio, Napoleone Leumann, decise di installarvi un nuovo sito produttivo dove si lavorasse il cotone; questo cotonificio fu destinato ad un crescente successo sino a diventare un'azienda di notevoli dimensioni e prestigio. Malauguratamente però, la crisi occorsa al settore settile portò alla chiusura del cotonificio; a questo punto la sorte dell'intero villaggio sembrò compromessa ma una tempestiva operazione di mantenimento ha permesso di conservarlo pressocchè intatto. Gli immobili sono ora divenuti proprietà del comune di Colegno, che ne ha garantito la salvaguardia. IL CASO PARTICOLARE DI TORVISCOSA Passeremo ora ad analizzare un caso di villaggio operaio risalente al periodo fascista che ci riguarda e coinvolge in modo più diretto: il villaggio di Torviscosa, paese della Bassa Friulana che vanta oggi circa 3000 abitanti. STORIA PRE-FONDAZIONE DEL TERRITORIO L'attuale Torviscosa sorse sulla località di Zuino che, come Fornelli e Malisana, era compresa già dal 110 a.C. nel territorio dell'ager aquileiensis, area colonizzata dai romani con il fine di difendersi dalle popolazioni degli Istri e dei Carni che esercitavano pressioni su questo territorio. In quel periodo la località aveva un'importanza rilevante dovuta alla presenza di numerose fornaci e al passaggio della via Annia, che da Aquileia, attraversando Malisana, Concordia e Padova, si congiungeva con la via Emilia presso Bologna. Successivamente la palude, avanzando, insidiò e danneggiò la strada, che venne poi fatta lastricare e sistemare per opera dell'imperatore Massimino il Trace; quest'ultima informazione ci pervenne tramite una epigrafe romana risalente al 235 circa, dedicata all'imperatore, rinvenuta attorno al 1948. Altre fonti ci fanno poi notare che proprio nei pressi di Torviscosa trovò la morte nel 339 d.C. il celebre Costantino II, a causa di un'imboscata tesagli dal fratello Costante. Dunque, alla luce di quanto detto sopra, nonostante la scarsità di fonti pervenuteci, possiamo considere la zona dell'ager aquileiensis un territorio di antica frequentazione. La prima menzione della località di Zuino ci è nota tramite un manoscritto risalente al 1041, sul quale si riporta la donazione di tutto l'ager aquileiensis, da parte del patriarca di Aquileia, al monastero della città; al 1278 risale invece l'atto di cessione del territorio che passò dai signori di Caporiacco a quelli di Villalta. Successivamente la proprietà venne affidata a Rodolfo di Duino e poi, dal 1343 ad Arrigo di Strassoldo. L'anno seguente le ville di Zuino, Fornelli e Malisana furono vendute alla famiglia dei Savorgnan, che ne mantenne il controllo, salvo una breve interruzione dal 1411 al 1420, fino al 1866. Dobbiamo poi tener presente che anche la località di Zuino, analogalmente a molti territori in cui sorsero poi città di fondazione, era un'area malsana ed invasa dalle paludi pertanto, già nel 1690 il conte Antonio Savorgnan diede il via ad un progetto di bonifica e risanamento del terriotorio che ebbe un esito di circa 8000 Illustrazione 2: Pianta Torre di Zuino campi coltivati. Sul territorio risanato sorse il nuovo borgo rurale di Torre di Zuino, così denominato in ricordo della torre del maniero sui cui resti nel 1714 era stata edificata la villa padronale, andata poi distrutta nel 1917 durante la disfatta di Caporetto. Ad Antonio Savorgnan viene per di più attribuita l'edificazione della chiesa (1727), che è tuttora presente, e delle case in linea per braccianti e coloni agricoli, in parte ancora esistenti. Le operazioni di bonifica diedero quindi dei buoni risultati e il conte si impegnò nella realizzazione di diverse opere pubbliche, tuttavia le spese furono ingenti e portarono all'indebitamento della famiglia Savorgnan, che fu costretta a vendere la tenuta ad una società veneziana, la Rossi e Carminati. Quest'ultima la possedette sino al 1882, anno in cui venne acquistata dal conte padovano Augusto Corinaldi, il quale a sua volta vendette parte della tenuta al collegio Mechitaristi di Venezia e parte al gruppo Lombardi-Bignani, da cui la SNIA acquistò i terreni. LA SCELTA DELLA COSTRUZIONE DI TORVISCOSA: MOTIVAZIONI STORICO ECONOMICHE Al termine della prima Guerra Mondiale, in un clima di malcontento e povertà, dove l'inefficienza economica stimolava il rafforzamento dei partiti di massa, con una forte crescita dei socialisti e l'affermazione del Partito Popolare, si andò affermando il movimento fascista, il cui fondatore e maggior esponente fu Benito Mussolini. Questa associazione, cui aderirono soprattutto nazionalisti ed ex combattenti, aveva un programma vago ed era alla ricerca di un'ideologia; tentava infatti di fondere motivi nazionalistici con la polemica contro l'inefficienza del parlamentarismo, che trovava facili consensi negli ambienti piccoloborghesi. Nel 1921 Benito Mussolini riuscì a trasformare il suo movimento nel Partito Nazionale Fascista, il quale entrò, per le elezioni del 1921, nei blocchi nazionali giolittiani ed ottenne un primo successo mandando alla camera 35 deputati; la potenza del partito non risultò comunque sufficiente e la guida del Paese fu così affidata a governi molto deboli. In questo generale disordine i fascisti decisero di ricorrere alla forza: il 24 ottobre 1922 Mussolini concentrò a Napoli migliaia di camicie nere, ossia fascisti organizzati in un'esercito, che marciarono su Roma il 28 ottobre 1922. In seguito a questa insurrezione, il capo del governo Luigi Facta, domandò al re Vittorio Emanuele III di firmare un decreto che avrebbe permesso all'esercito dello Stato di intervenire; tuttavia il re, dopo qualche esitazione, si rifiutò e il 30 ottobre 1922 affidò a Mussolini l'incarico di formare il nuovo governo. Tale fu l'ascesa al potere di Mussolini, il quale in un primo tempo agì nel rispetto delle leggi ma nel 1925, con le leggi fascistissime, trasformò l'Italia in uno stato totalitario nel quale egli stesso deteneva pieni poteri. Secondo Mussolini l'espansione coloniale era di fondamentale importanza per dare prestigio all'Italia e per risolvere il grave problema della disoccupazione, offrendo agli italiani nuove terre da lavorare. Il primo obiettivo di questo progetto espansionistico fu l'Etiopia, che venne invasa con un gran numero di soldati e di armi nell'ottobre del 1935. In seguito a questo episodio la Società delle Nazioni, non potendo accettarne l'invasione, approvò delle sanzioni per l'Italia: venne vietata l'esportazione verso l'Italia di materiale utile per la causa bellica e di altri prodotti. Questi provvedimenti punitivi si rivelarono però in parte inefficaci in quanto non riguardavano materie di primaria importanza, come petrolio e carbone, di cui l'Italia non disponeva; tuttavia il regime dovette comunque reagire con una politica economica autosufficiente, chiamata autarchia, che fosse cioè in grado di produrre sul territorio nazionale i beni di cui lo Stato necessitava, senza dipendere dalle importazioni estere. Pertanto, per far fronte a questa difficile situazione, si diede ampio spazio alla ricerca scientifica, soprattutto nel settore della chimica e in quello tessile, fortemente in crisi, in cui ebbe grande ruolo la SNIA VISCOSA. Questa società si era concentrata soprattutto nella produzione della viscosa, una seta artificiale per la cui lavorazione doveva disporre della cellulosa come materia prima. Fino ad allora quest'ultima era stata estratta soprattutto dal legname ma, poichè il modello economico dell'autarchia presupponeva l'utilizzo esclusivo di materie prime ricavabili in loco ed il legname in Italia era del tutto insufficiente per una produzione su larga scala, la SNIA decise di intraprendere un ciclo di produzione basato sull'uso della cellulosa estratta dall'Arundo Donax, detta canna gentile, un tipo di canna coltivabile anche in Italia e capace di consentire una produzione annua molto più elevata rispetto a quella che prevedeva l'uso delle conifere. L'utilizzo della canna gentile si presentava dunque come la strada migliore da perseguire, anche perchè, nell'eventualità di un conflitto mondiale, i rifornimenti di cellulosa nordica sarebbero diventati problematici; così il 14 dicembre 1935 la SNIA depositò il brevetto per la lavorazione, ottenendo in questo modo la supremazia assoluta per la produzione della cellulosa. LA SCELTA DEL TERRITORIO E LA FONDAZIONE Gli esperimenti della SNIA davano buoni risultati pertanto Marinotti, in collaborazione con Benito Mussolini, procedette alla scelta del luogo per la costruzione dello stabilimento. Quest'ultima riprendeva il piano teorizzato da Garnier e si basava su tre parametri fondamentali quali la presenza di un corso d'acqua e di vie di comunicazione con conseguente notevole economia del costo dei trasporti, la preferenza di un suolo povero ad uno fertile così da non intaccare aree già produttive e di un territorio gravato da disoccupazione operaia. La scelta ricadde sulla località di Zuino, zona paludosa della Bassa Friulana; in questo modo non si sottrassero all'economia agricola naziolale terreni già proficuamente coltivati e si portò contemporaneamente lavoro e benessere in un'area colpita da cronica disoccupazione e dalla malaria. Il tenimento si estendeva su una superficie di circa 5300 ha. ed era circondato da due corsi d'acqua (l'Aussa e il Corno) che costituivano due importanti arterie accessibili a natanti, fino a 3400 tn., i quali potevano giungere dal mare alla grande darsena della fabbrica; disponeva inoltre del passaggio della ferrovia Venezia-Trieste, fondamentale per facilitare i trasporti. Nel 1937, in seguito alla deposizione del brevetto per la lavorazione della canna gentile, si diede il via a questa grande produzione con lavori di canalizzazione e bonifica che portarono alla realizzazione di circa 700 canali di scolo e all'impiego numerose pompe idrovore; le bonifiche diedero buoni risultati e si procedette quindi con la piantumazione di circa quattro milioni di rizomi. In questo contesto si può notare il connubio tra agricoltura e industria, ossia le materie prime che venivano coltivate nei territori circostanti (in questo caso principalmente la canna gentile) erano poi lavorate all'interno della fabbrica. Quest'ultima venne realizzata a tempo di primato nei "320 giorni di Torviscosa" che entrarono così nella leggenda della città assieme al nome di Franco Marinotti, presidente della SNIA. Il 21 settembre 1938 il primo nucleo dello stabilimento e diversi edifici pubblici e privati (scuola, piscina, cinema, case operaie, ecc.) vennero inaugurati dall'allora Capo del Governo, Benito Mussolini, il quale nel suo discorso sottolineò chiaramente il significato autarchico della realizzazione. LA SNIA: STORIA E RUOLO NELLA FONDAZIONE DI TORVISCOSA La società che si impegnò nella realizzazione di Torviscosa venne fondata da Riccardo Gualino nel 1917 a Torino con il nome di Società di Navigazione Italo Americana (SNIA) e detenne inizialmente il controllo dei trasporti marittimi tra Italia e Stati Uniti. Nel 1920 il suo nome mutò in Società di Navigazione Industria e Commercio, in relazione all'appena iniziato interessamento alle fibre tessili artificiali ed in seguito al crollo dei noli marittimi dopo la fine della prima guerra mondiale. Nel 1925 era la prima società italiana con un capitale pari a circa un miliardo di lire oltre che la prima ad essere quotata nelle borse estere: Londra e New York. Successivamente assunse il nome di Società Navigazione Industriale Applicazione Viscosa (SNIA VISCOSA), diventando, grazie all'attività del presidente Franco Marinotti, la più importante azienda del Paese per la produzione del rayon. E ancora nel 1938 mutò il suo nome in SAICI (Società Agricola Industriale per la produzione italiana della Cellulosa); questa denominazione riconfermava il buon esito delle operazioni effettuate a Torviscosa. In seguito, nel 1980, venne acquistata dalla FIAT e passò poi sotto il controllo di Luigi Giribaldi e Cornelio Valetto. Nel 1999 divenne SNIA S.p.A. e nel 2010 il tribunale di Milano ne ha dichiarato lo stato di insolvenza, dando luogo all'avvio della procedura di amministrazione straordinaria. Questa società ebbe un ruolo di primaria importanza nella costruzione di Torviscosa e nella gestione di tutte le attività ad essa riguardanti. Dobbiamo infatti tener presente che, a differenza di altre città di fondazione quali ad esempio Littoria, Pomezia e Sabaudia, dove fu Mussolini ad occuparsi della realizzazione e del finanziamento dei lavori attraverso un ente parastatale, l'Opera Nazionale Combattenti, Torviscosa venne pianificata e finanziata da una società privata, la SNIA, e Mussolini si limitò a partecipare all'inaugurazione del villaggio e ad esaltarlo come modello nella politica di propaganda per il regime. LA DISPOSIZIONE DELLA CITTA' La progettazione e la quasi totalità delle costruzioni di Torviscosa portano la firma dell'architetto milanese Giuseppe De Min, parente e tecnico di fiducia di Marinotti, il quale attraverso questo ambizioso incarico rinsaldò in maniera evidente i rapporti con l'azienda, che si protrassero poi per un lungo periodo; De Min infatti rimase l'architetto di Marinotti fin quando questi fu presidente della SNIA e si impegnò non soltanto a Torviscosa ma anche a Varedo, Milano, Cesano, Maderno e dovunque ci fossero interessi della società o del presidente di quest'ultima. In merito a Torviscosa i progetti dell'architetto, dettati dall'urgenza e dalla ristrettezza dei tempi, potrebbero apparirci quasi abbozzati poichè sono ridotti soltanto ad alcuni tratti essenziali e fanno emergere alcune evidenti trascuratezze grafiche. Nella progettazione della città, che era stata inizialmente concepita per ospitare circa 20.000 abitanti ma che in realtà non ospitò mai un numero superiore a 1.500 persone, De Min mantenne la distribuzione viaria principale di Torre di Zuino, composta da un asse viario simmetrico Est-Ovest (gli attuali viale Roma e viale Marconi) sul quale si affacciano tuttora le settecentesche case coloniche; così facendo delimitò uno spazio trapezoidale, una sorta di struttura scenica anteposta alla fabbrica ed atta ad accogliere gli operai all'interno della città al termine della giornata lavorativa. Questo spazio verde risulta delimitato ad est da un asse viario, che supera perpendicolarmente la linea ferrata e prosegue verso Sud attraversando l'intero tenimento agricolo; ad Ovest invece la strada, inarcandosi leggermente, si immette nello spazio rettangolare della piazza. Anche le aree a Nord e a Sud che affiancano la parte centrale sono rappresentate da due spazi trapezoidali, distinti però funzionalmente. La zona a Sud è riservata alle abitazioni delle classi meno abbienti concepite secondo uno schema ortogonale, scandito da vie parallele e angoli retti in linea con il modello del paternalismo industriale; questi spazi sono attraversati centralmente da un asse viario che da un lato termina nell'ingresso della piscina e dall'altro nell'osservatorio agricolo che si trasformò successivamente in una mensa per operai. La zona a Nord invece attraversa l'intera area dedicata allo svago, dotata di numerose attrezzature ricreative e sportive, e culmina nell'esedra delimitata dal circolo impiegati e dal teatro-dopolavoro, antistanti la fabbrica. Questa zona sportiva, che secondo una planimetria inedita del 1938 successivamente abbandonata, avrebbe dovuto essere correlata al complesso scuolapalestra, è fiancheggiata da una strada (l'attuale viale Villa) scandita lungo i lati da un continuo inframezzarsi di pergolati, statue e vasi, sulla quale si trova la villa di Marinotti. Quest'ultima, costruita attorno al 1951-1952 e posta al centro di un ampio parco ovale delimitato da un viale perimetrale, è affiancata da ulteriori edifici un tempo adibiti a laboratori per la lavorazione di ceramiche oppure utilizzati come sede di mostre ed è stata poi venduta nel 2000, in seguito alla morte di Marinotti. Possiamo notare dunque, alla luce di quanto detto, che anche Torviscosa rispecchia chiaramente il modello illustrato da Garnier; è infatti evidente l'ordine geometrico nella distribuzione delle strade, soprattutto nella parte relativa alle abitazioni operaie, e la presenza dell'elemento naturale che delimita l'area nella quale si sviluppano gli edifici pubblici organizzati attorno ad una piazza principale, da quella riservata agli edifici fabbrica e alla produzione, che occupano invece tutta la zona Est della cittadina. STILE ARCHITETTONICO Per quanto concerne il modello artistico utilizzato nella costruzione degli edifici, come accadde in altre città di fondazione anche a Torviscosa, seppur in misura minore, si cercò di conciliare modernità e tradizione: non dobbiamo infatti pensare ad un unico stilema che si ripropone costantemente in tutte le strutture bensì ad uno stile eclettico, caratterizzato dalla mescolanza di diversi elementi. La prima scelta progettuale viene ascritta a Marinotti, il quale, sposando la causa del progettista non esplicitamente allineato alle maggioritarie tendenze razionaliste, intese diffondere un'immagine di autarchia e localmente radicata autosufficienza, richiamando elementi tipici della romanità, basandosi sul mantenimento dell'identità della zona e facendo anche emergere lo stile architettonico della fabbrica e del paternalismo industriale di fine Ottocento. Tuttavia in alcuni tratti, in particolare nello stabilimento, sono evidentemente inseriti i nuovi elementi delle tendenze razionaliste. L'EDILIZIA PUBBLICA Illustrazione 3: Piazza centrale con municipio L'unico edificio che rispecchia e rappresenta interamente lo stile architettonico appena sopra citato è il municipio che è per l'appunto l'unico edificio pubblico della città costruito in pietra; non a caso infatti esso rimanda al municipio di Sabaudia, definito "perla del razionalismo" ed è caratterizzato da forme sobrie, semplici e prive di ornamenti, superfici intonacate, zoccolature in pietra, archi a tutto sesto e semplici strutture rettangolari. Questo complesso presenta due prospetti, uno rivolto ad est verso piazza del Popolo e dominato dall'imponente torre civica e dai portici ad archi a tutto sesto del piano terra, mentre un secondo, diretto ad ovest, è caratterizzato da un corpo centrale con timpano più elevato e sporgente rispetto alle due ali laterali. Il municipio, assieme alla scuola, all'asilo, al mercato e al complesso abitativo per gli impiegati costituiva il centro della città e andava a comporre la piazza principale di Torviscosa. Illustrazione 4: Palazzo del Ristoro Altri edifici pubblici di notevole importanza per quanto concerne invece attività ricreative e sportive sono collocati lungo il corso di Viale Villa, asse principale per il collegamento del complesso industriale con tutto il resto della città che, pur essendo privo di una reale funzionalità, risultava, data la sua scenografia urbanistica, un ingresso trionfale allo stabilimento. Percorrendolo interamente dall'inizio, a partire dall'esedra prospicente la fabbrica, troviamo ubicati il teatro e il ristoro. In entrambe le strutture sono ben visibili la semplicità, il rigore geometrico ed il costante utilizzo del mattone rosso a vista, oltre all'elemento del riquadro, atto in questo caso a movimentare le nude superfici murarie. Per quanto concerne il teatro si tratta di un fabbricato ad un solo piano, contenente il salone per lo spettacolo, adibito sia a teatro sia a cinema e dotato di 900 posti a sedere; l'interno della sala era completamente intonacato ed impreziosito da decorazioni a tempera che, a causa del degrado, attualmente risultano pressocchè distrutte. Il ristoro invece è costituito da una parte basamentale al piano terra con spazi d'uso collettivo (ristorante, bar, locali di direzione, circolo impiegati...), da cui si eleva, soltanto nella parte centrale, un piano superiore con le camere per gli ospiti. Illustrazione 5: Edificio del Teatro Proseguendo il viale ricordiamo in particolare le piscine che, dopo alcuni anni di abbandono, sono attualmente attive e funzionanti, i due campi da tennis in terra battuta e lo stadio, realizzato solo successivamente per opera dell'ingegner Babighian e collocato al termine del prolungamento del viale. Questa grande quantità di spazi destinati allo sport ed alle attività ricreative, che appare del tutto sovradimensionata rispetto al numero degli abitanti, sembra dunque rispecchiare pienamente la volontà dell'azienda di organizzare la vita dell'operaio sia dentro sia fuori la fabbrica. In questo contesto dobbiamo porre l'accento su un aspetto di fondamentale importanza il quale , facendo ancora una volta riferimento ai rispettivi ruoli della SNIA e di Mussolini, differenzia Torviscosa da tutte le altre città di fondazione. Bisogna infatti tener presente che in questo caso tutte le attività dopolavoristiche che si configuravano nel teatro, nel circolo impiegati e nel ristoro erano gestite dall'azienda e non dal partito fascista, presente a Torviscosa soltanto nelle forme e nelle misure volute e dettate da Marinotti; pertanto non è da considerarsi un caso che in questo villaggio non sia stata costruita la Casa del Fascio. Illustrazione 6: Palazzina adibita ad uffici in piazzale Marinotti Un elemento che sembra invece esaltare gli ideali del fascismo è rappresentato da due statue collocate di fronte alla palazzina adibita ad uffici nel piazzale Marinotti. Quella sulla sinistra, intitolata "La continuità della stirpe nel lavoro" illustra un contadino che regge un badile con accanto una donna e un bambino e simboleggia sia la dedizione al lavoro sia l'impegno nella famiglia; l'altra invece, situata sulla destra ed intitolata "Sintesi di Forza, Ragione e Fede", raffigura un cavallo rampante trattenuto da una figura maschile e rimanda al lavoro in fabbrica. Sempre in piazzale Marinotti ricordiamo la torre Marinotti, alta 17 metri e dotata di pianerottoli laterali affacciati su parapetti che permettevano la vista sulla città a varie quote; da non tralasciare il C.I.D., Centro Informazione Documentazione, che rappresenta ancora oggi il centro culturale di Torviscosa. Esso venne progettato ed edificato attorno al 1961 1962 per opera dell'architetto Cesare Pea il quale, ripropose ancora una volta l'utilizzo dei mattoni a vista, l'ampia finestratura a nastro e una fascia di rivestimento metallica che coronava il fabbricato. Quest'ultimo è dotato di un ampio scantinato e di un piano rialzato che risulta posto su due quote diverse e comprende l'ingresso principale, un gran corridioio, la sala di proiezione, la sala conferenze ed altri spazi per usi diversi. Lo stesso Cesare Pea si vide poi impegnato assieme allo scultore Romano Vio nella costruzione di un grande blocco a forma di cubo, in marmo grigio di Verona, collocato eccentricamente rispetto all'asse mediano del piazzale. Un lato del cubo è completamente rivestito da un pannello in bassorilevo sul quale campeggia la figura di Marinotti mentre tende la mano ad alcuni operai, gli altri tre lati ripotano invece le date della storia di Torviscosa, oltre alla dicitura "Labor omnia vincit". Infine, in tutt'altra collocazione troviamo la chiesa, di origine settecentesca, che appare completamente decentrata rispetto al cuore della città; si tratta in questo caso di una scelta prettamente ideologica in quanto si vuole evidenziare che la comunità religiosa non ha contribuito in alcun modo alla fondazione del villaggio. A differenza di Torviscosa, in altre città di fondazione ed in particolar modo in quelle sorte nell'Agro Pontino, possiamo notare che la chiesa è centrale rispetto alla piazza e tale ubicazione, più che rifarsi alla tradizionale piazza italiana, intende dare visibilità al riconoscimento concordatario che aveva posto termine alla pluridecennale lacerazione tra Stato e Chiesa. L'EDILIZIA PRIVATA Anche l'edificazione delle strutture resindeziali, come degli edifici pubblici e dello stabilimento, venne affidata all'architetto Giuseppe De Min, il quale in questo contesto preferì mantenere l'identità della zona, ispirandosi ad una direttrice ideologica tipica del Settecento ed effettuando degli interventi in continuità con le preesistenze del borgo. Le strutture residenziali, nonostante siano tipologicamente differenziate a seconda del ruolo lavorativo dell'assegnatario e facciano emergere una forte distinzione gerarchica sociale anche rispetto alla loro posizione rispetto al centro, presentano degli elementi caratteristici che le accomunano quali l'intonaco bianco, il mattone rosso come elemento decorativo, che rimanda alle numerose fornaci di quei territori, e la scala esterna che collega i vari piani su cui si sviluppano le abitazioni. Le case dei funzionari, due ville bifamiliari, sono distribute su tre piani, dotate di accessi laterali indipendenti e di un'unica scala che collega internamente i quattro piani su cui la struttura si svillupa: uno scantinato, un livello rialzato con i locali della zona giorno, mentre il primo e secondo piano adibiti a camere e servizi. Illustrazione 7: Villini dei dirigenti Illustrazione 8: Fabbricato per impiegati Le case degli impiegati, meno articolate rispetto a quelle dei dirigenti, sono invece composte da due edifici in linea che delimitano i lati Nord e Sud della piazza del Popolo e costituiscono il cuore della città; ogni fabbricato, costruito in mattoni e cemento, presenta una struttura a due livelli in cui il piano terra è adibito a negozi, mentre il piano superiore contiene dodici appartamenti accessibili tramite tre vani scala indipendenti. Queste strutture, complesse nella forma e ricche di dettagli, sono caratterizzate dalle forti testate d'angolo, connotate da colonne, balconi con coronamento e dall'uso decorativo del mattone, materiale costoso e di difficile manutenzione a causa dell'umidità. In aggiunta alle strutture descritte ricordiamo i due complessi abitativi dei tecnici; il primo composto da tre edifici e ubicato tra Piazza del Popolo e Via Marconi, e il secondo costituito da due strutture identiche a farfalla, disposte ai lati di Viale Villa. Entrambi i complessi, realizzati in una fase successiva (tra il 1956 e il 1967) rispetto alla parte preponderante delle strutture residanziali, dispongono di uno spazio abbastanza ampio, organizzato in una cucina, una sala da pranzo e due bagni. Proseguendo per scala sociale, troviamo poi il complesso delle abitazioni popolari, denominate anche "colombaie", ripartito in dieci blocchi di case a schiera, disposte parallelamente a file di due. Ogni unità abitativa può disporsi su due livelli o su uno soltanto; i corpi di fabbrica a due piani, composti da cinque o sei alloggi uguali eccetto che quelli di testa in cui al piano terra è ricavato un piccolo alloggio con ingresso posteriore, sono dotati di una zona giorno con cucina, lavello e soggiorno al piano terra mentre al piano superiore due camere da letto e un bagno che dà su un piccolo terrazzo. A differenza di questi appena descritti, gli alloggi dotati di un unico piano, serviti a due a Illustrazione 9: Colombaie, prospetto a Nord due da una scala, presentano spazi molto più angusti e strutture architettoniche molto meno articolate e di gran lunga semplificate. Possiamo poi notare che mentre i prospetti a Nord sono scanditi da sequenze di archi che individuano gli ingressi con una porta ed una finestra ad oblò e presentano inoltre piccoli terrazzi che accentuano il ritmo di alternanze tra pieni e vuoti, i prospetti a Sud risultano caratterizzati da grandi arcate a doppia altezza che scandiscono il ritmo delle aperture, sia del piano terra sia del piano superiore. Passiamo ora ad illustrare le abitazioni degli operai, alle quali venne attribuito il nome di "case gialle" in quanto, proprio l'intonaco di colore giallo, le distinse successivamente dalle altre strutture abitative. Le case degli operai, a differenza delle cosiddette colombaie, che pur essendo minime conservano una metratura meno ristretta, risultano ridotte all'essenziale, sia per quanto concerne il numero dei vani sia in merito all'elemento decorativo, rappresentato dal mattone a vista presente soltanto nei portali d'ingresso e nella zoccolatura, a causa dell'elevato costo di questo materiale. Osservando il complesso abitativo possiamo poi notare che le case gialle sono distanziate cosicchè si formino degli spazi interni un tempo adibiti ad orti o aree verdi. Non dobbiamo poi dimenticare il complesso per gli scapoli il quale, a differenza delle altre strutture residenziali, non venne commissionato a De Min bensì all'ingegner Pietro Babighian, che lo fece edificare nell'anno 1951; l'edificio è caratterizzato da una partitura modulare, disposto su tre piani, dove il piano terra era destinato a negozi e ad altre attività commerciali mentre i restanti erano occupati dagli alloggi. Questi ultimi consistono in camere da letto, abbastanza ampie e dotate di un bagno, servite da locali cucina e pranzo comuni; i diversi piani sono collegati tra loro da un largo vano scala, collocato centralmente nell'intersezione tra le due ali del fabbricato. EDILIZIA DELLA FABBRICA E DELLA PRODUZIONE A Torviscosa l'intera realizzazione esecutiva dello stabilimento, impianto dominante che costituiva il centro di tutte le attività del villaggio e ne dominava l'abitato, venne affidata all'impresa Rizzani, una delle più importanti ed affermate della Regione, coadiuvata da alcune ditte minori. Per quanto concerne l'architettura della fabbrica e degli edifici atti alla produzione possiamo notare che lo stile si discosta notevolmente da quello che caratterizza l'edilizia pubblica e privata; in questo caso infatti il mattone rosso non rappresenta soltanto un elemento decorativo ed un ornamento ma connota la struttura, ricoprendo intere pareti dell'impianto; in aggiunta a ciò si cerca di conciliare criteri di funzionalità con concetti di simmetria e rigore geometrico attraverso l'utilizzo di ponti di collegamento, del grande orologio e di ampie finestrature a nastro dotate di serramenti in legno a maglia quadrata. Illustrazione 10: Stabilimento per la produzione della cellulosa Da non dimenticare innanzitutto il reparto per la cellulosa, un manufatto di grandi dimensioni (600.000 mc di volume) all'interno del quale si svolgeva appunto tutto il ciclo di lavorazione della canna gentile per la produzione della cellulosa. Esso è costituito da diversi fabbricati formati da undici reparti che si succedeno in base all'ordine delle differenti fasi di lavorazione e si sviluppano su un fronte doppio lungo circa un chilometro in modo simmetrico rispetto ad un asse longitudinale cosicchè si venga a formare una scenografia nella quale possano emergere gli edifici dei bollitori e l'alta torre. L'intera struttura, dove prendevano posizione gli impianti di produzione ed i locali di servizio (laboratori chimici, officine, magazzini, centrale termica...), termina con una palazzina adibita agli uffici e alla portineria, anch'essi realizzati con mattone faccia a vista. Quest'ultimo edificio , caratterizzato da una parte centrale che permette l'ingresso in fabbrica, è tripartito da due colonne che sostengono la pensilina, mentre le ali laterali risultano costituite da tre blocchi ad un piano, di cui quello centrale supera i due laterali in altezza. L'edificio adibito invece agli uffici è composto di una parte centrale, distribuita su tre piani e due ali simmetriche che si sviluppano su un solo livello sporgendo rispetto al blocco centrale ed inglobando la scalinata principale di accesso; questa struttura è poi caratterizzata dalla presenza di lesene e cornici a doppia altezza delle finestre che conferiscono movimento alla severa facciata. Illustrazione 11: Torri Littorie Oltre a questo possente impianto non dobbiamo dimenticare altri edifici di ingente importanza come ad esempio le due torri Jenssen, adibite alla produzione del bisolfito di calcio; la prima di queste, situata a Nord venne realizzata nel 1938, la seconda invece nel 1940, durante le fasi del raddoppio dello stabilimento. Le due torri, rivestite completamente in mattone rosso e collegate in corrispondenza dell'ultimo livello da un percorso orizzontale, poggiano su un'unico basamento di forma rettangolare, mentre il possente fusto con sezione circolare si eleva per un'altezza di circa di 54 metri. Accanto a queste si ergono poi due corpi, uno di forma cilindrica in mattoni e dotato di una scala a chiocciola, il secondo a forma di parallelepipedo in vetro-cemento, i quali contenevano entrambi il vano montacarichi. Le due strutture vengono chiamate anche "Torri Littorie" in quanto sulla sommità della torre Nord era stata posta una grande lama di ferro e vetro, che simboleggiava il fascio littorio e che venne demolita dopo la caduta del regime fascista. A completare l'insieme degli edifici per la produzione ricordiamo infine il reparto sodacloro costruito negli anni 1942/1943 che è ancora oggi attivo e funzionante per la produzione di cloro, soda caustica, acido cloridico... Esso rispecchia dal punto di vista architettonico il reparto adibito alla produzione della cellulosa ed è costituito da una serie di edifici disposti in due aree distinte, sempre secondo criteri di funzionalità e simmetria. La zona dell'ingresso, ad Est, era adibita ad uffici amministrativi e abitazioni per gli impiegati mentre l'altra ospitava gli impianti per le differenti fasi della lavorazione. L'AZIENDA AGRICOLA E LE AGENZIE Anche nel caso di Torviscosa, come in quello di molte altre città di fondazione, è ben evidente la natura duplice del progetto che unisce agricoltura e industria, ossia le materie prime che venivano impiegate per la lavorazione all'interno della fabbrica erano in un primo momento lavorate nei territori circostanti. Per permettere questo connubio la SAICI organizzò l'azienda agricola in sei unità territoriali; queste ultime, chiamate "agenzie" e collocate ognuna al centro di un vasto territorio da coltivare, erano concepite come un insieme di edifici disposti a formare una vasta corte rettangolare. L'ingresso alla corte avveniva tramite un porticato centrale, fiancheggiato da due semplici costruzioni simmetriche destinate agli uffici, all'abitazione del dirigente e dei salariati agricoli. Il prospetto principale proseguiva poi con un magazzino e con una piccola cappella per il culto mentre gli altri lati erano occupati dalle rimesse dei macchinari agricoli, dalle scuderie e da altri servizi. Accanto a queste agenzie venne per di più edificato un fabbricato destinato ad accogliere gli operai avventizi durante i tre mesi di raccolta della canna, che richiedeva un'ingente presenza di manodopera. Illustrazione 12: Abitazione per i salariati agricoli presso Malisana Per quanto concerne l'architettura delle abitazioni dei salariati agricoli, si tratta di una struttura costituita da due piani collegati tra loro tramite una scala esterna, che permetteva l'ingresso al piano superiore rendendo in questo modo autonomi i due moduli; ogni piano è caratterizzato da un'ampia cucina disposta ad "L" e fiancheggiata da un corridoio che serviva d'accesso a due spaziose camere da letto. Possiamo quindi notare che il modello descritto presenta forti richiami all'architettura della campagna friulana come, per esempio, il sovradimensionamento della cucina che, in origine, non rappresentava soltanto il luogo in cui si mangiava ma era anche luogo di lavoro e vita sociale; a tal proposito ricordiamo infatti che in Friulano per indicare il vano-cucina si ricorre al termine "cjase". Questa struttura rispecchia inoltre l'intenzione dell'azienda di creare un ordine sociale basato sulla famiglia, sulla stabilità della mano d'opera e sull'attaccamento di questa al datore di lavoro secondo l'idea fascista del periodo che promuoveva le nascite per rendere grande l'Italia. In questo contesto è fondamentale il ruolo della donna come madre, che oltre ad essere una casalinga corretta ed ubbidiente nei confronti del marito, aveva il compito di fare molti figli. STORIA DI TORVISCOSA DAL 1938 AD OGGI In seguito all'inaugurazione del primo nucleo del villaggio, effettuata dall'allora capo del governo Benito Mussolini, i lavori procedettero così celermente che già il 21 settembre 1940 si tenne l'inaugurazione del raddoppio dell'intera opera, alla presenza dell'allora Ministro dell'Industria, Giuseppe Volpi. Il mese successivo al borgo di Torre di Zuino venne attribuito il rango di Comune autonomo che, inglobando il territorio di Malisana, assunse il nome di Torviscosa il 26 ottobre 1940. Secondo i piani stabiliti, negli anni successivi si sarebbe dovuta terminare definitivamente la realizzazione dell'intero progetto tuttavia, le vicende del secondo conflitto mondiale in cui l'Italia si trovò coinvolta, non mancarono di far sentire le loro funeste conseguenze anche a Torviscosa. Stando alle informazioni in nostro possesso, il complesso industriale SAICI, che era stato dichiarato stabilimento ausiliario, era tenuto, secondo gli ordini pervenuti da Milano, a salvare la fabbrica e a fornire protezione agli operai. In seguitò però si insediarono a Torviscosa i comandi di due formazioni partigiane mentre a Palmanova risiedeva una considerevole forza militare e di polizia tedesca. Questa circostanza estremamente pericolosa spinse pertanto la SAICI a dirigire alcuni equilibrismi, tra controlli dell'autorità militare, accordi segreti con gli uni e con gli altri e dichiarazioni fasulle da parte del Comune al fine di giustificare la continuità nella produzione; in un primo momento questi maneggi diretti dall'azienda SAICI bastarono per tutelare i lavoratori e mantenere lo stabilimento attivo, benchè la produzione fosse di gran lunga superiore alle esigenze. Successivamente invece si verificarono alcuni bombardamenti che danneggiarono in maniera ingente i ponti, le strade e la ferrovia Venezia-Trieste; il 24 febbraio 1945 vennero scaricate tre ondate di bombe sui fabbricati industriali, distruggendo così l'intero complesso e riducendo tutto ad un ammasso di macerie. A questo punto l'azienda, per evitare che venissero alla luce le operazioni effettuate e non dover giustificare un'ingente presenza di operai in una fabbrica inattiva, con un comunicato del 16 marzo 1945 fece trasferire nelle aziende agricole una parte degli operai, i quali avrebbero conservato l'anzianità di servizio acquisita con diritto di precedenza nell'eventualità di ripresa lavorativa in fabbrica; la società si impegnava per di più a prendersi carico della corresponsione degli assegni familiari spettanti ai lavoratori dell'industria. Dunque, i pochi fabbricati che non erano stati distrutti dai bombardamenti vennero utilizzati dagli alleati come magazzini e depositi di munizioni. Frattanto, nonostante numerosi reparti fossero stati largamente devastati e molte attrezzature di controllo andate distrutte o necessitassero comunque di notevoli interventi di riparazione, non si cessò di coltivare la canna gentile, che era cresciuta rigogliosa ed appariva pronta per essere impiegata in fabbrica. D'altra parte, però, dobbiamo tener presente che il mercato della cellulosa era diventato nuovamente libero e che la ricostruzione dell'intero stabilimento avrebbe richiesto sacrifici enormi; in più Marinotti, che promuoveva la sistemazione del complesso industriale, era fortemente contrastato da un gruppo di azionisti i quali invece non si mostravano favorevoli alla ricostruzione. Nonostante ciò, Marinotti, che intanto aveva abbandonato la carica di presidente, riassunse a breve la direzione della SNIA e ripristinò gli impianti senza fruire di aiuti americani, nè di altre sovvenzioni. Oltre alla sistemazione dei fabbricati esistenti, fece altresì edificare nuovi impianti; ricordiamo in particolare la costruzione dell'impianto per la produzione di alcool da canna, con una capacità produttiva di circa 100 ettolitri al giorno. Non dimentichiamo poi che nel 1948 vennero rinnovati gli impianti di pre-sbianca, nel 1949 venne invece costruito lo stabilimento per la produzione di soda-cloro e derivati, che fu poi allargato nel 1952, nel 1957 attraverso l'installazione di un raddrizzatore e di nuovi collegamenti e ancora una volta nel 1960 quando vennero sostituite le celle all'interno dell'impianto per portare la capacità produttiva a 20000 tonnellate annue. Vennero anche ampliati gli impianti per la produzione della cellulosa attraverso installazioni di nuovi bollitori; si edificò per di più un nuovo fabbricato per la preparazione del vegetale, altri impianti di epurazione della cellulosa e uno per la combustione della pirite. Si aggiunse infine il silos nell'azienda agricola per la conservazione dei cereali e anche un mangimificio. Successivamente, tra il 1962 e il 1964, entrò in vigore il nuovo impianto per la produzione di caprolattame da toluolo, materia prima per il nylon, venne avviato il nuovo impianto per la produzione di pasta semichimica, un integrativo della cellulosa, e cessò definitivamente la coltivazione della canna gentile che, a lungo andare, aveva impoverito e danneggiato il suolo. Così, tra il 1975 e il 1978, la produzione si concentrò prevalentemente nel settore della chimica, attraverso l'utilizzo di alcuni prodotti della linea del caprolattame e lo stabilimento si riorganizzò in S.p.A. sotto il nome di Chimica del Friuli, la quale venne conferita all'azienda Caffaro nel 1985. Successivamente, a causa dell'eccesso di offerta di cellulosa sul mercato mondiale, con conseguente crollo dei prezzi di vendita, la Chimica del Friuli fu costretta a far cessare definitivamente tale produzione, oltre a quella di paste chimiche e semichimiche da legno. Nel 1995, a seguito del riassetto delle attività del raggruppamento, la Chimica del Friuli cambiò denominazione diventando Industrie Chimiche Caffaro S.p.A. ed incrementò ulteriormente l'attività nel settore della chimica fine e della chimica specializzata, anche attraverso lo sviluppo e la realizzazione di nuovi impianti. Tra il 1999 e il 2001 cessò l'attività produttiva del caprolattame e venne firmato un accordo con la casa farmaceutica Bracco a cui la Caffaro fornisce cloruro di iodio. Nel 2008 la fabbrica fu poi sequestrata a causa dell'inquinamento dovuto principalmente alle produzioni di cloro-soda e derivati a cui seguirono diversi interventi di ottimizzazione degli impianti esistenti, con particolare riguardo al miglioramento dell'impatto ambientale; oggi la Caffaro è nuovamente funzionante ed attiva nel settore della chimica. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE SULL'ESPERIENZA L'esperienza di Torviscosa è stata arricchita con una visita al villaggio stesso che ci ha permesso di verificare ed analizzare il tema in modo più diretto. Da menzionare il C.I.D., Centro Informazione Documentazione che risulta essere oggi un centro di fondamentale importanza grazie all'avviamento del progetto POR FESR, il quale ha permesso non soltanto la ristrutturazione dell'edificio C.I.D. ma soprattutto la salvaguardia della documentazione archivistica, che rappresenta la memoria storica dei luoghi e costituisce pertanto la base per qualunque ricerca. Grazie a questa struttura ci è stato in primo luogo possibile vedere la reale distribuzione della città attraverso un plastico del 1960, raffigurante l'intero nucleo di Torviscosa nel quale prendevano spazio lo stabilimento, la darsena e una delle sette agenzie in cui era suddivisa la campagna circostante; ci è stato anche proposto, in chiave più generale, un breve excursus in merito alla storia di altri nuclei di fondazione quali Littoria, Pomezia, Sabaudia, Aprilia,.. . Una parte della mostra ha poi posto in rilievo attraverso manifesti, locandine, cartoline e sculture la propaganda del regime, che si servì in primo luogo dell'illustrazione per informare gli italiani in merito ai programmi politici. In aggiunta a ciò abbiamo potuto osservare come pressochè tutte le strutture, comprese quelle adibite alla produzione, si siano mantenute tali nel tempo; alcune risultano essere tuttora attive e funzionanti, come gli edifici della fabbrica e alcune strutture abitative, altre, quali le piscine e i centri sportivi, rappresentano ancora oggi un punto di ritrovo per scolaresche e centri estivi, ed altre ancora, quali il teatro, che abbiamo comunque potuto visitare grazie alla collaborazione del personale C.I.D, si trovano ora in uno stato di completo degrado e necessitano di grandi lavori di ristrutturazione per poter essere nuovamente funzionanti. A tal proposito menzioniamo una proposta di legge del 2014, ad opera del deputato di Fratelli d'Italia Fabio Rampelli, con la quale si intende promuovere il recupero e la valorizzazione delle città e dei nuclei di fondazione attraverso lo stanziamento di fondi per il recupero, la salvaguardia ed il restauro dei beni architettonici, nonchè del patrimonio edilizio esistente. Questa proposta di legge, atta a conservare memoria delle città di fondazione, è in discussione alla Camera dei Deputati, attualmente affidata alla commissione VII della Cultura in sede referente. Bisognerà attendere l'esito di questa proposta visto l'immenso patrimonio culturale ed artistico di cui dispone il nostro Paese e la scarsa disponibilità finanziaria del bilancio statale in questo momento di grave crisi economica, tenuto conto, non da ultimo, del consenso che tale proposta di legge potrà trovare nelle forze politiche attualmente in carica. BIBLIOGRAFIA per i contenuti: www.treccani.it www.primiditorviscosa www.comune.torviscosa.ud.it www.camera.it Wikipedia per le immagini: www.sirpac-fvg.org/ www.comune.torviscosa.ud.it/