testo di Marta Moretti

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testo di Marta Moretti
Consegna:
Utilizzando gli appunti delle lezioni, le esposizioni dei compagni di classe, il materiale
messo a disposizione dell’insegnante e le informazioni tratte dalla visita di istruzione a
Torviscosa, scrivi un testo espositivo dal titolo:
LA CITTA’ INDUSTRIALE DEL NOVECENTO. IL CASO PARTICOLARE DI
TORVISCOSA.
L’elaborato dovrà fornire in modo chiaro e completo tutte le informazioni richieste
dalla seguente scaletta:
La città industriale tra Ottocento e Novecento
I villaggi operai in Italia
La scelta della costruzione di Torviscosa: motivazioni storico-economiche
Storia del territorio di Torviscosa prima della fondazione del nuovo comune
La progettazione della nuova città e della fabbrica
Caratteristiche degli edifici della fabbrica e della produzione
Caratteristiche dell’edilizia abitativa
Caratteristiche degli edifici pubblici
L’azienda agricola e le agenzie
Breve excursus sull’evoluzione subita dalla fabbrica e dall’insediamento di
Torviscosa dal 1938 a oggi
L’esposizione può essere arricchita con una breve descrizione della visita
alla città: aspetti di maggior interesse, informazioni ricavate, curiosità
(integrazione delle informazioni ricavate dalla visita con quelle avute in classe,
peculiarità del museo visitato, osservazioni conclusive sull’esperienza...)
Marta Moretti
Cl. 5D
a.s. 2014/2015
20 dicembre 2014
LA CITTA' INDUSTRIALE DEL NOVECENTO. IL CASO
PARTICOLARE DI TORVISCOSA.
Illustrazione 1: Torviscosa, edifici adibiti alla produzione
La genesi delle città industriali che nacquero in Italia tra la fine dell'800 e gli inizi del '900 ha
cause radicate, collocabili nella seconda metà del XVIII secolo, in seguito alla cosiddetta
rivoluzione industriale.
LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
In Inghilterra, a partire dalla seconda metà del XVIII secolo, andò affermandosi un processo
di crescita economica e di industrializzazione che fu reso possibile dalla combinazione di
una serie di precondizioni. Dobbiamo innanzitutto tener presente che l'Inghilterra, a seguito
della cosiddetta Rivoluzione Gloriosa1, era l'unica potenza internazionale a disporre di una
monarchia costituzionale che garantiva una forte stabilità politica; in secondo luogo la
mentalità della società risultava aperta alle innovazioni e la ricerca scientifica avanzata
favoriva le scoperte tecnologiche. Per di più questo Paese presentava un'industria
manifatturiera ed estrattiva dinamica, un'eccellente rete di trasporti, un elevato tasso di
urbanizzazione e un prospero commercio interno e internazionale all'interno di un impero
1 Avvenimenti che si verificarono tra il 1688 e il 1689 e posero fine all'assolutismo monarchico in Inghilterra
coloniale ricco di risorse.
Per circa un secolo la rivoluzione industriale rimase circoscritta all'Inghilterra, al Belgio, a
parte della Francia e a zone ristrette della Germania, invece successivamente, tra gli anni
Settanta e Ottanta dell'Ottocento e il primo decennio del Novecento, l'industrializzazione si
estese e si intensificò in Germania e anche nell'Italia settentrionale. Con questo processo di
evoluzione economica, che inizialmente interessò prevalentemente il settore tessilemetallurgico, ci fu una generale industrializzazione della società che da sistema agricolocommerciale passò ad un sistema industriale moderno, caratterizzato dall'utilizzo di nuovi
macchinari azionati dall'energia cinetica e dall'impiego di nuove fonti energetiche. Da non
dimenticare l'invezione ed il perfezionamento della macchina a vapore, ad opera di James
Watt tra il 1765 e il 1781, che aumentò enormemente la disponibilità di energia, grazie
anzitutto a un imponente incremento dell'estrazione di carbone, e il suo impiego
nell'industria, nell'agricoltura e nei trasporti rese possibile la produzione e lo scambio di
beni su una scala in precedenza impensabile.
Tuttavia, bisogna osservare che questa grande crescita economica e commerciale comportò
in primo luogo uno spostamento di massa di contadini verso le città e un rapido
inurbamento di queste ultime; si verificò poi un drastico mutamento del suolo a causa
dell'eccessivo intervento umano e crebbero in maniera smisurata i sobborghi urbani attorno
alla fabbrica, spesso malsani, sporchi, inquinati e caotici, necessari però ad ospitare gli
operai che lavoravano nello stabilimento.
LA CITTA' INDUSTRIALE
Per far fronte a queste problematiche che assumevano sempre più le sembianze di piaghe
sociali, a partire dal 1900, architetti, filosofi e pensatori iniziarono a teorizzare una diversa
organizzazione della città che, per garantire benessere, doveva basarsi sulla vivibilità e sul
ritorno al contatto con la natura. In questo contesto corre l'obbligo di menzionare l'architetto
e urbanista Tony Garnier (1869-1948), il quale pubblicò La citè industrielle, un libro nel quale
riportò tutte le indicazioni, soprattutto di carattere tecnico, a cui attenersi circa la
costruzione di una città industriale.
La disposizione illustrata da T. Garnier prevedeva la presenza di corsi d'acqua e vie di
comunicazione, atti a facilitare il trasporto di materie prime e prodotti finiti; inoltre la
fabbrica doveva essere collocata in un territorio pianeggiante e separata dalla zona
residenziale tramite uno spazio verde. A differenza dello stabilimento, il centro urbano,
dotato di strade ordinate, doveva trovarsi su un altopiano e i servizi sanitari venivano posti
ancora più in alto rispetto alla zona residenzale. Questo modello funse da base per la
realizzazione dei villaggi operai che sorsero a cavallo tra '800 e '900 i quali, oltre alle
caratteristiche già sopra elencate, ne presentavano altre di eguale importanza.
Innanzitutto la scelta del territorio non si basava soltanto sulla disponibilità di abbondanza
d'acqua e vie di comunicazione, ma anche sulla presenza di un territorio agricolo circostante
a cui poter strappare la manodopera locale, affinchè venisse impiegata nelle mansioni dello
stabilimento; in questo modo anche il contadino ne traeva dei vantaggi in quanto il lavoro in
fabbrica, a differenza di quello nei campi, risultava lievemente meno faticoso e garantiva un
salario sicuro.
Il cuore di questi villaggi era costituito dalla fabbrica che rappresentava inoltre il centro
della vita dell'operaio e attorno alla quale venivano costruiti tutti i servizi pubblici quali la
chiesa, la casa del fascio in periodo fascista, ambulatori, scuole... e servizi come il consorzio
agrario, gli spacci..., organizzati attorno ad una piazza con asse vario.
Dal punto di vista sociale si trattava di una città fortemente divisa e caratterizzata da
stridenti disuguaglianze; vi si associa quindi ancora l'immagine di una piramide in cui ci
sono persone abbienti al vertice e una base molto grande di lavoratori manifatturieri in larga
misura non specializzati e a basso reddito. Questo aspetto è chiaramente visibile soprattutto
nell'edilizia abitativa, in cui persiste fortemente la distinzione gerarichica sociale nelle forme
e nelle dimensioni delle abitazioni; più spaziose e complesse per i dirigenti, bifamiliari per
gli impiegati e più semplici ed essenziali per contadini e operai. Un ulteriore stilema
distintivo di quest'epoca, sia negli edifici pubblici sia in quelli privati, è rappresentato dal
costante utilizzo dell'intonaco bianco, simbolo di pulizia e rigore morale; ricorrente altresì
l'ordine geometrico nella disposizione delle strade che rimandava alla disciplina e
all'impegno nel lavoro e nella famiglia.
IL PATERNALISMO INDUSTRIALE: LA FIGURA DELL'IMPRENDITORE
A capo di questi villaggi va collocata la figura dell'imprenditore che, mostrandosi al tempo
stesso padrone e filantropo, mirava a gestire e a tutelare la vita dei suoi operai dentro e fuori
la fabbrica, realizzando così un progetto fabbrica-comunità in cui tutte le opere pubbliche e
le attività erano funzionali allo stabilimento stesso. Non dobbiamo infatti pensare che
l'imprenditore esercitasse un'azione magnanima nei confronti del suo dipendente bensì un
controllo totalmente subdolo e infido, attraverso il quale, migliorando le condizioni di vita
dell'operaio, quest'ultimo diventasse più efficiente nel lavoro. Per poter svolgere tutto ciò gli
imprenditori si servirono di ristori, teatri, attività ricreative e di svago, campi sportivi per il
mantenimento della forma fisica... per mezzo dei quali riuscirono ad ingraziarsi gli operai.
Tuttavia, tra questi ultimi e gli imprenditori si instaurarono spesso rapporti conflittuali
poichè, nonostante le abitazioni venissero offerte dall'azienda quasi gratuitamente, i salari
erano molto bassi, le condizioni di lavoro non sempre ottimali, le norme di sicurezza assai
scarse e l'orario di lavoro eccessivamente lungo. In questo difficile scenario si evidenzia
l'intervento delle organizzazioni sindacali, che, facendosi portavoce degli interessi dei
lavoratori, chiedevano aumenti salariali e garanzie contro il licenziamento; spesso però
questi scioperi e manifestazioni di protesta venivano proibiti dalle aziende e tutti coloro che
erano iscritti al sindacato rischiavano il licenziamento. Dunque, con il ricatto del posto di
lavoro, i proprietari delle aziende riuscivano a domare le rivolte degli operai, limitando
d'altra parte la loro libertà sia dal punto di vista umano che dal punto di vista lavorativo.
Questa condotta imprenditoriale tipica del '900 assunse pertanto un'accezione piuttosto
negativa e ci è nota con il nome di "paternalismo industriale".
I PRIMI ESEMPI DI VILLAGGI OPERAI
Emblematico in questo contesto il villaggio di Crespi d'Adda, che fu realizzato verso la fine
dell'Ottocento dalla famiglia di industriali cotonieri Crespi, in provincia di Bergamo.
Questo piccolo centro, oggi patrimonio dell'UNESCO, è inserito in un bassopiano dalla
forma triangolare, delimitato da due fiumi confluenti, l'Adda e il Brembo, e da un dislivello
del terreno, una lunga costa che lo cinge da Nord. Accanto alla fabbrica, situata lungo il
fiume, è visibile la villa padronale della famiglia Crespi, circondata da ampi giardini. Nel
villaggio potevano abitare solamente coloro che lavoravano nell'opificio e la vita di tutti i
singoli e della comunità intera ruotava attorno alla fabbrica stessa; ai lavoratori venivano
messi a disposizione una casa con orto e giardino e tutti i servizi necessari. Le case operaie
di ispirazione inglese, sono allineate ordinatamente a est dell'opificio lungo strade parallele,
mentre a sud vi è un gruppo di ville per impiegati e dirigenti. Questa disposizione
dell'edilizia abitativa mostra appunto un'evidente distinzione gerarchica sociale e un forte
rigore geometrico.
Oggi il villaggio di Crespi ospita una comunità in gran parte discendente dagli operai che vi
hanno vissuto o lavorato e la fabbrica stessa è rimasta in funzione fino al 2003, sempre nel
settore tessile cotoniero.
Un ulteriore esempio di villaggio operaio è rappresentato dal villaggio di Leumann, situato
a Colegno in provincia di Torino. Il fondatore di questo villaggio, Napoleone Leumann,
decise di installarvi un nuovo sito produttivo dove si lavorasse il cotone; questo cotonificio
fu destinato ad un crescente successo sino a diventare un'azienda di notevoli dimensioni e
prestigio. Malauguratamente però, la crisi occorsa al settore settile portò alla chiusura del
cotonificio; a questo punto la sorte dell'intero villaggio sembrò compromessa ma una
tempestiva operazione di mantenimento ha permesso di conservarlo pressocchè intatto. Gli
immobili sono ora divenuti proprietà del comune di Colegno, che ne ha garantito la
salvaguardia.
IL CASO PARTICOLARE DI TORVISCOSA
Passeremo ora ad analizzare un caso di villaggio operaio risalente al periodo fascista che ci
riguarda e coinvolge in modo più diretto: il villaggio di Torviscosa, paese della Bassa
Friulana che vanta oggi circa 3000 abitanti.
STORIA PRE-FONDAZIONE DEL TERRITORIO
L'attuale Torviscosa sorse sulla località di Zuino che, come Fornelli e Malisana, era compresa
già dal 110 a.C. nel territorio dell'ager aquileiensis, area colonizzata dai romani con il fine di
difendersi dalle popolazioni degli Istri e dei Carni che esercitavano pressioni su questo
territorio.
In quel periodo la località aveva un'importanza rilevante dovuta alla presenza di numerose
fornaci e al passaggio della via Annia, che da Aquileia, attraversando Malisana, Concordia e
Padova, si congiungeva con la via Emilia presso Bologna. Successivamente la palude,
avanzando, insidiò e danneggiò la strada, che venne poi fatta lastricare e sistemare per
opera dell'imperatore Massimino il Trace; quest'ultima informazione ci pervenne tramite
una epigrafe romana risalente al 235 circa, dedicata all'imperatore, rinvenuta attorno al 1948.
Altre fonti ci fanno poi notare che proprio nei pressi di Torviscosa trovò la morte nel 339
d.C. il celebre Costantino II, a causa di un'imboscata tesagli dal fratello Costante.
Dunque, alla luce di quanto detto sopra, nonostante la scarsità di fonti pervenuteci,
possiamo considere la zona dell'ager aquileiensis un territorio di antica frequentazione.
La prima menzione della località di Zuino ci è nota tramite un manoscritto risalente al 1041,
sul quale si riporta la
donazione di tutto l'ager
aquileiensis, da parte del
patriarca di Aquileia,
al
monastero della città; al 1278
risale invece l'atto di cessione
del territorio che passò dai
signori di Caporiacco a quelli
di Villalta. Successivamente la
proprietà venne affidata a
Rodolfo di Duino e poi, dal
1343 ad Arrigo di Strassoldo.
L'anno seguente le ville di
Zuino, Fornelli e Malisana
furono vendute alla famiglia
dei
Savorgnan,
che
ne
mantenne il controllo, salvo
una breve interruzione dal
1411 al 1420, fino al 1866.
Dobbiamo poi tener presente
che anche la località di Zuino,
analogalmente a molti territori
in cui sorsero poi città di
fondazione,
era
un'area
malsana ed invasa dalle paludi
pertanto, già nel 1690 il conte
Antonio Savorgnan diede il via
ad un progetto di bonifica e
risanamento del terriotorio che
ebbe un esito di circa 8000 Illustrazione 2: Pianta Torre di Zuino
campi coltivati.
Sul territorio risanato sorse il nuovo borgo rurale di Torre di Zuino, così denominato in
ricordo della torre del maniero sui cui resti nel 1714 era stata edificata la villa padronale,
andata poi distrutta nel 1917 durante la disfatta di Caporetto. Ad Antonio Savorgnan viene
per di più attribuita l'edificazione della chiesa (1727), che è tuttora presente, e delle case in
linea per braccianti e coloni agricoli, in parte ancora esistenti. Le operazioni di bonifica
diedero quindi dei buoni risultati e il conte si impegnò nella realizzazione di diverse opere
pubbliche, tuttavia le spese furono ingenti e portarono all'indebitamento della famiglia
Savorgnan, che fu costretta a vendere la tenuta ad una società veneziana, la Rossi e
Carminati. Quest'ultima la possedette sino al 1882, anno in cui venne acquistata dal conte
padovano Augusto Corinaldi, il quale a sua volta vendette parte della tenuta al collegio
Mechitaristi di Venezia e parte al gruppo Lombardi-Bignani, da cui la SNIA acquistò i
terreni.
LA SCELTA DELLA COSTRUZIONE DI TORVISCOSA: MOTIVAZIONI STORICO
ECONOMICHE
Al termine della prima Guerra Mondiale, in un clima di malcontento e povertà, dove
l'inefficienza economica stimolava il rafforzamento dei partiti di massa, con una forte
crescita dei socialisti e l'affermazione del Partito Popolare, si andò affermando il movimento
fascista, il cui fondatore e maggior esponente fu Benito Mussolini. Questa associazione, cui
aderirono soprattutto nazionalisti ed ex combattenti, aveva un programma vago ed era alla
ricerca di un'ideologia; tentava infatti di fondere motivi nazionalistici con la polemica contro
l'inefficienza del parlamentarismo, che trovava facili consensi negli ambienti piccoloborghesi.
Nel 1921 Benito Mussolini riuscì a trasformare il suo movimento nel Partito Nazionale
Fascista, il quale entrò, per le elezioni del 1921, nei blocchi nazionali giolittiani ed ottenne un
primo successo mandando alla camera 35 deputati; la potenza del partito non risultò
comunque sufficiente e la guida del Paese fu così affidata a governi molto deboli. In questo
generale disordine i fascisti decisero di ricorrere alla forza: il 24 ottobre 1922 Mussolini
concentrò a Napoli migliaia di camicie nere, ossia fascisti organizzati in un'esercito, che
marciarono su Roma il 28 ottobre 1922. In seguito a questa insurrezione, il capo del governo
Luigi Facta, domandò al re Vittorio Emanuele III di firmare un decreto che avrebbe
permesso all'esercito dello Stato di intervenire; tuttavia il re, dopo qualche esitazione, si
rifiutò e il 30 ottobre 1922 affidò a Mussolini l'incarico di formare il nuovo governo. Tale fu
l'ascesa al potere di Mussolini, il quale in un primo tempo agì nel rispetto delle leggi ma nel
1925, con le leggi fascistissime, trasformò l'Italia in uno stato totalitario nel quale egli stesso
deteneva pieni poteri.
Secondo Mussolini l'espansione coloniale era di fondamentale importanza per dare
prestigio all'Italia e per risolvere il grave problema della disoccupazione, offrendo agli
italiani nuove terre da lavorare. Il primo obiettivo di questo progetto espansionistico fu
l'Etiopia, che venne invasa con un gran numero di soldati e di armi nell'ottobre del 1935.
In seguito a questo episodio la Società delle Nazioni, non potendo accettarne l'invasione,
approvò delle sanzioni per l'Italia: venne vietata l'esportazione verso l'Italia di materiale
utile per la causa bellica e di altri prodotti. Questi provvedimenti punitivi si rivelarono però
in parte inefficaci in quanto non riguardavano materie di primaria importanza, come
petrolio e carbone, di cui l'Italia non disponeva; tuttavia il regime dovette comunque reagire
con una politica economica autosufficiente, chiamata autarchia, che fosse cioè in grado di
produrre sul territorio nazionale i beni di cui lo Stato necessitava, senza dipendere dalle
importazioni estere.
Pertanto, per far fronte a questa difficile situazione, si diede ampio spazio alla ricerca
scientifica, soprattutto nel settore della chimica e in quello tessile, fortemente in crisi, in cui
ebbe grande ruolo la SNIA VISCOSA. Questa società si era concentrata soprattutto nella
produzione della viscosa, una seta artificiale per la cui lavorazione doveva disporre della
cellulosa come materia prima. Fino ad allora quest'ultima era stata estratta soprattutto dal
legname ma, poichè il modello economico dell'autarchia presupponeva l'utilizzo esclusivo
di materie prime ricavabili in loco ed il legname in Italia era del tutto insufficiente per una
produzione su larga scala, la SNIA decise di intraprendere un ciclo di produzione basato
sull'uso della cellulosa estratta dall'Arundo Donax, detta canna gentile, un tipo di canna
coltivabile anche in Italia e capace di consentire una produzione annua molto più elevata
rispetto a quella che prevedeva l'uso delle conifere.
L'utilizzo della canna gentile si presentava dunque come la strada migliore da perseguire,
anche perchè, nell'eventualità di un conflitto mondiale, i rifornimenti di cellulosa nordica
sarebbero diventati problematici; così il 14 dicembre 1935 la SNIA depositò il brevetto per la
lavorazione, ottenendo in questo modo la supremazia assoluta per la produzione della
cellulosa.
LA SCELTA DEL TERRITORIO E LA FONDAZIONE
Gli esperimenti della SNIA davano buoni risultati pertanto Marinotti, in collaborazione con
Benito Mussolini, procedette alla scelta del luogo per la costruzione dello stabilimento.
Quest'ultima riprendeva il piano teorizzato da Garnier e si basava su tre parametri
fondamentali quali la presenza di un corso d'acqua e di vie di comunicazione con
conseguente notevole economia del costo dei trasporti, la preferenza di un suolo povero ad
uno fertile così da non intaccare aree già produttive e di un territorio gravato da
disoccupazione operaia. La scelta ricadde sulla località di Zuino, zona paludosa della Bassa
Friulana; in questo modo non si sottrassero all'economia agricola naziolale terreni già
proficuamente coltivati e si portò contemporaneamente lavoro e benessere in un'area
colpita da cronica disoccupazione e dalla malaria. Il tenimento si estendeva su una
superficie di circa 5300 ha. ed era circondato da due corsi d'acqua (l'Aussa e il Corno) che
costituivano due importanti arterie accessibili a natanti, fino a 3400 tn., i quali potevano
giungere dal mare alla grande darsena della fabbrica; disponeva inoltre del passaggio della
ferrovia Venezia-Trieste, fondamentale per facilitare i trasporti.
Nel 1937, in seguito alla deposizione del brevetto per la lavorazione della canna gentile, si
diede il via a questa grande produzione con lavori di canalizzazione e bonifica che
portarono alla realizzazione di circa 700 canali di scolo e all'impiego numerose pompe
idrovore; le bonifiche diedero buoni risultati e si procedette quindi con la piantumazione di
circa quattro milioni di rizomi. In questo contesto si può notare il connubio tra agricoltura e
industria, ossia le materie prime che venivano coltivate nei territori circostanti (in questo
caso principalmente la canna gentile) erano poi lavorate all'interno della fabbrica.
Quest'ultima venne realizzata a tempo di primato nei "320 giorni di Torviscosa" che
entrarono così nella leggenda della città assieme al nome di Franco Marinotti, presidente
della SNIA. Il 21 settembre 1938 il primo nucleo dello stabilimento e diversi edifici pubblici
e privati (scuola, piscina, cinema, case operaie, ecc.) vennero inaugurati dall'allora Capo del
Governo, Benito Mussolini, il quale nel suo discorso sottolineò chiaramente il significato
autarchico della realizzazione.
LA SNIA: STORIA E RUOLO NELLA FONDAZIONE DI TORVISCOSA
La società che si impegnò nella realizzazione di Torviscosa venne fondata da Riccardo
Gualino nel 1917 a Torino con il nome di Società di Navigazione Italo Americana (SNIA) e
detenne inizialmente il controllo dei trasporti marittimi tra Italia e Stati Uniti. Nel 1920 il
suo nome mutò in Società di Navigazione Industria e Commercio, in relazione all'appena
iniziato interessamento alle fibre tessili artificiali ed in seguito al crollo dei noli marittimi
dopo la fine della prima guerra mondiale. Nel 1925 era la prima società italiana con un
capitale pari a circa un miliardo di lire oltre che la prima ad essere quotata nelle borse
estere: Londra e New York. Successivamente assunse il nome di Società Navigazione
Industriale Applicazione Viscosa (SNIA VISCOSA), diventando, grazie all'attività del
presidente Franco Marinotti, la più importante azienda del Paese per la produzione del
rayon. E ancora nel 1938 mutò il suo nome in SAICI (Società Agricola Industriale per la
produzione italiana della Cellulosa); questa denominazione riconfermava il buon esito delle
operazioni effettuate a Torviscosa. In seguito, nel 1980, venne acquistata dalla FIAT e passò
poi sotto il controllo di Luigi Giribaldi e Cornelio Valetto. Nel 1999 divenne SNIA S.p.A. e
nel 2010 il tribunale di Milano ne ha dichiarato lo stato di insolvenza, dando luogo all'avvio
della procedura di amministrazione straordinaria.
Questa società ebbe un ruolo di primaria importanza nella costruzione di Torviscosa e nella
gestione di tutte le attività ad essa riguardanti. Dobbiamo infatti tener presente che, a
differenza di altre città di fondazione quali ad esempio Littoria, Pomezia e Sabaudia, dove
fu Mussolini ad occuparsi della realizzazione e del finanziamento dei lavori attraverso un
ente parastatale, l'Opera Nazionale Combattenti, Torviscosa venne pianificata e finanziata
da una società privata, la SNIA, e Mussolini si limitò a partecipare all'inaugurazione del
villaggio e ad esaltarlo come modello nella politica di propaganda per il regime.
LA DISPOSIZIONE DELLA CITTA'
La progettazione e la quasi totalità delle costruzioni di Torviscosa portano la firma
dell'architetto milanese Giuseppe De Min, parente e tecnico di fiducia di Marinotti, il quale
attraverso questo ambizioso incarico rinsaldò in maniera evidente i rapporti con l'azienda,
che si protrassero poi per un lungo periodo; De Min infatti rimase l'architetto di Marinotti
fin quando questi fu presidente della SNIA e si impegnò non soltanto a Torviscosa ma anche
a Varedo, Milano, Cesano, Maderno e dovunque ci fossero interessi della società o del
presidente di quest'ultima.
In merito a Torviscosa i progetti dell'architetto, dettati dall'urgenza e dalla ristrettezza dei
tempi, potrebbero apparirci quasi abbozzati poichè sono ridotti soltanto ad alcuni tratti
essenziali e fanno emergere alcune evidenti trascuratezze grafiche. Nella progettazione della
città, che era stata inizialmente concepita per ospitare circa 20.000 abitanti ma che in realtà
non ospitò mai un numero superiore a 1.500 persone, De Min mantenne la distribuzione
viaria principale di Torre di Zuino, composta da un asse viario simmetrico Est-Ovest (gli
attuali viale Roma e viale Marconi) sul quale si affacciano tuttora le settecentesche case
coloniche; così facendo delimitò uno spazio trapezoidale, una sorta di struttura scenica
anteposta alla fabbrica ed atta ad accogliere gli operai all'interno della città al termine della
giornata lavorativa. Questo spazio verde risulta delimitato ad est da un asse viario, che
supera perpendicolarmente la linea ferrata e prosegue verso Sud attraversando l'intero
tenimento agricolo; ad Ovest invece la strada, inarcandosi leggermente, si immette nello
spazio rettangolare della piazza. Anche le aree a Nord e a Sud che affiancano la parte
centrale sono rappresentate da due spazi trapezoidali, distinti però funzionalmente. La
zona a Sud è riservata alle abitazioni delle classi meno abbienti concepite secondo uno
schema ortogonale, scandito da vie parallele e angoli retti in linea con il modello del
paternalismo industriale; questi spazi sono attraversati centralmente da un asse viario che
da un lato termina nell'ingresso della piscina e dall'altro nell'osservatorio agricolo che si
trasformò successivamente in una mensa per operai. La zona a Nord invece attraversa
l'intera area dedicata allo svago, dotata di numerose attrezzature ricreative e sportive, e
culmina nell'esedra delimitata dal circolo impiegati e dal teatro-dopolavoro, antistanti la
fabbrica. Questa zona sportiva, che secondo una planimetria inedita del 1938
successivamente abbandonata, avrebbe dovuto essere correlata al complesso scuolapalestra, è fiancheggiata da una strada (l'attuale viale Villa) scandita lungo i lati da un
continuo inframezzarsi di pergolati, statue e vasi, sulla quale si trova la villa di Marinotti.
Quest'ultima, costruita attorno al 1951-1952 e posta al centro di un ampio parco ovale
delimitato da un viale perimetrale, è affiancata da ulteriori edifici un tempo adibiti a
laboratori per la lavorazione di ceramiche oppure utilizzati come sede di mostre ed è stata
poi venduta nel 2000, in seguito alla morte di Marinotti.
Possiamo notare dunque, alla luce di quanto detto, che anche Torviscosa rispecchia
chiaramente il modello illustrato da Garnier; è infatti evidente l'ordine geometrico nella
distribuzione delle strade, soprattutto nella parte relativa alle abitazioni operaie, e la
presenza dell'elemento naturale che delimita l'area nella quale si sviluppano gli edifici
pubblici organizzati attorno ad una piazza principale, da quella riservata agli edifici
fabbrica e alla produzione, che occupano invece tutta la zona Est della cittadina.
STILE ARCHITETTONICO
Per quanto concerne il modello artistico utilizzato nella costruzione degli edifici, come
accadde in altre città di fondazione anche a Torviscosa, seppur in misura minore, si cercò di
conciliare modernità e tradizione: non dobbiamo infatti pensare ad un unico stilema che si
ripropone costantemente in tutte le strutture bensì ad uno stile eclettico, caratterizzato dalla
mescolanza di diversi elementi.
La prima scelta progettuale viene ascritta a Marinotti, il quale, sposando la causa del
progettista non esplicitamente allineato alle maggioritarie tendenze razionaliste, intese
diffondere un'immagine di autarchia e localmente radicata autosufficienza, richiamando
elementi tipici della romanità, basandosi sul mantenimento dell'identità della zona e
facendo anche emergere lo stile architettonico della fabbrica e del paternalismo industriale
di fine Ottocento. Tuttavia in alcuni tratti, in particolare nello stabilimento, sono
evidentemente inseriti i nuovi elementi delle tendenze razionaliste.
L'EDILIZIA PUBBLICA
Illustrazione 3: Piazza centrale con municipio
L'unico edificio che rispecchia e rappresenta interamente lo stile architettonico appena sopra
citato è il municipio che è per l'appunto l'unico edificio pubblico della città costruito in
pietra; non a caso infatti esso rimanda al municipio di Sabaudia, definito "perla del
razionalismo" ed è caratterizzato da forme sobrie, semplici e prive di ornamenti, superfici
intonacate, zoccolature in pietra, archi a tutto sesto e semplici strutture rettangolari. Questo
complesso presenta due prospetti, uno rivolto ad est verso piazza del Popolo e dominato
dall'imponente torre civica e dai portici ad archi a tutto sesto del piano terra, mentre un
secondo, diretto ad ovest, è caratterizzato da un corpo centrale con timpano più elevato e
sporgente rispetto alle due ali laterali. Il municipio, assieme alla scuola, all'asilo, al mercato
e al complesso abitativo per gli impiegati costituiva il centro della città e andava a comporre
la piazza principale di Torviscosa.
Illustrazione 4: Palazzo del Ristoro
Altri edifici pubblici di notevole importanza per quanto concerne invece attività ricreative e
sportive sono collocati lungo il corso di Viale Villa, asse principale per il collegamento del
complesso industriale con tutto il resto della città che, pur essendo privo di una reale
funzionalità, risultava, data la sua scenografia urbanistica, un ingresso trionfale allo
stabilimento. Percorrendolo interamente dall'inizio, a partire dall'esedra prospicente la
fabbrica, troviamo ubicati il teatro e il ristoro. In entrambe le strutture sono ben visibili la
semplicità, il rigore geometrico ed il costante utilizzo del mattone rosso a vista, oltre
all'elemento del riquadro, atto in questo caso a movimentare le nude superfici murarie.
Per quanto concerne il teatro si tratta di un fabbricato ad un solo piano, contenente il salone
per lo spettacolo, adibito sia a teatro sia a cinema e dotato di 900 posti a sedere; l'interno
della sala era completamente intonacato ed impreziosito da decorazioni a tempera che, a
causa del degrado, attualmente risultano pressocchè distrutte. Il ristoro invece è costituito
da una parte basamentale al piano terra con spazi d'uso collettivo (ristorante, bar, locali di
direzione, circolo impiegati...), da cui si eleva, soltanto nella parte centrale, un piano
superiore con le camere per gli ospiti.
Illustrazione 5: Edificio del Teatro
Proseguendo il viale ricordiamo in particolare le piscine che, dopo alcuni anni di
abbandono, sono attualmente attive e funzionanti, i due campi da tennis in terra battuta e lo
stadio, realizzato solo successivamente per opera dell'ingegner Babighian e collocato al
termine del prolungamento del viale.
Questa grande quantità di spazi destinati allo sport ed alle attività ricreative, che appare del
tutto sovradimensionata rispetto al numero degli abitanti, sembra dunque rispecchiare
pienamente la volontà dell'azienda di organizzare la vita dell'operaio sia dentro sia fuori la
fabbrica. In questo contesto dobbiamo porre l'accento su un aspetto di fondamentale
importanza il quale , facendo ancora una volta riferimento ai rispettivi ruoli della SNIA e di
Mussolini, differenzia Torviscosa da tutte le altre città di fondazione. Bisogna infatti tener
presente che in questo caso tutte le attività dopolavoristiche che si configuravano nel teatro,
nel circolo impiegati e nel ristoro erano gestite dall'azienda e non dal partito fascista,
presente a Torviscosa soltanto nelle forme e nelle misure volute e dettate da Marinotti;
pertanto non è da considerarsi un caso che in questo villaggio non sia stata costruita la Casa
del Fascio.
Illustrazione 6: Palazzina adibita ad uffici in piazzale Marinotti
Un elemento che sembra invece esaltare gli ideali del fascismo è rappresentato da due statue
collocate di fronte alla palazzina adibita ad uffici nel piazzale Marinotti. Quella sulla
sinistra, intitolata "La continuità della stirpe nel lavoro" illustra un contadino che regge un
badile con accanto una donna e un bambino e simboleggia sia la dedizione al lavoro sia
l'impegno nella famiglia; l'altra invece, situata sulla destra ed intitolata "Sintesi di Forza,
Ragione e Fede", raffigura un cavallo rampante trattenuto da una figura maschile e rimanda
al lavoro in fabbrica.
Sempre in piazzale Marinotti ricordiamo la torre Marinotti, alta 17 metri e dotata di
pianerottoli laterali affacciati su parapetti che permettevano la vista sulla città a varie quote;
da non tralasciare il C.I.D., Centro Informazione Documentazione, che rappresenta ancora
oggi il centro culturale di Torviscosa. Esso venne progettato ed edificato attorno al 1961 1962
per opera dell'architetto Cesare Pea il quale, ripropose ancora una volta l'utilizzo dei
mattoni a vista, l'ampia finestratura a nastro e una fascia di rivestimento metallica che
coronava il fabbricato. Quest'ultimo è dotato di un ampio scantinato e di un piano rialzato
che risulta posto su due quote diverse e comprende l'ingresso principale, un gran corridioio,
la sala di proiezione, la sala conferenze ed altri spazi per usi diversi.
Lo stesso Cesare Pea si vide poi impegnato assieme allo scultore Romano Vio nella
costruzione di un grande blocco a forma di cubo, in marmo grigio di Verona, collocato
eccentricamente rispetto all'asse mediano del piazzale. Un lato del cubo è completamente
rivestito da un pannello in bassorilevo sul quale campeggia la figura di Marinotti mentre
tende la mano ad alcuni operai, gli altri tre lati ripotano invece le date della storia di
Torviscosa, oltre alla dicitura "Labor omnia vincit".
Infine, in tutt'altra collocazione troviamo la chiesa, di origine settecentesca, che appare
completamente decentrata rispetto al cuore della città; si tratta in questo caso di una scelta
prettamente ideologica in quanto si vuole evidenziare che la comunità religiosa non ha
contribuito in alcun modo alla fondazione del villaggio. A differenza di Torviscosa, in altre
città di fondazione ed in particolar modo in quelle sorte nell'Agro Pontino, possiamo notare
che la chiesa è centrale rispetto alla piazza e tale ubicazione, più che rifarsi alla tradizionale
piazza italiana, intende dare visibilità al riconoscimento concordatario che aveva posto
termine alla pluridecennale lacerazione tra Stato e Chiesa.
L'EDILIZIA PRIVATA
Anche l'edificazione delle strutture resindeziali, come degli edifici pubblici e dello
stabilimento, venne affidata all'architetto Giuseppe De Min, il quale in questo contesto
preferì mantenere l'identità della zona, ispirandosi ad una direttrice ideologica tipica del
Settecento ed effettuando degli interventi in continuità con le preesistenze del borgo.
Le strutture residenziali, nonostante siano tipologicamente differenziate a seconda del ruolo
lavorativo dell'assegnatario e facciano emergere una forte distinzione gerarchica sociale
anche rispetto alla loro posizione rispetto al centro, presentano degli elementi caratteristici
che le accomunano quali l'intonaco bianco, il mattone rosso come elemento decorativo, che
rimanda alle numerose fornaci di quei territori, e la scala esterna che collega i vari piani su
cui si sviluppano le abitazioni.
Le case dei funzionari,
due ville bifamiliari,
sono distribute su tre
piani, dotate di accessi
laterali indipendenti e
di un'unica scala che
collega internamente i
quattro piani su cui la
struttura si svillupa:
uno scantinato, un
livello rialzato con i
locali
della
zona
giorno, mentre il primo
e secondo piano adibiti
a camere e servizi.
Illustrazione 7: Villini dei dirigenti
Illustrazione 8: Fabbricato per impiegati
Le case degli impiegati, meno articolate rispetto a quelle dei dirigenti, sono invece composte
da due edifici in linea che delimitano i lati Nord e Sud della piazza del Popolo e
costituiscono il cuore della città; ogni fabbricato, costruito in mattoni e cemento, presenta
una struttura a due livelli in cui il piano terra è adibito a negozi, mentre il piano superiore
contiene dodici appartamenti accessibili tramite tre vani scala indipendenti. Queste
strutture, complesse nella forma e ricche di dettagli, sono caratterizzate dalle forti testate
d'angolo, connotate da colonne, balconi con coronamento e dall'uso decorativo del mattone,
materiale costoso e di difficile manutenzione a causa dell'umidità.
In aggiunta alle strutture descritte ricordiamo i due complessi abitativi dei tecnici; il primo
composto da tre edifici e ubicato tra Piazza del Popolo e Via Marconi, e il secondo costituito
da due strutture identiche a farfalla, disposte ai lati di Viale Villa. Entrambi i complessi,
realizzati in una fase successiva (tra il 1956 e il 1967) rispetto alla parte preponderante delle
strutture residanziali, dispongono di uno spazio abbastanza ampio, organizzato in una
cucina, una sala da pranzo e due bagni.
Proseguendo per scala sociale,
troviamo poi il complesso delle
abitazioni
popolari,
denominate anche "colombaie",
ripartito in dieci blocchi di case
a
schiera,
disposte
parallelamente a file di due.
Ogni unità abitativa può
disporsi su due livelli o su uno
soltanto; i corpi di fabbrica a
due piani, composti da cinque
o sei alloggi uguali eccetto che
quelli di testa in cui al piano
terra è ricavato un piccolo
alloggio
con
ingresso
posteriore, sono dotati di una
zona giorno con cucina, lavello
e soggiorno al piano terra
mentre al piano superiore due
camere da letto e un bagno che
dà su un piccolo terrazzo. A
differenza di questi appena
descritti, gli alloggi dotati di
un unico piano, serviti a due a
Illustrazione 9: Colombaie, prospetto a Nord
due da una scala, presentano
spazi molto più angusti e strutture architettoniche molto meno articolate e di gran lunga
semplificate. Possiamo poi notare che mentre i prospetti a Nord sono scanditi da sequenze
di archi che individuano gli ingressi con una porta ed una finestra ad oblò e presentano
inoltre piccoli terrazzi che accentuano il ritmo di alternanze tra pieni e vuoti, i prospetti a
Sud risultano caratterizzati da grandi arcate a doppia altezza che scandiscono il ritmo delle
aperture, sia del piano terra sia del piano superiore.
Passiamo ora ad illustrare le abitazioni degli operai, alle quali venne attribuito il nome di
"case gialle" in quanto, proprio l'intonaco di colore giallo, le distinse successivamente dalle
altre strutture abitative. Le case degli operai, a differenza delle cosiddette colombaie, che
pur essendo minime conservano una metratura meno ristretta, risultano ridotte
all'essenziale, sia per quanto concerne il numero dei vani sia in merito all'elemento
decorativo, rappresentato dal mattone a vista presente soltanto nei portali d'ingresso e nella
zoccolatura, a causa dell'elevato costo di questo materiale. Osservando il complesso
abitativo possiamo poi notare che le case gialle sono distanziate cosicchè si formino degli
spazi interni un tempo adibiti ad orti o aree verdi.
Non dobbiamo poi dimenticare il complesso per gli scapoli il quale, a differenza delle altre
strutture residenziali, non venne commissionato a De Min bensì all'ingegner Pietro
Babighian, che lo fece edificare nell'anno 1951; l'edificio è caratterizzato da una partitura
modulare, disposto su tre piani, dove il piano terra era destinato a negozi e ad altre attività
commerciali mentre i restanti erano occupati dagli alloggi. Questi ultimi consistono in
camere da letto, abbastanza ampie e dotate di un bagno, servite da locali cucina e pranzo
comuni; i diversi piani sono collegati tra loro da un largo vano scala, collocato centralmente
nell'intersezione tra le due ali del fabbricato.
EDILIZIA DELLA FABBRICA E DELLA PRODUZIONE
A Torviscosa l'intera realizzazione esecutiva dello stabilimento, impianto dominante che
costituiva il centro di tutte le attività del villaggio e ne dominava l'abitato, venne affidata
all'impresa Rizzani, una delle più importanti ed affermate della Regione, coadiuvata da
alcune ditte minori.
Per quanto concerne l'architettura della fabbrica e degli edifici atti alla produzione possiamo
notare che lo stile si discosta notevolmente da quello che caratterizza l'edilizia pubblica e
privata; in questo caso infatti il mattone rosso non rappresenta soltanto un elemento
decorativo ed un ornamento ma connota la struttura, ricoprendo intere pareti dell'impianto;
in aggiunta a ciò si cerca di conciliare criteri di funzionalità con concetti di simmetria e
rigore geometrico attraverso l'utilizzo di ponti di collegamento, del grande orologio e di
ampie finestrature a nastro dotate di serramenti in legno a maglia quadrata.
Illustrazione 10: Stabilimento per la produzione della cellulosa
Da non dimenticare innanzitutto il reparto per la cellulosa, un manufatto di grandi
dimensioni (600.000 mc di volume) all'interno del quale si svolgeva appunto tutto il ciclo di
lavorazione della canna gentile per la produzione della cellulosa. Esso è costituito da diversi
fabbricati formati da undici reparti che si succedeno in base all'ordine delle differenti fasi di
lavorazione e si sviluppano su un fronte doppio lungo circa un chilometro in modo
simmetrico rispetto ad un asse longitudinale cosicchè si venga a formare una scenografia
nella quale possano emergere gli edifici dei bollitori e l'alta torre.
L'intera struttura, dove prendevano posizione gli impianti di produzione ed i locali di
servizio (laboratori chimici, officine, magazzini, centrale termica...), termina con una
palazzina adibita agli uffici e alla portineria, anch'essi realizzati con mattone faccia a vista.
Quest'ultimo edificio , caratterizzato da una parte centrale che permette l'ingresso in
fabbrica, è tripartito da due colonne che sostengono la pensilina, mentre le ali laterali
risultano costituite da tre blocchi ad un piano, di cui quello centrale supera i due laterali in
altezza. L'edificio adibito invece agli uffici è composto di una parte centrale, distribuita su
tre piani e due ali simmetriche che si sviluppano su un solo livello sporgendo rispetto al
blocco centrale ed inglobando la scalinata principale di accesso; questa struttura è poi
caratterizzata dalla presenza di lesene e cornici a doppia altezza delle finestre che
conferiscono movimento alla severa facciata.
Illustrazione 11: Torri Littorie
Oltre a questo possente impianto non dobbiamo dimenticare altri edifici di ingente
importanza come ad esempio le due torri Jenssen, adibite alla produzione del bisolfito di
calcio; la prima di queste, situata a Nord venne realizzata nel 1938, la seconda invece nel
1940, durante le fasi del raddoppio dello stabilimento. Le due torri, rivestite completamente
in mattone rosso e collegate in corrispondenza dell'ultimo livello da un percorso
orizzontale, poggiano su un'unico basamento di forma rettangolare, mentre il possente fusto
con sezione circolare si eleva per un'altezza di circa di 54 metri. Accanto a queste si ergono
poi due corpi, uno di forma cilindrica in mattoni e dotato di una scala a chiocciola, il
secondo a forma di parallelepipedo in vetro-cemento, i quali contenevano entrambi il vano
montacarichi. Le due strutture vengono chiamate anche "Torri Littorie" in quanto sulla
sommità della torre Nord era stata posta una grande lama di ferro e vetro, che
simboleggiava il fascio littorio e che venne demolita dopo la caduta del regime fascista.
A completare l'insieme degli edifici per la produzione ricordiamo infine il reparto sodacloro costruito negli anni 1942/1943 che è ancora oggi attivo e funzionante per la produzione
di cloro, soda caustica, acido cloridico... Esso rispecchia dal punto di vista architettonico il
reparto adibito alla produzione della cellulosa ed è costituito da una serie di edifici disposti
in due aree distinte, sempre secondo criteri di funzionalità e simmetria. La zona
dell'ingresso, ad Est, era adibita ad uffici amministrativi e abitazioni per gli impiegati
mentre l'altra ospitava gli impianti per le differenti fasi della lavorazione.
L'AZIENDA AGRICOLA E LE AGENZIE
Anche nel caso di Torviscosa, come in quello di molte altre città di fondazione, è ben
evidente la natura duplice del progetto che unisce agricoltura e industria, ossia le materie
prime che venivano impiegate per la lavorazione all'interno della fabbrica erano in un primo
momento lavorate nei territori circostanti. Per permettere questo connubio la SAICI
organizzò l'azienda agricola in sei unità territoriali; queste ultime, chiamate "agenzie" e
collocate ognuna al centro di un vasto territorio da coltivare, erano concepite come un
insieme di edifici disposti a formare una vasta corte rettangolare. L'ingresso alla corte
avveniva tramite un porticato centrale, fiancheggiato da due semplici costruzioni
simmetriche destinate agli uffici, all'abitazione del dirigente e dei salariati agricoli. Il
prospetto principale proseguiva poi con un magazzino e con una piccola cappella per il
culto mentre gli altri lati erano occupati dalle rimesse dei macchinari agricoli, dalle scuderie
e da altri servizi. Accanto a queste agenzie venne per di più edificato un fabbricato destinato
ad accogliere gli operai avventizi durante i tre mesi di raccolta della canna, che richiedeva
un'ingente presenza di manodopera.
Illustrazione 12: Abitazione per i salariati agricoli presso Malisana
Per quanto concerne l'architettura delle abitazioni dei salariati agricoli, si tratta di una
struttura costituita da due piani collegati tra loro tramite una scala esterna, che permetteva
l'ingresso al piano superiore rendendo in questo modo autonomi i due moduli; ogni piano è
caratterizzato da un'ampia cucina disposta ad "L" e fiancheggiata da un corridoio che
serviva d'accesso a due spaziose camere da letto. Possiamo quindi notare che il modello
descritto presenta forti richiami all'architettura della campagna friulana come, per esempio,
il sovradimensionamento della cucina che, in origine, non rappresentava soltanto il luogo in
cui si mangiava ma era anche luogo di lavoro e vita sociale; a tal proposito ricordiamo infatti
che in Friulano per indicare il vano-cucina si ricorre al termine "cjase". Questa struttura
rispecchia inoltre l'intenzione dell'azienda di creare un ordine sociale basato sulla famiglia,
sulla stabilità della mano d'opera e sull'attaccamento di questa al datore di lavoro secondo
l'idea fascista del periodo che promuoveva le nascite per rendere grande l'Italia. In questo
contesto è fondamentale il ruolo della donna come madre, che oltre ad essere una casalinga
corretta ed ubbidiente nei confronti del marito, aveva il compito di fare molti figli.
STORIA DI TORVISCOSA DAL 1938 AD OGGI
In seguito all'inaugurazione del primo nucleo del villaggio, effettuata dall'allora capo del
governo Benito Mussolini, i lavori procedettero così celermente che già il 21 settembre 1940
si tenne l'inaugurazione del raddoppio dell'intera opera, alla presenza dell'allora Ministro
dell'Industria, Giuseppe Volpi. Il mese successivo al borgo di Torre di Zuino venne
attribuito il rango di Comune autonomo che, inglobando il territorio di Malisana, assunse il
nome di Torviscosa il 26 ottobre 1940.
Secondo i piani stabiliti, negli anni successivi si sarebbe dovuta terminare definitivamente la
realizzazione dell'intero progetto tuttavia, le vicende del secondo conflitto mondiale in cui
l'Italia si trovò coinvolta, non mancarono di far sentire le loro funeste conseguenze anche a
Torviscosa. Stando alle informazioni in nostro possesso, il complesso industriale SAICI, che
era stato dichiarato stabilimento ausiliario, era tenuto, secondo gli ordini pervenuti da
Milano, a salvare la fabbrica e a fornire protezione agli operai. In seguitò però si insediarono
a Torviscosa i comandi di due formazioni partigiane mentre a Palmanova risiedeva una
considerevole forza militare e di polizia tedesca. Questa circostanza estremamente
pericolosa spinse pertanto la SAICI a dirigire alcuni equilibrismi, tra controlli dell'autorità
militare, accordi segreti con gli uni e con gli altri e dichiarazioni fasulle da parte del
Comune al fine di giustificare la continuità nella produzione; in un primo momento questi
maneggi diretti dall'azienda SAICI bastarono per tutelare i lavoratori e mantenere lo
stabilimento attivo, benchè la produzione fosse di gran lunga superiore alle esigenze.
Successivamente invece si verificarono alcuni bombardamenti che danneggiarono in
maniera ingente i ponti, le strade e la ferrovia Venezia-Trieste; il 24 febbraio 1945 vennero
scaricate tre ondate di bombe sui fabbricati industriali, distruggendo così l'intero complesso
e riducendo tutto ad un ammasso di macerie. A questo punto l'azienda, per evitare che
venissero alla luce le operazioni effettuate e non dover giustificare un'ingente presenza di
operai in una fabbrica inattiva, con un comunicato del 16 marzo 1945 fece trasferire nelle
aziende agricole una parte degli operai, i quali avrebbero conservato l'anzianità di servizio
acquisita con diritto di precedenza nell'eventualità di ripresa lavorativa in fabbrica; la
società si impegnava per di più a prendersi carico della corresponsione degli assegni
familiari spettanti ai lavoratori dell'industria.
Dunque, i pochi fabbricati che non erano stati distrutti dai bombardamenti vennero
utilizzati dagli alleati come magazzini e depositi di munizioni. Frattanto, nonostante
numerosi reparti fossero stati largamente devastati e molte attrezzature di controllo andate
distrutte o necessitassero comunque di notevoli interventi di riparazione, non si cessò di
coltivare la canna gentile, che era cresciuta rigogliosa ed appariva pronta per essere
impiegata in fabbrica. D'altra parte, però, dobbiamo tener presente che il mercato della
cellulosa era diventato nuovamente libero e che la ricostruzione dell'intero stabilimento
avrebbe richiesto sacrifici enormi; in più Marinotti, che promuoveva la sistemazione del
complesso industriale, era fortemente contrastato da un gruppo di azionisti i quali invece
non si mostravano favorevoli alla ricostruzione. Nonostante ciò, Marinotti, che intanto
aveva abbandonato la carica di presidente, riassunse a breve la direzione della SNIA e
ripristinò gli impianti senza fruire di aiuti americani, nè di altre sovvenzioni.
Oltre alla sistemazione dei fabbricati esistenti, fece altresì edificare nuovi impianti;
ricordiamo in particolare la costruzione dell'impianto per la produzione di alcool da canna,
con una capacità produttiva di circa 100 ettolitri al giorno. Non dimentichiamo poi che nel
1948 vennero rinnovati gli impianti di pre-sbianca, nel 1949 venne invece costruito lo
stabilimento per la produzione di soda-cloro e derivati, che fu poi allargato nel 1952, nel
1957 attraverso l'installazione di un raddrizzatore e di nuovi collegamenti e ancora una
volta nel 1960 quando vennero sostituite le celle all'interno dell'impianto per portare la
capacità produttiva a 20000 tonnellate annue.
Vennero anche ampliati gli impianti per la produzione della cellulosa attraverso
installazioni di nuovi bollitori; si edificò per di più un nuovo fabbricato per la preparazione
del vegetale, altri impianti di epurazione della cellulosa e uno per la combustione della
pirite. Si aggiunse infine il silos nell'azienda agricola per la conservazione dei cereali e anche
un mangimificio.
Successivamente, tra il 1962 e il 1964, entrò in vigore il nuovo impianto per la produzione di
caprolattame da toluolo, materia prima per il nylon, venne avviato il nuovo impianto per la
produzione di pasta semichimica, un integrativo della cellulosa, e cessò definitivamente la
coltivazione della canna gentile che, a lungo andare, aveva impoverito e danneggiato il
suolo. Così, tra il 1975 e il 1978, la produzione si concentrò prevalentemente nel settore della
chimica, attraverso l'utilizzo di alcuni prodotti della linea del caprolattame e lo stabilimento
si riorganizzò in S.p.A. sotto il nome di Chimica del Friuli, la quale venne conferita
all'azienda Caffaro nel 1985. Successivamente, a causa dell'eccesso di offerta di cellulosa sul
mercato mondiale, con conseguente crollo dei prezzi di vendita, la Chimica del Friuli fu
costretta a far cessare definitivamente tale produzione, oltre a quella di paste chimiche e
semichimiche da legno. Nel 1995, a seguito del riassetto delle attività del raggruppamento,
la Chimica del Friuli cambiò denominazione diventando Industrie Chimiche Caffaro S.p.A.
ed incrementò ulteriormente l'attività nel settore della chimica fine e della chimica
specializzata, anche attraverso lo sviluppo e la realizzazione di nuovi impianti. Tra il 1999 e
il 2001 cessò l'attività produttiva del caprolattame e venne firmato un accordo con la casa
farmaceutica Bracco a cui la Caffaro fornisce cloruro di iodio. Nel 2008 la fabbrica fu poi
sequestrata a causa dell'inquinamento dovuto principalmente alle produzioni di cloro-soda
e derivati a cui seguirono diversi interventi di ottimizzazione degli impianti esistenti, con
particolare riguardo al miglioramento dell'impatto ambientale; oggi la Caffaro è
nuovamente funzionante ed attiva nel settore della chimica.
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE SULL'ESPERIENZA
L'esperienza di Torviscosa è stata arricchita con una visita al villaggio stesso che ci ha
permesso di verificare ed analizzare il tema in modo più diretto.
Da menzionare il C.I.D., Centro Informazione Documentazione che risulta essere oggi un
centro di fondamentale importanza grazie all'avviamento del progetto POR FESR, il quale
ha permesso non soltanto la ristrutturazione dell'edificio C.I.D. ma soprattutto la
salvaguardia della documentazione archivistica, che rappresenta la memoria storica dei
luoghi e costituisce pertanto la base per qualunque ricerca.
Grazie a questa struttura ci è stato in primo luogo possibile vedere la reale distribuzione
della città attraverso un plastico del 1960, raffigurante l'intero nucleo di Torviscosa nel quale
prendevano spazio lo stabilimento, la darsena e una delle sette agenzie in cui era suddivisa
la campagna circostante; ci è stato anche proposto, in chiave più generale, un breve excursus
in merito alla storia di altri nuclei di fondazione quali Littoria, Pomezia, Sabaudia, Aprilia,.. .
Una parte della mostra ha poi posto in rilievo attraverso manifesti, locandine, cartoline e
sculture la propaganda del regime, che si servì in primo luogo dell'illustrazione per
informare gli italiani in merito ai programmi politici.
In aggiunta a ciò abbiamo potuto osservare come pressochè tutte le strutture, comprese
quelle adibite alla produzione, si siano mantenute tali nel tempo; alcune risultano essere
tuttora attive e funzionanti, come gli edifici della fabbrica e alcune strutture abitative, altre,
quali le piscine e i centri sportivi, rappresentano ancora oggi un punto di ritrovo per
scolaresche e centri estivi, ed altre ancora, quali il teatro, che abbiamo comunque potuto
visitare grazie alla collaborazione del personale C.I.D, si trovano ora in uno stato di
completo degrado e necessitano di grandi lavori di ristrutturazione per poter essere
nuovamente funzionanti. A tal proposito menzioniamo una proposta di legge del 2014, ad
opera del deputato di Fratelli d'Italia Fabio Rampelli, con la quale si intende promuovere il
recupero e la valorizzazione delle città e dei nuclei di fondazione attraverso lo stanziamento
di fondi per il recupero, la salvaguardia ed il restauro dei beni architettonici, nonchè del
patrimonio edilizio esistente. Questa proposta di legge, atta a conservare memoria delle città
di fondazione, è in discussione alla Camera dei Deputati, attualmente affidata alla
commissione VII della Cultura in sede referente. Bisognerà attendere l'esito di questa
proposta visto l'immenso patrimonio culturale ed artistico di cui dispone il nostro Paese e la
scarsa disponibilità finanziaria del bilancio statale in questo momento di grave crisi
economica, tenuto conto, non da ultimo, del consenso che tale proposta di legge potrà
trovare nelle forze politiche attualmente in carica.
BIBLIOGRAFIA
per i contenuti:
www.treccani.it
www.primiditorviscosa
www.comune.torviscosa.ud.it
www.camera.it
Wikipedia
per le immagini:
www.sirpac-fvg.org/
www.comune.torviscosa.ud.it/