Introduzione
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Introduzione
Seminario 7. Capitali si nasce o si diventa? Introduzione di Franco Bianchini Le prime Capitali Europee della Cultura (CEC; in una prima fase “Città Europee della Cultura”), dal 1985 al 1989 (Atene, Firenze, Amsterdam, Berlino e Parigi) furono centri culturali già affermati. Il titolo di CEC non contribuì in maniera significativa a cambiare la loro immagine a livello nazionale e internazionale. La prima città a usare il titolo di CEC all’interno di una strategia di rigenerazione urbana, marketing territoriale e rilancio della propria immagine (dopo un periodo di deindustrializzazione e crescita della disoccupazione) fu Glasgow nel 1990. Glasgow aggiunse lo sviluppo economico locale e il marketing urbano agli obiettivi dell’iniziativa CEC, e riuscì a proporsi come destinazione per il turismo culturale e centro per produzioni artistiche innovative. Anversa nel 1993 utilizzò invece il programma CEC anche a fini di comunicazione civica, per ricordare ai cittadini e ai media locali il suo passato di città aperta e interculturale, nel contesto delle tensioni generate dal successo elettorale del Vlaams Blok, dopo una campagna contro la crescente immigrazione da paesi extracomunitari. Dagli anni ’90 in poi il collegamento tra programmazione culturale e marketing territoriale divenne un aspetto ‘canonico’ delle CEC, anche se vi furono differenze importanti dal punto di vista dell’investimento finanziario nella comunicazione e dei temi utilizzati. Per esempio, durante il periodo 1985-2004, il personale impiegato dalle CEC nel settore comunicazione oscillò da un minimo di una persona (nel caso di Avignone e Reykjavik, 2 delle 9 CEC del 2000) a 40 nel caso di Graz 2003. Vi fu anche una grande varietà di tematiche, che spaziarono dall’inclusione sociale e partecipazione dei cittadini (Copenhagen 1996, Stoccolma 1998, Helsinki 2000, Graz 2003, Liverpool 2008, Umea 2014 e San Sebastiano 2016, tra le altre), al rapporto tra cultura ed ecologia (soprattutto CEC nordiche come Copenhagen 1996, Stoccolma 1998 e Reykjavik 2000), al multiculturalismo (Rotterdam 2001, Lussemburgo 2007 e Stavanger 2008) e ai beni culturali (Copenhagen 1996 e Praga 2000, tra le altre). Le esperienze delle CEC riguardo alla costruzione e comunicazione delle immagini delle città sollevano alcune questioni che sarebbe interessante discutere: 1) gli attori coinvolti nell’evento CEC (il Comune, il governo nazionale, l’Unione Europea, la cittadinanza, i media locali, il settore culturale, le imprese) hanno spesso obiettivi e priorità diverse. Questo può portare a una mancanza di chiarezza nel messaggio comunicativo, in assenza di un cosciente sforzo comune. 2) La collaborazione tra il settore della cultura e quello del turismo non è sempre facile. Nel caso di Bruges 2002, per esempio, secondo gli operatori della CEC l’ente locale per la promozione turistica fu riluttante a usare immagini e temi tratti dalle espressioni culturali attuali della città, e tese a rafforzare un’immagine tradizionale, basata sul patrimonio artistico e architettonico. 3) La visione artistica complessiva viene spesso in qualche modo annacquata e indebolita dalle procedure di consultazione a livello locale e dalla necessità di coinvolgere il più alto numero possibile di artisti e operatori culturali che lavorano sul territorio. 4) Come sfruttare il carattere distintivo della città? Anzitutto, conosciamo veramente quali sono gli elementi di distinzione? Come far buon uso dei valori locali e delle tradizioni intellettuali creando sviluppo a partire da essi? Come affrontare argomenti tabù e aspetti negativi della reputazione della città (per esempio, il tema hitleriano nel caso di Linz 2009)? ciò che rende una città interessante e diversa dalle altre può essere minaccioso, deviante e trasgressivo. 5) Come si può resistere alle tentazioni mistificatrici di montature mediatiche? Spesso la comunicazione di una CEC utilizza rivendicazioni esagerate e controproducenti rispetto alla validità e alla portata dell’evento. E' meglio essere onesti e non creare aspettative non realistiche, indicando con chiarezza che il palinsesto ha un'intensità di eventi comparabile a quella di un festival solo in alcuni momenti dell'anno. 6) Come si può riuscire a mantenere viva l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica su un evento che, al contrario della maggior parte dei festival, dura ben 365 giorni? Si possono forse alternare momenti di intensa attività a momenti di ozio creativo, pausa, riflessione, contemplazione, riposo? 7) Quali sono le metodologie più efficaci per valutare l’impatto della CEC sull’immagine sia interna che esterna di una città? 8) Il marketing territoriale è importante, ma funziona ancora meglio se fa parte di una strategia culturale ed economica urbana di respiro internazionale (interessante, in questo senso, l’esempio di Lilla 2004). 9) Come valorizzare e comunicare la dimensione europea dell’evento CEC? 10) Come collegare la strategia di costruzione dell’immagine e di comunicazione a un progetto per la rivitalizzazione della sfera pubblica, e per lo sviluppo di nuove visioni del futuro della città?