Panorama, n.20, 31 ottobre 2014

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Panorama, n.20, 31 ottobre 2014
Interviste
Dossier
Letteratura
Mirko Štifanić:
«Dittatori
democratici, il male
oscuro della politica»
CI di Abbazia. Il
presidente Varljen:
«Siamo una
grande famiglia»
Scrittori e poeti
istriani, fiumani e
dalmati... all over
the world
D. Pirjavec-Rameša p. 8
A. Velikonja p. 24
C. Rotta p. 18
www.edit.hr
Anno LXII - N. 20 | 31 ottobre 2014 | Rivista quindicinale - kn 14,00 | EUR 1,89 - Spedizione in abbonamento postale a tariffa intera - Tassa pagata ISSN-0475-6401
Capire il passato per progettare
il presente e il domani
Dalla «Bancarella» emerge una nuova unione
tra le genti dell’Adriatico orientale
Istria Nobilissima:
uscita l’Antologia 2013
Presentato ad Abbazia, a Villa
Angiolina, il volume della XLVI
edizione del Concorso UI-UPT
sommario numero 20 | 31 ottobre
Una scuola da... lode
Inaugurazione solenne, lunedì 27 ottobre, del cortile interno che unisce la
Scuola media superiore italiana e l’Elementare “Dolac” di Fiume, sottoposto a
un intervento di rifacimento. Si conclude
così una delle ultime tappe del progetto
di restauro complessivo dell’edificio che fu inaugurato nel gennaio 1888, costruito per volontà dell’amministrazione Ciotta, su
progetto dell’architetto triestino Giacomo Zammattio.
Del resto, per la “Dolac”, soprattutto, l’anno scolastico 2014/2015 è
di quelli che faranno storia. All’inizio del mese, infatti, nell’ambito
della Giornata mondiale degli insegnanti, l’istituzione si è aggiudicata il premio quale miglior scuola della Regione litoraneo-montana. Il riconoscimento è stato consegnato alla direttrice, Nadia Poropat, dalla vicepresidente della Regione, Marina Medarić, nel corso di
una cerimonia svoltasi al Palazzo del Governo.
“Non è stato facile competere con tutte le scuole elementari, medie
3-6 | Primo piano. Amministrative in
Slovenia: l’uscita di scena dei vecchi leader
di Stefano Lusa
di Abbazia: una grande famiglia” Intervista
con il presidente Pietro Varljen
di Ardea Velikonja
8-12 | Interviste. Mirko Štifanić: “Dittatori
democratici, il male oscuro della politica”
di Diana Pirjavec-Rameša
29-31 | Territorio. Una Marunada senza
marroni - ISAP 2014: Antignana per un
giorno capitale del prosciutto
21 | Attualità. Il sindaco di Zagabria in
manette
28 | Società. Pirano: Europa Neu Denken Ripensare l’Europa
di Marino Vocci
34-35 | Made in Italy. “Casa Moderna”:
il nuovo modo di vivere la casa e l’abitare
14-16 | Eventi. Dalla “Bancarella” spunti e
idee per il futuro: Giorno del Ricordo anche
in Istria
di Ilaria Rocchi
17-20 | Etnia. Istriani, Fiumani, Dalmati
famosi all over the world
di Carla Rotta
21 | Italiani nel mondo. Sono quasi 4,5
milioni i connazionali all’estero
22-23 | Agenda. Ebola: continua l’allarme Rovigno e Cittanova campioni del turismo
a cura di Nerea Bulva
24-28 | Dossier. “Comunità degli Italiani
Redattore capo responsabile
Ilaria Rocchi
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Progetto grafico-tecnico
Sanjin Mačar
Redattore grafico-tecnico
Sanjin Mačar, Teo Superina
Collegio redazionale
Nerea Bulva
Diana Pirjavec Rameša
Ilaria Rocchi
Mario Simonovich
Ardea Velikonja
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superiori e gli asili della Regione. La concorrenza era spietata e comprendeva dieci istituzioni scolastiche. Abbiamo presentato la candidatura
puntando sui progetti avviati, primo tra i quali Comenius, ma anche altri,
molti dei quali vengono realizzati in collaborazione con le altre scuole
elementari della CNI. È stata considerata pure l’attività complessiva, che
è davvero molteplice, gli ex alunni della Dolac che sono diventati personaggi importanti, i riconoscimenti che la scuola ha ricevuto finora, il
contributo che ha dato a livello cittadino e regionale e tante altre cose
ancora. Abbiamo inviato un librone di 200 pagine e una video presentazione. Sono molto orgogliosa di questo riconoscimento, ma anche sicura che ce lo siamo meritati”, ha dichiarato alla “Voce del Popolo” una
raggiante e orgogliosa Nadia Poropat, che ha ritirato il riconoscimento
circondata da alunni e docenti.
Panorama
36-38 | Dal passato. Fame e tifo. L’anno
senza estate: 1817
di Rino Cigui
39-41 | La storia oggi. A Udine un
originale progetto didattico internazionale
per insegnare la tragedia europea
di Fulvio Salimbeni
42-47 | Teatro. Giovanni Battistia Storti:
note a margine della prima esperienza con il
Dramma Italiano
di Bruno Bontempo
REDAZIONE
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48-49 | Arte. Ivan Kožarić, l’indefinibile
di Erna Toncinich
50-51 | Cinema e dintorni. Le ultime ore
di Pasolini secondo Abel Ferrara
di Gianfranco Sodomaco
52-53 | Psicologia. False credenze sulla
psicologia criminale
di Denis Stefan
54-55 | Multimedia. Autunno di grandi
aggiornamenti per i prodotti Apple
a cura di Igor Kramarsich
56-57 | Floralia. Nel fiore del mandorlo
tesori inesauribili
di Daniela Mosena
58 | Scacchi. Il primo campione del mondo
non ufficiale: Paul Morphy
a cura di Sandro Damiani
59 | Passatempi. Cruciverba
di Pinocchio
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PANORAMA esce con il concorso finanziario della
Repubblica di Croazia e della Repubblica di Slovenia e viene
parzialmente distribuita in convenzione con il sostegno
del Governo italiano nell’ambito della collaborazione tra
Unione Italiana (Fiume-Capodistria) e l’Università Popolare
di Trieste
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Ente giornalistico-editoriale
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Zvonimirova 20A
primo piano
Amministrative in Slovenia Nei comuni costieri equilibri
confermati. Scheriani pigliatutto in casa CNI
L’uscita di scena
dei vecchi leader
di Stefano Lusa
L
e elezioni amministrative in Slovenia non hanno
cambiato gli equilibri nei
comuni costieri. Non ci
sono stati grandi vincitori e
nemmeno grandi sconfitti.
Boris Popovič si è riconfermato, al primo turno, sindaco di Capodistria, mentre i primi cittadini di Isola
e Pirano, Igor Kolenc e Peter Bossman,
hanno dovuto attendere il secondo turno
per avere la meglio rispettivamente su
Branko Simonovič del Desus e su Sebastjan Jeretič di “Slovenia per sempre”. Vittorie convincenti le loro, che avevano del
resto sfiorato l’elezione già al primo turno.
Netta affermazione, al primo turno, anche
di Gregor Strmčnik ad Ancarano. Il padre
del progetto che ha portato alla secessione del piccolo comune da Capodistria l’ha
spuntata su Gašpar Gašpar Mišič di “Slovenia per sempre”. L’immobiliarista, nonché
ex presidente dell’ente porto, era considerato, al pari di Jeretič, uno degli uomini di
Popovič.
fNaufraga un sogno
fPolemiche e accuse
Proprio il sindaco di Capodistria, con il suo
movimento “Slovenia per sempre” sembra
uscire ridimensionato da questa tornata
elettorale. La sua vittoria al primo turno,
del resto, è stata meno schiacciante del solito e il tentativo di estendere il suo influsso
al di là dei confini cittadini pare naufragato.
Sul piano generale va segnalata la confusione presente nel Partito di Miro Cerar,
recente vincitore delle elezioni politiche.
A Isola la compagine ha appoggiato entrambi che andavano al ballottaggio. Da
Lubiana è arrivato il supporto a Simonovič,
mentre la sezione locale ha dato il suo incondizionato sostegno a Kolenc.
In un crescendo grottesco i candidati si
sono accappigliati su chi avesse il reale
appoggio della compagine del premier.
Alla fine, sucitando una certa ilarità, entrambi hanno orgogliosamente ostentato
il simbolo del suo partito sui manifesti.
Vinctori e vinti, invece all’interno della
Comunità nazionale italiana. Il trionfatore
assoluto è stato Alberto Scheriani, presidente della Comunità autogestita costiera,
vicesindaco di Capodistria e prezioso collaboratore di Popovič. La sua lista ha conquistato tutti e nove i posti nella Comunità
autogestita comunale e ha traghettato in
consiglio comunale una figura nuova della vita minoritaria, il giornalista Damian
Fisher, che assieme a Scheriani e all’indipendente Mario Steffé rappresenteranno
la minoranza per il prossimo mandato. Esce
di scena, invece, Ondina Gregorich Diabaté,
che non aveva lesinato critiche all’indirizzo
del sindaco di Capodistria.
Una campagna elettorale dura, quella
che è andata in scena a Capodistria, senza
esclusione di colpi e di reciproche accuse,
con polemiche anche a livello istituzionale. Scheriani e Maurizio Tremul, presidente
della Giunta esecutiva di Unione Italiana, si
sono vivacemente confrontati sulla necessità di trovare un accordo che definisca il
ruolo di Can e Unione in Slovenia.
eeIl sindaco di Capodistria, Boris Popovič, riconfermato al primo turno, anche se con
il suo movimento, “Slovenia per sempre”,
sembra uscire ridimensionato da questa
tornata elettorale. Infatti, la sua vittoria è
stata meno schiacciante del solito; inoltre,
pare naufragatoil tentativo di estendere il
suo influsso al di là dei confini cittadini
fL’intesa c’è? Sì, no, ni
Per Scheriani l’intesa non c’è e va trovata;
per Tremul la faccenda, invece, è stata risolta già al momento della registrazione
dell’Unione in Slovenia. Tremul non ha
mancato di accusare Scheriani e la sua lista
Panorama
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L’ennesimo scontro isolano tra le due Comunità degli Italiani vede questa volta trionfare la
“Dante” sulla “Besenghi”. Un contenzioso che,
ad onor del vero, questa volta, più che su grosse questioni politiche è sembrato vertere sulla
gestione dei mazzi di chiavi che aprono e chiudono la porta di Palazzo Manzioli.
fLa sorpesa di Pirano
ccAlberto Scheriani
di aver tirato in ballo l’Unione in campagna
elettorale e Scheriani ha accusato Tremul di essere entrato nella sua veste istituzionale nella
campagna elettorale per le amministrative.
La polemica comunque non sembra aver fatto
male a Scheriani e alla sua lista, che non è stata minimamente scalfita dalle critiche dei suoi
avversari che hanno tirato in ballo argomenti
molto simili a quelli tirati in ballo, nello scorso
mandato, dall’opposizione contro la leadership
di Unione italiana.
fDante batte Besenghi
Il grande sconfitto di queste elezioni, invece, è
Silvano Sau. Il vecchio leader della minoranza,
che nelle precedenti tornate elettorali aveva
fatto sempre il pieno di voti, questa volta resta
fuori dal Consiglio comunale di Isola, e non ce
l’ha fatta nemmeno a entrare nella Comunità
autogestita comunale.
A Pirano la vera sorpresa è stata l’esclusione
dal Consiglio comunale di Luciano Monica,
che da anni rappresentava un punto fermo
per la minoranza. A sconfiggerlo, per un solo
voto, Daniela Sorgo. L’ex conduttrice di Radio
Capodistria, attivissima negli ultimi anni in Comunità, dove spesso si esibisce con il gruppo di
rievocazione storica vestita da veneziana, entra in consiglio comunale con Manuela Rojec presidente della Comunità e sempre più leader
della minoranza piranese – e con Bruno Fonda,
vicesindaco uscente e unico fra i tre ad avere
esperienza in Consiglio comunale. Campagna
elettorale praticamente senza polemiche ed
anche senza novità rispetto ai discorsi già sentiti in passato.
Unico strascico degno di nota il ricorso presentato da Luciano Monica, respinto dalla
Commissione elettorale, per il fatto che un suo
sostenitore, al momento del voto, non si è trovato iscritto nell’elenco elettorale particolare.
fAncarano si stacca
ma unisce i leader
della minoranza
Sugli elenchi elettorali si sta polemizzato parecchio soprattutto ad Ancarano, dove alcuni elettori non hanno potuto iscriversi alle liste il giorno
del voto. I ricorsi alla commissione elettorale
particolare sono stati respinti, ma pare che del-
Comunità Autogestite della Nazionalità Italiana: rinnovata la fiducia ad Alberto Scheriani, che rimane a capo
della CAN costiera, mentre Fulvio Richter si riconferma
alle redini di quella capodistriana, rispettivamente Nadia Zigante di quella piranese. È a Isola che si registra
la novità, dove le chiavi di Palazzo Manziol passano a
Marko Gregorič – il quale subentra ad Astrid Del Ben,
che le ha rette nel precedente mandato –, ma soprattutto è Ancarano ad essere sotto i riflettori, con l’esordio di Linda Rotter, prima presidente della CAN della
località, una realtà ancora in fase di organizzazione.
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Panorama
la questione ora si occuperanno i tribunali. Nel
piccolo Comune la sparuta comunità italiana si è
comportata come gli altri cittadini: si è schierata
apertamente con i due candidati sindaco.
A vincere nettamente è stata quella parte che
supportava Gregor Strmčnik e quindi il distacco
da Capodistria della nuova municipalità; una
posizione questa osteggiata, invece, da tutte le
istituzioni della CNI, preoccupate dall’esiguità
della minoranza e dall’assenza di forme organizzate della comunità italiana nel nuovo comune.
fElenchi elettorali
e «purezza etnica»
In ogni modo quello che è risultato evidente da
questa tornata elettorale è che non c’è alcuna
uniformità sulla questione degli elenchi elettorali. A Capodistria i connazionali hanno potuto iscriversi anche il giorno del voto e votare,
mentre ad Ancarano ciò non è stato possibile.
A Isola un’apposita commissione verificava “l’italianità” di quelli che volevano iscriversi agli
elenchi; a Pirano, invece, l’iscrizione era teoricamente possibile, ma tecnicamente impossibile visto che i nuovi iscritti sarebbero dovuti
passare al vaglio di una apposita commissione,
che non è ancora stata istituita. Sta di fatto che
la questione dell’iscrizione agli elenchi elettorali si trascina da tempo e non è ancora stata
seriemente affrontata.
A Isola, da anni, la “purezza” etnica dei nuovi
iscritti viene verificata. La pratica non è un’invenzione locale, ma era stata ventilata anni addietro
in una delle sentenza della Conte costituzionale
che riguardava gli elenchi particolari minoritari,
ed è stata fatta propria dagli isolani. Ora persino
la nuova legge sugli elenchi elettorali dice che
bisogna farlo.
Dopo qualche timida protesta, a questo punto,
tutti sembrano pronti ad adeguarsi (sic!).
PRESIDENZA DELLE CAN
Isola, fiducia a Marko
Gregorič; a Pirano
resta Nadia Zigante,
e a Capodistria
Fulvio Richter.
Ancarano, esordio
di Linda Rotter
primo piano
Al Senato della Repubblica Italiana (sala dell’Istituto Santa Maria
d’Aquino) il volume dei verbali del Consiglio Nazionale Italiano della città
Fiume tra il 1918 e il 1920
biennio tormentato, epico
“I
l Consiglio Nazionale Italiano di Fiume, radunatosi quest’oggi in seduta
plenaria, dichiara che in forza di quel
diritto, per cui tutti i popoli sono sorti a indipendenza nazionale e libertà, la città di Fiume, la quale finora era un corpo
separato costituente un comune nazionale italiano, pretende anche per sé il diritto d’autogestione delle genti. “Nihil de nobis sine nobis”,
nulla sarà fatto senza di noi! Basandosi sul diritto all’autodeterminazione dei popoli, lanciato nel bel mezzo della Prima guerra mondiale
dal presidente statunitense Thomas Woodrow
Wilson, si sancisce l’unione di Fiume alla sua
madrepatria, l’Italia. “Il Consiglio Nazionale
Italiano considera come provvisorio lo stato di
cose subentrato addì 29 ottobre 1918, mette il
daciso sotto la protezione dell’America, madre
di libertà e della democrazia universale, e ne
attende la sanzione dal congresso della pace”,
scrive nel proclama firmato Comitato direttivo
del Consiglio Nazionale Italiano. È il 30 ottobre
26 aprile 1915
1918, anche se la data in calce al documento
riporta erroneamente –per la fretta – quella
del 30 settembre.
A 96 anni da questo storico proclama, che
esprime chiaramente quello che era l’anelito
del popolo fiumano dell’epoca, e a novant’anni
dall’annessione della città al Regno sabaudo (a
seguito del Trattato di Roma, siglato il 27 gennaio 1924), approda negli ambienti del Senato
della Repubblica Italiana – nella sala dell’Istituto Santa Maria in Aquiro – il volume “I Verbali del Consiglio Nazionale Italiano di Fiume
(1918-1920)”, pubblicato dalla Società di Studi
Fiumani. Un’iniziativa di grande significato,
che oltre a fornire agli studiosi un’ulteriore,
preziosa fonte per ulteriori indagini di approfondimento sulla questione fiumana, riporta al
centro dell’attenzione delle autorità italiane la
complessa e tormentata, ma per certi aspetti
quasi epica vicenda del capoluogo quarnerino.
E lo fa tramite quest’opera che pone in luce
l’importanza dell’operato dei governi autocto-
24 ottobre 1918
ni fiumani nei primi anni burrascosi che fecero
seguito alla Grande guerra. Con i saluti dell’on.
Aldo Di Biagio, moderato dal dott Marino Micich, direttore del Museo Archivio Storico di
Fiume e segretario generale della Società di
Studi Fiumani a Roma, l’incontro ha coinvolto
Amleto Ballarini, presidente della medesima,
con un inquandramento storico su Fiume, il
prof. Giuseppe Parlato (Università degli Studi
Internazionali di Roma), su “L’importanza economica e strategica del porto di Fiume”, il prof.
Giovanni Stelli (direttore editoriale di “Fiume”,
Rivista di studi adriatici) su “La Giovine Fiume
per l’Italia”, il prof. Augusto Sinagra (Università
degli Studi Internazionali di Roma) su “Il Consiglio Nazionale Italiano di Fiume sul piano internazionale” e del curatore del volume, il dott.
Danilo Massagrande, su “I Verbali del Consiglio
Nazionale Italiano: questioni archivistiche e
filologiche”.
I verbali pubblicati sono la preziosa testimonianza dell’attività del Consiglio nazionale
29 ottobre 1918
Patto di Londra
Scontri finali
Il Consiglio nazionale italiano
Accordo segreto
con la Triplice Intesa.
L’Italia si impegna a
scendere in guerra
contro gli Imperi
Centrali in cambio di
compensi sottoforma di territori.
Tra questi l’Istria (compresa Volosca),
Cherso e Lussino, le piccole isole del
Quarnero, la Dalmazia settentrionale
con le città di Zara, Sebenico e Tenin.
Fiume è esclusa
Inizia la battaglia di Vittorio
Veneto, che il 3 novembre porterà alla
sconfitta definitiva dell’Impero austroungarico. L’Italia è tra i vincitori
Dalle 13 sulla torre civica di Fiume sventola il tricolore
italiano. Nel salone della Filarmonica si insedia il Consiglio
nazionale italiano di Fiume, presieduto da Antonio Grossich, e
si richiama al diritto all’autodecisione dei popoli
28 ottobre 1918
Finisce il periodo
ungherese
In serata l’ultimo governatore ungherese di Fiume, Zoltán Jekelfalussy
de Jekel- és Margitfalva, comunica al podestà Antonio Vio che Budapest ha
deciso l’abbandono della città ai Croati. Si mette in moto il Comitato nazionale croato rappresentato da Riccardo Lenac (in seguito conte supremo)
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italiano, del suo organo di governo, il Comitato
Direttivo, e dei loro successori. Per quanto riguarda il Consiglio Nazionale, il primo verbale
della raccolta è quello relativo alla prima seduta del primo CNI, tenutasi il 23 novembre 1918,
l’ultimo quello relativo alla seduta del secondo
Consiglio Nazionale, del 31 marzo 1920; per
quanto riguarda il Comitato Direttivo, il primo
è quello relativo alla prima riunione del primo
Comitato Direttivo tenutasi il 21 novembre
1918, l’ultimo è quello relativo all’ultima seduta del secondo Comitato Direttivo tenutasi il 21
settembre 1920.
carica il 5 gennaio 1921 e cadde il 27 aprile di
quello stesso anno, ossia dopo le elezioni per
l’Assemblea Costituente del nuovo Stato, da cui
uscì vincitore il Partito Autonomista di Riccardo
Zanella. Quando la città passò alla sovranità
italiana a seguito dell’Accordo di Roma, fu proprio Grossich a consegnare simbolicamente le
chiavi di Fiume al re d’Italia nel giorno della sua
visita per ufficializzarne l’annessione. Nel 1923
venne nominato senatore del Regno d’Italia.
Più che opportuna, quindi, la sede prescelta
per parlare del periodo che lo ha visto protagonista e che riemerge dagli atti del CNI.
fL’impronta di Grossich
fSforzi di sopravvivenza
I verbali delle sedute del Consiglio nazionale
italiano di Fiume e del suo Comitato Direttivo
sono custoditi dal 1965, in unica copia, presso
la Biblioteca della Società di Studi Fiumani –
Archivio Museo di Fiume a Roma. Le raccolte, ci
spiega Marino Micich, sono state conservate da
Arturo Chiopris, esule fiumano, allora segretario
del Consiglio nazionale italiano di Fiume. Diversi
portano firme autentiche di Antonio Grossich
(Draguccio, 7 giugno 1849 - Fiume, 1.mo ottobre
1926), che presiedette l’organismo.
Politico, medico salito alla ribalta nel 1908 ideò
la tintura di iodio come sterilizzazione rapida
per uso esterno (oltre ad essere già stato probabilmente il primo a praticare la sterilizzazione della sala operatoria), fu anche consigliere
e poi vicepresidente del Consiglio comunale
di Fiume ai tempi del corpus separatum, e per
questa sua carica, nella prima fase della Prima
guerra mondiale, fu confinato per un certo
30 ottobre
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periodo in Austria, come numerosi altri italiani della Venezia Giulia. Resse il CNI dalla sua
costituituzione, il 29 ottobre 1918 – per amministrare l’autonomia cittadina preesistente
e gestire l’annessione al Regno d’Italia –, al
suo scioglimento, l’8 settembre 1920, all’atto
di proclamazione della Reggenza italiana del
Carnaro. Caduta alla fine del dicembre 1920
la Reggenza Italiana del Carnaro, il Consiglio
nazionale – in funzione di Rappresentanza
municipale a norma della Carta del Carnaro
–, riassunse il 31 dicembre i poteri statali e li
mantenne fino al 27 aprile 1921. Invece il Comitato Direttivo, sciolto e sostituito, due giorni
dopo le sue dimissioni, dal Governo provvisorio
con principale attore Gabriele d’Annunzio, in
quanto tale non risorse invece più; in sua vece
fu costituito un Governo provvisorio, presieduto ancora da Antonio Grossich, che entrò in
novembre 1918-settembre 1919
Come scrive nell’introduzione Danilo L. Massagrande, questi protocolli sono uno strumento
di notevole importanza perché testimoniano
quella storia economica, sociale e amministrativa che non sempre e non del tutto è stata
presa in considerazione da chi si è occupato
di quel particolare momento della vicenda di
Fiume. Salta all’evidenza la necessità di assicurare il funzionamento ordinario di un vivere
civile, con tutti i problemi annessi e connessi:
questioni amministrative e giuridiche, mantenimento dell’ordine pubblico, personale degli
enti pubblici, difficile situazione economica e
sociale, moeta circolante, regolamentazione
del commercio grande e piccolo, disoccuapazione, crisi delle attività industriali cittadine,
risistemazione e utilizzo di edifici pubblici,
riordino delle scuole, creazione di una diocesi
indipendente...
“Questi documenti ci mostrano infatti, non
12 settembre 1919
Il plebiscito
Armi e diplomazia
L’impresa dannunziana
Zoltan Jekelfalussy
lascia Fiume e Konstantin
Rojčević, commissario del
Consiglio Nazionale degli
Sloveni, Croati e Serbi, di
Zagabria, dichiara di assumere i poteri a Fiume. Fiume
ricade, per la prima volta dopo il 1867, in mano dei
Croati. Ma il Consiglio nazionale italiano proclama
all’unanimità l’annessione “alla sua madrepatria l’Italia”, s’insedia presso il municipio, assume l’amministrazione e il governo della città mantenendo distinte
le due amministrazioni, la comunale e la statale, in
attesa della risoluzione della questione fiumana
Arriva la Marina italiana. Ad
assumere il controllo è il gen. Enrico
Asinari di San Marzano. Giovanni
Host-Venturi issa il tricolore italiano
sul palazzo del Governo. Seguono
scontri e l’occupazione interalleata
(novembre 1918-settembre 1919)
di Fiume. Nel gennaio 1919 si apre
la Conferenza di Pace di Parigi.
,L’Italia non riesce ad affermare i suoi
interessi. Il presidente Usa, Thomas
Woodrow Wilson, afferma: “Fiume
e la Dalmazia non saranno italiane”
I Granatieri di Sardegna, usciti da Fiume il
25 agosto 1919, invocano l’azione di Gabriele
d’Annunzio. Vittorio Emanuele Pittaluga assume
ufficialmente il comando delle truppe a presidio
di Fiume. D’Annunzio, partendo da Ronchi, entra
nel capoluogo
quarnerino il 12
settembre alla
testa di circa 2.500
uomini. Il popolo
lo acclama come
liberatore. Fiume è
italiana
Panorama
primo piano
che altro, i multiformi aspetti della quotidiana
attività che il reggere la città necessariamente
esigeva, e costruita non solo di nobili parole ed
iniziative, ma di concreta azione, di ogni giorno, per consentire a Fiume ed ai Fiumani almeno di sopravvivere in una realtà tanto diversa
rispetto a quella del Corpus separatum della
Corona ungarica che ci si era appena lasciati
alle spalle”, rileva il curatore.
fIl fiumano autentico
Inoltre, questo materiale finora poco noto, ci
mostra “gli autentici cittadini fiumani agire
da protagonisti veri delle loro vicende, quali
essi in realtà furono, e ce li mostrano a tutto
tondo, in quanto i Verbali sono, tra l’altro, un
impareggiabile contributo alla conoscenza del
modo d’essere e di pensare (e dell’evoluzione
nel tempo di tale modo) di praticamente tutti
i responsabili fiumani, prima – ma soprattutto dopo –, la venuta di d’Annunzio a Fiume: e
questa storia appare, come deve essere ed è,
calata nella realtà viva della città, in cui essi
vissero ed operarono”, scrive Massagrande.
“Invero, nei Verbali i grandi temi politici e patriottici son ben presenti ed identificabili, così
come la dinamica dei contrasti tra le diverse
visioni che si affrontavano, dopo un brevissimo
momento di generale embrassons-nous, per la
soluzione del problema di Fiume, tra i politici
italiani in città; i Verbali sono dunque la testimonianza viva e presente delle discussioni,
dei contrasti, delle assonanze e dissonanze tra
i politici fiumani sin dai primi giorni (si pensi
al ruolo di Zanella, esaltato all’inizio, quindi vi-
20 settembre 1919
Pieni poteri
Il dott. Antonio Grossich, a
nome del Consiglio Nazionale di
Fiume, consegna i pieni poteri a
Gabriele d’Annunzio. La sua prima
ordinanza conferma in carica il
Consiglio Nazionale e ne definisce
le attribuzioni
ccFolla in festa per la proclamazione dell’annessione all’Italia, con il plebiscito del 30 ottobre 1918
tuperato, e sin perseguitato poi con i principali
suoi seguaci) e, dopo l’avvento di d’Annunzio,
principalmente dei mai facili rapporti tra il Comando e la più gran parte del mondo politico
fiumano, anche di moltissimi tra gli annessionisti stessi”.
Fermo restando che la natura dei problemi,
per così dire, di ordinaria amministrazione,
non cambiò di molto tra i mesi precedenti la
venuta di d’Annunzio e quelli successivi (con
l’unica differenza che, dice Massagrande, dopo
l’avvento del Comandante, anche le cose più
semplici parvero complicarsi, per l’ingerenza
del Comando che andava facendosi in tutte le
questioni, dalle rilevanti sino alle più minute,
a mano a mano sempre più grave), sta il fatto
12 agosto 1920
Il nuovo Stato
Al teatro Fenice, Gabriele d’Annunzio annuncia la fondazione della
Reggenza Italiana del Carnaro
8 settembre 1920
La Costituzione
È proclamata la Reggenza e
promulgata la Costituzione, la Carta
del Carnaro, accettata per acclamazione dal popolo adunato nella
piazza del palazzo del Governatore
che nel periodo dal novembre del 1918 al 12
settembre 1919, per gli uomini che governavano Fiume il problema politico fondamentale – o che, almeno, come tale era percepito
– era quello legato alla malcerta situazione
internazionale, materiato come era da un lato
dalla debolezza e dall’irresolutezza dell’Italia,
dall’altro dall’inframettenza e dalla dichiarata
ostilità delle grandi Potenze. “Fiume voleva la
tante volte da sé proclamata annessione all’Italia, l’Italia del presidente della Vittoria certo
la voleva, ma non sapeva procurarsi gli strumenti necessari ad ottenerla, quella di Nitti
poco la voleva e certo non molto poteva, mentre gli alleati non intendevano neppur sentirne”, conclude il curatore.
I. R.
12 novembre 1920
Il plebiscito
Giovanni Giolitti conclude infatti con il Regno dei Serbi,
Croati e Sloveni il Trattato di Rapallo: Zara è annessa all’Italia,
mentre Fiume, privata di Porto Baross e del Delta, costituirà
uno stato autonomo, lo Stato Libero di Fiume. D’Annunzio
non accetta, seguono scontri armati
dicembre 1920
Epilogo di un’epoca
Dopo il “Natale di sangue”, il 31 dicembre ad Abbazia i
delegati di Fiume e il generale Carlo Ferrario firmano l’accordo
che mette fine alla Reggenza Italiana del Carnaro
Panorama
7
di Diana Pirjavec Rameša
I
l prof. Mirko Štifanić, sociologo e docente universitario
vive tra Fiume e l’Istria. Nel
suo recente libro “Dittatori
democratici. Signori dell’odio, delle divisioni e della crisi” edito da Redak/Spalato, ha analizzato
l’aspetto problematico dell’attuale
classe politica croata, cercando di
capire il perché del mancato funzionamento della democrazia rappresentativa in un Paese che nei
primi anni Novanta, uscendo da
un sistema politico monopartitico,
ha scelto con fermezza la via della democrazia. Poi, con il passare
del tempo, i sogni di democrazia
si sono infranti. Si vive male, ci si
imbatte quotidianamente in casi di
8
Panorama
GRAZIELLA TATALOVIĆ
I referendum
sono in questo
momento l’unica
valvola di sfogo
che permette
ai cittadini di
manifestare il
proprio dissenso
nei confronti
dei politici e dei
partiti. E di far
sapere al Governo
e al Parlamento
quale sia la loro
posizione sulle
questioni di grande
attualità che la
società affronta
interviste
Dittatori
democratici
il male oscuro
della politica
corruzione, cattivo funzionamento
del servizio pubblico, ma soprattutto, giorno dopo giorno, svanisce la
fiducia nella classe politica che guida il Paese.
di compiere quell’antipatico gesto
che è il lavaggio del cervello ai cittadini. I politici croati non fanno che
alimentare spaccature e conflitti invece di risolvere i problemi”.
Come potrebbe essere descritta la
situazione in cui si trova la società croata venticinque anni dopo
l’introduzione di un sistema parlamentare pluripartitico, quello
instaurato a seguito della proclamazione dell’indipendenza. In
che cosa hanno sperato i cittadini
croati agli inizi degli anni Novanta e con quali problemi si devono
misurare oggi ?
fMinoranze a rischio?
“Il modello di democrazia rappresentativa è stato praticamente sottratto ai cittadini e la società è stata
scaraventata in un contesto di profonda crisi e di situazioni paradossali che l’uomo comune, l’elettore,
che aveva riposto numerose speranze nei cambiamenti politici d’inizio
anni ’90, non ha di certo preventivato. I politici non vogliono rinunciare ai propri privilegi e, giorno
dopo giorno, dimostrano incapacità e disfunzionalità. In 25 anni il
PIL in Croazia è riuscito a crescere
solo del 7,9 p.c., mentre in Polonia,
per citare un esempio, è raddoppiato. Un grande problema nel nostro
Paese è rappresentato dai conflitti
su base ideologica, strumento grazie al quale i politici deformano sia
il passato che il presente, cercando
“Se continueremo di questo passo
rischiamo di dover fare i conti con
un sistema politico di palese dittatura democratica, che non si differenzia di molto da un sistema nondemocratico. I gruppi etnici, ovvero
le minoranze, potrebbero essere le
prime vittime di questa nuova e pericolosa situazione. In Croazia esiste
un grande gap tra le classi sociali.
Abbiamo qualche centinaio di miliardari e un grande numero di disoccupati (300 mila circa, ndr). Il
numero dei senzatetto aumenta. Si
rischia di avere così un gruppo sociale estremamente marginalizzato.
Crescono pure i pignoramenti e le
espropriazioni forzate. E anche lo
Stato potrebbe vedersi sottratti i suoi
beni, considerati i debiti. Si ingrossano le file dei cittadini che vorrebbero
voltare le spalle a questo sistema in
cui non vivono bene. Inoltre, la paura del futuro è sempre più pressante.
Le ragioni di tutto ciò vanno ricercate nella percezione che l’uomo
comune ha del politico croato, reputato quale personificazione dell’odio
diffuso attraverso la comunicazione,
le etichettature, il disprezzo e il man-
cato rispetto dei cittadini che hanno
una propria dignità da difendere.
Senza ombra di dubbio, se vogliamo
uscire da questa situazione dobbiamo realizzare importanti cambiamenti. Dobbiamo approvare una
nuova Costituzione, una nuova
legge elettorale..., ma ciò non deve
essere il risultato di un gesto voluto
e compiuto dalla destra o dalla sinistra, ma piuttosto il frutto del lavoro di esperti indipendenti e del loro
impegno sinergico con i cittadini e
le loro associazioni. Una nuova Costituzione dovrebbe essere accettabile a tutti e tener conto in particolar
modo dei diritti delle minoranze”.
fUna casta... feudale
Perché tanta diffidenza nei confronti dei partiti?
“Per il semplice fatto che solo uno
su dieci elettori si fida dei politici o
dei partiti che questi rappresentano.
Inoltre, la disaffezione nei confronti
di istituzioni come il Governo o il
Parlamento è pure considerevole”.
Nel libro lei sostiene che i politici
si servono del proprio mandato
per mantenere il potere... non certo per trovare il modo di superare
l’attuale crisi. Può spiegare il concetto?
“In questi venti e passa anni di ‘democrazia’ e lo dico tra virgolette, ci
è cresciuta davanti agli occhi una
casta di politici con privilegi di tipo
feudale. Sono riusciti a dividere letteralmente la società, e si mantengono il potere perché riescono ad
assicurarsi una copertura ‘legale’
per privilegi che non meritano. Tutto ciò irrita il cittadino, anche quello più paziente. Da questo atteggiamento si capisce che la missione
che i politici sono dati non riguarda
il superamento della crisi, bensì il
mantenimento al potere. Sebbene i croati, ovvero i cittadini della
Croazia, vivano in una situazione di profondo disagio, numerosi
sull’orlo della povertà, nulla impePanorama
9
interviste
«Bisogna girar le spalle a ques
Che cosa significa dichiararsi oggi in Crozia quale appartenente alla sinistra ,ovvero alla destra? Ci sono delle sostanziali differenze tra queste due opzioni?
“Un modello di democrazia svilito permette, sia alle forze
di destra che a quelle di sinistra, di continuare a vendere
fumo e non, come ci si aspetta, di risolvere i problemi dei
cittadini. I politici dell’area di destra e quelli di sinistra
sono in realtà delle anime gemelle. Quello che si riscontra negli uni è presente pure nel modo di fare degli altri:
corruzione, clientelismo... Quello che poi non riusciamo
a riscontrare negli uni non lo troviamo nemmeno tra gli
altri, come per esempio il prendere in considerazione il
parere degli esperti e il rispetto del pluralismo delle elités.
Nè gli uni né gli altri sono ben disposti nei confronti delle richieste di referendum che gli arrivano dai cittadini.
Chi entra in politica, sia si tratti di un economista, di un
disce ai politici di rinnovare il loro
parco macchine, acquistandone a
centinaia di nuove, acquistando,
ristrutturando o affittando nuovi e
lussuosi uffici, con servizi inclusi.
Per non parlare del Ministero della
sanità che per mettere a posto un
vano ha speso oltre un milione di
kune con una spiegazione oltremodo buffa... mentre i medici sono costretti a prescrivere ai pazienti con
il cancro non il farmaco più efficace bensì quello meno costoso. Per
non parlare del fatto che nelle liste
d’attesa degli ospedali i nominativi
dei politici non figurano. Loro sono
‘rispettabili’, pur essendo la causa di
molti dei nostri mali. Ma ci rendiamo conto dove siamo finiti?”
La crisi in alcune situazioni è stata
un’occasione di una svolta. In Croazia non si è mosso nulla. Secondo
lei esistono in questo momento i
presupposti affinché la società civile si metta in moto, riesca a smuovere quella massa critica che precede tutti i grandi cambiamenti?
Si ha l’impressione che i cittadini
siano sempre più scoraggiati, vivano cioè nella convinzione che nulla
possa essere cambiato...
10
Panorama
“La crisi incoraggia la classe politica e permette di servirsene per diffondere odio e spaccature all’interno di un tessuto sociale già lacerato
e diviso. Scoraggia i cittadini che al
sentir parlare di politica girano la
testa e non si rendono conto di fare
con ciò un grande favore ai governanti. La cosiddetta ‘incapacità di
un’azione riflessiva’ è presente a tutti i livelli della società. Si tratta del
fatto che i cittadini da una parte si
rendono conto dei problemi che gli
stanno intorno, ma dall’altra vivono nella convinzione di non poter
incidere sulle scelte, né tantomeno
cambiare nulla. “Il rapporto che la
classe politica sviluppa nei confronti delle associazioni dei cittadini è
quella tipica dell’’homo duplex’: nei
discorsi delle grandi occasioni gli
riconoscono di essere un importante tassello della società, ma poi
le usano per i propri interessi... o
se non altro per diffondere un rapporto di diffidenza nei confronti di
chi non ci sta al gioco. Si ha l’impressione che la crisi vada bene sia
all’SDP che all’HDZ perché loro ci
tengono soprattutto a ‘cambiare’
per non cambiare di fatto nulla”.
fL’identikit
Chi è il dittatore democratico di
cui parla nel suo libro?
“A differenza del dittatore non democratico, le fotografie del dittatore democratico non sono onnipresenti, questi non è un carnefice
né un tiranno, non uccide i propri
avversari politici, non vive nell’arroganza, non riceve gli ospiti nella
propria tenda, non porta la corona
d’ora, non ha il grado di maresciallo, colonnello, non vince le elezioni
con il 99.9 p.c. delle preferenze, né
è attorniato da generali. Quando
se ne va lo rimpiange solo il 50 p.c.
della nazione, l’altra metà gioisce.
Lui vive ed esercita il potere in un
contesto pluripartitico e di democrazia rappresentativa. Può contare
sulla legittimità elettorale, vive in
un Paese in cui si rispettano i diritti
dell’uomo e quelli delle minoranze... Si tratta di politici che in un
sistema formalmente democratico
esercitano il potere in modo poco
democratico e si comportano così
anche nell’ambito del loro partito
seguendo quella massima che fa:
‘il Partito sono io’. Affrontano co-
esta classe politica»
medico o di un ricercatore, a prescindere dall’area di appartenenza, si riduce ad essere un ‘quasi economista’...
un ‘quasi medico’... perde quel rigore e
quella serietà che ne avevano caratterizzato il percorso professionale in precedenza.
In una situazione del genere le riforme che
si tenta di intraprendere si riducono a delle
‘quasi riforme’. Siamo costretti a concludere che in Croazia non vi sia altra priorità al di fuori della necessità di esercitare
il potere politico a tutti i costi e a tutti i livelli senza pensare che questa
dovrebbe essere innanzitutto un’attività socialmente accettabile in grado
di assicurare sviluppo e prosperità. Da questa situazione se ne esce solo a
condizione che i cittadini e le associazioni che li rappresentano decidano
di girare le spalle a questi pessimi politici. Ciò può succedere o grazie ad
elezioni o anche con pressioni che arrivano dalla piazza”.
loro che la pensano diversamente
in modo gretto e senza pietà, ricorrendo pure all’espulsione dal
partito. Sebbene ci siano delle differenze tra politici quali la Tacher,
Putin, Sanader o Milanović, va detto che queste persone hanno delle
caratteristiche comuni: sono quelle
tipiche dei dittatori democratici,
i quali scaricano la responsabilità
della crisi sugli altri, molto spesso
sui governi e su coloro che li hanno
preceduto nell’esercizio del potere.
Sono attorniati da ministri assolutamente fedeli, mentre nei confronti dei cittadini si atteggiano con
estrema arroganza e intolleranza.
Non rispettano il parere di scienziati indipendenti di gran fama, dei
giornalisti, interpretano i dati statistici come gli pare.... Dimostrano,
ad ogni passo che fanno, di aver
perso il contatto con la realtà”.
fDivide et impera
Dall’ingresso della Croazia nell’Ue
è trascorso quasi un anno e mezzo. Ci sono Paesi che hanno saputo
trarre il meglio dall’accesso al mercato comune. Non è però il caso della Croazia. Né il mercato si è messo
in moto, né sono state realizzate le
tanto auspicate riforme. Perché?
“Una società divisa non può funzionare. Una società in cui non esiste consenso in merito a questioni
di interesse nazionale, anzi in cui
non c’è nessun tipo di consenso,
non può andare avanti, non si può
sviluppare. I politici, sia quelli di
destra che di sinistra fanno di tutto
affinché la situazione rimanga quella che è, vale a dire ‘malata’. È loro
interesse mantenerla in queste condizioni perché solo così riescono a
tenersi a galla, mentre i cittadini affondano. Per quanto riguarda l’Ue,
invece di assicurarsi l’accesso ad un
mercato di 500 milioni di persone, l’Europa ha allargato il proprio
mercato grazie ai 4,5 milioni di acquirenti croati”.
Ci può spiegare perché sostiene
che il referendum sia lo strumento
che ci porta ad una nuova nascita
della democrazia?
“I referendum sono in questo momento l’unica valvola di sfogo che
permette ai cittadini di manifestare
il proprio dissenso nei confronti dei
politici e dei partiti e di far sapere
al Governo e al Parlamento quale
sia la loro posizione su questioni
di grande attualità che la società
affronta. I politici però non tengono particolarmente conto di questo
fatto, ci ridono sopra, talvolta demonizzano determinate iniziative.
Ciò significa che di fatto non rispettano i cittadini, i loro pareri e i loro
interessi. Il risultato di questo può
essere una Croazia tragicamente
divisa, intollerante e disfunzionale.
Nelle condizioni in cui viviamo un
quesito referendario non rappresenta un ostacolo allo sviluppo della democrazia, semmai è testimone
di sviluppo democratico. Il referendum può rappresentare un pericolo
solo per il governante che esercita il
potere in modo non democratico o
se vogliamo in modo democraticodittatoriale, pur operando in un
sistema politico che è strutturato
Panorama
11
come democratico. Il risultato di
questo è la crisi in cui viviamo. Il
loro fine è quello di impedire, a tutti i costi, la nuova nascita della democrazia, anche a costo di ricorrere
all’eutanasia. L’attuale classe politica si serve del modello bipartitico
croato per difendere con tenacia
privilegi che non si merita. E sono
proprio questi a rappresentare gli
impedimenti più evidenti allo sviluppo della democrazia, dell’economia, alle assunzioni di disoccupati,
al diritto, messo di giorno in giorno in forse, di ottenere cure mediche adeguate, al rispetto dei diritti
dell’uomo e a quelli delle minoranze, allo sviluppo e al progresso.
Nella realtà in cui viviamo i risultati
del referendum sono la vera alternativa all’attuale potere come pure
alle forze dell’opposizione. La loro
strategia principale è basata sulla
diffusione dell’odio tramite i mass
media. Per le forze politiche, sia di
sinistra che quelle di destra, la cosa
più importante è mantenere il potere e curare i propri interessi privati.
Gli uni e gli altri impiegano il loro
tempo ‘smontare lo Stato’ e marginalizzare tutte le sue funzioni. Questo rappresenta un grande pericolo
per i lavoratori, per i cittadini, per le
famiglie e per i gruppi etnici, ovvero le minoranze. In ogni caso, non
si può pensare ad una democrazia
autentica in Crozia senza il ricorso
al referendum.
In caso contrario la vita politica
verrebbe ridotta a quattro anni
di democrazia non democratica
di sinistra e poi ad altri quattro di
democrazia non democratica di
destra, mentre l’unica continuità
sarebbe rappresenta dalla presenza
costante dei dittatori democratici,
un vero flagello per lo sviluppo e
l’avanzamento della società. Senza
una democrazia di tipo partecipativo, senza l’adesione continua dei
cittadini al processo democratico,
come possiamo ben vedere, non si
va avanti. E invece di trovare una
soluzione definitiva alla crisi ci potremmo trovare nella situazioni di
dover affrontare a breve nuovi e ulteriori nodi problematici”.
12
Panorama
PIXSELL
interviste
ccMilan Bandić ai tempi della campagna elettorale
per le presideziali di quattro anni fa in cui decise di
candidarsi contro la volontà dell’SDP
I
l tribunale di Zagabria ha accolto la richiesta della Procura e ha imposto la
custodia cautelare per il sindaco della
capitale croata, Milan Bandić, arrestato
domenica 19 ottobre. Sotto inchiesta
sono finite per il momento una decina
di persone tra cui il co-proprietario della
“Cios”, Petar Pripuz, società che si occupa
della raccolta e dello stoccaggio dei rifiuti
industriali e il presidente della “Holding”,
una specie di municipalizzata della capitale, e uomo di fiducia del sindaco, Slobodan
Ljubičić.
Bandić, secondo il quotidiano “Jutarnji
list”, durante l’interrogatorio ha respinto
tutte le accuse per corruzione mosse nei
suoi confronti dagli inquirenti, ma sarebbero nel frattempo emersi i primi due pentiti: Ines Bravić, il vicecapo dell’Ufficio cittadino per le questioni legate al diritto di
proprietà, e Koraljka Rožnaković Eremović,
capo del Dipartimento per affari legali di
Zagabria. Sono state rilasciate in quanto,
secondo le fonti del quotidiano che per
primo ha pubblicato la notizia dell’arresto,
hanno accusato direttamente il sindaco
Bandić di avere concordato lo scambio di
terreni tra la città di Zagabria e l’azienda
“Bramgrad projekt”.
Tra le accuse mosse dall’Ufficio per la lotta
alla criminalità organizzata e alla corruzione (PNUSKOK) croato, spicca infatti quella
relativa agli scambi di terreni di proprietà
della città di Zagabria con altri, di valore
molto inferiore, in possesso di aziende e
privati. Altri capi d’imputazione, 19 in tutto, parlano di corruzione, abuso di ufficio e
ingerenze illegittime.
Nei giorni scorsi la stampa ha ventilato la
possibilità, già sostenuta dai difensori di
Bandić, che l’arresto sarebbe scattato con
una tempistica sospetta, per distogliere
l’attenzione dei media da un altro caso
eccellente, quello dell’ex spia dei servizi
segreti jugoslavi e croati, Josip Perković,
nei confronti di cui è iniziato venerdì in
Germania un processo per omicidio. Il difensore di Perkovic, il noto avvocato Anto
Nobilo, è rientrato infatti a Zagabria e assumerà la difesa di Bandić. A tali voci si è
comunque opposto il ministro degli Esteri
croato, Vesna Pusić, che ha dichiarato che
“in questo momento, nessuna procedura
è più importante di quella che riguarda
Milan Bandić”. L’Uskok sostiene che le malversazioni di Bandić hanno causato una
perdita di almeno 12 milioni di kune (1,56
milioni di euro) alla città di Zagabria.
Oltre a Bandić, sono stati arrestati esponenti delle aziende pubbliche, suoi collaboratori stretti e persone “di fiducia”
nonchè manager di aziende private che
avevano rapporti d’affari con l’amministrazione pubblica della capitale. In particolare, Branko Mihaljević, titolare del’azienda “Bramgrad”, avrebbe concordato lo
scambio dei terreni con la città di Zagabria
nel 2006. La transazione vera e propria è
La magistratura
ha accolto
la richiesta
della Procura
e ha imposto
la custodia cautelare
per Milan Bandić,
indagato per
corruzione
e abuso di potere.
Sotto inchiesta
i suoi collaboratori
più fedeli e alcuni
imprenditori
PIXSELL
attualità
ccGli inquirenti dell’USKOK
hanno perquisito pure
gli uffici della pubblica
amministrazione della
capitale
Il sindaco
di Zagabria
in manette
avvenuta invece soltanto nel gennaio del
2012. Mihaljević avrebbe dovuto versare la
somma che corrisponde alla differenza del
valore dei due terreni, ma Bandić avrebbe
concesso l’ammortizzazione delle spese di
bonifico e di trasferimento dell’azienda di
Mihaljević. L’Uskok ha confiscato i documenti
ufficiali che riguardano i due terreni ma, secondo il quotidiano, la malversazione appare
difficile da provare senza la testimonianza dei
pentiti. Gli inquirenti sarebbero comunque in
possesso di prove che incastrano Mihaljević
il quale pare abbia gonfiato le spese e falsificato le fatture. Secondo le tesi della procura,
Mihaljević si sarebbe rivolto alla Bravić affermando che l’accettazione delle fatture sarebbe stata concordata con lo stesso Bandić.
Le voci su un possibile arresto di Bandić,
secondo la versione online di “Jutarnji list”,
circolavano dal mese di luglio, quando il
presidente della Commissione parlamentare
per la politica interna e la sicurezza naziona-
le, Miroslav Tuđman, rivelò che il cellulare di
Bandić si trovava sotto sorveglianza.
Bandić, persona influente ma controversa
sulla scena politica croata, ricopre il ruolo
di sindaco della capitale dal 2000, con una
pausa nel 2002 dovuta allo scandalo montato dopo un incidente stradale. Era stato colto
dopo il fatto in stato di ubriachezza e aveva
tentato, secondo gli inquirenti, di sfuggire
dalla polizia. In seguito è stato scagionato
dalle accuse, dopo essersi difeso sostenendo
di avere utilizzato un collutorio a base di alcool.
Bandić era stato inizialmente nominato
sindaco di Zagabria da parte del Partito
social-democratico (Sdp, leader della maggioranza parlamentare attuale) ma è entrato in seguito in una disputa fortissima con i
vertici del partito che ne ha causato l’uscita
dallo schieramento. Nel 2009, infatti, l’Sdp
aveva nominato per le primarie presidenziali Ivo Josipović e Ljubo Jurčić, ma Bandić
ha deciso in seguito di “congelare” la propria
appartenenza al partito e correre per le presidenziali da solo, motivo per cui l’SDP lo ha
espulso dal partito. In seguito a una campagna elettorale molto controversa e definita
“farsesca” da una parte della stampa, si è
piazzato secondo alle presidenziali con il
14,83 per cento dei voti. Dopo le elezioni ha
accusato il vincitore, Ivo Josipović, di essere
“una marionetta” del leader dell’Sdp, Zoran
Milanović. Personaggio tra i più controversi
sulla scena politica croata, ha dovuto vedersela in questi anni con più di 250 denunce
penali. Controversa anche la sua decisione
di concedere lo spazio di Cvjetni trg, nel
centro storico di Zagabria, per la costruzione di un centro commerciale modernissimo.
Il progetto è stato realizzato nel 2009 nonostante un referendum popolare che ha
raccolto 55 mila firme chiedendo di tutelare
la parte più antica della capitale croata.
D. P. R.
Panorama
13
eventi
fiere
di Ilaria Rocchi
N
on solo libri, ma soprattutto relazioni,
tra associazioni e tra persone, tra esponenti del mondo degli esuli, dei rimasti
e la città. “La Bancarella – Salone del
Libro dell’Adriatico orientale”, che si è
svolta anche quest’anno a Trieste (16-19 ottobre), rinnovata sia nella formula che nello spirito
- come sottolineato, a nome di tutti gli attori coinvolti, i presidenti di Centro di Documentazione
Multimediale della Cultura giuliana, istriana, fiumana e dalmata e Università Popolare di Trieste,
rispettivamente Renzo Codarin e Fabrizio Somma
-, ha riunito in modo tangibile le produzioni letterarie di realtà che da tempo collaborano assieme, ospitando sotto un unico tendone (in piazza
Sant’Antonio Nuovo) tutti i soggetti che hanno il
merito di salvaguardare e diffondere la memoria
e la cultura delle popolazioni di lingua italiana
dell’Adriatico orientale, indicando una strada futura comune per nuove iniziative da organizzare
in maniera condivisa.
Non un punto d’arrivo, dunque, ma di partenza.
“‘La Bancarella’ 2014 rappresenta la prima di una
serie che avrà una nuova impostazione”, dichiara
T
ra appuntamenti speciali e rassegna
dell’edito, nelle quattro giornate della
“Bancarella”sono stati presentati trenta
volumi. Una fiera numericamente inferiore rispetto alle precedenti edizioni,
per una precisa scelta operata dagli organizzatori, che da una parte hanno voluto concentrarsi su quanto uscito quest’anno, e dall’altra
parte hanno cercato di consentire al pubblico
di seguire gli incontri senza dover rincorrere
sezioni parallele, come avveniva in passato. La
manifestazione, nata nel 2006 con lo scopo di
dare una visibile continuità alla produzione culturale di lingua italiana sulle sponde dell’Alto
14
Panorama
Dalla «Bancarella» tanta vog
Giorno de
anche in Is
Codarin, rilevando che il ruolo del CDM è proprio
illustrare in modo moderno e multimediale, non
solo alle popolazioni locali, ma a tutto il mondo,
quelle che sono la cultura e la storia di Istria, Fiume e Dalmazia, di qua e di là del confine. Come
ha fatto notare Somma, la grande affluenza e
la nutrita rappresentanza di enti e associazioni
(Associazione delle Comunità Istriane, Dalmati
Italiani nel Mondo-Libero Comune di Zara in Esilio, Libero Comune di Pola in Esilio, Associazione
Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, CDM, Centro
di Ricerche Storiche di Rovigno, Coordinamento
Adriatico, EDIT, Federazione delle Associazioni degli Esuli, Istituto Regionale per la Cultura IstrianoFiumano-Dalmata, Istituto regionale per la storia
del movimento di liberazione nel Friuli Venezia
I nuovi titoli proposti nell’
Adriatico, ideata e coordinata dal Centro di Documentazione Multimediale della Cultura giuliana, istriana, fiumana e dalmata, quest’anno
è stata co-organizzata dall’Università Popolare
di Trieste, con una particolare attenzione alla
Comunità nazionale italiana di Slovenia e Croazia, nel solco del comune cammino europeo.
Una panoramica dell’edito è stata tracciata da
Adriana Ivanov Danieli e Giorgio Federico Siboni, mentre i libri (si vedano sotto le copertine),
che hanno visto l’intervento dei rispettivi auto-
ri, sono stati analizzati davanti alla platea con
interventi dello stesso Siboni, di Davide Rossi,
Paolo Radivo, Diego Redivo, Cristina Benussi,
Giuseppe Parlato, Fabrizio Somma, Pamela
Volpi e Marino Micich. È invece slitatta (senza
ulteriori spiegazioni) la presentazione del “Vocabolario Italiano-Rovignese”, di L. BENUSSI,
pubblicato lo scorso anno dalla Comunità degli
Italiani di Rovigno.
Ecco i titoli dell’edizione 2014:
“L’Esodo Giuliano-Dalmata nella Letteratura.
oglia di «renovatio Histriae»
el Ricordo
Istria
Giulia, Lega Nazionale, Radio Capodistria, Società
Dalmata di Storia Patria, Società di Studi Fiumani,
Unione degli Istriani, Unione Italiana, Università
Popolare di Trieste e “La nuova Voce Giuliana”)
“stanno a dimostrare il successo di un’edizione
molto particolare, frutto della co-organizzazione
tra CDM e UPT”.
Gli anniversari celebrati nella quattro giorni - i
115 anni dell’UPT, il 70.esimo de “La Voce del
Popolo”, il 65.esimo di Radio Capodistria, il
60.esimo di Trieste italiana e dell’Unione degli
Istriani, il decennale della Legge del Giorno del
Ricordo... - hanno rappresentato un momento
di riflessione per allargare le prospettive e non
limitarsi alla definizione di confini orientali, ma
parlare invece di un più ampio contesto adriati-
l’edizione 2014
Atti del Convegno Internazionale - Trieste 28
febbraio - 1 marzo 2013” autori vari, a cura di
G. BARONI, C. BENUSSI (Serra Editore, PisaRoma, 2014, pp. 433);
 “Tra Argento Grani e Panni. Piero Pontella, un
operatore italiano nella Ragusa del primo ‘400”,
di P. PINELLI (Firenze University Press, Firenze,
2013, pp. 115”);
 “Imprenditoria e società in Dalmazia. Il “partito” del tabacco e lo Stabilimento Manfrin nel
Settecento”, di R. TOLOMEO (Società Dalmata
co, europeizzando la vicenda dell’esodo.
Tante le proposte, anche innovative, scaturite alla
tavola rotonda sullo “stato dell’arte” a due lustri
dall’istituzione del Giorno del Ricordo, al termine della quale il presidente Fabrizio Somma e il
direttore generale dell’UPT, Alessandro Rossit,
hanno consegnato una targa ricordo al partner
storico Unione Italiana, a Furio Radin, a Maurizio
Tremul e a Giovanni Radossi per i 50 anni di collaborazione tra i due enti Al dialogo, moderato
da Giuseppe Parlato, del Comitato scientifico del
Salone, hanno partecipato Maria Cristina Benussi, prorettore dell’Università di Trieste e ordinario
di Letteratura italiana contemporanea, Giovanni
Radossi, fondatore e direttore del CRS di Rovigno;
Diego Vecchiato, dirigente della Direzione Relazioni internazionali della Regione Veneto, Antonio
Ballarin, presidente della FederEsuli, e Maurizio
Tremul, presidente della Giunta esecutiva dell’UI.
Tutti gli intervenuti hanno messo in evidenza la
positività della celebrazione del 10 febbraio, che
ha fatto conoscere al mondo degli studenti e a
un ampio pubblico, compresi i cittadini sloveni
e croati, la questione delle foibe e dell’esodo,
permettendo anche lo sviluppo della ricerca
scientifica sia a livello storico che letterario. I
relatori si sono soffermati pure sulle prospettive
di Storia Patria, La Musa Talìa Edizioni, Venezia,
2013, pp. 125);
 “Per l’Esercito Serbo. Una storia dimenticata”, di P. GIORDANO (riedizione a cura di M.
Mihajlovic, Ufficio Informazioni della Difesa,
Roma, 2014, pp. 128);
 “Angelo Capatangelo. Un capitano dimenticato”, di R. MENDOZA (Aracne edizioni, Roma,
2014, pp. 238);
 “Giornali umoristico-satirici in italiano e
veneto-zaratino a Zara nell’’800 e nel ‘900”, di
N. BALIĆ NIŽIĆ, Z. NIŽIĆ (Università di Zara,
Zara, 2014, pp. 276);
 “Dalmazia Regione Europea. Biografie di
future della Giorno del Ricordo. Benussi, Vecchiato e Tremul hanno ribadito l’importanza dei
progetti europei, sia nella collaborazione con le
università e con i centri di ricerca in Istria e in
Dalmazia, sia sulla base dell’attività finora svolta attraverso la legge regionale del Veneto, che
tutela i beni culturali istriani e adriatici di matrice veneta. Fondare un museo dell’esodo in Istria
è l’idea caldeggiata da Radossi, ma anche collocare una lapide in memoria di Gianni Bartoli, rovignese e sindaco di Trieste. Inoltre, continuare
sulla strada dell’indagine storiografica (i punti
su cui fare chiarezza sono ancora diversi e perciò
anche fonte di sterili diatribe e polemiche), creare una rivista scientifica comune a esuli e rimasti, “iniziare a celebrare il 10 febbraio in Istria,
coinvolgendo i giovani e le scuole” (Tremul),
impiantare , oltre alle attività culturali, una decisa attività economica, che servirà a sostenere
il prodotto agroalimentare istriano in Italia e
aprire in regione nuovi posti di lavoro, come sottolineato da Ballarin (introdotto nell’occasione il
progetto “Renovatio Histriae”). Buoni propositi
e spirito cooperativo non mancano. Vedremo
fra un anno, alla prossima “Bvancarella”, quanto
si riuscirà a realizzare. Forse non sarebbe male,
intanto, promuovere
dalmati illustri”, di G. Scotti (Collana di ricerche
storiche “Jolanda Maria Trèveri”, Scuola Dalmata
dei S.S. Giorgio e Trifone, Venezia, 2014, pp. 229);
“Memorie. Zara 1937-1944”, di E. CALESTANI (Associazione Nazionale Venezia Giulia
e Dalmazia – Comitato Provinciale di Udine,
2014, pp. 161, 2ª ediz. a cura di Brcic-Cattalini);
“Storie dei “Senza Storia”, di FLORIAN - C.
CATTAI, ISTITUTO COMPRENSIVO STATALE
“ENRICO TOTI” (Autore/Editore, Musile di Piave, 2014, pp.131);
 “L’arte dell’Adriatico Orientale a Roma e nel
Lazio dal V secolo a oggi” (catalogo della Mostra eponima, Roma, 29 gennaio – 5 febbraio
Panorama
15
eventi
fiere
Studiosi e ospiti
La “Bancarella” 2014 - esclusi gli autori dei volumi presentati -, ha convolto i seguenti studiosi e ospitalità (in ordine alfabetico): Alessandro
Altin (membro del Consiglio esecutivo dell’associazione “Renovatio Histriae”), Antonio Ballarin (Federazione delle Associazioni degli Esuli),
Maria Cristina Benussi (Università degli studi di Trieste, membro del
C.d.A. dell’UPT), Renzo Codarin (presidente del Centro di Documentazione Multimediale della Cultura giuliana, istriana, fiumana e dalmata, presidente dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia),
Bruno Crevato-Selvaggi (Società Dalmata di Storia Patria); Piero
Delbello (Istituto regionale per la Cultura Istriano-fiumano-dalmata
di Trieste - IRCI), Giuseppe de Vergottini (Coordinamento Adriatico),
Aleksandar Saša Dender (presidente della Comunità Italiana di Cattaro - Montenegro), Karen Drioli (Civici Musei di Storia ed Arte di Trieste), Dario Fertilio (“Il Corriere della Sera”, “Il Dalmata”), Elsa Fonda (),
Luigi Fozzati (Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli Venezia
Giulia), Mario Fragiacomo (tromba, flicorno, composizione), Adriana
Ivanov Danieli (ANVGD - Padova), Domenico Guzzo (sezione eventi
cinematografici e culturali dell’Istituto Italiano di Cultura di Marsiglia),
Susanna Isernia (UPT), Stefano Lusa (Radio Capodistria), Ilaria Rocchi
(“Panorama”, EDIT), Marino Micich (Museo Archivio Storico di Fiume a
Roma), Miriam Monica (attrice), Giuseppe Parlato (Università degli
Studi Internazionali di Roma, Comitato Scientifico dell’Archivio centrale dello Stato, CDM, Fondazione Ugo Spirito e Renzo de Felice), Gaeta-
2013, Associazione Nazionale Venezia Giulia e
Dalmazia - Comitato Provinciale di Roma, Roma,
2013, pp. 145 + 14 tavole, saggi di D. SCHÜRZEL,
E. G. BUDICIN, M. G. CHIAPPORI, B. VINCIGUERRA, V. RIBERTI e I. CASTELLI);
 “Provincia d’Istria della Serenissima”, di I.
CACCIAVILLANI (Leone Editore, Milano, 2014,
pp. 200);
 “L’Italia e la questione adriatica. Dibattiti parlamentari e panorama internazionale (19181926)”, di M. CATTARUZZA (Il Mulino, Bologna,
2014, pp. 604);
 “I dannati dell’Asinara. L’odissea dei prigionieri
austro-ungarici nella Prima guerra mondiale”, di
L. GORGOLINI (UTET, Torino, 2011, pp. 179);
 “La Grande Guerra nell’Alto Adriatico. La difesa
austro-ungarica del Golfo di Trieste 1915-1918”,
di P. JUNG (Libreria Editrici Goriziana, Gorizia,
2014, pp. 320);
 “Il dalmatico. L’antica lingua nei vocaboli dialettali”, di M. MASTROSANTI (Poligrafica Bellomo, Ancona, 2014, pp. 248);
 “L’ultimo testimone. Storia dell’agente segreto Sergio Cionci e degli Istriani nella Guerra
fredda”, di A. ROMOLI (Gaspari Editore, Udine,
2014, pp. 192);
 “Il cardinale e l’architetto. Girolamo Aleandro
(1480-1542) e il Rinascimento Adriatico Vene16
Panorama
no Quagliariello (senatore, storico), Furio Radin (deputato al Sabor
croato, presidente dell’Unione Italiana), Giovanni Radossi (direttore
e fondatore del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno), Paolo Radivo (Libero Comune di Pola in Esilio, “L’Arena di Pola”), Diego Redivo
(Università degli studi di Udine, Istituto per la Storia del Risorgimento
Italiano), Davide Rossi (Università degli Studi di Trieste, Coordinamento Adriatico, CDM, Comitato permanente per la valorizzazione
del patrimonio culturale veneto nell’Istria e nella Dalmazia presso
la Regione Veneto), Paolo Sardos Albertini (presidente della Lega
Nazionale), Giorgio Federico Siboni (Università degli Studi di Milano,
coordina progetti di studio interministeriali relativi al territorio Alto
Adriatico), Fabrizio Somma (presidente dell’Università Popolare di
Trieste), Maurizio Tremul (presidente della Giunta esecutiva dell’Unione Italiana), Diego Vecchiato (Direzione Relazioni Internazionali,
Cooperazione Internazionale, Diritti Umani e Pari Opportunità - Regione del Veneto), Chiara Vigini (presidente dell’IRCI), Lino Vivoda
(cofondatore del Libero Comune di Pola in esilio) e Pamela Volpi
(storico dell’arte).
ziano”, di A. VESENTINI ARGENTO (Apostrofo
editore, Pieve San Giacomo, 2013, pp. 245);
“La vittoria senza pace. Le occupazioni militari
italiane alla fine della Grande Guerra”, a cura di
R. PUPO (Laterza, Roma-Bari, 2014, pp. 288);
 “Il Trattato di pace 10 febbraio 1947 nei programmi e nei testi scolastici di storia”, di M. BALLARIN (Prefazione di Giuseppe Parlato, Leone
editore, Collana Téxnes, pp. 192);
 “Foibe ed Esodo. L’Italia negata. La tragedia
giuliano-dalmata a dieci anni dall’istituzione del
‘Giorno del Ricordo’”, di C. I. E. CACE (Editrice Pagine, Collana “I Libri del Borghese”, Roma, 2014,
pp. 188);
 “La donna che uccise il generale. Pola, 10 febbraio 1947”, di C. CARLONI MOCAVERO (Ibiskos
Editrice Risolo, Collana Le protagoniste, Empoli –
Firenze, 2012, pp. 248);
“Quella tromba di latta del confine orientale
italiano”, di L. M. GUICCIARDI (Luglio Editore,
trieste, 2014);
 “Biglietto andata/ritorno. Il ponte sul fiume
Djestr”, di M. CERMAK/V. CERMA (La Mongolfiera Libri, Trieste, 2014, pp. 183);
 “Fiume 1918-1924. I servizi postali e la filatelia
tra vicende storiche e vita di tutti i giorni”, di O.
EMOROSO (Autore/Editore, Como, 2014, pp. 430);
“Protagonisti senza protagonismo: la storia
nella memoria di Giuliani, Istriani, Fiumani e
Dalmati nel mondo”, di V. FACCHINETTI (La
Mongolfiera Libri, Trieste, 2014, pp. 460);
 “Carteggio Pietro Kandler – Tomaso Luciani
(1843-1871)”, di G. RADOSSI (Centro di Ricerche
Storiche di Rovigno, Rovigno, 2014, pp. 383);
“I verbali del Consiglio Nazionale Italiano di
Fiume e del suo Direttivo (1918-1920)”, a cura di
D. L. MASSAGRANDE (Società di Studi Fiumani,
Roma, 2014, pp. 650);
 “Una grande tragedia dimenticata. La vera
storia delle foibe”, di G. MELLACE (Newton Compton, Roma, 2014, pp. 328);
 ”Un confine nel Mediterraneo. L’Adriatico
orientale tra Italia e Slavia (1300-1900), di E.
IVETIC (Viella, Roma, 2014, pp. 332).
Inoltre, all’evento sono state proposte le lectio
magistralis di Furio Radin, sul 50.esimo della
collaborazione Unione Italiana-Università Popolare di Trieste, di Gaetano Quagliariello su
“Trieste 1954 e il contesto internazionale”, di Paolo Sardos Albertini su “La Lega Nazionale e il
ritorno di Trieste all’Italia” e di Dario Fertilio su
“La Dalmazia e l’Europa centrale”. Testimonianze
in diretta, invece, sono state fornite da Lino Vivoda, che ha parlato della strage di Vergarolla,
mentre Domenico Guizzo si è soffermato sul
documentario dediato alla vicenda.
etnia letteratura
Istriani Fiumani Dalmati
famosi all over the world
Elis Deghenghi
Olujić su «Poets
of the Italian
Diaspora», 510
pagine curate da
Luigi Bonaffini e
Joseph Perricone
di Carla Rotta
D
alla Croazia e dalla
Slovenia... all over the
world con l’autorevole biglietto di Elis Deghenghi Olujić, docente dell’Università “Juraj Dobrila”
di Pola – Dipartimento di studi in
lingua italiana, nonché prorettore
per la Ricerca Scientifica dell’Ateneo. Ci facciamo racontare il pro-
getto. “L’idea è nata nel 2005. Bonaffini, che vive in America, aveva
contattato Laura Marchig, all’epoca
redattrice capo del semestrale di
cultura ‘La battana’, che a sua volta
aveva indirizzato Bonaffini a me.
Mi ha ilustrato il progetto di, diciamo, raccolta della poesia italiana nel
mondo e mi aveva chiesto una collaborazione per quel che riguarda la
nostra area. Ovviamente ho accettato, anche perché è la mia area di interesse, occupandomi già di questi
Panorama
17
autori, sia che scrivano in italiano
che nei dialetti istroromanzi locali”.
Come scegliere?
“Inizialmente mi era stato detto di
proporre e presentare una decina
di poeti, poi, meno male, è stato
possibile ampliare un po’ la cerchia.
Perché è molto, ma molto difficile
fare una selezione. Anzi, è proprio
un problema. Ho cercato di inserire
un po’ tutte le generazioni, inclusi
gli autori che non ci sono più, del
resto sarebbe impossibile parlare
della poesia della CNI senza dire di
Ramous, imprescindibile in questi
discorsi. Credo sia il nostro più alto
poeta. Sottolineo che, comunque,
mancano i tanti poeti venuti dopo,
che hanno visto i lavori pubblicati e
divulgati anche grazie all’EDIT e alle
sue collane. Una volta consegnato
il contributo certo non potevo più
cambiare alcunché”.
Poesie sia in italiano che in dialetto, dunque.
ccOsvaldo ccLucifero Martini
Ramous
ccEligio Zanini
“Sì, perché è molto importante pure
la creatività nei dialetti locali. Anzi,
reputo che a volte il dialetto superi la
lingua standard; la poesia dialettale,
al di là della lingua, spesso è poesia
pura, ha una poetica altissima. Dico
Loredana Bogliun, dico Eligio Zanini, ma anche altri, naturalmente. Mi
preme sottolineare che per ogni autore pubblicato è stato necessario ottenere una sorta di liberatoria, vuoi
personalmente dall’autore o, laddove
i lavori sono stati tratti da antologie o
altro, è stata chiesta all’Editore. L’Unione Italiana, ad esempio, laddove i
versi sono stati tratti dalle antologie
di Istria Nobilissima”.
fDiaspora perché
viviano staccati
dalla madrepatria
L’antologia è titolata “Poets of
Italian Diaspora”: qualcuno potrebbe obiettare che noi non sia-
ccAlessandro Damiani
Viaggiano così Osvaldo Ramous,
Lucifero Martini, Eligio Zanini,
Alessandro Damiani, Giacomo
Scotti, Mario Schiavato, Ester
Sardoz Barlessi, Vlada Acquavita,
Adelia Biasiol, Loredana Bogliun,
Laura Marchig, Maurizio Tremul,
Roberto Dobran e Marianna
Jelicich Buić, assieme a quella
di altri poeti di Argentina,
Australia, Belgio, Brasile, Canada,
Francia, Germania, Svizzera, Stati
Uniti e Venezuela
18
Panorama
ccLetteratura diaspora
mo propriamente diaspora. Disturba il termine?
“No. In questo caso il termine è
comprensivo di tutti i poeti che vivono e scrivono, creano, al di fuori
degli attuali confini. Quindi anche
noi che solitamente veniamo definiti
‘rimasti’, e qui intesi come ‘staccati
dalla terra d’origine’. Del resto il ter-
ccGiacomo Scotti
ccMario Schiavato
ccEster Sardoz Barlessi
Un giro del mondo
con sentimento
«N
o one will listen to the mournful/ prayer, and to the sighs of
the suffers/ the only answer will
be insolent/ tittle-tattle of the
backwash./The most tormenting
solitude/ is the one surrounded by echoes». Riconosciuti
i versi? Dite di no? Rileggeteli. OK. Vi diamo una mano.
“Nessuno ascolterà più la dolente/ preghiera, e ai sospiri
degli afflitti/ risponderà soltanto il verso/ pettegolo della
risacca./ Non vi è più tormentosa solitudine/ di quella
etnia letteratura
mine ‘diaspora’ per dire di noi l’aveva
usato già Vera Glavinić in un saggio
presentato a un convegno a Venezia. Il saggio è intitolato ‘Il gruppo
nazionale italiano in Istria e a Fiume oggi – Una cultura per l’Europa’,
edito dalla Longo Editore di Ravenna nel 1991; pubblicazione curata
da Ulderico Bernardi. Ebbene, dice
Vera Glavinić, ‘... ma la diaspora degli italiani istro-fiumani non arresta
il cammino della letteratura... segue
una linea di esemplare continuità’.
Quindi questo termine usato per
designare italiani specifici, staccati
dalla terra d’origine, non fa più spavento”.
Qual è il valore dell’opera?
“Io ho collaborato più che volentieri al progetto. Il valore? Ha indubbiamente un grande valore per il
significato in sé; nella nostra ottica
è importante la nostra presenza in
un’antologia di questo spessore, una
presenza che ci porta fuori dai nostri
ambiti, tutto sommato piccoli. La
ccVlada Acquavita
ccAdelia Biasiol
nostra realtà quindi viene presentata e recepita in un ambito più vasto. Credo che esserci sia motivo di
orgoglio anche per gli autori inclusi
nell’antologia. Direi poi che è molto
curioso e interessante pure il momento della traduzione. L’antologia
è bilingue, italiano-inglese, laddove
le poesie sono state scritte in dialetto diventa trilingue, perché ci sono
tutte e tre le versioni. E non va sottovalutato il fatto che l’antologia in
un certo senso fissa la presenza della
componente italiana in Slovenia e
Croazia, la presenza sul territorio al
di là delle vicissitudini della Storia. E
la poesia è a sua volta testimonianza di presenza e creatività. Ci lega
indissolubilmente con il territorio,
quindi”.
Siamo tra le realtà meglio presentate; mi riferisco soprattutto ai numeri.
“Sì, è vero. Diciamo che abbiamo
occupato un bel numero di pagine.
Siamo tra i meglio rappresentati”.
ccLoredana Bogliun
ccLaura Marchig
assediata dagli echi”. Osvaldo Ramous. Che ci ha preso
di proporlo in inglese, dite?
Beh, perché è anche così che la poesia di Ramous va per
il mondo. Assieme a quella di Lucifero Martini, Eligio
Zanini, Alessandro Damiani, Giacomo Scotti, Mario
Schiavato, Ester Sardoz Barlessi, Vlada Acquavita, Adelia Biasiol, Loredana Bogliun, Laura Marchig, Maurizio
Tremul, Roberto Dobran e Marianna Jelicich Buić. E
assieme a quella di altri poeti di Argentina, Australia,
Belgio, Brasile, Canada, Francia, Germania, Svizzera,
Stati Uniti e Venezuela. Un giro del mondo con sentimento; emozioni confluite nel contenitore “Poets of the
Italian Diaspora”, ovvero “Poeti della diaspora italiana”.
La creatività, dunque, di gente che sogna e si emoziona
in italiano, sparsa un po’ in tutto il mondo, come lo dimostra la geografia riportata dall’indice dell’antologia.
Adesso ci vorrebbe una bella presentazione.
“In Italia ci sarà. La farà il professore
Bonaffini, credo a marzo dell’anno
prossimo”.
Dicevo di una serata in casa; a
conti fatti stiamo volando ad alta
quota per tutto il mondo, e sarebbe inoltre un’ottima occasione per
conoscere la poesia della diaspora
italiana. Si potrebbe insomma, oltre che farci vedere anche vedere a
nostra volta, allargare lo sguardo.
“Una presentazione sarebbe bella,
e probabilmente anche opportuna.
Resta da vedere chi si farebbe carico
dell’organizzazione; dove presentare,
come... ma non sarebbe male farlo.
Per parlare della poesia nostra e di altri italiani che vivono fuori dei confini
dell’Italia, ma che hanno legami culturali e affettivi con la terra d’origine,
con la lingua, e che mantengono una
tradizione nel segno della letteratura”.
ccMaurizio Tremul
ccRoberto Dobran
cc Marianna
Jelicich Buić
Perché di questo si tratta, di un’antologia XXL che racchiude un campionario della creatività italiana fuori i
confini dello Stivale. In corpose 1.534 pagine. Un’enciclopedia, si potrebbe dire, uscita dalle stampe quest’anno per la Fordham University Press di New York. Ne
sono autori Luigi Bonaffini, professore di Italiano al
Brooklyn College, e Joseph Perricone, professore di Italiano e Letteratura comparata alla Fordham University.
Un lavoro consistente, certosino, filigranato, realizzato
grazie al prezioso contributo di collaboratori delle aree
di provenienza degli autori inclusi nell’opera. Infatti, è
servito operare una selezione; presentare la realtà del
territorio, la poetica degli italiani in generale e poi in
particolare quella di ogni autore dell’antologia. I versi di
ognuno, infatti, sono preceduti da una scheda sintetica
sulla vita e le opere.
Panorama
19
etnia letteratura
Dei “nostri” autori... beh, a ben pensare, potrebbero essere tutti nostri, per la condivisione culturale e linguistica... però quando diciamo nostri, qui e ora, pensiamo
ai nostri... nostri, di casa. Che pasticcio di parole! Bene,
dunque, i nostri autori hanno avuto il pass autorevole
di Elis Deghenghi Olujić che, offerto un volo sull’area e
sulle vicissitudini che hanno determinato la nostra presenza e la nostra creatività, “il mondo culturale dell’Istria e di Fiume, in continua evoluzione...” per arrivare a
“nuove tendenze e nuove voci...”, non nell’antologia per
motivi di spazio, ma testimoni con gli altri della “vivacità creativa dei poeti di quest’area a partire dalla Seconda
guerra mondiale...”, una vivacità creatività “... mai monotona o monolitica...”.
una documentazione. Non si tratta, dice, di chi scrive
per professione, carriera, bensì per la straordinaria natura dell’esperienza.
Poeti sospesi tra due mondi: quello in un certo senso
perduto e con il quale si mantiene un legame che passa
attraverso la lingua, che si deve comunque conformare per farsi meglio capire, e i temi trattati. E anche qui
ben presto si dovrà allargare a qualcosa che non sia
necessariamente la memoria di casa.
fConversazione tra cugini lontani
“Perricone e Bonaffini hanno raccolto i migliori poeti
italiani emigrati di tutto il mondo - dice Fred Gardaphe
(John D. Calandra Italian American Institute) -. Sia che
li si voglia definire immigrati, esiliati, rifugiati, sfollati,
ognuno di loro parla dall’anima con accento italiano;
esprimono sentimenti di un fenomeno globale attraverso il loro condiviso linguaggio nativo, originario. La
traduzione in inglese fa sì che la loro esperienza venga
compresa anche dagli anglofoni”.
“Quest’antologia è al contempo una scoperta e una conversazione intima”, rileva Robert Viscusi (The Wolfe Institute). “Leggendola - aggiunge - ho iniziato a capire gli
altri italiani stabilitisi in tutto il mondo, in posti che non
ho mai visto; ho conosciuto così cugini lontani attraverso verità sfuggenti che solo i poeti sanno dire.”
fNotevole lavoro pionieristico
Presentata a Villa Angiolina,
nell’ambito delle Giornate della
Cultura e della Lingua Italiana
IVOR HRELJANOVIĆ
“Un notevole lavoro pionieristico - rileva Sante Matteo (Miami University) nell’introduzione -, che sarà
una pietra miliare negli Studi Italiani e sarà alla base di
una nuova discipluna, la letteratura degli Italiani della
diaspora”. Francesco Durante si sofferma, invece, sui
tratti salienti della Poesia degli Italiani della diaspora,
concentrando tutto in sette punti.
A cominciare dal concetto dell’esodo, dall’emigrazione,
indubbiamente “un processo drammatico”, e sostiene
che la memoria di chi ha vissuto questi momenti meriti
Istria Nobilissima
ecco l’Antologia
EDIZIONE XLVI
A fare da cornice al XLVI volume dell’Antologia delle
opere premiate ad Istria Nobilissima - il Concorso
d’Arte e di Cultura ideato e organizzato dall’Unione
Italiana in collaborazione con l’Università Popolarfe
di Trieste - la splendida Villa Angiolina di Abbazia e
le Giornate della Cultura e della Lingua Italiana, che
il Consolato generale d’Italia a Fiume promuove
nell’ambito della Settimana della Lingua Italiana
nel Mondo. Il volume, che riassume il meglio di
quanto proposto al Concorso del 2013, è stato
presentato martedì 21 ottobre. L’opera “riassume la
20
Panorama
vivacità creativa della Comunità nazionale italiana
in Croazia e Slovenia nei campi dell’arte, della letteratura, del giornalismo delle arti applicate, della fotografia e via dicendo”, ha rilevato Fabrizio Somma,
presidente dell’UPT. Maurizio Tremul, presidente
della Giunta esecutiva dell’UI, ha ribadito che per
la buona riuscita di una manifestazione importante
come Istria Nobilissima sono necessarie risorse, enti
organizzatori e corpo minoritario. “La realizzazione di quest’Antologia è per me un ulteriore passo
avanti, il cerchio che si chiude”, ha dichiarato Marianna Jelicich Buić, responsabile del Settore Cultura dell’UI. Il console generale Renato Cianfarani si è
detto lieto che la presentazione dell’Antologia si av-
venuta ad Abbazia, in cui opera una Comunità italiana molto vivace, che ha un ottimo rapporto con
le istituzioni croate. Marina Gašparić, vicesindaco di
Abbazia, ha sottolineato che la presenza della Comunità italiana, con tutte le sue iniziative - mostre,
serate letterarie, concerti, appuntamenti culturali
di vario genere - rappresenta un valore aggiunto
per la Perla del Quarnero. I contenuti dell’edizione
sono stati introdotti dal critico letterario Elvio Guagnini e dal critico d’arte Enzo Santese. In copertina,
“Ritmo II” tempera su tela di Elizabeta Močibob,
primo premio nella sezione “Pittura, scultura e
grafica”. Alla serata, condotta da Laura Marchig, si è
esibito alla fisarmonica Michele Ivkovich.
italiani nel mondo
Presentato il IX
Rapporto
Italiani
nel mondo
della Fondazione
Migrantes
Q
Sono 4.482.115
i connazionali
residenti all’estero
uasi 95 mila nel 2013, poco meno di 80
mila nell’anno precedente: non si ferma
l’esodo degli italiani che vanno all’estero,
un “esercito” le cui file si ingrossano di
anno in anno in questo periodo di crisi
economica. Infatti a partire sono soprattutto i giovani,
alle prese in Italia con percentuali di disoccupazione
da capogiro. A confermare questa generale percezione è il IX Rapporto Italiani nel Mondo
2014 della Fondazione Migrantes, presentato a Roma. La cifra ha superato i flussi
dei lavoratori stranieri immigrati in Italia,
che sono ogni anno circa la metà di questa
cifra, precisamente 43 mila nel 2010.
Lungo il corso del 2013 si sono trasferiti
all’estero 94.126 italiani - nel 2012 sono stati 78.941 con un saldo positivo di oltre 15 mila partenze (+16,1
p.c.). Per la maggior parte uomini sia nel 2013 (56,3
p.c.) che nel 2012 (56,2 p.c.), non sposati nel 60 p.c.
dei casi e coniugati nel 34,3 p.c. La classe di età più
rappresentata è quella dei 18-34 anni (36,2 p.c.), a
seguire quella dei 35-49 anni (26,8 p.c.), a riprova di
quanto evidentemente la recessione economica e la
disoccupazione siano le effettive cause che spingono
a partire. I minori sono il 18,8 p.c. e di questi il 12,1
p.c. ha meno di 10 anni.
Il Regno Unito, con 12.933 nuovi iscritti al’Aire (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) all’inizio del
2014, è il primo Paese verso cui si sono diretti i recenti migranti italiani, con una crescita del 71,5 p.c.
rispetto all’anno precedente. Seguono la Germania
(11.731, +11,5 p.c.), la Svizzera (10.300, +15,7 p.c.)
e la Francia (8.402, +19,0 p.c.). A sorpresa, è una regione del Nord, la Lombardia, quella che ha subìto la
maggiore `emorragia´, con 16.418 partenze, seguita
dal Veneto (8.743) e dal Lazio (8.211).
L’aumento in assoluto dei cittadini italiani iscritti
all’Aire è di 141 mila nel corso del 2013, il 3,1 p.c.
in più rispetto all’anno precedente. Nel mondo sono
4.482.115 i connazionali residenti all’estero iscritti
all’Aire al primo gennaio 2014. L’Argentina è il primo Paese di residenza per tutti gli italiani, seguita
da Germania, Svizzera e Francia. Il 52,1%
p.c. degli italiani iscritti all’Aire è di origine meridionale. I minori iscritti all’Aire al primo gennaio 2014 sono 691.222,
in lieve calo rispetto all’anno precedente
(673.489), ma se il numero dei minori continua a decrescere, è in aumento
quello delle iscrizioni per nascita: si passa, infatti,
dal 38,8 p.c. dell’anno passato al 39 p.c. di quest’anno.
Sono in aumento anche gli over 65, che sono 878.209
(+0,8 p.c. dal 2010) e la maggior parte risiede in Sud
America.
Non ci sta a parlare di “fuga” degli italiani il sottosegretario agli Esteri, Mario Giro, che ha partecipato
alla presentazione del Rapporto di Migrantes. “Quella degli italiani che si trasferiscono all’estero non è
una fuga come chi scappa da guerre e persecuzioni
religiose, percorre deserti e mare e arriva a Lampedusa, ma è una scelta” ha sostenuto, per poi ricordare
che “gli italiani che migrano all’estero non rischiano
la vita, come non l’hanno rischiata i nostri nonni”.
Per il sottosegretario, “bisogna tenere anche presente
che oggi, rispetto al passato, migrare significa spostarsi per mantenere un contatto costante con la famiglia grazie a skype e la possibilità di tornare. Non
si parte più definitivamente”.
A. V.
Panorama
21
agenda
NEL MONDO
Ebola: continua l’alla
Finora i morti sono circa 4900, c’è pericolo in Europa?
a cura di Nerea Bulva
L
e notizie intorno a ebola
occupano da tempo le
prime pagine dei giornali e dei media di tutto il
mondo: si scrive e si legge di numeri, nuovi casi,
guarigioni, classifiche, previsioni, cure
e scenari presenti e futuri, e a volte si
prede di vista un po’ il quadro generale. Facciamo un po’ d’ordine, per avere
un’idea di come è la situazione nel
mondo.
Gli ultimi dati sull’attuale epidemia da
virus ebola sono dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità. Gli aggiornamenti risalgono al 19 ottobre e sono:
 4.877 è il numero dei morti finora
accertati a causa del contagio (la stima
è comunque approssimativa, perché
nelle aree rurali e nei piccoli villaggi
dei paesi africani dove c’è l’epidemia è
praticamente impossibile tenere traccia di tutti i casi di contagio)
 9.936 è il numero dei casi di contagio
 sono nove i Paesi in cui si sono registrati dei casi di ebola, ma sono attualmente sette quelli che sono ancora
coinvolti, in maggiore o minore misura.
Cinque di questi sono Guinea, Liberia, Sierra
Leone, Spagna, Stati Uniti. A questi si devono aggiungere il Congo (dove le morti sono
49 ma dove l’epidemia è “estranea” a quella
degli altri paesi africani: si tratta insomma
di un’epidemia diversa, “un evento distinto
e indipendente” dice l’OMS) e il Mali (dove le
autorità sanitarie hanno confermato il primo caso di ebola del paese: si tratta di una
IN REGIONE
D
bambina di due anni, il padre è morto per
ebola, non ci sono molte altre informazioni
a riguardo).
Per quanto riguarda i casi di ebola fuori
dall’Africa, va fatta un’altra fondamentale distinzione: alcuni di questi sono stati
contratti in Africa e poi diagnosticati o curati fuori dall’Africa; altri sono stati contratti
invece direttamente fuori dall’Africa. I paesi
dove questo è accaduto sono Spagna (il caso
Rovigno e Cittanova
campioni del turismo
opo sei anni Rovigno è stata
di nuovo proclamata “Campione turistico assoluto
della Croazia” per il 2014.
Ha vinto, infatti, sia il “Fiore
blu col marchio d’oro” quale città costiera
col migliore assetto ambientale, sia il “Fiore
turistico - qualità per la Croazia 2014”.
Il “doppio” premio, promosso dalla Camera
di Commercio, è stato consegnato nell’ambito delle Giornate del turismo croato svol-
22
Panorama
tesi ad Abbazia gli scorsi 16 e 17 ottobre
in occasione dell’assegnazione dei riconoscimenti alle migliori destinazioni, hotel,
marine, campeggi ed operatori turistici per
la stagione appena conclusasi.
“Questo premio torna a Rovigno con pieno
merito perché abbiamo lavorato sodo per
migliorare il più possibile la qualità delle
nostre offerte sia da parte delle aziende
turistiche Maistra e Valalta che dagli affittacamere privati e da tutti gli operatori turi-
arme
dell’infermiera Teresa Romero, che è guarita dal virus, e 83 persone sotto controllo
che avevano avuto dei contatti con lei) e
Stati Uniti (Nina Pham e Amber Joy Vinson, infermiere di Dallas, tutte e due in via
di guarigione che si sono contagiate dopo
aver avuto contatti con Thomas Eric Duncan
che aveva contratto il virus in Liberia e che
è morto all’inizio di ottobre). Attualmente
altri casi che hanno contratto la malattia in
Se ne parla moltissimo
ma tante cose
non sempre sono
chiare: quanti sono i
contagiati in Africa
e fuori; il numero
dei paesi coinvolti
aumenta o diminuisce
Africa sono: il medico Craig Spencer, Rick
Sacra e il cameraman Ashoka Mukpo. In
Texas 112 persone sono sotto controllo,
in Ohio 153 persone che facevano parte
dell’equipaggio o che erano passeggeri
del volo su cui aveva viaggiato l’infermiera Amber Joy Vinson sono monitorati ma
considerati a basso rischio di contrarre il
virus. In Europa c’è stato un unico caso
di morte per ebola: un operatore delle
Nazioni Unite aveva contratto il virus in
Liberia ed era stato trasferito all’ospedale
di Lipsia, in Germania, dove è morto il 14
ottobre.
L’emergenza riguarda insomma l’Africa,
anzi: alcuni paesi dell’Africa. Come più
volte è stato spiegato, i paesi occidentali
hanno i mezzi per rintracciare e isolare coloro che sono stati in contatto con
chiunque abbia contratto ebola, e hanno
i mezzi per trattare e curare coloro che
sono stati contagiati. Questo non vuol
dire che non ci sia alcun rischio, ma in
generale i funzionari della sanità pubblica sono sicuri della loro capacità di limitare il danno causato dal virus. In Africa
però le cose sono molto diverse, per via
della scarsezza di personale e risorse e
della mediocre cultura sanitaria delle
popolazioni.
Secondo le ultime dichiarazioni del direttore della Croce Rossa ci vorranno dai
quattro ai sei mesi per debellare l’epidemia a condizione però che si rispettino
tutte le misure di sicurezza necessarie e
che non vengano meno gli aiuti internazionali. L’OMS durante l’ultima riunione
del Comitato di Emergenza a Ginevra ha
detto che comunque ebola continua a
costituire un’emergenza sanitaria pubblica di rilievo internazionale, e ha espresso
“grande preoccupazione” per la situazione
nei tre paesi dell’Africa occidentale più
colpiti.
ben il 13 p.c. “Finalmente si è ripagato tutto
quello che abbiamo investito in questi anni,
specialmente nell’innalzamento della qualità
delle capacità ricettive, in primo luogo del
campeggio Laguna come pure di tutta l’insfrastruttura turistica come le spiagge e gli stabilimenti balneari” così la direttrice dell’Ente per
il turismo di Cittanova, Vesna Ferenc.
All’evento erano presenti il ministro al Turismo, Darko Lorencin, quello per la Salvaguardia dell’ambiente, Mihaela Zmajlović,
dei Trasporti, Siniša Hajdaš Dončić, dell’Imprenditoria ed artigianato, Gordan Maras, e
dell’Edilizia, Anka Mrak Taritaš. (n.b.)
Premiate ad Abbazia
in occasione delle
«Giornate del
turismo croato»
stici in generale”, così la direttrice dell’Ente per
il turismo di Rovigno. “Sono molto orgogliosa
di questo riconoscimento perché quest’anno
abbiamo di nuovo superato i tre milioni di pernottamenti che è un record in Croazia”.
Per quel che riguarda poi la categoria delle
medie destinazioni la cittadina di Cittanova ha
battuto sia Abbazia che Spalato con una buona
stagione e con l’aumento dei pernottamenti di
Panorama
23
dossier comuità
Pietro Varljen
Il presidente sogna
un’elementare
foto e testo di Ardea Velikonja
Comunità degli Ita
una grande fa
Il sindaco: «Indispensabile
ccIl presidente della Comunità degli Italiani
di Abbazia, Pietro Varljen
Con questo numero
parte la rubrica
«Dossier», un viaggio
nelle nostre Comunità degli Italiani, per illustrare e
promuovere l’attività
che svolgono a favore
del mantenimento della
presenza e della cultura
italiane nel territorio,
per far conoscere il loro
ruolo nell’ambiente in cui
operano, per parlare
dei problemi e dei progetti
che vorrebbero realizzare
“L
a nostra è una comunità
storica,
fondata nel 1946
come Circolo Italiano di Cultura.
Nel 1953, per le note vicissitudini
storiche, subisce la chiusura, come
del resto avviene pure per le scuole
elementari in lingua italiana di Abbazia. Il primo presidente della CI
è stato Alfredo Visintin, ed è stato
sempre lui a riuscire a far riaprire la
24
Panorama
Il rapporto tra la Comunità degli Italiani di
Abbazia e il sindaco della città, Ivo Dujmić,
potrebbe essere descritto così: affetto e
stima reciproci. “La Comunità degli Italiani
di Abbazia è molto numerosa e molto attiva – rileva Dujmić –. Sono tanti i progetti
che abbiamo fatto insieme e altrettanti
quelli che la Città supporta sia finanziariamente che in altri modi. A dimostrazione
degli ottimi rapporti che intercorrono tra
di noi sta l’assegnazione della sede alla CI
in uno degli edifici più belli e funzionali.
Mi riferisco a Villa Antonio. Questi ottimi
rapporti, che durano da anni, hanno portato ad un’iniziativa comune. La realizzazione di un nuovo asilo in lingua italiana.
E qui si sono incluse sia l’Unione Italiana
che l’Università Popolare di Trieste, i competenti Ministeri e non per ultimo il Consolato generale d’Italia a Fiume”.
“Il nuovo asilo è indispensabile per Abbazia e i suoi cittadini – sottolinea il sindaco
– e in particolare per quelli della minoranza italiana che vive in questo territorio.
Attualmente si sta lavorando sul progetto
dell’istituzione che, secondo quanto mi
è stato detto, sarà pronto entro la fine
dell’anno. Quindi si dovranno ottenere
tutti i permessi e passare, assieme ai part-
ner italiani, al completamento della struttura
finanziaria. Appena dopo indiremo il concorso
per la realizzazione dell’edificio, che si troverà
in una delle posizioni più belle di Abbazia: Punta Kolova”.
Comunità nel 1971, nella primissima sede, di ben 400 metri quadrati
nella bellissima villa che oggi ospita la Direzione delle entrate, vicino
al Tribunale comunale, ovvero di
fronte al Municipio di Abbazia. Da
qui la nostra sede verrà spostata a
Volosca in seno alla Casa di cultura.
All’inizio avevamo a disposizione
una sola stanzetta, e visto che questa cu era troppo stretta, dopo alcuni anni ci permisero di usare ancora
un locale. Nonostante le difficoltà,
la CI ha funzionato benissimo fino
al 2010, quando ci siamo trasferiti a
Villa Antonio, grazie esclusivamente alla volontà di aiutarci dimostrata
dal sindaco Ivo Dujmić, oltre che
ovviamente al sostegno dell’Unione
Italiana. In questo contesto mi sento
in dovere di raccontare il retroscena. All’epoca l’UI era alla ricerca di
una sede per noi e avevamo anche
una bella somma a disposizione. Ci
fProva di multiculturalità
“Questa è ancora una dimostrazione della
multiculturalità di Abbazia di cui andiamo
fieri, resa possibile anche grazie alla forte e
ben organizzata comunità che associa i cittadini di nazionalità italiana che sono i fautori
di tantissime attività e programmi seguiti anche dai cittadini della maggioranza. E questo
per me è un esempio di come bisogna vivere
e operare in una società pluralista e quindi
moderna”, aggiunge.
“Quanto il mio rapporto con la Comunità degli
Italiani sia cordiale e di reciproco rispetto penso
lo dimostri anche l’onorificienza, assegnatami
dal Presidente della Repubblica Italiana di Ufficiale dell’Ordine della Stella d’Italia, riconoscimento che mi è stato consegnato con una bella
cerimonia due anni fa dal Console italiano a
Fiume, Renato Cianfarani. Quindi credo che
anche a livello di Repubblica Italiana hanno saputo apprezzare i miei valori e il mio lavoro nei
confronti della Comunità degli Italiani. Per me
aliani di Abbazia
amiglia
l’asilo»
questo è un onore, e personalmente sono
soddisfatto dei rapporti di collaborazione
con tutti i gruppi minoritari che vivono ad
Abbazia e in particolar modo con la comunità italiana, una comunità profondamente legata al territorio in cui affondano le
loro radici”, conclude Dujmić.
fu il concorso pubblico per l’assegnazione di Villa Operetta, al quale
partecipammo anche noi. Il posto
era ideale, grandi stanze, parcheggio, centro città. Purtroppo, per
pochi spiccioli non riuscimmo ad
aggiudicarci i vani. Oggi il palazzo
in parola giace completamente vuoto! Grazie anche all’interessamento
dell’allora console generale italiano
a Fiume, Fulvio Rustico, insieme
con la Città di Abbazia abbiamo
Villa Antonio
sede della Comunità
degli Italiani
Panorama
25
dossier comuità
ccLa preziosa segretaria tuttofare Norma Tuliak Srbulj
quindi individuati questi spazi e noi
possiamo solo esserne riconoscenti.
Abbiamo tre stanze con servizi tutte per noi, e possiamo usare
quando vogliamo la grande sala
riunioni di Villa Antonio. Inoltre
ccLa prima riunione dell’Assemblea del sodalizio, dopo le rece
basta contattare la Municipalità e
ci è consentito l’usufrutto di Villa
Angiolina per varie manifestazioni.
Da non dimenticare che abbiamo a
disposizione pure la Casa di cultura
Zora, dove facciamo presentazioni,
concerti, conferenze, spettacoli dei
bimbi degli asili ecc., tutto gratis, ripeto. Insomma, una collaborazione
con l’amministrazione cittadina di
cui pochi possono vantarsi”. Ci dice
Pietro Varljen, presidente della CI
di Abbazia, che abbiamo incontrato
nella sede del sodalizio, assieme alla
preziosa segretaria tuttofare Norma
Tuliak Srbulj. “Aggiungo che il sin-
eeLa biblioteca è il luogo più
affollato nel pomeriggio
daco Dujmić, dopo aver incontrato
le varie delegazioni che sono in visita alla Città, porta sempre i suoi
ospiti qui da noi, per far conoscere
la nostra Comunità a tutti, a partire
del presidente della Repubblica di
Croazia, Ivo Josipović”.
Parliamo ora delle attività. “In tutto la Comunità conta 440 soci effettivi, più 60 sostenitori, quindi in
tutto circa 500 persone, che per noi
sono una grande famiglia. E come
in ogni famiglia ci siamo divisi i
compiti, ovvero abbiamo un responsabile alla cultura, uno allo sport,
un bibliotecario e la segretaria. Nel
corso dell’anno svolgiamo tantissime attività. La principale è il corso
di italiano per bambini e per adulti.
La scheda
Si deve ad Alfredo Visintin la costituzione del Circolo Italiano di
Cultura di Abbazia, avvenuta nell’agosto del 1946. Il prof. Pietro
Nutrizio ed Ermanno Bonassin saranno i fondatori e i principali
animatori del sodalizio. L’attività si spegnerà provvisoriamente nel
1953 con la “crisi di Trieste” e la conseguente chiusura delle scuole
italiane. La riapertura del Circolo si avrà nel 1971, sotto la spinta
dell’instancabile Alfredo Visintin, affiancato dal prof. Pietro Nutrizio (che nel 1975 verrà eletto presidente della CI e ne rimarrà
alla guida fino al 2006) e da altri collaboratori, fra cui Arno Blecich,
Francesco Belle e Ermanno Bonassin. Negli ultimi dieci anni il numero dei soci della CI di Abbazia varia dai 500 ai 550.
Tra le iniziative “storiche” promosse dai connazionali della “Perla del
26
Panorama
Quarnero” ricordiamo il Torneo dell’Amicizia, regionale e internazionale, la mostra di pittura internazionale ”MANDRACCHIO”, compartecipe con il Comune di Abbazia, i corsi di lingua italiana, per adulti e
ragazzi (iniziati nel lontano 1983, in cui c’erano ben pochi che li frequentavano, si svolgono tuttora con successo e interesse), il raduno
campestre estivo annuale, con il coinvolgiemento di tutti i soci, che
giocano a bocce, ai cerchietti, a briscola e tressette e altro.
Il sodalizio organizza poi le gite al fine di incontrare le altre Comunità degli Italiani, per poter far due chiacchiere e scambiare
le idee. La CI partecipa, assieme alla Città, pure allo scambio internazionale con le i comuni italiani di Castel S. Pietro Terme e
Cormagnola, gemellate con Abbazia.
ccGli interni della sede della vecchia Villa Antonio
enti elezioni
Abbiamo due docenti che due volta
alla settimana insegnano la lingua e
la cultrua italiane a una settantina
di persone. Poi c’è la scuola di musica Girotondo, riservata ai bambini
dell’asilo, dove imparano a suonare il
pianoforte, ma anche l’italiano. Sulla
nostra CI gravitano quattro asili in
tutto, uno ad Abbazia, uno a Laurana, la Scuola di musica e la sezione
per l’apprendimento veloce dell’italiano di Mattuglie. Ogni anno i
bimbi di tutte e quattro le istituzioni
preparano uno spettacolo natalizio,
che ha tanto successo di pubblico”,
dice Varljen.
Per quanto riguarda le attività culturali, presso la Casa Zora e Villa Angiolina avvengono presentazioni di
libri, conferenze, convegni, mostre,
seguitissime anche dal pubblico della
maggioranza. “Prima della crisi economica, che attanaglia tutta l’Europa, facevamo gite di studio in Italia,
precedute da conferenze propedeutiche organizzate dall’UI in collaborazione con l’Università Popolare di
Trieste. Purtroppo, da tempo non
facciamo più escursioni simili. Oggi
ne facciamo un paio a nostre spese,
visitando le varie Comunità degli
Italiani. Ecco l’ultima l’abbiamo fatto di recente a Zara, dove abbiamo
incontrato i colleghi della locale CI,
mentre lo scorso anno siamo stati
a Castel San Pietro Terme grazie ai
sindaci delle due cittadine - spiega
ancora Varljen -. Infatti, Abbazia e la
cittadina dell’Emilia Romagna sono
gemellate. Durante la visita che tradizionalmente una delegazione fa ad
Abbazia, il sindaco Ivo Dujmić ha
portato qui in Comunità il sindaco
di Castel San Pietro Terme, che in
occasione dei trent’anni del gemellaggio ci ha invitati a visitare la loro
cittadina. Detto fatto, il ‘nostro’ sindaco ci ha organizzato l’autobus e
ccLa bellissima gita offerta dai sindaci di Abbazia e Castel San Pietro Terme nella cittadina toscana
ccL’ultima gita fatta dagli attivisti a Zara per visitare i colleghi della locale CI
Panorama
27
dossier comuità
per tre giorni siamo stati ospiti della
cittadina italiana senza spendere un
soldo”.
Occorre tener presente che gli spettacoli e i vari eventi promossi dalla CI registrano quasi sempre “il
pienone”, a testimonianza del ruolo culturale che il sodalizio svolge
per tutta la città. Tutto roseo? “Un
problema che condividiamo con
tante altre realtà simili alla nostra
è l’assenza di giovani, il r ricambio
generazionale. I nostri ragazzi per
lo più studiano all’estero, e poi oggi
la gioventù ha altri interessi. Forse
avendo una scuola elementare in
lingua italian, magari solo fino alle
classi inferitori, le cose potrebbero
cambiare. La scuola è fondamentale
per il mantenimento della lingua e
dell’identità. Purtroppo, per i genitori che abitano in tutta la Liburnia,
con la vita che corre, è difficile portare i figli a Fiume alle scuole italiane. Avere qui ad Abbazia almeno
le prime quattro classi sarebbe l’ideale, così i ragazzi potrebbero includersi nell’attività della CI fin da
piccoli”.
Desideri per il futuro? “Ma noi siamo contenti così, la sede ci va benissimo - risponde il presidente -.
Vero è che il contratto d’affitto scade nel 2018, ma noi rifaremo la richiesta e non dubito che il sindaco
l’accoglierà. Paghiamo d’affitto solo
250 euro al mese per una sede che
abbiamo preso bell’e pronta. Noi ci
abbiamo messo solo i mobili. Macchè edifici da 200-300.000 euro!
Noi ci accontentiamo con poco e
non ne va di mezzo l’attività”.
“Per il resto, vorremmo tanto che
venisse riaperta la scuola, che riprendessero le conferenze legate
alle gite in Italia, ma purtroppo
ci rendiamo conto che il contesto
nono solo italiano, ma anche croato, è limitante. Speriamo in un futuro migliore. Speriamo che i giovani vengano presto in Comunità.
Speriamo, inoltre, di poter tagliare
in questo mandato il nastro per
l’apertura del nuovo asilo di Punta
Kolova”.
28
Panorama
ccAl “Torneo dell’amicizia” si gioca a briscola e tressette e si scambiano esperienze
Due i fiori
all’occhiello
del sodalizio
“Due sono le manifestazioni nostre, e solo
nostre, di cui andiamo fieri e di cui siamo
fondatori: il ‘Mandracchio’, concorso internazionale di pittura, che il prossimo anno
spegnerà 30 candeline, e il ‘Torneo dell’amicizia’ di briscola e tressette, arrivato
quest’anno alla 37.esima edizione”, ci ha
detto Pietro varljen.
“La prima, nata nel 1986 come una coraggiosa e piccola manifestazione artistica da un’idea di Claudio Frank, Diana
Pamić e della Comunità degli Italiani di
Abbazia, la chiamarono ‘Mandracchio’ in
onore al porticciolo di Volosca, dove, in
pratica, si svolge il clou della competizione, che con gli anni è cresciuta in bellezza
e prosperità, seguita da migliaia di persone, fino a diventare una vera e propria
festa di colori e d’arte, a cui ogni anno
prendono parte, come partecipanti o solamente in veste di spettatori, centinaia
ccUna delle edizioni del “Mandracchio”
di artisti nostrani e dall’estero.
La seconda, è il ‘Torneo dell’amicizia’, cominciato timidamente nel 1979 a Pola,
con la partecipazione di 8 Comunità degli
Italiani. Di anno in anno abbiamo girato
per l’Istria fino a che ci siamo accorti che
quando era la volta di Abbazia tutti erano
felici di farsi una passeggiata per il lungomare dopo aver giocato e abbiamo concluso che anche geograficamente si era ‘nel
posto giusto’ e così da sedici anni il torneo
si svolge all’albergo Admiral della Perla
del Quarnero, dove ormai siamo di casa e
ci accolgono veramente come amici e non
come ospiti. L’anno scorso erano presenti
30 CI, un po’ meno rispetto al 2012; l’appuntamento è stato comunque un successo, con una grande partecipazione. Sono
stati oltre 200 i visitatori, tra concorrenti e
gruppi di supporto. Al Torneo non si parla
solo di briscola e tressette, ma è un’occasione per parlare di tante altre cose: di
com’è andata la raccolta dell’uva, delle
olive, delle riparazioni che occorrono per
rimettere in mare la propria barca. Insomma, è l’opportunità per instaurare anche
nuovi rapporti d’amicizia e, chissà, forse
realizzare pure qualche buon affare”, ha
concluso Pietro Varljen.
territorio
risorse
Sei sette anni fa in una
stagione si raccoglievano fino a 700 chili
dei succulenti marroni,
oggi se si riesce a
raccogliere 120 chili
si può esseri felici. Lo
dice Edita Turkković
una delle proprietarie
del più grande bosco di
castagne sulle falde del
Monte Maggiore
Una Marunada
senza marroni
I boschi
del Lauranese
sono sempre
più ammalati
Bisogna correre ai
ripari al più presto
O
ttobre è il mese delle sagre dei frutti di
bosco e fra queste
certamente la più
conosciuta dalle nostra parti è la Festa dei marroni di
Laurana che si articola in tre fine
settimane. Laurana, piccola cittadina ai piedi del Monte Maggiore,
è fiera di avere la sua sagra che
dura da ben 41 anni. E i succulenti marroni (castagne più grandi
delle altre) crescono appunto sul-
le falde del monte che sovrasta il
Quarnero. Purtroppo quest’anno
ce ne sono stati pochissimi causa l’estate piovosa e un autunno
che fa le bizze. Ma gli operatori
turistici della regione non hanno
desistito ad organizzare le feste
in tre località: Laurana, Dobreć e
Liganj, dove, complice il bel tempo, c’è stata tantissima gente venuta ad assaggiare quell’alimento
che Giovanni Pascoli chiamava
“l’italico albero del pane” e i dolci
fatti esclusivamente con castagne.
Non essendoci quelle nostrane, sugli stand venivano vendute le castagne spagnole, che però
come gusto nulla hanno a che fare
con i nostri marroni. Gli stessi
proprietari dei boschi di marroni quest’anno sono disperati.
Edita Turković, una delle proprietarie del più grande bosco di
castagne del Lauranese, ha detto che i marroni quest’anno sono
pochissimi. “Sei-sette anni fa una
settimana prima della Bela Nedeja (ovvero la prima domenica
di ottobre) avevo già raccolto sui
700 chili di marroni. Quest’anno
in tutto sono riuscita a raccogliere
120 chili. A parte il tempo l’80 per
cento degli alberi è stato attaccato
dal cinipide o vespa del castagno,
l’insetto più nocivo a livello mondiale che causa il veloce deperimento delle piante che attacca.
Quindi ci sono sempre meno alberi. Qui, ha concluso, bisognerà
fare qualcosa al più presto se non
si vuole far sparire il marrone lauranese”.
Nonostante ciò il pubblico sa che
in queste tre località la Marunada, come si chiama da queste parti, è un’occasione per stare all’aria
aperta, per gustare sì le castagne
ma anche salsicce e crauti che tradizionalmente vengono accompagnati da tanta musica e tanta
allegria.
A.V.
Panorama
29
risorse
DUŠKO MARUŠIĆ/PIXSELL
territorio
Sesta
edizone
di ISAP
30
Panorama
Anche
quest’anno
grande
interesse
per la fiera
internazionale
dei «violini»
Antignana
tutte le sfumature del prosciutto
fIstria vs. Dalmazia
Come in ogni edizione precedente, a contendersi il titolo di miglior prosciutto sono stati
l’Istria e la Dalmazia, anche se si tratta di due
prosciutti completamente diversi. Un’apposita
giuria, composta da quindici esperti che fanno
capo all’Associazione analisi sensoriale del prosciutto, diretta da Blanka Sinčić Pulić, ha quindi
scelto i vincitori del gusto: primo classificato il
prosciuttificio “Antolović” di Antignana per il
crudo istriano, primo posto per quello affumicato al prosciuttificio “Mrki” di Traù (Trogir).
Alla manifestazione 2014 ha assistito pure un
nutrito numero di ministri del Governo croato,
con a capo il premier Zoran Milanović, anche
perché hanno voluto annunciare in quest’occasione l’avvenuto accordo con la Slovenia in
merito al marchio di prosciutto istriano dop.
dell’accordo con la Slovenia sull’uso del
marchio ‘prosciutto istriano dop’. L’accordo è
un modello certamente utile sia per la Croazia che per la Slovenia. Entrambe potranno
usarlo. Questo accordo apre a una più agile
cooperazione transfrontaliera in quanto il
prosciutto certo non è questione politica,
governativa: appartiene al territorio. Vogliamo tutelare anche altri prodotti quali la
pancetta, l’ombolo, le salsicce e il vino”, ha
concluso Flego.
Comunque, tornando alla due giorni di Antignana, complice anche il bel tempo, da rilevare che il numerosissimo pubblico non ha
esitato a provare i numerosi “violini”, anche se
per 100 grammi si pagavano 40 kune.
fA ruba lo «spagolo»
Andato a ruba il prosciutto spagnolo che
veniva venduto a ben 100 kune per cento
grammi. Tutti hanno voluto provare qualcosa di diverso e infatti lo “spagnolo” ha
un gusto completamente diverso da quello
nostrano: si chiama jamon iberico de bellota. Bellota in spagnolo significa ghianda e
infatti il prosciutto proviene da suini neri
(pata negra) che vengono nutriti esclusivamente con le ghiande. Di conseguenza
la carne è molto più scura ed ha un gusto
dolciastro.
Forti dell’esperienza dell’anno scorso i produttori spagnoli presenti quest’anno hanno
portato ben 100 prosciutti che sono andati
tutti a ruba nonostante il prezzo.
Ma ISAP 2014 non ha presentato solo prosciutto, c’erano stand con formaggi e con
vini della zona, il tutto accompagnato da
musica e tanta allegria che il pubblico ha
certamente gradito. A. V.
PIXSELL
I
n barba alla crisi economica e al forte calo
del potere d’acquisto, oltre 20mila visitatori si sono mangiati ad Antignana circa
500 prosciutti e altrettanti ne sono stati
acquistati interi. Questi i risultati della
sesta edizione di ISAP 2014, la fiera internazionale del prosciutto, che ogni anno richiama
nel piccolo borgo istriano i migliori produttori
della Croazia, del Montenegro, della Spagna,
dell’Austria e della Serbia.
fAccordo con la Slovenia
E in merito è stato Valter Flego, presidente
della Regione Istriana, a ribadire: “Siamo
felici e soddisfatti per il raggiungimento
Certificazione dop: un marchio unico
La certificazione dop non conterrà l’indicazione dello Stato
d’origine. Il prosciutto istriano si ricava da una tecnologia
propria di questo territorio ripartito tra tre stati, che verrà timbrato con un marchio a
caldo unico. Riporterà la dicitura in croato e in sloveno “Istarski pršut-istrski pršut”. In
poche parole, ha avuto un epilogo pacifico il ricorso presentato dalla Slovenia nel 2012
alla richiesta croata di registrare il Prosciutto istriano all’Unione europea.
Istarski pršut-istrski pršut
Panorama
31
Europa Neu Denken
Ripensare l’Europa
Storie e mentalità
dell’Adriatico,
curiosità e conflitto
come segreto dello
scambio
di Marino Vocci
L
a tre giorni internazionale tenutasi
nella
splendida
sala
“Georgios”
del Centro pastorale culturale
di Pirano, dal 17
al 19 ottobre, in ricordo del Prof.
Michael Fischer dell’Università di
Salisburgo, con studiosi italiani,
sloveni, austriaci, tedeschi e presente - diversamente a quasi tutti
i politici nostrani, che intervengono all’apertura dei lavori e poi se
ne vanno, ha partecipato a tutte le
giornate di lavoro - il Commissario
europeo alle Politiche regionali e
prossimamente a quelle di Vicinato, Johannes Hahn, è stata una straordinaria opportunità per riflettere
sul passato e sul presente. E soprat32
Panorama
tutto ripensare insieme sul bisogno
di riscoprire il Mediterraneo nella
sua interezza e guardare al futuro
comune, di questa nostra piccola
parte d’Europa, partendo prima di
tutto dall’Adriatico il mare dell’intimità e dal Golfo di Trieste il mare
dell’amicizia.
L’Adriatico, e in particolare il Golfo di Trieste lì dove il Mediterraneo abbraccia l’Europa di Mezzo,
è uno straordinario eco-mosaico
paesaggistico, ambientale e culturale. Mondi di terra e di mare, di
pastori e contadini e di pescatori
e salineri, per Fernand Braudel un
mare di montanari. Un paesaggio
culturale e allo stesso tempo colturale che è un piccolo compendio
dell’universo.
Un mondo plurale nel quale,
come per Trieste ci ricordava Scipio Slataper negli ”Scritti politici”
del 1925 (ripeto 1925, e quindi
l’anno IV° dell’era fascista!), tutto
è doppio o triplo a partire dal-
eeJohannes Hahn
società
la flora per arrivare all’etnicità.
Anche se come ebbe a dire Bobi
Bazlen nel criticare la metafora di
crogiolo appioppata da Slataper
alla Trieste mercuriale e plurietnica: “Trieste è stata tutto meno
un crogiolo” visto che qui “un
tipo fuso non s’è mai prodotto”.
Un territorio complesso e affascinanti, caratterizzato dal punto di
vista naturale, biologico, linguistico e culturale da una profonda diversità e biodiversità: che
conferisce al paesaggio colturale
e culturale e non solo al paesaggio, una straordinaria bellezza. La
ricchezza e la bellezza delle diversità.
Questi nostri mondi plurali e dai
confini mobili, nel corso dei secoli non solo ci hanno raccontato
mille storie, ma ci hanno, almeno
in parte e solo in parte purtroppo, anche vaccinato dai rischi che
corre questo nostro mondo se
rincorre i nazionalismi, i micronazionalismi e gli stereotipi. Occorre che la grande crisi che stiamo vivendo, non solo economica
ma anche e soprattutto di valori,
e poi l’urgenza ecologica, ci faccia prendere coscienza del legame
che unisce tutte le cose. Dove la
prima categoria dell’essere non è
la sostanza, ma è la relazione; una
relazionalità globale che supera
l’antropocentrismo e l’utilitarismo che ne discende.
Dobbiamo riscoprire l’etica della
frontiera e scegliere di vivere o
meglio buen vivir, questa nostra
complessa e ricca società plurale. Dove non l’indifferenza ma il
dialogo e il confronto aperto e
a volte perchè no, anche aspro,
devono diventare un strumento
essenziale per difenderci da identità spesso gonfiate agli estrogeni,
da egoismi a volte ipertrofici e
soprattutto dalle mille separatezze e solitudini. Una società dove
donne e uomini oltre a battersi
per una conversione/rivoluzione
ecologica desiderabile, abbiano la
voglia di incontrare l’altro; di essere se stessi ma anche l’altro.
Difendere le specificità e unire
questi straordinari microcosmi
plurali, capitalizzando e facendo tesoro anche economico, di
tutte le diverse potenzialità presenti e ancora inespresse, poco
conosciute e valorizzate. Questo
ci impone non solo la storia, ma
anche il presente per questo nostro mondo alto adriatico, questa
piccola parte del Mediterraneo.
Microcosmi complessi dove, se
vogliamo guardare al futuro con
fiducia e speranza, è necessario
e direi fondamentale, non ricercare l’omologazione e la standardizzazione (di culture e colture,
di paesaggi e visioni) e neppure
identità gonfiate e monumentalizzate, esclusive ed escludenti,
ma cercare insieme di superare
tutti i vari confini e condividere
e valorizzare la bellezza delle diversità, come quelle presenti di
questi bellissimi luoghi plurali
dell’Alto Adriatico.
Un mare che è paesaggio dell’anima e si sente sulla pelle, è cibo per
la mente. Ma anche per il corpo.
Il filosofo Mirt Komel nel suo intervento “Essere Europei, essere
mediterranei: monoteismo del
mare, pluralismo della terra” attraverso precisi riferimenti alla filosofia di Hegel e Marx, di Lacan
e con citazioni del grande Paul
Valéry ha ripercorso il significato
dell’essere mediterraneo, partendo dalle parole con cui i popoli
si sono impossessati di questo
mare dell’Intimità e della vicinanza dall’arabo (Il Mare Bianco)
al latino; passando per le metafore elaborate dalla cultura greca sull’esperienza e la percezione
del mare, luogo di Dei e Sirene e
quindi della terribilità.
La molteplicità ontologica della
terra, dominata dalle polis/città,
è una caratteristica che contraddistingue il mare nostrum, ed è
possibile solo grazie alla profonda unità che caratterizza questo
mare, che non è ridotto a limes
e nemmeno a soddisfazione del
lacaniano plaisir o jouissance,
ma una necessità che permette
di conservare attraverso il “monoteismo” del mare, la “pluralità”
delle terre. Il mare non è di nessuno, ma è un bene comune di
tutti; è inclusivo e non esclusivo e
non distingue il colore della pelle,
le nazioni, le monete.
A più riprese dalle voci giovani presenti al Simposio è venuta
fuori l’esigenza di riaffermare la
cultura come nodo centrale di
ripensare a quest’Europa sempre
più piegata su valori economici
e sempre meno sulle specificità
umane (l’arte è proprio una di
queste) del nostro stare al mondo. I giovani universitari che
hanno dialogato con Johannes
Hahn l’ultimo giorno, il filosofo
Mirt Komel, la critica letteraria
Martina Vocci (con un bellissimo
intervento su “Il mare di Fulvio
Tomizza”, la grande anima istriana, del et et e non dell’aut aut)),
lo scrittore Marko Dinic, la germanista Claudia Höckner, la filosofa Tina Perissutti, Martina
Genböck: tutti hanno concordato
sul valore supremo che hanno le
arti nel far dialogare persone che
provengono anche da ambienti
diversi ma che in questo unico
linguaggio universale hanno la
possibilità di rendere percepibili
memorie e mondi.
E allora perché non lanciare un’idea di Festival delle Arti in cui siano i giovani protagonisti, magari guidati dai loro più “navigati”
mentori, in cui per qualche giorno non si possano far dialogare
mondi ed eccellenze?!
Panorama
33
made
in italy
Idea Natale edizione XXVI
Dal 13 al 16
novembre la vetrina
dedicata al regalo,
alle produzioni
artigianali, alla
creatività manuale
Un nuovo modo
di vivere la casa
e l’abitare
a cura di Ardea Velikonja
«Casa Moderna»
si è conclusa
la 61.esima
edizione
della più vecchia
fiera del Friuli
Venezia Giulia
L
a casa resta sempre un
grande punto di riferimento, un interrogativo, un impegno e anche
un grande sogno per la
maggior parte delle persone: lo testimonia, ormai da oltre 60 edizioni, una fiera come Casa Moderna
che ha visto passare migliaia di visitatori tra gli stand del quartiere
fieristico udinese dove gli espositori ce l’hanno messa proprio tutta
per dare anche quest’anno le riposte giuste alle esigenze del pubblico, ma hanno anche saputo suggerire idee, creare quelle emozioni e
suggestioni che non sono da poco
nella scelta di investire sul luogo
dove abitiamo. Le accurate ambientazioni di soggiorni, camere,
cucine e bagni ricreate negli stand
intercettano piuttosto facilmente
l’attenzione del pubblico, vista la
bellezza dei pezzi esposti e delle
firme che li caratterizzano, ma c’è
tutta una parte di “Casa Moderna”,
forse meno appariscente ed esteticamente meno coinvolgente, che il
visitatore comunque cerca e trova
per rendere la propria abitazione
anche più funzionale e capiente,
più sana, più attenta al risparmio
energetico.
Nulla va dato per scontato, specialmente in questo periodo di crisi e di incertezze, neanche quando
si tratta della fiera di punta del
palinsesto fieristico del Friuli Venezia Giulia appena conclusa nel
quartiere fieristico udinese: ben
consapevole di questo e vivendo
in prima persona le problematiche che non risparmiano il sistema fieristico su scala nazionale e
internazionale. “Udine e Gorizia
Fiere si è ulteriormente rimboccata le maniche già da tempo - come
afferma il Presidente Luisa De
Marco - per far sì che esperienze,
patrimoni e strumenti di promozione e di sostengo dell’economia
e del territorio quali sono le fiere,
e in modo particolare ‘Casa Moderna’, continuino a rinnovarsi e
adeguarsi alle esigenze più attuali della domanda e dell’offerta. Il
nostro impegno come organizzatori di un evento che ha voluto
rappresentare e sostenere tutto il
‘sistema casa’ si è combinato con
l’impegno, il coraggio e la professionalità degli espositori ai quali
va sicuramente ribadito il nostro
grazie e con i quali va condiviso il
eeIl pubblico più numeroso: i giovani che devono mettere su casa
34
Panorama
successo di questa 61.ma edizione.
Un successo che sarebbe errato ridurre, oltre che peccare di miopia,
alle migliaia di visitatori che negli
ultimi dieci giorni hanno affollato gli stand di ‘Casa Moderna’: è
cambiato l’atteggiamento del visitatore, che si dimostra sempre
più attento e informato, motivato,
nelle sue scelte, da fattori e motivi,
culturali ed economici. Anche gli
espositori hanno percepito perfettamente questa ‘nuova tipologia’
di pubblico e nel proprio stand
avevano le risposte giuste per intercettare e rispondere ad un nuovo modo di vivere la casa e l’abitare. I contatti mirati nati in fiera
in questi giorni sono un tesoro
preziosissimo sul quale le aziende
lavoreranno nell’arco dei prossimi
sei/otto mesi. Questo è il risultato
che più conta per la Fiera e per il
futuro delle nostre manifestazioni.
E in tutto questo vanno ricordati e ringraziati i nostri partner, la
Camera di Commercio di Udine,
e gli sponsor che sono stati anche
espositori vivendo concretamente
l’esperienza e l’impatto di ‘Casa
Moderna’: lo sponsor bancario
FriulAdria e lo sponsor tecnico
Amga Energia & Servizi”.
Un altro punto di forza di “Casa
Moderna” n. 61 sta nella sua versione “verde”, il colore che contraddistingue da oltre un decennio la sezione espositiva di Casa
Biologica dedicata all’abitare ecosostenibile: un padiglione che ha
evidenziato sia l’espansione e la
specializzazione dell’offerta di ma-
ccTanto interesse per gli accessori
Versione Verde
per l’ambiente
Casa Biologica:
un padiglione
sull’ecosostenibile
efficienza e risparmio
energetico da oltre dieci
anni offre materiali,
tecnologie e servizi
teriali, tecnologie e servizi, sia l’aumento di interesse della domanda
in termini di qualità della vita, efficienza e risparmio energetico.
Il prossimo appuntamento B2C
(Business to Consumer) sul quale
la Fiera è già al lavoro è Idea Natale, che di edizioni ne raggiungerà
26, dal 13 al 16 novembre. L’obiettivo di questa vetrina, dedicata al
regalo, alle produzioni artigianali,
alla creatività, alla manualità e alla
solidarietà, è offrire alle aziende
la presidente Luisa de Marco
«È cambiato
l’atteggiamento
del visitatore che
si dimostra
sempre più attento
e motivato»
del settore l’opportunità di presentare e promuovere in anticipo
al grande pubblico idee e suggerimenti per i regali di fine anno:
questo anche per evitare le corse
stressanti dell’ultimo minuto a
caccia del regalo, per offrire una
gamma ampia e diversificata di
gusti e di prezzi e per assecondare quella riscoperta e sempre più
diffusa esigenza di creare il regalo
su misura, magari fatto con le proprie mani.
eeIl moderno
design che
caratterizza Casa
Moderna
ccLa presidente di Udine e Goriza
Fiere, Luisa De Marco, in uno
degli stand
Panorama
35
dal passato
catastrofi
Fame e tifo. L’ann
Il passato
della Terra
è disseminato
di casi di forti
variazioni
climatiche, che
hanno causato
dissesto economico, sociale
ed ecologico.
Come avvenne
due secoli fa
di Rino Cigui
D
a alcuni decenni la tematica legata alle variazioni climatiche a cui
è sottoposto il nostro pianeta è
diventato uno dei problemi scientifici più importanti e dibattuti. Il
crescente interesse che si registra
attorno a quest’argomento è dovuto al fatto
che il riscaldamento del nostro Pianeta implica, come hanno rilevato i climatologi, un
insieme di cambiamenti ambientali quali, ad
esempio, la variazione della quantità e del regime delle piogge, lo scioglimento dei ghiacciai e delle calotte polari, l’innalzamento del
eeLa porta piccola di
Pinguente. In Istria
il contagio non si
manifestò ovunque
con la stessa intensità: elevata fu la
mortalità nell’Istria
nord-occidentale
e soprattutto in
quella centrale
36
Panorama
livello del mare, il cui impatto sull’umanità,
sull’ambiente e sull’assetto produttivo della
società umana può essere devastante. La
storia della Terra è purtroppo disseminata di
catastrofi provocate da forti e brusche variazioni del clima, intervenute nell’arco di alcuni
decenni o secoli, che hanno inferto ferite e
causato un insieme di conseguenze negative
su vaste aree del Pianeta.
Una di queste è la grande carestia che colpì il
continente europeo e l’Istria negli anni 18161817 e che, a giudizio degli storici, fu per durata, estensione e intensità, l’ultima apparizione
di questo fenomeno nella sua forma traumatica di dissesto economico, sociale ed ecologico.
fPiogge e freddo
Negli anni 1815-1817 l’Europa fu investita da
una pandemia di fame, crisi di sussistenza e
malattie le cui cause erano da ascrivere alle
guerre rivoluzionarie e napoleoniche, che
avevano lasciato ai governi gravi scompensi
economici e gravami finanziari, a conflitti sociali non del tutto spenti e a una serie di particolari aberrazioni climatiche coincidenti con
un periodo di bassa attività solare (Minimo
di Dalton) e con temperature globali ben al
di sotto la media, che determinarono il crollo
della produzione agraria e, secondo lo storico
americano John Dexter Post, “l’ultima grande
crisi di sopravvivenza nel mondo occidentale”.
Le avvisaglie della crisi, che ebbe il suo culmine nel 1817, furono avvertite tuttavia già nel
1816, noto in ambito climatologico come “l’anno senza estate”, quando alcune gravi anomalie estive distrussero i raccolti originando una
delle più drammatiche crisi di sussistenza che
l’Ottocento europeo ricordi.
Se quell’anno l’inverno e la primavera erano
trascorsi, a parte alcuni episodi di freddo nel
mese di maggio, nella normalità, la vera sorpresa fu rappresentata dall’estate. Il 6 giugno,
infatti, un’ondata di aria fredda raggiunse il
Nord America e l’Europa settentrionale e per
cinque giorni si registrò una brusca diminuzione della temperatura con nevicate e gelate che
rovinarono le coltivazioni. Il giornale “The Independent Chronicle” di Boston registrò l’inconsueta inversione climatica di quei giorni e
riferì che “Il 5 giugno c’è stata una mattinata
calda, seguita da forti piogge nel pomeriggio,
accompagnate da tuoni e lampi, con venti
freddi da nord-est. Il 6, il 7 e l’8 giugno i fuochi nei camini delle nostre case erano molto
gradevoli”.
Intorno al 10 luglio vi fu una nuova irruzione
di aria artica alle alte e medie latitudini, che
diede il colpo di grazia a un’agricoltura già
provata e causò un aumento dei prezzi del
mais e del frumento.
Il ritorno, tra la fine di luglio e la prima metà
no senza estate: il 1817
eeVeduta di Gimino. Il parroco locale
scriverà di fame nera patita dalla
sua gente, alla quale si aggiunsero
“intiere schiere di mendici tanto
austriaci, che ex Veneri, Furlani, Cadurini, etc., che correvano da porta in
porta da 50, e 60 al giorno gridando
pietà, e chiedendo socorso”
di agosto, a condizioni meteorologiche normali
fece sperare che il peggio fosse passato.
L’ottimismo, tuttavia, lasciò ben presto il posto
alla disperazione: a fine agosto, infatti, un nuovo fronte freddo investì tutto l’emisfero boreale
e si spinse fino al Mediterraneo, distruggendo
gran parte del raccolto di granoturco, patate,
fagioli e uva che diventò alimento per il bestiame.
fGuerra per il cibo
La scarsità dei raccolti, con il conseguente aumento del prezzo dei viveri di prima necessità,
provocò la fame principalmente negli stati
europei coinvolti nelle guerre napoleoniche,
i quali, tuttavia, affrontarono la crisi in modo
differente. Se nei territori tedeschi i governi
e le amministrazioni si mantennero a debita
distanza dagli affamati e, se necessario, ricorsero alla forza militare per arginare i disordini
e le violenze, in Gran Bretagna e in Francia ci
furono vere e proprie rivolte per il cibo, che portarono al saccheggio dei magazzini di grano; in
Svizzera il governo fu costretto a proclamare
l’emergenza nazionale, mentre nell’Impero
asburgico a soffrire con maggiore intensità fu
l’Ungheria e, in genere, tutti i paesi alpini della
Monarchia, dal Tirolo alla Stiria.
La fame trovò sfogo in comportamenti violenti
e antisociali, che misero a dura prova l’istinto di
conservazione di molte persone, e fece emergere il peggio della natura umana. Le vittime dell’inedia diventarono disperate ed egoiste, persero
dignità e cedettero a pulsioni che in tempi normali sarebbero stati addirittura impensabili.
Le anomalie climatiche e la conseguente
carestia ebbero ripercussioni anche a livello
sanitario. Oltre al tifo petecchiale, responsabile dell’ultima grande epidemia d’ancien
régime, una delle conseguenze provocate
dal tempo inconsueto fu, in base agli studi
del già citato John D. Post, l’esplosione della
prima pandemia di colera a livello mondiale.
Questa malattia, endemica da secoli nella
regione indiana del delta del Gange, divenne epidemica in conseguenza della carestia
provocata dai mancati raccolti e, nel 1817,
dal Bengala iniziò la sua lunga marcia di avvicinamento all’Europa, raggiunta nel 1830,
dove ebbe effetti catastrofici.
La fredda estate del 1816 non sfuggì comunque all’attenzione degli scienziati dell’epoca,
che cominciarono a indagare su quali fossero
state le cause di tali anomalie. Una delle ipotesi riguardava un’apparente intensificarsi delle
macchie solari comparse, negli anni precedenti, in numero e intensità maggiori, mentre
il fisico tedesco Ernst Chladni imputò il freddo
all’espansione dei ghiacciai artici nell’Atlantico
settentrionale. Altri, infine, attribuirono la responsabilità di tali fenomeni agli esperimenti
compiuti anni prima da Benjamin Franklin per
studiare l’elettricità atmosferica e realizzare il
parafulmine, i quali, si credeva, avessero influenzato il flusso del calore della Terra che
scorreva sotto la sua superficie.
fL’eruzione del Tambora
Il reale motivo di quest’anomalo abbassamento delle temperature fu scoperto solo
nel 1913 dal fisico americano William Humphreys, il quale, grazie alle sue osservazioni,
mise in correlazione la diminuzione globale
della temperatura con l’immissione di polvere nell’atmosfera terrestre dovuta a eruzioni
vulcaniche particolarmente intense.
Nell’aprile 1815 si verificò una spaventosa
eruzione del vulcano Tambora sull’isola di
Sumbawa, nell’arcipelago indonesiano della
Sonda, considerata dai vulcanologi a tutt’oggi
una delle più potenti mai verificatesi dalla fine
dell’ultima Era glaciale (è classificata del settimo grado secondo l’Indice di Esplosività Vulcanica o VEI). Si ritiene fossero stati proiettati in
aria 1.300 metri di cono vulcanico, equivalenti
a circa 150 miliardi di metri cubi di roccia, cenere e altri materiali; l’altezza della montagna,
dai 4.100 metri originari, si ridusse agli attuali
2.850, mentre fu stimato che le ceneri emesse
negli strati superiori dell’atmosfera, a 44 chilometri d’altezza, provocarono in conseguenza
della riflessione della radiazione solare una diminuzione globale della temperatura quantificabile in 1.2-3 gradi centigradi. Le persone che
persero la vita a causa dell’improvvisa attività
vulcanica furono circa 10mila e altre 12mila
perirono per i violenti maremoti.
Quella del Tambora era, in ordine di tempo,
l’ultima di una serie di eruzioni vulcaniche: nel
1812 erano entrati in attività i vulcani Soufrière
nei Caraibi e Awu in Indonesia, l’anno dopo il
Suwanose in Giappone e nel 1814 il Mayon
nelle Filippine. In Europa nessuno associò la
fredda estate del 1816 con un avvenimento
così lontano e che nulla, apparentemente, aveveva a che vedere con quanto stava accadendo
nel vecchio continente.
fL’orribile carestia
“Nella orribile carestia dell’inverno 1816-1817,
questa miserabile popolazione si conservò in vita
unicamente con legumi, e particolarmente con
fave e lenticchie di minor prezzo, e per la maggior parte guaste ed ammuffite ne lunghi viaggi
di mare, di segale d’infelice qualità, di formenti
bagnati e quasi putridi, d’erbe di qualunque
specie vegetavano nelle campagne, e con foglie
secche, e con peggiori e più nauseanti alimenti;
quindi, innanzi che cadessero ammalati, si vidde
un numero sorprendente di visi pallidi, e tetri, di
cachetici, di leucoflegmatici, di atrofici consunti
dalla fame, di spetri ambulanti mal coperti con
lacere e succidissime vesti che trascinavano a
stento un avvanzo di vita odiosa e languente”.
Questa drammatica testimonianza sulla crisi di
sussistenza, che aveva colpito Rovigno nell’inverno-primavera 1816-17, redatta dal medico
comunale dottor Giovanni Battista Fiorencis,
è sintomatica delle condizioni in cui vennero
a trovarsi gli abitanti della località e di alcune
altre zone della penisola. La lunga sequela di
congiunture, che aveva attanagliato l’Istria nei
Panorama
37
dal passato
catastrofi
secoli precedenti, raggiunse il suo apice proprio nel 1817, quando sulla provincia si abbatté una devastante pandemia di fame e crisi di
sussistenza che, seguita dall’insorgenza del tifo
petecchiale, fu responsabile di un’accentuata
mortalità tra la popolazione.
Fin dallo scadere del 1816, infatti, in alcune
zone del Litorale furono registrati casi di morti
per fame, principalmente tra la popolazione
rurale che, esaurite le scorte alimentari e non
avendo ormai più nulla da consumare, per sopravvivere cominciò a nutrirsi di erbe e funghi,
sovente non commestibili, e di altre stomachevoli sostanze. Questa circostanza mise ben
presto in allarme le autorità austriache, le quali, mediante circolari contenenti elenchi dettagliati dei vegetali che erano da evitare, cercarono di mettere in guardia la popolazione sui
pericoli che il loro uso poteva recare alla salute.
A tal proposito merita di essere ricordato il
fisico distrettuale di Capodistria, Sebastiano
Grandis: elaborò un progetto volto a istruire la
gente di campagna nella conoscenza dei semplici che vegetavano spontaneamente in Istria,
“per trarne quindi efficaci e gratuiti soccorsi nel
caso de’ loro bisogni”.
fSchiere di mendicanti
La fame intanto mieteva vittime un po’ dappertutto: a Momiano, ad esempio, 51 individui
perirono in poco più di un anno per mancanza
di cibo, mentre a Pinguente, su 89 decessi registrati nel 1817, ben 74 ebbero quale causa
mortis proprio l’inedia. A Rovigno, un povero
agricoltore fu addirittura condannato alla forca
per aver rubato un po’ di frumento a una donna. Un provvedimento certamente severo, che
tuttavia trovava la sua giustificazione nel fatto
che di fronte alla disperazione della gente gli
episodi di furto si sarebbero potuti moltiplicare
in modo esponenziale, generando disordini e
tensioni.
Il parroco di Gimino, Francesco Saverio Glogovaz, descrisse dettagliatamente i drammatici
avvenimenti in quel fatidico 1817. “Già nel
mese di Marzo - leggiamo nelle sue note cominciarono questi Popoli a sentire la nera
fame (...); consumato il tutto si videro tutto
ad un tratto intiere schiere di mendici tanto
austriaci, che ex Veneri, Furlani, Cadurini, etc.,
che correvano da porta in porta da 50, e 60 al
giorno gridando pietà, e chiedendo socorso
(...) Quelli che avevano animali costretti dalla
fame doveano macellare a casa, e cibarsi della
carne senza pane, altri faceano il pane dalla
cenere, e polvere di felce (Paproth), altri dalle
38
Panorama
nocchie d’ulivi, che provisto avevano per li loro
Suini, e finalmente altri scorevano la Campagna mondando le Biade da diverse erbe (...)
che oppressi dalla fame mangiavano parte
crude, parte cucinate senza sale (...). Si chè
ridotti all’estrema miseria, con gonfie mani,
piedi, e facia caminando cadevano morti chi a
casa propria, chi lungo le Strade, chi nei boschi.
Io stesso ho veduto de mendici, che caciarono
dalla mangiatogia li Porci, e si saciarono delle
loro scilique, che erano parechiate loro per cibo.
Fu veduto fra li altri uno, che avendo ritrovato
un Sterco umano secco ed indurito gli diede
una legera forbita attorno li bragoni, e lo mangiò saporitissimamente (...). Vi basti, Signori,
sapere, che era uno spavento vedere li Sembianti famelici, questi parevano tanti cadaveri
rissorti dal Sepolcro, e li stessi loro occhi parlavano: fame! fame! E chi in quest’anno non ha
sottrato a se stesso del suo Vitalizio non meritò
il Cielo, ne misericordia nel estremo giorno del
Giudizio Universale”.
fE arrivò il morbo
Gli effetti catastrofici prodotti dai repentini mutamenti climatici e dalla conseguente
crisi economica si sommarono alla pessima
situazione igienica in cui versavano le nostre
cittadine, contraddistinte in generale da gravi
deficienze strutturali dell’assetto urbano, che
pregiudicò l’organizzazione della vita associata, soprattutto in rapporto alle abitudini igieniche e all’approvvigionamento di cibo e acqua
della popolazione. Le condizioni di degrado
sociale e ambientale favorirono pertanto la
proliferazione dei pidocchi responsabili del tifo
petecchiale (esantematico), che si manifestò
come reazione dell’organismo umano all’agente patogeno conosciuto scientificamente con il
nome di Richettsia prowazeki.
L’infezione non incontrò nessuna difficoltà
a diffondersi tra la popolazione, intaccando
organismi già debilitati dalla fame, e furono
soprattutto gli strati sociali meno abbienti a
patire il morbo, la cui letalità si aggirava mediamente intorno al 20 p.c. per raggiungere, in
certe epidemie, anche il 30-40 p.c.
Le inadeguate cognizioni mediche del tempo
furono da ostacolo a una rapida individuazione
dell’eziologia e della patogenesi della malattia
che, secondo il luogo del contagio, fu generalmente qualificata come febbre bellica, febbre
carceraria, febbre navale, febbre castrense.
In Istria il contagio non si manifestò ovunque
con la stessa intensità. Nelle tre cittadine costiere dell’Istria settentrionale, che furono tra
le più esposte all’epidemia di tifo, la mortalità
toccò l’apice nel 1817, per poi assestarsi, fin
dall’anno successivo, su valori ritenuti normali.
Elevata fu la mortalità nell’Istria nord-occidentale e soprattutto in quella centrale, dove
i livelli raggiunti riprodussero valori propri del
Medioevo e delle gravi epidemie, carestie e
fame che avevano contraddistinto i secoli XVIXVIII. La zona del Prostimo, Carnizza, Marzana,
Filippano e i villaggi circostanti vennero a trovarsi ai margini della pandemia, per cui i valori
di mortalità raggiunti furono notevolmente
inferiori alle altre località.
fL’esempio di Rovigno
L’infezione si accanì con particolare violenza a
Rovigno, dove l’impatto del morbo sulla mortalità generale fu notevolmente maggiore
di quello prodotto dalla denutrizione, il che
differenziò la città dalle altre località istriane,
particolarmente da quelle dell’Istria centrale.
Per contrastare la diffusione della malattia fu
creata una commissione di funzionari con il
compito preciso di proporre altre misure, oltre
a quelle già in vigore, per far fronte al flagello.
È curioso rilevare che alle solite disposizioni
igieniche, previste dalle normative in materia
di contagi, furono affiancati due provvedimenti che si potrebbero definire di carattere “psicologico”: il divieto di rintocco delle campane in
caso di morte, per evitare il disagio che destava
il suono nella gente, e le grida e i gemiti durante i funerali, che avrebbero potuto impressionare e rattristare la popolazione.
Tuttavia, nonostante gli accorgimenti presi,
l’epidemia si diffuse rapidamente in città: il
numero di vittime fu talmente elevato che,
non bastando più il cimitero di S. Eufemia,
per seppellire i morti, l’amministrazione della
Collegiata acquistò un campo contiguo alla
chiesetta suburbana di S. Gottardo, mentre si
procedette pure all’organizzazione di un ospedale per gli ammalati.
A dispetto del traumatico dissesto economico
e socio-demografico provocato in Istria dagli
eventi del 1816-1817 si assistette a una pronta
ripresa della popolazione, che tornò a crescere
già dal 1818 e si assestò, nell’arco di alcuni anni,
sui valori antecedenti la crisi. Anche le strutture
produttive, nonostante gli squilibri dovuti alla
congiuntura si protraessero fino al 1818, reagirono prontamente. La fame diede impulso
alla coltivazione del mais e si sperimentò pure
quella della patata, la cui diffusione, tuttavia,
incontrò gravi difficoltà a causa della riottosità
dei contadini ad accettare la nuova coltura.
la storia oggi
Come studiare
la Grande Guerra
Un originale
progetto
didattico
di carattere
internazionale
per insegnare
la tragedia
europea
di Fulvio Salimbeni
O
rmai la Grande Guerra imperversa nelle
librerie, sui giornali,
nei convegni e nelle
presentazioni delle
novità editoriali. Se in molti casi,
come s’è già avuto modo di notare in
questa sede, si tratta di riproposte di
testi classici o di iniziative alquanto
estemporanee o di circostanza, ve
ne sono altre, invece, meritevoli
d’apprezzamento e d’esser fatte conoscere, proponendosi come modelli per la loro qualità scientifica e
valenza educativa. È questo il caso
del convegno internazionale Insegnare la Grande Guerra, promosso
nell’ambito del progetto La Grande
Guerra: racconti da fronti diversi –
che vede coinvolte scuole secondarie superiori del Friuli Venezia Giulia, della Carinzia e della Slovenia –,
svoltosi a Udine il 17 ottobre a cura
dell’Educandato Statale “Collegio
Uccellis”.
Articolato in dodici relazioni di specialisti e una tavola rotonda finale di
docenti impegnati in prima linea (è
proprio il caso di dirlo!), l’incontro
è riuscito denso di stimoli e sollecitazioni metodologiche e didattiche,
che tengono conto dei più recenti e
avanzati orientamenti storiografici
Panorama
39
in materia, valorizzando in modo
particolare letteratura, arte, memorialistica, per prospettare un diverso
e più stimolante approccio a un così
cruciale tema, accostandolo, come è
stato rilevato da più d’uno degli intervenuti, dal basso, lasciando sullo
sfondo la più tradizionale impostazione dall’alto, politica, diplomatica,
militare e istituzionale, che non ha
certo un’analoga forza di coinvolgimento emotivo sui giovani.
Dopo i tradizionali saluti delle autorità, il coordinatore del progetto,
Jens Kolata, docente dell’“Ucellis”, lo
ha illustrato nei suoi punti essenziali, rilevando l’importanza e validità
della collaborazione sovranazionale
e dell’impostazione pluridisciplinare, che mette in gioco competenze e
prospettive diverse, attribuendo agli
stessi studenti un ruolo attivo, e non
semplicemente passivo. Un’indiretta
conferma di ciò è venuta, d’altronde, dalla massiccia presenza di scolaresche coinvolte nel programma e
dall’attenzione e partecipazione con
cui hanno seguito i lavori.
fLa cultura della pace
Più volte abbiamo avuto modo di
ricordare le illuminanti e profetiche
pagine di Stefan Zweig sull’importanza della scuola nel forgiare futuri
cittadini consapevoli dei loro diritti,
amanti degli ideali europeisti e pacifisti, mediante un corretto e innovativo insegnamento della storia, non
più come racconto di battaglie, bensì
dei principali fenomeni di civiltà, in
tale ottica analizzando pure la tragica vicenda del primo conflitto mondiale, che è quanto è stato fatto nelle
due sessioni del convegno, ponendo
sin dall’inizio in evidenza che esso
pose termine al lungo Ottocento,
con il connesso mito del Progresso e
dell’impossibilità di conflitti, vista la
potenza distruttiva dei nuovi armamenti.
Werner Wintersteiner, infatti, da anni
impegnato nell’ateneo di Klagenfurt
sui temi della cultura della pace, li ha
ripresi discutendo di come Insegnare
la pace. Lezioni dalla Grande Guerra
per oggi; Giulia Caccamo (Università
40
Panorama
di Trieste), invece, ha parlato dei Nemici da sempre: l’estate del 1914 nelle
relazioni tra Roma e Vienna. Dopo
queste due relazioni, proposte come
“Keynotes” d’introduzione e inquadramento generale, Željko Cimprič
(Museo della Grande Guerra di Caporetto) in “Non potevamo immaginare una guerra così...” s’è soffermato
sulla memorialistica, citando espressamente Henrik Tuma, mentre Vanda Wilcox (John Cabot University di
Roma) è intervenuta su un versante
nuovo, di frontiera, delle indagini in
materia, parlando di Menti e corpi
nella trincea: esperienze ed emozioni
nella Grande Guerra.
Se Fabio Todèro (Istituto regionale
per la storia del movimento di liberazione del Friuli Venezia Giulia),
cui si devono già numerosi, importanti contributi al riguardo – ultimi
dei quali, almeno per ora, Una violenta bufera: Trieste 1914 (2013), e
Le trincee della persuasione: fronte
interno e forme della propaganda
(“Annali della Fondazione Ugo La
Malfa”, 2013) –, ha preso in esame
La Venezia Giulia e la Grande Guerra, Wolfram Dornik (LBI-Zentrum
fur Kriegsfolgen-Forschung di
Graz) in Inventing World War One?
Culture della memoria austriache
nel contesto delle commemorazioni
transnazionali nell’anno 2014, ha
svolto un’interessante panoramica
sui nuovi modi e forme del ricordo
della guerra, con specifico riguardo
all’Austria.
Nella seduta pomeridiana Renato
Podbersič (Università di Nova Gorica) ha illustrato La vita quotidiana
dei civili sul fronte isontino, un tema
finora piuttosto negletto – con l’eccezione dei pionieristici studi degli
anni Settanta del benemerito maestro Camillo Medeot –, la memoria
ritornando protagonista nei contributi successivi, rispettivamente
di Ulfried Burz (Università di Klagenfurt), incentrato su Carinzia
ed Italia durante e dopo la Grande
Guerra (1915-1918). Le molteplici
culture della memoria, e di Gianluca Volpi (Università di Udine), Il
disgelo della memoria. L’impero austro-ungarico e la sua ultima guerra
1914-1918. Altrettanto innovative e
originali le considerazioni di Alessandro Sfrecola (Università di Trieste) su “I custodi dell’orrore”: guerra
meccanizzata, disumanizzazione individuale e nevrosi post-traumatiche
(PTSD) tra i combattenti e i reduci
dell’Isonzo-Front (1915-1920). La
relazione finale, di Imelda Rohrbacher (Università cattolica di Linz),
è stata incentrata su La Grande
Guerra nella letteratura austriaca.
Karl Kraus e Georg Trakl, anche se
poi, per ragioni di tempo, s’è parlato
solo del primo.
fEsperienze a confronto
Nella tavola rotonda conclusiva, coordinata da Jens Kolata, Come insegnare la Grande Guerra nella zona
Alpe-Adria?, cinque docenti, coinvolti nel progetto, hanno portato le
proprie esperienze, in larga misura
incentrate sull’uso della letteratura,
dell’arte, della memorialistica, del
recupero di memorie familiari, di
visite ai musei e ai campi di battaglia, suscitando un notevole interesse nei loro allievi.
Già quest’elencazione dei soli titoli
degli interventi, tutti d’alto livello,
ma svolti sempre con un linguaggio
accessibile anche ai non addetti ai
lavori, dà una precisa idea del radicale cambiamento nelle modalità d’insegnamento della Grande
Guerra, dov’è rivoluzionario, rispetto a un tempo neppure tanto lontano, il fatto di mettere a confronto le
diverse interpretazioni e memorie
nazionali, senza privilegiarne alcuna, cercando, inoltre, d’impostare
un discorso di storia condivisa, così
come è stato formulato da Gianluca
Volpi muovendo dall’analisi delle
memorie delle diverse nazionalità
comprese nell’esercito magiaro.
Oltre che in quelli specificamente
a ciò dedicati, un po’ in tutti i contributi – in cui mai sono stati fatti
i nomi di condottieri o elencate sequele di battaglie – s’è parlato del
trauma delle nuove tecniche belliche, delle atroci esperienze psicofisiche dei combattenti, destinate a
la storia oggi
lasciare un’impronta indelebile anche in coloro che apparentemente
tornarono sani e salvi dal fronte, del
dramma dei civili, per la prima volta coinvolti in pieno nell’esperienza
bellica (donde i circa sette milioni
di morti tra loro per fame, malattie
epidemiche, deportazioni e internamenti), della condizione delle
donne, mobilitate per sostituire gli
uomini militarizzati, dell’accelerata modernizzazione della società
e dell’ascesa sulla scena pubblica
delle masse mobilitate – con le note
conseguenze postbelliche sul piano
sociale e politico –, del ruolo, affatto trascurabile, della religione nella
mobilitazione degli spiriti, come ha
giustamente osservato Paolo Ferrari, dell’ateneo udinese e uno dei
nostri migliori esperti di storia militare, in un intervento a margine.
fCapire tutti gli aspetti
Né sono mancati i richiami all’importanza di quella nuova arma
che fu la propaganda, usata capillarmente per plasmare l’opinione
pubblica e forgiare lo spirito dei
combattenti, né i riferimenti, di
particolare interesse, a come la
guerra è stata raccontata e raffigurata durantee dopo il suo svolgimento da artisti e letterati: da qui
i richiami a Gadda, Lussu, Ungaretti, Hemingway, Remarque, Voranc, al Kraus de Gli ultimi giorni
dell’umanità e a Joseph Roth, di cui
è stato esplicitamente menzionato
Fuga senza fine: una storia vera (in
italiano edito da Adephi), mentre
sul versante artistico, a parte le citazioni di Sironi, Grosz, Dix, non
poteva mancare il richiamo al celebre, e allucinante, affresco, Senza
nome, di Albin Egger Lienz, che
rappresenta in maniera eloquente
l’anonimato e la spersonalizzazione cui furono ridotti gli uomini in
uniforme e l’orrore che si trovarono a sperimentare sul campo di
battaglia.
Quest’impostazione didattica e
storiografica, d’altronde, ha trovato un puntuale riscontro e piena
conferma nelle due pagine monografiche dedicate alla Grande Guerra nell’inserto culturale del “Sole
24 Ore” del 12 ottobre prendendo
spunto dalla mostra del MART di
Rovereto, appena inaugurata, su La
guerra che verrà/Non è la prima,
in cui s’affronta il tema prendendo in esame il ruolo dell’arte, della
memorialistica, del cinema, altra
nuova arma messa allora in campo
a fini propagandistici.
A questo riguardo, un solo appunto
si può muovere al convegno udinese, quello d’aver trascurato completamente l’apporto dei film e l’analisi
di qualcuno di quelli più significativi – che sul versante didattico hanno una forte presa emotiva e capacità di coinvolgimento sui giovani –,
tema sul quale, tra l’altro, è da poco
uscito l’importante e documentato
contributo di Giuseppe Ghigi Le ceneri del passato. Il cinema racconta
la Grande Guerra (Rubbettino).
Gli Italiani della Duplice e il conflitto di un secolo fa
CONVEGNO A ROMA
Gli italiani dell’AustriaUngheria e la Grande
guerra”è il titolo del convegno che si svolgerà nella capitale italiana il
12 e 13 dicembre, a cura della Società Dalmata di Storia Patria e dell’Università Roma Tre - Dipartimento di Scienze politiche. L’incontro si
svolgerà presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’ateneo romano.
Nella prima sessione (venerdì 12), con tema I governi e la nazionalità
italiana nella Duplice Monarchia (presiede Lucio Toth, Società Dalmata
di Storia Patria), dopo i saluti introduttivi di Marino Zorzi, presidente
Società Dalmata di Storia Patria, e Francesco Guida, direttore del Dipartimento di Scienze Politiche - Università Roma Tre, Antonio Trampus
(Università Ca’Foscari, Venezia) introdurrà il problema e le sue premesse
storiche, Luca Riccardi (Università di Cassino) esporrà il punto di vista di
Roma, rispettivamente Andreas Gottsmann (Istituto Storico austriaco,
Roma) il punto di vista di Vienna.
Nella seconda sessione (venerdì pomeriggio), Gli italiani delle province
austro-ungariche tra fedeltà alla Corona, diserzione e volontariato patriottico (presiede Francesco Guida, Università Roma Tre, Dipartimento
di Scienze Politiche), Ester Capuzzo (Università di Roma “la Sapienza”)
proporrà un approfondimento sulla Venezia Giulia, Achille Ragazzoni
(Istituto per la Storia del Risorgimento) si soffermerà sul Trentino, mentre Gianluca Volpi (Università degli Studi di Udine) parlerà di Fiume ed
Egidio Ivetic (Università degli Studi di Padova) della Dalmazia.
ccLa “Giovine Fiume” in gita a Roma
Sabato 13 si avrà la terza sessione, Comunicazioni (presiede Ester Capuzzo), nell’ambito della quale Rita Tolomeo (Università di Roma “la
Sapienza”) interverrà su “Il dalmata” e il presidente. Ghiglianovich, Wilson e la questione dalmata, Francesco Guida (Università Roma Tre) su
L’irredentismo degli altri popoli: i legionari romeni in Italia, Stefania Bartoloni (Università Roma Tre) su L’irredentismo di Irma Melany Scodnik, femminista e pacifista. Il titolo della relazione di Giovanni Stelli (Società di
Studi Fiumani, Roma), è invece Volontari. Internati fiumani nella Grande
guerra: autonomisti e “Giovine Fiume”; Bruno Crevato-Selvaggi (Società
Dalmata di Storia Patria) ricorderà Gli internati civili giuliani in Austria.
Mostra iconografica sul tema di Carlo Cetteo Cipriani (Società Dalmata
di Storia Patria). (ir)
Panorama
41
teatro
dramma italiano
DI E PLAUTO,
BUONA
LA PRIMA
Debutto stagionale per
il Dramma Italiano di
Fiume con «Le fatiche
di Pseudolus», un
testo ispirato a Plauto,
famoso per essere
stato il primo autore
latino dell’antichità
a dedicarsi a un solo
genere letterario,
la commedia. Ebbe
grandissimo successo,
immediato e postumo,
e fu molto prolifico,
conoscendo rifacimenti,
interpolazioni, opere
spurie. Il Plauto del
DI si presenta nella
versione di commedia
musicale, che vede
impegnata tutta la
Compagnia, alcuni
attori ospiti e otto
ballerini del Teatro
«Zajc», nonché una
band che si esibisce
dal vivo, diretta
da Zvjezdan Ružić,
autore delle musiche
originali. Adattamento,
integrazione e regia
portano la firma del
friulano Giovanni
Battista Storti, che
abbiamo incontrato
alla vigilia della prima
fiumana
42
Panorama
di Bruno Bontempo
G
iovanni Battista Storti è approdato per
la prima volta sulle
rive del Quarnero
per lavorare con il
Dramma Italiano. Per il suo debutto ha scelto Plauto, “riveduto
e corretto”: ne è venuta fuori una
commedia musicale, Le fatiche di
Pseudolus, suggerita dalla rilettura di tre opere plautine con alcuni
passaggi di “rilegatura” dello stesso
Storti, che è attore, regista e insegnante di tecniche di recitazione
all’Accademia dei Filodrammatici
di Milano e alla Civica Accademia
d’Arte Drammatica “Nico Pepe” di
Udine. Ed è da qui che si dipana il
filo che lo ha portato a lavorare a
Fiume, in quanto all’Accademia di
Udine sono stati suoi allievi anche
Giuseppe Nicodemo, ormai accasato al DI e impegnato nel ruolo
di Pseudolus (nonché in quello di
aiutoregista e autore dei testi delle
canzoni) in questa produzione, e
Alessandro Maione, 26enne udinese, che ha vinto l’audizione per
interpretare Calidoro nella commedia di Plauto. La prima domanda, dunque, è più che legittima:
perché Plauto e perché Pseudolus?
“Ci sono due ottime risposte per
entrambe le cose - ha spiegato
Storti, sangue misto di friulano (è
nato a Udine, città di sua madre)
e veneto (papà di Cessalto) -. Con
Plauto si ha la possibilità di risalire alla fonte delle nostre tradizioni teatrali, ma anche letterarie, e
di scoprire che commedie scritte
nel 200 a.C., nonostante il passare dei secoli, sono rimaste integre
e ci sono perfettamente familiari,
le soluzioni drammaturgiche e di
messa in scena affatto corrispondenti alle nostre. In poche parole,
la struttura portante della commedia, almeno per la nostra cultura occidentale, risiede proprio
lì. Plauto è sicuramente un maestro della commedia, intesa come
ccGiovanni Battista Storti
Tradizi
bassa la
un genere chiuso al divertimento,
sia per un intrattenimento, sia per
una riflessione. Pseudolus è il suo
schiavo più perfetto, in una galleria
di schiavi e di servi che ha eletto a
protagonisti delle sue commedie”.
Quanti e quali sono stati i tuoi
interventi nel testo, al di là della
contaminatio, che peraltro Plauto usò abbondantemente nella
sua scrittura?
“Mi sono veramente permesso di
tutto, proprio in nome di questa
contaminatio. È inutile ricordare
quanto Plauto sia rappresentato
ovunque in occidente - i maggio-
DRAŽEN SOKČEVIĆ
Giovanni Battista Storti
Attore, regista e docente
udinese, alla sua prima
esperienza con il Dramma
Italiano: note a margine
DRAŽEN SOKČEVIĆ
ione culturale, troppo
soglia d’accesso
ri filologi plautini sono tedeschi -,
esistono tantissime derivazioni e
versioni delle sue opere ma è stato anche imitato, tantissimi hanno
attinto da lui, a volte solo per un
intreccio, a volte per intere scene
se non addirittura per la vicenda
nel suo insieme. Nel nostro caso,
la contaminazione nasce già dall’inizio, in quanto Le fatiche di Pseudolus unisce in una sola commedia
personaggi che vengono da diverse
opere di Plauto, in particolare da
Pseudolo, il Miles Gloriosus o Solda-
eeGiuseppe Nicodemo nei panni di Pseudolus
to fanfarone, come si suole tradurre,
e da La casa del fantasma, o Mostellaria. Ho inserito anche un pezzo
dell’invocazione tratta dall’Aulularia (chiamata anche La commedia
della pentola o La Pentola d’oro, nda)
ed ho scritto dei raccordi tra scena
e scena, attingendo a volte anche a
un repertorio che chiamerei genericamente di gag, di meccanismi che
danno vita alla gag. Alcune cose si
sono aggiunte, infine, nel corso del
lavoro di prova, per cui è un testo
con molti innesti di diverso genere,
che fino all’ultimo sono stati suscettibili di qualche sviluppo. Ho avuto
una certa presunzione nell’operare
Panorama
43
BRUNO BONTEMPO
STORTI PARLA DEL TEATRO ITALIANO
Si sta tornando
a una drammaturgia
molto da... tinello
Come vedi l’attuale panorama teatrale italiano?
“Siamo sempre in attesa che crolli un sistema di
conservazione legato agli stabili, che sono molti.
C’è una nuova legge, ci auguriamo che questa li
renda veramente degli stabili, cioè dei servizi al
territorio, e sgombrino invece il campo offrendo
la possibilità alle compagnie di far circuitare i
propri spettacoli a condizioni economiche dignitose e in contesti adeguati. Perché in Italia la circuitazione è diventata impossibile, si può andare
in tournée soltanto se hai la possibilità di scambiare l’ospitalità. Un meccanismo asfittico che
impedisce alle giovani forze, alle giovani compagnie, di emergere. Questa nuova legge promette dei cambiamenti, entra in vigore nel gennaio
2015, con qualche piccola speranza. Mi auguro
che possa dare una scossa. Per quanto riguarda
invece un aspetto prettamente di genere, o poetica, l’impressione è che siamo in una regressione e forse non è nemmeno un caso che questa si
accompagni a una crisi più vasta, economica. Si
sta tornando a una drammaturgia molto scritta,
e molto da tinello. Brutalmente Antonioni ebbe
a dire una volta ‘quando non si hanno i soldi, si
finisce per filmare la propria cucina...’. Ecco qui
non è solamente una questione di soldi ma di limitatezza di sguardo”.
In Italia, qualcuno ha parlato della necessità di
“Un teatro della crisi per la crisi del teatro”...
“Accipicchia. Da questo punto di vista ogni tanto
ho l’impressione di aver vissuto metà della mia
vita all’insegna della crisi, quella teatrale. Se ne
parla da fine anni ‘80 e ogni stagione si pensa
che sia l’ultima e invece non c’è limite al peggio.
Almeno in Italia, dove il Governo dedica veramente una percentuale irrisoria allo spettacolo
dal vivo, in gran parte intercettato dalle fondazioni liriche. Abbiamo il recente caso del licenziamento in blocco di orchestra e coro dell’Opera
di Roma, ma la stessa Trieste, da quello che sento
dire, è inguaiatissima dal punto di vista finanziario. Direi che la crisi economica, sicuramente pesante, è normalmente epocale, perché si è chiuso
un secolo, perché alcune esperienze hanno concluso una traiettoria e sicuramente riemergeranno come un fiume carsico grazie a degli epigoni.
Che però in Italia ancora non si vedono...”
ccLa compagnia del DI al completo impegnata ne Le fatiche di Pseudolus
Hai qualche progetto in cantiere?
“Sì, c’è uno che spero di portare a termine tra breve, un desiderio grandissimo che ho da tanto tempo e faccio quasi fatica a parlarne. Ultimamente mi sono occupato un po’ di Karen Blixen, nota per La mia
Africa, che non ha scritto per il teatro, ma solo prosa. Soprattutto alcuni
suoi racconti brevi hanno avuto delle fortune straordinarie. La versione
cinematografica de Il pranzo di Babette nel 1987 le è valso l’Oscar come
miglior film straniero. C’è un altro racconto della Blixen che vorrei portare in scena, è per un’attrice e un attore, e questa volta vorrei vestire sia
il ruolo di regista che di protagonista. Un doppio ruolo che non ho fatto
molto spesso perché rischia di essere un limite, però l’ho fatto”.
Ti senti più attore o più regista?
“Di cuore attore, ma non vivo le due cose come molto diverse”.
44
Panorama
DRAŽEN SOKČEVIĆ
Attore e regista su testo di Karen Blixen
teatro
in questo modo, ma credo di averlo
fatto anche nella luce di quella contaminazione che nell’antica letteratura di Roma veniva vista come una
qualità artistica e non una mancanza di immaginazione...”
Che poi, a partire dal Rinascimento e per tutta l’età moderna, le opere plautine furono molto apprezzate e ispirarono drammaturghi
come Machiavelli, Molière, Goldoni, Gotthold Ephraim Lessing...
“Si parla anche di Shakespeare.
Quando si ha la fortuna di veder
arrivare attraverso i secoli un’Arca
di Noè di questo tipo, ventuno testi, più tanti altri a lui attribuiti, vi
sarà sempre qualcuno che li coglierà, quasi fortuitamente. Un autore
del ‘700, che costruì una commedia
sviluppando lo stratagemma della
parete bucata, attraverso la quale
passano e dialogano due amanti,
aveva scritto chiaramente in una
sua corrispondenza di ritenere che
questo artificio era stato utilizzato
già da Plauto. Ho lavorato per sette
anni con Tadeusz Kantor, pittore,
scenografo e regista teatrale polacco, tra i maggiori teorici del teatro
del Novecento, un autore assoluto,
nel senso che trascendeva i limiti
del regista teatrale. Ed ho potuto
scoprire, nel corso del tempo, che
usava delle piccole note che risalivano a Mejerchol’d oppure a qualche foto d’epoca. L’uomo è una spu-
gna che immagazzina, innanzitutto,
e restituisce nel miglior modo possibile ciò che la vita gli offre”.
fVolgarità e ilarità
ieri e oggi
La vis comica di Plauto fa leva su
lessico, espressioni e figure tratte
dal quotidiano e una fantasiosa
ricerca di situazioni che possano
generare l’effetto comico. Quale
uso ne hai fatto tu in questa produzione?
“Quella descritta ne Le fatiche di
Pseudolus è la tradizionalissima
vicenda di due giovani innamorati
il cui amore fortemente osteggiato
assume anche un valore di denuncia, cioè la forza giovane, innovatrice, che viene avversata dalle
forze conservatrici, siano esse la
famiglia o la società, per arrivare
fino all’ordine militare. Denuncia
che, diciamolo, Plauto non era
particolarmente interessato a sviluppare. A lui importava soprattutto creare una macchina di sopraffina comicità, tutte cose che ci
riconducono al quotidiano. Abbiamo cercato di dare il ritmo e il brio
a questi dialoghi che sono, come si
usa dire, sorprendentemente moderni, ovviamente nel senso della
loro funzionalità. E poi la lingua.
Quella di Plauto non è popolare e
immediata, è una lingua affinata”.
dramma italiano
Il linguaggio di Plauto è spesso
volgare, come lo sono le trame e le
situazioni delle sue commedie. Visto e considerato che a distanza di
oltre 2000 anni la stessa volgarità
la ritroviamo in alcune tipologie
di film, come quelli natalizi di
Boldi e Christian De Sica, la domanda nasce spontanea: perché
la volgarità suscita ilarità immediata e con tanta facilità?
“È un’ottima domanda. Non saprei
rispondere perché questo filone
cinematografico fa così grandi incassi. Tralasciamo per un attimo
le responsabilità della televisione,
spiegarle sarebbe troppo lungo.
Credo che molti altri fattori abbiano concorso a far sì che le attese, le
aspettative, la soglia di accettabilità
del pubblico, si siano abbassati sempre di più. Pensa, Federico Fellini
al teatro di varietà vedeva esibirsi
Totò. Noi, invece, vediamo, è inutile
che faccia dei nomi, gli ultimi rincalzi di una qualsiasi trasmissione
tv cosiddetta comica. La differenza
è abissale. Oggi, spesso, non si ha
neanche più il tempo di costruzione della scena, ma si ha semplicemente la successione di battute
autoreferenziali. Tutti siamo corresponsabili del fatto che non si riesce a mantenere in vita le cose più
preziose e più utili, però credo che
qualcheduno abbia ben pianificato
questo appiattimento della qualità
Panorama
45
dramma italiano
della comunicazione e di quello che
chiamiamo intrattenimento, senza
nessuna nota negativa”.
Mi hai parlato di Totò, Eduardo,
Cesco Baseggio e il suo memorabile Sior Todero brontolon, figure
di portata storica. In tempi più
recenti, c’è stato qualcuno che ha
lasciato una traccia importante
in questo genere di teatro?
“Una figura di spicco di questi
clown teatrali, in senso lato, è il
boemo Bolek Polivka. Attore e regista, classe 1949, ha lavorato tantissimo anche in Italia ma adesso è
meno presente sulle scene perché
si occupa di televisione. È su questa scia, e parliamo di livelli astronomici, che si dovrebbe andare...”
Qual è la tua visione di teatro, attraverso il prisma dell’attore, del
regista, del docente?
“Amo un teatro che sia contemporaneamente verbale e fisico, tanto che a volte preferisco la danza
contemporanea alla prosa strettamente detta. E Kantor sicuramente aveva questa caratteristica.
Chi assisteva a La classe morta (lo
spettacolo che gli ha dato notorietà mondiale e che ancora oggi
continua ad essere considerato
una tappa fondamentale della ricerca teatrale del Novecento, nda),
recitata in polacco, non aveva mai
l’impressione di perdere la com-
prensione di alcunché. Ho cercato,
e mantengo tuttora, contatti con
i danzatori della Bausch, lavoro
con Julie Anne Stanzak, danzatrice del Tanztheater WuppertalPina Bausch. Ho collaborato con
il cosiddetto Teatro danza italiano
più giovane, di Caterina e Carlotta
Sagna. Sì, questo è il teatro che mi
interessa di più”.
BRUNO BONTEMPO
teatro
fDramma Italiano
esperienza irripetibile
A tuo giudizio, il teatro è solo
strumento di cultura, oppure riesce a porsi anche come critico del
potere politico? E in quale misura?
ccGiovanni Battista Storti
“Ah, in misure sorprendenti, a volte
al di là delle aspettative. Uno spettacolo a cui ho preso parte come
attore, Giudici, scritto e diretto
del drammaturgo milanese Renato Gabrielli (prodotto nel 2002
dallo Stabile di Brescia, nel cast,
assieme a Storti, anche Giuseppe
Battiston, Elena Callegari, Sandra
Toffolatti, nda), era stato invitato
alla 19esima Mostra mercato di
Drammaturgia contemporanea di
Heildelberg, dedicata quell’anno
all’Italia. Il testo ironizzava su un
giudice messo ai domiciliari per
una sospetta corruzione. In realtà
il poveretto era solamente vittima
di una macchinazione di vari pote-
ri. Ebbene, l’Istituto italiano di cultura di Stoccarda tentò di bloccare
la presentazione dello spettacolo,
ritirando il già garantito finanziamento. Perché? Perché i riferimenti a Silvio Berlusconi e alla sua traiettoria politica, apparvero troppo
evidenti alla solerte funzionaria
dell’Istituto. A volte rimpiango,
sì, un pochino gli anni ‘70, in cui
c’era un teatro anche più direttamente politico. Penso alla grandissima forza dei Brecht di Strehler
o agli spettacoli del Gruppo della
Rocca, che per me, ragazzo, erano
veramente una scossa, una spinta
all’impegno...”
Decroux, Kantor, Schmidt, Michela Lucenti...
Quali sono state le tue esperienze più significative,
al di là di quella, nodale, con Kantor?
“Sicuramente la mia primissima formazione, che è
stata all’insegna, appunto, del teatro fisico e di movimento, perché la primissima Accademia che ho
frequentato era di arti, di circo e di mimo secondo
i principi di Etienne Decroux, che nel mondo occidentale è considerato il padre del mimo moderno.
I sette anni con Kantor sono stati importanti per la
formazione quanto per l’esperienza di palcoscenico,
debuttare in un ruolo maggiore, su un palcoscenico
di New York, non capita così spesso. Sicuramente
46
Panorama
devo molto anche a nomi meno noti. Mi piace ricordare Maurizio Schmidt, regista e insegnante all’Accademia Paolo Grassi di Milano, con il quale ho fatto numerosi lavori come attore e gli devo moltissimo
per avermi illuminato sull’approccio logico e storico
al testo. Ma poi credo che potrei nominare tanti altri, tutto il capitolo danza, quanto mi ha arricchito.
La giovane coreografa e attrice ligure Michela Lucenti, poco più che quarantenne, fa degli spettacoli
che sposano magistralmente la parole e il movimento. Però le basi formative sono state quelle di Parigi
con la scuola di Decroux e poi Kantor”.
DRAŽEN SOKČEVIĆ
Dove si collocherà, nella scaletta
del tuo percorso professionale e
umano, l’esperienza con il Dramma
Italiano che hai vissuto a Fiume?
“Professionalmente è un progetto
ambiziosissimo, con una complessità di elementi da unire che ne hanno fatto per me un’esperienza unica
a tutt’oggi. Circa 25 persone in scena, attori impegnati pure come cantanti, musiche originali eseguite dal
vivo, il balletto, le coreografie curate dall’attrice Elena Brumini, questa volta, dunque, impegnata nella
doppia veste. Sono al tempo stesso
felice di questa opportunità e anche
spaventato. Ringrazio questo Teatro
per avermi chiamato e spero che lo
spettacolo possa richiamare anche
un pubblico giovane. Plauto sarebbe un nome da tradizione classica,
ma credo che noi lo affrontiamo
con molta libertà e molta, chiamiamola così, innovazione, per dirla in
due parole. La prova umana è stata
altrettanto gratificante. Da bambino passavo le vacanze a Grado da
dove potevo scorgere, in lontananza, delle punte di terra e mia madre mi diceva quella è l’Istria. Oggi
sono qui a Fiume, e queste terre le
ho potuto conoscere nel migliore
dei modi, cioé attraverso l’opera e
l’attività quotidiana di artisti, giovani e più navigati, che qui hanno
sempre vissuto e hanno sempre lavorato, e ne portano tutti gli umori
e le sfumature”.
ccAlcuni dei protagonisti de Le fatiche di Pseudolus nel loro ambiente... orginario, il Pretorio della
Clausura Alpina in Cittavecchia, a Fiume. Seduto Giuseppe Nicodemo (Pseudolus), al centro Elvia
Nacinovich, Elena Brumini, Bruno Nacinovich e Alessandro Maione, dietro Rosanna Bubola
Il palcoscenico come metodo di cura
Alkaest è, in alchimia, una presunta medicina universale, in grado di sconfiggere tutte le malattie.
Quali malanni riesce a “curare” il Teatro Alkaest di
Milano, di cui sei cofondatore, attore, regista e coordinatore di laboratori teatrali?
“Non esattamente curare, ma sicuramente l’uso della pratica teatrale aiuta a riacquisire, ritrovare una
tranquillità nel manifestarsi, nel riportare lo sguardo
chiaro verso la vita. Abbiamo svolto questo tipo di
attività presso diversi Istituti (Caterina da Siena, Marie Curie) e varie scuole ma abbiamo operato soprat-
tutto con attori non professionisti in età di pensione,
per approfondire i rapporti tra teatro e memoria e
tra diverse generazioni, poi a San Vittore con le detenute, mentre mia moglie Marzia Loriga lavora tutt’ora con le donne operate al seno. In tutti questi casi
abbiamo verificato che il teatro allunga e vivacizza
la memoria, crea gruppo, solidarietà, anche litigio.
Ma ben venga la dinamica quando magari una persona o è isolata o è ritirata dalla vita. In questi ormai
trent’anni, facendolo abbiamo imparato moltissimo
anche noi e direi che ci siamo aiutati a vicenda...”
Panorama
47
arte il personaggio
cc“Il poeta Antun Gustav Matoš” (1972)
si trova nella Città Alta di Zagabria
di Erna Toncinich
S
embra uno dei tanti pedoni che ad ogni ora del
giorno transitano, chi a
passo spedito e chi a passo
lento, per il Corso, la passeggiata dei fiumani, ma quello lì...
“quello lì” è Il camminatore, figura
creata nel 2010 da Ivan Kožarić,
nome tra i maggiori della scultura
croata contemporanea, il più importante scultore croato vivente.
Novantaduenne.
“Il camminatore”, figura che dichiara essenzialità e purezza, scevra da ogni descrizione, priva
degli arti superiori: tutta la carica
formale ed emotiva è concentrata
sulla posizione del suo corpo proteso in avanti e sugli arti inferiori,
atteggiamenti che giustificano il
nome dell’opera. Da quasi quattro
anni l’argentea figura è testimone
del movimento umano nella “via
più amata dai fumani”.
C’è ancora un altro signore, altra
creatura dello scultore croato, che
“osserva” i passanti. E questo ha
anche un nome, si chiama Antun
Gustav Matoš, poeta e scrittore
croato. Seduto su una panchina
48
Panorama
nella Città Alta di Zagabria, nella
Passeggiata Strossmayer, osserva il
sottostante panorama di Zagabria,
la città in cui vive. Essenziale come
forma anche questa, ma esente da
ogni dispersione illustrativa, la figura di Kožarić invita il passante
e sedergli accanto, a fargli compagnia, a conversare con lui. Una
scena questa che piace, che riesce
molto vicina alla gente.
Due figure, queste citate, due accostamenti di forme sintetiche; priva di ogni particolare, più pulita
quella del “Camminatore”, più descrittiva quella del “poeta seduto”.
E sono due dei tanti modi di operare dell’artista croato. Igor Zidić,
lo storico dell’arte autore della presentazione in catalogo e curatore
della mostra personale di Kožarić
allestita la scorsa primavera all’Adris di Rovigno, sostiene che “è
impossibile definire questo artista, inquadrarlo in una tendenza.
Quando si parla di Kožarić ogni
definizione - anche la più elastica,
flessibile -, è destinata all’insuccesso”.
Ivan Kožarić, nato a Petrinja nel
1921, studia all’Accademia di Arti
Figurative di Zagabria, prosegue ancora gli studi con August
Augustinčić, soggiorna per un certo periodo a Parigi dove ha modo
di conoscere artisti e tendenze del
momento, i suoi lavori vengono
notati e apprezzati, un gallerista lo
vorrebbe intrattenere a Parigi ma
il giovane sceglie la via del ritorno a casa. A Zagabria, dove molti
degli artisti si ribellano al realismo
socialista allora di moda, si unisce
ad uno dei gruppi d’avanguardia,
Gorgona, un parallelo dell’EXIT
54, altro gruppo che snobba e rifiuta la corrente artistica amata dal
potere. L’artista inizia un’attività
molto intensa, molti saranno i suoi
ee“Il Sole atterrato” (1994) in una delle piazze di
Zagabria
Sperimentatore
da sempre,
inquadrarlo in
una tendenza
è praticamente
impossibile
ee“Il camminatore”, scultura dal 2010
nel Corso di Fiume
ccIvan Kožarić
linguaggi come molti i materiali
che userà per le sue opere. Parallelamente alla sua feconda e variegata creatività si presenta con mostre
personali e partecipazioni a collettive sia nell’allora Jugoslavia che
all’estero. Nel 1976 è presente alla
Biennale di Venezia, sempre negli
anni Settanta sarà presente alla
Biennale di Sao Paolo in Brasile.
Curioso, poliedrico, sperimentatore da sempre, Zidić così lo descrive: “... Praticamente è impossibile
immaginare un repertorio di tecniche, di materiali, di accostamenti di generi: incontriamo ritratti,
autoritratti, figure e composizioni
figurali, paesaggi, immagini tachismati-astratte, installazioni geometriche, interventi urbani virtuali, composizioni ready made,
contenuti ecologici, provocazioni
ironiche, umoresche e fantasie; la
dimensione della sua opera è immensa: a momenti è passionale,
indifferente, senza riserve, narrativa; a momenti è cinico, bruto,
provocatorio, bonario, sicuro di
s, confuso, tragico, e poi violento,
malinconico, innamorato, rassegnato.Tutto è in lui e lui è tutto”.
Il suo atelier, con i suoi seimila
pezzi che conteneva - tra suoi lavo-
ri, attrezzi, materiali, ecc. - è stato
acquistato dalla Città di Zagabria
che lo ha donato al Museo di Arte
Contemporanea.
Il 1994 è l’anno della realizzazione
di un’opera pubblica, Il Sole atterrato, un’enorme sfera color oro, posizionata in una piazza centrale di
Zagabria. È un’enorme sfera (purtroppo già copiosamente imbrattata dai soliti vandali), che dopo aver
trovato temporanea sistemazione
in altri spazi cittadini, pare che il
posto attuale sia definitivo. Definitivo? Almeno così si pensa, perché
proprio di recente è scoppiata una
polemica riguardo questo “Sole”
kožariciano. Conclusi i lavori del
nuovo edificio dell’Accademia di
Musica in piazza Maresciallo Tito,
zona in cui si trovano importanti
palazzi ottocenteschi, si è pensato
di porvi, anzi di riporvi, dinanzi
all’edificio appena eretto, proprio
questo “Sole”, che già anni prima
vi si trovava. Il suo autore però si
è rifiutato del trasferimento e il
progettista dell’edificio, l’architetto
Milan Šošterić ha piazzato una sua
sfera, uguale a quella dell’anziano
scultore, solo leggermente più piccola e di colore arancione. E via
alle polemiche a alle solite voci pro
e contro di numerosi personaggi
della vita culturale e artistica della
metropoli croata.
Molti sono coloro che condannano l’intervento dell’architetto, che
risponde: “La forma della sfera
si adatta bene a questo spazio, e
dato che al ‘Sole’ di Kožarić è stato negato l’‘atterraggio’ in questo
spazio, allora ho sistemato un mio
‘sole’”. Che alla gente, pare, piaccia
molto, e si fotografa accanto ad
esso. Ma il “Sole” di Ivan Kožarić
non è solo “un Sole’” è anche uno
degli elementi - il più importante -, di un’installazione ideata nel
2004 da un altro artista, Davor
Preis, un’installazione comprendente altre nove sfere, i nove pianeti, posizionati in varie parti della città.
C’è poi un’altra opera pubblica che
l’anziano scultore sogna da tempo
di realizzare: una scultura immensa, mastodontica, di venti metri di
altezza da sistemare in un crocevia
non distante da casa sua, una specie di arco sotto il quale transiterebbero persone e veicoli, anche il
tram. Della sua realizzazione se ne
parla da tempo, magari di realizzarla in un altro punto della città.
Quando verrà eseguita? E dove?
Panorama
49
cinema e dintorni
N
di Gianfranco Sodomaco
on è il primo film su
Pier Paolo Pasolini,
ricorderò solo uno:
“Pasolini, un delitto
italiano”, di Marco
Tullio Giordana (1995). E non è
difficile comprendere perché un regista come Abel Ferrara (tra i suoi
23 film ricordiamo almeno due capolavori: “Il cattivo tenente” (1992)
e “Fratelli” (1996), dove il tema
della Vita e della Morte sono intrecciatissimi) abbia voluto cimentarsi in una operazione del genere,
ricordare, partendo dal suo ultimo
giorno di vita, l’indimenticabile 2
novembre 1975, la sua figura: perché regista eclettico, poliedrico, anticonformista, fuori di ogni “scuola”, “toccato” dolorosamente anche
lui dalla vita in ogni senso (droga
prima di tutto). I due, o prima o poi
non potevano non incontrarsi. Vediamo come si sono incontrati.
Dunque Ferrara racconta l’ultimo
giorno di vita di Pasolini. Cercando di essere brevi: inizia con sua
madre (Adriana Asti) che lo sveglia con un bacio, appena tornato
da Stoccolma dove ha presentato la
traduzione delle sue poesie “Le ceneri di Gramsci”. Si alza e va a leggere subito il “Corriere della Sera”
(per cui ha scritto degli importanti
articoli “critici”, che non stiamo a
ricordare). Il giornale riporta fatti di cronaca nera, di violenza e
Pier Paolo “ricorda” (lo spettatore
50
Panorama
Da trentanove anni la sua morte è un m
che tesse trame imperfette di macchin
crimini, confessati, ritrattati, mai svela
Le ultime ore di
secondo Abel Fer
li vede) frammenti tratti dal suo
ultimo film: “Salò o le 120 giornate di Sodoma”. Nel frattempo incontra persone a lui care: la nipote
Graziella Chiarcossi, che gli fa da
segretaria, Nico Naldini, il cugino friulano, amico e collaboratore
(Valerio Mastandrea), e l’amica del
cuore, l’attrice Laura Betti (Maria
De Medeiros) che gli racconta della
sua ultima esperienza cinematogra-
Diviso tra
il mondo
dell’intellettuale
borghese che
vive con la
madre scrivendo
sui giornali,
e quello
dell’uomo che
segue natura e
temperamento
di notte
consapevole
del prezzo
che deve pagare
mistero senza risposte,
nazioni, complotti e
ati
Pasolini
rrara
fica in Jugoslavia. Poco dopo arriva
Furio Colombo, importante giornalista de “La Stampa” di Torino,
che gli fa un’intervista “importante”
dove P.P. esprime tutto il suo pessimismo sulla “situazione” attuale, da
una parte, ma riconosce, dall’altra,
come unica speranza valida il proprio lavoro. Vengono anche a parlare della “parabola” che sta ultimando di scrivere (e che non ultimerà),
“Petrolio” (e lo spettatore vede una
festa “borghese” e una scena d’aereo
che cade con due dei protagonisti
del romanzo. Dopodiché inizia a
scrivere a Eduardo De Filippo del
film che da tanto tempo vorrebbe
fare con lui: “Porno-Teo-Kolossal”,
e lo spettatore inizia a vedere la
“strana storia” di Nunzio, l’angelo
custode di Epifanio, e di loro due
che inseguono una stella cometa,
attraversano un “casino” dove gay e
lesbiche quel giorno di accoppiano,
e finiscono su una scala che potreb-
be portare in cielo ma, dicono, “non
si sa mai dove si va a finire anche se
qualcosa succederà...”.
Dopodiché la catarsi finale, l’incontro col “famoso” Pino Pelosi in una
accogliente osteria (dove Pasolini
esterna tutta la sua simpatia per il
giovane “borgataro” che divora gli
spaghetti all’amatriciana e parla
della sua ragazza) e lo spostamento
al mare, al lido di Ostia dove avviene il noto irreparabile: mentre i due
stanno amoreggiando arrivano tre
giovani delinquenti che, gridando
contro quel “succhiacazzi”, cominciano a picchiarlo a sangue finché,
dopo essere stato schiacciato da
Pelosi con la sua stessa automobile,
non muore. La scena finale sarà di
nuovo con la madre in preda alla
disperazione. Ma raccontato questo
è detto niente. Perché Pasolini è un
film impossibile da tradurre in parole, ricco com’è di tutti i particolari
piccoli e grandi, di tutte le sugge-
stioni che Ferrara ha vissuto prima
e durante la lavorazione del film. E
nel film si “respira” questo coinvolgimento sincero, questo bisogno di
andare oltre la cronaca e cercare di
restituire, in modo il più possibile
significativo, il maggior numero
possibile di frammenti di una vita
assolutamente “frammentata” ma,
attenzione, mai dualistica, schizofrenica: ciò che emerge dal film,
sicuramente la cosa più bella, è l’integrità fisica, morale, esistenziale di
Pasolini, la coerenza del suo mondo
espressivo, artistico, realistico e fantastico nello stesso momento.
Inevitabile, perciò, che il film lasci,
in qualche modo, insoddisfatti, dia,
qua e là, come qualcuno ha scritto
(Paolo d’Agostini, 25 settembre su
“la Repubblica”), il senso dell’imperfezione, ma non poteva andare che così vista la complessità del
protagonista e la scelta stilistica di
Ferrara, visto, lo ripetiamo, il suo
coinvolgimento affettivo con la figura di Pasolini, il considerarlo, in
qualche modo, il suo alter ego. Per
non dire, poi, della commovente
adesione/identificazione di Villem
Dafoe col personaggio, il suo calarsi
nella parte ben oltre la prestazione
attoriale. Il volere, da parte di Ferrara, che gli assomigliasse al massimo crea un effetto sdoppiamento
inquietante, problematico ma nello
stesso arricchente. No, non poteva
andare che così e ne siamo contenti
per ciò che Pasolini ha rappresentato e rappresenta nella cultura e
nella vita italiana, per il bene che gli
abbiamo voluto.
Panorama
51
psicomiti
cronaca nera
La scienza del comportamento interpreta le scene
del delitto per inferire alcune caratteristiche
dell’autore del reato per facilitarne l’arresto
riducendo l’elenco dei possibili sospettati
False credenze sulla psicolo
comportamenti aggressivi, ma tutto
sommato queste patologie non sono
tanto frequenti da giustificare l’affermazione iniziale.
fAltro che “squilibrati”
L
di Denis Stefan
a vastissima produzione
letteraria, televisiva e cinematografica, come pure
la cronaca nera e i sempre
più diffusi talk show dedicati a crimini recenti e passati, contribuiscono abbondatemente alla
diffusione di psicomiti concernenti
la psicologia criminale e il ruolo di
psichiatri e psicologi in simili faccende. Come stanno veramente le
52
Panorama
cose? Vediamo in questo numero
alcuni psicomiti in “cronaca nera”.
La maggior parte dei crimini
violenti sono commessi da persone con disturbi mentali. Niente
di più falso! Però ne è convinto, in
varia misura, circa l’80 p.c. delle persone. C’è qualcosa di vero nel senso
che in alcune patologie come il delirio paranoide, il disturbo bipolare
(maniaco-depressivo) o anche in
degli stati patologici dovuti ad abuso
di sostanze si possono manifestare
Inoltre il 90 p.c. circa delle persone
affette da patologie mentali, anche
gravi, non compie mai atti violenti
ed è stato calcolato che solo dal 3 al
5 p.c. dei crimini violenti commessi hanno all’origine delle patologie
mentali. Semmai è molto più vera
la condizione in cui le persone affette
da patologie mentali sono vittime di
violenze e aggressioni, da una parte
perché alcuni loro comportamenti
“bizzarri” vengono interpretati come
delle provocazioni da coloro che non
sono a conoscenza dello stato della
persona e dall’altra perché spesso tali
persone sono completamente incapaci di difendersi.
Come spiegare allora il forte radicamento di questo psicomito? Si dà
spesso una forte risonanza mediatica a delitti efferati che sono stati
compiuti da persone affette da disturbi mentali ed allora funziona
l’euristica della disponibilità, per la
quale ciò che è disponibile, perché
diffuso ed attuale, ci sembra frequente e crea le correlazioni illusorie. Agiscono poi dei fattori emotivi
e motivazionali per i quali il crimine
violento ci appare come qualcosa di
estremamente inaccettabile ed allora
tendiamo e credere che sia più facile che lo commettano delle persone
“squilibrate”.
La realtà, per quanto sgradevole
possa essere, è che abbiamo una
ccIl numero di confessioni
false a volte è impressionante, soprattutto nei
casi di delitti efferati
ogia criminale
probabilità maggiore di finire vittime di persone conosciute che di
“pazzi furiosi”.
Il criminal profiling aiuta a risolvere i casi. A caldo mi sentirei di
sostenere questa affermazione, ma
la valanga di sceneggiati polizieschi
in cui si vedono delle squadre di criminal profiler, formate da psicologi e
psichiatri, che analizzando i crimini nei dettagli riescono a stilare un
profilo perfetto delle caratteristiche
fisiche, personologiche e comportamentali del reo, individuandolo
e prevedendo le sue mosse per coglierlo sul fatto, ci mostra cose esagerate ed ho smesso di guardarli.
Nel mondo reale abbiamo dei casi
di clamorosi fallimenti dei criminal
profilers, uno recente e famoso è del
2002 e si riferisce al caso del “cecchino di Washington”. Secondo i criminal profilers avrebbe dovuto trattarsi di un bianco di cca 25 anni, ma
quando il “cecchino” venne preso
risultò che effettivamente erano due,
neri, e che l’uno aveva 41 e l’altro 17
anni. Se la polizia avesse dato retta
ai profiler non avrebbe mai risolto il
caso.
fGli esperti sono inutili
I criminal profiler ottengono dei
buoni risultati quando hanno a disposizione dei dati dettagliati sui
casi in questione ma non si tratta
poi di risultati impressionanti. Molte ricerche hanno evidenziato che
i profiler “esperti“ non ottengono
risultati molto superiori a quelli ottenuti da studenti che hanno cercato
di stilare un profilo dei delinquenti
usando informazioni derivanti da
casi giudiziari realmente avvenuti.
Tutti possono servirsi delle probabilità di base note (ad es. il 90 p.c.
dei serial killer negli USA è di sesso
maschile e il 75 p.c. è di razza bianca) e ottenere così dati ben azzeccati
in casi criminali che si somigliano e
con un semplicissimo ragionamento
si può concludere ad es. che uno che
ha ammazzato una persona con un
portacenere è necessariamente un
tipo “forte”.
Va molto, ma molto, peggio quando
si tratta di stimare le caratteristiche
personologiche. Se le prove scientifiche a favore della precisione del criminal profiling sono così deboli, per
quali ragioni esso è così frequente e
popolare? Potrebbero esserci tante
ragioni, ma mi limiterò a descriverne tre: 1) l’eccessiva risonanza data
ai “colpi andati a segno”, ovvero alle
previsioni corrette rispetto a quelle
sbagliate, che inducono ad una percezione selettiva; 2) l’“euristica della
competenza”, ovvero la tendenza
a fidarsi e credere a ciò che dicono
delle persone ritenute “esperte in
materia”; 3) l’effetto Barnum, ovvero
il fare delle affermazioni tanto vaghe
e generiche che possono riferirsi
praticamente a tutti, criminali compresi (come abbiamo visto nei pezzi
dedicati all’astrologia o al “cold reading”).
Coloro che confessano di solito
sono colpevoli. Bello da credere,
ma non è così affatto. Un pensiero
di questo tipo è rassicurante, il reo
ha confessato, ora sta al fresco e il
pericolo è cessato. Nella pratica giudiziaria invece il numero di confes-
sioni false a volte è impressionante,
soprattutto nei casi di delitti efferati. Nel noto caso di cronaca detto “Il
delitto della Dalia nera”, un’aspirante attrice uccisa e poi mutilata, i “rei
confessi” furono una trentina, ma il
caso è tutt’ora irrisolto.
fChi confessa è reo?
Cosa può spingere degli innocenti a
confessare un crimine? Ci sono delle
confessioni volontarie che possono
essere dettate dalla mania di protagonismo, altre che derivano dal desiderio di “autopunizione” per delle
violazioni passate vere o anche solo
immaginate, la volontà di proteggere
il/i vero autore del crimine (coniuge,
figlio, genitore), qualche disturbo
psichico che rende difficile distinguere la fantasia dalla realtà.
Queste confessioni spesso possono
creare intralci alla giustizia deviando le indagini nel senso sbagliato.
Inoltre ci possono essere ancora due
tipologie di confessioni false, quelle
condiscendenti e quelle interiorizzate.
Le prime sono delle confessioni fatte
per “togliersi dai guai”, per cadere in
guai anche peggiori. In questi casi le
persone confessano per sottrarsi a
situazioni stressanti come possono
essere gli interrogatori della polizia,
ritenendo che poi non avranno problemi a ritrattare e che la verità verrà
comunque a galla.
Invece non di rado capita che la giustizia, forte della confessione, non allarghi affatto le indagini ma raccolga
“prove” che supportano la falsa confessione per arrivare alla condanna.
Le seconde sono rappresentate dai
casi in cui persone vulnerabili vengono indotte a credere di aver veramente commesso un crimine. Difficile da credere che possa capitare,
ma non tanto.
Può capitare che una persona sia effettivamente stata a contatto con la
vittima, ma per vari motivi potrebbe
avere dei buchi di memoria, dovuti
magari all’ubriachezza. In casi simili non è raro che le “suggestioni”
dell’interrogatore diventino dei “falsi ricordi” ritenuti veri anche dal sospettato.
(5 - continua)
Panorama
53
multimedia
IOS
Autunno di grandi
aggiornamenti per
i prodotti Apple
a cura di Igor Kramarsich
P
er tutti gli amanti dei prodotti Apple settembre e ottobre sono stati i mesi dei grandi
aggiornamenti. Infatti sono ufficialmente disponibili iOS 8 (e di recente l’iOS 8.1) per
i dispositivi mobili e l’aggiornamento 10.9.5 per OS X Mavericks e OS X 10.10 Yosemite. Dopo aver visto le novità per i dispositivi mobili, sondiamo ora quelle per gli altri.
i
IOS 8 e IOS 8.1
OS 8 è come sempre
gratuito per gli utenti
di iPhone, iPad e iPod
touch. Offre nuove funzioni nelle applicazioni
Messaggi e Foto, l’immissione testi predittiva
per la tastiera QuickType di Apple e l’opzione
per la condivisione In
famiglia. iOS 8 comprente inoltre la nuova app Salute,
che offre una visione d’insieme su
stato di benessere e dati di fitness
dell’utente, e iCloud Drive, per archiviare e accedere ai file ovunque.
fMessaggi
Con Messaggi ora basta un tap
per aggiungere la propria voce alla
conversazione e per condividere le
foto e i video. Si possono mandare pure più foto e video insieme,
e scorrerli facilmente da un unico
posto, senza lasciare la conversazione.
fFoto
L’app Foto mette a disposizione
nuovi strumenti di editing. L’app
54
Panorama
Funzioni e applicazioni
raddrizza in automatico l’orizzonte
nelle immagini e basta sfiorare la
foto per regolare velocemente luce
e colore. Per un editing più preciso, è possibile accedere ad altri tool
più evoluti per regolare esposizione, luminosità, contrasto, toni chiari, ombre e molto altro.
fSalute
La nuova app Salute raccoglie le
informazioni definite dall’utente dalle varie app per la salute e i
diversi dispositivi di fitness per
fornire una panoramica chiara e
aggiornata. Le API HealthKit offrono agli sviluppatori la possibilità di far comunicare fra loro le app
per la salute e il fitness. Con l’autorizzazione dell’utente, ogni app
può usare informazioni specifiche
da altre app per offrire una gestione più completa della salute e del
benessere.
fiCloud Drive
Con iCloud Drive è possibile archiviare, accedere e modificare in
tutta sicurezza documenti di ogni
tipo. Quando si apportano modi-
fiche su un dispositivo, la versione più aggiornata del documento
appare sugli altri dispositivi iOS, i
Mac, i PC Windows e sul sito www.
icloud.com. iCloud Drive porta la
collaborazione fra app a un livello
del tutto nuovo, offrendo un accesso intuitivo e la possibilità di lavorare sullo stesso file da app diverse.
fiOS 8.1
E poi alla fine di ottobre è venuto
l’aggiornamento 8.1 con altre importanti novità.
-
in Foto ora di nuovo abbiamo
troviamo l’album “Rullino foto”
nell’app Foto e dell’album “Il mio
streaming foto” quando Libreria
foto di iCloud non è abilitata.
- possibile l’invio di avvisi quando
lo spazio libero non è sufficiente
prima di realizzare video in timelapse.
- con messaggi ora esiste la possibilità per gli utenti iPhone di inviare
e ricevere messaggi SMS e MMS
da iPad e dal Mac.
- sono stati risolti i problemi relativi
alle prestazioni Wi-Fi che potevano verificarsi durante la connessione con alcune basi.
-
correzione di un problema che
poteva impedire la connessione ai
dispositivi vivavoce Bluetooth.
- correzione di errori che potevano
impedire allo schermo di ruotare
correttamente.
- aggiunta di un’opzione che permette di selezionare le reti 2G, 3G
o LTE per i dati cellulare.
- correzione di un problema in Safari che a volte non consentiva la
riproduzione di video.
-
aggiunta del supporto AirDrop
per i biglietti di Passbook.
- introduzione di un’opzione, indipendente da Siri, che abilita Dettatura nelle impostazioni Tastiere.
- possibilità per le app di HealthKit
di accedere ai dati in background.
Panorama
55
fioralia
sapori
Nel fiore
del mandorlo
tesori
inesauribili
eeFillide, una principessa tracia, dopo
aver atteso invano
Acamante si uccise
impiccandosi ad un
albero. La dea Era, impietosita, la trasformò
in un mandorlo
di Daniela Mosena
A
ndiamo verso la stagione, quella
invernale, in cui un fiore bellissimo sboccia, anomalo per chi abita sopra un certo parallelo ma che
alcuni accudiscono in casa proprio
per ornarla di questo fiore. Parliamo del
mandorlo che vediamo fiorire in pieno inverno, naturalmente nelle zone temperate.
I Greci narravano che Fillide, una principessa tracia, si era invaghita di Acamante, figlio di Teseo, sbarcato nel suo regno mentre
navigava verso Troia. Al ritorno delle navi
greche la fanciulla, dopo averlo atteso invano, morì disperata. La dea Era, impietosita,
la trasformò in un mandorlo che Acamante,
56
Panorama
giunto in ritardo, non poté fare altro che abbracciare, sconsolato. Da quel giorno, primo
fra tutti gli alberi, il mandorlo fiorisce alla
fine di gennaio.
Per gli Ebrei era promessa di Vita nuova.
Scriveva Geremia: “Mi fu rivolta questa parola del Signore: Che cosa vedi, Geremia?”.
“Vedo un ramo di mandorlo” rispose. Il Signore soggiunse: “Hai visto bene poiché io
vigilo sulla mia parola per realizzarla”. Non
a caso Mosè incontrò il Signore sotto un
mandorlo del monte Oreb; e Giacobbe soleva porre bacchette di mandorlo nell’acqua
dove si abbeveravano le sue pecore “affinché i greggi concepissero guardandole: e
così avveniva che le pecore, accoppiandosi
con quei rami davanti agli occhi, partorissero agnelli macchiettati, variegati e vaiolati.
Nel Libro dei Numeri si racconta che il Signore ordinò a Mosè di scegliere i sacerdoti,
ovvero coloro che avrebbero esercitato il
servizio religioso nella tenda del convegno:
“Parla agli Israeliti e fatti dare da loro dei
bastoni, uno per ogni casato paterno: cioè
dodici bastoni da parte di tutti i loro capi secondo i loro casati paterni: scriverai il nome
di ognuno sul suo bastone (...) poiché ci sarà
un bastone per ogni capo dei loro casati paterni. Riporrai quei bastoni nella tenda del
convegno, davanti alla testimonianza, dove
io sono solito darvi convegno. L’uomo che io
avrò scelto sarà quello il cui bastone fiorirà
e così farò cessare davanti a me le mormorazioni che gli Israeliti fanno contro di voi”.
Così avvenne: Mosè ripose i bastoni davanti
al Signore nella tenda della testimonianza
dove fiorì quello di Aronne, della tribù di
Levi: “Aveva prodotto germogli, aveva fatto
sbocciare fiori e maturato mandorle”.
Poiché in latino bastone si dice virga, termine quasi eguale a virgo, vergine, il simbolo
di quello non fertilizzato ma che reca frutti
venne trasferito alla Vergine Maria. Sicché
il mandorlo, che nel Vicino Oriente era consacrato alla dea Astarte, divenne uno degli
alberi della Madonna. Nell’arte medievale
anche san Giuseppe è talvolta raffigurato
nell’atto di reggere un ramo di mandorlo
fiorito, per rammentare la sua paternità
putativa ottenuta attraverso il miracolo già
ricordato a proposito del giglio.
Nel linguaggio ottocentesco dei fiori, il
ccLe mandorle sono semi oleosi ricchi di vitamine e minerali. Aiutano a mantenere in
buona salute il cuore, le arterie e le ossa, e rappresentano anche un valido rimedio
naturale contro l’anemia
SIMBOLISMO
Sono i primi a sbocciare in primavera,
talvolta nel tardo inverno, e per
questo significano speranza, oltre
che il ritorno in vita della natura, ma,
sfiorendo nell’arco di un breve lasso
di tempo, rappresentano anche la
delicatezza e la fragilità
mandorlo evoca invece Sbadataggine,
quello a fiore doppio Falsità, il nano Vigilanza. In termini botanici è denominato
Prunus amygdalus, mentre Linneo lo aveva
battezzato Amygdalus communis.
fLe mandorle,
l’essenziale celato
sotto l’apparenza
Inevitabile parlare di ciò che da questo
bellissimo fiore nasce, il suo frutto, la mandorla, che ha ispirato, fin dall’antichità,
simboli divini perché essa interpreta l’essenziale celato sotto l’apparenza, ovvero il
cuore dell’essere. Non è facile infatti raggiungerne la candida polpa croccante: si
deve prima di tutto aprire il mallo carnoso
e verdastro, poi rompere la corazza legnosa
e infine levare la pellicina dentro la quale
apparirà finalmente il frutto denso di oli e
di aromi sicché in ogni tradizione rompere
il guscio della mandorla significa allegoricamente giungere al termine del cammino
che conduce a scoprire il tesoro invisibile in
noi. In quella ebraica la mandorla, detta
luz, esprime il nucleo indistruttibile dell’essere insieme con la luce che manifesta la
sua presenza. Tale simbolismo si ritrova non
soltanto nel linguaggio dei mistici ma altresì nelle favole dove si racconta di mandorle
che contengono doni meravigliosi.
Nel mondo cristiano la mandorla allude
all’interiorità nascosta nell’esteriorità e perciò racchiude il mistero dell’illuminazione
interiore, il mistero della Luce. Il riflesso
luminoso a forma di mandorla che circonda
la Madonna o il Cristo in maestà nelle opere
d’arte medievali simboleggia l’emanazione
della luce divina nell’apparizione di Dio
e nello stesso tempo la velatura di questa
luce per chi la contempla. Una mandorla
può evocare il Cristo stesso perché la sua
natura divina era celata nella sua natura
umana.
Questo frutto, che pur essendo di origine
asiatica è ormai da millenni tipicamente
mediterraneo, è entrato nella pasticceria
arabo-sicula e andalusa con moltissimi dolciumi, dai torroni ai confetti sino a quella
pasta reale o marzapane che grazie alla sua
malleabilità ha permesso di creare i celebri
frutti di martorana e le ossa dei morti che
si mangiano alla Commemorazione dei Defunti.
Anticamente si riteneva che la mandorla fosse un rimedio contro l’ubriachezza, come riferiscono Plinio e Plutarco.
Quest’ultimo narra di un medico, ospite
abituale di Druso, figlio di Tiberio, che
sfidava chiunque a bere del vino senza
ubriacarsi: e riusciva sempre a vincere la
sfida. Ma un giorno fu sorpreso a mangiare mandorle amare prima del pasto: sicché
dovette confessare che senza quella precauzione il vino, pur in modesta quantità,
gli avrebbe dato alla testa.
Dalle mandorle si ricava un olio, ottimo
protettivo cutaneo, ammorbidente e rassodante, in grado di combattere anche le
smagliature, come già aveva osservato
il Mattioli. In Normandia si usa un gioco,
rammentato anche da Marcel Proust: se si
trovano due mandorle gemelle nello stesso
guscio se ne offrirà una alla persona cara
accordandosi con lei sul giorno e l’ora del
prossimo incontro.
Panorama
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scacchi
curiosità
Considerato universalmente il primo campione del mondo non ufficiale, la sua tecnica è ricordata come una delle più brillanti nella storia dello... sport delle meningi
Paul Morphy l’inventore
della «strategia»
a cura di Sandro Damiani
I
ntroduciamo una rubrica dedicata agli scacchisti che hanno attraversato quel lasso di
tempo che va dalla metà dell’Ottocento
a oggi, cioè da quando questo millenario
gioco è uscito dai castelli e dalle corti fino a
conquistare le meno raccomandabili bettole dei
Balcani e dei Pirenei, della Selva Nera e del Caucaso, delle Ande e dell’Himalaya. Il nostro primo
protagonista è l’americano Paul Charles Morphy
(1884). Proveniente da una famiglia benestante, a quattro anni impara a giocare. Padre e zio
lo sfoggiano nei salotti cittadini come si fa col
figlio/nipote/fratellino genialoide e talentuoso
(si tenga presente che all’epoca, nella puritana
e incolta America, gli scacchisti sono considerati
poco meno che dei lussuriosi giocatori d’azzardo
e il fatto che un bambino sappia giocare ha il valore della scimmietta ammaestrata da esibire).
Per il futuro del piccolo Paul si prospetta la carriera forense. Intanto, gioca, vince e sbalordisce.
A tredici anni batte uno dei più forti scacchisti
del momento, l’esule ungherese Janos Johann
Lowenthal e a venti si aggiudica il primo American Chess Congress, strapazzando i migliori
scacchisti, tra cui il tedesco Louis Paulsen. Neanche a dirlo, viene immediatamente proclamato il
Numero Uno degli Stati Uniti.
Frattanto consegue la laurea in Giurisprudenza
in un solo anno di studi: conosce a memoria tutti
i testi universitari. Siccome la legge non gli consente ancora di darsi alla professione, continua
a giocare e a seguire quanto avviene nello scacchismo europeo. Nel 1858 si reca in Europa per
sfidare Howard Staunton, che i circoli londinesi,
parigini e viennesi reputano l’Uomo-da-battere.
Ma questi, famoso esegeta di William Shakespeare e animatore di riviste scacchistiche, sa chi è
e come gioca l’Americano, sicché lo evita in tutti
i modi. A Morphy non resta che vedersela con
gli altri campioni. Che batte, regolarmente. Tra
costoro c’è il tedesco Adolf Andersenn, di un gradino inferiore a Staunton, ma molto più amato
58
Panorama
dell’Inglese, e per il gioco invero scintillante e
fantasioso e per l’indole. Infatti, sarà l’unico ad
avere parole di ammirazione per Paul Morphy,
nonostante le brucianti sconfitte patite. “Dov’è
finito il suo gioco estroso”, gli chiedono. E lui:
“Morphy non mi permette di svilupparlo”. “Eppure alcune partite le ha vinte”. “Certo - risponde il Tedesco - ma dopo cinquanta e più mosse,
mentre lui mi batte in venti”...
Ma non è il solo Andersenn a stimare Paul
Morphy, sicché alla fine del suo tour, per acclamazione la crema dello scacchismo europeo
incorona il ventunenne di New Orleans “Numero
Uno al Mondo”. Paul torna a casa, e ad attenderlo
trova l’intelligentia culturale e scientifica americana, che lo “saluta” come Campione del mondo.
A lui tutto ‘sto entusiasmo non piace. Per lui gli
scacchi rimangono un gioco. Tant’è che quando
gli viene proposto di scrivere un libro a quattro
mani sul “Morphy scacchista”, si offende a morte.
È il 1861: Morphy ha l’età per darsi all’avvocatura, solo che gli Stati Uniti sono in guerra, una
guerra fratricida. Alla quale partecipa. Secondo
alcuni avrebbe combattuto al seguito del generale, suo concittadino, Pierre Beauregard;
secondo altri, questi non l’avrebbe preso in considerazione. C’è chi dice di averlo visto in talune
battaglie e chi, invece, che non c’era affatto, altrimenti come si spiegherebbero le sue presenze
a Cuba e nuovamente in Europa (dove peraltro
non gioca con nessuno!). Qualcosa di vero sulla
sua partecipazione alla più grande carneficina
in terra americana (e di tremendo trauma) ci
dev’essere, se è vero che terminato il conflitto
e messo in piedi uno studio legale, comincia a
dare i primi segnali di squilibrio. Acuiti dal rifiuto
di una giovane donna di sposarlo - gli avrebbe
detto che lei con uno scacchista non si metterebbe mai - e l’impossibilità di trovare clienti,
nonostante la fama.
Morphy smette di giocare. Vede nemici dappertutto, accusa lo zio di volerlo derubare del lascito
paterno, si barrica in casa e chiude col mondo,
a parte le quotidiane brevissime passeggiate,
sempre solo, alla medesima ora, intento a bor-
bottare tra sé e sé. Un anno prima di morire,
accoglierà in casa lo scacchista tedesco, e coetaneo, Wilhelm Steinitz (pochi anni dopo diverrà il
primo Campione del Mondo ufficiale, giunto in
America per fare un po’ di soldi nei tornei), ma a
patto che non si parlerà di scacchi.
Paul Morphy muore di cuore a 47 anni, nella vasca
da bagno. Tra le sue carte troveranno gli appunti
di centinaia di partite, con tanto di note. Lo scacchismo statunitense lo proclama primo Campione
USA non ufficiale, titolo che gli viene riconosciuto a
cominciare dal 1857 fino al 1872, benché negli ultimi anni non si fosse nemmeno avvicinato ad una
scacchiera. La data è stata scelta in base al fatto
che in quel ‘72 si tenne il secondo American Chess
Congress - il campionato nazionale ufficioso - che
sarà vinto da George MacKanzie.
Gli esperti - dai grandi campioni sovietici del
secondo dopoguerra al connazionale Bobby
Fisher - hanno sempre sostenuto che Morphy è
stato uno scacchista geniale, e che avrebbe dato
filo da torcere anche ai “mostri sacri” del ’900.
Inoltre, è stato l’inventore della “strategia” e
dello sviluppo dei pezzi. Niente arrembaggi, voli
pindarici e “o la va o la spacca”, ma puro ragionamento, e appena dopo fantasia e sacrifici.
passatempi
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Idrocarburo Policiclico Aromatico
(sigla) – 29. Non essere intonato –
31. Il re di Tebe padre di Edipo – 32.
Tredici si chiamavano Benedetto –
33. Cammina dondolandosi – 34.
L’acido desossiribonucleico (sigla)
– 35. Si suona col mazzuolo – 36.
Una palla d’avorio – 37. Girarsi a
sinistra – 38. Un frenetico ballo –
41. L’Ecuador su targa d’auto – 42.
La pelliccia di coniglio – 44. Sfocia
nella Manica presso Caen – 45. Era
l’abbreviazione
Soluzione del numero precedente
delle lire italiane
– 46. Componimento lirico d’argomento elevato
– 47. Il leggendario fondatore di
Troia – 48. Mitico
re e sacerdote di
Delo – 49. Dare
una mano – 51.
Superato per la
moda – 52. Si van-
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ORIZZONTALI: 1. Fa da contorno
ad un personaggio importante – 9.
Si diletta tra le aiuole – 16. Semplice melodia tedesca – 17. Celebre
carro armato alleato della seconda
Guerra Mondiale – 19. Col dare nel
mastro – 20. Ornamenti muliebri –
22. L’altopiano che delimita ad est il
Mar Morto – 23. Nel proverbio non
fa bollir la pentola – 24. Correlativo
dell’altro – 25. Elemento chimico fortemente radioattivo – 27.
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ta senza merito – 54. Periodi storici
– 56. Si combatte col vaccino Sabin
(abbr.) – 58. Cura la manutenzione
delle strade in Italia (sigla) – 59. Il
colore… del topo – 61. Sospensione del respiro – 62. Giudicare il
valore – 64. Pregevoli qualità – 65.
Salsa per fritture – 66. Assilla l’incendiario.
VERTICALI: l. Copricapo metallico
– 2. Isola delle Cicladi – 3. Esteso
possedimento agricolo – 4. Aveva
la propria dimora nel Valhalla – 5.
Era la sigla della Repubblica di Salò
– 6. Esclamazione di meraviglia –
7. Pietre preziose – 8. Eccelle nel
coraggio – 9. Fu papa dal 236 al
250 – 10. Preposizione semplice –
11. Porta foglie, fiori e frutti – 12. Il
nome di Andrić – 13. Trasmissione
televisiva a puntate – 14. Il cavalletto per la macchina fotografica
– 15. Nelle casse e nel baule – 18.
L’investigatore privato creato da
Raymond Chandler – 21. Scrisse Il
richiamo della foresta – 23. Antico
precettore – 25. La regione spagnola con Saragozza – 26. Il rumore della ruota che stride – 28. Ulisse
lo defraudò delle armi di Achille –
29. Una barca… da salvataggio
– 30. Affermazione a Praga – 32.
Molto religiose – 33. Alimenta il
Lago d’Iseo – 35. Lo sono molti
tifosi liguri – 36. Aperitivo amaro –
38. Prefisso per vita – 39. Colorate
come l’arcobaleno – 40. Ci va chi
scende – 43. Grossi serpenti – 46.
Lo stato USA con Salem – 48. Pianta erbacea velenosa detta anche gigaro – 49. A sufficienza – 50. Secca
e sterile – 52. Giovanni davanti a
Paolo – 53. Gioca nel derby della
Lanterna – 55. Il fagiolo cinese –
57. Il nome di Valiani – 59. La terra
nei prefissi – 60. Andati – 61. Nel
tram e nel camion – 62. Sassari su
targa d’auto – 63. Doppio ostacolo
per blesi.
Pinocchio
Panorama
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