- A buon diritto

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A cura di
Contatto:
Giovanna Cavallo
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Valentina Brinis
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A Buon Diritto
Action Diritti in Movimento
Baobab Experience
Consiglio Italiano per i Rifugiati
Radicali Roma
Rete legale di
supporto a via Cupa
Rapporto attività
Baobab: il transito dei migranti e la negata accoglienza
La rete di supporto legale – realizzata da A Buon Diritto, Action Diritti in
Movimento, Baobab Experience, Consiglio Italiano per i Rifugiati e Radicali
Roma - ha svolto un’attività di orientamento e tutela legale. Ecco un bilancio dei
dati relativi alle persone intercettate a via Cupa e dei loro bisogni.
Lo sgombero forzoso del presidio solidale di via Cupa del 30 settembre scorso mette a
nudo l’inadeguatezza dell’amministrazione di Roma Capitale nel risolvere il problema dei
migranti in transito da Roma. L’unica strategia trovata è stata mascherare un problema
che non si è riusciti a risolvere.
Per capire meglio lo scenario torniamo un po’ indietro, a quando le nostre associazioni
hanno deciso di mettere in campo un’attività di supporto legale rivolta ai migranti che
sostavano al presidio. Tenteremo di tracciare un bilancio degli ultimi cento giorni, a partire
dall’insediamento della nuova amministrazione a metà giugno, quando la sindaca si era
impegnata a trovare una soluzione al problema dei migranti di via Cupa entro una settimana:
"Per strada non possono stare, non è una situazione dignitosa né tollerabile per loro”.
In attesa delle misure promesse, la Rete di supporto legale si è attivata, e dal 15 giugno
2016 al 30 settembre 2016 sono stati intercettati oltre 400 migranti in transito dalla Capitale,
che avrebbero voluto finalizzare il loro progetto migratorio nei paesi del Nord Europa: cittadini
eritrei (74%), etiopi (5%), sudanesi (14%) e somali (6%).
Nelle 150 ore di intervento effettuato dalla Rete, in media 8,5 ore a settimana nelle quali
sono intervenuti team di operatori legali e mediatori culturali, abbiamo intervistato i migranti in
transito, dei quali circa il 35% erano donne, molto giovani, tra i 19 e 25 anni, e che nell’85% dei
casi viaggiavano da sole. Il 3,9% delle donne che sono passate per via Cupa era in stato di
gravidanza, tra il quinto e l’ottavo mese. Il 75% delle persone incontrate dichiarava di avere
componenti del nucleo familiare nei paesi di destinazione, tra i quali Inghilterra, Germania e
Svizzera. Le storie delle donne che abbiamo conosciuto − nella quasi totalità dei casi −
avevano in comune alcuni eventi drammatici legati al viaggio e alla sosta in Sudan e in Libia:
traffici, violenze e sopraffazioni che, il più delle volte, hanno lasciato tracce profonde nel corpo
e nello spirito di queste ragazze, le quali avrebbero avuto bisogno di percorsi di supporto
psicologico e di accompagnamento socio-sanitario.
Il 97% dei migranti intervistati ha dichiarato di volersi recare nel Nord Europa, dove nel 34%
dei casi hanno riferito di avere uno o più familiari. Il 15% del totale delle persone da noi
incontrate erano famiglie, soprattutto di nazionalità eritrea ed etiope di etnia Oromo.
Ricordiamo che gli Oromo fuggono da una feroce e violenta persecuzione da parte del
governo etiope e dalle forze di polizia, che li priva dei loro diritti e delle loro terre. I migranti in
transito appartenenti a questa etnia non hanno possibilità di accesso al programma europeo di
relocation. E lo stesso vale per quelli provenienti da Somalia e Darfur, che rappresentano il 28%
del totale. Pressoché tutti hanno dichiarato di voler perseguire il loro progetto migratorio oltre i
confini italiani.
La quasi totalità delle persone da noi informate era stata fotosegnalate negli hotspot voluti
dall’Unione Europea. Questa circostanza ha fatto sì che l’informativa legale fosse fortemente
incentrata sui diritti e vincoli che questa condizione poneva: sul Regolmento Dublino e sulla
possibilità di chiedere asilo in Italia e di fruire dello strumento della relocation. Da sottolineare,
infatti, la pressoché totale assenza di informazioni che queste persone denunciavano
nonostante fossero stati negli hotspot, nei centri di prima accoglienza e di accoglienza
straordinaria: nessuna attenzione all’accesso a una informazione adeguata sui loro diritti, ma
l'interesse esclusivo a che le loro impronte digitali fossero registrate.
In una prima fase il presidio di via Cupa ha rappresentato per la quasi totalità dei migranti
(99%), un luogo di passaggio, di transito, nel quale riorganizzare le poche risorse economie
disponibili, recuperare le forze e pianificare l’ulteriore tragitto da compiere. Oltre ad avere la
possibilità di contattare i propri familiari, attendere nuovi fondi per il viaggio e trovare un
contesto umano e di solidarietà dopo aver vissuto l’inferno. Dai dati in nostro possesso la
durata media della sosta è stata dai 5 ai 7 giorni.
Tutto è cambiato sensibilmente nel momento in cui sono state chiuse le frontiere a Nord. Da
agosto si sono inasprite le forme di controllo che hanno portato a casi di trattenimento e di
trasferimento forzato dai luoghi di confine. I migranti, a quel punto, si sono resi conto della
sempre maggiore difficoltà di oltrepassare le Alpi. Alcuni di loro, trasportati come pacchi lungo
la penisola, una volta fermati sono stati trasferiti da Ventimiglia o da Como verso l’hotspot di
Taranto. Qui a volte sono stati lasciati liberi di andarsene, mentre in altri casi sono andati di
nuovo in Nord Italia per poi essere rimpatriati, come nel caso delle quaranta persone sudanesi
partite da Torino per Khartoum. Rimpatrio effettuato grazie all’accordo siglato tra le forze di
polizia italiane e sudanesi il 4 agosto scorso: un accordo con uno Stato in cui vige la dittatura di
Al_Bashir, già accusato di crimini di guerra e genocidio dalla Corte penale internazionale. Un
fatto sconcertante che si conferma al di là di questo singolo caso, con il dato che vede oltre il
50% dei richiedenti sudanesi, intercettati dai nostri operatori, destinatari di un provvedimento di
espulsione.
Da questo momento in poi, i rifugiati eritrei hanno cominciato ad avanzare richieste per
accedere alla relocation, prontamente trasmesse in diverse comunicazioni da parte delle
nostre organizzazioni, alla Prefettura e all’Ufficio immigrazione della questura per una
immediata attivazione delle procedure. Abbiamo inviato oltre 140 nominativi di cittadini
aventi diritto al programma e di 60 di questi abbiamo la certezza che siano entrati nel
sistema d’accoglienza in attesa di accedere alla procedura.
Va segnalato anche quanto accaduto nelle ultime settimane a un certo numero di
richiedenti asilo, come nel caso di alcuni cittadini somali, sudanesi o provenienti dall’Etiopia –
circa il 10% del totale dei transitanti intervistati – che hanno deciso di avvalersi in Italia della
procedura per l’accesso alla protezione internazionale ma non sono riusciti a presentare la
domanda per oltre tre settimane. In più occasioni, durante il mese di settembre, a molti di
questi richiedenti – accompagnati dai volontari – non è stato consentito l’accesso agli uffici
competenti della questura di Roma per motivi diversi. In particolare, è stato loro comunicato,
una volta giunti in via Patini, la sospensione dell’accettazione delle richieste da parte degli uffici
fino al 21 ottobre.
Diversa la situazione per i minori intercettati, che rappresentano il 10% circa del totale degli
intervistati dalle nostre equipe, di cui nella quasi totalità dei casi si è fatta carico Save the
Children. Nelle loro strutture ne sono stati accolti centinaia, a cui sono stati garantiti i servizi di
tutela e di orientamento.
Alla luce dei dati indicati complessivamente possiamo certamente dichiarare via Cupa un
luogo di transito per i migranti in cerca di protezione. Ci colpiscono le parole
dell’assessora Baldassarre secondo la quale lo sgombero era anche finalizzato ad evitare che
le fragilità riscontrate a Via Cupa fossero “strumentalizzate per finalità oscure”, dichiarando,
attraverso dati a noi sconosciuti, la presenza di migranti non transitanti che avrebbero gonfiato
una emergenza molto più ridotta.
Vogliamo sottolineare che i migranti da noi informati non erano attirati a Via Cupa da
una nascosta strategia né da promesse di alcuna sorta, ma solamente dalla
disperazione individuale di migliaia di persone a cui le istituzioni non avevano fin qui
garantito informazione e accesso ai diritti loro garantiti. L’evidenza sta nei numeri di quanti
dopo l’informativa hanno chiesto asilo in Italia o hanno avuto accesso al programma di
relocation.
Inoltre non ci risulta che siano aumentati i posti in nessuno dei centri di accoglienza del
sistema di Roma Capitale né ci risulta siano stati aperti centri per all’accoglienza di transitanti,
come da lei dichiarato. A parte il centro di via Casilina della Caritas, attivato nel mese di agosto
per un totale di 70 posti fino al 31 ottobre, gli altri centri della Croce Rossa italiana sono
preesistenti all’insediamento della giunta.
Infine, relativamente allo sgombero di via Cupa, risultano identificati 102 migranti, presenti
durante le operazioni di polizia: 75 sono stati accolti tra il centro Caritas e il centro della CRI. Gli
altri 28 che fine hanno fatto? E i nuovi arrivi che già sabato sera hanno affollato i giardini della
stazione Tiburtina? Non è vero dunque che tutti i “veri transitanti” sono stati accolti, come
dichiarato. La giornata successiva allo sgombero è stata poi caratterizzata dall’assenza delle
istituzioni locali (in particolare della sala operativa sociale del comune) e dalla presenza – oltre
che delle numerose forze dell’ordine – dei soli volontari che hanno aiutato e sono riusciti a
somministrare ben 80 pasti.
Servono una o più strutture in grado di rispondere a questi bisogni, come da settimane,
mesi, chiediamo, e come hanno già realizzato a Milano, Ventimiglia, Como. Siamo di fronte a
un flusso costante di persone che da mesi attraversa il paese e la Capitale, una situazione
delicatissima che necessita di essere gestito con serietà e risposte adeguate. L’assessore,
come ha dichiarato - e come risulta evidente da questi mesi – evidentemente non è in grado di
farlo.
È evidente che le questioni fondamentali che riguardano l’asilo, l’accoglienza, la tutela delle
persone vulnerabili non sono una priorità di questa giunta e della Sindaca Raggi. Ed è evidente
che questa amministrazione non è riuscita a sviluppare una adeguata strategia in merito
nonostante il confronto con le associazioni che di questi temi si occupano da anni e che hanno
proposto una serie di misure concrete da attuare.
L’accoglienza è un gesto di coraggio, responsabilità e umanità, negarla rende
complici delle migliaia di morti dell’immigrazione che proprio la giornata
mondiale di oggi ci ricorda.
Rete legale di supporto a via Cupa
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