Player1 - Il deposito di Kurai
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Player1 - Il deposito di Kurai
F ED ER I CO F A SCE - M AT . 2763543 Player D EV I A NZ A E M UTA M ENTO S OCI A LE 1 La carriera deviante del videogiocatore prima e dopo Playstation Università degli Studi di Genova Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione A.A. 2004-2005 Quest'opera è stata rilasciata sotto la licenza Creative Commons Attribuzione-NonCommerciale-StessaLicenza 2.0 Italy. Per leggere una copia della licenza visita il sito web http://creativecommons.org/licenses/publicdomain/ o spedisci una lettera a Creative Commons, 559 Nathan Abbott Way, Stanford, California 94305, USA. Indice degli argomenti Insert coin: introduzione....................................................................................................................... 3 Stage 1: death to reality........................................................................................................................ 5 Stage 2: io, videogiocatore.................................................................................................................... 7 Stage 3: Sony, geek e hardcore gamers..............................................................................................12 Final Stage: conclusioni...................................................................................................................... 15 End Credits.........................................................................................................................................16 2 Insert coin: introduzione Videogioco: dispositivo elettronico che consente a uno o più giocatori di simulare vari giochi sullo schermo di un televisore al quale viene collegato o sul monitor di cui fa parte integrante. Il videogioco è un new medium a finalità essenzialmente ricreativa. (Matteo Bittanti, L’innovazione tecnoludica) Anche se per molti il videogioco propriamente detto nascerà almeno quattro anni dopo, ritengo importante sottolineare il perché, nel 1958, un ricercatore del Brookhaven National Laboratory crea Tennis For Two1, di fatto il primo, rudimentale, videogame della storia. I fantasmi della II Guerra Mondiale ancora aleggiano nelle menti degli Americani, e l’opinione pubblica è divisa sulla pericolosità della tecnologia nucleare. Ecco perché, nei laboratori aperti al pubblico, è necessario mostrarne applicazioni pacifiche; ed ecco perché William Higinbotam, appassionato di flipper e sostenitore della tecnologia nucleare a fini non bellici, decide di intrattenere gli studenti in visita con qualcosa di più interattivo dei noiosi schemi tecnici solitamente presentati. La prima necessità che spinge l’uomo a creare un sistema di intrattenimento elettronico è quindi squisitamente propagandistica. Nel 1962 è un giovane studente del MIT, Stephen Russell, a creare la prima versione di Spacewar su un computer PDP-1. Nonostante Spacewar 2 potesse essere fruito solo su una macchina da 12000 dollari, l’idea che Stephen aveva dell’informatica era quella tipica dell’hacker: uno strumento di liberazione dall’oppressione politica e ideologica, dominata dalla cultura dello scambio e della condivisione delle conoscenze. Ecco perché non brevettò mai la sua invenzione. Ancora più importante, possiamo vedere già da questo punto uno sviluppo del videogioco nell’ambito di quella che sarà la cultura psichedelica degli anni ‘70. Fu Nolan Bushnell il primo ad intuire il potenziale dell’opera di Russell. Nel 1971 la Nutting Associated accolse il suo progetto, basato su Spacewar, e diede vita al primo videogioco da bar: Computer Space. Nonostante una campagna pubblicitaria decisamente ammiccante, e votata all’innovativo design dell’oggetto, Computer Space non ebbe un grande successo. Bushnell però non si diede per vinto, e tornò alla carica fondando, insieme a un amico, la Atari. Il primo prodotto di Atari si chiamava Pong, ed ebbe subito un successo strepitoso. A questo punto risulta doverosa una panoramica sulla “culla” socioculturale entro cui nacque e iniziò ad evolversi il videogioco. Tutto ciò che è collegato all’informatica, in quegli anni, ebbe il suo naturale terreno di crescita tra il già citato MIT e l’università di Berkeley, in California, proprio nel centro della Silicon Valley. Questo campus, in particolare, diventò famoso per essere il cuore del fermento rivoluzionario americano durante la guerra del Vietnam: è a Berkeley che nel 1964 ebbe origine il Free Speech Movement, che 1 Si tratta di una semplice simulazione di un gioco di tennis, per due giocatori. 2 In Spacewar i due giocatori si affrontavano guidando delle astronavi, nell’orbita di un pianeta. 3 diede origine a movimenti studenteschi in tutti gli Stati Uniti. Passeggiando per i viali dell’università californiana, verso la fine degli anni ‘60, non era raro incontrare Steve Jobs e Steve Wozniak impegnati nella costruzione del primo computer Apple, o Captain Crunch, al secolo John Draper, che dopo aver scoperto il modo di introdursi nel sistema telefonico americano attraverso un fischietto trovato nei cereali, era diventato a tutti gli effetti il primo hacker della storia. Lo stesso Timothy Leary, ideologo della cultura psichedelica e grande amico di molti dei personaggi che ruotano intorno al mondo dei videogiochi, si laureò in psicologia a Berkeley. In particolare i videogiochi nascono proprio dall’ala più rivoluzionaria di questi studiosi, e dal concetto di “viaggio” tipico della cultura psichedelica. Così come attraverso le droghe si intraprende un viaggio all’interno di un mondo generato dalla nostra mente alterata dagli agenti psicotropi, il videogioco non è altro che un mondo artificiale creato dal programmatore ed esperibile dal giocatore. Il passo dalla cultura psichedelica al videogame fu breve e naturale, giacché si trattava di un’area di esperienza molto simile. Si dice addirittura che negli uffici di Atari, negli anni ‘70 la marijuana venisse diffusa tramite l’aria condizionata. Dalla cultura psichedelica nacquero poi altre interessanti attività di svago, che spessissimo sono contingenti a quella del videogiocatore: la più famosa e criticata è senza dubbio quella dei role playing games3. Il legame tra giochi di ruolo i videogiochi è da subito strettissimo. Se nel 1974 Gary Gygax pubblica la prima edizione di Dungeons & Dragons4, già dal 1967, su mainframe a schede perforate, girava Adventure, trasposizione elettronica di un mondo fantasy. Ecco ancora una volta affiorare l’idea della realtà alternativa, e una spiccata dicotomia tra creatore del mondo e “utente” dello stesso che sarà fondamentale per la nascita dei bedroom developers, cioè degli sviluppatori di software casalinghi che faranno la fortuna dell’industria tra la fine degli anni ‘80 e i primi anni ‘90. Proprio della percezione del reale si tratterà nel primo capitolo di questo scritto, analizzando il film di David Cronenberg eXistenZ. Il secondo capitolo parlerà dello sviluppo dell’identità del videogiocatore, e di come e perché la società lo consideri un deviante. Nel terzo capitolo esamineremo l’intervento di Sony e la conseguente massificazione del mercato videoludico, nonché il cambiamento dell’identità del giocatore in favore di una “devianza controllata” dalle grandi major produttrici di software. Gioco da tavolo nel quale i giocatori impersonano guerrieri, maghi, elfi che vivono avventure all’interno di un mondo fantastico presentato da una persona che assume il cosiddetto ruolo di Dungeon Master. Per la natura fortemente interpretativa e ricca di espressioni gergali spesso riferite alla mitologia medievale, i giochi come questo sono spesso visti come pericolose associazioni segrete a sfondo religioso satanista. 3 4 Gioco di ruolo fantasy ispirato alla letteratura di J.R.R. Tolkien. 4 Stage 1: death to reality If real is what you can feel, smell, taste and see, then “real” is simply electrical signals interpreted by your brain. (Morpheus, da “The Matrix”) La prima domanda che dovremo porci per la nostra analisi è quale sia la percezione del reale e del mondo creato dal game designer per il videogiocatore. eXistenZ è un film di David Cronenberg del 1999, che racconta la storia di una game designer alle prese con un terrorista che la insegue per ucciderla. In realtà, tutto il film è un complesso intreccio di piani di esistenza, nella quale risulta impossibile capire dove sia il gioco e dove la realtà. L'idea dell'astrazione dalla realtà è la prima critica che viene mossa al gruppo sociale dei videogiocatori. Si dice che chi usa videogiochi non sia più in grado di distinguere il reale dall'immaginario, e che possa essere influenzato dalle immagini violente veicolate dalla console, e reagire di conseguenza. In effetti la protagonista del film, Allegra Geller, vede il mondo reale come una gabbia dalla quale uscire in cerca di emozioni diverse. In questo, eXistenZ fa suoi gli insegnamenti di Pierre Levy, che oppone il virtuale al sensibile: non importa il luogo metaforico nel quale l'esperienza viene condotta; quello che conta è l'esperienza in sé. Il luogo virtuale diventa un'espansione del mondo reale, una nuova frontiera da esplorare. Se consideriamo la tesi secondo cui esistono due realtà separate, quella sensibile e quella che ha a che fare con la comunicazione e con la negoziazione di significati, possiamo considerare il videogioco come assolutamente reale, e parte di questa seconda realtà 5. Chi gioca è spesso proiettato nei mondi attraverso un avatar, un alter-ego che funziona da medium con il mondo sensibile. A volte l'interazione è invece diretta, come nei videogiochi in prima persona. In entrambi i casi, comunque, l'immersione è totale: "la realtà è dove si trova la tua mente in quel momento" dice Jude Law in eXistenZ. Questo ha suscitato, da sempre molte preoccupazioni, e ha contribuito alla nascita del gruppo sociale dei videogiocatori: l'estraniarsi dalla realtà quando si gioca è visto come incapacità di socializzazione. È lo stesso eXistenZ a sfatare questo mito. Allegra non può giocare a eXistenZ senza qualcuno, altrimenti "è come essere un turista". La grossa fortuna dei giochi multiplayer in Internet dimostra che invece i giocatori socializzano moltissimo. Anche chi preferisce l'esperienza ludica solitaria ha comunque i suoi spazi sociali. Essendo però quello dei videogiocatori un gruppo piuttosto ristretto, è normale che i maggiori spazi di socializzazione avvengano con le modalità tipiche della cultura informatica. Per esempio, it.comp.console è un newsgroup relativo ai videogiochi su console. Pur essendo ristretto all'area italiana, conta dai 600 ai 1000 messaggi giornalieri, segno di un intensissimo scambio di opinioni, non solo correlate ai videogiochi, ma anche alla cultura, alla società, all’attualità. La fuga dal reale del giocatore, quindi, non sembra un pretesto per estraniarsi, quanto piuttosto la curiosità e la volontà di esplorare nuovi mondi, e di condividerne l’esperienza nel mondo sensibile. Non per tutti, infatti, è importante che l’esperienza ludica sia realistica, quanto piuttosto che sia interattiva e condivisibile. Ecco il perché del successo di giochi come The Legend of Zelda o dei vari Supermario, che narrano mondi onirici e del tutto irreali. 5 Luca Giuliano, I padroni della menzogna, Pag.15 5 Il tema dell’intero film eXistenZ è quello del reale e del virtuale che si intrecciano, di una lotta tra realismo e realtà. Ma una cosa è certa. La devianza nel film di Cronenberg non nasce dall’interno del gioco, ma nel gioco viene introdotta dall’esterno. Il messaggio del regista canadese sembra chiaro. Non è il gioco ad influenzare il fruitore, ma piuttosto il contrario. Nonostante nel film lo spettatore venga costantemente confuso su quale sia la realtà e quale la simulazione, questo aspetto è sempre perfettamente chiaro a chi è all’interno di eXistenZ. Nella parte finale del film Allegra Geller sa di essere in un gioco, e scopre finalmente le carte: la percezione dell’ambiente di gioco come ambiente reale è solo temporanea, e pronta a svanire quando ci si scollega. È l’elemento ludico della mimicry, teorizzato da Roger Callois: per giocare è necessaria l’accettazione temporanea di un universo convenzionale in cui diventare personaggi illusori. Al centro di questa operazione c’è il cambiamento di identità. La mimicry è fortemente radicata nelle interazioni sociali, e, con le dovute cautele, può essere assimilata al concetto di Erving Goffman di rappresentazione sociale. Potremmo dire in effetti che la mimicry è una ribalta, che ha per retroscena la vita sensibile. Secondo Callois i giochi sono caratterizzati da altri tre elementi, che lo studioso francese chiama ilinx, alea e agon. Il primo, ilinx, è particolarmente interessante, non essendo altro che l’elemento deviante insito nel gioco: è il senso di vertigine espresso con il volersi sottrarre alle regole per uscire dal mondo di gioco. Ilinx è l’emozione che sottomette la volontà. Tutto ciò che rappresenta il pericolo, nell’esperienza ludica, è ilinx. Agon è invece il mettersi alla prova con le proprie abilità, mentre alea è il fattore casuale del gioco. Vediamo con un esempio molto semplice come i quattro elementi coesistano in un videogioco. Pacman è un gioco famosissimo, nel quale il giocatore guida una sorta di sfera gialla attraverso labirinti infestati da fantasmi, nel tentativo di mangiare tutte le pillole sparse per l’arena. Nella mimicry il giocatore dovrà introiettare le regole connesse al gioco e al suo personaggio: può muoversi, mangiare le pillole, ma deve evitare i fantasmi. Ecco il giocatore immerso in un mondo alternativo, per quanto semplice esso sia. I pericoli sono in agguato, sotto forma di fantasmi. Questo è l’elemento ilinx, che ritroviamo anche nell’unica possibilità per il giocatore di sovvertire le regole: quattro pillole speciali, infatti permettono a Pacman di trasformarsi, per un periodo di tempo limitato, nella nemesi dei suoi nemici, e di mangiare i fantasmi. Il punteggio e un sistema di livelli sempre più difficili mantengono alto il fattore agon, mentre l’alea è soddisfatto dal movimento apparentemente casuale dei fantasmi. Un videogioco, quindi, è un gioco a tutti gli effetti, e l’identità del videogiocatore cambia temporaneamente in relazione al mondo in cui entra. Da sempre il gioco è stato visto con sospetto dai gruppi sociali dominanti, ma solo il videogioco ha assunto, soprattutto negli ultimi anni, questa caratteristica di attività deviante e potenzialmente pericolosa. 6 Stage 2: io, videogiocatore “...era come uno di quei sistemi chiusi in un romanzo di Pinchton: era un circuito di feedback, con i fotoni che uscivano dallo schermo verso gli occhi dei ragazzini, i neutroni che circolavano attraverso i loro corpi e gli elettroni attraverso i computer. E chiaramente loro credevano nello spazio proiettato dai videogiochi…” (McCaffery, Larry, Storming the Reality Studio. A Casebook of Cyberpunk and Postmodern Fiction) Come abbiamo detto, il gioco è sempre stato visto con sospetto dalla società, in particolar modo da quei gruppi che fanno del controllo sociale la loro stessa fonte di sopravvivenza; gli imprenditori morali sono tra i più acerrimi nemici dell’attività ludica. Ad esempio la religione cattolica non ha mai dato valore al gioco, e lo ha sempre guardato con sospetto. Proprio dai gruppi religiosi fondamentalisti, infatti, viene la condanna al gioco di ruolo come istigazione al satanismo (è famoso a proposito un articolo del direttore del CESNUR Introvigne), e il suo etichettamento come deviante. Il gioco, come abbiamo visto, implica l'accettazione di un mondo con regole sociali differenti, un senso di pericolo e di vertigine, e in generale un esercizio mentale che non piace a chi invece vorrebbe le masse portate il meno possibile al ragionamento. Questo concetto porta anche alla nascita dell'etichettamento del videogiocatore come potenziale violento e comunque non allineato al resto della società. Diciamo subito che il binomio videogiochiviolenza è piuttosto recente, e non è da subito elemento caratterizzante di questo nuovo media. Questo non significa che prima del 1988, anno di pubblicazione del controverso Splatterhouse, non esistessero videogiochi con contenuti violenti. All’inizio degli anni ‘80, nel momento di esplosione del media videogioco, il concetto di devianza era legato, più che alla violenza, al pericolo di distacco sociale del videogiocatore. Se consideriamo il lavoro di Howard Becker6 e la sua labelling theory, possiamo rilevare come il controllo e la creazione di norme in questa prima fase fosse portato avanti da associazioni dei genitori facenti parte della middle-class americana, sorretti da un equipe di psicologi in qualità di esperti. Questi imprenditori morali ben incarnano il paradigma Beckeriano del crociato delle riforme, e cominciano la loro missione denunciando il luogo d’incontro della sala giochi. In alcuni stati si ottengono addirittura leggi che richiedono per giocare una certificazione d’età; i videogiochi vengono così inseriti in un frame di dipendenza, e allineati in qualche modo alle sostanze stupefacenti. Ritorna così il binomio videogioco-droga, che come abbiamo visto è tipico degli anni ‘70. Questa volta però l’etichettamento non è endogeno, ma è opera delle associazioni dei genitori, sostenute dalla frangia politica repubblicana più conservatrice e reazionaria. Come ben evidenzia J.C. Hertz 7, l’etichettamento del videogiocatore scaturiva sostanzialmente dalla preoccupazione dei genitori dei ceti medi, che vedevano la sala giochi come un luogo in cui i loro figli potevano entrare in contatto con altre realtà sociali, mai realmente accettate da loro, come ad esempio la working class, o gli immigrati neri o ispanici. È in questo periodo che si forma l’archetipo del nerd, spesso usato come spauracchio per convincere i giovani americani a non intraprendere certe strade. In una società ossessionata dalla cultura del vincente, il nerd è invece l’icona del perdente: la testa perennemente nel computer non lo fa eccellere negli sport, ha una vita sociale prossima allo zero e la sua elevata cultura e intelligenza non bastano per inserirsi in un gruppo sociale, quello della scuola, che fa della popolarità il suo metro. I videogiocatori, gli 6 Howard S. Becker, Outsiders - Saggi di Sociologia della Devianza, EGA, Torino, 2006 7 J.C. Hertz, Il popolo del joystick, Feltrinelli, Milano, 1998 7 appassionati di giochi di ruolo e gli informatici rientravano appieno in questo archetipo. Ecco come Wikipedia descrive il nerd: Traditionally, the designation nerd (occasionally in the form nurd) applies to an intellectually gifted (probably > 120 or so IQ) but lonely and socially awkward person, one fascinated by knowledge, especially science and mathematics, and less interested in physical and social activities. Il gruppo sociale dei videogiocatori ancora non esiste. Essi sono ancora inseriti nel più vasto gruppo dei nerd, creatosi attraverso l’etichettamento da parte dell’imprenditore morale delle associazioni dei genitori americane e successivamente consolidatosi mediante una autodefinizione che ha nella contingenza di alcuni aspetti il suo nerbo. Il videogiocatore, infatti, è spesso attratto dalle discipline scientifiche, particolarmente in campo informatico. La forte presenza di mimicry nel videogioco fa sì che molto spesso sia interessato ai giochi di ruolo. Dagli anni ‘90 in poi al videogiocatore è anche associata una certa passione per l’animazione giapponese, derivata dalla provenienza della nuova ondata di prodotti, ma anche da un contesto culturale nel quale i primi giocatori sono cresciuti (contesto che ha visto un vero boom dell’animazione nipponica). Questi dati si possono facilmente evincere da un sondaggio empirico condotto dal newsgroup it.arti.animazione8 , e presentano una caratteristica interessante: tutti gli elementi che paiono congiungersi nel definire questo gruppo sociale sono ugualmente avversati dagli stessi imprenditori morali che iniziarono la crociata contro i videogiochi. Con il passare del tempo gli imprenditori morali iniziano a focalizzare le loro accuse su un concetto particolare, che è quello della violenza. Come abbiamo accennato, la violenza nei videogiochi è sempre esistita (in fondo anche il primo Spacewar contemplava la distruzione di una navicella nemica), ma la scarsa potenza delle macchine da gioco l’aveva iconizzata a tal punto da renderla quasi invisibile. Nel 1988 esce Splatterhouse, un gioco da bar nel quale un personaggio del tutto simile a Jason della serie Venerdì 13 combatte eserciti di mostri a colpi di mannaia. In effetti il gioco è permeato da un alto livello di violenza, e il sangue digitale scorre a fiumi lungo i cupi livelli che lo compongono. Splatterhouse desta molte preoccupazioni da parte dei genitori, è c’è chi parla di bambini svenuti durante le partite, o tormentati dagli incubi. In realtà il gioco seguiva la moda dei teen horror del periodo, e non era più terrorizzante di una puntata di Tales from the Crypt 9. Le acque, però si calmano piuttosto in fretta. Bisogna attendere altri quattro anni perché la polemica sulla violenza infuri. Nel 1992 esce Mortal Kombat, un mediocre picchiaduro 10 della Midway, il quale vanta alcune caratteristiche di sicuro impatto. In primo luogo la grafica è completamente digitalizzata; sono cioè ripresi attori reali e successivamente modificati per essere inseriti nell’ambiente di gioco. In secondo luogo è stato inserito il sistema delle fatality: mosse speciali che permettono di “finire” in maniera spettacolare l’avversario. Il senatore Joe Lieberman ed altri colleghi si 8 it.arti.animazione ha un suo sito all’indirizzo http://welcome.to/iaa Serie televisiva che riprendeva un personaggio dei fumetti degli anni ‘50, caratterizzata da un horror iperbolico e fortemente caricaturale alla Sam Raimi. 9 10 Genere nel quale due personaggi, posti uno di fronte all’altro, si sfidano a colpi di arti marziali. 8 scagliano contro il prodotto, definendo “irresponsabile” la sola idea di poter vendere un gioco simile, e ne bloccano temporaneamente il commercio. Il tutto termina con una sentenza in tribunale e con un evento particolarmente interessante. Viene infatti creata una struttura di controllo chiamata IDSA (Interactive Digital Software Association), il cui compito è quello di stilare una classificazione soddisfacente, prima che venisse fatto intervenire il governo federale. La crociata ha quindi avuto successo, e, esattamente come teorizza Becker, viene definito un nuovo gruppo di outsiders. Nel 1994 nasce l’Entertainment Software Ratings Board (ESRB), che si occupa di etichettare secondo diversi criteri i videogiochi. Una lettera posta sulla confezione del gioco permette una facile classificazione dei contenuti. L’ESRB non fa altro che etichettare. Non esiste nessuna censura, o nessun divieto di vendita. Come il “bollino rosso” nella tv italiana, il giudizio dell’ESRB non è altro che una istituzionalizzazione dell’etichettamento. Dopo il caso Lieberman Mortal Kombat ritorna sul mercato, e diventa uno dei videogiochi più venduti di tutti i tempi: questo evento sarà importante per analizzare come il giudizio ESRB viene utilizzato spesso per incrementare le vendite. Dall’altra parte è utile analizzare come, fino al 1994, i videogiocatori si sono percepiti in quanto gruppo sociale, e come si sviluppano le loro carriere da outsiders. Da subito gli appassionati di questo genere di divertimento si sono sentiti parte di un gruppo: gli “altri” non avevano accesso a quella particolare forma di conoscenza che permetteva di comprendere i videogiochi. Erano la tipica èquipe teorizzata da Goffman, che si percepisce come gruppo in quanto ha più informazioni rispetto agli altri. Nessun videogiocatore ha mai pensato di perdere tempo con il suo hobby più di quanto lo faccia chi si dedica al modellismo, o chi va allo stadio tutte le domeniche. Semplicemente, quello è il suo modo di divertirsi, di fuggire dalla realtà quotidiana. E allo stesso modo, il videogiocatore non si sente più estraneo alla società di chiunque faccia parte di un gruppo sociale definito. La differenza tra il videogiocatore e l’appassionato di modellismo è semplicemente la differente interazione tra il suo gruppo sociale e i creatori di norme, che hanno definito il primo come deviante, e il secondo come accettabile. Il gruppo sociale dei videogiocatori ha sempre trovato il modo per difendersi dalle accuse della società. Secondo Goffman e Joshua Meyrowitz l'accesso a qualsiasi gruppo sociale è controllato da una serie di riti, che permettono al neofita di inserirsi gradatamente accedendo poco per volta alle informazioni da retroscena di quel gruppo. Questi rituali consistono soprattutto nella conoscenza di trucchi per incrementare i punteggi, nell'esibizione delle capacità ludiche, e nella conoscenza di un particolare gergo, e sono rimasti uguali anche con l'avvento di Internet e della comunicazione mediata da computer. Con l'avvento della CMC, però la distinzione tra i neofiti e coloro i quali sono inseriti da tempo nel gruppo risulta più evidente. Un esempio di come si svolgono questi rituali di ingresso attraverso Internet ci è offerto da Federico Boni11, che descrive molto bene l'etichettamento del newbie (letteralmente "novellino"). Il nuovo arrivato spesso viene trattato con sospetto, proprio perché non è ancora a conoscenza dei meccanismi di interazione e del gergo di coloro che fanno parte del gruppo; il suo inserimento è graduale e comporta l'apprendimento di diverse nozioni. In questo modo, come qualsiasi gruppo sociale, i videogiocatori controllano l'accesso alle informazioni da retroscena, ma allo stesso tempo alimentano i sospetti di chi li ha già etichettati come devianti. La carriera deviante del giocatore negli anni ‘80 iniziava solitamente con una monetina nella fessura di un coin-op12 . Da lì si entrava nel mondo dei giocatori da sala, si facevano le prime conoscenze 11 Federico Boni - “Etnografia dei media”, Editori Laterza, Roma - Bari, 2004 12 Da “coin operated”, è il nome dato alle macchine da bar a gettone. 9 con gli “esperti”, e in seguito si comprava la console o il computer con il quale giocare in casa. Dalla fine degli anni ‘90, però, con la crisi della sala giochi, si può dire che la carriera inizi con l’ingresso in casa di una console, spesso comprata per giocare con un gioco particolare, la cosiddetta killerapplication, che sarà cavallo di battaglia di Sony. Successivamente si consolida una presa di coscienza del gruppo in cui ci si trova, e il giocatore tende all’autoemarginazione da chi non è in grado di comprendere il suo hobby. Nello stesso tempo, però, c’è una forte socializzazione tramite i canali più immediati per chi è cresciuto con i computer, che oggi sono Internet e i vari gruppi di discussione a cui è possibile accedere. La carriera può proseguire arrivando al mestiere di sviluppatore di videogiochi, che, alla stregua del musicista da ballo analizzato da Becker, è considerato un mestiere deviante. Dall’attività casalinga del bedroom programmer13, alla struttura quasi hollywoodiana dell’industria videoludica del ventunesimo secolo, gli sviluppatori di videogiochi sono sempre stati visti dagli altri attori sociali come non-lavoratori, e hanno sempre avuto problemi a legittimare il loro lavoro. Innanzi tutto, il concetto stesso dell’hobby che diventa lavoro implica che lo sviluppatore di videogiochi non abbia orari. Questo gli rende difficile avere una relazione fissa e formarsi una famiglia. Lo sviluppatore può lavorare anche durante la notte, difficilmente va in ferie ed è perennemente concentrato sul progetto. Il fatto di occuparsi di qualcosa di non completamente accettato come il software per intrattenimento implica poi che sia visto da parenti ed amici come uno che non ha troppa voglia di lavorare, e che spesso la sua occupazione non venga presa sul serio. Eppure, soprattutto negli ultimi tempi, chi progetta videogiochi è impegnato in un’attività intellettiva di alto livello, che richiede conoscenze di fisica, logica e psicologia non alla portata, per esempio, di un programmatore di database. In un articolo apparso sul numero 109 di EDGE14, ci si chiedeva come mai le istituzioni accademiche faticasssero a legittimare il videogioco come media. Il gap generazionale era visto come principale responsabile, ma credo che l’etichettamento abbia fatto la sua parte almeno fino all’intervento di Sony. È interessante, infine, notare come si svolgano le manifestazioni di settore, per capire come la definizione di questo particolare gruppo sociale non sia stata unidirezionale, da parte degli imprenditori morali, ma sia invece frutto di una negoziazione di significati che ha fatto sì che questo gruppo si percepisse come outsider, e ne accettasse le caratteristiche. La fiera più importante per gli sviluppatori di videogiochi è l’E3 (Electronic Entertainment Expo), che si tiene ogni anno a Los Angeles. Qui convergono gli addetti ai lavori di tutto il mondo per discussioni importantissime, e per l’assegnazione di premi che hanno lo stesso valore degli oscar per il cinema. Eppure la manifestazione è lontana dai canoni di un serioso evento di lavoro. L’intera area espositiva sembra piuttosto un immenso luna-park, dove alle postazioni di prova si alternano enormi palcoscenici con spettacoli dal vivo, giochi con in palio gadget griffati con il nome della software house di turno, e modelle pronte a farsi fotografare con i partecipanti. Nessuno è vestito in abiti formali. All’E3 trionfano camicie hawaiane, pantaloni corti e aspetti trasandati. Qui l’archetipo del I primi sviluppatori di videogiochi venivano chiamati così perché programmavano direttamente nelle loro camerette, o in garage riadattati per l’occasione. 13 Rivista di videogiochi inglese, edita da Future Publishing, particolarmente orientata agli sviluppatori professionisti. Ne esiste anche una versione online all’indirizzo http://www.edge-online.co.uk/ 14 10 nerd è presente in una concentrazione altissima. La stessa parola nerd, però, perde di significato. Il gruppo sociale dei videogiocatori si percepisce piuttosto come geek. Il geek è, molto semplicemente, una ridefinizione in chiave positiva del concetto di nerd. Secondo Wikipedia, il geek è colui che è interessato alle nuove tecnologie e le padroneggia facilmente. Dalla metà degli anni ‘90 in poi avviene la ridefinizione dei videogiocatori proprio in questi termini. Non sono più nerd, ma geek. Non più persone da prendere in giro o da evitare, ma anzi da ammirare. Esistono ancora gli imprenditori morali e la loro crociata contro i videogiochi, ma l’intervento di altri attori sociali, quali le grandi majors, che hanno cambiato totalmente il modo di produrre e di fruire il gioco, ha mutato anche le interazioni e l’etichettamento del gruppo sociale degli appassionati. Vedremo come nel prossimo capitolo. 11 Stage 3: Sony, geek e hardcore gamers “Non sottovalutate la potenza di Playstation” “Land on your own moon” Slogan della prima Playstation Sony, 1994 Nel 1994 Sony fa il suo ingresso nel mercato mondiale dei videogiochi. Dopo una brusca rottura con Nintendo, per cui avrebbe dovuto produrre un lettore CD-ROM, la casa giapponese decide di tentare la strada da sola, e lancia sul mercato Playstation. Il successo è immediato. Nel giro di due anni, Playstation diventa in buona parte del mondo sinonimo di videogioco. Alla base di questo successo c’è una campagna marketing decisamente aggressiva, e una ridefinizione del frame nel quale è inserito il videogioco che cambierà per sempre il volto dell’industria ad esso legata. Il primo passo degli analisti di Sony è studiare come viene percepito il gruppo sociale dei videogiocatori, e soprattutto come i giocatori si considerano. L’idea è di promuovere l’essere alternativo e “fuori dalle righe”, rendere i motivi per cui i videogiocatori sono outsider un segno distintivo, in breve legittimarne la devianza trasformandola in un’arma di marketing. Quindi Sony ridefinisce il videogiocatore come persona fuori dagli schemi, creativa, trendy. E la violenza? C’è anche quella. Sony non la condanna, ne fa un marchio di fabbrica. Ma gioca sul pulp, la rende ironica, la svuota dal suo stesso significato. Un buon esempio di come la casa giapponese ridefinisce il videogiocatore si può trovare negli spot per la console, spesso affidati a registi famosi. Ne analizziamo, molto brevemente, due. Il primo è del 1994, e si intitola “ Le petite chef ” 15. Si tratta di uno spot decisamente provocatorio: viene mostrata la cucina di un grande ristorante, nella quale i cuochi si divertono ad operare disgustose aggiunte ai piatti. Nulla è lasciato all’immaginazione, e il povero spettatore viene infine salutato da uno schermo nero su cui campeggia la scritta: “P.S.: Stay at home.”. Successivamente la P e la S rimangono, isolate, a formare la scritta Playstation. Il messaggio è chiaro. Chi sta a casa a giocare con Playstation è migliore anche di chi può permettersi un ristorante di lusso. La scelta del tema, inoltre, sbugiarda la società tradizionale, ne distrugge i miti, e mostra al videogiocatore che Sony è dalla sua parte, che parla lo stesso linguaggio. Il secondo è del 199916 , e per certi versi è ancora più sconcertante. Il regista è Chris Cunningham, artista moderno che mescola il corpo con la tecnologia, e regista di videoclip innovativi come Frozen di Madonna. Protagonista è una ragazza, resa deforme e simile a un’aliena dalla computer graphic. Basta il suo volto a disturbare il telespettatore; il riferimento al lato ilinx del videogioco, all’essere differenti, a sovvertire le regole del mondo è evidente. Ma anche ciò che dice nei trenta secondi dello spot è decisamente interessante: Spot mandato in onda nel Regno Unito. Si può vedere online all’URL http://www.manuscritto.it/spot/ a017_058.mov 15 16 Per maggiori informazioni: http://www.director-file.com/cunningham/sony.html 12 Let me tell you what bugs me of the human endeavor I've never been a human in question, have you? Mankind went to the moon I don't even know where Grimsby is Forget progress by proxy Land on your own moon It's no longer about what they can achieve, out there on your behalf But what we can experience Up here and of our own time And it's called mental wealth. Una frase come “Land on your own moon” o la parte finale, che si riferisce all’esplorazione di nuovi mondi e alla ricchezza mentale che ne deriva hanno un impatto molto forte sul telespettatore. Nuovamente abbiamo una legittimazione e una rivalutazione, a mero fine di marketing, di una delle caratteristiche più criticate dagli imprenditori morali: la deviazione dal mondo sensibile. La produzione di Playstation serve come spartiacque nel passaggio della definizione del giocatore da nerd a geek. Occorre però tenere presente che non è solo a causa di Sony che avviene questo cambiamento. Nel 1994 i primi videogiocatori si avviano a una piena maturità, e c’è una maggiore coscienza, un più marcato percepirsi come gruppo sociale. Sony inoltre ridefinisce le regole del mercato, acquistando una serie di software house fino ad allora basate sul concetto di bedroom programming. Questo ha portato ad un’evoluzione nel lavoro di sviluppatore di videogiochi, alla nascita di strutture accademiche dedicate all’insegnamento e addirittura alla legittimazione del videogioco come “forma d’arte” attraverso esposizioni internazionali come Game On17. Il mercato dei videogiochi, con l’avvento di Sony, è esploso: dal 1998 la vendita di videogiochi in USA e in America ha superato quella dei biglietti del cinema, e il budget per la produzione è ormai paragonabile a quello di un action movie hollywoodiano; per la produzione di un gioco di successo oggi dalle 20 alle 130 persone sono impegnate in un processo produttivo che copre dai due ai quattro anni di tempo. Gli imprenditori morali, però, continuano la loro crociata. Nel 1999 il videogioco Doom viene additato come uno dei maggiori responsabili della strage della scuola di Littleton, solo perché gli studenti responsabili erano anche appassionati del videogioco. stessa sorte tocca alle canzoni di Marilyn Manson. La Cina, è notizia di questi giorni, ha addirittura creato delle cliniche per recuperare presunte dipendenze da videogioco, nelle quali si somministrano farmaci dai dubbi effetti. La grossa differenza è che Sony e le software house ad essa collegate sanno bene quale sia l’effetto sortito da un giudizio come “Mature” dato dall’ESRB. Molto spesso i prodotti vengono riempiti di sesso e violenza proprio per garantirsi maggiori introiti: più il gioco fa discutere, più venderà. Si tratta di un’equazione semplice, ma funzionale se consideriamo il caso Resident Evil. Si tratta di un gioco horror di Capcom che fu ritirato dal mercato perché accusato di eccessiva violenza, proprio nel momento di fisiologica flessione nelle vendite. Ebbene la domanda per quel gioco balzò alle stelle, e, quando venne reintrodotto nel mercato, le vendite furono pari a quelle dell’uscita di una novità. Il mercato ha assunto dimensioni tali che un’ottima strategia per vendere un gioco è fare leva sul lato deviante del videogiocatore, sulla forte presenza di ilinx nel prodotto. Ed infatti, uno dei primi prodotti vincenti per Playstation, il famosissimo Tomb Raider, deve il suo successo all’ideazione di un sex symbol digitale come Lara Croft. Bisogna dire che Sony ha avuto bisogno fin da subito di titoli sicuramente appetibili, che allargassero il più possibile la base installata della console, permettendo vendite molto alte anche per il software, e garantendo la leadership del mercato. Il 17 Organizzata da Barbican Art - http://www.gameonweb.co.uk/ 13 concetto utilizzato è quello della killer-application, un titolo di presa così forte sul pubblico, da indurlo a comprare la console solo per poterne fruire. Secondo la casa giapponese, i titoli “forti” erano quelli con maggiori probabilità di fare presa immediata sul pubblico. Sony ha controllato la devianza (chiudendo anche più di un occhio sull’annoso fenomeno della pirateria), utilizzandola come arma per creare una fortissima base installata e dominare il mercato. Occorre a questo punto fare una distinzione. Dall’avvento di Sony in poi, il gruppo sociale dei videogiocatori si è diviso in due sottogruppi fondamentali. Il primo e più vasto è quello dei cosiddetti easy gamer. Si tratta di coloro i quali hanno accettato la ridefinizione del videogiocatore creata da Sony. Spesso sono persone che giocano occasionalmente, o che hanno abbracciato questo hobby solo dopo l’avvento del mass-market. Essendosi riconosciuti nell’etichettamento di Sony, questi giocatori sono più propensi ad accettare acriticamente i videogiochi dai contenuti “forti”, perché li identificano come persone che sanno staccarsi dalla massa, come appartenenti a un gruppo sociale assolutamente trendy. Gli easy gamer sono la stragrande maggioranza della comunità che gioca, e sono il principale target di mercato di Sony. Dall’altra parte si trovano i cosiddetti hardcore gamer. L’hobby dei videogiochi, per loro è iniziato da molto prima di Playstation. Sono solitamente più esperti e più critici verso i prodotti che comprano: il secondo episodio di Tomb Raider, ad esempio, fu stroncato e lasciato sugli scaffali da molti hardcore gamer, perché ritenuto un gioco mediocre che sfruttava l’immagine di Lara Croft per fare presa sui giocatori. Essi non accettano le definizioni portate avanti dagli imprenditori morali e il marketing spietato delle grandi majors; allo stesso modo non si preoccupano dell’assenza o meno di violenza all’interno di un gioco. Per il videogiocatore esperto quello che conta è la mimicry, l’immedesimazione. Le scene forti possono essere parte di un gioco, ma non sono condizione sufficiente all’acquisto. Ecco perché una casa come Nintendo, che punta più alla giocabilità e al senso di divertimento nei suoi titoli, piuttosto che al facile sensazionalismo, ottiene più riscontri da questo gruppo che dal mercato di massa. La ridefinizione del paradigma deviante del videogiocatore in un altro frame ha quindi avuto un effetto maggiore sul mercato di massa, mentre gli esperti, che già avevano creato le regole e le barriere del loro gruppo sociale, sono stati meno influenzati da questa operazione di marketing. Logicamente, alcuni easy gamer accedono, con il tempo, allo status superiore di hardcore gamer: sviluppano uno spirito critico e scoprono le mistificazioni del mercato assumendo un’identità propria. 14 Final Stage: conclusioni “If Pacman had affected us as kids we'd be running around in dark rooms, munching pills and listening to repetitive music." (Marcus Brigstocke) L’etichettamento del videogiocatore come deviante è iniziato da parte di alcuni imprenditori morali già dai primi anni ‘80, ed è stato trasformato, e rielaborato in chiave positiva, dalle strategie di marketing di Sony durante il lancio di Playstation. Il gruppo sociale dei giocatori si è sempre chiuso in se stesso, pur negoziando l’etichettamento. La stessa chiusura, infatti, ne avalla una delle componenti fondamentali: l’estraniarsi dalla società e dal mondo sensibile. Successivamente all’avvento di Sony, però, queste caratteristiche sono diventate trendy, causando una divisione nel gruppo tra easy e hardcore gamer. Nel frattempo il lavoro di sviluppatore di videogiochi è cambiato moltissimo, e il videogioco ha assunto maggiore importanza in ambito accademico e culturale. Questi cambiamenti, però, non hanno fatto venir meno le caratteristiche del gruppo sociale definite esogenamente. Ancora oggi il videogiocatore è considerato un outsider; da questo punto di vista, il riconoscere il videogame come forma d’arte non ha fatto altro che confermare, assegnando allo sviluppatore lo status di artista, il frame deviante nel quale esso è sempre stato inserito. 15 End Credits Libri Howard S. Becker - “Outsiders, saggi di sociologia della devianza”, EGA, Torino, 2006 Joshua Meyrowitz - “Oltre il senso del luogo - Come i media elettronici influenzano il comportamento sociale”, Baskerville, Bologna, 1993 Matteo Bittanti - “L’innovazione tecnoludica - L’era dei videogiochi simbolici”, Jackson libri, Milano, 1999 Luca Giuliano - “I padroni della menzogna”, Meltemi, Roma, 1997 Alessandro Dal Lago - “La produzione della devianza - Teoria sociale e meccanismi di controllo”, Ombre Corte, Verona, 2002 J.C. Hertz - “Il popolo del Joystick”, Feltrinelli, Milano, 1998 Fausto Colombo (a cura di) - “Atlante della Comunicazione”, Hoepli, Milano, 2005 Federico Boni - “Etnografia dei media”, Editori Laterza, Roma - Bari, 2004 Erving Goffman - “La vita quotidiana come rappresentazione”, Il Mulino, Bologna, 1969 Film eXistenZ - David Cronenberg, 1999 Bowling for Columbine - Michael Moore, 1999 We b La violenza nei videogiochi, articolo di Leonardo Araneo - http://www.noemalab.org/sections/specials/tetcm/ 2002-03/videogiochi_violenza/main.html Game On, sito ufficiale - http://www.gameonweb.co.uk Sito del newsgroup it.arti.animazione - http://welcome.to/iaa Entertainment Software Rating Board (ESRB) - http://www.esrb.org/ Sony Italia - http://it.scee.com/about/sonyHistory.jhtml Le Petite Chef Commercial - http://www.manuscritto.it/spot/a017_058.mov Mental Wealth Commercial - http://www.director-file.com/cunningham/sony.html Zapster - http://www.zapster.it Tv Commercials “Le petite chef ” by Dan Nathan, 1994 “Mental Wealth” by Chris Cunningham, 1999 Riviste EDGE, Future Publishing, issue #109, Aprile 2002 16