Due giorni di riflessione sul dolore innocente con il Cortile dei Gentili

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LECCO - SOCIETÀ
Lecco, 11 giugno 2016
Due giorni di riflessione sul dolore
innocente con il Cortile dei Gentili
di Ugo Baglivo
L'iniziativa, voluta da Papa Benedetto XVI, e affidata al Pontificio Consiglio
della Cultura, è stata ospitata a Lecco il 10 e 11 giugno.
Si è tenuto a Lecco, quest’anno, il Cortile dei Gentili, quella occasione di cultura
interreligiosa, ad alto livello di pensiero, voluta da Papa Benedetto XVI, e
affidata al Pontificio Consiglio della Cultura, per favorire l’incontro e il
dialogo tra credenti e non-credenti, tutti alla ricerca di una spiegazione alle
grandi domande della vita.
Il nome richiama lo spazio, realmente presente nell’antico Tempio di
Gerusalemme, riservato ai non-Ebrei (i Gentili): lì chi non era ammesso ai
riti, riservati agli iniziati, poteva discutere con i dottori della Legge sul
mistero di Dio, sulla trascendenza quanto sull’immanenza che sono due
aspetti della stessa sostanza di Dio.
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E’ stato presente all’evento il card. Gianfranco Ravasi, presidente del Pont.
Cons. d. Cultura, di origine meratese, dunque lecchese. Promotori della
versione 2016 del Cortile dei Gentili il giornale La Provincia di Lecco, la
Fondazione Provincia di Lecco, e il Politecnico di Milano, che nel polo
territoriale di Lecco ha ospitato l’evento. Una “due giorni” intensa (10-11
giugno), ricca di interventi teorici e/o di testimonianza, che si sono succeduti
con magistrale regia da parte di chi li ha pensati e collocati: il primo giorno
dedicato alla ricerca teorica (filosofia, scienza, teologia, letteratura), e il
secondo giorno dedicato a particolari esperienze di medicina, sempre faccia a
faccia con il tema del dolore, e della morte, come componenti essenziali della
vita.
Ha introdotto i lavori il dott. Romano Negri, presidente della Fondazione
Provincia di Lecco, che ha ricordato l’impegno della Fondazione in attività
socio-assistenziali come di salvaguardia del patrimonio artistico, e poi in fatto
di cultura in genere, come è il caso del Cortile dei Gentili: il tema scelto
quest’anno è quello del dolore come co-essenziale alla vita dell’uomo, e in
particolare del dolore innocente, che chiede spiegazioni come problema
esistenziale, bisognoso di risposte scientifiche, o filosofiche e teologiche.
Dolore innocente: come il dolore di un bambino che non ha colpe, almeno sul
piano personale, o il dolore dell’uomo o donna nato/a con menomazione
fisica o psichica, che è creatura di Dio quanto gli altri uomini e donne che
hanno l’obbligo di curarsi del loro prossimo, specialmente se soffre, e
soprattutto se soffre senza colpa.
Di qui, a seguire, l’intervento del card. Ravasi: la presenza del dolore, della
malattia, della sofferenza, ha interpellato Dio fin dalle origini della storia.
Prima della teologia, la teodicea ha chiesto a Dio come giustificare il male; il
filosofo Epicuro mette in bocca al precettore del figlio di Costantino
imperatore un ragionamento pressante, che è alla base di ogni tentativo di
spiegazione del dolore umano anche oggi. Epicuro così ragiona: se Dio vuol
togliere il male dal mondo e non riesce, allora è impotente; se Dio può
togliere il male dal mondo e non vuole, allora è cattivo; e se Dio può e vuole
togliere il male dal mondo, perché c’è il male? Così Camus, in tempi più
moderni, ne La Peste: il medico, di fronte ai tanti casi di malattia che
incontra, conclude che non potrà mai credere in Dio finchè ci sarà un
bambino malato di peste.
Anche la Bibbia, con Giobbe, arriva a incriminare Dio per la presenza del
male nella vita dell’uomo; così Lutero commenta l’urlo di Giobbe: Dio
gradisce l’urlo blasfemo dell’uomo disperato piuttosto che la genuflessione del
benpensante. Eppure Giobbe fa un cammino, un percorso di pensiero: quando
conoscerà Dio in profondità, si accorgerà che l’uomo – per sua natura – coglie
di Dio la parte e non il tutto. Cristo poi, che è Logos, è Logos che “si è fatto
carne”, e ha condiviso con la carne dell’uomo il dolore, il limite, e perfino la
morte. Così il cristianesimo si pone di fronte al dolore: Dio non cambia la
natura umana, che resta un impasto di gioia e dolore, di vita e di morte, ma
Cristo salva l’uomo non tanto con la sua onnipotenza quanto con la sua
impotenza, assumendo il nostro limite.
Cuscino Biscotto.it
Così il poeta Paul Claudel: Dio-Cristo non viene a spiegare la sofferenza ma a
riempirla della sua presenza; e Ennio Flaiano, scrittore di successo ma anche
padre di una figlia epilettica, alla fine della sua riflessione non chiede più a
Cristo di guarire sua figlia dal male, ma di amarla!
Su questa scia, di domande che spesso rimangono senza risposta, la tavola
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rotonda della mattinata del 10 giugno: Silvano Petrosino, filosofo della
razionalità teoretica e della filosofia morale, incontra Carlo Modonesi,
biologo che si occupa di “ecologia umana”, entrambi mediati dal moderatore
Gad Lerner, che unisce alle risposte teologiche cristiane (precedenti) le sue
conoscenze di tradizione ebraica. Con Freud dobbiamo riconoscere che l’uomo
ha in sé una “pulsione di morte”; bisogna rifuggire dalle semplificazioni, in
fatto di spiegazione del dolore: l’uomo, per sua natura, non può evitare il
dolore.
Noi percepiamo il male come ingiustizia (soprattutto nel caso del dolore
innocente), come se la vita fosse il sì e il dolore fosse il no; invece la vita è
commistione di sì e di no, insomma il dolore è inevitabile. In ciò Modonesi
biologo dà una mano al filosofo Petrosino: nella vita tutto è ciclico, la morte di
un essere – anche di un uomo – è inizio di altra vita. Nel sistema della vita
umana (medicina) come nel sistema sociale, come nel sistema ambientale,
tutto è vita che muore e dà altra vita. Messaggio: ancora una volta bisogna
“convivere con il dolore” e con la morte.
Alla stessa conclusione sono giungi il filosofo Carlo Sini e lo stesso Gad
Lerner, nel pomeriggio del 10 giugno: la filosofia fa domande, non dà
risposte, soprattutto sul tema della morte (e del dolore).
Alle dottrine sono seguite le testimonianze, come nel caso di Fiamma Satta,
giornalista colpita a 35 anni dalla sclerosi multipla, e di Albert Espinosa
(romanziere di “Braccialetti rossi”), che ha incantato anche il pubblico
giovane col suo umorismo che supera la sua menomazione: a causa di un
osteosarcoma, ha perso una gamba, un polmone e mezzo fegato, e pure ride e
fa ridere di gusto il suo uditorio!
Il vero problema non è il dolore (o la malattia, anche invalidante) ma
l’accettazione del dolore; ogni malato deve diventare “guerriero”: prima deve
accettare il suo limite, poi trova in sé una “quinta marcia” e così si ritrova
perfino migliore rispetto ai sani, come se avesse – appunto – una marcia in
più. La malattia va affrontata e non negata; così diventa una lente di
ingrandimento sui misteri della vita. La disabilità non va rimossa (ignorata)
come fastidio per i sani; dal disabile ricevi più di quanto dài. Espinosa arriva
a dire che Dio c’è non perché può togliere il dolore, ma perché c’è la gente
buona che sa rapportarsi con il dolore umano: Dio ha voluto l’uomo così, in
mezzo tra il bene e il male; ma il bene che sa fare l’uomo, quello sì che
rimanda a Dio!
Anche il pomeriggio del 10 giugno ha avuto un momento di ricerca teorica:
mons. Angelo Bazzari, presidente della Fondazione Don Gnocchi, ha
incontrato il filosofo Umberto Curi, specializzato in filosofia moderna e
contemporanea; e la sera lo scrittore e regista Alessandro Bergonzoni ha
attratto a sé l’uditorio con un linguaggio da par suo: “sto bene e me ne
dispiaccio, perché mi dicono che bisogna star male per capire! E’ vero: ci
sentiamo Dio se riusciamo a raddoppiare i nostri fatturati, ma se ci muore un
figlio, allora siamo piccoli e senza difesa alcuna!”.
E poi la mattinata dell’11 giugno, fino a dopo mezzogiorno: giornata seconda,
dedicata totalmente alla medicina; incontri con Vincenzo Valentini, primario
oncologo, e William Raffaeli, presidente della ISAL – ricerca sul dolore, che
dialogano con mons. Francesco Savino, vescovo. Sempre le stesse
conclusioni: anche il medico è impotente di fronte al dolore; c’è una parte
dicibile e documentabile nella decisione clinica, e una parte inspiegabile; è
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comunque importante l’attenzione al paziente con tutto il suo habitat, e
anche alla famiglia del paziente. Se i cattolici (o in genere i credenti) possono
trovare la forza in Dio per accettare il dolore, per tutti (credenti e
non-credenti) è importante il rapporto di empatia tra medico e paziente, tra
medico e famiglia del paziente; occorre stare tutti dalla stessa parte della
scrivania. E Dio? Per mons. Savino c’è un modo di pensare Dio interventista,
pronto sempre al miracolo; e un modo (più profondo) di pensare Dio che
sceglie di essere impotente di fronte alla sua creatura, voluta da lui come
misto di vita e morte, di gioia e dolore.
Così ancora l’incontro (successivo) tra Alberto Giannini, medico di terapia
intensiva pediatrica, e Franco Molteni, direttore sanitario di Villa Beretta,
alla presenza della pastora valdese Lidia Maggi, e di Mauro Marinari,
fondatore dell’associazione Fabio Sassi di Airuno. Il loro messaggio: non è
tanto il caso di dialogo tra credenti e non- credenti, ma – come il card.
Martini suggeriva a suo tempo – il credente e il non-credente sono insieme in
ciascuno di noi, in un misto ancora di conoscibile e inconoscibile, di
scientifico e di misterioso. E la dottoressa Alda Pellegrini, della Nostra
Famiglia, conclude: la sofferenza è di chi? del paziente? della famiglia del
paziente? degli operatori sanitari? Camminiamo insieme, tutti, uno stesso
percorso, alla ricerca di soluzioni, per la vita e per oltre la vita.
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