Plusvalore relativo e giornata lavorativa

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Plusvalore relativo e giornata lavorativa
PLUSVALORE RELATIVO E GIORNATA LAVORATIVA
Cap. XII
CAPITOLO
XII
Plusvalore relativo
e
giornata lavorativa
59. Il concetto del plusvalore relativo .
Nei precedenti capitoli abbiamo visto come si genera e si dispiega la tendenza del
capitale a prolungare la giornata lavorativa per produrre ed aumentare la massa del
plusvalore assoluto. Abbiamo altresì dovuto constatare che questa tendenza, ad un certo
punto, incontra dei limiti oltre i quali non riesce ad andare (limiti fisici o derivanti dalle lotte
dei lavoratori). Allora si pone un nuovo problema: come estorcere pluslavoro senza
allungare ulteriormente la giornata lavorativa?
Marx definisce plusvalore relativo il plusvalore che, ferma restando la lunghezza
della giornata lavorativa, deriva dall’ accorciamento del tempo di lavoro necessario e dalla
conseguente maggiore grandezza acquistata dalla parte di tempo riferita al pluslavoro. Vi è
dunque, a parità di giornata lavorativa, una modificazione del rapporto di grandezza delle
due parti che costituiscono la giornata lavorativa (lavoro necessario e pluslavoro), che
avviene in favore del pluslavoro.
GIORNATA LAVORATIVA
a
a
b1
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b
c
b
c
Testo elaborato da Tiziano Di Clemente - Partito Comunista dei Lavoratori – Molise / Settore Formazione
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L’ area di colore azzurro chiaro rappresenta la parte di giornata lavorativa
necessaria; l’ area rossa rappresenta la parte di giornata lavorativa dedicata al pluslavoro.
Come si nota dai due grafici che precedono, il pluslavoro (area rossa) si allunga
passando dalla grandezza b-c alla grandezza
b1-c; è evidente che ciò presuppone un
accorciamento del tempo di lavoro necessario, dalla grandezza a-b alla grandezza a-b1,
dove a-b1  a-b.
Questo a sua volta presuppone un aumento della forza produttiva del lavoro, vale a
dire « un mutamento nel processo lavorativo in base al quale s’ accorcia il tempo di lavoro
socialmente necessario per produrre una merce, in base al quale quindi una minor quantità
di lavoro acquista la forza di produrre una quantità maggiore di valore d’ uso »1.
Nel modo di produzione capitalistico, quando la giornata lavorativa rimane uguale pur
in presenza dell’ accorciamento della parte di lavoro necessario, è evidente che il
plusvalore relativo si genera in favore del capitalista.
E’
altrettanto evidente il danno che subisce l’ operaio: il tempo di lavoro che egli è
costretto a svolgere per guadagnarsi i mezzi di sussistenza potrebbe ridursi, il suo salario
potrebbe aumentare a parità di orario lavorativo, potrebbero combinarsi entrambi i benefici.
Nella misura in cui il capitalista si appropria del plusvalore relativo, all’ operaio viene
dunque negata la possibilità, scoperta e tratta dalla natura, di migliorare la qualità della
propria vita, attraverso la conquista del tempo libero e delle migliori condizioni di reddito,
strappati dalle grinfie dello sfruttamento capitalistico.
D’ altro
lato
la
classe
capitalista,
non
potendo
andare
oltre certi limiti
nell’ allungamento della giornata lavorativa, deve continuamente mutare o rivoluzionare le
condizioni di produzione per aumentare la forza produttiva, prima di tutto attraverso il
progresso tecnico.
In definitiva questo mutamento nel processo lavorativo, nella misura in cui aumenta il
plusvalore, porta ad un risvolto importante: la diminuzione del tempo di lavoro necessario si
trasforma in tempo lavorativo a beneficio del capitalista, non in tempo liberato e/o in maggior
salario per l’ operaio.2
1
Karl Marx, Il Capitale, Libro primo, sezione IV, Cap. X.
Ricordiamo il presupposto dell’analisi: la forza lavorativa, come le altre merci, viene acquistata al suo valore e quindi il
salario esprime il valore della forza lavorativa (in proposito si richiamano i precedenti capitoli). Ciò naturalmente non
significa che un abbassamento salariale al di sotto del valore della forza lavorativa (cioè al di sotto del valore dei mezzi di
sussistenza necessari per vivere) non rilevi; anzi, nelle lotte tra capitale e lavoro si evidenzia tutta l’avidità dei padroni a
tagliare quanto più possibile i salari per arricchirsi ulteriormente a spese dei lavoratori, generando ipotesi di
“supersfruttamento”. Qualunque sia il livello del salario rispetto al valore della forza lavorativa, non muta la quantità di
mezzi di sussistenza necessari all’operaio per vivere, ma solo la sua possibilità di acquistarli.
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Cap. XII
Se la giornata lavorativa è fissata in 8 ore, l’ operaio, in 8 ore di lavoro, dovrà
produrre non solo l’ equivalente dei mezzi di sussistenza giornalieri di cui ha bisogno, cioè
l’ equivalente del valore della sua forza lavoro che si esprime nel salario, ma anche il
plusvalore per il capitalista.
Poniamo che il valore medio di una data forza lavorativa si esprima in un salario
orario medio di € 10,00 e in € 80,00 al giorno. Poniamo altresì l’ ipotesi che la lunghezza
della giornata lavorativa sia di 8 ore e che sia ripartita come mostra il grafico che segue.
4 ore
8 ore
Vi sono 4 ore di lavoro necessario (area gialla) e 4 ore di pluslavoro (area rossa), in
cui l’ operaio produce 8 unità del bene α .
Il capitalista ottiene così un plusvalore misurato in € 40,00 (= 10,00  4), dopo aver
pagato al suo valore la forza lavoro ed i mezzi produttivi consumati nel processo lavorativo.
Esclusa la possibilità di aumentare la giornata lavorativa e di portare il salario al di
sotto del valore della forza lavorativa (ipotesi di “ supersfruttamento” ), come può il
capitalista estorcere altro plusvalore?
Se aumentasse la forza produttiva del lavoro del 100%, l’ operaio produrrebbe in 4
ore la stessa quantità di beni che produceva prima lavorando 8 ore: egli potrebbe produrre
l’ equivalente dei beni di sussistenza di cui ha bisogno lavorando non più 4 ore bensì 2 ore.
Il lavoro necessario diminuirebbe da 4 a 2 ore.
La ripartizione tra lavoro necessario e pluslavoro, varierebbe come segue:
2 ore
E’
4 ore
8 ore
evidente che si accorcia la parte di lavoro necessario (area gialla) presente nella
giornata lavorativa di 8 ore; ed è altrettanto evidente che una parte del precedente lavoro
necessario, ora, genera ulteriore plusvalore per il capitalista, in quanto è trasformata da
lavoro necessario in pluslavoro (area rossa).
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In tal modo si verifica un aumento del plusvalore senza allungare la giornata
lavorativa, mediante la riduzione del lavoro necessario, ottenuta dall’ aumento della
produttività.
Infatti:
- il pluslavoro passa da 4 a 6 ore;
- il saggio del plusvalore passa dal 100% = (44)  100 al 300% = (62)  100.
Il tutto senza aver allungato di un minuto la giornata lavorativa, che rimane di 8 ore.
Questo plusvalore, ottenuto mediante l’ accorciamento del lavoro necessario, a sua volta
derivante dal progresso tecnico, costituisce il plusvalore relativo.
60. La diminuzione delle ore di lavoro necessario nei diversi rami produttivi.
Sappiamo che con l’ aumento della produttività del lavoro diminuisce la quantità di
lavoro necessario a produrre e riprodurre i mezzi di sussistenza necessari al lavoratore e
quindi diminuisce il valore della forza lavorativa.
Ciò accade se tale aumento della forza lavorativa si verifica proprio in quei rami
industriali che producono i suddetti mezzi di sussistenza o beni sostitutivi di essi.
Ma il valore dei mezzi di sussistenza del lavoratore non è solo dato dal capitale
variabile (cioè dalla quantità di attività lavorativa spesa dall’ operaio per dar forma definitiva
al prodotto). Esso è dato anche dal valore dei mezzi di produzione consumati nel processo
produttivo. Perciò « contribuiscono al ribassamento del valore della forza lavorativa anche
l’ aumento della forza produttiva e la conseguente riduzione del prezzo delle merci nelle
industrie che forniscono gli elementi materiali del capitale costante, vale a dire i mezzi e il
materiale di lavoro per la produzione dei mezzi di sussistenza necessari »3.
Viceversa l’ aumento di produttività non modifica il valore della forza lavorativa se si
verifica in rami che non attengono né alla produzione dei beni di sussistenza né alla
produzione dei mezzi atti alla loro fabbricazione.
3
Karl Marx, Il Capitale, Libro primo, sezione IV, Cap. X.
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Poniamo che il “ paniere”
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dei beni di sussistenza, sulla base dei quali si determina
il valore della forza lavorativa, sia (per semplicità di analisi) costituito dai beni A, B, C, D; e
che gli altri beni E, F, G, non essendo beni di sussistenza, non vi fanno parte. Posto che i
mezzi di sussistenza, quindi il valore della forza lavoro, consistano nella media giornaliera
così determinata:
BENE
QUANTITA’
PREZZO
PREZZO
UNITARIO
TOTALE
A
10
€
1,00
€
10,00
B
3
€
5,00
€
15,00
C
20
€
0,25
€
5,00
D
8
€
2,50
€
20,00
TOTALE
€
50,00
Se si verifica un incremento di produttività del 100% per ciascuno dei rami industriali
in cui si producono i beni A, B, C, D, significa che le stesse quantità di beni giornalieri
indicate nella su esposta tabella, ora rappresentano una quantità di lavoro, dunque di valore,
pari alla metà di quella precedente; vale a dire che quelle stesse quantità di beni possono
ora essere prodotte con la metà del tempo rispetto a quella precedentemente necessaria.
Avremo dunque la seguente nuova situazione:
BENE
QUANTITA’
PREZZO
PREZZO
UNITARIO
TOTALE
A
10
€
0,50
€
5,00
B
3
€
2,50
€
7,50
C
20
€
0,13
€
2,50
D
8
€
1,25
€
10,00
TOTALE
€
25,00
Ferma restando la capacità di acquisto “ nominale” espressa dal denaro, i mezzi di
sussistenza giornalieri possono essere ora acquistati con € 25,00, anziché con € 50,00; il
valore giornaliero della forza lavoro scende da € 50,00 ad € 25,00.
L’ eventuale incremento di produttività che avesse investito i rami produttivi E, F, G,
i quali non fanno parte del “ paniere”
dei beni di sussistenza, è invece ininfluente rispetto
al valore della forza lavoro.
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61. La riduzione del valore delle ore di lavoro necessario in rapporto ad un singolo
ramo produttivo.
La somma degli accorciamenti di lavoro necessario avvenuti in ciascun ramo in cui si
producono mezzi di sussistenza determina l’ accorciamento totale del lavoro necessario.
Nell’ ipotesi che precede, l’ aumento di produttività verificatosi nei rami produttivi
dei beni di sussistenza dell’ operaio, comporta la riduzione del lavoro necessario e del
valore della forza lavorativa. E’
evidente che la riduzione del prezzo di una delle merci
inclusa nel “ paniere” dei mezzi di sussistenza, incide sulla riduzione del valore della forza
lavorativa, nella proporzione in cui entra a far parte dei mezzi di sussistenza del lavoratore.
Ne consegue che l’ incidenza della riduzione del prezzo di uno di tali beni di
sussistenza è tanto maggiore quanto maggiore è la quota di esso che concorre alla massa
dei beni di sussistenza suddetti.
Il metodo della “ media ponderata”
potrebbe tradurre questo concetto in termini
pratici e di determinazioni matematiche.
62. “ Valore individuale”
e “ valore sociale”
nella vendita del prodotto.
Riduzione del prezzo di produzione senza riduzione del valore dei mezzi di
sussistenza.
Da quanto è stato esposto sinora deriva che il singolo capitalista, nel momento in cui
riesce a ridurre il prezzo della merce mediante il progresso tecnico senza ridurre la giornata
lavorativa, contribuisce pro tanto all’ aumento del saggio generale del plusvalore, cioè solo
nella misura in cui contribuisce ad abbassare il valore della forza lavorativa e quindi ad
aumentare la massa di pluslavoro relativo tratta dalla giornata lavorativa.
Invero il valore reale di una merce non è costituito dal suo valore individuale, bensì
dal suo valore sociale, cioè del valore misurato dal tempo di lavoro necessario socialmente
per la sua produzione, cioè dal tempo di lavoro richiesto nelle condizioni di produzione
medie, non da quelle del singolo caso.
Sin quando il capitalista fruisce singolarmente dell’ aumento di produttività, egli
venderà le sue merci al di sopra del loro valore individuale, ma al di sotto del valore sociale.
Per il singolo capitalista l’ aumento di plusvalore si verifica sia che la sua merce
faccia parte del paniere dei mezzi di sussistenza dell’ operaio sia in caso contrario.
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Non per questo viene meno la legge per cui l’ aumento del plusvalore deriva da un
prolungamento del pluslavoro generato dall’ accorciamento del lavoro necessario
(plusvalore relativo).
Egli intasca un “ plusvalore extra” , in quanto si appropria di maggior pluslavoro
rispetto agli altri capitalisti della medesima industria, che producono le stesse quantità a
costi più elevati.
Quando la nuova condizione di produzione si generalizza, in conseguenza della
“ legge coercitiva della concorrenza” , perché i concorrenti sono costretti ad un certo punto
a mettersi al passo, tale plusvalore extra si azzera.
Svanisce la differenza suddetta tra valore individuale e valore sociale delle merci
prodotte, ed i loro prezzi si livellano su punti più bassi.
Proviamo ad esprimere queste leggi in alcuni esempi, partendo da un’ ipotesi di
passaggio dallo stadio tecnico I al superiore stadio tecnico II, della produzione aziendale
annua di una data merce α .
Voci
I stadio
n. unità prodotte del bene α
II stadio
120
Costo di produzione per unità di prodotto
€
€
€
€
€
€
€
10.000,00
1.200.000,00
400.000,00
400.000,00
800.000,00
400.000,00
6.666,67
Costo salariale per unità di prodotto
€
3.333,33
prezzo unitario
Ricavo totale (fatturato di vendita)
salari
cap. costante (cap. fisso + circolante)
Totale costi
Plusvalore
€
€
€
€
€
€
€
€
10
n. operai impiegati
salario medio
120
10.000,00
1.200.000,00
200.000,00
450.000,00
650.000,00
550.000,00
5.416,67
€
40.000,00
1.666,67
5
€
40.000,00
Nel primo stadio, per l’ azienda de qua, il valore individuale ed il valore sociale della
merce prodotta coincidono; si esprime nel prezzo unitario di € 10.000,00 per unità prodotta
della merce α .
Supponiamo che l’ azienda, attraverso l’ innovazione tecnologica ottenuta con un
nuovo investimento in rinnovamento di impianti, passi al superiore stadio tecnologico II, cioè
ottenga un raddoppio della produttività oraria della forza lavoro; il capitalista può ora ottenere
la stessa quantità di produzione con la metà degli operai rispetto a quelli impiegati in
precedenza, cioè con la metà del costo salariale rispetto alle aziende che ancora non
accedono alla detta innovazione tecnologica.
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Lo stesso capitalista, d’ altro lato, introduce tale innovazione solo in quanto è per lui
economicamente conveniente, poiché l’ incremento del costo del capitale fisso causato
dall’ innovazione
è
inferiore
alla
diminuzione
del
costo
salariale
conseguente
all’ innovazione stessa. In altri termini: l’ aumento del costo del capitale fisso è più che
compensato dal risparmio dei costi salariali.
L’ esempio riportato nel su esposto prospetto contabile, suppone che il capitale
costante annuo consumato (per effetto dell’ aumento del capitale fisso) salga a causa
dell’ innovazione, da €
400.000,00 ad € 450.000,00; mentre, dato il raddoppio della
produttività della forza lavoro, il costo salariale si dimezzi (ad esempio per licenziamento di
metà delle maestranze) da € 400.000,00 ad € 200.000,00.
In tali condizioni il capitalista ottiene un plusvalore extra di € 150.000,00 annue
rispetto alle altre aziende, che continuano a produrre la stessa quantità di merce ai vecchi
costi più elevati (il plusvalore annuo passa da € 400.000,00 ad € 550.000,00). Egli, infatti,
vende la merce al suo valore sociale medio che è ancora superiore rispetto al suo valore
individuale (disponendo di più elevata tecnologia).
Sin quando il progresso tecnico ed il conseguente aumento di produttività non si
generalizza, il singolo capitalista si trova in posizione di vantaggio rispetto alla concorrenza:
nella misura in cui non punta a strappare quote di mercato mediante una politica di riduzione
dei prezzi, può continuare a vendere il suo prodotto al suo valore sociale (cioè quello
generale e comune) e dunque al di sopra del suo valore individuale traendo l’ extra profitto.
Ma subendo ora minori costi, il capitalista può anche strappare fette di mercato alla
concorrenza
e
realizzare
un
plusvalore
ancora
più
elevato,
aumentando
la
produzione/vendita attraverso delle riduzioni di prezzo rispetto a quello generale, entro
margini convenientemente calcolabili. In tal caso il prezzo di vendita, rimane superiore al
valore individuale della merce, ma diviene inferiore al suo valore sociale.
Questa riduzione del prezzo ben si concilia anche con l’ esigenza sempre più
pressante di uno smercio maggiore: infatti, ferme restando le altre circostanze, solo con una
riduzione del prezzo il capitalista può allargare il mercato del bene, allargando la quantità e
la scala della produzione.
Quando però il progresso tecnico si generalizza per effetto della concorrenza, il
valore individuale del bene torna ad essere pari a quello medio sociale, il vantaggio
tecnologico suddetto si azzera; si elimina il plusvalore extra della singola azienda e con esso
anche la possibilità di praticare prezzi più bassi della concorrenza.
Si riparte da una posizione di prezzo più basso per la riduzione generalizzata del
costo di produzione, corrispondente però ad una scala di produzione sempre più larga ed
elevata, con conseguente restringimento degli spazi di mercato tra i concorrenti.
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Per ora ci fermiamo qui: le ulteriori conseguenze ed implicazioni di tale processo,
peraltro causa di crisi e di tendenza all’ implosione del capitalismo, saranno studiate
successivamente.
Per ora sul punto è bene solo accennare e ricordare almeno due aspetti :
 Che il suddetto “ plusvalore extra temporaneo”
della singola azienda, quando non
promana dal progresso tecnico, può derivare ex abrupto dalla decurtazione salariale al di
sotto del valore della forza lavoro, in particolare da “ salari da fame” che non
consentono i normali mezzi di sussistenza, dal “ supersfruttamento” ; tale ipotesi si
realizza ad esempio in fasi o situazioni di debolezza della classe operaia, di
esasperazione della concorrenza tra lavoratori e “ guerre tra poveri” . Ad esempio:
delocalizzazioni verso i luoghi dove si praticano salari più bassi e/o dove i diritti dei
lavoratori sono inesistenti o inferiori; la precarizzazione dei rapporti di lavoro, gli
arretramenti nelle contrattazioni collettive e l’ azzeramento di conquiste anche nei paesi
“ avanzati” , come ad esempio, nell’
“ neofascismo aziendale”
Italia degli inizi del terzo millennio, il
di Marchionne o l’ abolizione dell’ art.18 dello Statuto dei
lavoratori che garantiva dai licenziamenti illeciti e via dicendo.
 Che l’ uso capitalistico del progresso tecnico sopra descritto, avviene solo in quanto
conveniente economicamente al capitalista in base alla legge del profitto, in danno alla
classe lavoratrice, dunque alla società in generale (licenziamenti, aumento dello
sfruttamento per chi rimane al lavoro, furto di tempo libero alla vita delle persone in
generale e via dicendo). Il progresso tecnico, liberato dal suddetto innaturale ed
antisociale uso capitalistico, proiettato nel modo di produzione socialista, consente
all’ opposto di realizzare la sua naturale vocazione verso la conquista del tempo libero a
vantaggio dello sviluppo della persona e dell’ intera società.
63. La tendenza del capitale alla riduzione del lavoro necessario e del valore della
forza lavorativa.
Sappiamo che il valore delle merci è in ragione inversa della forza produttiva del
lavoro e che, conseguentemente, così è pure per il valore della forza lavorativa in quanto
determinata da valori di merci (mezzi di sussistenza).
Per converso abbiamo visto che il plusvalore relativo è in ragione diretta della forza
produttiva del lavoro.
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Per ridurre il valore della forza lavorativa occorre quindi ridurre il valore dei mezzi di
sussistenza dell’ operaio; deve cioè mutare la condizione di produzione, aumentare la forza
produttiva del lavoro in quei rami industriali da cui si traggono le merci che fungono da mezzi
di sussistenza o loro sostituti.
Se si riduce il valore della forza lavorativa ne trae beneficio la generalità dei settori
industriali, cioè anche quelle industrie che utilizzano forza lavorativa per produrre beni che
non costituiscono elementi del valore della forza lavorativa stessa.
Il capitale ha una esigenza ben precisa: quella di rendere disponibili ore di lavoro
necessario per trasformarle in plusvalore, in modo da aumentare il plusvalore estorto senza
allungare la giornata lavorativa.
Abbiamo visto, ad esempio, gli effetti di un dimezzamento del valore della forza
lavorativa originato dal raddoppio della produttività: se la giornata lavorativa si componeva
prima di 4 ore di lavoro necessario e 4 ore di pluslavoro, ora si compone di 2 ore di lavoro
necessario e 6 ore di pluslavoro. Il capitalista ottiene così un maggior plusvalore, grazie ad
un maggiore saggio di sfruttamento della forza lavoro (che passa dal 100% al 300%).
Di qui nasce la tendenza costante del capitale ad accrescere la produttività del lavoro
per ridurre il prezzo delle merci, che costituiscono i mezzi di sussistenza dell’ operaio, per
ridurre di conseguenza il prezzo della stessa forza lavorativa.
Dunque nella produzione capitalistica, l’ aumento della forza produttiva e la
conseguente “ economia di lavoro” , non mirano per nulla ad accorciare la giornata
lavorativa, bensì ad accorciare il tempo di lavoro necessario per recuperarlo in termini di
aumento di pluslavoro.
In altre parole:
« Lo sviluppo della forza produttiva del lavoro, nell’ ambito della produzione
capitalistica, ha il fine di accorciare la parte della giornata lavorativa
in cui
l’ operaio deve lavorare per se stesso, in maniera da prolungare proprio per tal via
l’ altra parte della giornata lavorativa in cui l’ operaio può lavorare gratis per conto
del capitalista ».4
4
Karl Marx, Il Capitale, Libro primo, sezione IV, Cap. X.
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