lettera a patrizia avoledo direttore di “donna moderna” milano
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lettera a patrizia avoledo direttore di “donna moderna” milano
Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Segreteria Generale: Via Trionfale, 79/A – 00136 Roma Tel. 06.3975901 (6 linee r.a) Fax 06.39733669 – Email: [email protected] LETTERA A PATRIZIA AVOLEDO DIRETTORE DI “DONNA MODERNA” MILANO Gentile dottoressa Patrizia Avoledo, intervengo dopo aver letto, con colpevole ritardo, l’edizione di “Donna Moderna” n. 49 del 13 dicembre 2006 e, in particolare, il dossier dedicato alle donne – “Tutto quello che devi sapere per metterti in divisa”. Isabella Colombo, la giornalista che si è occupata di tale “speciale”, ha raccontato come una ragazza e una donna possano, oggi, diventare carabinieri, poliziotte, piloti dell’aeronautica, ufficiali o volontari di Marina ed Esercito, finanzieri e agenti e funzionari del Corpo Forestale dello Stato. Si è però dimenticata di un Corpo di Polizia dello Stato altrettanto importante e fondamentale per la sicurezza nazionale che da sempre riserva alle donne la possibilità di accesso e di carriera: il Corpo di Polizia Penitenziaria. I compiti istituzionali del Corpo non si limitano alla esclusiva sorveglianza all’interno delle sezioni detentive delle oltre 200 carceri italiane. La Polizia Penitenziaria svolge un ruolo molto importante per rendere la pena occasione di trattamento rieducativo ma ha compiti altrettanto fondamentali per quanto concerne le attività di Traduzioni e Piantonamenti dei detenuti, di Polizia Giudiziaria, di Polizia stradale, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza. Ed è stata ed è impegnata nelle missioni all’estero dell’ONU in Albania, Afghanistan, Iraq, Costa d’Avorio per ‘esportare’ la professionalità italiana in tema di ordinamento penitenziario in questi Paesi. Oggi sono circa 3.500 le donne che fanno parte della Polizia Penitenziaria. 65 appartengono al Ruolo apicale del Corpo, quello direttivo dei Commissari; 250 a quello degli Ispettori, un centinaio circa a quello dei Sovrintendenti; ben 3.000 al ruolo degli Agenti e degli Assistenti della Polizia Penitenziaria. Tantissime sono le poliziotte penitenziarie che appartengono al Gruppo Sportivo del Corpo ‘Fiamme Azzurre’: tra esse, per citarne qualcuna, le atlete di fama mondiale come Carolina Kostner, Vera Carrara e Claudia Corsini. Perché dunque Donna Moderna non si è occupata anche delle possibilità di accesso, per una donna, nel Corpo di Polizia Penitenziaria? Se il carcere è, in qualche misura, la frontiera ultima più esposta del sistema della giustizia, all'interno del sistema carcerario il personale di Polizia Penitenziaria (e tra esso in particolare proprio quello femminile) è la barriera più estrema. Siamo quelli che stanno in prima linea, quelli che stanno nelle sezioni detentive, quelli che stanno a contatto quotidiano con i detenuti ventiquattro ore su ventiquattro, trecentosessantacinque giorni all'anno, quelli a cui il nostro sistema giuridico affida un compito indubbiamente più complesso rispetto a quelli delle altre Forze di Polizia, senza naturalmente nulla togliere al lavoro importantissimo dei Colleghi e delle Colleghe delle altre Forze dell'Ordine. Quando l'agente della Polizia di Stato, il Carabiniere o il Finanziere, che svolgono un compito fondamentale per la difesa dello Stato e delle sue Istituzioni, nel corso della loro giornata lavorativa hanno un incontro con il nemico dello Stato, con il criminale, si tratta di un incontro che è, per un verso, eventuale e, per altro verso, quando si verifica, limitato nel tempo. Si riduce al tempo dell'arresto, della perquisizione, dell'interrogatorio. Viceversa, il compito dell'agente di Polizia Penitenziaria - in confronto anche e soprattutto fisico con chi rappresenta, in un modo o nell'altro, il nemico dello Stato, colui che ne ha violato le leggi - viene eseguito giorno dopo giorno, anche a Natale, Capodanno, Pasqua e Ferragosto, di notte, minuto dopo minuto. Questa è già, di per sé, la ragione di una difficoltà, di una complessità, di una tensione, la ragione anche di un rischio che non ha confronti. Mentre all'agente della Polizia di Stato, al Carabiniere o al Finanziere, lo Stato chiede, ed è un compito estremamente difficile, di catturare il violatore delle leggi e di rinchiuderlo dentro le prigioni - gli affida cioè principalmente un compito di sicurezza e di legalità all'agente di Polizia Penitenziaria - ecco la difficoltà e la specificità - affida compiti che talvolta sembrano in contraddizione l'uno con l'altro. L'agente di Polizia Penitenziaria, questo soldato di prima linea nella frontiera esposta che è il carcere, deve rappresentare in questo avamposto, spesso isolato se non dimenticato, la dignità dello Stato, la legalità dello Stato, la Legge. E' lì, solo, il più delle volte anche giovane, a rappresentare la Legge di fronte al nemico dello Stato. La rappresenta da solo, con la sua divisa, con la sua coscienza professionale, con il suo coraggio, con il suo rischio. Il nostro soldato di prima linea rappresenta, dunque, la Legge e la sicurezza della società, ma nello stesso tempo gli si chiede un'altra cosa: di far diventare il nemico un amico. E' un po' come la quadratura del cerchio. Non basta rappresentare la sicurezza della società. No, non basta. Questo agente deve rappresentare anche la speranza, l'offerta di una possibilità di ritornare indietro dalla proprie scelte. Con una mano lo Stato ti chiude e ti allontana dalla società. Con l'altra ti invita a rientrare nella società, quindi il recupero, la rieducazione, la riabilitazione, la risocializzazione, il reinserimento nella vita civile. Questo soldato di prima linea, in questo avamposto, spesso solo, spesso incompreso, spesso dimenticato, certamente trascurato, rappresenta la legge dello Stato e la speranza della società, la punizione del delitto che è stato commesso, ma anche qualcosa di molto alto: la speranza, che è l'essenza della civiltà ed anche lo spirito della nostra Costituzione, che colui che ha violato la legge non la violi più. Sarebbe una meschina vittoria se lo Stato non dovesse fare altro che punire gente che continuamente viola la legge e non riuscisse a riaffermare, rispetto a costoro, i valori della civiltà, la speranza dell'umanità. Si chiede agli uomini ed alle donne della Polizia Penitenziaria, a questi rappresentanti dello Stato, a questi soldati in divisa, di fronteggiare il mafioso, il sequestratore di persone, il narcotrafficante, rispetto ai quali dobbiamo rappresentare l'inflessibilità, la durezza, l'implacabilità della giustizia che si riafferma sul delitto. Ci viene anche chiesto di avere a che fare col tossicodipendente, di capire i drammi umani complessi, difficili, di intere generazioni di giovani che l'emarginazione e la disperazione hanno spinto sulla strada della droga. E i sieropositivi, i malati di mente.... Quanti altri problemi umani, anche drammatici, dobbiamo ogni giorno fronteggiare. Tutt’altra cosa rispetto alle ignobili rappresentazioni negative che delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria e del carcere ne fanno ancora troppo spesso fiction televisive, produzioni cinematografiche, articoli di riviste o quotidiani. Mi perdoni la lunghezza di questo mio scritto (che comunque auspico possa riprendere nei punti più salienti). Esso nasce dal mio orgoglio di essere un poliziotto penitenziario e da quello della mia identità professionale. Ma, soprattutto, dall’avere come colleghe di lavoro tante donne davvero straordinarie verso le quali anche “Donna Moderna” deve avere la giusta attenzione e rispetto. Cordiali saluti. Roberto Martinelli Segretario Generale aggiunto SAPPE Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Via Trionfale, 79/a - 00136 Roma Telefono 06.3975901 - fax 06.39733669 Email: [email protected]