tutti i retroscenadell`inchiesta che ha colpito il cuore di cosa nostra
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tutti i retroscenadell`inchiesta che ha colpito il cuore di cosa nostra
Lunedì 27 Giugno 2011 TUTTI I RETROSCENA DELL’INCHIESTA CHE HA COLPITO IL CUORE DI COSA NOSTRA MESSINESE - Barcellona P. G., Cosa Nostra messa in ginocchio. Indagate 30 persone, di cui 24 in manette. Sequestrati beni per un valore di 150 milioni di euro Una svolta cruciale o meglio «storica», così come l‟hanno definita il procuratore nazionale antimafia Leonida Primicelio e il procuratore capo di Messina Guido Lo Forte, ha consentito di infliggere un duro colpo alle cosche dei Barcellonesi e dei Mazzarroti. L‟aggettivo non è casuale, perché la decisione di collaborare, da parte di soggetti considerati in posizione apicale, ha dato riscontro a una meticolosa attività investigativa. Per la prima volta, personaggi del calibro di Carmelo Bisognano e Santo Gullo hanno vuotato il sacco, raccontando nei dettagli fatti di sangue, estorsioni e altri traffici illeciti. Dichiarazioni preziose, che si sono aggiunte ad un castello accusatorio di dimensioni già rilevanti. All‟alba di ieri Dia e carabinieri hanno messo in ginocchio Cosa Nostra messinese. Lo testimonia il bilancio delle due operazioni, chiamate “Gotha” e “Pozzo 2″, nell‟ambito delle quali sono stati assicurati alla giustizia esponenti mafiosi di primo piano: 24, in tutto, le persone arrestate (su 30 indagati); di 150 milioni di euro, invece, il valore dei beni sottoposti a sequestro preventivo. L‟operazione “Gotha”, condotta dai militari del Ros, assieme ai colleghi del Comando provinciale e della Dia, ha stretto il cerchio attorno a Mario Aquilia, 42 anni, nato a Ucria, imprenditore; Concetto Bucceri, 63 anni, originario di Letojanni, autotrasportatore; Salvatore Calcò Labruzzo, 59 anni, nato a Tortorici, allevatore; Francesco Cambria, 61 anni, di Barcellona Pozzo di Gotto, dipendente comunale; Zamir Dajcaj, albanese di 38 anni, allevatore; Salvatore Di Salvo, nato a Toronto, imprenditore quarantaseienne; Enrico Fumia, 45 anni, originario di Mazzarrà Sant‟Andrea, vivaista; Carmelo Giambò, 40 anni, di Barcellona Pozzo di Gotto, imprenditore; Giuseppe Isgrò, 46 anni, anch‟egli di Barcellona, imprenditore; Giuseppe Roberto Mandanici, 48 anni, nato in Svizzera; Nicola Munafò, 43 anni, originario di Tripi, autotrasportatore; Salvatore Ofria, 47 anni, nato a Barcellona Pozzo di Gotto, operaio; Angelo Porcino, 55 anni, imprenditore barcellonese; Giovanni Rao, 50 anni, nato a Castroreale, imprenditore; Francesco Scirocco, 46 anni, di Gioiosa Marea, imprenditore; Maurizio Trifirò, 32 anni, nato a Rodì Milici, autotrasportatore. Tutti raggiunti da provvedimento di custodia cautelare in carcere. Nell‟ambito dell‟operazione “Pozzo 2″, portata avanti dai carabinieri, stessa notifica nei confronti di Tindaro Calabrese, 38 anni, nato a Novara di Sicilia, allevatore, già detenuto per altra causa; Nicola Cannone, 46 anni, originario di Palermo, commerciante, già detenuto per altra causa; Francesco D‟Amico, commerciante trentatreenne, nato a Barcellona Pozzo di Gotto; Carmelo Vito Foti, 44 anni, nato a Barcellona Pozzo di Gotto, già detenuto per altra causa; Francesco Ignazzitto, 52 anni, originario di Barcellona Pozzo di Gotto, commerciante, già detenuto per altra causa; Ottavio Imbesi, 40 anni, anch‟egli di Barcellona, commerciante; Francesco Carmelo Messina, 64 anni, autotrasportatore barcellonese, già detenuto per altra causa; Salvatore Puglisi, 56 anni, nato a Fondachelli Fantina, imprenditore, già detenuto per altra causa. Tra i destinatari figurano anche Mario Aquilia, Carmelo Giambò e Francesco Scirocco, interessati dal provvedimento emesso per l‟indagine «Gotha». Devono rispondere, a vario titolo, di associazione mafiosa, omicidi, estorsioni, porto e detenzione abusiva di armi, intestazione fittizia di beni e altri delitti, con l‟aggravante delle finalità mafiose. «Inchieste storiche e innovative: aggrediti i patrimoni mafiosi» “Gotha” e “Pozzo 2″, operazioni uniche nel loro genere, grazie alle quali Cosa Nostra messinese è stata colpita al cuore. A risentirne le consorterie della vasta porzione di territorio compresa tra Tusa e Villafranca Tirrena, con epicentro a Barcellona e zone limitrofe. Inchieste «storiche» le hanno chiamate il procuratore nazionale antimafia Leonida Primicerio e il collega Guido Lo Forte, presenti al “chilometrico” tavolo della conferenza stampa di ieri, al Comando provinciale di Messina. Una ventina i presenti all‟incontro, dalla Dia locale, guidata dal tenente colonnello Danilo Nastasi, a quella nazionale, dal Ros dei carabinieri, capeggiati dal generale Giampaolo Ganzer, al comandante provinciale dell‟Arma Claudio Domizi. Al gran completo anche i sostituti della Dda peloritana. A rompere il ghiaccio è stato Primicerio, il quale ha lodato l‟azione sinergica tra forze di polizia e magistratura locale. «I risultati raggiunti – ha detto – dimostrano il grande senso delle istituzioni dei nostri uomini e vanno a beneficio della comunità». Le indagini sono state marchiate anche come «moderne» e finalizzate «all‟aggressione “a tenaglia” di persone e patrimoni», grazie a tecniche innovative. Sulla stessa lunghezza d‟onda il procuratore capo Guido Lo Forte, il quale, parafrasando Pascoli, ha posto l‟accento sul fatto che «in queste operazioni c‟è del vecchio e del nuovo, ci sono elementi di continuità, derivanti dalle pregresse attività d‟indagine». Si è detto soddisfatto per un metodo di lavoro che ha visto fianco a fianco, giorno per giorno, magistrati della Dda di Messina, investigatori della Dia e dei carabinieri. «Abbiamo seguito lo sviluppo delle indagini in tempo reale» e i risultati sono giunti «in tempi ragionevolmente brevi», ha aggiunto. Quindi ha toccato su un punto nodale: «Per la prima volta la mafia storica barcellonese ha collaborato con la giustizia. Si tratta di soggetti in posizione apicale quali, Santo Gullo e Carmelo Bisognano. Così l‟ampio tessuto informativo acquisito dalle forze dell‟ordine adesso è divenuto un importante riscontro esterno ante litteram delle ricostruzioni fatte», ha affermato Lo Forte. Il quale si è soffermato sull‟assetto organizzativo della mafia barcellonese: «Al vertice sono collocati i “vecchi”, dediti agli aspetti imprenditoriali e finanziari. Sotto c‟è la rete delle attività estorsive, basata sulla stretta osservanza di regole tipiche di Cosa Nostra, quali competenze territoriali e referenti esterni. Poi viene la struttura militare, che oggi fa capo a Carmelo D‟Amico». Tra gli episodi fondamentali per le indagini quello che ha visto protagonista Santo Gullo. «Condannato a 8 anni di reclusione in primo grado nell‟operazione Pozzo– ha detto il procuratore capo – è stato assolto in appello. Una volta libero ha deciso di collaborare con la giustizia, certo che sarebbe stato eliminato in seguito alla scoperta del cosiddetto “cimitero della mafia” di Mazzarrà Sant‟Andrea, grazie alle dichiarazioni di Bisognano. Quest‟ultimo, ha continuato Lo Forte, «ha riferito notizie importanti circa l‟omicidio di Vincenzo Perdichizzi, colpito alla nuca con un proiettile che fuoriuscito ha ferito al calcagno Ignazio Artino. Dalle indagini dei fori di entrata e di uscita e dall‟autopsia sul corpo di Artino, poi ucciso, è stata effettivamente riscontrata la ferita al piede». Altro aspetto toccato da Lo Forte, lo spostamento del centro di gravità della mafia nella provincia peloritana da Mistretta a Barcellona, in concomitanza con l‟ascesa a Palermo di Salvatore Lo Piccolo. «In quella circostanza – ha evidenziato – Cosa Nostra palermitana scelse come referente messinese Tindaro Calabrese, come confermato dal fatto che Barcellona è diventata il centro di gravità di affari e commissioni». Entusiasta della risposta data dallo Stato, attraverso tutte le articolazioni dell‟Arma, il comandante del Ros dei carabinieri Ganzer. «Le due operazioni – ha rimarcato – costituiscono un punto fermo nelle indagini su Cosa Nostra». Il sodalizio, inoltre, nel corso degli anni, era riuscito ad aggiudicarsi rilevanti appalti pubblici, turbando le relative procedure di gara e alterando le regole della libera concorrenza, attraverso un sistema di imprese controllate da affiliati o da soggetti vicini al gruppo mafioso. «Sono stati riscontrati fenomeni estorsivi su opere pubbliche di grosso livello», ha sottolineato il magistrato della Dda Angelo Cavallo, citando i casi dei lavori del metanodotto nella fascia tirrenica (2000-01) e del raddoppio della linea ferroviaria Messina-Palermo (2008-09). Forte compiacimento è stato espresso dal presidente nazionale della Federazione nazionale antiracket e antiusura Giuseppe Scandurra, che in una nota ha sostenuto come la mafia non sia ancora sconfitta del tutto sul territorio. «Chiediamo ai commercianti e ai cittadini della zona di non abbassare la guardia e di denunciare i criminali che ancora vogliono imporre con minacce e con la forza il pizzo e vogliono introdursi negli appalti. Solo con un risveglio della società civile si potrà definitivamente debellare la cultura mafiosa». Dello stesso tenore le dichiarazioni di Sofia Capizzi, presidente dell‟Associazione antiracket e antiusura di Barcellona Pozzo di Gotto, secondo cui quello di ieri è un successo che rappresenta il giusto coronamento dell‟infaticabile attività investigativa. «Siamo certi che lo Stato c‟è ed è forte. È il momento di fare tutti insieme squadra per liberare la nostra terra dall‟orrore dell‟ipoteca mafiosa», «per affermare la forza del diritto, la cultura della legalità e costruire a Barcellona una nuova realtà, una nuova immagine in cui riconoscersi tutti con orgoglio», ha concluso. «Ora mi auguro che l‟azione penale sia esercitata anche nei confronti delle menti e degli appartenenti al cosiddetto terzo livello del sistema mafioso barcellonese, facendo luce sulle collusioni e le contiguità che riguardano Rosario Pio Cattafi, vero gotha, e i falsi collaboratori, saliti al rango di “testimoni”, come l‟imprenditore mafioso Maurizio Marchetta», ha commentato Sonia Alfano, europarlamentare e leader dell‟Associazione nazionale familiari vittime di mafia.(r.d.) Sequestrati conti correnti, ville, decine di società, auto e imbarcazioni C‟è di tutto tra i beni sequestrati nell‟operazione Gotha. Il valore complessivo è di 150 milioni di euro. A Giovanni Rao e Giuseppe Isgrò erano intestati i capitali e i compendi aziendali delle società Cep Srl, Ccp Srl, Icem Srl e Agecop Srl. Ai due sono stati posti sotto sequestro una serie di fabbricati e unità immobiliari tra Barcellona e Castroreale, oltre ai conti correnti, ad autovetture e motocicli. Il provvedimento ha colpito Filippo Barresi: la quota del capitale sociale della “Saloon Sas”, terreni adibiti a pascolo, agrumeti, fabbricati, autovetture, moto, conti correnti, titoli e altre forme di investimento. I beni sequestrati a Sem Di Salvo riguardano le società barcellonesi Pct Costruzioni Srl e Codim Srl, terreni nella contrada Carcara a Bafia, auto e ancora conti correnti e investimenti finanziari. Salvatore Ofria era titolare della ditta “Carmela Bellinvia”, di un fabbricato in via Generale Angelo Cambria e di un altro in corso di costruzione in via Saia Cantoni, di un terreno nella stessa strada nel comune di Barcellona. E ancora altri fabbricati a Spiaggia Cantoni, nelle vie Eolie e Giacomo Leopardi, vigneti, agrumeti e terreni agricoli intestati a Carmela Bellinvia, mezzi pesanti tra cui due autocarri per trasporto merci e una serie di altri autoveicoli. Sequestrate a Mario Aquilia e Francesco Scirocco le quote della società Isma Costruzioni Srl e l‟intero compendio aziendale del Consorzio Sviluppo Territorio Ambiente (Sta), con sede a Messina, in corso Cavour. I beni individuali di Francesco Scirocco vanno dalla società Assetti del Territorio e Infrastrutture Spa con sede a Capo d‟Orlando alla società Internazionale Immobiliare Srl con sede a Messina, in corso Cavour; dalla Consortile Eliconese Srl e dalla Cisap Srl di Capo d‟Orlando alla Scic Lavori Srl con sede in via Albalonga a Roma; dalla BeIm Srl ubicata in via Romagnosi a Messina alla International Global Services con sede in corso Cavour; dalla “Normanno Edizioni” di via dei Verdi a Messina alla Prodart Management di Saponara; dalla Modimar in provincia di Caserta alla Consortile Portuale Scarl di Capo d‟Orlando. Inoltre, tre fabbricati a Messina, in viale Regina Margherita e in via Centonze; una Lamborghini Gallardo, un‟imbarcazione, conti correnti e cassette di sicurezza. Rao successore riconosciuto di Gullotti. Non bisognava nominarlo al telefono Messina - Il “cuore giudiziario” dell‟ordinanza di “Gotha”, quasi 250 pagine, è forse quello ricompreso tra i fogli che descrivono l‟organigramma della mafia barcellonese per come l‟hanno conosciuta principalmente Bisognano e Gullo. Sono loro che individuano al vertice, come successore del boss Giuseppe Gullotti, quel Giovanni “Giani” Rao da Castroeale. E lo descrive proprio Bisognano: «… oltre a riconoscerne fotograficamente l‟attuale capo della cosca ed a descriverne gli atteggiamenti riservati e severi – scrive il gip Ignazitto –, ha rivelato l‟abitudine tra gli associati di non menzionarlo mai telefonicamente, ma di riferirsi allo stesso tramite criptiche allusioni (”Rao Giovanni, anzi come lo chiamo io “Gianni”, è una persona seria, molto riservata e che non ride mai. Specifico che quando parlavo di lui con altre persone usavo il termine “amministratore”, anche perché non volevo che venisse identificato nell‟ambito di possibili intercettazioni. Invece quando io e Sem Di Salvo parlavamo di Rao Giovanni, lo indicavo come il fratello di Sem, anziché, per esempio, io rivolgevo a Di Salvo la seguente frase «hai visto a tò frati?». Non credo che Sem Di Salvo abbia un fratello, ma soltanto una sorella, almeno per quello che mi è dato sapere». Bisognano racconta poi della “successione”: «… quando Gullotti fu arrestato nel 1998 circa, a seguito del ripristino della custodia cautelare a suo carico per l‟omicidio di Alfano, almeno credo, fu Rao Giovanni a prendere il suo posto. Si trattò di un passaggio automatico e naturale, così come fu naturale che quando venni arrestato io nel 2003 prendesse il mio posto Calabrese Tindaro. Ovviamente in tutti e due i casi non vi fu un passaggio di consegne ufficiali; si trattò di un passaggio naturale.… nessuno nell‟ambito del gruppo contestò tale successione, anche perché Rao Giovanni era riconosciuto da tutti come personaggio autorevole». Altro passaggio-chiave dell‟ordinanza di custodia è quando il gip Ignazitto riporta il narrato di Gullo sull‟organigramma, quando cioé la “famiglia” non è più unica ma si divide in “frange”: «… La divisione in tre gruppi avviene tra il 2005 e il 2006. Attualmente l‟organigramma della criminalità barcellonese è così delineato: un gruppo è riconducibile a D‟Amico Carmelo nel quale militano D‟Amico Francesco, Calderone Antonino, Micale Salvatore, Porcino Angelo, Bellinvia Antonino, Chiofalo Gaetano, Milone Filippo ed Agostino, Molino Pippo, Messina Renzo, Messina Carmelo, Imbesi Ottavio (che è il cassiere del gruppo), Giambò Carmelo, Cannone Nicola, Bucalo Domenico, cugino di Caiella, ed il fratello di quest‟ultimo; un altro fa capo a Rao Giovanni e Barresi Filippo, di cui fanno parte Di Salvo Salvatore, Ofria Salvatore, Isgrò Giuseppe, Merlino Antonino ed altri che non ricordo; quello dei mazzaroti fa capo a Calabrese Tindaro, di cui fanno parte oltre a me, Calcò Labruzzo Salvatore, Artino Ignazio, Fumia Enrico, Martorana Roberto, Trifirò Carmelo e Maurizio, Campisi Agostino; c‟è poi l‟albanese Zamir che non è proprio organico ma comunque contiguo».(n.a.) Quell’elicottero che volteggiava sui “santuari del crimine” Barcellona - La scossa tellurica che ha preceduto nella notte l‟operazione “Gotha” e “Pozzo II” è stata come un presagio funesto per i vertici decapitati a capo dell‟organizzazione mafiosa dei Barcellonesi. Già poco dopo dell‟alba di ieri su Barcellona e sui paesi dell‟hinterland coinvolti nelle due operazioni antimafia congiunte, volteggiava un elicottero dei carabinieri a vegliare sui “santuari della mafia” presi d‟assalto dagli uomini della Dia e dai Ros che hanno sottoposto a sequestro finalizzato alla confisca i beni aziendali. Una parte considerevole degli intoccabili componenti della commissione al vertice della famiglia mafiosa della Città del Longano, è caduta nella rete e con essi i beni immobili e aziendali considerati frutto di attività illecita, come il Centro di autodemolizioni e vendita ricambi per auto, riciclaggio e smaltimento dei rifiuti intestato a Carmela Bellinvia e di fatto gestito dal figlio Salvatore Ofria e nel quale lavora fin o a ieri il boss Sem Di Salvo. L‟azienda fino allo scorso anno ha gestito per conto dell‟Ato senza che nessun amministratore pubblico dei 38 Comuni azionisti dell‟Ato Me 2 avesse nulla da obiettare, lo smaltimento in tutti i centri da Villafranca a Brolo degli elettrodomestici ingombranti. In carcere sono finiti personaggi al vertice del potere economico della malavita locale che avevano sempre evitato la cattura, come Giovanni Rao, aspetto fisico da intellettuale, a capo della Cep, una delle più grandi centrali di betonaggio ubicate tra Barcellona e Castroreale specializzata nella produzione di calcestruzzo, autentica miniera di risorse economiche per gli affiliati di tutte le epoche. In manette anche un insospettabile, Francesco Cambria, 61 anni, responsabile dell‟autoparco comunale di Palazzo Longano che per anni è stato fedele autista degli ex sindaci della città, considerato da oltre un decennio il “cassiere” silente della mafia verso il quale fare confluire le risorse economiche necessarie per il sostentamento degli affiliati alla cosca. Uccel di bosco invece si è reso una altro soggetto da sempre considerato un mammasantissima, Filippo Barresi, al quale sono stati sequestrati i beni immobili e mobili della sua casa con attigua azienda agricola in via Milite Ignoto, così come avvenuto per la Cep e le società ad essa collegate e per il Centro demolizioni Bellinvia. Alla Dia non è sfuggita nemmeno l‟ultima creatura commerciale sorta nella centrale via Roma, “Fashion girl”, intestato alla figlia di Sem Di Salvo. L‟azione degli investigatori della Dia concentrati oltre che sulla Cep di Rao in contrada Gurafi, sulle altre realtà aziendali nella disponibilità di Ofria-Di Salvo e di Barresi, non è passata inosservata a chi si è alzato come di consueto per avviarsi al lavoro. Ogni obiettivo visitato era infatti presidiato. La “mattanza” tra Rodì e Mazzarrà per chi disobbediva agli ordini La mattanza secondo il terrificante rituale del “Gotha” dei Barcellonesi. I due principali collaboratori di giustizia, Carmelo Bisognano e Santo Gullo, hanno spiegato con particolari agghiaccianti, le terrificanti sequenze delle esecuzioni mafiose consumate nel triangolo della morte tra Mazzarrà, Basicò e Tripi. L‟omicidio più efferato per modalità e per il numero delle persone coinvolte, è senza dubbio quello di Antonino Ballarino, inghiottito a 26 anni dalla “lupara bianca” il 23 marzo del 1993, i cui resti sono stati ritrovati 18 anni dopo grazie alle rivelazione del boss con l‟avvio della campagna di scavi intrapresa nel cimitero della mafia di Mazzarrà Sant‟Andrea lo scorso 4 gennaio. Di questo omicidio, l‟unico indagato sopravvissuto e per questo arrestato è il barcellonese Carmelo Giambò, 40 anni, scampato al fuoco dei killer il 23 agosto 2010 e il successivo 3 marzo 2011, a due diversi agguati. L‟altro esecutore del delitto è stato il defunto boss di Terme Vigliatore Mimmo Tramontana. Alle fasi preparatorie e successive del delitto avrebbero partecipato rispettivamente Santo Gullo e Melo Bisognano. Gullo avrebbe attirato con un pretesto nella sua autofficina di Oliveri la vittima designata, conducendola in una zona tra Rodì e Mazzarrà, lasciandola poi tra le grinfie di Tramontana e di Giambò che l‟hanno dapprima pestato davanti ad una stalla e colpito selvaggiamente con un bastone e poi ucciso a colpi di pistola. Ballarino non sarebbe morto subito, tanto da essersi - pur colpito alla testa - rialzato, chiedendo ai suoi carnefici di voler tornare a casa. Ma lo finirono definitivamente. La sua unica “colpa” fu quella di essere stato sospettato di aver rubato un camion carico di ceramiche ad un negozio di Basicò. «Ballarino - racconta Santo Gullo - si spaventò allorquando Tramontana lo afferrò al collo. Vidi che Giambò lo scaraventarono a terra e lo colpirono violentemente con un bastone. Tramontana lo teneva e Giambò lo percuoteva alle gambe». Gullo fu poi invitato dai due compari ad allontanarsi e lasciando Ballarino in balìa dei suoi assassini, si era dileguato continuando ad osservare dallo specchietto retrovisore dell‟auto la barbara aggressione subita dal giovane. Gli assassini si recarono poi a casa di Melo Bisognano e chiesero se lui poteva far scomparire il cadavere. Bisognano si rese disponibile e chiamò in soccorso Enrico Fumia e Ignazio Artino, ucciso di recente, i quali lo aiutarono a caricare il cadavere su una vecchia Renault 5 per trasportarlo in contrada Gorne dove poi lo stesso collaboratore ha consentito il ritrovamento dei resti. Altro personaggio, finora rimasto nell‟ombra che si sarebbe macchiato di altri due omicidi sarebbe secondo il racconto dei due collaboratori - Salvatore Calcò Labruzzo, 58 anni, allevatore originario di Tortorici e residente sulle colline di contrada Arancia, in territorio di Tripi. A Calcò si attribuisce, in concorso con Carmelo Bisognano e con il defunto Carmelo Triscari Barbieri (poi ucciso), l‟uccisione di allevatore di maiali Sebastiano Lupica, che risiedeva a Montalbano eliminato a colpi di fucile, il cui corpo fu ritrovato il primo maggio del 1994 in territorio di Campogrande di Tripi. Il defunto boss Mimmo Tramontana si sarebbe macchiato anche di un altro omicidio quello di Carmelo Triscari Barberi, commesso con la complicità di Salvatore Calcò Labruzzo e dello stesso Santo Gullo il 4 gennaio del 1996 in una stalla di Basicò. La vittima, pur avendo partecipato all‟omicidio di Sebastiano Lupica, fu punito da Tramontana perché si temeva un tradimento Altri due omicidi attribuiti ad Enrico Fumia, assieme a Tramontana ed a Gullo, sono quello di Salvatore Munafò, avvenuto il 4 giugno del 1997 nella stessa stalla di Basicò e di Natalino Perdichizzi ucciso il 23 luglio del 1997 da Enrico Fumia, Aldo Nicola Munafò, assieme a Mimmo Tramontana e Ignazio Artino, questi ultimi a loro volta nel frattempo uccisi. L’esecuzione «dove c’era Giuseppe Gullotti» «Una mattinamentre ero impegnato a trasportare materiale alla discarica – comincia così il racconto di Alfio Giuseppe Castro –, incontrai Salvatore Gullotti, fratello di Pippo Gullotti, al quale chiesi dove si trovasse Eugenio Barresi, che è mio “figlioccio” in quanto l‟ho cresimato. Egli mi portò in un casolare dove erano presenti Pippo Gullotti, Sem Di Salvo, Giovanni Rao, il Barresi e altre persone a me sconosciute, i quali stavano malmenando un uomo legato a una sedia. Ricordo che Giuseppe Gullotti si arrabbiò con il fratello Salvatore, in quanto mi aveva condotto in quel posto dove io non avrei dovuto assolutamente andare. Nell‟allontanarmi assieme a Salvatore Gullotti, ho udito alcuni colpi di arma di fuoco, immaginando che la persona legata era stata uccisa. Ritengo che l‟esecutore di questo omicidio sia stato Giuseppe Gullotti in quanto lo vidi armato. Questo episodio avvenne di certo dopo l‟eliminazione di Cattaneo». Il boss Melo Bisognano decisivo per la “svolta” Messina - È lui che ha innescato tutto. Quando un investigatore lo ha convinto, mesi di approcci, che era meglio collaborare con la giustizia, lo ha fatto. La figura del boss di Mazzarrà S. Andrea Carmelo Bisognano è tratteggiata in maniera molto nitida dal gip Ignazitto con la sua ordinanza di custodia cautelare: «Carmelo Bisognano è stato, per molti anni uno dei più autorevoli e carismatici esponenti della famiglia mafiosa di Barcellona Pozzo di Gotto. Egli, in particolare, ha rivestito almeno a partire dal 1991, il ruolo di leader di quella frangia della consorteria meglio conosciuta come gruppo dei “Mazzarroti”». Prosegue il gip: «Una volta abbracciata la scelta collaborativa, Bisognano ha dimostrato di possedere un cospicuo bagaglio di approfondite conoscenze in ordine a tutte le principali vicende delinquenziali sviluppatesi nei meandri dell‟organizzazione mafiosa», e «… il suo patrimonio di informazioni, non altrimenti acquisibili dagli investigatori, si è manifestato in termini di assoluta pregnanza proprio con riferimento ai fatti di sangue». Altro passaggio sul valore della sua collaborazione: «Si vedrà infatti – scrive il gip –, come le sue collaborazioni siano di regola coerenti, circostanziate e non inficiate da intrinseche contraddizioni e come le stesse abbiano frequentemente trovato conferma nel convergente narrato degli altri collaboratori, nonché nell‟attività di verifica opportunamente eseguita dalla polizia giudiziaria». Eppure anche Bisognano rischiò di essere isolato e ucciso; fu quando Fumia cercò di “fargli le scarpe” chiedendo addirittura un incontro con Rao in contrada Marchesana. Proprio quest‟ultimo, con una sola frase diretta, in dialetto, a Fumia tacitò tutto: «Tu come lo hai conosciuto a Melo? „u canuscisti comu un cristianu? O pi quali autra cosa? E comu un cristianu a continuari a trattarilu». «Bastarono quelle parole – commenta Bisognano in un verbale –, per concludere la discussione, nel senso che io potevo continuare ad essere un capo». La mafia di oggi raccontata dall’interno della “famiglia”. Disvelate pure le tre “frange” in cuisi divise il gruppo tra il 2005 e il 2006. In una calda giornata di giugno Cosa nostra barcellonese mostra il suo volto più cupo e segreto. Come fu per “Mare Nostrum” nell‟ormai lontanissimo giugno del 1994. E gli “omissis” di oggi ci parlano di un terzo livello ancora da incastrare, domani. Ed è impressionante, dopo tanti anni di “si dice”, vedere nero su bianco l‟organigramma recente della mafia barcellonese tra le parole del boss pentito Carmelo Bisognano, affiliato dal 1989, e degli altri collaboranti dell‟inchiesta, la sua ex donna Teresa Truscello, il “lattoniere” Santo Gullo, l‟imprenditore acese Alfio Giuseppe Castro, divenuto col tempo barcellonese per adozione mafiosa. E se Bisognano per forza di cose si ferma probabilmente al 2003 con le sue conoscenze, Gullo arriva a delineare tutto sino ai nostri giorni. La loro è in sostanza la mafia di oggi vista e vissuta dall‟interno. Snocciolano nomi e cognomi, raccontano dei rituali e della ferocia di esecuzioni di campagna nei casolari abbandonati a colpi di doppietta e bastone, delle tangenti alle grandi imprese, dei cadaveri seppelliti di notte lungo i torrenti e sotto i vivai, delle liti interne alle cosche sedate dai capi riconosciuti come Gianni Rao “l‟amministratore” o “la mente”, ex «delfino» del boss Giuseppe Gullotti che gli è succeduto alla guida della cosca, dei guadagni ingenti gestiti da Pippo Isgrò “il ragioniere” che subentra nella riscossione delle tangenti a Salvatore “Sem” Di Salvo. Collaboranti che sono «portatori di un patrimonio conoscitivo di assoluto rilievo», e soprattutto per Santo Gullo e Carmelo Bisognano, «le cui propalazioni non appaiono inquinate da reciproche interferenze o da fenomeni di allineamento». Sono fatti di mafia di ogni giorno a Barcellona e dintorni raccontati in ogni minimo particolare. E sono tanti. Con una costante, che tutti dovevano “rendere conto” ai Barcellonesi. Tutto raccontato nell‟ordinanza scritta dal gup Walter Ignazitto, che ha siglato quella relativa all‟operazione “Gotha”, eseguita dal centro operativo della Dia di Messina. Per esempio il rolex che la cosca compra proprio al figlio di Di Salvo per i suoi diciott‟anni, questo perché il mafioso è in carcere e non può provvedere personalmente all‟acquisto. Oppure le tre “frange” in cui si divide la famiglia tra il 2005 e il 2006 (Bisognano non può saperlo perché è in carcere da tempo, lo racconta Gullo) quando si tratta di dividere i guadagni sporchi («… un terzo è destinato al gruppo di Rao, un terzo al gruppo di D‟Amico Carmelo, ed un terzo ai mazzarroti…»), formando una carta geografica tra Barcellona, Castroreale e Mazzarrà. Ancora la lettera che la Truscello scrive a Bisognano per spingerlo a pentirsi («… ho inoltrato una missiva al mio ex convivente Bisognano Carmelo chiedendogli di collaborare con la giustizia, avendo avuto da tempo l‟impressione che volesse intraprendere questa strada…»). E poi la sequenza delle estorsioni, impressionante. La prima di cui si parla è quella ai danni della “Gas spa”, che eseguì i lavori del metanodotto lungo la zona tirrenica: oltre alle tangenti per centinaia di milioni (di lire) la ditta “Futura 2000″ e la ditta della Truscello eseguirono dei lavori edili per loro conto. La seconda alla “IRA Costruzioni per il raddoppio ferroviario Messina-Palermo. La IRA «… versava il “pizzo” innanzitutto, al clan Santapaola di Catania, capeggiato da Alfio Mirabile, rapportandosi, contestualmente anche con l‟organizzazione mafiosa barcellonese, dal momento che detti lavori ricadevano direttamente nelle aree controllate da quest‟ultimo gruppo». La terza con le richieste avanzate alla ditta “Alak Srl” di Brolo quando nel 2001 si trattò dell‟appalto «di un acquedotto o di una fognatura, non ricordo bene, a Milazzo». Ancora l‟estorsione alla ditta “Italsystem Srl” quando l‟impresa lavorò al consolidamento stradale della Ss 113 tra i comuni di Patti e Falcone. Ed infine le richieste di pagamenti alla “Sicilsaldo”, impegnata tra il 2006 e il 2008 in lavori di metanizzazione nella zona di Mascalucia. Il Rolex È un episodio raccontato da Bisognano: «… dopo l‟arresto di Di Salvo a seguito dell‟operazione “Omega”, è quello legato all‟acquisto di un orologio Rolex. In quel periodo qualcuno, anche se non so essere più preciso, mi incontrò e mi riferì che Sem Di Salvo aveva detto di far sapere a “so frati” che bisognava acquistare un orologio Rolex in occasione del 18° compleanno del figlio di Di Salvo stesso.… Ricordo che questa persona, nel riferirmi tale messaggio, era rimasta alquanto interdetta quando parlava del “fratello” di Di Salvo, mentre io capii benissimo che si riferiva a Rao Giovanni, nel senso che voleva che costui si occupasse dell‟acquisto dell‟orologio Rolex per il figlio di Di Salvo. Non ricordo se comunicai tale circostanza direttamente a Rao Giovanni o al “ragioniere” ossia Isgrò Giuseppe. Sicuramente la persona che mi riportò tale messaggio era qualcuno che aveva raccolto il messaggio in carcere»