edizione n.2

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edizione n.2
Orizzonti
maggio
2 0 1 6
marsicani
Periodico di attualità, cronaca, cultura, a cura dell’associazione “osvaldo Costanzi” autorizzazione Tribunale di avezzano - Registro stampa1/2016 del 12/01/2016
Direttore: maurizio Cichetti - anno i - maggio 2016
L’ IMPEGNO DI CIASCUNO
“Qualsiasi cosa la tua mano trovi da fare,
falla con tutto il tuo zelo…” Questa vecchia
citazione tratta dall’Ecclesiaste, posta fra
l’altro come epigrafe ad un bellissimo racconto di Saul Bellow (lo scrittore americano premio Nobel nel 1976) contenuto
nella raccolta “Addio alla casa gialla”, può
essere presa a pretesto per innescare una
sommaria riflessione sui tempi cupissimi
che stiamo vivendo, stimolati anche dalle
ragionevoli considerazioni che ci consegna
una nostra giovane connazionale e concittadina, celanese che vive a Parigi -uno dei
luoghi tristemente simbolici di questi tempi
deliranti- in un suo pezzo ospitato qui accanto.
Ecco allora che la prima, umile risposta alla
furia distruttrice di questi nostri tempi può
essere proprio rinvenuta nello svolgimento
tenace delle nostre mansioni, in quell’abitudinaria ripetitività di gesti con i quali cerchiamo di dare un senso e una direzione
alla nostra esistenza. Un impegno, questo,
al quale siamo chiamati tutti, al di là,
quindi, delle scelte e degli orientamenti che
potranno essere presi dalla politica, dagli
Stati, dagli organismi a vario titolo preposti
a far fronte ai problemi dei nostri tempi.
E’ proprio in questo nostro zelo quotidiano,
nel modesto contributo che ognuno di noi
può offrire per una consapevole crescita civile, che forse risiede una timida speranza
per il futuro. (m.c.)
Paris-Bruxelles
Riflessioni di una giovane celanese dalla Ville Lumiere
Francesca Gatti vive e lavora tra Parigi e
Londra. Dopo esser passata per l'Ecole
Normale Supérieure, fonda nel 2012 la libreria-caffè Marcovaldo e nel 2014 il festival di musica indipendente "Maggio"
(prossima edizione nel 2017). Oggi si divide tra surf, organizzazione
di
eventi
e
consulenza in marketing e
comunicazione.
Martedì mattina sono
scesa presto per le strade
del mio quartiere parigino, l'undicesimo arrondissement. Era il 22
marzo, l'aria insolitamente profumata e il traffico ancora sonnolento.
La brutta abitudine di
svegliarsi con la rassegna
stampa sul telefono, ancora nel letto, mi
aveva lasciato come prima immagine del
giorno quella della nube dell'esplosione
all'aeroporto di Bruxelles. L'ennesima
esplosione, l'ennesimo attentato. La notizia era ancora vaga, cosi come l'entità
dell'evento che seguiva tra gli altri quelli
di Ankara e della Costa d'Avorio, e precedeva la strage nel parco di divertimenti in
Pakistan.
Scesa alla ricerca di un bar per la colazione, noto che al posto del negozio di
dolci all'angolo con la rue Faidherbe,
chiuso ormai dagli attentati del 13 novembre scorso, aprirà una nuova "boulangerie", fantastico incrocio tra una
panetteria e una pasticceria. Uno dei vetri del vecchio negozio era diventato
un macabro emblema
degli attentati parigini: ai
due fori lasciati dai proiettili destinati ai clienti del
ristorante vicino, qualcuno
aveva aggiunto con un
pennarello una smorfia triste, trasformandoli nella
faccia più buia che si possa
immaginare.
Giro l'angolo e scopro con
sorpresa che La Belle
Equipe è di nuovo aperta: so allora dove
prenderò il mio caffè lungo con cornetto
vuoto, unica versione accettata dall'ortodossia pasticcera francese. La Belle
Equipe è il bar in cui sono state uccise diciannove persone, in un venerdì sera che
avevano ritenuto essere perfetto per un
bicchiere di vino in terrazza. Mi siedo al
tavolo sotto al grande albero che per mesi
ha ospitato fiori, candele e messaggi di
Segue a pag 2
Una libertà da difendere
Storica visita di Alfano a Celano
Il dovere della
nostra generazione è difendere quella libertà che ci è
stata regalata a
prezzo del sangue dalle generazioni che ci
hanno preceduto”. Ha concluso così il suo intervento Angelino Alfano a Celano, in occasione di una visita -quella del 2
aprile scorso- che ha assunto i caratteri dell’avvenimento a suo modo storico. Si è trattato, infatti, della
prima volta di un ministro dell’Interno a Celano, per
un appuntamento che è stato insieme istituzionale (con
una prima tappa in Comune), ma anche -e soprattuttoculturale, per la presentazione del libro scritto appunto
recentemente da Alfano, “Chi ha paura non è libero”.
Con toni appassionati e coinvolgenti, il ministro ha
così ripercorso le tappe che lo hanno portato a scrivere
un libro che ha alla base l’esigenza di raccontare e di
spiegare l’avvento di una strategia del terrore -quella
dell’Isis- che, a differenza di altre forme di terrorismo,
ha oggi la pretesa di chiamarsi Stato. “Forse la molla
interiore iniziale -ha ricordato Alfano- sta nel crollo
delle Torri Gemelle, quando si è avuta la consapevolezza
di vivere in un mondo molto meno sicuro rispetto alle
aspettative che ci avevano accompagnato nell’attraversamento del millennio”. Invitando, poi, a riflettere sul
fatto che migliaia di europei vadano a combattere nelle
file dell’Isis, Alfano ha sottolineato la pericolosità di
1
un progetto che ha ambizioni, soldi e uomini. Nella
sua analisi il ministro ha inteso anche rimarcare i punti
deboli di un’Europa che si è mostrata incapace di affrontare adeguatamente il pericolo. “Se intendi dialogare -ha in particolare detto- devi sapere chi sei tu, devi
avere una identità”. Quella identità “greco-giudaicocristiana” che va riaffermata senza paura e che invece
l’Europa non ha saputo finora difendere. Oltre a ricordare, ancora, la necessità del lavoro di prevenzione e
di controllo (con informazioni da condividere tra i vari
paesi), riferendosi poi ai profughi da accogliere, Alfano
ha parlato di una politica di realismo cristiano, che
metta al primo posto la salvezza delle persone. Ma su
questo tema –ha concluso- “su questa sfida sulla vita e
sulla morte, è in gioco il destino stesso della comunità
europea”.
Continua da pag 1
cordoglio e ordino la colazione scambiando
qualche parola con il proprietario del posto,
ebreo, che ha perso sua moglie, musulmana,
e otto dei suoi dipendenti nella strage del 13
novembre. Impossibile per me chiedere di
quella sera, mi limito ad esprimere auguri e
belle speranze per la riapertura e per il futuro.
Qualche settimana prima lessi un'intervista
al padre di una delle vittime che mi aveva
molto colpita: poche parole, dolore evidente
e una grande dignità. Diceva di cercare invano di "cominciare un lutto impossibile".
Nonostante ciò, trovava la forza di interrogarsi sui motivi che avevano portato dei coetanei di sua figlia a fare una strage, cercando
risposte molto più complesse di quelle che il
dolore o i fomentatori di odio pubblico suggeriscono. Niente "scontro di civiltà", niente
"Islam contro Occidente" o altri titoli da pornografia bellica globale. Non c'era spazio per
il piacere perverso dello "stare dalla parte giusta".
La sua posizione era simile a quella di Olivier
Roy, politologo e professore presso l'Istituto
di Studi Europei di Firenze, per il quale il jihadismo e i suoi attentati sono "una rivolta
generazionale e nichilista" (*) con radici sociali più che culturali o politiche, simili alle
stragi compiute nelle scuole americane da
studenti armati o a quella in Norvegia qualche anno fa, quando Anders Breivik, un trentenne che si proclama in maniera confusa
"anti-multiculturalista, anti-islamista e salvatore del Cristianesimo ", uccise più di settanta
ragazzi in un campo estivo.
I jihadisti europei appartengono a due categorie ben precise: europei di seconda generazione, nati in Europa da genitori stranieri, o
europei convertiti, come Quentin Roy, giovane francese di ventitré anni suicidatosi a
gennaio in un attacco kamikaze in Iraq. Ciò
che hanno in comune i due profili sono: provenienza da quartieri periferici molto difficili,
rilevanti problemi familiari (violenze, abbandoni, numerosi passaggi in case famiglia o
centri di assistenza sociale), totale disinteresse per la politica e ancor più per la situazione in Medio Oriente, totale disinteresse
per la religione, uso di droghe e alcol fino a
qualche mese prima della partenza per i centri di addestramento alla guerriglia.
Secondo lo studioso, queste due categorie di
giovani che vivono in situazioni in cui è davvero difficile poter anche solo immaginare
delle prospettive decenti per il futuro, decidono di rompere con la famiglia e con ciò che
i loro genitori rappresentano in termini di
cultura e religione: l'islam salafita non è la religione né dei genitori né dei nonni dei giovani
jihadisti
europei
di
seconda
generazione, né chiaramente quella dei parenti degli europei convertiti.
Le famiglie cercano di richiamare a sé i figli
ribelli, di mitigarne la nuova condotta radicale, ma è proprio dalle famiglie che loro cer-
cano di differenziarsi in modo eclatante e
brutale. Aderiscono con convinzione ad una
causa che poco conoscono e a cui attribuiscono contorni eroici di riscatto dalla frustrazione personale, si esaltano della loro nuova
forza acquisita e sono affascinati dalla potenza della morte propria ed altrui in nome
di un orizzonte mitico che poco ha a che fare
con la sharia o l'utopia di una società diversa.
Si radicalizzano attorno a un piccolo gruppo
di amici, cugini o fratelli con i quali ricreano
un nucleo familiare di rivolta rispetto a
quello originale.
Al perchè questi due profili di giovani disadattati in rivolta scelgono l'islam salafita
come ideale per cui immolare e immolarsi,
Olivier Roy risponde:"Perchè l'islam? Per la
seconda generazione è evidente: scelgono di
abbracciare un'identita mitica che, dal loro
punto di vista, i loro genitori hanno tradito.
Quanto ai giovani europei convertiti, questi
ultimi scelgono il salafismo perché al momento non c'è di meglio sul mercato della rivolta radicale.
Entrare nelle fila dello stato islamico, ti da la
certezza di terrorizzare i tuoi e fare la differenza".
(*) articolo di Olivier Roy per Le Monde, "Le djihadisme
est une révolte générationnelle et nihiliste », 24 novembre 2015
Francesca Gatti Rodorigo
Le visite dei “grandi” ad Avezzano
Gente illustre in città
I
l Re, il Duce, il
Presidente della
Repubblica e il Papa
quando quattro
“grandi” visitarono
la città di Avezzano
23 marzo1984, 24
marzo 1985. Ad un
anno e un giorno
di distanza, due eccezionali “presenze” ad Avezzano.
Prima il Presidente
della Repubblica
Sandro Pertini, poi
il Papa, Giovanni
Paolo II.
La storia futura della nostra città segnerà queste date e questi nomi a caratteri indelebili.
Pertini e Woytjla, due personaggi che hanno fatto la storia della Repubblica e della
Chiesa, due incontri memorabili per la cittadinanza avezzanese.
Sarà difficile ripetere questi eccezionali avvenimenti da parte delle prossime
generazioni, sarà difficile riproporre fotogrammi così solenni, con immagini così prestigiose.
Il 23 marzo 1984, Pertini presenziò, nella sala consiliare, la commemorazione di un
suo compagno di lotta, Bruno Corbi. Se ne stette in silenzio. Lasciò parlare. Era
avvolto da una atmosfera di rispetto. Nessuno osò spezzare l’incantesimo. La folla
però, all’uscita del Presidente dal Municipio, ruppe il silenzio e gli tributò un grande
applauso. Anche Pertini si trasformò in mezzo alla gente e rispose con tante strette
di mano all’entusiasmo degli avezzanesi.
Il 24 marzo 1985, Papa Woytjla fece tappa davanti al Palazzo Municipale per un
momento di riflessione “civile” eppoi su recò sul sagrato della Cattedrale dei Marsi in
Piazza Risorgimento per abbracciare idealmente la città in chiave religiosa. Il Papa
parlò della storia di Avezzano, dei suoi tormenti, delle sue piaghe, del terremoto,
della guerra e della sua duplice rinascita. Un discorso caldo con accenti vibranti.
La folla lo acclamò e gli si strinse attorno con grande affetto, con entusiasmo e commozione. Il suo storico viaggio nella Marsica ebbe inizio la mattina a Telespazio nel
Fucino, dove le immagini di Papa Woytjla fecero il giro del mondo e furono viste da
milioni e milioni di persone.
Date indimenticabili, dicevamo. Eventi forse irripetibili. Solo il passato assai lontano
può offrire qualche pietra di paragone. Ecco uscire dagli archivi immagini sbiadite di
altri due storici incontri. 14 gennaio 1915, 12 agosto 1938. Il Re e il Duce ad Avezzano.
Il Re Vittorio Emanuele III arrivò nella nostra città all’indomani dell’immane catastrofe
del terremoto, portando le prime parole di incoraggiamento ai superstiti, visitando
anche altri centri della Marsica. A Pescina s’imbattè in Don Orione che gli prese la
macchina per caricarvi sopra gli orfani da trasferire a Roma in luoghi più sicuri. Intervennero i carabinieri, ma il Re lasciò andare e Don Orione fu perdonato. L’episodio
venne riportato fedelmente da Ignazio Silone nel libro “Uscita di sicurezza”.
Il 12 agosto 1938 Avezzano si vestì a festa per l’arrivo di Mussolini. Il Duce fu accolto
da una parata oceanica. Piazza Risorgimento era gremita di folla. Davanti al sagrato
della Cattedrale fu costruito un immenso palco a forma di aratro. Quando vi salì
Benito Mussolini si levarono migliaia di braccia tese per il saluto romano. Gli
ottantenni di oggi quel giorno indossavano la divisa di balilla o di figli della lupa.
Avezzano, dunque, ha incontrato la storia quattro volte, con quattro personaggi di
pari grandezza e di diversa configurazione: un Re, un Duce, un Presidente della Repubblica, un Papa. Che si vuole di più?
Eliseo Palmieri
2
Importante riconoscimento per l’avvocato Cantelmi
Uno sguardo al passato
Libertà, passione di una vita
mento, un risarcimento
morale per la portata di
quelle battaglie.
Una ‘frattura’ storica che
andava in qualche misura ricomposta, e che
non poteva che essere
attuata nel nome dell’exdeputato celanese. Perché Giancarlo Cantelmi
(comunemente Gianni),
prossimo ai 90 anni, è la
figura che meglio incarna
e meglio rappresenta
quella volontà di affrancamento, di liberazione
“Non serve una mostrina, per es- dai vincoli -siano essi ideologici o
sere un uomo d’onore”. Po- economici- che ha attraversato,
tremmo prendere a pretesto seppur con modalità diverse, lo
questa citazione cinematografica stesso tessuto sociale marsicano
(la frase che il tenente Kaffee pro- negli ultimi 60 anni. La stessa sua
nuncia in “Codice d’onore”), per appartenenza politica a quel Parcommentare in prima battuta la tito Comunista che gli aveva pernotizia della medaglia commemo- messo per due mandati (dal 1976
rativa conferita dal Ministero al 1983) di sedere come deputato
della Difesa all’avvocato Giancarlo in Parlamento, non ha mai rapCantelmi, in occasione del 71° an- presentato, per lui, un freno a
niversario della Liberazione.
quella sua riconosciuta capacità
Eppure quella medaglia, solenne- dialogante, anche di fronte ai più
mente consegnata allo stesso bellicosi avversari politici. Mai inCantelmi dal Prefetto nella ceri- transigente, ma sempre in grado
monia svoltasi alla Villa Comunale
di L’Aquila proprio lo scorso 25
aprile, è riuscita in qualche misura
a rendere giustizia di quella che
forse per troppo tempo era sembrata essere una sorta di ‘dimenticanza’ istituzionale, non tanto e
non solo di fronte al protagonista
di così tante ed importanti vicende storiche, ma -forse soprattutto- di fronte a tutta una società
celanese e marsicana che aveva
scontato sulla propria pelle le
scelte fatte in nome di una maggiore giustizia sociale, senza aver
avuto, di fatto, un riconosci-
di non deflettere da una rigorosa
norma morale appresa, prima ancora che nel partito, nell’educazione ricevuta, la figura di
Cantelmi è ben delineata nelle
stesse motivazioni che hanno accompagnato il conferimento della
‘Medaglia della Liberazione’, “finalizzata -si legge- a ricordare
l’impegno, a prezzo del sangue, di
uomini e donne per affermare i
princìpi di libertà e indipendenza
sui quali si fonda la Repubblica e
la Costituzione, nonché per trasmetterne i relativi valori alle
nuove generazioni”.
Un riconoscimento, poi, che è arrivato solo qualche giorno prima
della ricorrenza dell’eccidio che
vide cadere, a Celano, proprio accanto al giovane e già impegnato
Cantelmi, i due braccianti Berardicurti e Paris. La tragica pagina di
storia che più delle altre ha idealmente guidato Cantelmi e che
trova certamente un riflesso nel
conferimento della ‘Medaglia
della Liberazione’.
(mc)
L’interesse per la storia di Celano
Una storia -quella di Celano- che appassiona e
coinvolge. Si spiega anche così il crescente favore
riscontrato dagli appuntamenti organizzati dall’Associazione “Costanzi” sulle vicende storiche
che hanno interessato il territorio celanese nell’epoca che ha preceduto e seguito Federico II.
Dopo il generale apprezzamento per il primo incontro, anche il secondo appuntamento -tenutosi stavolta nel ‘Cappellone’ della chiesa di san
Giovanni Battista- ha visto il coinvolgimento di
un pubblico attento e consapevole. Al centro
delle riflessioni -svolte dal dottor Alberto Paris e
dall’architetto Edoardo Castellucci- ancora una
volta le complesse vicende storiche di un’epoca
che ha rappresentato un punto di svolta per la
definizione di una identità per Celano e i suoi
abitanti. Moderato dalla professoressa Pina Mascitti, l’incontro ha permesso di ricostruire alcuni
dei momenti più importanti della storia celanese
del periodo in questione, come la deportazione
a Malta e in Sicilia degli stessi suoi abitanti dopo
la distruzione della città ad opera di Federico II.
A questo proposito di particolare importanza è
stata -nel corso dell’incontro- la presentazione,
da parte della docente Luciana Vicaretti, di un
documentario sulla cittadina maltese di Zeytun,
realizzato in occasione del gemellaggio tra Celano e la stessa località maltese. Da parte sua
l’architetto Castellucci ha anche parlato del ritrovamento di un dipinto del ‘500 riguardante
Celano. Una memoria storica, insomma -questo
è il senso ultimo di questi appuntamenti- da preservare e conservare.
La redazione
mico: la clinica (“Casa di Cura l’Immacolata”),
l’asilo, la scuola, il preventorio, la casa di riposo.
L’iniziativa, voluta fortemente dall’Associazione
L’indimenticato Padre Corrado
“Osvaldo Costanzi” di Celano, ha trovato supporto presso l’Amministrazione comunale e la
“Casa di Cura l’Immacolata”. Ci sono stati momenti
di
alta
commozione al cimitero di Celano quando
sono stati deposti i fiori
sulla tomba del frate
francescano. Partecipata e sentita la messa
in suffragio in Santa
i presidente morgante e il dott. angelosante davanti alla tomba di padre Corrado Maria Valleverde, officiata da padre Roberto
Scocchia. La commemorazione è continuata con
Si è svolta anche quest’anno la giornata di com- i ricordi a cura del dottor Ilio Nino Morgante,
memorazione di Padre Corrado Signore, il frate presidente dell’Associazione “Costanzi”, del dot“Benefattore” che ha speso la sua vita per i de- tor Simone Angelosante, Direttore Sanitario
boli, gli anziani ed i malati lasciando a Celano della “Casa di Cura l’Immacolata”, del professor
opere di grande valore sociale, umano ed econo- Francesco Landi, Primario Geriatria “Policlinico
Nel ricordo di un benefattore
3
Gemelli”. Non sono mancate proposte interessanti. Il Presidente Ilio Nino Morgante ha, infatti, lanciato due iniziative che sono state
accolte favorevolmente dal sindaco, ingegner
Settimio Santilli, dalla professoressa Eliana
Morgante (assessore Istruzione e Cultura), da
Vincenzo Montagliani (delegato alla Manutenzione della Città) e da Ezio Ciciotti (assessore
agli Enti Sovracomunali) che hanno partecipato
con vivo interesse alle cerimonie in programma.
“Sarebbe opportuno – ha spiegato il dottor Ilio
Nino Morgante nel corso del suo intervento istituire una Borsa di Studio o un Premio nel settore del Volontariato intitolato alla memoria di
Padre Corrado Signore, per tenerne sempre vivo
il ricordo”. L’altra proposta è quella di erigere, al
cimitero di Celano, una cappella per i frati che
hanno prestato la loro opera al Convento di
Santa Maria in Valleverde. Numerosi i cittadini
che hanno partecipato alla giornata del ricordo.
Dell’Associazione “Osvaldo Costanzi” sono stati
presenti il professor Nazzario Mascitti, l’avvocato Giancarlo Cantelmi, il segretario Angelo Iacutone, l’ingegner Pietro Marcanio.
L’attività di Antigone sui problemi carcerari
uno sguardo nella gabbia
Ne parla il presidente regionale, avvocato Braghini
Una fotografia
nitida, puntuale,
che non lascia
zone d’ombra. E’
quella scattata
da
Antigone,
l’associazione
che dagli anni
’80 si occupa dei
diritti e delle garanzie nel sistema penale. A
Salvatore Braghini
livello regionale
Pres. regionale di antigone
ne è responsabile l’avvocato Salvatore Braghini. A lui abbiamo rivolto
alcune
domande,
sulla
attività
dell’associazione e sullo stato delle carceri abruzzesi.
Quando si parla di carceri, si parla subito di sovraffollamento…
In effetti il sovraffollamento delle carceri italiane
ha raggiunto proporzioni drammatiche. Lo testimonia una ricerca comparata a livello europeo
condotta dalla Fondazione Istituto Carlo Cattaneo.
Le carceri italiane ospitano in media 140 detenuti
ogni 100 posti disponibili, ma in alcuni istituti si supera anche quota 300. Anche grandi istituti di pena
come San Vittore a Milano o la Dozza a Bologna superano la quota di 200. In generale, comunque,
l’80% degli oltre duecento istituti di pena presi in
esame, ha più detenuti che posti a disposizione.
L’attività di Antigone e la situazione delle carceri
abruzzesi…
Come presidente regionale di Antigone, accompagnato dagli osservatori , avvocati Claudia Sansone
e Renzo Lancia -accreditati dal Ministero della Giustizia-, abbiamo svolto, nel 2015, una accurata indagine sulle condizioni dei detenuti nelle carceri di
Avezzano, Sulmona, Chieti, Pescara, Teramo, Lanciano e nella casa lavoro di Vasto. Abbiamo analizzato le varie problematiche legate alla vita
carceraria, dalla verifica del sovraffollamento alle
condizioni igienico-sanitarie, dalle attività trattamentali ai contatti con i familiari, raccogliendo le
stesse doglianze dei reclusi. L’insieme dei dati raccolti servirà, a livello nazionale, per il rapporto annuale di Antigone.
In tema di sovraffollamento, come è la situazione
delle nostre carceri?
I dati più significativi relativi al sovraffollamento riguardano gli istituti di pena di Sulmona e Teramo.
Il carcere di Sulmona, che ha diverse sezioni di Alta
Sicurezza, si presenta, in particolare, super-affollato, con 471 reclusi per una capienza regolamentare di 250. Ci sono, poi, situazioni che necessitano
di continua attenzione: basti dire che il 50% della
popolazione detenuta presenta patologie psichiatriche. Negli ultimi tre anni sono stati registrati
ben 130 eventi critici, con 23 scioperi della fame.
A Teramo la popolazione detenuta registra 255
presenze su 236 posti. Risultano segnalati, sempre
negli ultimi tre anni, 5 suicidi, ben 190 episodi di
autolesionismo e 166 scioperi della fame.
Carcere di Sulmona
Quella dei suicidi in carcere, insieme alla presenza
di extracomunitari, è un’altra delle questioni spinose da affrontare…
Pur esistendo, ovunque, un “Protocollo di prevenzione del rischio suicidario in Istituto”, così come
richiesto dall’OMS e dall’amministrazione penitenziaria, risultano ancora troppi i suicidi e gli atti di
autolesionismo. Sulla presenza, invece, nelle carceri, di extracomunitari, diversamente dai luoghi
comuni va detto che è bassa la percentuale negli
istituti di pena della regione: Sulmona 1%, Vasto
4%, Lanciano e Chieti 13%, Pescara 20%, Teramo
24%. Avezzano registra la percentuale più alta, con
il 30%.
Ci sono, poi, le problematiche legate alle strutture
e alla carenza di personale…
Le strutture sono generalmente bisognose di interventi di straordinaria manutenzione, rinviati a
causa della scarsità di fondi. A Sulmona si sta costruendo un altro blocco, per 200 posti. La situazione di costante sovraffollamento carcerario ha
N
Un lungo impegno
I meriti di una associazione
ata alla fine degli anni ’80 nel solco
della omonima rivista contro l’emergenza promossa, fra gli altri, da
massimo Cacciari, Stefano Rodotà e Rossana Rossanda, antigone è una associazione
politico-culturale, “per i diritti e le garanzie
nel sistema penale”, a cui aderiscono prevalentemente magistrati, operatori penitenziari, studiosi, parlamentari, insegnanti e
cittadini che a diverso titolo si interessano
di giustizia penale.
Fra le varie attività messe in campo, antigone
in particolare raccoglie e divulga informazioni
sulla realtà carceraria, promuovendo campagne di informazione e di sensibilizzazione
su temi o aspetti particolari, comunque attinenti all’innalzamento del modello di civiltà
giuridica del nostro paese.
Proprio nelle scorse settimane antigone ha
presentato il Xii Rapporto sulla situazione
del sistema penitenziario italiano.
€ 4,79
al sacco, compreso
trasporto
Validità offerta mese
di maggio 2016
fatto sì che la dotazione del personale penitenziario risulti carente in ogni istituto di pena, sfiorando
in alcuni casi il 35% di posti in meno rispetto all’organico previsto. C’è da dire che gli effetti di tali carenze sono comunque attenuati dall’attivazione
-tranne che a Sulmona- della sorveglianza dinamica, che si sostanzia in un modello organizzativo
non più basato sul controllo diretto ed assoluto,
ma sulla conoscenza del detenuto e sull’autonomia
di gestione della sicurezza e del trattamento.
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Quei segnali inquietanti
In declino la libertà di informazione in diversi paesi
“La libertà di informazione e il diritto di espressione si stanno riducendo in molti paesi”. E’ il segnale d’allarme
lanciato da Nils Muiznieks, politologo lettone, Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, in occasione della Giornata Mondiale della Libertà di Stampa, vissuta lo scorso 3 maggio. Un arretramento della
democrazia, quello sottolineato da chi ha sempre mostrato sensibilità e competenza sui problemi della libertà
di informazione. “La situazione in cui lavorano i giornalisti -ha detto Muiznieks- sta peggiorando in molti paesi:
non solo nei Balcani e in Turchia, ma anche in Europa occidentale e in alcuni paesi entrati nell’Unione Europea”.
Un tema la cui importanza è stata ribadita dagli stessi massimi funzionari ONU, il Segretario Generale Ban Kimoon e il Direttore Generale dell’Unesco, Irina Bokova, nella presentazione della Giornata Mondiale della Libertà di Stampa, che quest’anno aveva per tema “Parlare senza timore: assicurare la libertà d’espressione in
tutti i mezzi d’informazione”. E’ stato ricordato come ogni giorno la libertà di stampa affronti nuove minacce,
e come negli ultimi dieci anni siano stati più di 600 i giornalisti assassinati. Anche l’Italia, del resto, vive sul
tema della libertà di stampa una situazione allarmante, ritrovandosi al 77° posto (su un totale di 180 paesi e
con quattro posizioni perse rispetto al 2015) nella classifica recentemente stilata da Reporters sans Frontieres.
Nel suo rapporto annuale, Rsf afferma -citando fonti della stampa italiana- che nel nostro paese “fra 30 e 50
giornalisti sono sotto protezione per minacce”.
4
Da Pescina una storia vera
Memorie dal sisma
“Anche un terremoto può portare nuovo amore”
NARRATORE: la storia si svolge nella Pescina dei primi
decenni del ‘900. La maggior parte delle famiglie vive di
agricoltura. Fra queste vi erano le famiglie di Angelo e
Filomena e di Vincenzo e Almerinda. Correva esattamente l’anno 1914 e si era a fine anno.
ANGELO: Filomena, come è passato presto questo
anno, mancano trenta giorni alla fine dell’anno e fra
25 giorni al Natale.
FILOMENA: Meno male che la campagna è andata
bene: il grano, le barbabietole e pure l’orto ci hanno
dato tanti ortaggi per poter andare avanti; certo che
con l’arrivo di un altro figlio ( e speriamo che stavolta
sia una bambina) serviranno dei soldi per poter andare avanti. Ora è quasi tempo di ammazzare il maiale
e possiamo mettere da parte i prosciutti e le salsicce.
Di vino ne abbiamo fatto abbastanza per fare festa
quando nasce.
ANGELO: Tante preoccupazioni non ne abbiamo,
grazie a Dio, ma l’arrivo di un nuovo figlio porta sempre maggiori spese: l’anno prossimo vedrò di comperare ancora qualche terreno per poter mettere qualche
prodotto in più.
NARRATORE: Angelo viveva in un’abitazione di sua
proprietà con la sua giovane moglie, Filomena, che era
in stato interessante, e con i figli Giovanni e Donato.
L’attività agricola permetteva una vita dignitosa. I suoi
terreni producevano grano, barbabietole, granoturco e
i vigneti davano un vino delizioso. Nella casa di Angelo
il Natale del 1914 arrivò più sentito delle altre volte,
anche per l’imminenza della nascita del terzo figlio. La
famiglia con cui si frequentavano e passavano le sere invernali era quella di Vincenzo e Almerinda, con il loro
figlio Antonio. Vincenzo era anche lui contadino e portava avanti la sua famiglia decorosamente, mentre la
moglie Almerinda svolgeva lavori a maglia e qualche
volta aiutava il marito nei campi. Nulla lasciava presagire quello che sarebbe accaduto venti giorni dopo il Natale del 1914. Si brindò all’anno nuovo perché portasse
del bene a tutti, ma il 1915 portò invece un 13 gennaio
che sarebbe rimasto scolpito per sempre nella memoria
di tutti. Alle ore 7.52 una fortissima scossa di terremoto
scatenò l’inferno su Pescina e su tutta la Marsica. A testimoniare una delle più misteriose conseguenze del cataclisma, ricordiamo il fenomeno impressionante del
fiume “Giovenco“ che si inabissò in un immane crepaccio formatosi all’ingresso dell’abitato di Pescina. Quella
mattina Angelo e Filomena videro crollare la propria abitazione. Angelo riuscì a portare in salvo Filomena e i figli
estraendoli, illesi, dalle macerie. Uscito fuori, Angelo
sentiva gridare e riconobbe la voce della sua vicina di
casa, Almerinda, che piangendo chiedeva aiuto per il
marito e il figlio che erano rimasti sotto le macerie.
ALMERINDA: Aiuto…! Aiuto….! nella camera da
letto è crollato tutto e sotto sono rimasti Vincenzo e
Antonio, vedi se puoi fare qualcosa.
ANGELO: Vedrò se posso fare qualcosa, tenterò di entrare dentro e di spostare qualche trave e cercherò di
chiamare Vincenzo e Antonio. Speriamo che rispondano.
NARRATORE: Angelo cercò in tutti i modi di salvare
Vincenzo e Antonio, ma non ebbe mai nessuna risposta,
segno che erano ormai morti.
I giorni successivi al terremoto furono molto difficili;
Angelo era riuscito a costruire un capanno di fortuna
per la moglie e i figli sopra “Pratiglio” e riuscì ad aiutare
anche Linda, con suo padre e sua madre, procurando
loro un capanno per potersi riparare dal freddo che imperversava di giorno e di notte. Filomena intanto partorì
il 20 gennaio una bambina, alla quale misero il nome
di Angela Antonina. Il tempo scorreva lentamente e la
gente cercava di riprendere il ritmo normale della vita di
tutti i giorni. Ma a due anni dal tremendo terremoto,
quando l’umanità era esausta a causa della Grande
Guerra, scoppiò la terribile epidemia della “Spagnola”.
Anche Pescina ne fu colpita e Angelo perse la giovane
moglie Filomena, rimanendo solo con tre figli da accudire. Da uomo molto determinato, da solo cresceva i
figli, ma con il passare del tempo iniziò a pensare di
voler ricomporre una famiglia; si ricordò così di Almerinda, anche lei vedova. Almerinda, nel frattempo, sapendo leggere e scrivere, aveva iniziato a studiare da
infermiera e aveva cominciato a lavorare a Roma, all’ospedale “Bambin Gesù”, all’interno del quale aveva
preso il diploma da infermiera. Così Angelo partì per
Roma, alla ricerca dell’Ospedale “Bambin Gesù”, per
chiedere ad Almerinda se anche lei volesse rifarsi una famiglia e tornare a Pescina a vivere con lui.
ALMERINDA: Angelo, sono stata molto contenta di
averti rivisto. Mi dispiace che anche tu abbia perso
Filomena e che ora ti ritrovi solo con i tuoi tre bambini. Ti ringrazio molto per essere venuto fino a Roma
e anche delle tue parole, ma ancora nella mia mente
sono impressi i fatti di quella mattina e non me la
sento, almeno per ora, di fare un passo così grande.
Forse con il tempo mi ricorderò delle tue belle parole.
Ciao Angelo, e grazie…
NARRATORE: Così Almerinda non volle accettare la richiesta e Angelo tornò a Pescina sconsolato, ma sperando che forse un giorno lei avrebbe accettato la sua
richiesta. Passarono alcuni mesi, forse un anno e Angelo
partì di nuovo per Roma a cercare Almerinda.
ANGELO: Ciao Almerinda, sono tornato per chiederti
ancora se vuoi tornare con me a Pescina. Certo, quello
che ti chiedo è molto impegnativo: troverai già una famiglia completa di tre figli ed è giusto che tu pensi
bene, prima di accettare. Ma io ti sarò sempre vicino
in tutti i modi; dopo il lavoro sarò accanto a te, ad aiutarti, per andare avanti insieme. Se ti chiedo nuovamente di tornare con me a Pescina, è perché ho tanta
fiducia in te: sento che staremo bene insieme. Pensando al terremoto e alle altre peripezie che ci hanno
fatto mancare tanti nostri affetti, ti dico che anche un
“terremoto può portare un nuovo amore”.
ALMERINDA: Angelo, ho pensato molto alle tue belle
parole e so bene a cosa vado incontro tornando a Pescina. Ma quello che mi dici mi fa essere fiduciosa. Accetto volentieri di tornare a Pescina con te. Pur con
qualche sacrificio, penso che con l’aiuto del buon Dio
porteremo avanti la tua già composta famiglia, così
come anche eventuali altri bambini che verranno. Partiamo subito, Angelo: torniamo a Pescina.
NARRATORE: Almerinda rimase molto colpita dalla
sincerità delle parole di Angelo. consapevole e certamente anche contenta di tornare al suo paese, accettò la
proposta e tornarono tutte e due a Pescina dove li attendevano i figli di Angelo: Giovanni, Donato e Angela che
l’accolsero con tanta gioia e amore. Passarono così
pochi mesi, Angelo e Almerinda si sposarono: da loro
nacquero sette figli che unitamente agli altri tre vissero
tutti insieme nella casa che Angelo aveva ristrutturato
per accogliere Almerinda al suo ritorno.
Quanto a noi, nei nostri confini mortali, basta che si
svolga e fiorisca, nelle prove del dolore, l’Amore. Tutto il
resto è silenzio. ”Anche un terremoto può portare nuovo
Amore”.
A nonno Angelo, nonna Filomena e mamma Almerinda.
Andrea Cordischi
A ORTUCCHIO RINASCE... LA PIETÀ
L’attesa sta finalmente per finire, tra
poche settimane ortucchio riavrà la sua
Pietà, il gruppo scultoreo di un ignoto
autore del secolo XVii che rimase sepolto sotto le macerie della piccola
chiesa di campagna “madonna del
Pozzo”, nel terribile terremoto del 13
gennaio 1915. Un lungo e paziente lavoro artistico, una sorta di ‘fedele riproduzione’ della scultura secentesca,
quello portato avanti dall’illustre scultore
giancarlo Spinello di Roma, con la consulenza artistica di Paola Nardecchia,
una studiosa autrice di varie pubblicazioni su ortucchio. Un lavoro reso possibile, del resto, dal fatto che l’immagine
della Pietà era stata ‘salvaguardata’ prima ancora del terremoto- da una foto
scattata dallo studioso dei monumenti
d’abruzzo Emidio agostinoni, che ne
aveva poi parlato nella pubblicazione “il
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Fucino” del 1908. Nella sua descrizione dell’opera agostinoni parlava, fra l’altro, del perfetto studio del nudo, in riferimento a Cristo,
per un’opera “certamente ispirata dall’omonima di michelangelo”. già programmata per il
centenario del terremoto (ma poi slittata a quest’anno), l’idea di riproporre al culto la Pietà
era stata avanzata e portata avanti da studiosi
di storia locale, insieme ad altri cittadini ortucchiesi. il modo migliore -era giustamente sembrato- per commemorare i 1208 morti registrati
ad ortucchio a seguito di quel devastante terremoto di 101 anni fa. il momento, adesso, è
finalmente giunto, il popolo ortucchiese potrà
tornare ad ammirare e venerare un’opera da
sempre amata, nella sua assoluta bellezza artistica e nel suo alto valore religioso e storico.
Orante D’Agostino
studioso di storia locale
Carusi e altre storie...
Presentato il nuovo libro di Maurilio Di Giangregorio
Un lavoro sul politico celanese di inizio ‘900
Uno spaccato di storia novecentesca, una rassegna pun-
tuale e metodica di fonti documentali, un exsursus di
grande impatto su vicende, momenti, protagonisti
della cronaca politica e storica locale. E’ questa l’ultima fatica letteraria proposta da Maurilio Di Giangregorio, infaticabile e appassionato ricercatore di
documenti, già autore di numerosi altri testi di pregevolissima fattura, tra i quali -solo per ricordare
uno tra gli ultimi in ordine di tempo- una poderosa
ricerca sul terremoto che colpì Avezzano e la Marsica
nel 1915. “L’avvocato Filippo Carusi da Celano”, questo
il titolo del libro curato da Di Giangregorio, avente come
significativo sottotitolo ‘contributo per una biografia’. Già,
perché quest’ultimo lavoro del ricercatore e studioso, è qualcosa di più rispetto
ad una mera riproposta di fatti e vicende che hanno caratterizzato l’esistenza
di quello che è stato uno dei personaggi di maggior rilievo della storia celanese
e marsicana. Quel Filippo Carusi che fu, fra l’altro, sindaco e consigliere provinciale, e poi politico di spessore, socialista autentico e condannato, fra l’altro, al
confino dal regime fascista. Una ricostruzione, quella di Di Giangregorio, tutta
basata su fonti dirette, dal Casellario politico Centrale ai documenti della Polizia
politica e dei Confinati politici, fino a quelli rinvenuti nell’Archivio Centrale dello
Stato. Ma il libro di Di Giangregorio è in realtà anche molto altro, dando spazio
rilevante a vicende che hanno fortemente caratterizzato la vita celanese nel
corso del ‘900, come il caso Tomei e l’eccidio di Celano. Non a caso, del resto,
il libro è stato presentato, a cura dell’Associazione culturale Costanzi, proprio
nella ricorrenza di quei tragici avvenimenti. Una precisa volontà da parte dell’Associazione -e del suo presidente Ilio Nino Morgante-, volendo con ciò riaffermare l’importanza di una storia che non va dimenticata.
che tempi, quelli...!
Una mostra ha ripercorso gli anni del GAM
Non poteva esserci una fase dell’anno
più propizia -la primavera-, per far rivivere quella che è stata una delle stagioni più feconde della cultura e
dell’arte ad Avezzano e nella Marsica,
con sviluppi nazionali e financo internazionali. Una autentica ‘primavera’
artistica, quindi, una esplosione di
creatività che vide protagonisti, negli
anni ’50 e ’60 del secolo scorso, un
gruppo di artisti marsicani che scrissero una pagina irripetibile per la
stessa storia culturale della nostra
terra. Un formidabile cenacolo di pittori, che seppero intercettare, nel solco di una assoluta padronanza
delle tecniche artistiche, le novità, i rivolgimenti che interessarono
ogni aspetto, e quindi anche l’arte, di una società in febbrile cambiamento dopo le devastazioni della guerra. A far oggi rivivere, in
modo meritorio, l’opera di quel gruppo di artisti che poi creò il
GAM (Gruppo Artistico Marsicano), è stata l’attivissima Associazione Culturale Avezzano’Europa, che ha inteso riproporre, nei locali del Restaurant Cafè Umami ad Avezzano, una rassegna
retrospettiva di quegli artisti. Ad essere esposte sono state opere di
Nino Casella, Quirino Cervelli, Carlo Colonnello, Pasquale Di
Fabio, Marcello Ercole, Enzo Frittella, Nino Gagliardi, Cesare
Paris, Dante Simone ed Ermanno Toccotelli. Nomi di assoluto rilievo, che hanno dato lustro a quella che può considerarsi una autentica ‘scuola’ marsicana, capace poi di dare vita al prestigioso
“Premio Avezzano”, oltre che entrare in contatto con prestigiosi
gruppi di pittori come, in particolare, quelli della Scuola Romana.
Di particolare rilievo, poi, -come ricorda Pasquale Simone di Avezzano’Europa in una presentazione della retrospettiva- la partecipazione, negli anni ’60, di alcuni degli artisti marsicani del GAM, ad
una mostra nel Museo d’Arte Moderna di New York.
mc
GIOVANI TALENTI CRESCONO
U
Risate di gusto
L’ ascesa di un violinista in erba
n talento precoce ma
che appare già sicuro dei suoi mezzi
espressivi, un piglio virtuosistico caratterizzato da un
morbido e caldo fraseggio,
una assoluta cura del bel
suono. Sono alcuni dei caratteri esibiti da Daniel Savina,
giovanissima promessa del
violino, in costante ascesa in
un panorama musicale -quello marsicano- che da anni è in grado di
sfornare personalità artistiche di assoluto rilievo, capaci di farsi strada
a livello nazionale e non solo.
Esibitosi recentemente in un locale celanese, Daniel Savina ha incantato i presenti, mostrando una totale padronanza dello strumento,
unita ad una non comune capacità interpretativa, nel dare spessore
e taglio originali ai pezzi proposti. Tra i brani eseguiti, la Sonata op.
2, n.5 di Vivaldi, la Sarabanda in Sol min. di Carl Bohm, Studi capricci
per violino di R. Kreutzer. Non è mancata, poi, la virtuosistica interpretazione dell’inno d’italia e il sempiterno… ‘o sole mio’.
Studente del Liceo Scientifico di avezzano e del Conservatorio di
L’aquila, il sedicenne Savina ha saputo sempre riscuotere convinti
apprezzamenti, confermando di possedere un bagaglio di qualità tecniche ed interpretative che, a dispetto della giovanissima età, appare
già ampiamente consolidato ed in via di continuo perfezionamento.
Un giovane talento che -continuando sulla strada della tenacia e del
piglio fin qui mostrato- saprà fare onore al nostro territorio.
L’ultima fatica teatrale di Esse Quisse
Q
uando una operazione
artistica è capace di intercettare il favore del
pubblico maturo e di quello
giovanile, vuol dire che si è davanti a qualcosa di pregevole.
E’ il caso dell’ultima fatica teatrale portata in scena dalla Associazione Culturale Esse
Quisse, la commedia in dialetto “A tùtte ce stà ‘né prézze”, di
Giovanbattista Pitoni. Un successo, del resto, che non sorprende più di tanto, visto l’ormai riconosciuto credito e prestigio che da anni la compagnia teatrale si è guadagnato, sulla
base di una costante crescita artistica, che ben si accompagna
alla sempre elevata qualità dei testi proposti. Un favore che ha
trovato puntuale conferma nell’ultimo allestimento proposto
(e presentato al Castello Orsini-Colonna di Avezzano), una classica vicenda di ambientazione popolare avezzanese, giocata sul
filo di una comicità sempre misurata ed equilibrata, mai sopra
le righe. Personaggi e storia disegnati con maestria, capaci come si diceva- di guadagnare sia il gradimento del pubblico
‘maturo’, che quello del pubblico più giovane, rappresentato da
studenti di vari istituti superiori avezzanesi, per uno spettacolo
mattutino rivolto unicamente a loro. Bravissimi gli interpreti,
da Gaetano Paciotti, che impersonava Don Frànche, ad Antonio Berardicurti (Ustacchje), da Rina Eramo (Santina) a Egiziana Mancini (Razziella), e poi Francesco Frezzini, Flavia
Marrone, Bruno Pulsoni, Vittorio Campana, Patrizia Di Giulio,
Maria Benedettini, Marco Ruscitti e Maria Pia Anselmi. La
regìa, misurata ed attenta, è di Guido Marcellini.
mc
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L’attività dell’Hospice a Pescina
Dietro il declino del Celano calcio
Q
QUELLA VICINANZA AL DOLORE...
uello che, da qualche
anno, propone -dopo la
sua ‘riconversione’- il presidio ospedaliero di Pescina, è un
nuovo modello assistenziale, che
mira ad erogare le cure palliative.
grazie agli sforzi delle dottoresse
maria Teresa Colizza e Rossella
De Santis, l’attività vi è iniziata nel
luglio 2013, erogando per l’appunto cure che -secondo la
stessa definizione dell'organizzazione mondiale della sanità- si occupano in maniera attiva e totale
dei pazienti colpiti da una malattia
che non risponde più a trattamenti
specifici, utilizzando un approccio
che migliora la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie.
Le attività svolte dall’equipe che eroga le cure palliative -costituita da personale specializzato- mirano ad accogliere l’individuo e la famiglia all’interno di una struttura residenziale, ubicata ad oggi
all’interno del P.t.a. di Pescina, definita HoSPiCE.
il primo Hospice moderno risale al 1967 e fa capo al St. Christopher’s Hospice, vicino Londra. Era
stato fondato da Dame Cicely Saunders, un medico che credeva fermamente che "guarire una persona non significa sempre curare una malattia". Successivamente l’esperienza Hospice si diffonderà
ampiamente in tutto il mondo occidentale.
L’utente che accede all’Hospice, generalmente, è affetto da una patologia in stadio avanzato, che
non risponde più ai trattamenti curativi, per cui non è più indicato continuare le terapie chemio o radioterapiche. Ci si orienta verso la cura dei sintomi che inficiano la qualità della vita, primo tra tutti,
il dolore. all’équipe spetta il compito di accogliere l’individuo nella sua interezza, chiedendosi non
tanto che malattia ha quella persona, ma che tipo di persona ha quella malattia.
La persona, insomma, nella sua unicità e con la sua storia di vita, è il vero soggetto delle cure palliative e orienta tutti i tipi di scelte che verranno operate da medici, infermieri, psicologi e personale
ausiliario.
L’Hospice è collocato al terzo e quarto piano del presidio ed è caratterizzato da un ambulatorio riservato alla terapia del dolore e da dieci stanze destinate ad uso singolo, in cui è previsto un letto
per la permanenza di un eventuale familiare, tv, frigorifero e connessione wi-fi.
Tra gli ambienti comuni, destinati alla condivisione, si annovera una cucina, in cui il degente ed i familiari possono preparare pasti diversi o in aggiunta a quelli dispensati dalla cucina ospedaliera;
una stanza relax, provvista di tisaneria e di biblioteca.
La biblioteca dell’hospice è stata interamente realizzata nel 2015, attraverso una campagna di sensibilizzazione che ha consentito di raccogliere in poco tempo oltre 1000 volumi tra romanzi, saggi,
testi di poesia, fumetti. Una sezione della biblioteca è dedicata alla letteratura per l’infanzia ed è
stata interamente donata dai ragazzi delle scuole medie.
Nei tre anni di attività, l’Hospice ha accolto 222 utenti. L’èquipe di cure palliative, diretta dalla Dottoressa Emma Cornelio, è costituita da medici, Coordinatore infermieristico, infermieri, Psicologo e
personale ausiliario che, in uno sforzo sinergico, integrando i propri interventi, cercano ogni giorno
di occuparsi globalmente dell’individuo affinchè possa vivere in piena dignità e in profondità anche
la fase avanzata e finale della propria patologia.
Lo spirito di grande umanità e di rispetto nei confronti del valore della vita, in ogni sua fase, ispira
l’operato di ogni componente dell’equipe dell’Hospice, che nella quotidianità fa propria la visione
ben descritta da Tiziano Terzani: “Vivo ora, qui, con la sensazione che l’universo è straordinario,
che niente ci succede per caso e che la vita è una continua scoperta. E io sono particolarmente fortunato perché, ora più che mai, ogni giorno è davvero un altro giro di giostra.
Cristina Pantini, infermiera
BAR TABACCHI
di Piccone Vinicio
Via gualchiera, 13
67043 CELaNo (aQ)
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La retrocessione di tutti
C’era una volta uno stadio dal tifo
ribollente e appassionato per un
pugno di ragazzi in maglia biancoceleste che incutevano paura a
squadre blasonate, di città spesso
cinque, sei volte più grandi della
loro. E c’era, dietro questa squadra
spavalda e coraggiosa, un gruppo
di dirigenti, una società, che curava, insieme all’aspetto econo-
mico, ogni dettaglio organizzativo.
E c’era, soprattutto, una città intera che ne esaltava le gesta, parlando quasi unicamente di calcio
negli infiniti su e giù per la piazza
centrale, pronta a riempire la domenica successiva lo stadio o ad
accompagnare quel pugno di intrepidi in lontane trasferte.
Tutto questo adesso a Celano -perché è di Celano, si sarà capito, che
si parla- è solo un pallido ricordo,
in questa malinconica primavera
che vede sprofondare quel che
resta del calcio celanese verso la
seconda retrocessione consecutiva,
stavolta dall’Eccellenza regionale
al campionato di Promozione. Un
crollo senza fine, che chiama in
causa non certo -e comunque non
solo- chi ha in ogni caso tentato,
tra difficoltà di ogni tipo, di far sopravvivere il calcio a Celano, ma
soprattutto una città intera, che
non si è mostrata capace, con le
sue migliori forze produttive ed
imprenditoriali, di sostenere o
stare comunque vicina a questa
sua creatura calcistica. Un declino
sportivo di tal fatta, del resto, non
è mai sganciato dal destino complessivo di una città, di un territorio. Perché, se è pur vero che di
problemi sociali ed economici e di
questioni aperte ce ne sono tante,
è altrettanto vero che la coesione e
la tenuta di un tessuto sociale si
può riconoscere anche dalle fortune della sua squadra di calcio.
iL RaCCoNTo
Primavera è nell’aria
Il padre Cielo e la madre Terra.
L’inverno è alla fine e la primavera alle
porte. Tutt’intorno già aleggia un’aria
nuova, ad annunciare il profumo dei mandorli in fiore e delle viole, che, timidette,
fanno capolino di tra le foglie secche dei
vecchi arbusti, disseminati nella campagna.
I cuori si riaprono alla speranza, ma dietro
di noi lasciamo il deserto: non piove da lunghi mesi e l’inverno, niente neve.
La Marsica, tradizionale terra di lupi, sembra diventata una puglia: non più grandi
cappelli bianchi, calati fin sulle orecchie (e
oltre ancora) a coprire le montagne fino a
primavera inoltrata; non più un gran lenzuolo bianco a proteggere le colture dal
gelo; non più locomotive cariche di neve,
uscite a fatica dalla galleria di Forca e dirette a Roma, come vecchie vaporiere ansanti (la Roma felix, beata lei, che faceva
dell’ironia sui passeggeri marsi, come fossero pinguini arrivati dal Polo Nord); non
più niente di niente dell’antico paesaggio
marso, splendido e grandioso nei lunghi e
freddi inverni di tanti anni fa.
Ora, invece, sulle montagne, solo roccia
viva; a valle, solo terra riarsa e solo rigagnoli, dove prima scorrevano, gorgogliando
sul loro letto, fiumi e ruscelli, a tuffarsi nelle
acque di Turlò.
Narra una leggenda antica, che, all’inizio,
furono creati il padre Cielo e la madre
Terra. Si dichiararono amore eterno e fu
sancito il patto nuziale: a fecondare la terra,
piogge, pioggerelline e, al bisogno, nuvole a
Lucio Quinzio
POETI
Divagazioni
OGNE PELLIDRE STROCCHE LA CAPEZZA SÉ!
ogni puledro spezza la sua cavezza!
GIOVANNI RABONI
Ombra ferita, anima che vieni
Nonostante la struttura paternalistica della famiglia, per cui i figli
restavano sotto il comando e l’influenza dei genitori fino alla morte
di questi, c’è in questo detto il riconoscimento della raggiunta maturità del giovane e quindi del momento per realizzare l’autonoma
gestione della propria vita.
ancora una volta il mondo animale presta il fianco. ogni puledro,
anche se mansueto, un bel giorno spezza la fune che lo tiene legato. ogni uomo un bel giorno spezza il cordone ombelicale che
lo tiene vincolato all’autorità paterna e fugge verso la propria libertà. oggi, i giovani tendono, al contrario, a restare in casa paterna conquistando ugualmente la propria autonomia. Come son
cambiati i tempi!
zoppicando, strisciando dal tuo fioco
asilo a cercare nei sogni il poco
che rosicchio per te all’andirivieni
dei risvegli e degli incubi, agli osceni
cortei delle sciarade, così poco
che qualche volta quando arrivi il fuoco
è già spento, divelte le imposte, pieni
di insulsi intrusi o infidi replicanti
l’immensità della cucina, il banco
di scuola, il letto, dammi tempo, non
(da “Detti dialettali celanesi e
commento”, di Nazzareno Fidanza)
svanire, il tempo di chiudere i tanti
conti vergognosi in sospeso con
loro prima di stendermi al tuo fianco.
La redazione:
Gianni Cantelmi
Vero Fazio
Nazzareno Fidanza
Sergio Iacoboni
Nazzareno Mascitti
Filippo Rosati
pecorelle, acqua a catinelle; il sole, dall’alto
del cielo, a inondarla di luce e di calor.
Nacque allora e per sempre, sulla terra, una
bella d’erbe famiglia e d’animali.
Ma oggi, non più. Il padre Cielo, niente
acqua e niente neve e la madre Terra, più
riarsa che mai: non c’è più quella dolce armonia che governa il mondo.
E il patto langue: il Cielo Padre, come il
Giove pluvio delle età novelle, corre dietro
a nuovi amori, dimentico della diletta
sposa.
La Madre Terra si sente afflitta e sconsolata,
ma ancora per poco. In suo aiuto, a rinsaldare l’antico patto, arriva la Venus lucreziana, datrice di vita e simbolo della
primavera: torneranno le piogge a fecondare la terra e il sole tornerà a inondarla di
luce e di calor. E in eterno, per la gioia dei
cuori, tornerà a risplendere, sulla terra, una
bella d’erbe famiglia e d’animali.
Per comunicare con la redazione l’indirizzo di posta elettronica è il seguente
[email protected]
Da Ogni terzo pensiero, 1993
Stampato presso
Tipografia Master Print Avezzano
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