edizione n.2
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edizione n.2
Orizzonti maggio 2 0 1 6 marsicani Periodico di attualità, cronaca, cultura, a cura dell’associazione “osvaldo Costanzi” autorizzazione Tribunale di avezzano - Registro stampa1/2016 del 12/01/2016 Direttore: maurizio Cichetti - anno i - maggio 2016 L’ IMPEGNO DI CIASCUNO “Qualsiasi cosa la tua mano trovi da fare, falla con tutto il tuo zelo…” Questa vecchia citazione tratta dall’Ecclesiaste, posta fra l’altro come epigrafe ad un bellissimo racconto di Saul Bellow (lo scrittore americano premio Nobel nel 1976) contenuto nella raccolta “Addio alla casa gialla”, può essere presa a pretesto per innescare una sommaria riflessione sui tempi cupissimi che stiamo vivendo, stimolati anche dalle ragionevoli considerazioni che ci consegna una nostra giovane connazionale e concittadina, celanese che vive a Parigi -uno dei luoghi tristemente simbolici di questi tempi deliranti- in un suo pezzo ospitato qui accanto. Ecco allora che la prima, umile risposta alla furia distruttrice di questi nostri tempi può essere proprio rinvenuta nello svolgimento tenace delle nostre mansioni, in quell’abitudinaria ripetitività di gesti con i quali cerchiamo di dare un senso e una direzione alla nostra esistenza. Un impegno, questo, al quale siamo chiamati tutti, al di là, quindi, delle scelte e degli orientamenti che potranno essere presi dalla politica, dagli Stati, dagli organismi a vario titolo preposti a far fronte ai problemi dei nostri tempi. E’ proprio in questo nostro zelo quotidiano, nel modesto contributo che ognuno di noi può offrire per una consapevole crescita civile, che forse risiede una timida speranza per il futuro. (m.c.) Paris-Bruxelles Riflessioni di una giovane celanese dalla Ville Lumiere Francesca Gatti vive e lavora tra Parigi e Londra. Dopo esser passata per l'Ecole Normale Supérieure, fonda nel 2012 la libreria-caffè Marcovaldo e nel 2014 il festival di musica indipendente "Maggio" (prossima edizione nel 2017). Oggi si divide tra surf, organizzazione di eventi e consulenza in marketing e comunicazione. Martedì mattina sono scesa presto per le strade del mio quartiere parigino, l'undicesimo arrondissement. Era il 22 marzo, l'aria insolitamente profumata e il traffico ancora sonnolento. La brutta abitudine di svegliarsi con la rassegna stampa sul telefono, ancora nel letto, mi aveva lasciato come prima immagine del giorno quella della nube dell'esplosione all'aeroporto di Bruxelles. L'ennesima esplosione, l'ennesimo attentato. La notizia era ancora vaga, cosi come l'entità dell'evento che seguiva tra gli altri quelli di Ankara e della Costa d'Avorio, e precedeva la strage nel parco di divertimenti in Pakistan. Scesa alla ricerca di un bar per la colazione, noto che al posto del negozio di dolci all'angolo con la rue Faidherbe, chiuso ormai dagli attentati del 13 novembre scorso, aprirà una nuova "boulangerie", fantastico incrocio tra una panetteria e una pasticceria. Uno dei vetri del vecchio negozio era diventato un macabro emblema degli attentati parigini: ai due fori lasciati dai proiettili destinati ai clienti del ristorante vicino, qualcuno aveva aggiunto con un pennarello una smorfia triste, trasformandoli nella faccia più buia che si possa immaginare. Giro l'angolo e scopro con sorpresa che La Belle Equipe è di nuovo aperta: so allora dove prenderò il mio caffè lungo con cornetto vuoto, unica versione accettata dall'ortodossia pasticcera francese. La Belle Equipe è il bar in cui sono state uccise diciannove persone, in un venerdì sera che avevano ritenuto essere perfetto per un bicchiere di vino in terrazza. Mi siedo al tavolo sotto al grande albero che per mesi ha ospitato fiori, candele e messaggi di Segue a pag 2 Una libertà da difendere Storica visita di Alfano a Celano Il dovere della nostra generazione è difendere quella libertà che ci è stata regalata a prezzo del sangue dalle generazioni che ci hanno preceduto”. Ha concluso così il suo intervento Angelino Alfano a Celano, in occasione di una visita -quella del 2 aprile scorso- che ha assunto i caratteri dell’avvenimento a suo modo storico. Si è trattato, infatti, della prima volta di un ministro dell’Interno a Celano, per un appuntamento che è stato insieme istituzionale (con una prima tappa in Comune), ma anche -e soprattuttoculturale, per la presentazione del libro scritto appunto recentemente da Alfano, “Chi ha paura non è libero”. Con toni appassionati e coinvolgenti, il ministro ha così ripercorso le tappe che lo hanno portato a scrivere un libro che ha alla base l’esigenza di raccontare e di spiegare l’avvento di una strategia del terrore -quella dell’Isis- che, a differenza di altre forme di terrorismo, ha oggi la pretesa di chiamarsi Stato. “Forse la molla interiore iniziale -ha ricordato Alfano- sta nel crollo delle Torri Gemelle, quando si è avuta la consapevolezza di vivere in un mondo molto meno sicuro rispetto alle aspettative che ci avevano accompagnato nell’attraversamento del millennio”. Invitando, poi, a riflettere sul fatto che migliaia di europei vadano a combattere nelle file dell’Isis, Alfano ha sottolineato la pericolosità di 1 un progetto che ha ambizioni, soldi e uomini. Nella sua analisi il ministro ha inteso anche rimarcare i punti deboli di un’Europa che si è mostrata incapace di affrontare adeguatamente il pericolo. “Se intendi dialogare -ha in particolare detto- devi sapere chi sei tu, devi avere una identità”. Quella identità “greco-giudaicocristiana” che va riaffermata senza paura e che invece l’Europa non ha saputo finora difendere. Oltre a ricordare, ancora, la necessità del lavoro di prevenzione e di controllo (con informazioni da condividere tra i vari paesi), riferendosi poi ai profughi da accogliere, Alfano ha parlato di una politica di realismo cristiano, che metta al primo posto la salvezza delle persone. Ma su questo tema –ha concluso- “su questa sfida sulla vita e sulla morte, è in gioco il destino stesso della comunità europea”. Continua da pag 1 cordoglio e ordino la colazione scambiando qualche parola con il proprietario del posto, ebreo, che ha perso sua moglie, musulmana, e otto dei suoi dipendenti nella strage del 13 novembre. Impossibile per me chiedere di quella sera, mi limito ad esprimere auguri e belle speranze per la riapertura e per il futuro. Qualche settimana prima lessi un'intervista al padre di una delle vittime che mi aveva molto colpita: poche parole, dolore evidente e una grande dignità. Diceva di cercare invano di "cominciare un lutto impossibile". Nonostante ciò, trovava la forza di interrogarsi sui motivi che avevano portato dei coetanei di sua figlia a fare una strage, cercando risposte molto più complesse di quelle che il dolore o i fomentatori di odio pubblico suggeriscono. Niente "scontro di civiltà", niente "Islam contro Occidente" o altri titoli da pornografia bellica globale. Non c'era spazio per il piacere perverso dello "stare dalla parte giusta". La sua posizione era simile a quella di Olivier Roy, politologo e professore presso l'Istituto di Studi Europei di Firenze, per il quale il jihadismo e i suoi attentati sono "una rivolta generazionale e nichilista" (*) con radici sociali più che culturali o politiche, simili alle stragi compiute nelle scuole americane da studenti armati o a quella in Norvegia qualche anno fa, quando Anders Breivik, un trentenne che si proclama in maniera confusa "anti-multiculturalista, anti-islamista e salvatore del Cristianesimo ", uccise più di settanta ragazzi in un campo estivo. I jihadisti europei appartengono a due categorie ben precise: europei di seconda generazione, nati in Europa da genitori stranieri, o europei convertiti, come Quentin Roy, giovane francese di ventitré anni suicidatosi a gennaio in un attacco kamikaze in Iraq. Ciò che hanno in comune i due profili sono: provenienza da quartieri periferici molto difficili, rilevanti problemi familiari (violenze, abbandoni, numerosi passaggi in case famiglia o centri di assistenza sociale), totale disinteresse per la politica e ancor più per la situazione in Medio Oriente, totale disinteresse per la religione, uso di droghe e alcol fino a qualche mese prima della partenza per i centri di addestramento alla guerriglia. Secondo lo studioso, queste due categorie di giovani che vivono in situazioni in cui è davvero difficile poter anche solo immaginare delle prospettive decenti per il futuro, decidono di rompere con la famiglia e con ciò che i loro genitori rappresentano in termini di cultura e religione: l'islam salafita non è la religione né dei genitori né dei nonni dei giovani jihadisti europei di seconda generazione, né chiaramente quella dei parenti degli europei convertiti. Le famiglie cercano di richiamare a sé i figli ribelli, di mitigarne la nuova condotta radicale, ma è proprio dalle famiglie che loro cer- cano di differenziarsi in modo eclatante e brutale. Aderiscono con convinzione ad una causa che poco conoscono e a cui attribuiscono contorni eroici di riscatto dalla frustrazione personale, si esaltano della loro nuova forza acquisita e sono affascinati dalla potenza della morte propria ed altrui in nome di un orizzonte mitico che poco ha a che fare con la sharia o l'utopia di una società diversa. Si radicalizzano attorno a un piccolo gruppo di amici, cugini o fratelli con i quali ricreano un nucleo familiare di rivolta rispetto a quello originale. Al perchè questi due profili di giovani disadattati in rivolta scelgono l'islam salafita come ideale per cui immolare e immolarsi, Olivier Roy risponde:"Perchè l'islam? Per la seconda generazione è evidente: scelgono di abbracciare un'identita mitica che, dal loro punto di vista, i loro genitori hanno tradito. Quanto ai giovani europei convertiti, questi ultimi scelgono il salafismo perché al momento non c'è di meglio sul mercato della rivolta radicale. Entrare nelle fila dello stato islamico, ti da la certezza di terrorizzare i tuoi e fare la differenza". (*) articolo di Olivier Roy per Le Monde, "Le djihadisme est une révolte générationnelle et nihiliste », 24 novembre 2015 Francesca Gatti Rodorigo Le visite dei “grandi” ad Avezzano Gente illustre in città I l Re, il Duce, il Presidente della Repubblica e il Papa quando quattro “grandi” visitarono la città di Avezzano 23 marzo1984, 24 marzo 1985. Ad un anno e un giorno di distanza, due eccezionali “presenze” ad Avezzano. Prima il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, poi il Papa, Giovanni Paolo II. La storia futura della nostra città segnerà queste date e questi nomi a caratteri indelebili. Pertini e Woytjla, due personaggi che hanno fatto la storia della Repubblica e della Chiesa, due incontri memorabili per la cittadinanza avezzanese. Sarà difficile ripetere questi eccezionali avvenimenti da parte delle prossime generazioni, sarà difficile riproporre fotogrammi così solenni, con immagini così prestigiose. Il 23 marzo 1984, Pertini presenziò, nella sala consiliare, la commemorazione di un suo compagno di lotta, Bruno Corbi. Se ne stette in silenzio. Lasciò parlare. Era avvolto da una atmosfera di rispetto. Nessuno osò spezzare l’incantesimo. La folla però, all’uscita del Presidente dal Municipio, ruppe il silenzio e gli tributò un grande applauso. Anche Pertini si trasformò in mezzo alla gente e rispose con tante strette di mano all’entusiasmo degli avezzanesi. Il 24 marzo 1985, Papa Woytjla fece tappa davanti al Palazzo Municipale per un momento di riflessione “civile” eppoi su recò sul sagrato della Cattedrale dei Marsi in Piazza Risorgimento per abbracciare idealmente la città in chiave religiosa. Il Papa parlò della storia di Avezzano, dei suoi tormenti, delle sue piaghe, del terremoto, della guerra e della sua duplice rinascita. Un discorso caldo con accenti vibranti. La folla lo acclamò e gli si strinse attorno con grande affetto, con entusiasmo e commozione. Il suo storico viaggio nella Marsica ebbe inizio la mattina a Telespazio nel Fucino, dove le immagini di Papa Woytjla fecero il giro del mondo e furono viste da milioni e milioni di persone. Date indimenticabili, dicevamo. Eventi forse irripetibili. Solo il passato assai lontano può offrire qualche pietra di paragone. Ecco uscire dagli archivi immagini sbiadite di altri due storici incontri. 14 gennaio 1915, 12 agosto 1938. Il Re e il Duce ad Avezzano. Il Re Vittorio Emanuele III arrivò nella nostra città all’indomani dell’immane catastrofe del terremoto, portando le prime parole di incoraggiamento ai superstiti, visitando anche altri centri della Marsica. A Pescina s’imbattè in Don Orione che gli prese la macchina per caricarvi sopra gli orfani da trasferire a Roma in luoghi più sicuri. Intervennero i carabinieri, ma il Re lasciò andare e Don Orione fu perdonato. L’episodio venne riportato fedelmente da Ignazio Silone nel libro “Uscita di sicurezza”. Il 12 agosto 1938 Avezzano si vestì a festa per l’arrivo di Mussolini. Il Duce fu accolto da una parata oceanica. Piazza Risorgimento era gremita di folla. Davanti al sagrato della Cattedrale fu costruito un immenso palco a forma di aratro. Quando vi salì Benito Mussolini si levarono migliaia di braccia tese per il saluto romano. Gli ottantenni di oggi quel giorno indossavano la divisa di balilla o di figli della lupa. Avezzano, dunque, ha incontrato la storia quattro volte, con quattro personaggi di pari grandezza e di diversa configurazione: un Re, un Duce, un Presidente della Repubblica, un Papa. Che si vuole di più? Eliseo Palmieri 2 Importante riconoscimento per l’avvocato Cantelmi Uno sguardo al passato Libertà, passione di una vita mento, un risarcimento morale per la portata di quelle battaglie. Una ‘frattura’ storica che andava in qualche misura ricomposta, e che non poteva che essere attuata nel nome dell’exdeputato celanese. Perché Giancarlo Cantelmi (comunemente Gianni), prossimo ai 90 anni, è la figura che meglio incarna e meglio rappresenta quella volontà di affrancamento, di liberazione “Non serve una mostrina, per es- dai vincoli -siano essi ideologici o sere un uomo d’onore”. Po- economici- che ha attraversato, tremmo prendere a pretesto seppur con modalità diverse, lo questa citazione cinematografica stesso tessuto sociale marsicano (la frase che il tenente Kaffee pro- negli ultimi 60 anni. La stessa sua nuncia in “Codice d’onore”), per appartenenza politica a quel Parcommentare in prima battuta la tito Comunista che gli aveva pernotizia della medaglia commemo- messo per due mandati (dal 1976 rativa conferita dal Ministero al 1983) di sedere come deputato della Difesa all’avvocato Giancarlo in Parlamento, non ha mai rapCantelmi, in occasione del 71° an- presentato, per lui, un freno a niversario della Liberazione. quella sua riconosciuta capacità Eppure quella medaglia, solenne- dialogante, anche di fronte ai più mente consegnata allo stesso bellicosi avversari politici. Mai inCantelmi dal Prefetto nella ceri- transigente, ma sempre in grado monia svoltasi alla Villa Comunale di L’Aquila proprio lo scorso 25 aprile, è riuscita in qualche misura a rendere giustizia di quella che forse per troppo tempo era sembrata essere una sorta di ‘dimenticanza’ istituzionale, non tanto e non solo di fronte al protagonista di così tante ed importanti vicende storiche, ma -forse soprattutto- di fronte a tutta una società celanese e marsicana che aveva scontato sulla propria pelle le scelte fatte in nome di una maggiore giustizia sociale, senza aver avuto, di fatto, un riconosci- di non deflettere da una rigorosa norma morale appresa, prima ancora che nel partito, nell’educazione ricevuta, la figura di Cantelmi è ben delineata nelle stesse motivazioni che hanno accompagnato il conferimento della ‘Medaglia della Liberazione’, “finalizzata -si legge- a ricordare l’impegno, a prezzo del sangue, di uomini e donne per affermare i princìpi di libertà e indipendenza sui quali si fonda la Repubblica e la Costituzione, nonché per trasmetterne i relativi valori alle nuove generazioni”. Un riconoscimento, poi, che è arrivato solo qualche giorno prima della ricorrenza dell’eccidio che vide cadere, a Celano, proprio accanto al giovane e già impegnato Cantelmi, i due braccianti Berardicurti e Paris. La tragica pagina di storia che più delle altre ha idealmente guidato Cantelmi e che trova certamente un riflesso nel conferimento della ‘Medaglia della Liberazione’. (mc) L’interesse per la storia di Celano Una storia -quella di Celano- che appassiona e coinvolge. Si spiega anche così il crescente favore riscontrato dagli appuntamenti organizzati dall’Associazione “Costanzi” sulle vicende storiche che hanno interessato il territorio celanese nell’epoca che ha preceduto e seguito Federico II. Dopo il generale apprezzamento per il primo incontro, anche il secondo appuntamento -tenutosi stavolta nel ‘Cappellone’ della chiesa di san Giovanni Battista- ha visto il coinvolgimento di un pubblico attento e consapevole. Al centro delle riflessioni -svolte dal dottor Alberto Paris e dall’architetto Edoardo Castellucci- ancora una volta le complesse vicende storiche di un’epoca che ha rappresentato un punto di svolta per la definizione di una identità per Celano e i suoi abitanti. Moderato dalla professoressa Pina Mascitti, l’incontro ha permesso di ricostruire alcuni dei momenti più importanti della storia celanese del periodo in questione, come la deportazione a Malta e in Sicilia degli stessi suoi abitanti dopo la distruzione della città ad opera di Federico II. A questo proposito di particolare importanza è stata -nel corso dell’incontro- la presentazione, da parte della docente Luciana Vicaretti, di un documentario sulla cittadina maltese di Zeytun, realizzato in occasione del gemellaggio tra Celano e la stessa località maltese. Da parte sua l’architetto Castellucci ha anche parlato del ritrovamento di un dipinto del ‘500 riguardante Celano. Una memoria storica, insomma -questo è il senso ultimo di questi appuntamenti- da preservare e conservare. La redazione mico: la clinica (“Casa di Cura l’Immacolata”), l’asilo, la scuola, il preventorio, la casa di riposo. L’iniziativa, voluta fortemente dall’Associazione L’indimenticato Padre Corrado “Osvaldo Costanzi” di Celano, ha trovato supporto presso l’Amministrazione comunale e la “Casa di Cura l’Immacolata”. Ci sono stati momenti di alta commozione al cimitero di Celano quando sono stati deposti i fiori sulla tomba del frate francescano. Partecipata e sentita la messa in suffragio in Santa i presidente morgante e il dott. angelosante davanti alla tomba di padre Corrado Maria Valleverde, officiata da padre Roberto Scocchia. La commemorazione è continuata con Si è svolta anche quest’anno la giornata di com- i ricordi a cura del dottor Ilio Nino Morgante, memorazione di Padre Corrado Signore, il frate presidente dell’Associazione “Costanzi”, del dot“Benefattore” che ha speso la sua vita per i de- tor Simone Angelosante, Direttore Sanitario boli, gli anziani ed i malati lasciando a Celano della “Casa di Cura l’Immacolata”, del professor opere di grande valore sociale, umano ed econo- Francesco Landi, Primario Geriatria “Policlinico Nel ricordo di un benefattore 3 Gemelli”. Non sono mancate proposte interessanti. Il Presidente Ilio Nino Morgante ha, infatti, lanciato due iniziative che sono state accolte favorevolmente dal sindaco, ingegner Settimio Santilli, dalla professoressa Eliana Morgante (assessore Istruzione e Cultura), da Vincenzo Montagliani (delegato alla Manutenzione della Città) e da Ezio Ciciotti (assessore agli Enti Sovracomunali) che hanno partecipato con vivo interesse alle cerimonie in programma. “Sarebbe opportuno – ha spiegato il dottor Ilio Nino Morgante nel corso del suo intervento istituire una Borsa di Studio o un Premio nel settore del Volontariato intitolato alla memoria di Padre Corrado Signore, per tenerne sempre vivo il ricordo”. L’altra proposta è quella di erigere, al cimitero di Celano, una cappella per i frati che hanno prestato la loro opera al Convento di Santa Maria in Valleverde. Numerosi i cittadini che hanno partecipato alla giornata del ricordo. Dell’Associazione “Osvaldo Costanzi” sono stati presenti il professor Nazzario Mascitti, l’avvocato Giancarlo Cantelmi, il segretario Angelo Iacutone, l’ingegner Pietro Marcanio. L’attività di Antigone sui problemi carcerari uno sguardo nella gabbia Ne parla il presidente regionale, avvocato Braghini Una fotografia nitida, puntuale, che non lascia zone d’ombra. E’ quella scattata da Antigone, l’associazione che dagli anni ’80 si occupa dei diritti e delle garanzie nel sistema penale. A Salvatore Braghini livello regionale Pres. regionale di antigone ne è responsabile l’avvocato Salvatore Braghini. A lui abbiamo rivolto alcune domande, sulla attività dell’associazione e sullo stato delle carceri abruzzesi. Quando si parla di carceri, si parla subito di sovraffollamento… In effetti il sovraffollamento delle carceri italiane ha raggiunto proporzioni drammatiche. Lo testimonia una ricerca comparata a livello europeo condotta dalla Fondazione Istituto Carlo Cattaneo. Le carceri italiane ospitano in media 140 detenuti ogni 100 posti disponibili, ma in alcuni istituti si supera anche quota 300. Anche grandi istituti di pena come San Vittore a Milano o la Dozza a Bologna superano la quota di 200. In generale, comunque, l’80% degli oltre duecento istituti di pena presi in esame, ha più detenuti che posti a disposizione. L’attività di Antigone e la situazione delle carceri abruzzesi… Come presidente regionale di Antigone, accompagnato dagli osservatori , avvocati Claudia Sansone e Renzo Lancia -accreditati dal Ministero della Giustizia-, abbiamo svolto, nel 2015, una accurata indagine sulle condizioni dei detenuti nelle carceri di Avezzano, Sulmona, Chieti, Pescara, Teramo, Lanciano e nella casa lavoro di Vasto. Abbiamo analizzato le varie problematiche legate alla vita carceraria, dalla verifica del sovraffollamento alle condizioni igienico-sanitarie, dalle attività trattamentali ai contatti con i familiari, raccogliendo le stesse doglianze dei reclusi. L’insieme dei dati raccolti servirà, a livello nazionale, per il rapporto annuale di Antigone. In tema di sovraffollamento, come è la situazione delle nostre carceri? I dati più significativi relativi al sovraffollamento riguardano gli istituti di pena di Sulmona e Teramo. Il carcere di Sulmona, che ha diverse sezioni di Alta Sicurezza, si presenta, in particolare, super-affollato, con 471 reclusi per una capienza regolamentare di 250. Ci sono, poi, situazioni che necessitano di continua attenzione: basti dire che il 50% della popolazione detenuta presenta patologie psichiatriche. Negli ultimi tre anni sono stati registrati ben 130 eventi critici, con 23 scioperi della fame. A Teramo la popolazione detenuta registra 255 presenze su 236 posti. Risultano segnalati, sempre negli ultimi tre anni, 5 suicidi, ben 190 episodi di autolesionismo e 166 scioperi della fame. Carcere di Sulmona Quella dei suicidi in carcere, insieme alla presenza di extracomunitari, è un’altra delle questioni spinose da affrontare… Pur esistendo, ovunque, un “Protocollo di prevenzione del rischio suicidario in Istituto”, così come richiesto dall’OMS e dall’amministrazione penitenziaria, risultano ancora troppi i suicidi e gli atti di autolesionismo. Sulla presenza, invece, nelle carceri, di extracomunitari, diversamente dai luoghi comuni va detto che è bassa la percentuale negli istituti di pena della regione: Sulmona 1%, Vasto 4%, Lanciano e Chieti 13%, Pescara 20%, Teramo 24%. Avezzano registra la percentuale più alta, con il 30%. Ci sono, poi, le problematiche legate alle strutture e alla carenza di personale… Le strutture sono generalmente bisognose di interventi di straordinaria manutenzione, rinviati a causa della scarsità di fondi. A Sulmona si sta costruendo un altro blocco, per 200 posti. La situazione di costante sovraffollamento carcerario ha N Un lungo impegno I meriti di una associazione ata alla fine degli anni ’80 nel solco della omonima rivista contro l’emergenza promossa, fra gli altri, da massimo Cacciari, Stefano Rodotà e Rossana Rossanda, antigone è una associazione politico-culturale, “per i diritti e le garanzie nel sistema penale”, a cui aderiscono prevalentemente magistrati, operatori penitenziari, studiosi, parlamentari, insegnanti e cittadini che a diverso titolo si interessano di giustizia penale. Fra le varie attività messe in campo, antigone in particolare raccoglie e divulga informazioni sulla realtà carceraria, promuovendo campagne di informazione e di sensibilizzazione su temi o aspetti particolari, comunque attinenti all’innalzamento del modello di civiltà giuridica del nostro paese. Proprio nelle scorse settimane antigone ha presentato il Xii Rapporto sulla situazione del sistema penitenziario italiano. € 4,79 al sacco, compreso trasporto Validità offerta mese di maggio 2016 fatto sì che la dotazione del personale penitenziario risulti carente in ogni istituto di pena, sfiorando in alcuni casi il 35% di posti in meno rispetto all’organico previsto. C’è da dire che gli effetti di tali carenze sono comunque attenuati dall’attivazione -tranne che a Sulmona- della sorveglianza dinamica, che si sostanzia in un modello organizzativo non più basato sul controllo diretto ed assoluto, ma sulla conoscenza del detenuto e sull’autonomia di gestione della sicurezza e del trattamento. STUFE – PELLET – LEGNA Ing. Franco Rossi Via Tiburtina V. Km 125,500 Celano (aQ) Tel. 0863-793677 Quei segnali inquietanti In declino la libertà di informazione in diversi paesi “La libertà di informazione e il diritto di espressione si stanno riducendo in molti paesi”. E’ il segnale d’allarme lanciato da Nils Muiznieks, politologo lettone, Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, in occasione della Giornata Mondiale della Libertà di Stampa, vissuta lo scorso 3 maggio. Un arretramento della democrazia, quello sottolineato da chi ha sempre mostrato sensibilità e competenza sui problemi della libertà di informazione. “La situazione in cui lavorano i giornalisti -ha detto Muiznieks- sta peggiorando in molti paesi: non solo nei Balcani e in Turchia, ma anche in Europa occidentale e in alcuni paesi entrati nell’Unione Europea”. Un tema la cui importanza è stata ribadita dagli stessi massimi funzionari ONU, il Segretario Generale Ban Kimoon e il Direttore Generale dell’Unesco, Irina Bokova, nella presentazione della Giornata Mondiale della Libertà di Stampa, che quest’anno aveva per tema “Parlare senza timore: assicurare la libertà d’espressione in tutti i mezzi d’informazione”. E’ stato ricordato come ogni giorno la libertà di stampa affronti nuove minacce, e come negli ultimi dieci anni siano stati più di 600 i giornalisti assassinati. Anche l’Italia, del resto, vive sul tema della libertà di stampa una situazione allarmante, ritrovandosi al 77° posto (su un totale di 180 paesi e con quattro posizioni perse rispetto al 2015) nella classifica recentemente stilata da Reporters sans Frontieres. Nel suo rapporto annuale, Rsf afferma -citando fonti della stampa italiana- che nel nostro paese “fra 30 e 50 giornalisti sono sotto protezione per minacce”. 4 Da Pescina una storia vera Memorie dal sisma “Anche un terremoto può portare nuovo amore” NARRATORE: la storia si svolge nella Pescina dei primi decenni del ‘900. La maggior parte delle famiglie vive di agricoltura. Fra queste vi erano le famiglie di Angelo e Filomena e di Vincenzo e Almerinda. Correva esattamente l’anno 1914 e si era a fine anno. ANGELO: Filomena, come è passato presto questo anno, mancano trenta giorni alla fine dell’anno e fra 25 giorni al Natale. FILOMENA: Meno male che la campagna è andata bene: il grano, le barbabietole e pure l’orto ci hanno dato tanti ortaggi per poter andare avanti; certo che con l’arrivo di un altro figlio ( e speriamo che stavolta sia una bambina) serviranno dei soldi per poter andare avanti. Ora è quasi tempo di ammazzare il maiale e possiamo mettere da parte i prosciutti e le salsicce. Di vino ne abbiamo fatto abbastanza per fare festa quando nasce. ANGELO: Tante preoccupazioni non ne abbiamo, grazie a Dio, ma l’arrivo di un nuovo figlio porta sempre maggiori spese: l’anno prossimo vedrò di comperare ancora qualche terreno per poter mettere qualche prodotto in più. NARRATORE: Angelo viveva in un’abitazione di sua proprietà con la sua giovane moglie, Filomena, che era in stato interessante, e con i figli Giovanni e Donato. L’attività agricola permetteva una vita dignitosa. I suoi terreni producevano grano, barbabietole, granoturco e i vigneti davano un vino delizioso. Nella casa di Angelo il Natale del 1914 arrivò più sentito delle altre volte, anche per l’imminenza della nascita del terzo figlio. La famiglia con cui si frequentavano e passavano le sere invernali era quella di Vincenzo e Almerinda, con il loro figlio Antonio. Vincenzo era anche lui contadino e portava avanti la sua famiglia decorosamente, mentre la moglie Almerinda svolgeva lavori a maglia e qualche volta aiutava il marito nei campi. Nulla lasciava presagire quello che sarebbe accaduto venti giorni dopo il Natale del 1914. Si brindò all’anno nuovo perché portasse del bene a tutti, ma il 1915 portò invece un 13 gennaio che sarebbe rimasto scolpito per sempre nella memoria di tutti. Alle ore 7.52 una fortissima scossa di terremoto scatenò l’inferno su Pescina e su tutta la Marsica. A testimoniare una delle più misteriose conseguenze del cataclisma, ricordiamo il fenomeno impressionante del fiume “Giovenco“ che si inabissò in un immane crepaccio formatosi all’ingresso dell’abitato di Pescina. Quella mattina Angelo e Filomena videro crollare la propria abitazione. Angelo riuscì a portare in salvo Filomena e i figli estraendoli, illesi, dalle macerie. Uscito fuori, Angelo sentiva gridare e riconobbe la voce della sua vicina di casa, Almerinda, che piangendo chiedeva aiuto per il marito e il figlio che erano rimasti sotto le macerie. ALMERINDA: Aiuto…! Aiuto….! nella camera da letto è crollato tutto e sotto sono rimasti Vincenzo e Antonio, vedi se puoi fare qualcosa. ANGELO: Vedrò se posso fare qualcosa, tenterò di entrare dentro e di spostare qualche trave e cercherò di chiamare Vincenzo e Antonio. Speriamo che rispondano. NARRATORE: Angelo cercò in tutti i modi di salvare Vincenzo e Antonio, ma non ebbe mai nessuna risposta, segno che erano ormai morti. I giorni successivi al terremoto furono molto difficili; Angelo era riuscito a costruire un capanno di fortuna per la moglie e i figli sopra “Pratiglio” e riuscì ad aiutare anche Linda, con suo padre e sua madre, procurando loro un capanno per potersi riparare dal freddo che imperversava di giorno e di notte. Filomena intanto partorì il 20 gennaio una bambina, alla quale misero il nome di Angela Antonina. Il tempo scorreva lentamente e la gente cercava di riprendere il ritmo normale della vita di tutti i giorni. Ma a due anni dal tremendo terremoto, quando l’umanità era esausta a causa della Grande Guerra, scoppiò la terribile epidemia della “Spagnola”. Anche Pescina ne fu colpita e Angelo perse la giovane moglie Filomena, rimanendo solo con tre figli da accudire. Da uomo molto determinato, da solo cresceva i figli, ma con il passare del tempo iniziò a pensare di voler ricomporre una famiglia; si ricordò così di Almerinda, anche lei vedova. Almerinda, nel frattempo, sapendo leggere e scrivere, aveva iniziato a studiare da infermiera e aveva cominciato a lavorare a Roma, all’ospedale “Bambin Gesù”, all’interno del quale aveva preso il diploma da infermiera. Così Angelo partì per Roma, alla ricerca dell’Ospedale “Bambin Gesù”, per chiedere ad Almerinda se anche lei volesse rifarsi una famiglia e tornare a Pescina a vivere con lui. ALMERINDA: Angelo, sono stata molto contenta di averti rivisto. Mi dispiace che anche tu abbia perso Filomena e che ora ti ritrovi solo con i tuoi tre bambini. Ti ringrazio molto per essere venuto fino a Roma e anche delle tue parole, ma ancora nella mia mente sono impressi i fatti di quella mattina e non me la sento, almeno per ora, di fare un passo così grande. Forse con il tempo mi ricorderò delle tue belle parole. Ciao Angelo, e grazie… NARRATORE: Così Almerinda non volle accettare la richiesta e Angelo tornò a Pescina sconsolato, ma sperando che forse un giorno lei avrebbe accettato la sua richiesta. Passarono alcuni mesi, forse un anno e Angelo partì di nuovo per Roma a cercare Almerinda. ANGELO: Ciao Almerinda, sono tornato per chiederti ancora se vuoi tornare con me a Pescina. Certo, quello che ti chiedo è molto impegnativo: troverai già una famiglia completa di tre figli ed è giusto che tu pensi bene, prima di accettare. Ma io ti sarò sempre vicino in tutti i modi; dopo il lavoro sarò accanto a te, ad aiutarti, per andare avanti insieme. Se ti chiedo nuovamente di tornare con me a Pescina, è perché ho tanta fiducia in te: sento che staremo bene insieme. Pensando al terremoto e alle altre peripezie che ci hanno fatto mancare tanti nostri affetti, ti dico che anche un “terremoto può portare un nuovo amore”. ALMERINDA: Angelo, ho pensato molto alle tue belle parole e so bene a cosa vado incontro tornando a Pescina. Ma quello che mi dici mi fa essere fiduciosa. Accetto volentieri di tornare a Pescina con te. Pur con qualche sacrificio, penso che con l’aiuto del buon Dio porteremo avanti la tua già composta famiglia, così come anche eventuali altri bambini che verranno. Partiamo subito, Angelo: torniamo a Pescina. NARRATORE: Almerinda rimase molto colpita dalla sincerità delle parole di Angelo. consapevole e certamente anche contenta di tornare al suo paese, accettò la proposta e tornarono tutte e due a Pescina dove li attendevano i figli di Angelo: Giovanni, Donato e Angela che l’accolsero con tanta gioia e amore. Passarono così pochi mesi, Angelo e Almerinda si sposarono: da loro nacquero sette figli che unitamente agli altri tre vissero tutti insieme nella casa che Angelo aveva ristrutturato per accogliere Almerinda al suo ritorno. Quanto a noi, nei nostri confini mortali, basta che si svolga e fiorisca, nelle prove del dolore, l’Amore. Tutto il resto è silenzio. ”Anche un terremoto può portare nuovo Amore”. A nonno Angelo, nonna Filomena e mamma Almerinda. Andrea Cordischi A ORTUCCHIO RINASCE... LA PIETÀ L’attesa sta finalmente per finire, tra poche settimane ortucchio riavrà la sua Pietà, il gruppo scultoreo di un ignoto autore del secolo XVii che rimase sepolto sotto le macerie della piccola chiesa di campagna “madonna del Pozzo”, nel terribile terremoto del 13 gennaio 1915. Un lungo e paziente lavoro artistico, una sorta di ‘fedele riproduzione’ della scultura secentesca, quello portato avanti dall’illustre scultore giancarlo Spinello di Roma, con la consulenza artistica di Paola Nardecchia, una studiosa autrice di varie pubblicazioni su ortucchio. Un lavoro reso possibile, del resto, dal fatto che l’immagine della Pietà era stata ‘salvaguardata’ prima ancora del terremoto- da una foto scattata dallo studioso dei monumenti d’abruzzo Emidio agostinoni, che ne aveva poi parlato nella pubblicazione “il 5 Fucino” del 1908. Nella sua descrizione dell’opera agostinoni parlava, fra l’altro, del perfetto studio del nudo, in riferimento a Cristo, per un’opera “certamente ispirata dall’omonima di michelangelo”. già programmata per il centenario del terremoto (ma poi slittata a quest’anno), l’idea di riproporre al culto la Pietà era stata avanzata e portata avanti da studiosi di storia locale, insieme ad altri cittadini ortucchiesi. il modo migliore -era giustamente sembrato- per commemorare i 1208 morti registrati ad ortucchio a seguito di quel devastante terremoto di 101 anni fa. il momento, adesso, è finalmente giunto, il popolo ortucchiese potrà tornare ad ammirare e venerare un’opera da sempre amata, nella sua assoluta bellezza artistica e nel suo alto valore religioso e storico. Orante D’Agostino studioso di storia locale Carusi e altre storie... Presentato il nuovo libro di Maurilio Di Giangregorio Un lavoro sul politico celanese di inizio ‘900 Uno spaccato di storia novecentesca, una rassegna pun- tuale e metodica di fonti documentali, un exsursus di grande impatto su vicende, momenti, protagonisti della cronaca politica e storica locale. E’ questa l’ultima fatica letteraria proposta da Maurilio Di Giangregorio, infaticabile e appassionato ricercatore di documenti, già autore di numerosi altri testi di pregevolissima fattura, tra i quali -solo per ricordare uno tra gli ultimi in ordine di tempo- una poderosa ricerca sul terremoto che colpì Avezzano e la Marsica nel 1915. “L’avvocato Filippo Carusi da Celano”, questo il titolo del libro curato da Di Giangregorio, avente come significativo sottotitolo ‘contributo per una biografia’. Già, perché quest’ultimo lavoro del ricercatore e studioso, è qualcosa di più rispetto ad una mera riproposta di fatti e vicende che hanno caratterizzato l’esistenza di quello che è stato uno dei personaggi di maggior rilievo della storia celanese e marsicana. Quel Filippo Carusi che fu, fra l’altro, sindaco e consigliere provinciale, e poi politico di spessore, socialista autentico e condannato, fra l’altro, al confino dal regime fascista. Una ricostruzione, quella di Di Giangregorio, tutta basata su fonti dirette, dal Casellario politico Centrale ai documenti della Polizia politica e dei Confinati politici, fino a quelli rinvenuti nell’Archivio Centrale dello Stato. Ma il libro di Di Giangregorio è in realtà anche molto altro, dando spazio rilevante a vicende che hanno fortemente caratterizzato la vita celanese nel corso del ‘900, come il caso Tomei e l’eccidio di Celano. Non a caso, del resto, il libro è stato presentato, a cura dell’Associazione culturale Costanzi, proprio nella ricorrenza di quei tragici avvenimenti. Una precisa volontà da parte dell’Associazione -e del suo presidente Ilio Nino Morgante-, volendo con ciò riaffermare l’importanza di una storia che non va dimenticata. che tempi, quelli...! Una mostra ha ripercorso gli anni del GAM Non poteva esserci una fase dell’anno più propizia -la primavera-, per far rivivere quella che è stata una delle stagioni più feconde della cultura e dell’arte ad Avezzano e nella Marsica, con sviluppi nazionali e financo internazionali. Una autentica ‘primavera’ artistica, quindi, una esplosione di creatività che vide protagonisti, negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, un gruppo di artisti marsicani che scrissero una pagina irripetibile per la stessa storia culturale della nostra terra. Un formidabile cenacolo di pittori, che seppero intercettare, nel solco di una assoluta padronanza delle tecniche artistiche, le novità, i rivolgimenti che interessarono ogni aspetto, e quindi anche l’arte, di una società in febbrile cambiamento dopo le devastazioni della guerra. A far oggi rivivere, in modo meritorio, l’opera di quel gruppo di artisti che poi creò il GAM (Gruppo Artistico Marsicano), è stata l’attivissima Associazione Culturale Avezzano’Europa, che ha inteso riproporre, nei locali del Restaurant Cafè Umami ad Avezzano, una rassegna retrospettiva di quegli artisti. Ad essere esposte sono state opere di Nino Casella, Quirino Cervelli, Carlo Colonnello, Pasquale Di Fabio, Marcello Ercole, Enzo Frittella, Nino Gagliardi, Cesare Paris, Dante Simone ed Ermanno Toccotelli. Nomi di assoluto rilievo, che hanno dato lustro a quella che può considerarsi una autentica ‘scuola’ marsicana, capace poi di dare vita al prestigioso “Premio Avezzano”, oltre che entrare in contatto con prestigiosi gruppi di pittori come, in particolare, quelli della Scuola Romana. Di particolare rilievo, poi, -come ricorda Pasquale Simone di Avezzano’Europa in una presentazione della retrospettiva- la partecipazione, negli anni ’60, di alcuni degli artisti marsicani del GAM, ad una mostra nel Museo d’Arte Moderna di New York. mc GIOVANI TALENTI CRESCONO U Risate di gusto L’ ascesa di un violinista in erba n talento precoce ma che appare già sicuro dei suoi mezzi espressivi, un piglio virtuosistico caratterizzato da un morbido e caldo fraseggio, una assoluta cura del bel suono. Sono alcuni dei caratteri esibiti da Daniel Savina, giovanissima promessa del violino, in costante ascesa in un panorama musicale -quello marsicano- che da anni è in grado di sfornare personalità artistiche di assoluto rilievo, capaci di farsi strada a livello nazionale e non solo. Esibitosi recentemente in un locale celanese, Daniel Savina ha incantato i presenti, mostrando una totale padronanza dello strumento, unita ad una non comune capacità interpretativa, nel dare spessore e taglio originali ai pezzi proposti. Tra i brani eseguiti, la Sonata op. 2, n.5 di Vivaldi, la Sarabanda in Sol min. di Carl Bohm, Studi capricci per violino di R. Kreutzer. Non è mancata, poi, la virtuosistica interpretazione dell’inno d’italia e il sempiterno… ‘o sole mio’. Studente del Liceo Scientifico di avezzano e del Conservatorio di L’aquila, il sedicenne Savina ha saputo sempre riscuotere convinti apprezzamenti, confermando di possedere un bagaglio di qualità tecniche ed interpretative che, a dispetto della giovanissima età, appare già ampiamente consolidato ed in via di continuo perfezionamento. Un giovane talento che -continuando sulla strada della tenacia e del piglio fin qui mostrato- saprà fare onore al nostro territorio. L’ultima fatica teatrale di Esse Quisse Q uando una operazione artistica è capace di intercettare il favore del pubblico maturo e di quello giovanile, vuol dire che si è davanti a qualcosa di pregevole. E’ il caso dell’ultima fatica teatrale portata in scena dalla Associazione Culturale Esse Quisse, la commedia in dialetto “A tùtte ce stà ‘né prézze”, di Giovanbattista Pitoni. Un successo, del resto, che non sorprende più di tanto, visto l’ormai riconosciuto credito e prestigio che da anni la compagnia teatrale si è guadagnato, sulla base di una costante crescita artistica, che ben si accompagna alla sempre elevata qualità dei testi proposti. Un favore che ha trovato puntuale conferma nell’ultimo allestimento proposto (e presentato al Castello Orsini-Colonna di Avezzano), una classica vicenda di ambientazione popolare avezzanese, giocata sul filo di una comicità sempre misurata ed equilibrata, mai sopra le righe. Personaggi e storia disegnati con maestria, capaci come si diceva- di guadagnare sia il gradimento del pubblico ‘maturo’, che quello del pubblico più giovane, rappresentato da studenti di vari istituti superiori avezzanesi, per uno spettacolo mattutino rivolto unicamente a loro. Bravissimi gli interpreti, da Gaetano Paciotti, che impersonava Don Frànche, ad Antonio Berardicurti (Ustacchje), da Rina Eramo (Santina) a Egiziana Mancini (Razziella), e poi Francesco Frezzini, Flavia Marrone, Bruno Pulsoni, Vittorio Campana, Patrizia Di Giulio, Maria Benedettini, Marco Ruscitti e Maria Pia Anselmi. La regìa, misurata ed attenta, è di Guido Marcellini. mc 6 L’attività dell’Hospice a Pescina Dietro il declino del Celano calcio Q QUELLA VICINANZA AL DOLORE... uello che, da qualche anno, propone -dopo la sua ‘riconversione’- il presidio ospedaliero di Pescina, è un nuovo modello assistenziale, che mira ad erogare le cure palliative. grazie agli sforzi delle dottoresse maria Teresa Colizza e Rossella De Santis, l’attività vi è iniziata nel luglio 2013, erogando per l’appunto cure che -secondo la stessa definizione dell'organizzazione mondiale della sanità- si occupano in maniera attiva e totale dei pazienti colpiti da una malattia che non risponde più a trattamenti specifici, utilizzando un approccio che migliora la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie. Le attività svolte dall’equipe che eroga le cure palliative -costituita da personale specializzato- mirano ad accogliere l’individuo e la famiglia all’interno di una struttura residenziale, ubicata ad oggi all’interno del P.t.a. di Pescina, definita HoSPiCE. il primo Hospice moderno risale al 1967 e fa capo al St. Christopher’s Hospice, vicino Londra. Era stato fondato da Dame Cicely Saunders, un medico che credeva fermamente che "guarire una persona non significa sempre curare una malattia". Successivamente l’esperienza Hospice si diffonderà ampiamente in tutto il mondo occidentale. L’utente che accede all’Hospice, generalmente, è affetto da una patologia in stadio avanzato, che non risponde più ai trattamenti curativi, per cui non è più indicato continuare le terapie chemio o radioterapiche. Ci si orienta verso la cura dei sintomi che inficiano la qualità della vita, primo tra tutti, il dolore. all’équipe spetta il compito di accogliere l’individuo nella sua interezza, chiedendosi non tanto che malattia ha quella persona, ma che tipo di persona ha quella malattia. La persona, insomma, nella sua unicità e con la sua storia di vita, è il vero soggetto delle cure palliative e orienta tutti i tipi di scelte che verranno operate da medici, infermieri, psicologi e personale ausiliario. L’Hospice è collocato al terzo e quarto piano del presidio ed è caratterizzato da un ambulatorio riservato alla terapia del dolore e da dieci stanze destinate ad uso singolo, in cui è previsto un letto per la permanenza di un eventuale familiare, tv, frigorifero e connessione wi-fi. Tra gli ambienti comuni, destinati alla condivisione, si annovera una cucina, in cui il degente ed i familiari possono preparare pasti diversi o in aggiunta a quelli dispensati dalla cucina ospedaliera; una stanza relax, provvista di tisaneria e di biblioteca. La biblioteca dell’hospice è stata interamente realizzata nel 2015, attraverso una campagna di sensibilizzazione che ha consentito di raccogliere in poco tempo oltre 1000 volumi tra romanzi, saggi, testi di poesia, fumetti. Una sezione della biblioteca è dedicata alla letteratura per l’infanzia ed è stata interamente donata dai ragazzi delle scuole medie. Nei tre anni di attività, l’Hospice ha accolto 222 utenti. L’èquipe di cure palliative, diretta dalla Dottoressa Emma Cornelio, è costituita da medici, Coordinatore infermieristico, infermieri, Psicologo e personale ausiliario che, in uno sforzo sinergico, integrando i propri interventi, cercano ogni giorno di occuparsi globalmente dell’individuo affinchè possa vivere in piena dignità e in profondità anche la fase avanzata e finale della propria patologia. Lo spirito di grande umanità e di rispetto nei confronti del valore della vita, in ogni sua fase, ispira l’operato di ogni componente dell’equipe dell’Hospice, che nella quotidianità fa propria la visione ben descritta da Tiziano Terzani: “Vivo ora, qui, con la sensazione che l’universo è straordinario, che niente ci succede per caso e che la vita è una continua scoperta. E io sono particolarmente fortunato perché, ora più che mai, ogni giorno è davvero un altro giro di giostra. Cristina Pantini, infermiera BAR TABACCHI di Piccone Vinicio Via gualchiera, 13 67043 CELaNo (aQ) 7 La retrocessione di tutti C’era una volta uno stadio dal tifo ribollente e appassionato per un pugno di ragazzi in maglia biancoceleste che incutevano paura a squadre blasonate, di città spesso cinque, sei volte più grandi della loro. E c’era, dietro questa squadra spavalda e coraggiosa, un gruppo di dirigenti, una società, che curava, insieme all’aspetto econo- mico, ogni dettaglio organizzativo. E c’era, soprattutto, una città intera che ne esaltava le gesta, parlando quasi unicamente di calcio negli infiniti su e giù per la piazza centrale, pronta a riempire la domenica successiva lo stadio o ad accompagnare quel pugno di intrepidi in lontane trasferte. Tutto questo adesso a Celano -perché è di Celano, si sarà capito, che si parla- è solo un pallido ricordo, in questa malinconica primavera che vede sprofondare quel che resta del calcio celanese verso la seconda retrocessione consecutiva, stavolta dall’Eccellenza regionale al campionato di Promozione. Un crollo senza fine, che chiama in causa non certo -e comunque non solo- chi ha in ogni caso tentato, tra difficoltà di ogni tipo, di far sopravvivere il calcio a Celano, ma soprattutto una città intera, che non si è mostrata capace, con le sue migliori forze produttive ed imprenditoriali, di sostenere o stare comunque vicina a questa sua creatura calcistica. Un declino sportivo di tal fatta, del resto, non è mai sganciato dal destino complessivo di una città, di un territorio. Perché, se è pur vero che di problemi sociali ed economici e di questioni aperte ce ne sono tante, è altrettanto vero che la coesione e la tenuta di un tessuto sociale si può riconoscere anche dalle fortune della sua squadra di calcio. iL RaCCoNTo Primavera è nell’aria Il padre Cielo e la madre Terra. L’inverno è alla fine e la primavera alle porte. Tutt’intorno già aleggia un’aria nuova, ad annunciare il profumo dei mandorli in fiore e delle viole, che, timidette, fanno capolino di tra le foglie secche dei vecchi arbusti, disseminati nella campagna. I cuori si riaprono alla speranza, ma dietro di noi lasciamo il deserto: non piove da lunghi mesi e l’inverno, niente neve. La Marsica, tradizionale terra di lupi, sembra diventata una puglia: non più grandi cappelli bianchi, calati fin sulle orecchie (e oltre ancora) a coprire le montagne fino a primavera inoltrata; non più un gran lenzuolo bianco a proteggere le colture dal gelo; non più locomotive cariche di neve, uscite a fatica dalla galleria di Forca e dirette a Roma, come vecchie vaporiere ansanti (la Roma felix, beata lei, che faceva dell’ironia sui passeggeri marsi, come fossero pinguini arrivati dal Polo Nord); non più niente di niente dell’antico paesaggio marso, splendido e grandioso nei lunghi e freddi inverni di tanti anni fa. Ora, invece, sulle montagne, solo roccia viva; a valle, solo terra riarsa e solo rigagnoli, dove prima scorrevano, gorgogliando sul loro letto, fiumi e ruscelli, a tuffarsi nelle acque di Turlò. Narra una leggenda antica, che, all’inizio, furono creati il padre Cielo e la madre Terra. Si dichiararono amore eterno e fu sancito il patto nuziale: a fecondare la terra, piogge, pioggerelline e, al bisogno, nuvole a Lucio Quinzio POETI Divagazioni OGNE PELLIDRE STROCCHE LA CAPEZZA SÉ! ogni puledro spezza la sua cavezza! GIOVANNI RABONI Ombra ferita, anima che vieni Nonostante la struttura paternalistica della famiglia, per cui i figli restavano sotto il comando e l’influenza dei genitori fino alla morte di questi, c’è in questo detto il riconoscimento della raggiunta maturità del giovane e quindi del momento per realizzare l’autonoma gestione della propria vita. ancora una volta il mondo animale presta il fianco. ogni puledro, anche se mansueto, un bel giorno spezza la fune che lo tiene legato. ogni uomo un bel giorno spezza il cordone ombelicale che lo tiene vincolato all’autorità paterna e fugge verso la propria libertà. oggi, i giovani tendono, al contrario, a restare in casa paterna conquistando ugualmente la propria autonomia. Come son cambiati i tempi! zoppicando, strisciando dal tuo fioco asilo a cercare nei sogni il poco che rosicchio per te all’andirivieni dei risvegli e degli incubi, agli osceni cortei delle sciarade, così poco che qualche volta quando arrivi il fuoco è già spento, divelte le imposte, pieni di insulsi intrusi o infidi replicanti l’immensità della cucina, il banco di scuola, il letto, dammi tempo, non (da “Detti dialettali celanesi e commento”, di Nazzareno Fidanza) svanire, il tempo di chiudere i tanti conti vergognosi in sospeso con loro prima di stendermi al tuo fianco. La redazione: Gianni Cantelmi Vero Fazio Nazzareno Fidanza Sergio Iacoboni Nazzareno Mascitti Filippo Rosati pecorelle, acqua a catinelle; il sole, dall’alto del cielo, a inondarla di luce e di calor. Nacque allora e per sempre, sulla terra, una bella d’erbe famiglia e d’animali. Ma oggi, non più. Il padre Cielo, niente acqua e niente neve e la madre Terra, più riarsa che mai: non c’è più quella dolce armonia che governa il mondo. E il patto langue: il Cielo Padre, come il Giove pluvio delle età novelle, corre dietro a nuovi amori, dimentico della diletta sposa. La Madre Terra si sente afflitta e sconsolata, ma ancora per poco. In suo aiuto, a rinsaldare l’antico patto, arriva la Venus lucreziana, datrice di vita e simbolo della primavera: torneranno le piogge a fecondare la terra e il sole tornerà a inondarla di luce e di calor. E in eterno, per la gioia dei cuori, tornerà a risplendere, sulla terra, una bella d’erbe famiglia e d’animali. Per comunicare con la redazione l’indirizzo di posta elettronica è il seguente [email protected] Da Ogni terzo pensiero, 1993 Stampato presso Tipografia Master Print Avezzano 8