figlie di minerva

Transcript

figlie di minerva
FIGLIE DI MINERVA?
di Monica Giovannoni
Affrontando il tema soldi e donne, donne e lavoro mi sono resa conto che oggi la differenza femminile è il
fattore più dinamico del mercato del lavoro e potenzialmente il più innovativo del modo di lavorare e questo
apre sempre a nuove contraddizioni e nuove domande.
Nella femminilizzazione del lavoro di oggi c’è infatti una grande potenzialità, forse unica per modificare le
leggi del mercato, legata appunto alla visione che le donne hanno del rapporto con soldi e lavoro che
evidenzia tra le altre cose anche aspetti tutti da indagare come ad esempio la fatica che le donne fanno
ancora a negoziare, la fatica che le donne fanno a chiedere, un modo di agire questo che include spesso
anche il fattore ghosting per cui se è vero come è vero che i luoghi di potere qui in Italia principalmente sono
abitati da uomini, è anche vero che questi luoghi non sono ambiti dalle donne. Non sempre prevale infatti
nel mercato del lavoro l’adattamento femminile, molto spesso si tende a non adattarsi, a scoprire il “valore”
di una posizione periferica. Nell’esperienza lavorativa di molte donne il tornaconto finanziario, i soldi, non
stanno al primo posto. Tra gli altri aspetti ancora tutti da indagare c’è quello delle responsabilità lavorative:
che per alcune donne è fonte di piacere, per altre, per la maggior parte, comporta stress e disagi. Avere la
responsabilità lavorativa di altre persone è a volte difficile, molte donne si lasciano coinvolgere
emotivamente nelle relazioni e in più a questo si aggiunga la difficoltà che spesso incontrano nel delegare.
Quando parliamo del lavoro delle donne, oggi, parliamo di lavoro in generale, di tutti, uomini e donne,
senza specificazioni. Ciò significa che l’occasionalità e la marginalità che hanno caratterizzato il lavoro
femminile in passato sono scomparse. Ciò cui stiamo assistendo è un forte indebolimento dell’antica
divisione tra sfera produttiva (maschile) e sfera riproduttiva (femminile), questo parziale superamento della
divisione tra sfera produttiva e sfera riproduttiva non ha annullato lo specifico legame che le donne hanno
con la vita e con il lavoro di cura. Diverso è il punto di vista delle nuove generazioni: un gruppo di trentenni,
interrogate sulle loro priorità tra lavoro fuori casa e lavoro di cura in casa, hanno risposto rifiutandosi di
fissare alcuna priorità. E affrontando anche in modo abbastanza differenziato il problema della maternità,
altro aspetto che riporta dati contrastanti all’interno della narrazione che le donne fanno sul tema.
Ho letto con estrema attenzione alcuni scritti di Nannicini, su CONTENUTO vs CONDIZIONI lavorative
femminili. Il CONTENUTO inteso come area nota e esplicitata in cui è possibile identificarsi, che sempre più
oggi necessita di qualità e specificità tradizionalmente connesse alla sfera femminile dell’esistenza. Le
CONDIZIONI intese come area incerta, sfuggente, insoddisfacente. Alla sfera delle condizioni infatti
appartengono un TEMPO per lavorare, una RETRIBUZIONE che sia quantificabile rispetto al tempo
lavorato, un LUOGO per lavorare e delle CONDIZIONI appunto di continuità e durata del lavoro.
Succede dunque che molte donne amino il contenuto del proprio lavoro e al contempo affermino che le
condizioni in cui lo realizzano sono orribili.
E ‘ sull’elemento CONDIZIONI e sulla divaricazione tra identità e reddito che le ultime generazioni hanno
tirato una riga netta separando il lavoro marchetta dal lavoro passione, il primo serve a rispondere ai bisogni
materiali: affitto, mutuo, mangiare, quello che le spersonalizza e che offre CONDIZIONI orribili.
Il secondo è quello che non genera denaro ma identità e in alcuni casi appartenenza. Ecco, le nuove
generazioni, per risolvere il conflitto Contenuto vs Condizioni hanno la necessità (il peso?) di dover
diversificare: il lavoro passione, spesso lo fanno di sera, nel tempo rubato alle ore diurne scandite da ritmi
serrati, esplicando una non appartenenza verso un mercato formale che non lascia libere le donne di
progettare cambiamenti professionali e di vita e di luogo1 mentre la tendenza creativa delle nuove
generazioni segue i luoghi dove questa maggiormente si sviluppa e pretende la libertà di poter agire un
cambiamento che non le ingabbi in percorsi prestabiliti che non generano identità ma solo profitto.
Non solo le nuove generazioni tentano di sfuggire a questo sistematico fagocitarle da parte del mercato del
lavoro, ma con un certo mestiere pare che le donne attuino la cosiddetta strategia di ghosting nel campo
1
A questo proposito può essere interessante leggere il testo Richard Florida, ricercatore statunitense, L’ascesa
della Classe Creativa, Milano. Mondatori, 2005)
1
lavorativo, ovvero quel continuo sfuggire ad un adattamento, collocandosi in posizioni periferiche nelle
imprese, il non mobilitarsi per raggiungere traguardi apicali nella gerarchia, il non voler sottomettersi a
mondi/modi giudicati degradanti ..”ad altri l’onere e l’onore, meglio la marginalità che mi consente di stare
dove il mio desiderio mi porta”2
Negli Stati Uniti come in Italia il problema fastidioso del business oggi è trattenere i talenti femminili.
Comincia ad essere visibile quantitativamente il numero delle donne, soprattutto a livelli elevati, che
interrompe la sua attività professionale, abbandonando carriere e fonti di reddito per potersi riappropriare
di spazi per se’.
E’ anche vero che questa sottrazione attiva si verifica solo per chi ha fonti di reddito indipendenti da quelle
che provengono dalla retribuzione lavorativa.
Quelle che non si sottraggono totalmente adottano la suddetta strategia di ghosting, in un sottrarsi alla
dedizione di tempo e affettiva alle ragioni lavorative. Sistematicamente, per qualche ora al giorno molte
donne spariscono, il cellulare lo tengono spento, la voglia di essere rintracciate sempre e ovunque e
comunque svanisce; alcuni psicoanalisti inglesi studiosi di fenomeni organizzativi l’ hanno chiamato
fenomeno di “sincerità calcolata”. Intesa anche come difficoltà ad accettare di agire i conflitti secondo
modelli tradizionalmente virili, una linea netta di separazione all’interno delle misurazioni dei rapporti di
forza, infatti se per le donne siamo dentro un conflitto relazionale uomo donna, un conflitto dunque che
mira a modificare la relazione, per l'uomo il conflitto mira alla polverizzazione dell'uno o dell'altra
Tutto questo accade nelle cosiddette imprese postfordiste, imprese che necessitano di CURE, contesti tendenti
alla frammentazione, delocalizzazione su terreni fisici e mentali sempre più estesi, a queste imprese non
serve l’esercizio del comando (tipico del modo di lavorare degli uomini) ma serve la ricerca di consenso e un
funambolismo culturale3 tipico delle donne, quella capacità in più legata al saper abbracciare, reggere più
situazioni insieme, facendosi carico di esperienze e situazioni diverse.
Le interazioni tra vita professionale e vita personale assumono una visibilità nuova e cruciale. Un tema per
tutti appare centrale in questo mercato del lavoro: la capacità di stare nelle situazioni di transizione, che
ripropongono ambiti di esperienza tipicamente femminili. Da sempre infatti, le donne si sono trovate a
sviluppare strategie e abilità per gestire le intermittenze tra vita personale e vita lavorativa, tra produzione e
riproduzione. Capacità queste che vengono di solito recuperate in un’azienda soprattutto dal punto di vista
commerciale.
PERICOLO: il pericolo è quello di trovarsi assimilate nel desiderio del cliente al posto di differenziarci,
pensare insomma sempre più spesso mettendosi nei panni dell’altro con il pericolo di non saper più
riconoscere i propri panni.
Tutte queste situazioni e queste relazioni con il potere sono legate all’agire politico delle donne che è
radicalmente differente dal paradigma politico in corso.
Faccio un esempio: le donne sono letteralmente fatte a pezzi dai tempi del lavoro fuori casa e dal lavoro di
cura in casa. Ciò da una parte le costringe a interrogarsi sulla percezione di tempo e spazio, sulle aspettative
di vita, sulla percezione del denaro e sul senso del lavoro; dall’altra parte il fatto che le donne portino al
mercato le relazioni di cura rende visibile ciò che eccede il profitto e quindi rende possibile l’inizio di un
cambiamento dell’organizzazione del lavoro. E mette in discussione le forme di lotta e di organizzazione
maschile, donne e uomini hanno infatti bisogni molto differenziati.
Per questo è un atto preciso della politica elaborare un nuovo «lessico» sul lavoro, elaborare categorie,
partendo da questo processo tutto al femminile che aspira all’interpretazione, alla significazione, per poi
sfociare nell’azione politica appunto. In questi ultimi dieci anni quindi, alcune donne, per capire che cosa
stava loro capitando e che cosa stava capitando nel mondo del lavoro, hanno ripetuto il gesto del
femminismo delle origini di riunirsi in gruppi per parlare del lavoro interrogandone il senso a partire da sé
insieme ad altre donne e ripensandolo da capo così come stiamo facendo noi oggi.
E’ importante partire dal racconto dell’esperienza per conoscere e modificare il contesto in cui si vive, oltre
che mostrare la preferenza delle donne per le forme della vita quotidiana, rappresenta l’unico strumento a
disposizione per appropriarsi dell’idea che si può lavorare senza accettare passivamente le condizioni date e
2
3
Quaderno di Via Dogana, Parole che donne usano nel mondo del lavoro oggi, 2005, Milano.
Di Crisfofaro Longo Gioia. La disparità virtuale, Armando Editore, Roma 1995.
2
.
che si può acquisire la necessaria competenza simbolica per essere fedeli al proprio vissuto sostenendo al
contempo i propri interessi.
Nel testo a cura di Adriana Nannicini, Le parole per farlo.4, si fa strada la necessità di indagare il rapporto che
lega le donne al mondo del lavoro nell’epoca della cosiddetta produzione postfordista. Per il femminismo
degli anni Settanta l'emancipazione coincideva con l'ingresso nel mondo del lavoro e con l'assunzione di
ruoli non più marginali e subordinati: e in apparenza questo obiettivo sembra raggiunto, oggi le donne sono
alla ricerca di parole per «fare», parole che consentano di raccontare e confrontare le esperienze femminili, di
ridefinire se stesse al lavoro, usando, per superarlo, il lessico del precariato della new economy, del lavoro
dipendente e di quello autonomo ad alta responsabilità. Parole che condizionano la vita, le relazioni tra
donne, i rapporti con l'altro sesso dentro e fuori il lavoro, il modo di descrivere il presente e immaginare il
futuro. Pensare come spesso si sente dire oggi che il telelavoro è la soluzione di tutti i problemi è un errore
che fa riemergere lo spettro del lavoro “invisibile”: quando le donne lavorano da casa tornano invisibili
rispetto al mondo pubblico e a volte è difficile smettere di lavorare, mettere dei confini temporali, il lavoro
diventa una persecuzione e spesso si dimentica il gusto di stare al mondo e inoltre come si valorizza un
lavoro che non si/ti vede?
Non si dovrebbe mai dimenticare infatti che il lavoro per sua natura è pubblico e eterodiretto. Quindi
diciamo subito che tornare ad una dimensione di “casalinghitudine” non è una risposta allo sfruttamento del
mondo produttivo.
Ma stare nel luogo del lavoro non deve significare che si tengono i ritmi delle macchine e che ci si vesta con
abiti maschili facendo finta di avere un corpo maschile: bisogna valorizzare la diversità e riuscire ad
ascoltare nuovamente il corpo, altrimenti il lavoro diventa la misura di tutto.
E ancora, vedere, narrare, descrivere: parlare dei rapporti che abbiamo con il lavoro. È un’esigenza, questa,
che si sta facendo urgenza. Modello sociale e organizzazione del lavoro oggi vedono nel linguaggio e nei
processi di comunicazione un elemento direttamente incluso nel processo produttivo, perché il processo
produttivo ha per “materia prima” il sapere, l’informazione, la cultura, le relazioni sociali. Parlarne, ovvero trovare
«le parole per dirlo» raccogliendo l’antico suggerimento di Marie Cardinal. In alcuni casi il lavoro diventa il
principale, o addirittura l’unico, oggetto di passione per le donne oggi. Qualcuna suggerisce: il rapporto con il lavoro ha
subìto un’erotizzazione, si è caricato di quella passione e di quei sentimenti che erano appannaggio del rapporto
d’amore, infatti l’organizzazione flessibile del lavoro costringe ad una disponibilità illimitata, 24 ore su 24, 7giorni su 7,
c’è poi chi colloca il denaro e il lavoro nel sesso perché danno ugualmente piacere.
Come sottolinea Cristina Morini produttività e fedeltà agli obiettivi comuni «dovrebbero stare alla base di un
contratto di interscambio tra dipendente e datore di lavoro»: il dipendente impara a essere più produttivo,
conseguendo i migliori risultati in minor tempo e tiene per sé e per la propria vita il tempo risparmiato ,
questa potrebbe essere la risposta alla domanda posta : è possibile negoziare le regole a partire dalle proprie
regole?
Il capitalismo cognitivo in questi ultimi decenni ha puntato ad appropriarsi della polivalenza, della
multiattività del lavoro femminile, sfruttando, con ciò, un portato esperienziale delle donne che deriva dalle
loro attività realizzate nella sfera del lavoro riproduttivo, del lavoro domestico.
Le donne si difendono e lottano contro la tendenza onnivora di questo mercato nell’uso del tempo, del
lavoro, dei bisogni, delle relazioni nella convinzione che non sempre “più è uguale a meglio”.
Quando si dice "L'economia è una questione di sesso", si vuole dire che le differenze di genere determinano i
comportamenti economici e sociali. Uomini e donne non consumano le stesse cose, non lavorano per le stesse
ragioni, non hanno gli stessi ritmi.
Le donne, messe alla prova sul lavoro, non si dimostrano interessate, non tutte, alla competitività e
all’aggressività tutte maschili, tipiche di questo mercato del lavoro. Tre fattori le discriminano. La
competizione con le altre colleghe, non per questioni di lavoro ma sul piano strettamente femminile, in parte
minore la maternità, e, indubbiamente, il fatto che il potere è omofilo nell'essenza e attira ciò che è uguale a se
stesso. Un contesto di questo tipo produce nelle donne disagio. Per questo, spesso le donne si allontanano
dal lavoro per scelta.
4
Nannicini Adriana, Le parole per farlo. Donne al lavoro nel postfordismo. Deriveapprodi, Roma 2001
3
Io sfaterei decisamente la questione maternità, come dice Maria Cristina Bombelli, coordinatrice del
Laboratorio Armonia della Sda Bocconi e autrice di 'La passione e la fatica' (Baldini & Castoldi Dalai): per una
donna "successo" vuol dire anche benessere psicologico, tempo per sé, equilibrio tra vita privata e pubblica.
Uomini e donne, insomma, sono diversi. E non è detto che al vertice delle priorità femminili ci sia
l'affermazione a tutti i costi sul lavoro. Le donne si chiedono se valga davvero la pena ridurre la sfera privata
al minimo, specie in un clima di aggressività totale. Ecco perché in politica la partecipazione femminile è così
bassa, così come è vero che se è una donna a entrare in politica la politica cambierà questa donna ma se sono
tante le donne che entrano in politica allora saranno loro a cambiare la politica. Rimanere aldifuori di questa
sfera determina il dover vivere in una società che non solo non ci rappresenta ma che non ci considera
affatto.
C’è poi il dato costante del rapporto tra donne e soldi che vede le donne come soggetti che non sanno chiedere.
'Le donne non chiedono'5, si aspettano che i loro meriti siano riconosciuti. Sono convinte che, presto o tardi,
saranno valutate equamente. Per questo non rivendicano. E il più delle volte restano tagliate fuori.
L'impresa, infatti, tende a premiare chi insiste per vedere riconosciuti i suoi meriti. A differenza degli
uomini, le donne non sempre sanno valorizzare quello che fanno. Tendono a sottolineare le incompetenze,
mentre un uomo, di slancio, si dichiara pronto ad affrontare un incarico. Le donne hanno difficoltà a darsi
una valutazione economica, il che le rende restie alla negoziazione. Il risultato di un'autostima spesso più
scarsa di quella degli uomini e della dimensione gratuita che il lavoro femminile ha sempre avuto.
Al contrario degli uomini che fanno gruppo/branco e costruiscono net-work, lobby a sostegno delle proprie
carriere, le donne sono in certi casi ancora oggi le peggiori nemiche delle donne.
Il nesso tra lavoro, tempo, soldi e scelte è molto forte e se è vero che il grado di civiltà di una Paese si misura
anche su questo campo mettendo in grado la donna di non dovere scegliere tra la sua vita pubblica e la sua
vita privata, è vero anche che a scegliere che dimensione dare a questa relazione tra tempo e lavoro, tra
lavoro e soldi, sono le donne, << se una donna fa un figlio generalmente vuole stare del tempo con lui>> questa è la
semplice constatazione della Women Work Commission.
Oggi il lavoro è flessibile ma non è garantito, problema che si risolve con un preciso agire politico e in Italia
ecco il punto, non c’è una rappresentanza politica femminile forte e capace di portare avanti con fermezza
certe istanze. Non dimentichiamoci che abbiamo un Presidente del Consiglio che qualche giorno fa ha
dichiarato di voler lavorare sulle quote rosa ma non per una percentuale che sia più alta del 30%,
affermando in prima serata in tv che il 50% da noi vedrebbe il malumore di qualcuno.
Inverosimile in un Paese in cui la maggioranza dell’ elettorato è donna. Le donne dovrebbero pretendere
non una quota o una percentuale di un qualcosa che è già intero, che è già dato, ma il 50% di una democrazia
da rifondare. Si è attivata l’UDI che sta raccogliendo le firme con la campagna Squotiamo la politica. 50E50
ovunque si decide!, una battaglia che si basa sulla rivendicazione di una democrazia paritaria che non escluda
più una rappresentanza di genere, ma che veda ovunque si decide, come recita l’art. 51 della Costituzione, la
presenza paritaria dell’uno e dell’altro sesso in condizioni di uguaglianza.
E’ semplice collegare i temi della femminilizzazione del lavoro con quelli del postfordismo e con quelli del
potere. Evidenziando che per le donne è primario non ridursi a inseguire il protagonismo assoluto del
capitale, capitale che macchina tutto, che decide tutto.
E’ sorprendente la prolificazione di narrazioni sul tema6
5
Non di solo fisco vivono le donne, Alessandra Casarico, Paola Profeta. Il Sole 24 Ore, 26 maggio, 2007
6
AA.VV. Blog generation. Miriadi, Milano 2006
Antonio Incorvaia e Alessandro Rimassa. Generazione mille euro, Libera Stampa-Edizioni in Rete, 2006
Meda Dominique: Società senza Lavoro Feltrinelli, milano 1997
Vantaggiato Iaia. Sentimenti e cura in Lessico Postfordista, Feltrinelli, Milano 2006
AA.VV . Tre donne e tre uomini parlano del lavoro che cambia, Quaderni di Via Dogana , Milano 2006
L’ultimo rapporto di giugno de Il Sole 24 Ore è un Rapporto sul Lavoro delle Donne. Questo quotidiano sta negli ultimi mesi sta
pubblicando articoli di fondo scritti da Ichino piuttosto che Padoa Schioppa sulla detassazione del lavoro femminile senza perdita di gettito,
per invogliare e le donne a restare in ruoli lavorativi senza essere penalizzate.
Trefiletti Rosanna: Dare un genere all’uomo flessibile , in Differenze e Uguaglianze , Il Mulino, Bologna 2003
Così come proliferano Fondazioni e Associazione di donne imprenditrici che cercano di prendere in mano il discorso RISORSA
DONNA/ RISORSA TEMPO come AIDDA Associazione Imprenditrici Dirigenti D’azienda o la Fondazione Bellisario di Lella Golfo.
4
La mia generazione, quella delle trentenni ha davanti uno scenario lavorativo e di rapporto con il potere o
con i soldi, in continuo mutamento ed è la prima generazione di donne che non vive più l’essere madre come
un destino sociale.7 . La nostra generazione rivela una forte tensione all’ autonomia conquistata con il lavoro,
considerato come un ‘irrinunciabile risorsa di identità, una generazione di donne che ha una forte
determinazione a realizzarsi come professioniste e come madri, senza sacrificare l’una dimensione all’altra.
Una generazione che in alcuni casi ha però anche ricevuto un imprinting atavico pesante sul lavoro visto
come sacrificio come rinuncia e come provvisorietà.
Ma SONO SOLDI I SOLDI come scriveva Gertrude Stein? Una domanda verso cui le donne hanno
dimostrato da sempre atteggiamenti contraddittori e divergenti. Il rapporto tra donne e soldi, anche per la
mia generazione, salvo poche eccezioni, è un rapporto doloroso e faticoso nel pubblico quanto facile nel
privato. Ci sono professioniste che al momento di richiedere il pagamento della parcella, rinunciano al
compenso, per imbarazzo, soprattutto dopo una richiesta andata a vuoto. A questi comportamenti deve
associarsi la frequente contrapposizione tra attività gratuite dettate da nobili sentimenti: amicizia, amore
affetto, storicamente legate alla sfera femminile e altre della stessa natura.
Diverse sembrano essere le cause di questo blocco, quella che mi ha incuriosito di più è legata al retaggio
storico dell’ “insulto di genere” per eccellenza rivolto alle donne: qualunque ingiustizia, sventatezza, errore,
cattiveria, compia una donna, di qualunque professione o stato sociale, la prima ingiuria che si sente
rivolgere è “puttana” e questo indifferentemente sia da uomini che da donne. Un fantasma potentemente
attivo dunque quello che orienta molti degli atteggiamenti e che determina molti comportamenti ambigui in
relazione ai soldi, indicendo in molte donne la sensazione o la convinzione ancor peggio, che interessandosi
ai soldi o meglio interessandosi ai sentimenti, al lavoro quanto ai soldi , facciano nascere il sospetto di essere
disponibili a scambiare sesso contro denaro, per necessità o ancor peggio per virtù.
Per molte donne i soldi rappresentano ancora qualcosa di sporco.
I settori più ricchi come la finanza sono il luogo dello strapotere maschile, le donne che si affermano in
questi campi sono di solito perfettamente assimilate al modello maschile: Angela Merkel, Condoliza Rice, la
prima ministra dell’Economia francese Lagarde, Segolene Royal che però nella sua scalata è rimasta
estremamente donna e femminile, una rarità nel panorama oserei dire mondiale. Quelle che si sottraggono e
torniamo al tema del ghosting, tornano invisibili si autoescludono dal potere, volontariamente,
scientificamente si allontanano da un modo di competere aggressivo tipicamente maschile. La donna è
presente fin quando non arrivano istituzioni, soldi e potere, a quel punto il gioco a noi donne non interessa
più, liberiamo il campo e usciamo di scena. Parliamone, perché per me è qui che stiamo facendo l’errore, il
sistema si cambia da dentro non si può pensare che le cose cambino da sole o peggio che a cambiarle siano
gli uomini.
Se le donne rifiutano la misura dominante e maschile del lavoro: maggior guadagno, carriera, competizione
sfrenata, se cercano più agio, qualità e senso del lavoro, relazioni interpersonali soddisfacenti, tempi più
elastici, se le donne fanno fatica ad adattarsi al modo di lavorare del modello maschile gerarchizzato e
competitivo, devono fare rete e creare delle condizioni migliori.
Non è un caso che negli ultimi anni siano nate moltissime piccole aziende, cooperative, associazioni di
professioniste che fanno leva sulle relazioni tra donne. Dall’ultimo Rapporto Eurispes si evince che i fattori
ritenuti più importanti sul posto di lavoro sono per le donne, i rapporti umani in primis, seguiti dalla
stabilità contrattuale e solo alla fine il livello retributivo. Quindi per la maggioranza delle donne è più
importante entrare in un ambiente lavorativo rilassato e piacevole che guadagnare adeguatamente. Sarebbe
auspicabile per le nuove generazioni, un intervento politico che porti ad un corretto equilibrio tra contenuto e
condizioni del lavoro, per usare le categorie che Nannicini evidenzia.
Non si può credere, infatti, che guadagnare autonomia significhi non dover chiedere nulla a nessuno e
soprattutto allo Stato, è un ragionamento sterile che si nasconde dietro una non possibilità di cambiare le cose.
Nella vita di tutti giorni, se una donna deve abortire o deve separarsi o deve lottare per i pari diritti (dati
formalmente per scontati solo nella teoria per nulla realizzati nella pratica), contro il tetto di cristallo, come fa
senza un riconoscimento sociale del suo status? Se voglio avere un minimo di autodeterminazione sul mio
corpo ad esempio, oggi devo fare una battaglia contro questo Stato e questa Chiesa, devo mettermi in
7
Piazza Marina Le trentenni. Tra maternità e lavoro alla ricerca di una nuova identità, Mondadori, Milano, 2003. Il testo studia le figlie del
femminismo e degli anni ’70 nel loro rapporto con il potere, con i soldi e con il lavoro.
5
discussione e relazionarmi non solo con le donne ma anche e soprattutto con gli uomini, devo stare dentro la
macchina politica e non tirarmene fuori.
Parlare della precarietà lavorativa, dell’ impossibilità di poter costruire un progetto di vita a lungo
termine, o dell’impossibilità di avere una casa di proprietà o di fare figli significa parlare di politica. Non si
può liquidare il problema dicendoci che entrare in politica sperando di cambiarla è un errore perchè sarebbe
la politica poi a cambiare noi: così facendo le cose concretamente non cambieranno mai.
E’ fondamentale per noi donne fare giochi di squadra, creare massa critica, formare lobby e network, perchè
siamo diverse e perchè abbiamo il diritto e il dovere verso noi stesse di costruire un altrove dove poter
esprimere un altrimenti.8
8
Bompiani Ginevra. Lo spazio narrante, La Tartaruga , Milano 1978
6