Anno XI, n. 1 (31), Gennaio - Aprile 2005
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Anno XI, n. 1 (31), Gennaio - Aprile 2005
Quadrimestrale di archeologia subacquea e navale Sped. in abb. post. 70% - Autorizz. Filiale di Bari - Anno XI, n. 1 (31), Gennaio - Aprile 2 0 0 5 Corsi, Convegni: Bordighera, CMAS, Palermo • Notizie: Mercure • Ricerche in corso: Progetto ANSER • Speciale: Ricerca e didattica nel Salento • Musei: Genova • Parchi: Baia e Gaiola • Recensioni e segnalazioni bibliografiche L’Arcangelo Raffaele Relitto Meloria A. Rilievo dei blocchi concrezionati Archeologia subacquea nel golfo di Finlandia L a Russia è stato l’ultimo dei paesi baltici ad intraprendere ricerche riguardanti il suo patrimonio storico sommerso. Può sembrare strano sapendo che i fondali del Golfo di Finlandia e del Lago Ladoga sono considerati tra i più importanti cimiteri di navi affondate, che si sono conservate magnificamente grazie alle acque fredde e relativamente dolci. Va sottolineato che malgrado le acque non siano particolarmente chiare, il recupero di oggetti costituisce un’attività molto importante, sia come documento diretto per gli studiosi di storia che per gli appassionati di immersioni sui relitti storici. Oggi, pur essendo state avviate ricerche sistematiche, le scoperte ed i risultati dei sondaggi continuano ad essere difficilmente prevedibili. Almeno già dal VI secolo d.C., era nota una rotta mercantile che attraverso il Golfo di Finlandia ed il Lago Ladoga univa i territori del Mar Baltico con quelli del Mar Caspio. Durante i secoli VIII-X, essa venne poi consolidata dagli antichi abitanti della Norvegia e, attraverso di essa, l’Europa settentrionale riceveva rifornimenti, soprattutto di argento. Si calcola che durante quel © 2005 Edipuglia s.r.l., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale XI,1. Gennaio - Aprile 2005 2 Carta del Golfo di Finlandia periodo, di circa tre secoli, ne vennero importate trecento tonnellate, equivalenti a 15 milioni di marchi. Successivamente, tale rotta si rivelò molto importante per i commerci delle città appartenenti alla Lega anseatica. Nel secolo XVII rappresentò un fattore fondamentale per l’economia del regno di Svezia e, fino al principio del XVIII secolo, si trasformò nella principale via commerciale dell’Impero russo. Lungo questa rotta, ogni anno affondavano decine di navi. Non era considerato una sorpresa che nel giro di poche ore un’intera flotta fosse naufragata nel corso di una tempesta. Nell’autunno del 1743, di ritorno dalla Finlandia, in sette ore affondarono 17 navi da guerra russe, e, nell’inverno del 1747, in sole quattro ore, 26 mercantili colarono a picco nella rada di Narva. Un disastro ancora maggiore si verificò nel 1721, quando durante l’evacuazione delle navi russe dalla Finlandia in tre mesi affondarono più di cento imbarcazioni, di cui 64 in una sola notte. Negli ultimi quindici anni l’archeologo Andrei Lukoskhov, sulla scorta di sistematiche ricerche d’archivio, è stato in grado di creare un catalogo ed un atlante dei principali resti sommersi individuati in quelle zone, potendone tuttavia documentare circa il 2530%, malgrado la registrazione di più di diecimila presenze. Il suo lavoro è risultato prezioso quando, nel 2002, a San Pietroburgo, ha avuto inizio il progetto denominato “Il mistero delle navi affondate” finalizzato all’indagine dei relitti sommersi nelle acque della Russia nord-occidentale. Il progetto è patrocinato da “Gazprom” e realizzato dal “Centro educativometodico di S. Pietroburgo” in collaborazio- ne con l’Istituto di storia della cultura materiale dell’Accademia delle scienze della Russia, oltre ad altre partecipazioni tra le quali il gruppo televisivo “Shkola” (scuola) interessato a realizzare una serie di filmati sulla storia dei paesi del Mar Baltico prendendo spunto dalle navigazioni e dai relitti navali. Gli inizi furono assai promettenti, poiché con una spedizione durata nove mesi furono localizzate un centinaio di presenze che dimostrarono la validità delle informazioni raccolte in precedenza. Fu possibile tuttavia investigare soltanto 25 relitti, appena 5 dei quali sono poi stati esaminati più dettagliatamente. In realtà, dato l’approssimarsi della ricorrenza del terzo centenario della nascita di San Pietroburgo, si pensò di girare un film su alcune navi affondate nei primi anni di vita della città, durante il regno di Pietro il Grande. Nella banca-dati costituita dalle notizie d’archivio c’erano informazioni su circa 400 affondamenti avvenuti tra il 1703 ed il 1724, ma il più interessante tra essi è sembrato quello indicato sotto il titolo “Informazione dell’indagine sulla controversia fra tre mercanti olandesi ed i contadini del vice-ammiraglio Krius, che avevano reclamato la terza parte della mercanzia da essi stessi recuperata dalla nave olandese imprigionata nel ghiaccio presso le isole Berezovy nell’anno 1724”. Il motivo della disputa fu il fatto che all’inizio di dicembre del 1724, all’entrata meridionale dello stretto di Biorkesund (dove ora si innalzano le piattaforme petrolifere “Primorski” e “Visokinski”), alcuni contadini della tenuta “miza Sarapnia” trovarono una nave intrappolata nel ghiaccio della quale “si vedeva soltanto una piccola parte dell’albero maestro”. Questa tenuta, oggetto di un dono reale, dal 1720 apparteneva al viceammiraglio norvegese Cornelius Krius e, in esecuzione di suoi ordini, in tre settimane, 18 contadini avevano recuperato dalla nave 350 tonnellate di balle di pelli, che in realtà rappresentavano solo una piccola parte del carico. Successivamente si presentò in quel luogo il rappresentante del mercante olandese Hermann Meyer, a reclamare la restituzione del carico recuperato, ma senza volere pagare il lavoro fino ad allora effettuato per il recupero delle merci. Proprio per questa sua indisponibilità a pagare il lavoro dei contadini la disputa finì in giudizio. L’esame degli atti del processo ha posto in evidenza particolari insospettabili e di grande interesse. In primo luogo, è risultato che il Meyer aveva dichiarato che la nave si chiamava “Arcangelo Raffaele” e che era finita in secco con a bordo il padrone Johan Smit; ma nella documentazione doganale del 1724 non figura alcuna nave con tale nome. Vi si trova invece il riferimento ad una nave “Arcangelo Raffaele”, arrivata a Lubecca con il suo carico il 27 settembre a nome di Hermann Meyer e ripartita dalla città il 15 ottobre. Il capitano della nave si chiamava Johan Smit. In secondo luogo, dai documenti doganali dell’ “Arcangelo Raffaele”, risultava che essa trasportava un carico di 130 balle di pelli, una di panno, due di tessuto filato e 50 barili di lardo. Ne conseguiva che il carico dichiarato non coincideva con la testimonianza di quanto era stato recuperato dai contadini, mentre era in base a quello che Hermann Meyer e Johan Smit reclamavano la restituzione. Dopo di che, insperatamente, in gennaio il Meyer pagò al vice-ammiraglio Krius per avere salvato il carico 1200 rubli, una somma colossale a quei tempi dal momento che la paga giornaliera di un contadino era di cinque copechi. In terzo luogo, risultava incomprensibile come la nave, che era partita da Cronstadt il 15 ottobre, potesse essere rimasta intrappolata tra i ghiacci al principio di dicembre, vale a dire 45 giorni dopo, dal momento che il tragitto tra Cronstadt e Biorkesund si faceva abitualmente in un giorno, molto raramente in due o tre. Inoltre, tutte le imbarcazioni che erano partite da Cronstadt dopo l’“Arcangelo Raffaele” avevano potuto attraversare il Golfo di Finlandia senza problemi ed in assenza di ghiaccio. Per questo si decise di approfondire le ricerche d’archivio ed, infine, si giunse a ricostruire una vicenda sorprendente, con risvolti drammatici. Hermann Meyer risultò essere stato il mercante di materie prime più importante di San Pietroburgo, ai cui ordini rispondevano annualmente una trentina di navi. Tuttavia, il 1724 fu disastroso; all’inizio dell’anno, sue navi dirette verso San Pietroburgo affondarono nel Golfo di Finlandia con i rispettivi carichi. Successivamente, mercanti inglesi gli avevano impedito di vendere un carico di stoffe importate offrendo agli acquirenti russi analoghe merci a minor prezzo. Hermann Meyer decise allo- © 2005 Edipuglia s.r.l., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale XI,1. Gennaio - Aprile 2005 3 ra di compensare le perdite dandosi al contrabbando. La nave era quindi partita da Cronstadt dichiarando alla dogana un carico insignificante e, invece, per 40 giorni rimase nascosta all’ancora durante il giorno, carica di mercanzie da trasportare di notte. Per questo tardò tanto che alla fine rimase intrappolata nei ghiacci di novembre. Quando fu trovato il relitto, Hermann Meyer dichiarò un falso nome della nave in modo che le autorità russe non potessero confrontare le mercanzie che trasportava con quelle registrate nei documenti doganali. Naturalmente, stava rischiando molto nel reclamare la restituzione del carico recuperato. All’inizio di novembre, Hermann Meyer venne a trovarsi invischiato in una storia sgradevole. L’imperatore, nel rendersi conto che l’imperatrice Caterina le era infedele con Guglielmo Monso, decise di fare impiccare l’amante di sua moglie. Tuttavia, Pietro (il Grande) non desiderava gli si attribuisse l’epiteto di cornuto e fu così che Guglielmo Monso fu giustiziato dopo essere stato accusato di corruzione: la lista di quelli che lo avevano corrotto iniziava con Hermann Meyer, che era stato aiutato nei suoi affari in quanto compaesano. Quindi per Meyer era estremamente pericoloso essere compromesso in un’operazione di contrabbando, ma ad aggravare il tutto si aggiunse il suo reclamare la restituzione del carico. Va aggiunto che in quel momento egli sperava che l’imperatore venisse a mancare, essendo gravemente malato fin dal 26 novembre. Ma, alla fine l’imperatore si riprese e ordinò di investigare sullo strano caso delle differenza delle mercanzie. Assai opportunamente perciò, al principio di gennaio il Meyer pagò con quella esorbitante somma al vice-ammiraglio Krius, il prezzo del silenzio da parte sua. Dopo di ciò del carico non venne mai più fatta menzione, l’imperatore ebbe una grave ricaduta e, con buona CORSI CONVEGNI INCONTRI P resso la sede dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri a Bordighera, si è svolto dal 13 al 18 giugno un corso intensivo di archeologia subacquea, a conclusione della seconda edizione della Scuola Interdisciplinare delle Metodologie Archeologiche (SIMA), iniziata lo scorso ottobre sugli scavi di Albintimilium (Ventimiglia), con il sostegno della Fondazione CARIGE. Partendo da quanto delineato, e in gran parte realizzato, da Nino Lamboglia fino alla sua scomparsa nel gennaio del 1977, sono stati trattati i principali temi della sorte di H. Meyer, questa volta morì, il 28 gennaio, cosicché il giudizio fu dapprima rinviato e poi dimenticato. I retroscena della vicenda sono tornati alla luce soltanto 279 anni dopo, fornendo ottimo argomento per una ricostruzione cinematografica. Le ricerche del relitto hanno preso avvio dalle notizie d’archivio che, tenuto conto dei numerosi cambiamenti dei toponimi dal 1724 ad oggi, hanno consentito dapprima la localizzazione della zona del naufragio e quindi di procedere ad una indagine più dettagliata, con l’impiego di un side scan sonar collegato con GPS, fino ad individuare i contorni dello scafo ligneo della nave, a 15 metri di profondità. Successivamente furono realizzate fotografie e valutate le dimensioni del relitto (lungo 29 metri e largo 8, con portata di 350400 tonnellate). Analisi del legno, effettuate con il metodo del C14, indicavano che gli alberi erano stati tagliati tra il 1650 e il 1680; le ceramiche recuperate dal relitto, fabbricate in qualche zona settentrionale dell’attuale Germania, si datavano non oltre la fine del XVII secolo; i mattoni refrattari del forno di bordo, contrassegnati da timbri a forma di chiave con le lettere SP, erano stati prodotti dalla famosa manifattura denominata “casa di San Pietro”, attiva in Lubecca nel secolo XVII; anche i tipi delle pulegge e dei sostegni da ponte riconducevano a quesll’epoca. Infine, l’archeologo Piotr Sorokin era riuscito a sapere che l’”Arcangelo Raffaele” era stato costruito in un cantiere di Lubecca nel 1693. Per procedere nei lavori di scavo e di recupero si perforò il ghiaccio praticandovi un foro di 70 centimetri al di sopra del quale fu montato un tendone per i sommozzatori; un altro, subito accanto, fungeva da deposito per le attrezzature. Vari sponsors, come la società russa “Gazprom” e la finlandese “Hekla” ed altri hanno in diverso modo aiutato l’organizzazione, mentre i lavori subacquei sono stati condotti dall’impresa “Baltiiski Bris”. Un elemento negativo è stato costituito dalla vicinanza, a soli 600 metri, di una piattaforma petrolifera, ma seri problemi derivavano soprattutto dalle continue modificazioni dello stato del ghiaccio, in continuo alterno movimento (una sorta di un enorme pendolo in lenta oscillazione), anche a causa dei forti venti. La temperatura dell’acqua (tra 0 e + 1 C°), consentì almeno una buona trasparenza ed immersioni di 30-40 minuti. Tra i vari materiali recuperati, ne sono risultati di particolare interesse alcuni provenienti dalla cucina, come un barile di ceci, uno che aveva contenuto lardo (del carico o consumato a bordo?) ed un piatto con la data del 1696. Un fotomosaico dello scafo, insieme a tutte le informazioni derivate dalle immersioni, ha consentito di farsi un’idea del tipo della nave, che l’alto castello di prua, tre alberi di notevoli dimensioni, la proporzione (tra 3:1 e 4:1) tra lunghezza e larghezza e varie altre caratteristiche indicavano probabilmente come un flauto (flute, fliut), imbarcazione olandese da carico assai comune nel XVII secolo. A.L. La Redazione ha accolto questo scritto dell’archeologo russo Andrei Lukoshkov con soddisfazione. Le ricerche in corso in Russia non hanno ancora la diffusione internazionale che meriterebbero, nonostante presentino indubbi elementi di interesse, ovviamente storico ma anche tecnico, per le particolari condizioni ambientali. Se la pubblicazione di questo articolo, in forma adattata, è stata resa possibile, lo si deve ad un accurato e complesso lavoro di traduzione: prima dal russo in spagnolo di Ieva Reklaityte (Università di Saragozza), poi dallo spagnolo in italiano del prof. Piero A. Gianfrotta (Università della Tuscia-Viterbo); entrambe le versioni sono state riviste a cura del prof. Manuel Martín-Bueno (Università di Saragozza). Archeologia subacquea a Bordighera ricerca e della metodologia archeologica subacquea: prospezione, rilevamento, scavo, alta profondità, relitti, commerci, architettura navale, topografia marittima, conservazione e musealizzazione. Il corso, coordinato da Daniela Gandolfi (Istituto Internazionale di Studi Liguri) e da Piero A. Gianfrotta (Università di Viterbo), cui hanno partecipato 30 allievi provenienti da molte regioni italiane, è stato aperto da Giuseppina Spadea, Soprintendente Archeologo della Liguria. Si sono alternati come docenti Carlo Beltrame (Università di Venezia), Hélène Bernard (DRASSM, Marsiglia), Fede Berti (Museo Archeologico di Ferrara), Giulia Boetto (Centre C. Jullien, Aix-en-Provence), Andrea Camilli (Soprintendenza Archeologica, Firenze), Rubens D’Oriano (Soprintendenza Archeologica, Sassari- Olbia), Enrico Felici (Università di Viterbo), Luigi Fozzati (Soprintendenza Archeologica, Venezia), Xavier F. Nieto (CASC, Girona), Giuliano Volpe (Università di Foggia). © 2005 Edipuglia s.r.l., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale XI,1. Gennaio - Aprile 2005 4 Corsi CMAS I l Comitato scientifico della C.M.A.S., Confédération Mondiale des Activités Subaquatiques, in collaborazione con la Federación Andaluza de Actividades Subacuáticas (FAAS), organizza corsi secondo gli standard C.M.A.S. per subacqueo scientifico (CSD) e subacqueo scientifico avanzato (CASD). I corsi sono rivolti a subacquei di comprovata esperienza in attività scientifica subacquea e che abbiano rapporti professionali con istituzioni dalle finalità scientifiche, dotati di brevetto e di età superiore a 18 anni; si terranno nel centro di immersione CRISED, nei pressi di Almería (Spagna), dal 12 al 17 settembre 2005 e vedranno impegnati istruttori di immersione scientifica C.M.A.S. Saranno ammessi 15 partecipanti; in caso di un numero maggiore di richieste verrà data precedenza a subacquei con titolo universitario scientifico, a personale di istituzioni o a coloro che partecipano a progetti di ricerca. Le iscrizioni chiudono il 30 giugno. Scopo del corso è l’introduzione alle tecniche di base della ricerca scientifica subacquea teorica e pratica. Al termine verrà svolto un esame teorico di valutazione. La lingua principale è lo spagnolo, integrato con strumenti didattici in inglese. Il programma è così articolato: Il subacqueo scientifico, normativa; Sicurezza: prevenzione e salvamento; Gestione e pianificazione; Tecniche di uso generale; Tecniche specifiche. Per la parte pratica: Topografia subacquea, Prospezione, Posizionamento, Raccolta di campioni e dati in oceanografia, biologia, geologia e archeologia, Tecniche ausiliarie, Tecniche di ripresa fotografica e video. Il titolo di Subacqueo Scientifico C.M.A.S. attesta la capacità di far parte di un gruppo di ricerca scientifica subacquea, mentre il titolo di Subacqueo Scientifico Avanzato conferisce la competenza di organizzare un gruppo. La C.M.A.S. sottolinea come questi titoli certifichino solamente un livello di addestramento: i contenuti non prevedono perciò aspetti come attitudine medica, norme di sicurezza e limiti di profondità, temi che sono regolati dalle leggi nazionali. La certificazione C.M.A.S. attesta una competenza che promuova la circolazione tra operatori scientifici tra paesi dove abbia sede una federazione C.M.A.S. per partecipare a progetti di ricerca subacquea con autorespiratore. E.F. Per informazioni e modalità di partecipazione: C.M.A.S. Headquarter, viale Tiziano 74, 00196 Roma; fax: 0632110595; e-mail: [email protected]. Incontri di archeologia navale al Palazzetto Mirto di Palermo I l 2 marzo 2005 si è discusso a Palermo presso la sede della Soprintendenza del Mare a Palazzetto Mirto, della nave arcaica di Gela, durante l’incontro “Ipotesi ricostruttiva della Syrakosia la nave di Gerone. Il relitto arcaico di Gela”. L’incontro è stato il terzo appuntamento dell’iniziativa “I mercoledì di Palazzo Mirto” organizzati dalla Soprintendenza del Mare, nella persona di Sebastiano Tusa, con l’intento di stabilire un ponte tra le istituzioni e il territorio, vale a dire tra gli addetti ai lavori e gli appassionati del mare, associando gli aspetti etnoantropologici e naturalistici a quelli archeologici. Due gli interventi principali: la soprintendente ai Beni culturali e ambientali di Caltanissetta, Rosalba Panvini, ha delineato le caratteristiche della nave di Gela, tra i pochi relitti arcaici in buono stato di conservazione. Risalente al primo ventennio del IV secolo a.C., è un’imbarcazione di tipo a guscio, lunga 21 metri e larga 7, con un pregevole carico di ceramiche attiche, anfore da trasporto e vari oggetti che BIBLIOTHECA ARCHAEOLOGICA (n.12) ATTI DEL II CONVEGNO NAZIONALE DI ARCHEOLOGIA SUBACQUEA. (CASTIGLIONCELLO 7-9 SETTEMBRE 2001). © 2003, f.to 21x30, pp. 312, ill. b/n., ril. ISBN 88-7228-367-1 € 60,00 Insulae Diomedeae n.1 Bruno Fabbri, Sabrina Gualtieri, Giuliano Volpe (a cura di) TECNOLOGIA DI LAVORAZIONE E IMPIEGHI DEI MANUFATTI Atti della 7a Giornata di Archeometria della Ceramica © 2005, f.to 21x30, pp. 156, ill. b/n, e col., bross. ISBN 88-7228-424-4 € 40,00 Insulae Diomedeae n.2 Elizabeth Deniaux LE CANAL D’OTRANTE ET LA MÉDITERRANÉE ANTIQUE ET MEDIÉVALE Colloque organisé à l’Université de Paris X - Nanterre © 2005, f.to 21x30, pp. 108, ill. b/n, bross. ISBN 88-7228-418-X € 30,00 TÀ VI NO BIBLIOTHECA ARCHAEOLOGICA (n.15) Marta Giacobelli (a cura di) LEZIONI FABIO FACCENNA. CONFERENZE DI ARCHEOLOGIA SUBACQUEA (III-V CICLO) © 2003, f.to 21x30, pp. 142, ill. b/n., ril. ISBN 88-7228-404-X € 25,00 permettono di ricostruire l’ipotetica rotta della nave. Marco Bonino, docente di Archeologia navale presso il polo decentrato di Trapani dell’Università di Bologna, ha posto l’attenzione sull’ammiraglia della flotta siracusana, la Syrakosia, la cui esistenza è documentata solo da testimonianze letterarie, in particolare di Ateneo, un grammatico del III secolo che trascrisse la più lunga descrizione di una nave antica attribuita al cronista Moschione per volere di Gerone II di Siracusa. P.P. Per informazioni sulle novità in catalogo visitate il nostro sito: www.edipuglia.it © 2005 Edipuglia s.r.l., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale XI,1. Gennaio - Aprile 2005 5 NOTIZIE Seconda campagna di scavo sul relitto del M e r c u r e N ell’agosto 2004, il Dipartimento di Scienze dell’Antichità e del Vicino Oriente dell’Università Ca’ Foscari, assieme alla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto (ufficio NAUSICAA), ha condotto uno scavo archeologico sottomarino sul relitto del Mercure, localizzato a sette miglia da Punta Tagliamento, al confine tra le acque venete e quelle friulane, e a 18 metri di profondità. L’operazione è stata possibile grazie ad un finanziamento della Città di Lignano Sabbiadoro e ad una sovvenzione della Fondazione di Venezia (Bando Beni Culturali), nonché alla collaborazione dei Nuclei Sommozzatori dei Vigili del Fuoco e dei Carabinieri di Trieste. Hanno partecipato alla missione: C. Beltrame (direttore); S. Caressa (direttore tecnico), D. Gaddi (archeologo, collab. Dip. S.A.V.O.); F. Dossola (sommozzatore, NAUSICAA); T. Lanave, S. Moschella, A. Canalini (studenti Università Ca’ Foscari); E. Ferlizza (studentessa Università della Tuscia); A. Rosso ed E. Gordini (geologi); G. Merighi (fotografo). Si è trattata di una delle prime esperienze di ricerca nel campo dell’archeologia navale per un ateneo italiano e di una rara occasione di formazione pratica nel settore per alcuni studenti con brevetto subacqueo avanzato. A questi due aspetti si aggiunge quello della tutela; essendo infatti il giacimento esposto all’impatto della pesca a strascico e ai clandestini, le operazioni di quest’anno hanno permesso di recuperare i manufatti maggiormente a rischio. Il Mercure è un brick (un due alberi, ad un ponte) francese affondato, il 22 febbraio 1812, da una flotta inglese nel corso della Battaglia di Grado. La flotta francese, composta da tre brick di scorta al vascello da 74 cannoni Rivoli, da poco varato in Arsenale, si era infatti avventurata fuori del porto di Malamocco nella notte del 21 febbraio. Il vascello Victorius e il brick Weasel, che l’attendevano al varco, si misero in caccia. Intorno alle 3 del mattino il Mercure venne raggiunto e, dopo soli 40 minuti di cannoneggiamento, saltò in aria. Poche ore dopo, il Rivoli dovette arrendersi e venne inglobato nelle forze inglesi. Fu questo un episodio cruento - morirono infatti circa 400 marinai - e tragico per Napoleone, in quanto dovette abbandonare ogni speranza di contrastare la supremazia inglese sull’Adriatico. La scoperta del relitto si deve ad un Fase di recupero delle carronate Fase di documentazione fotogrammetrica © 2005 Edipuglia s.r.l., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale XI,1. Gennaio - Aprile 2005 6 Puleggia in legno con boccola di bronzo di bozzello peschereccio che nel 2001 “pescò” una “carronata” ossia uno dei 16 pezzi di artiglieria a canna corta con cui era armato il Mercure. Data e nome dell’ingegnere costruttore della nave, presenti sulla culatta, permisero di identificare i resti. Chiavarde in bronzo per il collegamento dei vari elementi dello scafo del Mercure Nel 2001, NAUSICAA organizzò una prima campagna di estrema urgenza, affidando la direzione a chi scrive, che permise di rintracciare il relitto e di identificare altre carronate sparse su una vasta area del fondale. Con la campagna del 2004 si è continuato lo scavo sul nucleo centrale del relitto eseguendo anche una documentazione fotogrammetrica. Inoltre, grazie alla collaborazione dell’impresa La Dragaggi di Chioggia, della Capitaneria di Porto e della Marina Militare (Museo Navale) di Venezia, è stato possibile recuperare tre delle otto carronate note che sono state portate all’Arsenale in attesa di restauro. Il nucleo centrale del relitto quest’anno ha rivelato delle sorprese interessanti. Il cumulo di pani di zavorra concrezionati con palle di cannone ed altri oggetti, documentato nel 2001, ha lasciato il posto nello scavo, spintosi più a nord, a numerosi oggetti tra cui munizioni, di vario calibro, per colpi a raffica, chiavarde e chiodi di bronzo appartenenti allo scafo e varie pulegge di manovre. In quest’area, è emerso anche un tratto di fiancata dello scafo. La carena è rivestita da una lamina di rame inchiodata, caratteristica protezione delle navi dell’epoca. Le condizioni di giacitura del relitto fanno ben sperare in una buona conservazione dell’opera viva dello scafo. Nel corso delle prospezioni della vastissima zona di naufragio (circa m 150 x 50), è stata scoperta un’area costituita da pani di ghisa della zavorra perduti dalla nave. Operazioni di quotatura Il lavoro è stato eseguito per mezzo di un’imbarcazione da lavoro di m 10 (“Castorino 2”) e di una piccola barca appoggio. Per la prossima estate la Città di Lignano ha in programma una mostra sul relitto mentre chi scrive punterà anche al proseguimento dello scavo sia per finalità di ricerca sia per garantire agli studenti interessati all’archeologia marittima un’opportunità unica di formazione. La notevole attenzione prestata dai mass media all’iniziativa, sia stampa locale sia RAI regionale e prossimamente nazionale, si spera possa invogliare eventuali privati a finanziare un’attività che difficilmente può contare solo su risorse pubbliche. C.B. BIBLIOGRAFIA: C. Beltrame, D. Gaddi, Report on the first research campaign at the wreck of the Napoleonic brick, Mercure, Lignano, Udine, in The International Journal of Nautical Archaeology 31.1, 2002, pp. 60-73. C. Beltrame, D. Gaddi, Resoconto della prima campagna di indagine sul relitto del brick napoleonico Mercure (Lignano – UD), in A.I.A.Sub. (a cura di), Atti del II Convegno nazionale di archeologia subacquea, (Castiglioncello 2001) Bari 2003, pp. 125-134. © 2005 Edipuglia s.r.l., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale XI,1. Gennaio - Aprile 2005 7 RICERCHE IN CORSO C Progetto ANSER : comunicare la memoria del Mediterraneo on il seminario “Comunicare la memoria del Mediterraneo” svoltosi a Pisa il 29-30 ottobre 2004 si è conclusa la rassegna di ricerche e scambi di esperienze svoltisi in quest’ultimo anno nell’ambito del progetto ANSER, coordinato dalla Regione Toscana. A conclusione del ciclo dei seminari internazionali, nel seminario di Pisa si è cercato di mettere a fuoco un tema trasversale ma di primaria importanza: la valorizzazione di questo patrimonio. Il seminario è stato suddiviso in tre sessioni: Strumenti, Esperienze e Progetti. La prima sessione è stata dedicata al ruolo della comunicazione e dei suoi strumenti, che vanno dall’impianto di una visione storica alle tecniche specifiche che favoriscono la diffusione delle conoscenze, alla funzione educativa e culturale dei musei e delle istituzioni che hanno il compito di conservare il patrimonio per renderlo accessibile al pubblico. Ha dato inizio alle relazioni Béat Arnold (Service et musée d’archéologie, Neuchâtel), tracciando il percorso che ha condotto lo scafo della chiatta gallo-romana di Be- vaix dalla sua scoperta nel 1970 fino all’attuale esposizione. La storia dell’imbarcazione, lunga 20 metri e costruita con querce abbattute nel 142 d.C., corre parallelamente a quella della ricerca archeologica nel cantone di Neuchâtel e del museo in cui è esposta, che da piccolo e polveroso museo locale è divenuto l’ampio e moderno museo “Laténium” (nome ispirato dal celebre sito di La Téne), vincitore nel 2003 del Premio dei musei del Consiglio d’Europa. Forte carattere interdisciplinare ha avuto il lavoro svolto nell’ambito del progetto ANSER dal gruppo coordinato da Marinella Pasquinucci (Università di Pisa), che ha presentato i principali risultati delle ricerche relative alla cartografia storica del litorale toscano, all’elaborazione di immagini satellitari, all’iconografia della costa e degli insediamenti portuali toscani dal XVI al XVIII sec. e il modello batimetrico di due settori della Toscana costiera. Si tratta di ricerche che integrano indagini geomorfologiche, paleogeografiche, archeologiche e storiche, con l’applicazione di tecnichediagnostiche non distruttive. Non pochi spunti di riflessione ha suscitato il contributo di Philippe Jockey (Università Relitto C di Punta Ala. Rilievo dello scafo Il Progetto ANSER I l progetto europeo ANSER (Antiche rotte marittime del Mediterraneo) ha coinvolto la maggior parte dei paesi che si affacciano sul bacino occidentale del Mediterraneo, con l’obiettivo di valorizzarne il patrimonio archeologico e culturale marittimo. Al centro degli interessi del progetto sono le antiche rotte del Mediterraneo, legate alla presenza di porti e approdi, relitti e altri giacimenti subacquei, tutti elementi che hanno consentito di raccogliere un’ingente quantità di informazioni sugli scambi intercorsi tra le diverse sponde di questo mare. Il progetto ha cercato di proporre soluzioni innovative per una valorizzazione non distruttiva di questo patrimonio e per migliorarne la fruizione pubblica, promuovendo inoltre una rete stabile di cooperazione tra le amministrazioni e le istituzioni dei paesi coinvolti. Tra le iniziative scientifiche promosse dal progetto si segnalano i seminari internazionali, oltre quello conclusivo svoltosi a Pisa qui presentato, che hanno sviluppato il confronto diretto tra gli specialisti: • Il contesto paleoambientale dei porti e degli approdi antichi (Alicante, 14-15 novembre 2003); • Le strutture degli antichi porti e degli approdi (Ostia Antica, 1617 aprile 2004); • Le attività umane dei porti antichi e degli approdi (Marsiglia 14-15 maggio 2004); • Rotte e porti del Mediterraneo dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente, Continuità e innovazioni tecnologiche e funzionali (Genova, 18-19 giugno 2004). Tre corsi internazionali sono stati dedicati alla formazione di giovani neolaureati e alla qualificazione professionale di operatori del patrimonio archeologico: • Tecnologie e metodologie innovative per lo studio e il restauro dei materiali archeologici, a cura dell’Istituto di Fisica Applicata IFAC-CNR di Firenze (Castiglioncello, Livorno, 31 maggio-5 giugno 2004); • Metodologie e tecnologie applicate alle ricerche archeologiche subacquee, a cura della Regione Lazio e della Soprintendenza per i Beni Archeologici di Ostia (Roma, 7-11 giugno 2004); • Nuove tecnologie per l’archeologia subacquea a cura dell’Ayuntamento de Villajoyosa (Villajoyosa, Alicante, 3-14 luglio 2004). Uno degli intenti del progetto è stato quello di coniugare la conservazione del patrimonio culturale con la gestione delle risorse: su questo si fonda un’iniziativa che ha visto il contributo di tutti i partenaires del progetto, la creazione del database ARCHEOMED, riguardante l’archeologia marittima, con un repertorio di porti, approdi antichi e relitti, associato alla realizzazione di una cartografia numerica di questi contesti, per condividere un sistema informativo comune, del quale è stato definito il formato ed è iniziata l’implementazione, che consenta la consultazione simultanea in internet di tutti gli archivi gestiti autonomamente dai singoli partner. © 2005 Edipuglia s.r.l., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale XI,1. Gennaio - Aprile 2005 8 Ricostruzione di uno scavo subacqueo al MARQ di Alicante della Provenza), che ha tracciato un profilo storico della rappresentazione dell’archeologia nel Mediterraneo dal XV sec. ai nostri giorni. Al di là della loro evidenza materiale, le vestigia archeologiche sono passate e passano nella storia per mezzo della loro immagine, sia essa grafica, fotografica o videografica. Un’immagine che quasi mai è oggettiva e che coinvolge anche un altro attore-regista, l’archeologo, che spesso non ha esitato a rubare le scena a ciò che documentava. Strettamente legati alla ricerca archeologica subacquea in Toscana sono stati i successivi interventi di Franca Cibecchini (Università di Pisa) e Pamela Gambogi (Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, responsabile del Nucleo operativo subacqueo). Nel primo è stata tracciata a grandi linee la storia dell’evoluzione dell’archeologia subacquea in Toscana, dai primi interventi di Nino Lamboglia tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60 ai nostri giorni. Un quadro che ha permesso di presentare una prima valutazione sullo stato delle conoscenze del patrimonio sommerso, sull’attuale stato di conservazione dei numerosi giacimenti indagati nel corso dell’ultimo cinquantennio e, di conseguenza, di valutarne le possibilità di pubblica fruizione, in situ o tramite musealizzazione. Il secondo intervento è stato centrato soprattutto sull’attività svolta negli ultimi dieci anni dal Nucleo Operativo Subacqueo della Soprintendenza Archeologica della Toscana. Dopo i grandi scavi degli anni ’80 (Relitto del Pozzino, Giglio Porto e Giglio Campese), alle ricerche sulle Secche della Meloria nei primi anni ’90 fino alle campagne annuali svolte dal 1998 a Punta Ala, che hanno permesso di indagare oltre cinque relitti antichi. Insieme a queste campagne sistematiche, si segnalano alcuni interventi di conservazione in situ di particolari reperti, come il restauro e la manutenzione in acqua di una base di colonna in marmo all’Argentarola (Grosseto), e le operazioni legate all’utilizzo di tecnologie innovative, come la prospezione del relitto profondo Elba Sud (-177 m) in collaborazione con la Comex di Marsiglia. Xavier Nieto (direttore del CASC, Girona) ha portato la testimonianza di un tentativo riuscito di visite guidate a giacimenti archeologici sottomarini, quello del porto di Ampurias. È stato qui creato un percorso archeologico subacqueo che permette di visitare le strutture sommerse del porto e alcuni “oggetti” rappresentativi, nuotando in superficie e abbattendo così molti dei problemi di sicurezza creati dall’immersione con autorespiratore (vd. L’archeologo subacqueo, n. 30). Alcune problematiche legate ai metodi, pratiche e prospettive per la valorizzazione del patrimonio culturale marittimo euro-mediterraneo, sono state esposte da Anna Misiani (Istituto per il Mediterraneo, iMed). L’attività dei partners, coordinati dall’iMed, si è inquadrata soprattutto nella realizzazione della Guida metodologica per lo sviluppo sostenibile del patrimonio sommerso. Grabiella Garzella (Università di Pisa) ha chiuso la prima sezione presentando un bilancio delle realizzazioni e prospettive createsi grazie alla mostra “Pisa ed il Mediterraneo”, sia a livello d’iniziative locali che scientifiche. Nella seconda sezione del seminario, “Esperienze”, sono stati presentati alcuni esempi di valorizzazione del patrimonio marittimo Mediterraneo, scegliendo tra le esperienze ritenute più significative a livello locale, nazionale e internazionale. Rafael Azuar ha presentato il rinnovato Museo Arqueológico Provincial di Alicante (MARQ), che ha avuto il riconoscimento di “Museo dell’anno 2004” dall’European Museum Forum sotto gli auspici del Consiglio d’Europa, all’interno del quale un’intera sala è stata dedicata all’archeologia subacquea. Hassan Limane (Ministero per la Comunicazione e la Cultura del Marocco) ha illustrato invece come la valorizzazione di uno dei siti archeologici più importanti del Marocco, Lixus, centro portuale aperto al commercio grazie anche alla produzione di pesce conservato, sia possibile solo grazie a collaborazioni locali, nazionali ed internazionali e possa costituire un veicolo di sviluppo economico e sociale per la regione. Tornando a questioni di musealizzazione, Myriame Morel (Musèe d’Histoire de Marseille) ha presentato una sintesi sui problemi di trattamento, conservazione e valorizzazione dei materiali organici impregnati d’acqua affrontati a Marsiglia negli ultimi decenni. Ha chiuso gli interventi Massimo Zucconi (Parchi Val di Cornia s.p.a.) con l’esperienza di gestione imprenditoriale del patrimonio culturale e ambientale pubblico realizzata dalla Parchi Val di Cornia s.p.a., impresa che gestisce ben sei parchi (archeologici e naturali), con alcuni musei e centri di documentazione, oltre ad una vasta gamma di servizi turistici associati (ostelli, ristoranti, parcheggi etc.). Alle relazioni è seguita una tavola rotonda, nella quale sono stati discusse in particolare la conservazione e la valorizzazione delle imbarcazioni antiche e più in generale del patrimonio marittimo. Alla terza sezione, “Progetti”, è stata dedicata la seconda giornata, particolarmente densa di interventi e conclusasi con una visita al cantiere delle navi di Pisa. Tre sono i grandi progetti per il patrimonio archeologico subacqueo e navale di Venezia presentati da Luigi Fozzati (Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto NAUSICAA). Il primo riguarda la costituzione di un magazzino che possa accogliere in maniera definitiva l’ingente quantità di reperti, anche di notevoli dimensioni, recuperati grazie alla ricerche archeologiche avviate dal 1986 a Venezia e nella Laguna Veneta. La scelta è caduta sull’Isola del Lazzaretto Nuovo, che unisce facilità di accesso e di residenza in loco per gli studiosi alla presenza di ambienti già restaurati e subito disponibili, dove possono trovare posto tra i 100.000 e 1.000.000 © 2005 Edipuglia s.r.l., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale XI,1. Gennaio - Aprile 2005 9 manufatti. Tempi maggiori richiederà invece la costituzione a Venezia di un Laboratorio per il Restauro di Manufatti Subacquei (LARMS). L’area ideale è stata individuata in un capannone del complesso dell’Arsenale, che possiede anche lo spazio utile per il restauro della galea del XIII sec. di San Marco in Boccalama ed è dunque già in corso di definizione la convezione con la marina Militare che possiede la zona. Infine, si prevede l’istituzione sull’Isola del Lazzaretto Vecchio del “Museo Nazionale di Archeologia della città e della Laguna di Venezia”, tuttora incredibilmente mancante in una città così ricca di storia. Il progetto Archeomar bandito dal Ministero dei Beni Culturali ha quale principale obiettivo la realizzazione di una moderna ed aggiornata cartografia vettoriale ed una banca dati delle evidenze storico-archeologiche subacquee, come ha spiegato Massimo Capulli. I risultati sono stati sinora superiori alle aspettative, con la scoperta di decine di relitti inediti e il preciso posizionamento di centinaia di siti d’interesse storico-archeologico, tra cui due relitti d’età imperiale rinvenuti intatti ad alta profondità vicino a Capri. Timothy Gambin (Foundation for International Studies) ha proposto la creazione di un percorso storico-culturale attorno a Boumarrad, uno dei più antichi porti di Malta, con l’intento di valorizzare non solo le strutture portuali ma anche le attività umane che si sono sviluppate attorno ad esse. Il porto si trova vicino ad uno dei centri turistici dell’isola, ma tale area è stata spesso tagliata fuori dalle attività culturali. Si tratterebbe del primo esempio di tale genere nell’isola, un percorso che potrebbe offrire ai turisti e ai locali la possibilità di visitare una sorta di museo vivente e nel contempo costituire un’attrattiva culturale di particolare interesse nelle stagioni di minor affollamento turistico. Il Progetto Caleta del Centro de Arqueología Subacuática dell’Andalusia, è stato esposto da Carlos Alonso Villalobos. La proposta d’intervento ha lo scopo finale di creare nell’ambito del Centro de Arqueología Subacuática, che ha sede a Cadice, un laboratorio per la sperimentazione dei problemi posti dall’accessibilità e allo stesso tempo dalla conservazione del patrimonio marittimo. La creazione di un itinerario subacqueo guidato ai numerosi reperti storico-archeologici presenti nelle acque della caletta prospiciente il centro è, ad esempio, solo uno dei molti interventi previsti da questo progetto. La complessa storia di Baia sommersa, dai recuperi casuali all’avvio della ricerca scientifica fino alla costituzione dell’area marina protetta nel 2002 (D.I. 7.08.2002), è stata illustrata da Paola Miniero (Soprintendenza per i Beni archeologici di Napoli e Caserta) (vd. in questo fascicolo a p.19). Con l’istituzione del Parco Sommerso le aree di Baia sommersa e di Gaiola sono Rilievo con multibeam tutelate sia per la componente archeologica sia per quella ambientale. Altra importante novità è che per la prima volta l’Ente gestore è una Soprintendenza archeologica, con un suo proprio bilancio che permette la programmazione degli obiettivi scientifici e di tutela, ma anche di disciplinare le attività previste nei due Parchi d’intesa con la Capitaneria. In quest’ambito si cerca di promuovere uno sviluppo socio-economico compatibile, privilegiando le attività tradizionali e le imprese locali. Tra le iniziative svolte con tali obiettivi rientra l’indagine del fondale marino mediante l’utilizzo del sistema di rilevamento integrato multibeam, che ha permesso una nuova e precisa mappatura delle strutture presenti. Gli ultimi tre interventi sono stati dedicati ad altrettanti complessi e costosi cantieri di scavo di relitti interrati, attualmente in corso. Rubens D’Oriano (Soprintendenza per i Beni archeologici di Sassari e Nuoro), ha ripercorso le varie fasi dello scavo dei relitti del Porto di Olbia (cfr. L'archeologo subacqueo n. 21), i risultati ottenuti e le tecniche di restauro (con l’innovativo metodo tramite “impregnazione degli amidi”) degli scafi lignei. Di cinque dei relitti principali (tre del V sec. d.C. e due medievali) è prevista l’esposizione nel Museo Archeologico di Olbia, la cui edificazione è appena terminata. Per adattare l’edificio alle nuove esigenze espositive si è semplicemente progettato di coprire la grande corte centrale, in origine uno spazio aperto, in modo da potervi alloggiare i relitti, il primo dei quali sarà esposto entro il 2005. Daniela Giampaola (Soprintendenza per i Beni archeologici di Napoli e Caserta) e Vittoria Carsana (Istituto Suor Orsola Be- nincasa) hanno illustrato la storia e lo scavo archeologico del porto di Neapolis (vd. L'archeologo subacqueo nn. 29, 30) sotto l’attuale piazza Municipio, dove sono stati rinvenuti due relitti della seconda metà del I sec. d.C. ed un terzo affondato tra la fine del II-inizi III sec. d. C. Tutti sono stati recuperati e, in attesa del restauro, sono conservati in un capannone attrezzato e climatizzato, messo a disposizione dal Comune di Napoli. È in corso di studio la possibilità di esporre i rinvenimenti nell’ambito di una struttura museale. Ha chiuso il convegno, Andrea Camilli (Soprintendenza per i Beni archeologici della Toscana) anche in funzione della visita al cantiere delle navi di Pisa prevista per il pomeriggio. Al cantiere di scavo, non più d’emergenza, verranno associati una serie di laboratori connessi allo studio dei reperti, dedicato in particolare alla ceramica e alla petrografia. Sono inoltre in via di realizzazione alcuni edifici a lato del cantiere destinati al laboratorio sul legno bagnato, dove si potrà procedere al trattamento delle numerose imbarcazioni, alla sperimentazione delle varie tecniche di restauro e al trattamento dell’enorme quantità di reperti organici. La realizzazione di uno spazio museale adeguato ad accogliere le navi sarà preceduto da una serie di iniziative tematiche, tra cui il riallestimento di una mostra temporanea. L’obiettivo finale è non solo quello di valorizzare e conservare il patrimonio archeologico ma anche di sviluppare una serie di servizi aggiuntivi e di programmi di formazione professionale e didattica. © 2005 Edipuglia s.r.l., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale F.C. XI,1. Gennaio - Aprile 2005 10 SPECIALE: RICERCA E DIDATTICA NEL SALENTO Archeologia subacquea e Università: Un cantiere didattico di prospezione e rilievo nella Puglia meridionale D al 1 al 18 settembre 2004 si è svolto il primo Cantiere Didattico di Archeologia Subacquea nell’ambito delle attività “estive” programmate dall’Università di Lecce. L’aggettivo “didattico” non è accessorio. Chi scrive ha molto insistito sulla dimensione formativa di quest’intervento: non si è voluto solamente mettere in atto un progetto di ricerca aperto anche a studenti, ma anche avviare una proposta di ridefinizione dell’insegnamento di Archeologia Subacquea, per ora relegato in una formula esclusivamente teorica, malgrado afferisca a pieno titolo al settore della Metodologia della ricerca scientifica. Che l’indagine subacquea si ponga come fase essenziale nel processo formativo universitario (e sottolineo universitario), è un assunto ribadito più volte su queste pagine (vd. L’archeologo subacqueo nn. 17 e 20). Poter proporre una formazione superiore in archeologia subacquea che comprendesse anche un tirocinio, esperienze di scavo e relazioni con il mondo del lavoro significherebbe contribuire a riscattare i pesanti ritardi che l’Italia ha accumulato in questo ambito rispetto ad altri paesi nella definizione di una figura professionale specializzata. Queste premesse spiegano la tipologia dell’intervento e la scelta dei giacimenti indagati: si è condotta una campagna di prospezioni, controlli e rilievi di evidenze lungo la costa della Puglia meridionale che, per posizione e profondità, risultavano congeniali all’impostazione di un cantiere didattico. Com’è noto, per la legislazione italiana chi organizza un’immersione ne ha una responsabilità anche penale: ciò, tra l’altro, spiega le difficoltà di gestione e di direzione di un cantiere archeologico in acqua. Abbiamo escluso, per questo primo anno, l’attuazione di un vero e proprio scavo, principalmente per mancanza di fondi, ma anche per darci modo di graduare l’esperimento, rodarci e scegliere successivamente sulla base dell’esperienza acquisita. I dati sono stati più che incoraggianti, in primo luogo per l’adesione di un folto gruppo di studenti dell’Università di Lecce, selezionati tra aspiranti anche di altri Atenei e specializzandi della Facoltà leccese. Hanno partecipato 21 studenti in due gruppi impegnati 10 giorni ciascuno; sono state effettuate complessivamente ben 333 Carta generale dei siti esaminati ore di immersione. Le esercitazioni di survey (anche con uso del metal detector) e di rilievo (tramite trilaterazione, coordinate cartesiane, reticolo di dettaglio) hanno interessato relitti (sia relativamente al carico che ai resti degli scafi) e strutture sommerse, oltre a evidenze di altro genere. Oltre ai rilievi è stata realizzata documentazione video-fotografica a cura di Fernando Zongolo, Davide Cafarella e Cristiana Zongoli. Hanno inoltre collaborato il Gruppo Ricerche Subacquee “N. Lamboglia” di Brindisi, ed in particolare Luigi Zongoli, Desiderio Camassa e Fernando Zongolo, la società Naukleros, Patrizio Indino e Giuseppe Pipitone, Erica Florido, Maurizio Di Bartolo e Viviana Iannuzzi. Debitamente assistiti, gli studenti hanno lavorato anche sugli aspetti tecnici dell’immersione e sui protocolli della sicurezza. Nonostante le potenzialità archeologiche di alcuni giacimenti e il carattere didattico dell’intervento non si sono potute adottare strategie e strumenti di indagine innovativi, nel- l’ottica della sperimentazione metodologica, per i costi che avrebbero comportato, e ci si è perciò limitati a trasmettere “nozioni” di base. L’intervento è stato condotto nell’ambito di una collaborazione – “cementata” con una convenzione – tra il Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Lecce (in particolare il prof. Cosimo Pagliata) e la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia (che si coglie qui l’occasione per ringraziare) che ha come fine precipuo l’incremento delle conoscenze sul patrimonio archeologico subacqueo della Puglia e l’aggiornamento della Carta Archeologica Subacquea a cura della scrivente. In quest’ottica, i risultati (che si spera di presentare integralmente nei prossimi mesi in una mostra a Lecce) sono stati superiori alle aspettative: si sono infatti precisate entità e caratteristiche di alcuni siti noti (è il caso di Torre S. Sabina, Saturo, Torre S. Andrea, Cala Padovano di Mola), mentre altri si sono individuati e analizzati in seguito a © 2005 Edipuglia s.r.l., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale XI,1. Gennaio - Aprile 2005 11 SPECIALE recentissime segnalazioni. Questa esperienza, in conclusione, ha permesso di cogliere in misura significativa le potenzialità archeologiche del mare pugliese; inoltre, la maggior parte dei giacimenti esaminati (o ri-esaminati) potrebbe, con pochi accorgimenti e buona volontà da parte delle Istituzioni, essere resa accessibile al turismo archeologico. Cala Padovano - Mola (Ba) Cala Padovano, a 3 km a nord dal centro abitato di Mola di Bari (litoranea Torre a MareMola), è caratterizzata da una piccola e profonda insenatura, allo sbocco di una lama di modeste dimensioni e da una scogliera piuttosto bassa e poco frastagliata. È nota soprattutto per una villa romana tardorepubblicana, costruita sul finire del II sec. a.C. e abbandonata nei primi del II sec. d.C.: scavata dalla Soprintendenza tra gli anni 1990 e 1995, è stata interpretata come “mansio”, stazione di posta lungo la via TraianaCalabra, che fonti locali individuano poco lontana dalla villa stessa. La prospezione aveva come finalità precipue il controllo della segnalazione di un molo, citato dalle fonti storiche e l’individuazione di ulteriori evidenze archeologiche subacquee. Le propaggini della roccia, che dalla terraferma si spingono verso il mare aperto, hanno un andamento SE-NW e per le loro dimensioni e la loro regolarità possono aver rappresentato una base naturale ottimale sulla quale impostare e costruire una sorta di antemurale posto a protezione della cala. Infatti, quello che abbiamo visto sott’acqua sembra probabilmente potersi interpretare come una costruzione a pietre perse, nel tratto iniziale sud-orientale smantellata e quindi discontinua, che diviene più riconoscibile procedendo verso nord. Ai massi, per lo più informi, isolati o embricati a gruppi di due o tre, che si dispongono lungo quest’allineamento parallelo alla costa, subentra un dosso allungato costituito da pietrame di medie e grandi dimensioni. Alla fine di questo segmento la struttura appare più conservata, data la presenza di grandi blocchi parallelepipedi che sembrano lavorati (m 3.70 (asse n-s) x 1.60 x 0.80). Almeno quattro di essi appaiono giustapposti e affiancati sul lato lungo; sembrano in parte poggiare sul dosso di pietrame più minuto ma sul lato più esterno; non sono infatti piani: la faccia superiore, inclinata, è a – 1 m ca. La base della breve scarpa è a – 3 m circa sul lato interno. Sul fondo, ingombro di pietrame derivante probabilmente dalla distruzione della struttura per il moto ondoso, si individua chiaramente un avvallamento, interpretabile come un canale probabilmente naturale (il paleoalveo della lama?), con andamento sinuoso, il cui passaggio coincide significativamente con l’interruzione della struttura. Non è da escludere che una struttura similare potesse svilupparsi nel settore nord-occi- Cala Padovano. I blocchi dell’antemurale Giancola. Il rilievo dei resti lignei dentale dell’insenatura, con andamento sempre parallelo alla linea di costa, per chiudere anche qui lo specchio di mare prospiciente la villa. Infatti, dopo uno “iato”, coincidente, come si è detto, con il passaggio del canale, sono nuovamente presenti alla stessa batimetria massi di varie dimensioni, che raggiungono in maniera discontinua e caotica il costone nord-occidentale. Potrebbe peraltro qui trattarsi semplicemente dei resti di una scogliera naturale, fortemente esposta ai venti dominanti. Il fondo è cosparso di materiali ceramici, soprattutto frammenti di anfore e di ceramica comune; sono ora in fase di studio, ma sembrano rimandare all’arco cronologico di frequentazione della villa, tra la tarda Repubblica e l’alto Impero. Alla prospezione subacquea ha fatto seguito una ricognizione a terra, lungo la spiaggia ad ovest della lama, dinan- zi e oltre i resti della villa: la stretta fascia costiera è fortemente incisa da cave e da vasche per la produzione del sale. Giancola (Br) Un intervento di rilievo ha interessato il relitto rinvenuto da D. Cafarella e C. Zongoli in località Giancola, a nord di Brindisi, quasi in corrispondenza dell’attuale foce del canale, a circa 50 m dalla battigia e alla profondità di m 1,70; i resti lignei giacciono su un fondo sabbioso (ciottoloso nella parte sottostante) di cm 60-70 di spessore, prossimo ad un rialzo del fondale dovuto alla presenza di una secca. La porzione superstite dello scafo è ribaltata ed orientata SW - NE. Sono stati messi in evidenza 5 corsi di fasciame per una lunghezza di ca. m 4 e nove ordinate. Queste, che hanno © 2005 Edipuglia s.r.l., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale XI,1. Gennaio - Aprile 2005 12 SPECIALE Torre Chianca di Lecce. Il relitto B: resti di datteri (?) e ossa Torre Chianca di Lecce. Il relitto C: la parte meridionale sezione quadrangolare di 8 x 10 cm, presentano il foro di biscia (cm 4 x 6) verso l’alto, a prova della posizione capovolta dell’imbarcazione. La curvatura dell’opera viva suggerisce l’esistenza di un’ulteriore porzione di fiancata sotto i sedimenti. Il fasciame è accostato a paro e fissato “a mortasa e tenone”. Le mortase sono larghe cm 10 circa e distanti cm 15-20; i tenoni, come al solito, risultano bloccati con caviglie lignee. Sono peraltro visibili sulla superficie esterna del fasciame anche le caviglie più grandi per il fissaggio delle ordinate al guscio. Com’è noto, l’area di Giancola conosce, negli ultimi due secoli della Repubblica un intenso sviluppo. L’approdo è stato, come ad Apani, essenzialmente funzionale alle proprietà fondiarie e alle loro manifatture, in particolare a tre nuclei di fornaci, che sembrano, sulla base di dati stratigrafici, risalire alla fine del II sec. o - tutt’al più - agli inizi del I sec. a.C., e raggiungere, con alterne vicende, la prima età imperiale. Il “caricatore” serviva per un primo trasporto via mare fino al porto di Brindisi, dal quale i grandi carichi di anfore salpavano alla volta degli empori del Mediterraneo, sia occidentale che orientale. Torre Chianca di Lecce A Torre Chianca, la marina a nord di Lecce, si trovano almeno tre relitti, messi in luce da mareggiate e solo pochi mesi fa individuati e segnalati – prima alla Soprintendenza, poi all’Università – da Gianfranco Quarta. La posizione dei relitti, distanti dalla riva m 70-100 e tra loro m 150-200, è significativa per la loro formazione. Sono infatti spiaggiati, in questo caso perfettamente allineati in un “truogolo”, come i geologi chiamano l’av- vallamento del fondale parallelo alla costa, il canale qui compreso tra la battigia e la barra più vicina. Le imbarcazioni, quasi sicuramente in tre momenti diversi, conclusero il loro viaggio probabilmente in modo analogo: in occasione di una mareggiata – che qui raggiunge intensità notevoli – si arenarono in basso fondale presso la battigia e vi furono abbandonate; il moto ondoso le dispose poi di traverso, parallele alla riva. Gli studi di Carlo Beltrame sui relitti spiaggiati ha messo in evidenza le peculiarità di questa categoria: un eccezionale stato di conservazione degli scafi e dei materiali organici e la presenza di oggetti notevoli, caratteristiche che contrastano con l’apparente vulnerabilità; causa sarebbe il veloce processo di copertura, dovuta al moto ondoso, particolarmente turbolento in prossimità della riva, che, a contatto con lo scafo, produrrebbe un’azione di rimescolio e scavo tale da farlo sprofondare e trasformarlo in una “trappola” per i sedimenti e la posidonia. Il primo relitto (A) è attualmente ricoperto. Nel corso delle ricognizioni effettuate dall’autore del rinvenimento prima e dal gruppo dell’Università di Lecce poi, è stato recuperato materiale fittile e metallico. Parzialmente libero risultava invece, ancora a settembre, il relitto B, un’imbarcazione di età romana a fasciame portante e con l’assemblaggio dei corsi del fasciame a paro, cioè con mortase e tenoni. Emergono dai sedimenti le estremità della chiglia, con battura e innesto del torello, fissato anche con chiodi di bronzo, e parte della fiancata orientale (sono visibili almeno otto corsi di fasciame). La chiglia, conservata per una lunghezza di circa m 13, è orientata NNO-SSE. La maglia delle ordinate appare molto regolare e serrata: distano circa cm 15 e hanno sezione perfettamente squadrata. Recano sulla faccia superiore gli intagli per il paramezzale, scomparso. Interessante è la presenza di resti organici: alcuni sembrano potersi identificare, ad un primo sommario esame, con datteri e noccioli di olive; sono apparsi resti ossei, rimasti in situ. I resti vegetali sono rimasti invischiati nella pece che calafatava il fondo della stiva. Sono stati recuperati nell’area materiali ete- © 2005 Edipuglia s.r.l., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale XI,1. Gennaio - Aprile 2005 13 SPECIALE S. Cataldo. Il molo adrianeo: blocchi sommersi del fianco settentrionale Torre Chianca di Porto Cesareo. Le colonne rogenei, che non aiutano, in questa fase del tutto preliminare, a circoscrivere il range cronologico; ricordiamo, tra gli altri, numerosi frammenti anforari e monete, oltre ai chiodi, rinvenuti in grande quantità. Resti di un probabile carico sono invece stati individuati nel giacimento C. Si tratta del relitto più in evidenza, parzialmente coperto da pietre di medie dimensioni, probabilmente la zavorra delle nave; anche in questo caso si sono viste entrambe le estremità della chiglia, distanti circa m 13; è visibile inoltre il paramezzale, lungo m 7.60 e largo m 0.35, scalzato dalla posizione originaria e ruotato perpendicolarmente all’asse della chiglia. Il settore meridionale, non occultato dai sedimenti, mostra parzialmente entrambe le fiancate, e almeno sette ordinate. Alcuni sondaggi di pulizia tra la parte scoperta e il paramezzale, e nell’area a nord di quello, dove il riporto sabbioso è consistente, hanno individuato il fasciame esterno, per cui l’opera viva sembra in buona parte conservata. Tutta l’area del giacimento è cosparsa di materiali fittili; un numero cospicuo di frammenti appartiene ad anfore prodotte in Tunisia e importate in Italia a partire dalla fine del II secolo (forma Africana II C). Significative sono le tracce di ceneri e di combustione con annerimento da fuoco che appare sulla maggior parte dei frammenti, che portano ad includere tra gli eventi che possono aver condotto al naufragio e/o all’abbandono della nave anche un incendio. S. Cataldo (Le) Anche le strutture sommerse a S. Cataldo e nella vicina località di S. Giovanni sono state oggetto di una ricognizione. La parte finale del grande molo che Pausania attribuisce ad Adriano, demolita e rasata, giace sotto la sabbia della battigia e in parte sotto il livello del mare; la prospezione subacquea lungo il percorso, ricalcato da una struttura quattrocentesca, ha individuato lungo il lato settentrionale dell’opera, nel tratto fino a 50-70 metri dalla riva, vari blocchi ancora in situ del filare più esterno; inoltre, sono visibili numerosi blocchi lavorati, molti dei quali frammentari, in posizione di crollo. Il pessimo stato di conservazione è dovuto anche alla demolizione effettuata per reimpiegare i blocchi nella scogliera antemurale di un nuovo molo, i cui lavori furono inaugurati l’ 8 maggio 1901 (nonostante l’opposizione dell’illustre studioso Cosimo De Giorgi, all’epoca Regio Ispettore dei Monumenti) e mai terminati. Tale molo incompiuto seguiva un tracciato ad L, con gomito pronunciato, ben leggibile nelle foto aeree e accuratamente esaminato nel corso della prospezione. La fondazione in acqua della nuova struttura vede l’impiego, come peraltro specificato nei documenti d’archivio, sia di massi artificiali di calcestruzzo, sia di massi naturali ricavati dal vecchio Molo Adriano. La parte terminale era rappresentata da un “isolotto” tuttora in posto, con ruderi del muraglione soprastante; tale isolotto o platea, così come il tratto più prossimo, è costituito da assise sfalsate di blocchi pertinenti alla struttura romana. Il molo moderno, che nelle aspettative della comunità doveva incrementare i traffici cittadini, si rivelò ben presto una trappola per alghe e sabbia; lo specchio acqueo, chiuso dal braccio ad L, si trasformò in una palude impraticabile sia dalle imbarcazione che dai bagnanti; per tentare di ovviare se ne iniziò l’abbattimento già pochi anni dopo, intervento peraltro mai completato. Torre S. Andrea (Le) Una prospezione ha interessato la suggestiva insenatura di Torre S. Andrea (Le), oggetto di segnalazioni di subacquei già negli anni passati. Per la prima volta è stata condotta una ricognizione sistematica, articolata in due gruppi, in particolare lungo i fianchi della baia e oltre l’imboccatura a sud. Al centro il forte apporto sabbioso oblitera le tracce, mentre si individuano concentrazioni di materiale fittile ai piedi della falesia meridionale, soprattutto nella caletta a sud dell’imboccatura. La presenza di questo materiale è da ricondurre ad una frequentazione della baia come approdo occasionale (non ci sono evidenti strutture portuali ma la conformazione della costa offre riparo dai marosi) legata ad attività di pesca, o come “caricatore” di servizio agli insediamenti rustici che si sono individuati nel territorio, particolarmente frequenti nella piena età imperiale. É stato raccolto il materiale più significativo: si tratta in larga parte di anfore (corinzia A e B, grecoitalica recente, Lamboglia 2 e tipi di transizione, ovoidale adriatica di produzione salentina – c.d. “di Brindisi” – Dressel 2-5, tardorodia, Late Roman 2, Late Roman 4 o anfora di Gaza), e di alcuni frammenti di ceramica fine (un frammento di vernice nera, sigillata africana), ceramica comune dipinta e da fuoco. Si segnala anche un frammento di lamina plumbea con tracce di fori per chiodi. Le naves lapidariae: Torre Chianca di Porto Cesareo e S. Pietro in Bevagna Esercitazioni di rilievo si sono svolte su questi carichi marmorei, ben noti e documentati (anche recentemente, nel corso di interventi effettuati dalla Soprintendenza). © 2005 Edipuglia s.r.l., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale XI,1. Gennaio - Aprile 2005 14 SPECIALE S. Pietro in Bevagna. Il rilievo dei sarcofagi Il più meridionale si trova in loc. Scala di Furnu-Torre Chianca, a NW di Porto Cesareo (Le), appena fuori la direttrice che congiunge la scogliera su cui sorge Torre Chianca con l’isolotto “Lu Scueiu”. Il carico è costituito da cinque colonne monolitiche, in posizione perfettamente parallela, orientate in direzione NS e distanti tra loro ca. m 0.50, incrostate di depositi calcarei; lunghe m 9, con un diametro che oscilla tra cm 70 e 100, sono di marmo cipollino di Carystos (sono stati prelevati e analizzati dei campioni). L’altro è ubicato lungo la costa ionica a circa m 100 dalla spiaggia di S. Pietro in Bevagna, in corrispondenza della foce del fiume Chidro, tra m 4 e 6 di profondità. Il giacimento occupa un’area di circa mq 148, con l’asse longitudinale in direzione N-S. É costituito da un carico di manufatti marmorei: 24 sarcofagi (rispetto alle indagini degli anni ‘60 un nuovo sarcofago di dimensioni minori è stato rinvenuto a 30 m ca. dalla spiaggia, seminsabbiato) in posizione inclinata sul fondo, di forma e dimensioni diverse: in parte rettangolari, alcuni dei quali doppi, da separare a destinazione, altri singoli, con una parete più spessa (dal pezzo di marmo “in eccesso” si poteva ricavare il coperchio), in parte a vasca (lenòs), i minori inseriti in quelli più grandi, per economizzare lo spazio disponibile. Analisi archeometriche effettuate su campioni dei sarcofagi a vasca hanno accertato che si tratta di un marmo dolomitico, bianchissimo, a cristalli medio-grandi, dalle cave di Capo Vathy sull’isola di Taso. Saturo (Ta) La prospezione effettuata a Saturo ha fornito nuovi dati di grande interesse. Il sito è ben noto: il promontorio tra la baia di Saturo, situata 12 km a SE di Taranto e la baia gemella di Porto Perone a sud, conosce fasi di occu- Saturo. La scarpa interna dell'antemurale pazione a partire dalla prima età del Bronzo fino ad epoca imperiale, quando vi si impianta una villa maritima, i cui resti visibili risalgono però al III sec. d.C. La lussuosa residenza, dotata anche di strutture termali, sussiste fino al VI, come documentano i sondaggi più recenti. L’obiettivo dell’intervento era il controllo della diga frangiflutti posta a protezione della baia, oggetto di una prima pubblicazione ad opera di M. Lazzarini. Come già descriveva il Lazzarini, è una costruzione a pietre sciolte, che spicca dal costone meridionale dell’insenatura e descrive un tracciato curvilineo verso ovest, addossandosi e sfruttando un gradino del banco roccioso sommerso. Ha l’aspetto di un aggere a sezione trapezoidale, largo a metà del percorso m 17.5, lungo un centinaio di metri circa, ed alto da m 1 a 3-3,5 nella parte terminale. Il fondale, nella parte interna della baia, a nord del cumulo, raggiunge circa 5 metri, mentre è meno profondo all’esterno, tra l’arco descritto dall’antemurale e lo sperone roccioso che chiude il promontorio a SE (-m 2,5- 2,7). All’altezza del gomito l’opera si conserva in maniera imponente, mostrando il dosso di pietrame ancora ben compatto ed una scarpa che degrada ripidamente verso est. La gettata di pietre sciolte, per le sue caratteristiche di semplicità ed ergonomia, è un tipo di costruzione subacquea diffuso in tutte le epoche e le aree costiere per realizzare le grandi dighe antemurali; stringenti paralleli si rintracciano sempre nello Ionio, a Torre S. Gregorio, dove è presente una struttura analoga, probabilmente coeva. Un ottimo confronto in area tirrenica, sebbene a scala maggiore, è costituito dalla gettata frangiflutti di Cosa (odierna Ansedonia), o meglio, del Portus Cosanus, che funge anche da base per un allineamento di plinti in cementizio, resti di un molo a piloni e riempimenti. Esempio celebre grazie alle fonti, ma non individuato dalla ricerca archeologica, è l’antemurale di Civitavecchia, antica Centumcellae, così come ce lo descrive Plinio in fase di costruzione nel porto voluto da Traiano. Si tratta di opere che in origine dovevano emergere per assolvere alla loro funzione. Particolarmente interessante è quindi il dato relativo alla profondità: a Saturo la sommità dell’antemurale si trova attualmente tra – m 2,30 e 2,50; a Torre S. Gregorio rileviamo quote analoghe. Lazzarini attribuisce la differenza di altezza all’azione distruttiva del moto ondoso, che avrebbe disperso il pietrame soprattutto nella parte interna della baia. Ciò è in parte vero, ma nuovi spunti sono offerti da un’ulteriore evidenza: vari cumuli di tegoloni ed embrici presenti all’estremità NW dell’antemurale, sulla superficie e soprattutto ai margini di quello, nel punto in cui, cioè, la gettata di pietre va a morire sul banco roccioso. Tegulae ed embrices sono fortemente concrezionati in vari insiemi, il maggiore dei quali risulta piuttosto esteso (m 8 x 6) e si presentano accatastati, sovrapposti o affiancati; sono evidentemente resti di un carico di laterizi, un relitto che trasportava materiali da costruzione, forse insieme ad anfore, o che aveva anfore nella dotazione di bordo. Sono proprio i contenitori individuati a “marcare” il momento del naufragio: tra la fine del II ed il I sec. a.C. Una volta verificata questa datazione, avremo a disposizione un marker eccellente del livello del mare al momento del naufragio, livello che doveva essere necessariamente inferiore a quello attuale. Considerate le differenze di misurazione causate dalle maree e l’azione di dilavamento dovuta al moto ondoso, un’escursione del livello del mare di m 1,50-2 sembra costante lungo la sponda ionica del Salento. © 2005 Edipuglia s.r.l., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale R.A. XI,1. Gennaio - Aprile 2005 15 MUSEI Il Museo del mare Galata di Genova I l quartiere Galata, che oggi ospita il Museo del Mare, costituiva l’Arsenale in cui la Repubblica di Genova costruiva e varava la propria flotta. Anticamente chiamato Arcate Nuove, era un edificio nato espressamente per costruire, manutenzionare e riparare galee. Le altezze, le larghezze e le pendenze dell’architettura sono in funzione delle forme e delle dimensioni delle galee. Il salone d’ingresso accoglie il visitatore con una teca che racchiude un enorme modello della t/n Raffaello (1965). Oltre al modello, si trovano nel salone la biglietteria ed il giftshop. Altri bookstore sono presenti ai diversi piani. Il Museo è dislocato, infatti, su quattro piani (compreso il piano terra), attraverso i quali si snoda un percorso cronologico e tematico; ogni piano è dedicato ad un differente modo di andar per mare. I primi tre piani comprendono ciascuno cinque sale, di varia grandezza e sistemazione, ognuna delle quali è ‘a tema’. L’ultimo piano è dedicato ad una mostra sui transatlantici. La maggior parte del materiale è esposto in teche, mentre pannelli esplicativi - oltre alle indispensabili didascalie - sono disposti in punti opportuni delle sale. PIANO TERRA ‘Epoca del Remo’ Sala 0 Il porto di Genova nel XVI secolo. Quattro grandi quadri illustrano situazioni e momenti diversi nel porto di Genova. Il primo quadro, molto conosciuto, riprodotto in numerose pubblicazioni, è la “Veduta della città di Genova nel 1481” di Cristoforo Grassi, del 1597. Seguono altre due tele attribuite al Grassi: “Escavazione del fondo marino fra i ponti Spinola e Calvi”, anch’esso del 1597, e “Lavori di escavazione nella darsena delle galee nel 1545”, della seconda metà del XVI secolo. Infine, di Dyonis Martens, “Escavazione del fondo marino del Mandraccio”, dell’ultimo quarto del XVI secolo. Dopo i quadri è visibile, a pavimento, un corto trave ligneo con catena di ferro che esemplifica gli elementi modulari che componevano le ‘catenarie’ utilizzate per chiudere l’ingresso del porto. Sala 1 Genova e Cristoforo Colombo. Questa sala ospita, al centro, i modelli della Santa Maria, della Niña e della Pinta. Lungo le pareti sono dislocate vetrine con un planisfero nautico del 1500; repliche di astrolabi, quadranti e balestriglie; lettere e ritratti (presunti) di Cristoforo Colombo nonché il ‘Codice dei Privile- Elemento modulare di catenaria per la chiusura dell’ingresso al porto Modellino dell’Arsenale di Genova alla metà del Seicento gi’ del navigatore ligure. Entro una teca in cristallo e legno intagliato dorato è conservata un’ampolla che contiene le ceneri di Cristoforo Colombo. Sala 2 Antico arsenale: schiavi, forzati e buonavoglia. Da un quadro della metà del XVII secolo, attribuito a G.Batta Costanzo, che mostra “Il porto di Genova alla metà del Seicento. Rilievo batimetrico” è stato ricavato un modellino dell’Arsenale, © 2005 Edipuglia s.r.l., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale XI,1. Gennaio - Aprile 2005 16 Armeria. Lato destro Armeria. Scaffalatura con bocche da fuoco variante minore della più conosciuta e famosa galea ‘sottile’, rimessa su taccate lignee in uno degli scali originali che si affacciavano sul bolago - il bacino interno dell’Arsenale - oggi interrato. La ricostruzione in scala 1:1 è stata effettuata nell’ambito del ‘Progetto Galea’, che ha preso avvio nel 1999, ed eseguita dal cantiere belga Lowyck NV di Ostenda. Una fiancata della ricostruzione è stata lasciata priva di fasciame esterno per rendere possibile la visione dell’interno dello scafo. Nella sala ci sono anche due teche con disegni di galee, un modello di galea, una corazza, una spada, un fanale di coronamento da galea ed una cariatide lignea policroma. Armeria. Bombarda posto a fronte del quadro. Pannelli cilindrici con figure a grandezza quasi naturale sono relativi ai soggetti della sala (schiavi, forzati e buonavoglia, vita in darsena). Da enumerare ancora un reggitorcera, un tritone ligneo policromo dal volto di pirata barbaresco (fine XVII-inizi XVIII secolo), un modellino di galea, una catena da forzato di galea ed altri quadri. Sala 3 Armeria della darsena. Sui due lati della sala, protetti da inferriate, ci sono armi ed altri oggetti relativi all’armeria. Una buona parte dei pezzi sul lato di sinistra riguarda le corazze con le quali erano equipaggiati i soldati imbarcati tra la fine del XVI e quasi tutto il XVII secolo. Si tratta, in particolare, di corsaletti, armature leggere (15 Kg) composti da due parti (pettorale e dorsale) che coprivano il tronco e lasciavano libere le gambe. Ci sono poi elmi (morioni, sia a cresta che a punta; zuccotti e borgognotte), scudi e picche. Nella parte destra della sala figurano bombarde, palle litiche, bauli metallici e mortai marmorei per la preparazione della polvere nera. Su una scaffalatura lignea posta in fondo alla sala sono esposte altre bocche da fuoco (carronate, cannoncini, cannoni, falconetti, petriere). Sala 4 La Galea genovese sullo scalo di alaggio. In questo vano è alloggiata una galea ricostruita a grandezza naturale. Si tratta di una tipica galeotta ‘ponentina’, 1° PIANO ‘Età della Vela’ Sala 5 Galleria delle galee. Il corridoio, con pannelli relativi alle galee (vita di bordo, remeggio, bocche da fuoco, cibo, ecc.), permette, tramite delle balconate, una visione dall’alto e dal fianco di sinistra della galea ricoverata nella sala sottostante (sala 4). Sala 6 La galleria superiore della galea. Si tratta di una piccola sala di passaggio dalla quale è possibile un buon colpo d’occhio, da prua, della galea sottostante. Nella galleria trova posto anche un notevole modello didattico, lungo circa quattro metri, di galea a 26 banchi, come quelle che si costruivano nell’Arsenale. Sala 7 Andrea Doria e l’arrivo dell’argento. Dipinti (di battaglie, di personaggi, vedute - di Savona, di Chios, dell’Isola di Tabarca - ecc.), acqueforti, cartine, una spingarda, un astrolabio, un notturlabio e altro. Al centro della sala, ricostruzione della scena ‘A. Doria e l’arrivo dell’argento’ in cui si notano due casse-forzieri per il trasporto dei metalli preziosi. © 2005 Edipuglia s.r.l., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale XI,1. Gennaio - Aprile 2005 17 dano la costruzione di un natante. Sono stati riallestiti l’ufficio del direttore del cantiere (arredato con mobili d’epoca, con modelli e disegni); l’ufficio dei disegnatori (con modelli, mezzi-modelli, modelli parziali, disegni, attrezzi da disegno); la falegnameria del cantiere (con utensili e macchinari di fine Ottocento-inizi Novecento). Al suolo la figura della proiezione ‘verticale’ (ordinate) di un piano di costruzione rappresenta la ‘sala a tracciare’, il locale più ampio del cantiere, in cui si riproducevano in scala 1:1 le linee di costruzione in base alle quali si ‘tracciavano’, con le curvature volute, i pezzi di carpenteria. Nell’altra metà della sala c’è lo scheletro ligneo di un natante, impostato sui tacchi, a rappresentare l’ormai avvenuto inizio della costruzione vera e propria. Un accenno a parte viene riservato all’attività del calafato. Galea vista dal basso Dal passaggio che porta alla sala successiva si accede ad un balcone che permette una vista della galea dall’alto e dal lato di dritta. Sala 8 Geografi e cartografi. Vetrine con atlanti e carte geografiche. Notevoli, in due grosse teche poste al centro della sala, un globo terrestre ed un globo celeste, entrambi opera di Vincenzo Maria Coronelli. I globi sono costituiti da acqueforti (del 1688) montate su cartapesta ricoperta di gesso, su telaio ligneo (della fine del XIX secolo). Sala 9 La galleria dei dipinti di marina. Dipinti di marina (battaglie, vascelli, navi in costruzione), disegni di velieri, modellini (uno è un modello votivo di vascello veneto a due ponti, da 48 cannoni), piani di costruzione (del Royal Oak, vascello inglese di Terzo Rango, costruito nell’Arsenale di Plymouth nel XVIII secolo, e di ‘Indiaman’, tipo di nave per il commercio con le Indie, anch’esso del XVIII secolo). 2° PIANO ‘Età dei Brigantini’ Sala 10 Genova e l’età delle rivoluzioni. Dipinti, cartine, modelli di navi, carteggi. In particolare, sono da annotare: il modello di un pinco genovese del XVIII secolo armato in cappa; una cassa lignea da marinaio (metà del XVIII secolo) con una scena raffigurante Giuditta e Oloferne dipinta sulla parte interna del coperchio; una polena policroma raffigurante un’aquila con le ali raccolte; un ex-voto (presumiamo), privo di didascalia, costituito da un singolare modello di nave dall’apparenza naïf. Al centro della sala, su un grosso ripiano che rappresenta la superficie del mare, emergono, variamente disposti e visibili dalla linea di galleggiamento in su, tre modelli: di un vascello francese di Secondo rango da 76 cannoni (fine XVIII secolo) e delle fregate sarde San Michele (XIX secolo), da 54 cannoni, e Regina (metà del XIX secolo). Sala 11 Avventure di viaggio per mare e naufragi. Al centro della sala c’è una lancia alberata (‘baleniera’ dell’Ottocento) con la prua rivolta ad uno schermo sul quale viene proiettato un filmato che fa rivivere virtualmente gli sballonzolamenti - seguiti dall’esperienza di un naufragio - di una nave in balia di una tempesta. Le scene di mare mosso sono corredate dal sonoro dei fischi del vento e del ruggire del mare, mentre in lontananza si profila l’ombra minacciosa di Capo Horn. Sala 12 Il mare e la scienza. Strumentazione nautica (bussole), da rilevamento (teodoliti, sestanti, ottanti, quadranti, sferoscopio, circoli), idrografica (mareografo) e meteorologica (barometri). Carte nautiche. Attività dell’Istituto Idrografico della Marina e dei costruttori di strumenti nautici. Sala 13 Vita di bordo nei velieri. Teche con modellini e polene. L’elemento di maggior spicco della sala è però il brigantino-goletta Anna, che emerge dal pavimento all’altezza della linea di galleggiamento. Una rampa consente la salita sul ponte. A bordo è possibile vedere l’argano per salpare le ancore, il tambuccio per scendere negli alloggi dei marinai, la cucina-sala da pranzo, una lancia di salvataggio, la cabina del comandante-sala nautica, la timoneria. Sala 14. Progettare e costruire le navi. Sono qui illustrate le varie fasi che riguar- 3° PIANO ‘Transatlantici’ A questo piano si trova la mostra “Transatlantici. Scenari e sogni di mare”, allestita nell’ambito di Genova ‘Capitale Europea della Cultura nel 2004’. L’esposizione affronta il tema sotto molteplici risvolti tecnologici, artistici, sociali, storici, di costume - e costituisce l’occasione per rivivere una delle epopee di Genova quale ‘Capitale del mare’. Sala 1 Partono i bastimenti. Proiezioni multimediali con scene d’imbarco di passeggeri di prima classe, emigranti, merci, bestiame. In una teca, ‘Bardo di Scozia’, polena del piroscafo Cambria (1844). Sala 2 Emigranti. Proiezione in b/n con scene d’imbarco, di viaggio e di sbarco di emigranti. Modelli di piroscafi: Aquila (1889), Vincenzo Florio (1880), City of New York (1860). Sala 3 Prima classe. Proiezione a colori su tre schermi di scene ricostruite - interpretate da attori - di imbarco, pranzo, ballo, festa a bordo. Modelli dei piroscafi Savoia (1898) e Deutschland (1900) e della t/n Imperator (1913) e campana di bordo di quest’ultima. Sala 4 Ricollocata in questo punto la vera timoneria di un piroscafo. Sala 5 Alberghi galleggianti. Video con scene di propaganda - oggi diremmo ‘pubblicità - che le compagnie di navigazione commissionavano per promuovere le proprie attività e transatlantici. Sala 6 1914/1918. Siluri e torpedini. Video in b/n dell’affondamento del Lusitania, silurato il 7 Maggio del 1915 dall’U-Boot 20, e sulle navi mimetizzate. Esposto un siluro di tipo B (1914-18), ad aria compressa, del silurificio Schwarzkopff. In una teca si possono osservare modellini, quadri nonché vesti e salvagente di uno dei superstiti del Lusitania. Sala 7 Città galleggianti. Video che illustra i momenti di vita a bordo di un nuovo tipo di passeggero: il turista. Sezione longitudi- © 2005 Edipuglia s.r.l., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale XI,1. Gennaio - Aprile 2005 18 nale della t/n Duilio (1924) e due grossi modelli di turbonavi (uno del Giulio Cesare, 1932). Sala 8 Traversando l’oceano. Sul pavimento di questo vano, che costituisce un passaggio alla sala successiva, viene proiettata la superficie del mare appena mosso (anche da un punto di vista tattile si ha l’impressione di trovarsi su una superficie fluida). La proiezione comprende anche la costa europea, all’ingresso del corridoio, e quella americana, all’uscita. Tra le due coste compaiono e scompaiono, a tratteggio rosso, le rotte di transatlantici quali il Rex, il Bremen, il Normandie e il Queen Mary. In superficie appaiono e scompaiono anche strumenti nautici, naufraghi che si aggrappano a relitti, mammiferi marini che affiorano, bottiglie galleggianti, flussi d’aria. Sala 9 All’uscita del passaggio è esposto il Trofeo del Nastro Azzurro (Hales’ Trophy), disegnato da Henry Pidduck e realizzato da James Dickson, assegnato alla nave che copriva il tragitto attraverso l’Oceano Atlantico impiegando il minor tempo (vinto per la prima volta dal Rex nel 1933). Proiezione di video b/n e colore. Sala 10 Transatlantici in guerra. Video b/n sull’affondamento del Rex e teca con modelli di transatlantici (Normandie, Ile de France e altri) e quadri. Impatto emotivo suscita la vista della campana di bordo del Rex, unico pezzo superstite dopo il bombardamento della nave avvenuto nel 1944. Sala 11 E la nave va ... Cinematografia, con proiezione di spezzoni di film, sui transatlantici. Sala 12 Navi di carta. Video con le locandine pubblicitarie dei viaggi e dei servizi offerti dai transatlantici. In una sala di passaggio sono esposti i modelli delle tt/nn Conte Biancamano (1949) e France 3 (1960). Le successive due sale sono dedicate all’affondamento dell’Andrea Doria. Sala 13 Collisione a dritta. Grosso modello dell’Andrea Doria, inclinato sulla fiancata di dritta, in corso d’affondamento dopo la collisione con lo Stockolm la sera del 25 Luglio 1956, alle ore 23,10. Grande emozione suscita la statua di Andrea Doria, scultura in bronzo del 1953 di Giovanni Paganin, affondata con la nave omonima e recuperata dal subacqueo americano Dan Turner. A soffitto, proiezione a colori che mostra un’allegoria dei naufragi: si vedono oggetti che affondano, ma si ha la sensazione che risalgano verso la superficie. Sala 14 Quella notte a Nantucket. Video con le immagini dell’affondamento dell’Andrea Doria e con le testimonianze di superstiti. In una teca, coppia di polene policrome raffiguranti divinità marine ed effige di Michelangelo. Sala 15 Vita a bordo. Video a colori, su tre schermi, con immagini di viaggio e di vita a bordo dei turisti dei moderni transatlantici. Sala 16 Ultimi transatlantici. Ultima sta- Argano per salpare le ancore del brigantino-goletta Anna gione, tra gli anni ’60 e ’70, dei transatlantici: video b/n e colori e teca contenente il modello della t/n Eugenio Costa (1966). Sala 17 Arrivi. Scrutando, con binocoli rotanti montati su piedistalli, uno schermo su cui è proiettata la superficie del mare si scorgono all’orizzonte, tra piccole nuvole, miraggi di mete possibili. La visita al Museo termina, di fatto, qui, ma salendo ancora di due piani si accede alla terrazza panoramica (l’Osservatorio), circondata da una grande struttura di cristallo a cielo aperto, dalla quale si ha una vista a 360° del porto e della città di Genova, le cui case vengono lambite dalle acque del porto e si distendono sulle colline a quest’ultimo addossate. Si percepisce nettamente - almeno così ci pare - che l’allestimento del Museo non è ancora del tutto completato, per cui giudizi ed impressioni debbono ritenersi provvisori, anche in considerazione del fatto che la mostra sui transatlantici, che al momento costituisce una parte importante dell’esposizione complessiva, è temporanea (chiuderà il 9 Gennaio 2005). Auspichiamo che la mostra, dato il suo interesse, possa divenire permanente, anche se ci rendiamo conto che molti dei pezzi più importanti sono probabilmente in prestito. Gli spazi museali sono notevoli, ma sfruttati in maniera adeguata. C’è armonia tra passaggi, spazi vuoti e volumi occupati dagli oggetti esposti. Questi ultimi sono scelti in modo ottimale, sia qualitativamente che quantitativamente, senza sovraffollamento di reperti delle sale e delle teche. I testi dei pannelli sono semplici e chiari e della giusta lunghezza. L’illuminazione, naturale in certe aree del Museo, è per lo più artificiale, soffusa e non forte. In alcuni punti, tuttavia, soprattutto in prossimità delle salette di proiezione, è insufficiente e non permette, o lo consente con difficoltà, di leggere agevolmente le didascalie oppure di cogliere e distinguere bene i particolari di determinati oggetti. Gli interventi architetturali moderni sull’edificio (cemento a vista, metallo e vetro, con poco legno) sono invece decisamente deludenti. La grande struttura di cristallo che avviluppa tutto l’edificio rende, in particolare agli ultimi piani (dove ci sono vetri opacizzati) e nell’Osservatorio, l’atmosfera soffocante (soprattutto in senso calorico). Un’occasione persa ci pare, in particolare, quella di aver chiuso completamente sui lati la terrazza panoramica anziché lasciarla all’aria aperta, frapponendo un diaframma vitreo tra l’osservatore ed il paesaggio. P.D.A. Galata Museo del Mare, Calata De Mari 1 (Darsena, Via Gramsci), 16126 - Genova tel. 010-2345655/5574004; fax 010-2345565; [email protected] www.galatamuseodelmare.it ORARIO marzo-ottobre 10.00/19.30 (tutti i giorni); agosto 10.00/19.30 (venerdì 10.00/22.00); novembre-febbraio 10.00/18.00 la biglietteria chiude un’ora prima Chiuso il lunedì © 2005 Edipuglia s.r.l., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale XI,1. Gennaio - Aprile 2005 19 PARCHI I parchi sommersi d i Baia e Gaiola N ell’agosto del 2002 sono stati istituiti lungo la costa napoletana il “Parco Sommerso di Baia” ed “il Parco sommerso di Gaiola”, per la tutela e la valorizzazione dell’ambiente marino e del patrimonio archeologico sommerso che caratterizzano questi tratti del litorale napoletano. L’istituzione è avvenuta con decreto interministeriale del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio di concerto con i Ministeri per i Beni e le Attività Culturali, di quelli delle Infrastrutture e dei Trasporti e delle Politiche agricole e forestali, d’intesa con la Regione Campania (D. I. n. 304 del 7.08.2002). La molteplicità degli enti è dovuta alla varietà di argomenti che l’istituzione dei parchi tocca, avendo tra le finalità • la tutela archeologica • la conservazione ambientale • la divulgazione, anche con programmi didattici, delle conoscenze ecologiche e biologiche degli ambienti marini e del patrimonio archeologico sommerso • la realizzazione di programmi scientifici per lo studio delle aree, la promozione di uno sviluppo socio-economico compatibile attento a sostenere le attività tradizionali locali. A Baia, in particolare, l’istituzione di un Parco Sommerso, esteso per 176 ettari, rappresenta la felice conclusione di interventi di salvaguardia e tutela da parte della Soprintendenza archeologica di Napoli e Caserta, iniziati nel 1987 con il vincolo archeologico del porto di Baia e della costa flegrea, poi affiancato da una serie di ordinanze della Capitaneria di Porto, fino alla consegna alla Soprintendenza di uno specchio di mare di 80.000 mq, già interdetto al transito commerciale, per finalità di tutela, valorizzazione e fruizione, ed oggi in con- cessione per i servizi aggiuntivi alla Soc. Baia Flegrea. Il Parco Sommerso di Baia si estende lungo il litorale di Bacoli e Pozzuoli, nel tratto compreso tra la testata del molo di limite meridionale del porto di Baia (molo OMLIN) e il molo di Lido Augusto (Pozzuoli) ed è diviso in tre zone: riserva integrale (A), generale (B), parziale (C); tre diversi livelli di protezione che regolano le attività consentite. I fondali del parco racchiudono uno dei siti archeologici più suggestivi: l’antica Baia famosa per le ville residenziali e le numerose sorgenti termali (zona A), il Portus Iulius circondato da magazzini e botteghe destinati alle derrate alimentari per il rifornimento di Roma e a spezie, profumi e sete provenienti dall’Oriente (zona B) e la Secca Fumosa, così detta per la presenza di fumarole e di sorgenti di acqua calda, caratterizzata da 28 massicci piloni (pilae) che si innalzano dal fondo a protezione di un’area della quale si conosce ancora troppo poco per identificarne l’antica funzione (zona C). Il Parco sommerso di Gaiola si articola in zona A (riserva integrale) e zona B (riserva generale) e racchiude al suo interno quanto ancora si conserva in mare del Pausilypon (da cui deriva il toponimo moderno di Posillipo), la villa di Publio Vedio Pollione, ricco e quanto mai discusso cavaliere del periodo augusteo. Il Parco sommerso è oggi la naturale estensione del parco archeologico già presente sul promontorio al quale si accede attraverso la galleria lunga 700 metri nota come “Grotta di Seiano” . Il parco a terra racchiude i resti monumentali di un odeion e di un teatro oltre al settore prettamente residenziale della villa che Vedio Pollione volle lasciare in eredità ad Augusto. Il parco sommerso racchiude la pars maritima della villa con peschiere ninfei e strutture portuali. La Soprintendenza per i beni archeologici per le province di Napoli e Caserta – l’attuale Ente gestore provvisorio dei due parchi sommersi – ha già attivato una serie di programmi di ricerca e di tutela sia archeologici che biologici per approfondire ulteriormente le conoscenze storico-ambientali delle due aree. A.B. Per informazioni: Parco Sommerso di Baia, Castello di Baia tel. 081.3723760 www.areamarinaprotettabaia.it Gli abbonati sostenitori per il 2005 Antonelli Benito - Taranto Astolfi Massimiliano - Torino Bottoni Ugo - Roma Carrera Francesco - Calci (Pi) Copertari Aimone - Potenza Picena (Mc) Corbyons Francesco - Roma Crupi Umberto - Torino D'Atri Valeria - Roma De Salvo Lietta - Messina Di Napoli Rampolla Federica - Roma Giuffrè Gaetano - Lipari (Me) Hobart Peter - Roma Icimar - San Teodoro (Nu) Lucano Massimo - Torino Magnifico Claudia - Statte (Ta) Manacorda Daniele - Roma Mantelli Cristina - Roma Marras Paolo - Tertenia (Nu) Migliorati Luisa - Roma Pancani Eckhart Luigi - Roma Pasquinucci Marinella - Pisa Peruzzi Laura - Cortona (Ar) Rossi Giorgio - Cavarzere (Ve) Rozzi de Hieronymis Carlo - Casalecchio (Bo) Sanna Barbara - Oristano Toniolo Alessandra - Padova Vitelli Marco - Roma Per la rivista e l’elenco degli abbonati sostenitori: www.edipuglia.it/arcsub © 2005 Edipuglia s.r.l., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale X, 3 . S e t t e m b r e - D i c e m b r e 2 0 0 4 20 Un omaggio a Juan Bravo I l volume rende conto della lunga attività di ricerca, di protezione e di promozione delle conoscenze dei materiali archeologici di provenienza sottomarina da parte di un personaggio, Juan Bravo Pérez, il cui nome è legato alle prime attività subacquee e alla fase iniziale dell’archeologia subacquea, sul finire degli anni ’50 e l’inizio degli anni ‘60 del secolo scorso, quasi ovunque prevalentemente effettuate da subacquei sportivi e dal volontariato. Nel caso di Juan Bravo si ambientano nell’area dello Stretto di Gibilterra, periferica non solo geograficamente, rispetto a quelle regioni dove maggiormente andava prendendo consistenza l’archeologia subacquea (la Liguria, la Provenza, oltre ad iniziative, dapprima individuali e poi sempre più organizzate, anche in Grecia e in Turchia). Era una fase per molti aspetti sperimentale, sia per quanto riguardava le attrezzature e la pratica dell’immersione, sia per la conoscenza delle testimonianze archeologiche subacquee, come ad es. le ancore di pietra ed i ceppi di piombo, la cui funzione tecnica veniva via via precisandosi anche attraverso tentativi di ricostruzione nei quali si cimenta con successo anche lo stesso Bravo. Dai suoi recuperi e dal risultato dei suoi studi, pubblicati per lo più in riviste sportive (come «CRIS Revista del mar», paragonabile al nostro «Mondo sommerso»; un articolo anche nella «Rivista di Studi Liguri» XXX, 1964) prende corpo la sezione dedicata all’archeologia subacquea nel museo archeologico di Ceuta. Il volume, oltre a notizie sulla vita e sull’attività dell’Autore, nella prima parte raccoglie gli interventi presentati da studiosi e amici in occasione di un incontro celebrativo tenutosi a Ceuta. In particolare, quelli di D. Bernal Casasola su J. Bravo e l’archeologia di Ceuta, di J. Blánquez Pérez su J. Bravo e l’archeologia subacquea in Spagna, di J. Ramon sulle anfore fenicio-puniche di Ceuta, di M. Martin Bueno sulle ancore antiche dello Stretto di Gibilterra in rapporto ad alcune intuizioni sul loro funzionamento. Nella seconda parte vengono ristampati alcuni articoli di J. Bravo. P.A.G. D. Bernal (ed. científica), Juan Bravo y la arqueología subacuática en Ceuta. Un homenaje a la perseverancia, Ed. Instituto de Estudios Ceutíes, Ceuta 2004, pp. 324 con illustrazioni in b. & n. e a colori. Campagna Abbonamenti 2005 Sostieni L’archeologo subacqueo rinnovando o sottoscrivendo un nuovo abbonamento !!! • Abbonamento per il 2005 (per l’Italia) € 12,00 € 27,00 € 30,00 € 55,00 € 43,00 • Abbonamento sostenitore 2005 + Atti del II convegno di Archeologia subacquea € 70,00 • Arretrati 1995-2004 + abbonamento 2005 € 150,00 • Arretrati 1995-2004 + abbonamento sostenitore 2005 € 170,00 • Abbonamento sostenitore 2005 • Abbonamento 2005 + Lezioni Fabio Facenna (III-V ciclo) • Abbonamento 2005 + Atti del II convegno di Archeologia subacquea • Abbonamento sostenitore 2005 + Lezioni Fabio Facenna (III-V ciclo) Per tutti gli abbonati sconto del 20% sulle pubblicazioni Edipuglia È stato ristampato il n.1 della rivista, da tempo esaurito. Chi desidera riceverlo, lo può ordinare al prezzo di € 5,00 L’ARCHEOLOGO SUBACQUEO Quadrimestrale di archeologia subacquea e navale Spedizione in abbonamento postale 70% Autorizzazione del Tribunale di Bari n. 1197 del 9.11.1994 Direttore responsabile: Giuliano Volpe Redazioni: • Roma: Via Tripolitania 195, 00199 • Bari: c/o Edipuglia srl, via Dalmazia 22/B, 70050, Bari - Santo Spirito. Tel. 080-5333056, fax 080-5333057 Internet: http://www.edipuglia.it/arcsub/ I collaboratori di questo numero: Francesco Paolo Arata (F.P.A.); Rita Auriemma (R.A.); Carlo Beltrame (C.B.); Alessandra Benini (A.B.); Franca Cibecchini (F.C.); Piero Dell’Amico (P.D.A.); Enrico Felici (E.F.); Piero Alfredo Gianfrotta (P.A.G.); Andrei Lukoshkov (A.L.); Manuel Martín Bueno (M.M.B.); Paola Puppo (P.P.); Ieva Reklaityte (I.R.); Giuliano Volpe (G.V.). Le illustrazioni di questo numero: Pp. 1 e 7-9: R. Gugliemini; A. Pareti, Archivio fotografico Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana; F.C., P. Miniero; pp. 5-6: C.B.; G. Merighi; pp. 10-14: R.A.; pp. 15-18: P.D.A.; Carlo Brizzi. I collaboratori sono invitati a consegnare gli articoli (dattiloscritto e dischetto con indicazione del programma utilizzato, e illustrazioni) secondo le scadenze sotto indicate. La redazione non si impegna a restituire dattiloscritti e materiale illustrativo non richiesti. La redazione potrà apportare alcune modifiche necessarie a uniformare l’articolo all’impostazione del giornale. Il giornale esce tre volte all’anno: 1. gennaio-aprile: chiusura in redazione: 31 dicembre in distribuzione a marzo 2. maggio-agosto: chiusura in redazione: 30 aprile in distribuzione a luglio 3. settembre-dicembre: chiusura in redazione: 30 settembre in distribuzione a novembre Abbonamento annuale (3 fascicoli): € 12,00, estero € 18,00. Un fascicolo: € 5,00. Abbonamento sostenitore (Italia ed estero): € 27,00 e oltre (in ogni fascicolo, e sul sito internet, sarà pubblicato l'elenco dei sostenitori). 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