Il cammino nell`esperienza scout

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Il cammino nell`esperienza scout
IL CAMMINO NELL’ESPERIENZA SCOUT
di Mons. Lucio Sembrano, AGESCI
Pistoia, 27 giugno 2010
Traccia dell‟intervento
PARTE I
1. IL SENSO DEL CAMMINO NELLO SCAUTISMO
2. IL CAMMINO COME METAFORA DELLA VITA:
VINCERE LA PIGRIZIA, LA PAURA DELL’IGNOTO,
LA PRECARIETÀ DEL FUTURO E RIMETTERSI IN GIOCO
3. L’HIKE
4. METTERSI IN CAMMINO
5. PARTENZA
6. IMPARARE A SUPERARE LA CRISI
PARTE II
PER UNA REVISIONE DELL’ESPERIENZA DEL CAMMINO
NELLO SPECIFICO DELLO SCOUTISMO
1 IL CAMMINO IN BRANCO/CERCHIO
2. IL CAMMINO IN BRANCA E/G
3. IL CAMMINO NEL CLAN/FUOCO
4. VALUTAZIONE DELL’ESPERIENZA CONCRETA IN R/S
5. E’ NECESSARIO RIDARE CENTRALITA ALL’ESPERIENZA DEL CAMMINO
PARTE I
IL SENSO DEL CAMMINO NELLO SCAUTISMO
Per la sensibilità diffusa la strada è „qualcosa‟di specifico della branca R/S. „Qualcosa‟ che,
solo sommato all‟avventura e alla famiglia felice, va a costituire il „tipo‟dello scout.
Una monaca di clausura che fu capo fuoco dell‟AGI prima di entrare in monastero, ha scritto
con semplicità che la strada fa acquisire spirito di servizio perché ti metti a disposizione di chi
ha bisogno di te; spirito di avventura per-ché il camminare impegnativo è pieno di incognite;
spirito di austerità perché insegna ad accontentarsi di poco; spirito di povertà, semplicità,
gioia, essenzialità: lo zaino deve essere il meno pesante possibile, la giornata trascorsa nel
camminare è ricca di piccole gioie; spirito di comunità, perché si fa strada insieme ad altri. La strada, nel
metodo scout, è fondamentale per la branca R/S, ma lo stile del cammino e della strada
caratterizza anche le altre branche.
Nel complesso dell‟itinerario educativo scout, l‟uomo che cammina è una metafora
performativa dell‟esistenza umana. E‟ in questo senso che il cammino (o l‟uomo
camminatore) domina l‟intero progetto educativo scout. Le esperienze della famiglia felice
(lupetti/coccinelle) e dell‟avventura (esploratori/guide) sono per così dire cicli di „passaggio‟,
destinate a lasciare il campo al „più completo‟ vissuto della strada (o dell‟uomo
camminatore).
Quest‟uomo camminatore trarrà dal passaggio attraverso i cicli della famiglia felice e
dell‟avventura un più spiccato senso della fraternità e dell‟esplorazione, ma non resterà un
comunità-dipendente, né un sognatore di esplorazioni impossibili. Sarà un lento camminatore
che farà strada con tutti e incontrerà tutti, e che gusterà il nuovo che incontra, ma che
nessuno e nessun nuovo distrarrà da quel Regno e dal quel mondo più giusto che sono le
uniche mete del suo andare.
Di conseguenza, la spiritualità della strada è la spiritualità per eccellenza dell‟educazione
scout. Nell‟idea che il rover e la scolta siano dei camminatori dietro a Gesù sono inglobate e
superate le immagini del lupetto/a “discepoli gioiosi” e dell‟esploratore e della guida
“lottatori”, sull‟esempio di Gesù, per il bene difficile contro il male facile.
Senza escludere il concreto camminare dall‟esperienza scout anche nella branca L/C e nella
branca E/G, per quanto attiene più specificamente al metodo, è giusta la tesi che considera la
strada come uno strumento tipico della branca R/S, dove il cammino diventa la struttura
portante della pedagogia educativa.
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IL CAMMINO COME METAFORA DELLA VITA:
VINCERE LA PIGRIZIA, LA PAURA DELL’IGNOTO,
LA PRECARIETÀ DEL FUTURO E RIMETTERSI IN GIOCO
Il cammino e la strada, non sono soltanto delle metafore, sono scuola di vita.
Quando si è piccoli si fa fatica a capire del perché si deve andare a fare una passeggiata, perché si deve far
fatica, percorrere sentieri in salita con la promessa che manca poco per giungere alla meta, i piedi che fanno
male, la pioggia o il troppo sole…insomma un supplizio. L‟equipaggiamento, l‟itinerario, i tempi, sono
pensati, preparati e voluti dai genitori e dai loro amici. È un cammino imposto, costretto, che abbisogna di
tempi lunghi, di attenzioni ed animazioni che diano al bambino la gioia della scoperta, il desiderio di
ripetere l‟esperienza, di provare a programmare da soli nuovi itinerari.
A poco a poco cresce l‟amore per la strada, per il percorrere itinerari nuovi, per scoprire nuovi orizzonti,
per trovare nuovi spazi. Nasce così una sensibilità nuova per coltivare e crescere l‟esperienza formativa del
cammino. L‟educazione scout e molte delle attività vissute soprattutto in clan, sono volte ad aiutare
l‟adolescente prima, e il ragazzo e la ragazza poi, ad imparare dalla strada, a gestire le molteplici situazioni
che questa offre di continuo.
Lo scout è un uomo di frontiera. Ma dove sono oggi le nuove frontiere, in un mondo globalizzato? Credo
che le vere frontiere, oggi le troviamo dentro di noi, quasi come barriere da abbattere, da riconoscere per
andare oltre. Il silenzio, la solitudine, la preghiera, la riflessione che viviamo sulla strada, ci permettono di
vedere meglio anche dentro di noi, per meglio conoscere gli uomini e le cose che ci circondano.
L’HIKE
L‟ansia di dover intraprendere una missione da soli, senza sapere quale sarà la strada da imboccare, quali
difficoltà incontrerò, quale gente incontrerò lungo il cammino, dove troverò un luogo per dormire, quanti
silenzi che obbligano a porsi diverse domande, la paura della notte, lo zaino che pesa anche se si è cercato
di limitarlo all‟essenziale, le condizioni meteorologiche, il ricordo degli amici, dei famigliari, delle
comodità lasciate a casa. È un‟esperienza indimenticabile che resta impressa nella mente e nel cuore e che
ci farà ripetere, nel corso degli anni, questa “viaggio solitario” come una sorta di verifica e di riflessione su
quanto stiamo vivendo e dove vogliamo andare. Affrontare il cammino verso una meta, verso un obiettivo,
presuppone tutta una serie di attenzioni e riflessioni che accompagnano alla scoperta ed alla gioia del
cammino, alla scoperta dell‟inedito, di tutto ciò che sta oltre. Prima di tutto occorre programmare, preparare
un itinerario che vada al di là delle inevitabili pigrizie e giustificazioni, prevedendo rischi e imprevisti che
sicuramente ostacoleranno il nostro procedere. Non possiamo sapere a priori cosa incontreremo, chi ci
accompagnerà lungo la strada, dove troveremo sollievo alle nostre fatiche e gioie inaspettate lungo
l‟itinerario prefissato, ma tutto dovrà essere letto nella traccia di una scoperta e di una avventura nuova. Le
paure, le angosce, i dubbi di questo procedere sono e divengono il sale di questa scelta, inizialmente
entusiastica ed appassionante, che a tratti, diviene faticosa e quasi insopportabile. Si cerca il bisogno di
sicurezza, dei punti fermi e certezze, che diano un senso a quanto stiamo facendo, quasi fosse una ricerca di
conferma a ciò che stiamo percorrendo,con il grosso rischio di fondare la propria vita su questo bisogno.
METTERSI IN CAMMINO
Parlare di transumanti e di nomadi, di viandanti e di gente che cammina, richiede di per sé
che si assuma immediatamente il passo del viandante. Ma è davvero possibile, così, senza
preliminari, lasciare il vecchio continente del quotidiano per partire? Questo presupporrebbe
di essere già completamente diversi, trasformati, cosa che può avvenire solo camminando.
"Cammina. Cammina senza sosta. Va qui e poi là. Trascorre la propria
vita su circa sessanta chilometri di lunghezza, trenta di larghezza. E
cammina. Senza sosta. Si direbbe che il riposo gli è vietato.
"Quello che si sa di lui, lo si deve a un libro. Se avessimo un orecchio un
po' più fine, potremmo fare a meno di quel libro e ricevere sue notizie
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ascoltando il canto dei granelli di sabbia, sollevati dai suoi piedi nudi.
Nulla si riprende dal suo passaggio e il suo passaggio non conosce fine.
"Sono dapprima in quattro a scrivere su di lui. Quando scrivono hanno
sessant'anni di ritardo sull'evento del suo passaggio. Noi ne abbiamo
molti di più: duemila. Tutto quanto può essere detto su quest'uomo è in
ritardo rispetto a lui.
Conserva una falcata di vantaggio e la sua parola è come lui,
incessantemente in movimento, nel movimento senza fine di dare tutto di
se stessa.
Duemila anni dopo di lui è come sessanta. E‟ appena passato e i giardini
di Israele fremono ancora per il suo passaggio, come dopo una bomba,
onde infuocate di un soffio".
Questo testo di Christian Bobin racconta del canto dei granelli di sabbia sollevati nel
camminare da un uomo del quale a poco a poco si scorgono i tratti. E‟ Gesù di Nazaret. In
effetti, noi qui lo potremmo considerare senza difficoltà come il prototipo del viandante, nella
convinzione che quest'uomo viene dal cuore di Dio e seduce, nel senso più forte del termine,
l'umanità lungo la strada e nel corso del suo cammino ininterrotto. Di fatto è lui a illuminare
discretamente i passi a venire.
L'immaginazione, a questa semplice evocazione molla gli ormeggi e prende il largo. Ma
cosa avviene nell'uomo, quando si lancia in questa avventura del cammino ed entra nel tempo
interiore del viandante? Quando e perché decide di partire? Che cosa cerca? Dove va?
L'orientamento del suo viaggio si è già interamente delineato in lui, quando si mette in strada?
E con quale criterio concepisce il bagaglio? In che modo lo fa? Che cosa rifiuta di portarsi
dietro per poter essere completamente se stesso e null'altro che questo? Il pellegrino di
Santiago adotta - adottava? - cappello, bastone e conchiglia di san Giacomo. Che cosa
sceglierà il viandante di oggi come segno del suo cammino e di ciò che gli brucia nel cuore?
Come gl altri grandi libri dell'umanità, la Bibbia ha plasmato tanti cuori di viandanti su
questo versante dell'umanità, in questo... granello di sabbia nelle galassie che è la nostra terra
nella sua immensità. E nella Bibbia tutti sono nomadi. Camminano, e camminano ancora.
Così prevede certamente la civiltà nella quale è nata e ha preso corpo questa storia. Ma non
può essere del tutto casuale, perché il camminare è in piena coerenza con il messaggio che la
Bibbia consegna, e che ancor oggi plasma milioni di uomini e donne.
Come questi nomadi di Dio, anche gli scout camminano al passo di una promessa di
infinito, che suscita domande sempre nuove: quali parole abitano il cuore e i pensieri di chi fa
strada? Sono parole di preghiera, di speranza, di umanità. Parole come tracce del cammino,
silenziosamente inscritte nello spazio del cielo, come replica alle vie dell'uomo e come canto
a Dio. Queste parole della preghiera, talora solo abbozzate e brucianti, altre volte rauche, sono
belle e profonde come un mattino infinito, parole di umanità piena, così simili a tante altre, a
quelle che ognuno pronuncia in silenzio, nella vita di ogni giorno. Nel deserto della vita di
ogni giorno, a volte anche senza aver lasciato il proprio universo familiare, in uno
straordinario viaggio interiore. Gente che cammina all'infinito, gente che cammina verso
l'assoluto, gente che cammina interiormente, anche.
Esistono luoghi di pellegrinaggio famosi., scelti da decine, centinaia, migliaia di uomini e
donne, che vengono a cogliere giorno dopo giorno la dolce luce che è loro necessaria, uno
squarcio di cielo sulle rive della loro terra. Lo si sa per esperienza, queste mete di
pellegrinaggio abitano l'universo interiore di tanta gente che cammina, ma anche di tanti
sedentari che sognano il viaggio infinito nel paese di Dio. E‟ una geografia immensa che non
si può evocare qui: Gerusalemme, Roma, Santiago, i santuari mariani, solo in ambito
cristiano. L‟importante è partire... con il passo del viandante! E sentire anche quel leggero
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bruciore al volto che il viandante serba al ritorno, ex voto interiore che resterà per sempre il
segno distintivo di quel cammino.
Che la strada si apra al tuo arrivo,
che il vento soffi sempre alle tue spalle,
che il sole inondi e riscaldi il tuo volto,
e che Dio ti custodisca nel palmo delle sue mani!
Benedizione irlandese
L'insieme delle voci e dei volti misteriosi che ciascuno incrocia per via, ovunque, o di notte
al bivacco nei giorni in cui si è fatta molta strada, delinea i tratti di questa umanità terrestre
che, ai quattro angoli del globo, traversa le pianure, supera i valichi elevati delle montagne, si
incontra lungo le strade. E‟ da quella umanità, eterogenea e così spesso priva di etichette, che
provengono i viandanti di ogni terra, dalle aspettative così diverse, dalla fede straordinaria,
con i corpi... e i piedi animati dalla speranza.
E questa umanità dai mille volti che cammina o va in pellegrinaggio, il cuore libero e
ricolmo di infinito, sulle strade meravigliose degli uomini e di Dio. Perché in realtà cos'è che
distingue, in profondità, la gente scout che cammina, dagli altri viandanti? Il passo degli scout
non è poi così diverso da quello di tutti quegli uomini e donne che, su tante strade,
camminano di giorno e spesso anche di notte. Gente che cammina sotto le stelle, e a volte
anche senza!
(Sono alcuni spunti tratti da: Jacques Nieuviarts, Con il passo del pellegrino. Manuale per
chi cammina, EDIZIONI QIQAJON COMUNITÀ DI BASE, 2009 13887 MAGNANO)
Se si fatica a distinguere lo scout da tutta questa gente che cammina, è probabilmente
perché sono fondamentalmente parenti prossimi, solidali. Eppure ci sono delle differenze. Lo
scout imbocca volutamente una strada, ha una meta.
Le parole "pellegrino" e "pellegrinaggio" vengono dal latino peregrinus. Questo termine a sua volta rimanda a
per-ager, cioè "attraverso campi", o forse per-eger, "colui che va per monti e valli", cosa che ci introduce alla
nozione di straniero. In effetti peregrinus significa: "che viaggia all'estero, che viene da un paese straniero, che
concerne lo straniero" o anche, nel linguaggio corrente, "lontano dal suo paese, straniero o senza patria". Il
peregrinus è l'uomo che, in seguito a spostamenti fuori dai confini del suo territorio, mette tra parentesi per un
certo periodo la sua nazionalità e diventa straniero in un altro paese (cf. J. Chélini, H. Branthomme, Les
pèlerinages dans le monde. A travers le temps et l'espace, Hachette, Paris 2004, p. 17; questo libro, sintesi del
lavoro durato circa vent'anni di un gruppo di ricercatori, è una vera e propria miniera, una lettura appassionante).
Se il cammino è essenziale nella scelta alla quale si dedica anima e corpo per il tempo del
viaggio, è perché questo porta da qualche parte, a un traguardo, un luogo che lo attrae e dal
quale nel suo cuore si attende un non so che, di umile e immenso insieme, che probabilmente
cambierà in modo radicale, così lui spera, la sua vita. Lo scout non è un errante, è
misteriosamente attratto da qualcosa, o meglio ancora da qualcuno, come Mosè dal roveto
ardente. Non ti scegli la meta solo in base all‟amenità del luogo, ma anche in base alla
possibilità d‟incontrare qualcuno che ti dia le risposte che cerchi agli interrogativi
fondamentali sulla tua vita, sul tuo domani. Trovare queste risposte è come ricevere una
rivelazione, è il mistero dell‟Incontro che ha segnato la vita degli Apostoli, di Paolo, di Mosè
e dei profeti del Primo Testamento.
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PARTENZA
Potrai così sentire che è giunto il momento di partire, abbandonare il tuo universo familiare,
il mondo delle tue sicurezze, per trovare la felicità. In effetti, ciascuno ha momenti in cui
sente una voce interiore, appello misterioso e insieme discreto a mettersi in cammino verso un
altrove, del quale le strade tracciate sulle carte del mondo non sono che il segno visibile, la
traccia o il vettore.
La route è, per gli scout, una pausa nel ritmo folle dei giorni, nel ritmo della noia o della
solitudine, e anche nel ritmo delle preoccupazioni e dei deserti interiori, in attesa di una
risposta dal cielo e nella convinzione che essa può giungere, o per lo meno conservandone
tenacemente la speranza. Rompere con il quotidiano. Lasciare la cerchia familiare della casa,
del quartiere, del villaggio o della città, della gente che si conosce, dei riferimerti divenuti
troppo familiari o senza speranza. E rompere il ritmo del lavoro dove l'uomo lentamente
regredisce ,di fronte agli imperativi economici o tecnici. E esporsi alla novità, alla sorpresa,
alla differenza, all'Incontro. Non c'è nulla che dica in anticipo chi si incontrerà lungo la strada,
ma, con appena un velo di apprensione, lo scout spera l'incontro. Partire significa perdere dei
punti di riferimento nella speranza immensa, o folle, di guadagnare tutto.
Il cammino degli scout è personale, ma anche comunitario. Nella strada si diventa fratelli,
s‟impara concretamente che cosa significhi “portare gli uni i pesi degli altri”, si costruisce la
comunità, ci si scopre persone significative, che si fanno compagnia, a volte per il tempo di
tutta l‟esistenza, a volte solo per un tratto di strada. Ma il ricordo resta scolpito nel cuore, e
darà forza anche in futuro, quando ripetutamente si dovrà riprendere in mano il libro della
propria vita, voltare pagina e trovare il coraggio di scrivere su quella intonsa, forse addirittura
supplicando il cielo che nulla vi si inscriva prima che il vento e le intemperie abbiano a lungo
coniugato i loro sforzi per dettare un'esperienza nuova, inedita.
Essere viandanti è rompere con le preoccupazioni, quelle buone e le altre, e a poco a poço
anche con le angosce, che a volte pesano. E‟ fare una sosta, concedersi una tregua nei ritmi
implacabili. Accordarsi segretamente la libertà di ricominciare tutto da capo, senza
costrizioni, dal momento che il cammino dello scout è una specie di allenamento che
permetterà in seguito di riprendere in modo diverso la tessitura dei lavori e dei giorni
intrapresi da... sempre, in realtà! Perché la strada è sempre uno sconvolgimento, un'occasione
per uscire dall'assetto costituito. E rappresenta l'opportunità di un incontro dal quale ci si
attende quella che bisogna chiamare con il suo nome, "conversione", o "guarigione del cuore",
cioè quel misterioso turbamento interiore che coinvolge l'intera esistenza. E questo ciascuno
lo sa per esperienza, perché in realtà parlando del cammino non parliamo degli altri, ma di noi
stessi e della nostra vita.
IMPARARE A SUPERARE LA CRISI
Più si diventa adulti, più l‟ansia di trovare certezze e punti di riferimento stabili e sicuri diventa
crescente. Allora viene spontanea la domanda: perché cammino, ma soprattutto per chi? Non è forse ora di
fermarsi e passare ad altri più giovani il compito di camminare? Anche perché le forze vengono meno, le
gambe non sorreggono più, la pigrizia di uscire e mettersi in cammino potrebbe essere giustificata. Si ha
sempre più bisogno di garanzie, di trovare lunghi momenti di pausa, di comodità. La salute più precaria e
anche solo il peso degli anni rendono più difficile il cambiamento, la novità, il dover intraprendere altri
sentieri, immettersi in nuove avventure. Anche il coraggio viene meno. La tentazione diventa quella di
prendere atto delle mutate capacità fisiche e con umiltà rinunciare a quello che per tanti anni abbiamo
vissuto, insegnato e trasmesso ai ragazzi come un valore da non perdere, come stile di vita insostituibile.
Sembra inevitabile il doversi arrendere. Ci si attacca ai ricordi di quanto fatto, si difendono le proprie idee
acquisite nel tempo, si ricerca il supporto di amici che la pensano come noi, si assapora l‟intimità della
propria casa e i suoi confort.
Mi voglio convincere che sono arrivato. E invece no. Non bisogna fermarsi. Bisogna superare la
pigrizia, buttarsi fuori sulla strada e ricominciare il cammino, con più paure e titubanze ma il passo più
lento e cadenzato ci farà assaporare meglio il panorama nuovo che ci circonda, il profumo dei fiori e l‟eco
di tante parole, la condivisione di quello che abbiamo con noi e tutto quello che, in gioventù, la fretta e la
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nostra prestanza fisica, ci hanno magari fatto perdere.
Ora vediamo con maggior chiarezza che non possiamo perdere queste opportunità e tutto ci fa capire che
solo attraverso un cammino, a volte rapido e tumultuoso, a volte arduo e faticoso, a volte ricco e gioioso, a
volte incomprensibile e maledetto, a volte lento e strascicato, ma comunque sempre un cammino, possiamo
dare un senso alla nostra vita. Il lungo cammino permette di rientrare in contatto con il creato, riavvicinare
quel mondo che abbiamo perso e quel Creatore che abbiamo dimenticato. Trovare il tempo della lode
durante il cammino, tempo dettato dai limiti del nostro fisico, dai limiti della natura, dalla nostra
volontà di fermarsi. Dove il percorso è la meta e la meta è il percorso per continuare verso il
nuovo. E il nuovo non spaventa, se il cammino ci pro-tende verso il Padre che accoglie i suoi
figli al termine del cammino di una vita. Ma solo se si è vigilanti, cioè sempre in movimento.
A volte, coltiviamo l‟illusione di poter possedere tutti i paesaggi della terra, vedendoli, magari
sul pc con Google Earth o affini. Non sarà mai la stessa cosa che percorrerli a piedi. Lanza del
Vasto, “Principi e Precetti del ritorno all‟Evidenza” ed. Gribaudi 1972, pag.17 e segg., a proposito della
Vita Errante, dice:
«Non è giunto colui che cammina. Il viandante non è un
saggio, non è un santo. È un amico della saggezza, un amante
della santità. La verità che tu cerchi non sta al termine del
cammino. Sta dappertutto. Sta in te.Te stesso cerchi, o pazzo. E
vai a cercarti lontano! Infatti il mio corpo che si trascina nel
mondo esterno igno-ra la verità che la mia intelligenza ha
visto.Voglio mettere i piedi nei passi del mio pensiero, voglio
tastare con le ma-ni ciò che sa il mio sapere, voglio pesare il
mio peso sulla terra promessa delle certezze spirituali. Va,
pazzo! Mettiti dunque in marcia con tutta la tua vita. E la
strada faccia cantare il tuo corpo di canna secca e le tue
gambe di vento.
Insegna al tuo corpo a morire camminando. Insegnagli
passo a passo la natura di ogni cosa che è di passare. Che ogni
cosa desiderabile dica ai tuoi occhi: tua non sono. Mentre il
paesaggio si dispiega, e i piedi e le ginocchia ti si agitano
sotto, appunta la mente, appoggia la punta della mente in un
punto. Giacchè il corpo tuo non può seguirti nella stabilità,
tienilo sempre in movimento per dar sfogo all‟inquietudine sua.
Tutto il giorno fallo camminare e lavorare. Fermalo solo per
dormire. Se smetti un momento di occuparlo, quello occuperà
te»
(cit. in Gege Ferrario, “Camminare: il cammino come metafora della vita”,
Servire 2006/3, p.10).
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PARTE II
PER UNA REVISIONE DELL’ESPERIENZA DEL CAMMINO
NELLO SPECIFICO DELLO SCOUTISMO
1 IL CAMMINO IN BRANCO/CERCHIO
Volgiamo lo sguardo ai racconti giungla. I personaggi che lo animano sono perennemente in
movimento: talvolta cacciano prede, talvolta fuggono da nemici troppo forti, talvolta si
recano in luoghi particolari, talvolta corrono a salvare amici, talvolta si muovono tendendo
trappole ai nemici. E in tutti i tempi della giornata:all‟alba,di notte,in pieno giorno, al
tramonto; e in tutte le stagioni.
Potremmo dire che il branco è sempre in movimento, sempre di corsa, sempre in cammino:
la corsa e lo spensierato cammino sono il modo di fare strada del branco. E in questo mo-do il
branco deve farne molta. In un modo giocoso, si abituano i bambini fin da piccoli a sopportare
la fatica e gli sforzi (è questa l‟etimologia del termine “atleta”) e a familiarizzare con le mete
lontane e gli sforzi prolungati… sempre giocando.
Il branco (nelle cacce, come nelle Vacanze di branco) non è un qualunque gruppo di
bambini che gioca nel prato di fronte alla casa o in oratorio, ma un gruppo in continuo
movimento-cammino.Talvolta per cer-care un prato più bello per giocare, tal-volta
semplicemente per raggiungere un luogo più bello, talvolta per andare al torrente a sguazzare
nell‟acqua, talvolta per raggiungere una vetta.
Che tristi i consigli della rupe in una stanza; che belli quelli fatti su una rupe vera,anche se
distante dalla casa. Vacanze di branco dove i bambini sono portati in macchina fino alla casa
dove si svolgerà il campo; cacce che non prevedono nessun spostamento a piedi; prati per
giocare che sono volgari campi da calcio o parcheggi, o il solito parco o parchetto, giochi che
pre-vedono sempre il prato in piano…e in piano c‟è solo il campo da calcio! Ci si giustifica
dicendo: i bambini non ce la fanno. Non è vero. I bambini sono pieni di energie, hanno
capacità di resistenza fisica. Bisogna solo sapere che in loro domina lo spirito del gioco, non
vedono i pericoli, devono essere rimotivati spesso. Abbiamo l‟impressione che ci si nasconda
dietro un po‟di pigrizia e un po‟ di interpretazione minima del lupettismo. Non mancano però
realtà belle di branchi che fanno strada: salgono sul Rocciamelone (tremila e rotti metri) o
affrontano 1000 metri di dislivello in giornata.
2. IL CAMMINO IN BRANCA E/G
Analogamente alla branca L/C la strada non costituisce per gli esploratori e le guide una
spiritualità, né uno strumento del metodo. Tuttavia essa interagisce efficacemente con il
mondo E/G. La spiritualità E/G come spiritualità del „cavaliere‟ che lotta per il bene difficile
contro il male facile „implica‟ un muoversi in questo mondo alla ricerca delle situazioni in cui
urge la presenza di un esploratore e una guida che lottino contro il male attraverso azioni
buone. È l‟idea del cavaliere errante; è l‟idea dell‟esploratore e della guida in movimento, in
strada alla ricerca dei luoghi oscuri del male per portarvi il bene. Per quanto riguarda il
metodo molte sono le attività specifiche della branca E/G che richiedono il camminare:
pensiamo alle imprese all‟aria aperta, alle missioni, al campo estivo e alle uscite. Vi è come
una inscindibile connessione fra le attività più tipiche della branca e il camminare. Si
cammina per raggiungere il luogo dove si faranno delle cose; si cammina per raggiungere una
meta assegnata; si cammina per raggiungere il luogo del campo estivo; si cammina dal luogo
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del campo verso l‟esplorazione dei luoghi circostanti; si cammina quando si lasciano i centri
abitati per raggiungere i boschi. Sembra proprio che il camminare sia necessario per
spingersi alla frontiera, là dove ha senso essere esploratori e guide. Se ora volgiamo lo
sguardo all‟idea di esplorazione e al tipo dell‟esploratore vediamo che il camminare gli
appartiene come essenziale. L‟esploratore infatti si spinge là dove non ci sono strade, dove
occorre passo dopo passo aprirsi una via, una nuova via… magari sfruttando vecchie tracce
coperte dai rovi, ma in ogni caso camminando. Per un adolescente, in primo piano vi è il
fascino della meta, sia essa una vetta, o lo stare insieme al campo, o il realizzare qualcosa; ma
tale meta si può raggiungere solo a condizione di un cammino paziente e costante. Ecco la
strada come figura pedagogica della distanza da superare fra sogno e realtà; come figura della
fatica del diventare adulti a cui è orientata l‟adolescenza. Non possiamo passare oltre senza
però gettare uno sguardo alla pratica. Ciò che ci sembra osservare è che la svalutazione della
strada è correlativa alla svalutazione della vita nei boschi. E la correlazione va nel senso che
diminuendo la vita all‟aria aperta diminuisce la strada. Quando gran parte delle uscite si
svolge in sede o nel vicino parchetto, quando i pernottamenti sono molto radi, quando le
missioni sono brevi trasferimenti, quando i rifugi si costruiscono nel giardino di casa, quando
i luoghi dei campi sono raggiunti da comodi pullman l‟idea dell‟avventura e dell‟esplorazione
è perduta e con essa l‟implicito della strada e del suo significato pedagogico.
3. IL CAMMINO NEL CLAN/FUOCO
La progressione personale è articolata in tre momenti:
1. La salita al Noviziato: è l'accettazione di sperimentare la proposta del
roverismo/scoltismo in una tensione alla disponibilità e al cambiamento. Durante l'anno di
Noviziato il giovane, attraverso un intenso rapporto educativo con i Capi e con gli altri e
vivendo forti esperienze di Strada, Comunità, Servizio, decide se vivere nel Clan/Fuoco la
sua rinnovata adesione ai valori dello Scautismo.
2. La firma dell'Impegno: è il segno della volontà di impegnarsi secondo le indicazioni
espresse nella Carta di Clan dove è esplicitato il modo particolare di ogni Clan- Fuoco di
vivere la proposta del roverismo-scoltismo. Contemporaneamente avviene il rinnovo della
Promessa e il Rover/Scolta esprime uno specifico impegno personale per individuare ancora
meglio il proprio itinerario educativo. La firma coincide con l'assunzione di un effettivo
impegno di condivisione all'interno del Clan e di un servizio all'esterno del Clan.
3. La Partenza: tra i 19 e i 21 anni, le Scolte e i Rovers chiedono che i Capi e l'A.E.
riconoscano che è giunto il momento di abbandonare il Clan ed attuare le proprie scelte di
vita al di fuori, rispondendo in tal modo alla propria vocazione di donne e di uomini che
scelgono di giocare la propria vita secondo i valori proposti dallo Scautismo, e cioè di
annunciare e testimoniare il Vangelo, di voler essere membri vivi della Chiesa, di voler
attuare un proprio servizio per gli altri.
Con la Partenza termina l'itinerario educativo proposto dallo Scautismo ed inizia
quello di «educazione permanente» dell'adulto.
4. VALUTAZIONE DELL’ESPERIENZA CONCRETA IN R/S
In branca R/S la strada è insieme spiritualità, strumento del metodo, figura sintetica del tipo
dell‟uomo-scout. Per quanto riguarda la spiritualità di fatto nella storia del
roverismo/scoltismo italiano fra i tre elementi del metodo di branca – strada, comunità,
servizio – è stata la strada l‟elemento attorno al quale si è sintetizzata la figura del rover e
della scolta come discepoli di Gesù. Poteva essere il servizio, poteva essere la comunità, ma
di fatto è stato la strada. I riferimenti fondamentali della formazione di questa spiritualità sono
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sicuramente il libro „Spiritualità della strada‟ di J. Foillet, gli scritti di Mons. Andrea Ghetti,
il saggio „Spiritualità della strada‟ di Don Giorgio Basadonna e „Sulle strade, una spiritualità
per chi cammina ‟di Giacomo Grasso o.p.. Ciò che ne emerge è che il tipo del cristianorover/scolta si caratterizza come:
colui che concepisce l‟esistenza come un cammino fra un primo incontro con Gesù
(vocazione) e il definitivo incontro con Lui;
colui che concepisce la storia come un cammino fra creazione e Regno di Dio;
colui che si incammina verso l‟incontro con Gesù e contribuisce alla crescita del
Regno attraverso il servizio e in spirito di fraternità con tutti;
colui che cammina nella storia in stato di perenne conversione e di partecipazione
all‟annuncio del Vangelo (S. Paolo).
In definitiva la spiritualità della strada è una spiritualità che concepisce il tempo fra il „già‟ e il
„non ancora‟ come un tempo di impegno, di sforzo, di servizio, di ascesi,...
Sotto questo punto di vista – cioè sotto il punto di vista della spiritualità – la situazione
concreta si presenta a nostro avviso non priva di problemi. Ne segnaliamo due.
Il primo riguarda lo scivolamento dalla „spiritualità della strada‟ alla „spiritualità
della ricerca‟. La differenza fra le due è totale. Nella prima il camminare parte da un luogo,
un primo iniziale incontro con Dio o il porsi seriamente il problema di Dio, e ha come meta
un altro luogo, l‟incontro definitivo con lui. Nella seconda il ricercare è un valore in sé e ogni
risposta parziale o totale che sia è interpretata come qualcosa che blocca la ricerca. Capita
così che si firmi la carta di clan o che si faccia la partenza perché si è in „ricerca‟, ovvero in
un indefinito sentimento di indecisione, senza mai aver fatto un passo concreto sulle tracce di
Dio.
Il secondo è l‟interpretazione della spiritualità della strada come di una spiritualità
che attribuisce un valore positivo a tutto ciò che accade nella vita. Si dice: se accade ha un
senso o comunque costituisce un avanzamento, un passo in avanti, qualcosa di positivo.
Rispondiamo: è vero che la vita e la sequela di Gesù sono un cammino, ma è altrettanto vero
che nel nostro camminare (vita e sequela di Gesù) possiamo sbagliare strada, e che questo
camminare su una strada sbagliata è altra cosa dal camminare sulla via retta.
Fra le due c‟è si una continuità cronologica (la vita è una sola), ma in una discontinuità
di valore e di orientamento. E ritornare sulla strada retta esige la conversione.
Consideriamo ora la strada come strumento del metodo R/S. Si impongono due ordini
di riflessioni: il primo si riferisce alla strada come „ambiente‟ della vita dei noviziati e dei clan
e il secondo si riguarda la route strumento specifico e irrinunciabile del metodo R/S.
Considerata in termini generali la strada costituisce con il servizio e la comunità la
triade fondamentale del metodo R/S. A nostro giudizio l‟interpretazione comune della triade
strada-comunità-servizio è quella che vede i tre elementi come tre tipi di attività. Si dice:
attività di strada, attività di comunità, attività di servizio; con relative route: route di strada,
route di servizio, route di comunità. Niente di più errato.
Strada, comunità e servizio non sono tre attività, ma dicono la medesima vita di
noviziato e di clan da tre punti di vista diversi.
Precisamente: lo stile dei rapporti è quello della comunità (meglio sarebbe dire della
fraternità. B.-P.: „il clan è la fraternità della strada e del servizio‟); il modo di stare nel
mondo è quello del servizio; il luogo proprio della vita della comunità è la strada. Come un
monaco vive nel monastero,gli sposi vivono nella loro casa, il sacerdote vive nella canonica, i
rover e le scolte vivono sulla strada. La strada è la loro casa, il loro monastero,la loro
canonica.Quando nella vita dei clan e dei noviziati si è poco sulla strada, si fa poca strada, non
si ama la strada, non se ne sente il richiamo non si è noviziato e non si è clan. Un clan non
può decidere se fare strada o meno! Un clan fa strada per definizione. Pena essere un‟altra
cosa. Consideriamo ora in specifico la route. Definiamola: 8-10 giorni, camminando dall‟alba
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al tramonto e dormendo in luoghi diversi. Così definita la route è il luogo massimo in cui
sperimentare la strada come casa, monastero e canonica. Rinunciare ad essa può essere solo
un fatto eccezionale, ne va dell‟idea stessa di roverismo/scoltismo. Non sono route le uscite di
tre giorni invernali o di Pasqua, non sono route i campi di spiritualità e di servizio. Se
guardiamo ora la pratica dei clan e dei noviziati lo strumento route – e dunque la strada
come casa dei clan e dei noviziati - non ci sembra in buona salute.
5. E’ NECESSARIO RIDARE CENTRALITA ALL’ESPERIENZA DEL CAMMINO
Registriamo tre categorie di atteggiamenti:
1. i clan e i noviziati che fanno route vere. Sono clan e noviziati che si collocano
normalmente nei piccoli centri o dove il camminare è congeniale in ragione del luogo dove
si vive;
2. i clan e i noviziati che fanno route simboliche. Sono quelli che fanno una route ogni 4 anni, o
che non giungono alla meta o che fanno percorsi estremamente modesti. Una volta un clan ha fatto in 7
giorni il percorso che un altro clan alla prima route ha fatto in due giorni e tranquillamente!
3. i clan e i noviziati che anestetizzano la route proponendo un mix: tre giorni di strada, due fermi
di comunità e tre di servizio. Peggio non si potrebbe!
C‟è molto lavoro da fare per ridare alla route la sua dignità e la sua centralità. La strada è anche
una visione dell‟uomo e strumento della formazione del carattere. L‟aspetto centrale è la fatica. La strada
mette il giovane e ognuno di noi di fronte al fatto reale che la vita realizza le sue promesse di bellezza e di
pienezza solo a prezzo di molta fatica. Il tipo di uomo-scout lo sa bene, lo accetta, lo vive con serenità, non
perde la gioia e tenacemente giunge alla meta. Sotto questo profilo la strada concretamente percorsa è una
straordinaria possibilità di formazione del carattere. Proprio là dove la strada è più dura e verrebbe voglia di
cambiare meta o di tornare a casa; proprio là dove le ragioni del continuare a camminare vengono meno e
resta solo il passo dopo passo; là succede che le persone forgiano la loro interiorità. Non ci interessano le
strade fatte su misura, quelle che non fanno giungere al punto oscuro del dubbio circa il continuare. Questa
strade sono accademia, non strada vera. È sapienza del capo costruire route che forzano, che spingono più
avanti la resistenza psicologica e spirituale dei rover e delle scolte.
Il camminare ha in sé l‟elemento fisico che è l‟essenza del concetto stesso del cammino. Quanta
strada si può fare a piedi: è una frase semplice ma essenziale; com-prensibile solo dopo aver camminato
tanto; solo dopo essere stanchi, un po‟ sudati e sporchi (spesso bagnati o accaldati) ma che rende l‟incanto
del cammino. La natura è il compagno di viaggio essenziale di questa esperien-za; così nasce il desiderio di
capire la natura e i suoi meccanismi; si incontrano le forme naturali negli aspetti più mirabili. Andare più in
là, conoscere ciò che il mondo nasconde ad occhi veloci e frettolosi è l‟insegnamento della natura nel suo
senso più pieno. La curiosità di scoprire il mondo, di capirlo con gli occhi del camminatore. I piedi sono
l‟unico modo di visitare che consente di sentire la polvere della terra o la sua umidità; cogliere la fatica e la
parentela che ci lega al nostro pianeta. I diversi paesi che ho visitato li sento miei solo se ho camminato in
quei territori.
Passare tra fango, vento, sudore per ore; poi arrivare conservando la memoria grata della terra su cui si è
camminato, delle persone incontrate, delle esperienze condivise. Il cammino dello scout non è mai quello
del viandante isolato, è piuttosto quello del compagno di Emmaus che crea fraternità, ma i tempi del
cammino sono quelli dell‟osservazione, del desiderio di fermarsi e ripartire ritmando i passi con lo spirito
di chi passa e va; di chi con umiltà ascolta e guarda, si stupisce e s‟incanta sempre di nuovo di fronte al
nuovo.
Ci si può chiedere “a quale tipo di camminatore guardare per trarre ispirazione? Quello del trekking?
Quello delle vacanze alternative in Patagonia? Quello dell‟escursionismo „fai da te‟? A noi piace guardare
ai milioni di migranti che, talvolta proprio a piedi, lasciano la miseria del loro paese per terre lontane dove
poter meglio vivere. C‟è qualcosa da imparare da questa umanità in cammino! Chissà che sulla strada ci si
scopra ancora una volta fratelli”
(cfr D. Brasca, “La strada nel metodo scout”, Servire 2006/3, p. 3-5).
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