03 Da Hoyle al Whist

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03 Da Hoyle al Whist
DA HOYLE AL WHIST
Per scovare le prime tracce di quello che sarebbe evoluto all’alba del ‘900 nell’attuale
Contract Bridge dobbiamo viaggiare nel tempo fino a circa metà del seicento, per la
precisione nel 1674, quando tale Cotton diede il nome appunto di Whist al capostipite del
Whist vero e proprio.
Sembrerà strano ma questa prima versione veniva giocata con solo 48 carte, dal momento
che dal mazzo venivano tolti i 2; solo più tardi, al tempo in cui Hoyle e Semyour
pubblicarono i primi classici testi sui giochi di carte, si giunse all’utilizzo del mazzo
completo.
Riguardo dell’etimologia del termine Trump, ovvero l’atout, esso deriva
dall’italianissimo gioco del Trionfo, che risale addirittura a prima del quindicesimo
secolo.
L’ordine dei semi era quello classico, ovvero CUORI, QUADRI, FIORI e PICCHE, da
cui la frase Come Quando Fuori Piove per ricordare appunto tale gerarchia.
Ed ecco spiegato, per chi se lo fosse mai chiesto, perché il 2 di PICCHE è considerato
simbolo del minimo assoluto.
E andiamo alla storia; è l’inverno del 1736 quando un gruppo di gentiluomini inglesi, tra
cui Edmond Hoyle e Lord Folkstone, si riuniscono abitualmente al Crown Coffee House.
Appassionati di carte, decidono di abbandonare il gioco del Picchetto per studiare e
dedicarsi al Whist.
Le regole che si impongono sono le seguenti:
-Far giocare la mano più forte
-Studiare la mano del compagno così come la propria (non poco semplice, dal momento
che non esisteva la figura del morto)
-Non forzare la mano del compagno senza una stretta necessità
Hoyle va poi ben oltre e nel 1742 pubblica quello che sarebbe divenuto il padre di tutti i
trattati sull’antenato del bridge, ovvero “A Short Treatise on the Game of Whist”.
Edmond Hoyle
L’impatto del testo è tale che nel volgere di pochi anni il Whist è il gioco di carte più in
voga in tutta l’Inghilterra.
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La prima edizione venne stampata a Londra in poche copie, quasi a livello personale, da
John Watts.
Da esse vennero poi prodotte innumerevoli versioni copiate; uno pei primi casi di
pirataggio in grande stile, tanto che l’autore e l’editore pubblicarono le edizioni
successive vergandole con le proprie firme.
Oggi gli originali sono quasi introvabili e una di esse è esposta alla Bodleian Library ad
Oxford.
Nella sua opera Hoyle non spiega le regole di base del gioco ma cerca di approfondire le
strategie da seguire, si tratta più di più un manuale per esperti che di un corso base.
Riguardo all’autore si sa poco, di certo sembra che abbandonò gli studi di legge per quelli
dei giochi, e di lui si occuparono anche alcuni quotidiani benpensanti di Londra.
In uno si essi compare il seguente trafiletto al riguardo: “Tra le famiglie più importanti
del Regno è comparsa recentemente una nuova figura del Tutor, la cui funzione è quella
di completare l’educazione delle giovani Dame; alla stregua di un maestro di danza egli
passa le ore al istruire le fanciulle ai piaceri mondani dei giochi di carte. Per quanto
assurdo possa sembrare, un numero sempre maggiore di genitori sembra richiedere
questo tipo di servigio per le proprie figlie.”.
D'altronde, conclude benevolmente l’articolo, “sembra appurato che il gioco delle carte
coltivi la socialità ed educhi la gentilezza.”; altri tempi, cari miei.
O forse no; disdicevole e diabolico per la plebe e tutto il contrario per i ceti elevati.
Hoyle diviene il più ricercato istruttore di Londra non solo per le giovani damigelle, ma
anche per i loro cavalieri e per i genitori, e tutti comprano per una ghinea a copia il suo
manuale.
La sua autorità era tale da vedere coniata un’espressione comune, “according to Hoyle”,
che fino a circa metà del ‘900 indicava in generale per i giochi di carte il concetto di
giocare alla regola, seguendo le regole dei testi.
Agli articoli adulatori che come sempre accompagnano l’uomo di successo del momento
si unisce un libercolo satirico che fa il verso al nume del gioco.
Hoyle ha la caricatura del Professor Whiston, che dà lezioni a Sir Calculation Puzzle.
Quest’ultimo è in un certo senso l’antenato dell’Esperto Sfortunato di Simon nel suo
famosissimo “Perché perdete a Bridge”; applica alla lettera, o crede di applicare, tutti gli
insegnamenti del maestro, ma non riesce mai a indovinare un colpo, e il Professor
Whiston ha il suo bel daffare a spiegare perché teoria e pratica non vanno d’accordo.
Tornando a Hoyle in persona, forte del successo che lo accompagnava egli pubblicò
successivamente “The Gamesters’ Companion”, “The Polite Gamester”, e infine
“Hoyle’s Games” considerato ancora oggi il più importante trattato di sempre sui giochi
di carte, che spazia dal Whist al Picchetto così come dagli Scacchi al Backgammon.
Lord Byron scrisse testualmente che “Troia deve ad Omero quello che il Whist deve a
Hoyle”.
Il grande merito di Hoyle fu che la diffusione del gioco varcò i confini dell’aristocrazia a
cui era precedentemente confinato, divenendo popolare a livello di ogni ceto sociale.
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Un giornale dell’epoca arrivò ad asserire che nel gioco del Whist ”oggi come oggi ogni
ragazzino dagli otto anni in su se la cava più che bene.”.
Più che nelle case il gioco era diffuso in tutte le Coffee House di Londra e pian piano
entrò nei più esclusivi club privati, dove i Lord così come gli alti prelati avevano la
passione del gioco radicata ai massimi livelli.
Tanto per raccontarne una, all’entrata dei Circoli c’era un Libro delle Scommesse, su cui i
soci firmavano gli impegni reciproci; nel novembre 1754 venne riportato che “Lord
Mountfort scommette cento ghinee con Sir John Bland che Mr. Nash sopravviverà a Mr.
Cibber”.
Qualche mese dopo l’esito riportato è che “sia Lord M. che Sir B. sono trapassati prima
che la scommessa si fosse conclusa.”.
Terreno fertile per un gioco d’azzardo quale il Whist.
La prima edizione Americana di “Hoyle’s Games” venne pubblicata a Philadelphia nel
1790.
SALE LA FEBBRE PER IL GIOCO
Il primo codice delle regole del gioco venne pubblicato presso la Caffetteria White and
Sander’s nel 1760 e nel 1851 fu la volta del più famoso regolamento del Portland Club,
redatto da Caelebs.
Benjamin Franklin, in una lettera spedita alla moglie durante un viaggio in Inghilterra,
racconta che “il Cribbage è ormai fuori moda e ormai, da Parigi a Londra, tutti giocano a
Whist.”.
(il Cribbage è uno dei primissimi giochi di carte, inventato si dice da un soldato inglese
all’inizio del ‘600).
Charles Maurice de Talleyrand-Périgord fu un aristocratico francese che ancora oggi
viene considerato come il più influente diplomatico della storia europea.
Talleyrand-Périgord
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Lavorò anche in qualità di Primo Ministro sotto il Regno di Luigi XVI e poi sotto
Napoleone, e a lui viene attribuita la seguente sentenza: “E così, povero giovane, non
giochi a Whist? Quale triste età avanzata stai preparando per te stesso!”.
Il più grande giocatore dell’epoca fu un altro francese, Deschapelles, il cui nome è noto
ancora oggi per un colpo che prende il suo nome.
E anche in Italia il Whist godeva di molta popolarità.
Sembra che a Firenze, nei palchi dell’opera, sul finire del ‘700 gli appassionati giocassero
sulle note delle loro arie preferite.
A Londra nel 1793 nacque la rivista “Sporting Magazine”, in cui una regolare rubrica era
dedicata al Whist.
Per rimanere in Inghilterra c’è da notare che il gioco era particolarmente diffuso tra i
militari, molti dei quali pubblicarono volumi al riguardo.
Un buon esempio di quanto il Whist venisse giudicato una valida palestra per affinare il
senso tattico ce lo può fornire la dedica che il Generale Scott dedica al Duca di
Wellington nella prefazione del suo “Easy rules of Whist”: “My Lord, nessun libro
potrebbe essere più indicato del presente per venir dedicato a Vostra Signoria. Sebbene
nel gioco del Whist molto dipende dalla fortuna, la massima parte è determinata
dall’intelligenza del giocatore. Le vostre vittorie in guerra sono state ottenute grazie alla
vostra abilità in quello che mi permetto di chiamare Il Gran Gioco Militare. Per Vostro
merito il mondo ora è in pace e potrete dunque dedicarVi a sconfiggere i nemici
immaginari al tavolo di Whist seguendo gli stessi principi logici che tanta fama Vi hanno
portato.”.
Una bella sviolinata, non c’è che dire, ma non so se il Duca avesse apprezzato, dal
momento che dedicare un libro intitolato “Le facili regole del Whist” è come dire che il
destinatario queste regole è meglio che se le rilegga.
Dal codice di Portland prese spunto la neonata American Whist League quando nel 1891
codificò e modificò alcune regole, tra cui quella che il premio partita si otteneva al
raggiungimento di sette e non cinque prese.
Il più grande impulso allo sviluppo del Whist venne dall’avvento del Duplicato, che di
fatto diede il via all’attività agonistica.
Protagonista di tale innovazione fu un personaggio che sarebbe diventato uno dei grandi
Immortali del Bridge, Milton C. Work.
A questo proposito vale la pena di soffermarci su questo grande personaggio.
Credo che a molti bridgisti il suo nome non suoni nuovo: il conteggio dei punti così come
ancora oggi tutti noi lo utilizziamo, quattro l’ASSO, tre il RE e così via, ha il nome
appunto di Punti Milton C. Work, con tanto di nome, cognome e secondo nome puntato.
Un’invenzione che prese piede universalmente solo parecchio tempo dopo la morte
dell’autore, avvenuta nel lontano ’34.
Fino agli anni cinquanta l’influenza degli insegnamenti di ElyCulbertson fece sì che la
massima parte dei bridgisti utilizzasse il suo metodo di valutazione della mano, basato
sulle vincenti.
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Ma non è questo che volevo raccontarvi, bensì la storia di un’intuizione che di fatto diede
vita al bridge di competizione così come oggi lo concepiamo.
La nascita e lo sviluppo del bridge a partire dal suo predecessore, il whist, senza
dichiarazione e senza morto, furono in massima parte basate sulla partita libera, in cui sul
breve termine l’influenza della sorte determinava spesso le fortune dei contendenti.
Ai nostri tempi la partita è stata quasi completamente soppiantata dal bridge di gara, a
squadre o a coppie che sia, in cui il fine è quello di confrontarsi sullo stesso terreno,
ovvero giocando le medesime smazzate.
E sembra a tutti noi banale il concetto dei boards che passano da un tavolo all’altro.
Ma, come per quasi tutte le invenzioni, finché non ci si pensa il concetto è tutt’altro che
intuitivo.
Andiamo allora alla storia.
L’anno è circa il 1880 e Milton C. Work è un giovane studente dell’Università della
Pennsylvania che ha ereditato dal padre la passione per il whist.
A quei tempi gli unici testi sull’argomento erano a firma di tale Henry Jones, un inglese
che scriveva sotto lo pseudonimo di Cavendish.
Il nostro Milton leggeva con avidità tutte le sue pubblicazioni sull’argomento, fino al
giorno in cui gli capitò sott’occhio un capitolo dedicato al tentativo di eliminare il fattore
fortuna dal tavolo da gioco.
Mr. Jones raccontava di avere radunato otto amici dividendoli in due squadre di quattro;
aveva selezionato nella prima coloro che a suo parere erano più ferrati e nell’altra i meno
esperti.
Alla fine, avendo fatto giocare un certo numero di smazzate uguali nelle due sale, la
compagine favorita aveva vinto con facilità.
A parere dell’autore l’esperimento aveva favorito i più bravi diminuendo l’effetto della
sorte.
Milton decise di dare un seguito alla storia; radunò i suoi amici appassionati di carte
fondando con loro il Club del Whist dell’Università della Pennsylvania e dando loro da
leggere i pochi testi in circolazione.
Forti di un minimo di preparazione comune di base lanciarono allora la sfida a un gruppo
di preminenti uomini di affari che erano riuniti sotto il titolo di Saturday Night Whist
Club, il club del whist del sabato sera.
Questi erano in teoria i migliori giocatori di Philadelphia che a cadenza settimanale si
riunivano a casa di uno dei membri a rotazione per interminabili partite il cui fine era di
radunare abbastanza soldi da organizzare a fine stagione un gran banchetto a spese dei
perdenti.
Non avevano mai sentito parlare di testi tecnici e tanto meno di duplicato ma erano senza
dubbio tutti giocatori di esperienza.
Incuriositi dalla proposta e desiderosi di dare una lezione ai giovani rampanti, accettarono
il confronto.
La sede di gara fu la residenza di uno dei membri del Saturday Night, il Capitano John P.
Green, vice presidente delle Ferrovie della Pennsylvanya.
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Il Philadelphia Team
Ed ecco come tecnicamente si svolse quello che di fatto fu il primo duplicato interclub.
Due stanze in cui i membri di una squadra sedevano NORD-SUD in una ed EST-OVEST
nell’altra.
Su ogni tavolo un mazzo di carte e tredici fiches.
Durante il gioco ognuno teneva le proprie carte accanto a sé e la linea che si faceva la
presa prendeva una fiche; non era ancora venuto in mente di tenere la carta coperta
orizzontale o verticale a seconda di chi se l’aggiudica.
A fine mano le tredici carte di ognuno venivano mescolate per non indicare la sequenza
del gioco, il risultato veniva annotato e i quattro di una sala andavano a giocare la mano
conclusa nell’altra.
Così via fino alla fine, nessun board e due soli mazzi di carte.
I giovani fecero valere la preparazione di gruppo vincendo agevolmente e i senior
accettarono di buon grado la lezione formando poco tempo dopo con loro l’Hamilton
Club di Philadelphia, che iniziò a occuparsi di Whist competitivo.
Il risultato fu poco tempo dopo la nascita della Lega Americana di Whist.
Sempre in quegli anni John T. Mitchell, forse il cognome vi dice qualcosa, introdusse il
primo board da duplicato, rendendo di fatto semplice ed attuabile il whist di gara.
Milton C. Work divenne negli anni a venire un preminente personaggio nel giovane
mondo del bridge, senza per questo lasciare da parte la sua principale attività, che era
quella di docente di lettere presso l’Università della Pennsylvanya.
E non solo.
Tra le sue mansioni per così dire alternative c’era quella di allenatore della squadra
universitaria di baseball; di giorno allenava i suoi ragazzi e di sera li conduceva dalla
passione del poker a quella prima del whist e poi del bridge.
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Ricordate che a quei tempi si scatenò una tale passione per il nostro amato gioco che tutti,
dall’industriale fino all’operaio che immaginiamo sospeso alle travi nella costruzione dei
grattacieli di New York, dal banchiere all’impiegato, tutti dicevo approfittavano di ogni
momento di svago per una partita con amici o colleghi.
In molti treni per i pendolari c’erano apposite carrozze attrezzate con tavoli da gioco.
Si giocava persino in piscina.
Un torneo in piscina
Ma ora, a proposito di treni, rientriamo nei binari del nostro filo conduttore.
Sempre nel 1891 venne sperimentato il metodo Howell per i movimenti dei tornei; era
più o meno lo stesso che ancora oggi sfruttiamo quando il numero di coppie è troppo
limitato per un normale Mitchell.
Vi ricordo che all’epoca parliamo di Whist e non ancora di Bridge.
Il primo testo in cui si parla di Bridge risale a qualche anno prima, il 1886, e si intitola
Birritch, or Russian Bridge.
Già, il nome Bridge non indica il ponte immaginari che si instaura tra i due compagni di
gioco ma sembra essere semplicemente l’inglesizzazione di un termine russo.
La differenza tra il Whist e il suo giovane successore era che il seme di atout non veniva
sorteggiato ma scelto di mano in mano dal mazziere o dal suo compagno nel caso il
primo non avesse preferenze.
Nei primi anni del ‘900 capitò che alcuni giocatori, trovandosi solo in tre, provarono a
giocare lasciando esposte le carte del quarto.
Leggenda racconta che furono tre soldati in trincea a sperimentare per primi tale novità.
L’introduzione del morto rese di fatto molto più divertente il gioco e poco per volta il
concetto prese piede anche per i tavoli da quattro giocatori.
Il nuovo gioco, chiamato Auction Bridge, venne sperimentato nei circoli di Londra.
Il rango dei semi divenne quello attuale, con le PICCHE in cima e le FIORI in fondo.
L’Auction divenne Plafond e il Plafond piano piano fu soppiantato dal nuovo arrivato, il
Contract, in cui la grossa novità era data dalla licita e dai premi per i contratti di slam,
ideati da Harold Vanderbild, che incontrarono subito grande successo.
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Il battesimo di tale innovazione avvenne per la precisione nell’ottobre 1925, a bordo della
nave da crociera Finland in partenza da San Francisco.
Essa riscosse molto successo e durante l’inverno successivo gli appassionati vacanzieri
contagiarono col loro entusiasmo i compagni di gioco dei rispettivi circoli.
E nel 1927 anche l’Auction Bridge Bulletin prese atto del nuovo arrivato che rischiava di
soppiantare le precedenti forme di bridge; in un lungo articolo intitolato “C’è un futuro in
America per il ContractAuction?” la conclusione fu la seguente: “Fino ad ora il Bollettino
non ha fatto cenno sulle proprie pagine al Contract, ritenendo che questa nuova formula
non avrebbe preso piede e che nemmeno ci fossero abbastanza giocatori interessati ad
essa. Ma allo stato attuale il Contract ha raggiunto una posizione tale da non potere essere
da noi ignorata nel rispetto dei nostri lettori. Il concetto di vulnerabilità (essere in prima o
in zona) e i premi di partita e slam aggiungono indubbiamente interesse e tensione al
gioco. Ma, come per tutte le novità, solo il tempo potrà dire se il pubblico ne decreterà un
successo duraturo.”.
Un paio di numeri dopo la stessa rivista prova a dar addosso al Contract con le seguenti
considerazioni: “Le ragioni a favore di coloro che rifiutano di adottare il Contract è che
esso privilegia l’approccio speculativo a quello scientifico; va bene per i super giocatori e
se dovesse prendere piede la maggior parte degli appassionati smetterebbe di giocare.
Lo spirito di un gioco deve essere quello di essere semplice e il fatto di dover dichiarare
la partita per avere il premio così come il concetto dei CONTRO sono innovazioni troppo
complicate e tutto sommato inutili.”. E così via.
Il vecchio osteggiava il nuovo dando contro proprio al sale che rende il bridge tanto
appassionante; l’asta licitativa, i premi di manche e slam e le punizioni da affliggere con i
CONTRO.
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