testo completo - Le terre sotto vento

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Un'altra nazione:
Riflessioni sulla politica della cultura e il Sud Musulmano
Michael K. Connors, School of Political Science, La Trobe University
Una nazione nel Sudest Asiatico: dei soldati armati occupano il recinto di un tempio buddista, protetto
da sacchetti di sabbia e filo spinato, per proteggersi dagli attacchi dei guerriglieri. Le stesse forze di
sicurezza usano cani addestrati alla ricerca degli esplosivi nelle perquisizioni delle case e delle scuole
degli abitanti musulmani locali consapevoli che questo atto è estremamente offensivo. Militanti, di cui
alcuni dicono siano ispirati a nozioni perverse della fede Islamica, tagliano la testa delle proprie
vittime, emulando apparentemente gli Jihadisti di altri luoghi. Sembra comunque esserci della
misericordia: le decapitazioni hanno luogo dopo la morte. Giovani, sospettati di attività clandestine,
sono rilasciati dalle prigioni e poi scompaiono. Quello che si sussurra in città, nei piccoli negozi del tè
che popolano la strada principale, è se ci sarà un attacco questa notte. Benvenuti alle province
meridionali thailandesi della frontiera di lingua malese di Pattani, Naratiwat e Yala, dove dal 2004 fino
al 2006 (anno di redazione del testo,ndt) sono morte più di duemilacinquecento persone in uno sporco
ed oscuro conflitto tra gli insorti musulmani di lingua malese, i circoli criminali e gli apparati di
sicurezza dello stato Thailandese.
Per tanti versi, sembra essere un'altra nazione.
Per tanti forestieri, me incluso, il profondo meridione della Thailandia è stato, di gran lunga, un
pensiero periferico: studiare la Thailandia ha significato studiare il Buddismo e la Thailandia
Nazionalista. Per gran parte il mio lavoro è stato spinto dalla ricerca di conoscere il modo in cui il
nazionalismo e l'ideologia unissero formazioni sociali separatiste. L'identità nazionale e il
nazionalismo, (la pistola e la pallottola) integrativi e quasi religiosi nella loro potenza combinata,
continuano a confondere le attese di un'età post nazionale. La Thailandia è sembrata essere un buon
esempio di ciò. Questo interesse mi ha portato ad approfondire sempre di più questo interesse verso il
“successo” del nazionalismo thai e delle sue varie espressioni. Gli eventi nella Thailandia
meridionale, dove è in corso anche una lotta per il riconoscimento nazionale, hanno davvero chiarito
che una simile assunzione sulla costruzione della nazione in Thailandia è proprio mal posta. Ancor di
più ha introdotto ad una parte del mondo, compresi molti attenti osservatori della Thailandia, ed i
thailandesi stessi, una parte di quello stato nazione che proprio non si riesce ad adattare : le province a
maggioranza mussulmane del profondo meridione.
Nel mio primo viaggio a Pattani nell'ottobre 2005 perseguivo la mia ricerca, al momento in
evoluzione, presso il Ministero della Cultura Thailandese. Visitai i suoi uffici provinciali al quarto
piano del sala Jangwat, il vasto palazzo che mette insieme in una singola costruzione provinciale la
maggioranza degli uffici dello stato thailandese. Mi chiedevo come lavorasse un ministero così
identificato nel buddismo e nella devozione alla monarchia in questo sud musulmano. E' qualcosa su
cui ancora lavoro, ma la scoperta essenziale è che i burocrati provinciali di medio rango, buddisti o
musulmani, possono essere abbastanza inventivi nell'interpretare i comandi che vengono dal centro,
divenendo così protagonisti di una politica culturale che si fa più sensibile e più ricca di sfumature.
Questo ha comportato che burocrati provinciali del ministero della Cultura siano ora coinvolti nel
processo di promozione della cultura malay, dei riti e della conservazione dei siti che danno al
profondo sud il suo tratto distintivo. E per indicare la complessità della politica culturale nel Sud, si
noti che, mentre i burocrati del ministero in ritardo promuovono la cultura Malay (il volo degli
aquiloni, le danze, il teatro) con il sostegno dei circoli culturali, essi si ritrovano l'ostilità dei
fondamentalisti musulmani che rigettano del tutto l'identità Malay e che vedono nella cultura Malay
un'influenza contaminante che precedeva l'arrivo dell'Islam nella regione.
Inoltre, questa promozione apparentemente pluralista della cultura Malay ha luogo all'ombra
dell'identità thai, lasciando i rappresenti provinciali dello stato Thai nel profondo Sud impigliati ai
confini della “Thailandesità”: finiscono per sostenere retoricamente un progetto di stato-nazione che
ha pochi riferimenti esperienziali nei luoghi in cui essi operano. Questo è particolarmente vero quando
essi sono compatrioti di un raggruppamento etnico (etnicamente malay musulmani) i cui modi di vita
differenti non riescono a trovare una risonanza nella triade ideologica della nazione (thai), della
religione (buddismo)e della monarchia (buddista e patrona di tutte le religioni). Con tutto questo in
mente, vale a dire di un meridione calderone di progetti, interessi e identità in competizione, vorrei
fissare alcuni punti generali sugli eventi nel sud inquadrati attorno alla questione del nazionalismo.
Per primo, vorrei affermare il punto da cui parto: sono sempre più convinto che c'è un nazionalismo
nel Sud, vale a dire che c'è una nazione senza stato (una lingua e una comunità etnica), che si trova nel
processo di ri-mobilitazione e rigenerazione e forse ancora in cerca di una definizione della sua forma.
Il fatto che questa 'nazione' sopravviverà all'attuale insorgenza, e qualunque risoluzione all'attuale
situazione sarà di lunga durata solo se si viene a patti con un secondo significativo corpo nazionale (e
forse anche altri) all'interno dei confini dello stato Thai. Se questo riconoscimento arriva da un
processo interno e deliberato di riforma, o se si attua attraverso un movimento insurrezionale non lo si
può dire.
A chi è familiare con i luoghi, sarà ben noto che la Thailandia è una nazione fortemente nazionalista
ed, in parte, questo nazionalismo si distorce attraverso l'attaccamento al buddismo e alla monarchia.
Più di recente c'è stata una progressiva evoluzione di quel nazionalismo in una forma che giunge a
valorizzare le differenze locali come una parte di una grande diversità che costituisce il Thai, trovando
espressioni in termini di diversità culturali divenendo al momento la politica ufficiale del Ministero
della Cultura. Questa idea, ortodossa negli anni 90, apparentemente ha aperto degli spazi dentro cui
culture represse possano essere riconosciute e fiorire. Questo cambio si accoppiava, o forse era spinto,
con le aperture democratiche degli anni 80 che fornirono alle élite musulmane una strada per entrare
nell'arena politica. Nei primi anni 90 si è creduto che i gruppi separatisti militanti fossero in un
declino mortale. Un segnale di questo sentimento fu, in parte, lo smantellamento da parte del governo
di Taksin nel 2002 del Centro Amministrativo delle Province della Frontiera Meridionale (SPBAC), il
corpo principale incaricato dell'amministrazione della regione e che incorporava forze locali.
Si può percepire la liberalizzazione della politica, in qualche modo schematica, quando la si compara
pensando al Sud. Una pubblicazione del 1998 del SBPAC vedeva le attività di insorgenza come una
minaccia alla sicurezza nazionale e “... alla stabilità geopolitica che sono soprattutto dipendenti
dall'integrità della religione, tradizione costumi, lingua e cultura e monarchia della Thailandia. La
pubblicazione enunciava la politica nazionale nel Sud che includeva la promozione della lingua Thai
“usare di più il Thailandese come mezzo di comunicazione.”, “per incentivare le attitudine positive
verso l'essere 'Thai' a tutti gli effetti, non membri di una minoranza.” L'organizzazione faceva notare
la centralità della monarchia anche rispetto all'incorporazione dei Malay (o secondo una espressione
preferita, Thai musulmani) nel corpo della nazione. E' il re che “nomina il reverendo leader religioso
islamico come Chularajamontri, o Consigliere supremo per gli Affari islamici”. E del soggiorno del re
nel suo palazzo nel Meridione si dice che “Il calore, la felicità suprema e gli effetti carismatici
riempiono sempre il cuore di tutta la popolazione musulmana Thailandese.” (SPBAC 1988, 20) Un
decennio dopo nel notare il cambiamento nella politica culturale nazionale, il segretario permanente
del Ministero degli Interni Phalakon Suwanrat notava:
Ogni tentativo nel passato di risolvere i problemi nelle province di frontiera del meridione col metodo
dell'assimilazione è risultato totalmente errato. Oggi dobbiamo cambiare il modo di pensare da 'I thai
devono essere completamente gli stessi' oppure 'Unità significa essere gli stessi' a 'I thai non devono
essere tutti gli stessi' e 'Unità può nascere nella diversità'.
In questo spirito, la Politica di Sicurezza Nazionale per le province meridionali di frontiera (1999
2003) stabilisce come propria visione per le aree di frontiera:
“Ogni persona vivrà felice, secondo la propria specifica identità religiosa e culturale, particolarmente i
Musulmani Thai.”.
C'è qui, in modo evidente, una concessione alla differenza, ma è difficile localizzare l'accettazione di
un secondo corpo nazionale nel discorso ufficiale nazionalista, e di qui l'infinito dibattito su come
designare i Malay musulmani nel sud.. Quello che è chiaro, e ancor di più lo è in seguito, è che
“l'essere thai” non riesce a sfuggire alle sue origini di etno-ideologia e, mentre identità subordinate
possono fiorire sotto di essa, nessuno può erigersi ad uguagliarla. Di certo questa è la parte di un
enigma che continua a confondere quelli che cercano una spiegazione agli eventi ultimi nel meridione
della Thailandia.
L'intensificazione della violenza sin dal 2003 2004 ha dei precedenti storici che scoppiano attraverso
tutto il ventesimo secolo. Le province a maggioranza Musulmana malay del sud erano una volta la
residenza del sultanato Malay di Pattani. L'incorporazione amministrativa completa nello stato
nazione nei primi anni del ventesimo secolo ha condotto ad una lamentele economica, culturale e
politica abbastanza ordinaria tra i musulmani malay. Dico “ordinaria” poiché emerge in modo
inevitabile se si considera una situazione che è segnata da una struttura dello stato predatoria e
largamente sciovinista, e poi una classe politica di Malay musulmani, che è ha lavorato con quella
struttura, pragmatica e opportunista. In questo contesto, nessuna ingegneria sociale (leggi ricompensa)
eliminerà gli alti e bassi della ribellione separatista o dei movimenti politici ispirati alla religione nel
Sud se non si va al di là della strategia contraddittoria dell'incorporazione di elite opportuniste e di un
riconoscimento culturale di bassa lega. Gli anni 80 e 90 sono istruttivi in tal senso. In quegli anni si
pensava che SBPAC avesse avuto successo nello stabilire una pace fiorente nella regione
incorporando elementi malay musulmani nella struttura amministrativa e, quindi, introducendo
qualcosa della elite locale nella struttura di governo, in un momento in cui lo stato era fortemente
centralizzato. SBPAC incorporava anche due decadi di compattezza sociale nel sud che riconosceva,
integrava e legittimava vari interessi. Benché si sostenesse che il separatismo era stato sconfitto alla
fine del ventesimo secolo, si possono vedere gli alti e bassi per tutto il periodo. In modo più
strabiliante, una lettura dei giornali di lingua thai Muslim News degli anni 90 rivela che i suoi editori
pubblicavano articoli che narravano la storia dello sfruttamento del Siam e della finale annessione di
Patani. Questa storiografia nazionalista fu pubblicata sotto il naso del SBPAC, mentre ad un livello
ideologico era ignorato dagli enti centrali dello stato che riproducevano l'identità .
Le sorgenti di un nazionalismo al sud sono fertili, anche se al momento mobili e forse rudimentali. Ma
una cosa è certa: non si può sottostimare il contributo reso alla formazione dello stato nazione
dell'esperienza soggettiva e comunale di ciò che può essere vissuto come una forma di colonialismo.
Si allude certo qui all'idea che in qualche modo l'esperienza delle province dl sud sia analoga a quella
di una colonia. Da questo punto di vista il nazionalismo si forgia in parte con lo scalpello corrosivo
dell'umiliazione inerente all'incontro coloniale. Si prenda almeno un esempio: come si può sentire un
funzionario musulmano malay, rispetto alla maggioranza dei funzionari nella regione che sono di gran
lunga thai buddisti provenienti da altre parti di lingua non malay. La burocrazia thai si è sempre
percepita in una relazione paternalistica verso le popolazioni della campagna in tutto il regno (benché
ora abbracci la lingua dei clienti e il dialetto del management moderno); nel sud questa assume un
atteggiamento da super civilizzatore percependo i musulmani malay come un gruppo che ha bisogno
di essere economicamente e culturalmente sviluppato (il che implica l'acquisizione della cultura e
lingua thai) . Il fatto che l'elite Thailandese non abbia vissuto un simile processo di colonizzazione da
parte di un colonizzatore di lingua diversa forse la rende incapace di una certa empatia.
I funzionari di nuova nomina nel Sud si presentano con manuali e sillabari che delineano la specificità
culturale del Sud, come se essi arrivassero ad un avamposto coloniale, equipaggiati di manuali che
forniscono direttive sul modo di trattare gli indigeni. Si può presumere che l'incontro tra la
popolazione e il funzionario ha delle strette affinità con quello che caratterizzava i funzionari
coloniali, e il suo ventre di abusi, agli inizi del ventesimo secolo. Non c'è bisogno di dire che molti
musulmani si sono integrati in questo sistema trovandosi perciò in una posizione ambivalente.
Senza dubbio c'è della generalizzazione che però riflette le cose nella realtà. Un funzionario civile di
Yala annotava che i funzionari musulmani che entravano in contatto con la burocrazia centrale
thailandese subivano spesso le arie di superiorità dei loro equivalenti colleghi thai buddisti che erano
armati di lingua, istruzione cultura ed autorità imputabile alla loro posizione centrale. L'organismo
SPBAC organizzava attività di orientamento culturale e linguistico per il gruppo di burocrati Thai e
buddisti che spesso ruotavano di posto. La stessa fonte mi spiegava che questi funzionari locali ,
incaricati dell'orientamento culturale e linguistico dei nuovi ufficiali arrivati, spesso avevano la
sensazione che vi fosse indifferenza se non disprezzo per i loro sforzi. L'incentivo ad imparare la
lingua e la cultura del posto non era granché per i burocrati dislocati, poiché per molti il prossimo
incarico sarebbe stato, almeno così speravano, da qualche altra parte.
E' da umiliazioni come queste che l'ancella del nazionalismo spesso esce fuori: risentimento e rabbia.
Gli eventi recenti hanno fatto molto per contribuire ad un indurimento del sentimento religioso
nazionalista. Il giorno 28 aprile del 2004, anniversario di una repressione feroce dei dissidenti
musulmani nel 1948 che seminò centinaia di morti, circa un centinaio di uomini musulmani compresi
giovani, armati per lo più di coltelli, in modo aperto e almeno per me in modo inspiegabile, lanciarono
degli attacchi contro posti di blocco e le stazioni di polizia. In un caso si ritirarono nella moschea di
Krue Se dove furono uccisi almeno 30 persone. In totale 107 persone furono uccisi durante gli attacchi
e le ritirate seguenti. Alcuni furono uccisi sommariamente. Il 25 ottobre a Narathiwat le forze di
sicurezza arrestarono più di un migliaio di persone trasportandole in un campo militare. Sulla strada
78 persone morirono, alcuni per soffocamento. Questo è ciò che rafforza il nazionalismo e alimenta la
vendetta. I campi di rieducazione gestiti dall'esercito in cui i simpatizzanti o i sospetti insorti devono
presentarsi probabilmente non faranno dimenticare il ricordo storico del 2004.
La domanda costante che ci si pone è quando finirà la violenza. Nel giugno 2006 la commissione per
la riconciliazione nazionale della Thailandia, dopo un anno di discussione emise il suo rapporto finale
sulle cause e le possibili soluzioni alla violenza nelle province meridionali di frontiera. La
commissione, guidata dal vecchio primo ministro Anand Panyarachun, usò i problemi nel sud come
metafora su cui annotare il deterioramento delle regole democratiche in Thailandia sotto il governo di
Taksin Shinawatra.
Il rapporto fa notare che i problemi esistenti nel Sud prevalgono anche nelle altre regioni, povertà,
abuso di potere, processi giudiziari falsi. Quello che contraddistingue la frontiera meridionale,
conducendola perciò allo stato attuale di conflitto di bassa intensità, è questi problemi si inseriscono in
un contesto marcato da differenze religiose linguistiche e culturali, fornendo tutti gli ingredienti
necessari per un ulteriore deterioramento se non si affrontano le rimostranze.
E come il rapporto annota ancora, queste rimostranze sono anche messe in moto da forze non
ideologiche che usano l'opportunità fornita dal conflitto per continuare a far vivere forme criminali di
comportamento come commerci clandestini e di droga. In modo interessante, in quasi metà dei
villaggi più pericolosi, dove si ritine che insorti sono operativi, il conflitto sulle risorse è un altro tema
scottante suggerendo così come anche le problematiche economiche alimentino il conflitto. Il rapporto
suggerisce anche di esaminare le statistiche provinciali sullo stato del benessere a Sud a livello di
distretti per localizzare le sacche di disperazione.
Mentre riconosce l'esistenza di circoli militanti, NRC vede la violenza nel sud come una conseguenza
di agenti criminali, militanti o di stato che interagiscono con le rimostranze sulle risorse e fattori
strutturali quali la forma di governo che non risponde ai bisogni locali.
Comprendere chi sia dietro la violenza non è cosa facile. Mentre si presentano ai giornali varie sigle
come Bersatu, BRN ed altri pochi resoconti sono definitivi anche perché le forze di sicurezza
forniscono resoconti contraddittori. Il rapporto fa notare una mancanza di consenso tra i gli ufficiali di
stato. Nella prima metà del 2005, la polizia era incapace di determinare chi fosse responsabile per l'80
% degli incidenti violenti. Inoltre i militari affermavano che solo metà degli incidenti violenti della
prima metà del 2004 fosse attribuibile ai militanti musulmani.
La raccomandazione del NRC è quella che una legge di riconciliazione sia votata per creare tre nuove
organizzazioni: il consiglio di sviluppo dell'area delle province di frontiera, il centro amministrativo
strategico della pace per le province meridionali e un fondo permanente per il sostegno al lavoro di
riconciliazione.
Il Consiglio proposto, che pare una risposta a varie richieste radicali di autonomia, sembra buono sulla
carta, ma essendo un organismo privo di potere ufficiale se non di mero suggerimento, non riesce ad
affrontare le richieste locali di riforme di sostanza. Se non si affrontano riorganizzazioni politiche
genuine, continueranno nel sud profondo le tensioni sulla natura del governo politico. Il secondo
organismo, il Centro Amministrativo Strategico, ricrea in sostanza SBPAC che Taksin aveva rimosso
nel 2002. Non è affatto chiaro se il ristabilimento di quella organizzazione in toto, a parte il nome,
porrà termine alla crisi. Il suo successo non era semplicemente collegato alla sua efficienza
organizzativa. Simboleggiava due decenni di compattezza sociale nel Sud che riconosceva, integrava e
legittimava differenti interessi. L'ultimo quinquennio ha visto questi interessi mescolati nel conflitto
violenza e riconfigurazione. Il bilancio di potere dell'allora SBPAC non può essere resuscitato con un
semplice atto amministrativo come messo in evidenza dal successo limitato in questo campo dal
governo del dopo golpe.
Il rapporto della Commissione sottolineava l'importanza di lavorare ad un accordo culturale migliore
nella regione compreso una possibile espansione della legge della Sharia. Quello che significa dipende
essenzialmente dall'interpretazione che i musulmani del posto danno. La commissione raccomandava
di rendere il Malay la lingua di lavoro della regione. Non si può sottostimare la portata di questa
proposta, né l'immediato rifiuto della proposta da parte del Governo Taksin e di figure quali il
consigliere reale Prem Tinsulalond. Come scritto sul giornale “The Nation” (20 giugno 2006) il
membro della commissione, Ahmed Somboon Bualang, chiedeva allo stato di essere di guardare più in
là senza sentirsi minacciato dalla lingua malay, ed affermava che il Malay era parte integrante della
comunità meridionale usata nella loro vita di ogni giorno e nell'insegnamento dell'Islam. Il fatto che
quasi 300 milioni di persone nel Sudest Asiatico parlino il malay nei suoi vari dialetti dovrebbe
spingere lo stato a guardare all'idea come un investimento in capitale umano e in una prospettiva
anche economica.
Voglio aggiungere qualcosa a proposito della lingua. Il Thai è una lingua minoritaria nelle province di
confine, salvo Satun, dove si parlano vari dialetti di ceppo Malay nel 60-70% della popolazione con
una tendenza, secondo l'Ufficio Nazionale di statistica, a crescere. Nel 1990 le percentuali di persone
di lingua Malay erano rispettivamente a Naratiwat il 77,9, a Pattani il 70,5, a Yala il 62,4 e Satun il 2,8
. Nel 2000 le cifre sono diventate a Pattani, 76.6; Narathiwat 80.4; Yala 66.1; and Satun 9.9%.
Le quattro province hanno anche visto, nello stesso periodo, una crescita di vari punti percentuali della
proporzione di popolazione musulmana residente (prima comunque delle voci di un esodo della
popolazione Thai buddista dalla regione). Mentre è vero che la maggioranza di chi riporta Malay
come lingua madre parlerà di certo anche del Thai, sembra plausibile discutere che c'è una crescente
divisione linguistica in termini di uso a causa di due elementi strutturali: il primo è legato alla
propensione delle zone rurali di lingua Malay, anche fisicamente lontani dai centri dove si parla Thai,
ad adoperare la propria lingua, come nelle cittadine di lingua Thai ad adoperare il Thai. Secondo
fattore, è una presenza costante di scuole informali di lingua Malay, di centri religiosi, e l'assenza
contemporanea di giovani musulmani in età scolare nelle scuole di stato di lingua Thai, specialmente
nelle aree rurali (situazione attualmente esacerbata).
Per i riformisti della scuola nel Sud, la lingua è la chiave. Un direttore di lingua Malay coinvolto
nello sviluppo di un promettente curricolo bilingue mi raccontava che, quando andava negli anni 50
nella scuola elementare, era picchiato per il fatto di parlare Malay. Il Thai era la lingua di istruzione
per una classe che non comprendeva. La divisione in base alla lingua è facilmente osservabile. Ho
partecipato ad incontri a Pattani dove i burocrati di stato si rivolgevano in Thai ad una platea che
parlava malay. La gente abbandonava questi incontri oppure restava seduta indifferente, non potendo
comprendere quello che si sta dicendo.
Si vive la cultura attraverso la lingua. Svalutare la lingua parlata dalla maggioranza della gente nelle
province di frontiera meridionale in nome della promozione dell'integrazione nazionale ha nutrito il
risentimento e l'antagonismo, radicando un senso di alienazione verso lo stato tra molti musulmani di
lingua malay al Sud. Le raccomandazione sulla lingua del NRC ha la potenzialità di fornire una
soluzione a lungo termine ad una violenza anomala che forse nasce, in parte, dalla esclusione sociale.
Se non si può parlare con la tua propria voce come si può essere un cittadino? L'introduzione di una
politica differente sulla lingua avrebbe il significato di espandere il diritto di cittadinanza in
Thailandia.
Le risposte date dal governo e da figure quali Prem sono indicative di un fatto più generale:
l'incapacità di immaginare che una nazione possa garantire una qualche forma di governo autonomo.
Questo è stato un blocco insormontabile per lo stesso NRC, dal momento che il suo rapporto non
poneva la questione dell'autonomia per il Sud. Nel fare così, l'élite liberale di Bangkok e i loro
interlocutori musulmani sono stati impossibilitati a lavorare ad una soluzione politica, riducendo
perciò la possibilità di fermare la spirare avvolgente della paura e della mancanza di speranze che a
turno nutre l'insicurezza, la sfiducia e la violenza.
Indicativa della sfiducia nella regione è stato l'incontro avuto con un senatore Mussulmano di una
delle tre province. Diceva che il governo, abbandonandosi alle sue misure repressive, si era alienato
persino gli elementi più moderati nel meridione. Persino le persone che lavoravano con i copri dello
stato erano stati fermati ed interrogati. Alla domanda su quale soluzione egli prevedesse, con
risolutezza richiedeva l'intervento delle Nazioni Unite. La richiesta ha senso secondo la prospettiva
della sicurezza umana. Essere musulmano e di lingua Malay coinvolto nella vita della comunità è
sufficiente per essere presente su qualche lista nera delle forze di sicurezza; se poi tutto peggiora
quella persona diventa uno “scomparso”. Il preside di una scuola privata superiore Islamica della
provincia di Pattani mi spiegava che, nonostante egli partecipasse a varie commissioni governative e
fosse in buone relazioni con i funzionari, era sempre interrogato dai militari. “Se non riescono ad
avere fiducia in una persona come me, a chi si possono rivolgere?” mi chiedeva. E' proprio a causa di
questo sospetto indiscriminato che crescono la rabbia e la sfiducia, e si fa più urgente la presenza di
una forza neutrale di pace.
La polizia e le forze di sicurezza portano avanti la sorveglianza. Un insegnante religioso della
cosiddetta zona rossa, con supposte attività insurrezionali, raccontava di come la polizia visitasse con
regolarità la sua residenza (pondok), un collegio islamico, “solo per presentarsi”. Lui sostiene di
essere neutrale rispetto all'attuale conflitto e tutto quello che cerca è di fornire una guida islamica ai
suoi studenti. La scuola è circondata da capanne di mattoni costruite dagli stessi studenti. Lui vuol dar
loro la capacità e perizie da portare nel mondo esterno. Per il momento l'insegnante religioso e gli
studenti sono in cima alla lista dei sospetti.
Centinaia di cittadini del Sud sono stati accusati di varie cose per essere poi rilasciati o assolti a causa
di mancanza di prove. Alcuni vedono gli arresti come pura intimidazione, privi di uno scopo legale.
Un primo esempio è quello di Waemahadee Waeda-oh che fu arrestato nel 2003, in attesa di giudizio
per l'appartenenza alla Jihad Islamica e per aver pianificato un attentato a Bangkok. Nel 2005 è stato
assolto e poi ha vinto un posto da senatore alle elezioni del 2006. La sua vittoria non era un appoggio
al JI. Lui simboleggiava il rifiuto sprezzante delle misure repressive del governo da parte di una
popolazione, compreso un decreto di emergenza che sospendeva i processi legali nelle province di
frontiera del Sud giudicate dalle stesse Nazioni Unite una violazione dei diritti umani.
La paura naturalmente lavora su entrambe le direzioni. Musulmani che lavorano con agenzie dello
stato temono anche attacchi da parte dei militanti, ed infatti molti di quelli uccisi dai militanti sono
funzionari o associati del governo locale con un retroterra musulmano. Un funzionario musulmano di
alto livello che lavora per il governo a Pattani mi diceva di non viaggiare mai di notte per timore di
essere un bersaglio per i militanti che lo accusano di essere un collaboratore. Moltissimi portano, a
ragione, con sé armi per proteggersi: i rivoltosi hanno provato spesso di essere duri e mostruosi nel
portare avanti i loro omicidi simbolici come mezzo per spingere la gente a non cooperare con lo stato.
Ci sono anche storie non riportate di fosse comuni. Nel novembre 2005 apparve la notizia di centinaia
di cadaveri non identificati trovate in fosse comuni nelle province del Sud. Notizie in proposito sono
state sorprendentemente sporadiche. I rapporti del conflitto nella stampa di lingua thailandese
suggeriscono che c'erano 200 corpi non identificati a Yala e 300 a Pattani.
Kraisak Choonhaven, senatore e capo della commissione parlamentare sugli affari esteri, in un
comizio pubblico a Bangkok contro l'allora primo ministro Taksin dichiarava che le fosse comuni
potessero essere legate ai musulmani “dispersi”. Nel luglio 2006, Kraisak mi parlava di uno squadrone
segreto della morte non ufficiale che individuava i militanti in una lista di proscrizione. Sosteneva che
chi si lamentava era anche scomparsa. Kraisak sosteneva che le fosse fossero di origine recente, prova
evidente che “la soppressione indiscriminata è diventata accettabile” . A marzo dello stesso anno, il
quotidiano di Bangkok “The Nation” riportava il dialogo con un funzionario che sosteneva che i corpi
potessero anche essere di immigrati cambogiani che la gente del luogo sosteneva avessero la tendenza
a bere ed ubriacarsi e poi attaccare briga, un'affermazione che per Kriasak è assurda.
I Consigli Islamici nelle province hanno indicato che l'esumazione delle salme a scopo di autopsia
sarebbero accettabili, ma gli sforzi dei medici forensi per fare una simile indagine sono stati frustrati
dal governo e da barriere insormontabili sulla spesa e sulla giurisdizione. Da note recenti dell'agosto
del 2008 di un attivista dei diritti umani, si apprende che al momento è stata attribuito un budget di
spesa per questo, ma il team di medici legali non riesce ad iniziare il lavoro a causa dell'insorgenza e
si è recato in Indonesia in un sito simile in preparazione del proprio lavoro.
La maggior parte dei cadaveri è stato posto nelle fosse da una fondazione locale che non si è mai
preoccupata della registrazione. Kraisak nel 2004 diceva che le forze di sicurezza avevano una politica
semi aperta, notificando la morte alla famiglia dell'ucciso. Ora gli squadroni semplicemente lasciano i
cadaveri e aspettano che la fondazione li venga a raccogliere: “Essi preferiscono che le famiglie
abbiano dei dubbi su dove siano andati a finire ...” Mentre alcuni possono essere un ricordo della
famigerata guerra alla droga del 2003, c'è un credo generalizzato che tra i morti ci siano gli
“scomparsi”.
Il che ci riporta alla domanda delle politiche culturali e lo status di questa “altra nazione”. Quando la
vita costa così poco, perché si dovrebbe immaginarsi che la politica culturale possa fare la differenza?
Invero, una politica culturale che veda la diversità come una fonte di unità, come la politica nazionale
proclamata - è in contrasto con la mobilitazione politica molto reale del sentimento nazionalista da
parte delle forze di sicurezza e politiche e la mobilitazione di miti nazionalisti e religiosi da parte dei
rivoltosi.
In una nazione dove la struttura nazionalista (monarchia, le fondamenta patrocinate dal palazzo, i
corpi dello stato …) sono intenti nell'inculcare “l'essere thai”, e dove la popolazione sembrerebbe aver
abbracciato largamente molti dei suoi elementi, specialmente la “monarchia” come anima di questo
essere thai, i musulmani malay possono bene rappresentare un dilemma di identità per la normalità
thai. Si consideri un'ipotetica persona Thai a cui è stato sempre insegnato cosa sia l'essere thai, e che
abbia interiorizzato tali nozioni come parte della sua identità personale. Come questa persona sarà
capace di confrontarsi con un cittadino Thai che parla un'altra lingua, che adora Allah e che non
partecipa interamente con i rituali associati con l'elevazione di chi interpreta fisicamente l'essere thai,
il re? E se non sono thai, sono malay? Sono degli attaccabrighe? Mentre i mezzi della cooperazione
della coesistenza e, quindi la vita condivisa, sono stati trovati ad un livello locale tra le comunità miste
buddiste e musulmane, come periodi lunghi di pace testimoniano, lo stato ideologico altamente
centralizzato attualmente non fornisce tali metodi di coesistenza tra eguali a livello nazionale. Infatti i
meccanismi dello stato, e le azioni dei rivoltosi, stanno creando un cuneo tra le comunità, un certo
risentimento comune e in ultima analisi un ciclo senza fine di violenze. Questo assume la forma di
storie che circolano di persona in persona, come quella secondo cui i commercianti buddisti per poter
vendere devono impiegare lavoratori musulmani come addetti alla vendita, altrimenti non entrerebbe
nessun musulmano; oppure come quella di funzionari pubblici buddisti che umiliano gli uomini
musulmani con la loro arroganza tanto che sono le donne ad assumere il ruolo di andare a parlare nelle
agenzie dello stato. Altre storie puntano in modo distorto a un docente buddista che ripetutamente
viene invitato da vari uomini musulmani a non frequentare certe aree di notte poiché qualche incidente
gli potrebbe accadere.
Non è chiaro cosa c'è da attendersi. Se la fase attuale della violenza dovesse diminuire e la rivolta
muovere verso una fase di latenza, sia come risultato di una soluzione transitoria politica o militare, ci
sarà una tentazione, per molti agenti strategici politici, di mettere da parte il compito difficile di
riconoscere che nel meridione esiste un'altra nazione per cultura e lingua. Nel fare così si preparerà il
terreno per una futura instabilità o rivolta di qualche tipo. Meglio fare del riconoscimento dell'altra
nazione (in una forma politica qualunque) il punto di partenza della costruzione del processo di pace.
Tuttavia, come ha osservato lo studioso Patrick Jory “dentro i discorsi ufficiali dell'essere thai mentre
c'è un posto per i musulmani, sembra non esserci posto per i Malay”. Infatti se si rivedono i documenti
preparati dal SPBAC sotto gli auspici del ministero degli interni si trova un'esplicita proibizione del
riconoscimento dei musulmani come Malay.
I funzionari e il personale dell'amministrazione dello stato nelle province di frontiera dovrebbero
evitare i seguenti comportamenti: l'uso di parole che creino insoddisfazione o che creino divisione tra
persone di diversa religione. Chiamare per esempio i musulmani Khaek o usare parole che fanno
capire loro che sono musulmani malay quali “orangu malayu”.
Rimane la questione se il nazionalismo ufficiale thailandese e i suoi custodi riescono a considerare una
qualche forma di autonomia o una federazione nazionale in termini lunghi, il che inizia con la
questione Malay nel suo senso di nazione.