eros e afrodite dal mito esiodeo alla trasposizione

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eros e afrodite dal mito esiodeo alla trasposizione
EROS E AFRODITE
DAL MITO ESIODEO ALLA TRASPOSIZIONE LIRICA
Stefano Satta
Classe di riferimento:
I liceo classico
Disciplina:
Lingua e letteratura greca
Obiettivi didattici:
- Conoscenza dei contenuti proposti e dei passi degli
autori prescelti (anche in traduzione italiana)
- Contestualizzazione degli stessi nel quadro del periodo
storico-culturale di riferimento
- Saper leggere il testo poetico e comprenderne gli aspetti
tematici e strutturali
- Comprensione del significato del mito e della sua
centralità all'interno del sistema di valori del mondo
antico (la funzione nell'immaginario collettivo)
- Il linguaggio dell'epica e il linguaggio della lirica:
analogie e differenze.
Metodologia e strumenti:
Lezione frontale
Discussione guidata
Proiezione diapositive e/o tavole iconografiche.
Contenuti:
Esiodo, Teogonia – Archiloco, Mimnermo, Teognide,
Saffo e Anacreonte, passi scelti.
Verifiche:
Interrogazione breve (verifica formativa)
Questionario a risposta multipla (verifica sommativa)
Costruzione di mappe concettuali.
Tempi:
10 ore
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Madre alla stirpe di Enea, a tutti
Piacere, numi o mortali che siano,
Venere, che dai alimento di vita!
Sotto il cielo ove passan le stelle
Fai che il mare sia sparso di navi,
e le terre sian feconde di messi…
[Lucrezio, La natura I]
La mitografia riguardante Afrodite e le divinità del suo corteggio appare quanto mai
vasta e intricata. Qui è il caso di soffermarsi sul mito di origine di Afrodite e di Eros, con
particolare riferimento alla cosmogonia esiodea; si vedrà quindi come la tematica sarà ripresa
dai principali poeti lirici, come Alceo, Anacreonte e lo stesso Teognide.
Le prime entità, fisiche e divine allo stesso tempo, poste da Esiodo a base del sistema
mondo, sono tre: la prima è Chaos, che probabilmente è lo Spazio (non il "caos" nel nostro
significato), etimologicamente vicino a xai/nw (= essere aperto); poi vi è Gaia, la Terra (col
Tartaro che sembrerebbe rappresentare una parte sottostante della terra); e infine Eros,
Amore. Dunque, per primo fu Caos, e poi / Gaia dall'ampio petto, sede sicura per sempre di
tutti / gli immortali che tengono la vetta nevosa d'Olimpo, / e Tartaro nebbioso nei recessi
della terra dalle ampie strade, / poi Eros, il più bello fra gli immortali, / che rompe le
membra, e di tutti gli dèi e di tutti gli uomini / doma nel petto il cuore e il saggio consiglio
(Esiodo, Theog. vv. 116-122)1. Da queste entità primigenie provengono tutte le famiglie di
dèi.
Del gruppo di entità/divinità fondatrici del mondo fa dunque parte il nostro Eros,
mentre per trovare Afrodite dobbiamo guardare alla discendenza di Urano, il primo re degli
dèi. Urano viene evirato dal figlio Crono, che lo detronizza e s'insedia al potere. Crono getta
poi l'oggetto della mutilazione in mare; mare che lo trasporta, finché dalla spuma nata dai
genitali è generata Afrodite (da qui l'immagine tradizionale di Afrodite che nasce dal mare,
immagine che si rifà evidentemente alla tradizione esiodea): «…Così disse, e gioì
grandemente nel cuore Gaia prodigiosa, / e lo [Crono] pose nascosto in agguato; e gli diede
in mano / la falce dai denti aguzzi e ordì tutto l'inganno. / Venne, portando la notte, il grande
Urano, e attorno a Gaia / desideroso d'amore incombette e si stese / dovunque; ma
dall'agguato il figlio si stese con la mano / sinistra e con la destra prese la falce terribile, /
grande dai denti aguzzi, e i genitali del padre / con forza tagliò, e poi via li gettò… E come
ebbe tagliati i genitali con l'adamante / li gettò dalla terra nel mare molto agitato, / e furono
portati al largo, per molto tempo; attorno bianca / la spuma dall'immortale membro sortì, e
da essa una figlia / nacque, e dapprima a Citera divina / giunse, e di lì poi giunse a Cipro
molto lambita dai flutti; / lì approdò, la dea veneranda e bella, e attorno l'erba / sotto gli agili
piedi nasceva; lei Afrodite / [cioè dea Afrogenea e Citerea dalle belle chiome,] / chiamano
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Qui e oltre, la traduzione utilizzata per la Teogonia è quella di Graziano Arrighetti: Esiodo, Teogonia, intr.,
trad. e note di G. A., Milano 1984.
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dèi e uomini, perché dalla spuma / nacque; e anche Citerea, perché prese terra a Citera; / o
Ciprogenea ché nacque in Cipro molto battuta dai flutti; / oppure Filommedea2 perché
nacque dai genitali» (Esiodo, Theog. vv. 173-200).
Abbiamo qui soltanto un assaggio della gran quantità di epiteti attribuiti dai Greci ad
Afrodite. Essi ci appaiono talvolta sorprendenti: Afrodite Etera, ad esempio, e Afrodite
Prostituta3; oppure Afrodite Pitionice, dal nome di una famosa cortigiana ateniese amata da
Arpalo, tesoriere infedele di Alessandro Magno. In Tessaglia alla dea era addirittura attribuito
l'epiteto di Omicida, in seguito all’efferato assassinio della bellissima etera Laide perpetrato
da alcune donne tessale invidiose del suo fascino.
Tra gli epiteti anche Citerea e Ciprogenea. Proprio nelle isole Citera e Cipro, elette a
propria dimora da Afrodite dopo la nascita, le Ore adornarono e incoronarono la dea prima di
condurla sull'Olimpo, dove fu trionfalmente accolta a far parte della dinastia divina regnante4.
Questo evento sancisce, tra l'altro, l'assimilazione nella religione patriarcale di una precedente
divinità medio-orientale, affine alla dea fenicia Astarte5.
La versione del mito che faceva discendere Afrodite direttamente da Urano continuò a
esistere a lungo, ma fu affiancata da altre tradizioni, non necessariamente di origine più
recente. Sappiamo infatti che Afrodite si chiamava anche, con parola greca, Dione. Si tratta
della forma femminile del nome Zeus, paragonabile nella sua formazione al nome latino
Diana, e significa "dea del cielo luminoso". Dione era nota anche come dea dell'acqua. A
Dodona era venerata insieme a Zeus, dio della sorgente, come sposa del dio supremo e dea
della sorgente dalla quale si ottenevano gli oracoli (la fondazione dell'oracolo di Dodona
veniva attribuita a una colomba). Così, coloro che volevano completamente subordinare la
grande dea Afrodite a Zeus raccontavano che essa era figlia dell'Olimpio e di Dione (come
appare in Omero).
Ma torniamo a Esiodo e alla Teogonia, al punto in cui li abbiamo lasciati, vale a dire al
momento dell'avvenuta nascita di Afrodite, di cui si dice (vv. 201-2) che lei Eros accompagna
e Desiderio bello segue / da quando, appena nata, andò verso la stirpe degli dèi. Fin dalle
testimonianze più antiche, dunque, i destini di Afrodite e di Eros appaiono strettamente legati,
anche se, pure in questo caso, la tradizione non è univoca. Se consideriamo i versi appena
citati, la figura di Eros ci appare del tutto diversa da quella della divinità primigenia di cui al
v. 120. Il fatto che qui Eros compaia al seguito di Afrodite non significa che sia immaginato
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Filommedèa in Theog. 200 è parola nuova; in Omero troviamo filommeidèa, "amica del riso". Esiodo l'adopera
altre tre volte (Theog. 256 e 959 e nel fr. 176, v.1). Ci sarebbe da chiedersi il perché di questa disinvoltura.
Esiodo è il primo che ci parli così di Afrodite, come divinità figlia di Urano, in quanto frutto della sua
evirazione. Si ha l'impressione che qui Esiodo adatti o inventi questo mito ripreso da altre culture con un senso di
rispetto verso Afrodite (che ha certamente tratti grandiosi), per spiegare il nome che non è greco.
3
Significativa, come segno di una sua originaria personalità cosmologica, è la collocazione di Afrodite in
santuari posti sulla cima di un monte, come quello di Corinto o di Erice, ove, compiuta l'ascesa, i pellegrini
erano accolti da sacerdotesse che praticavano la prostituzione sacra. Quando si affievolì il significato
profondamente religioso di questa pratica, nell'ambigua collocazione sociale e ideologica che ancor oggi
caratterizza il mondo della prostituzione, le etere incominciarono a venerare la dea come una di loro.
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Questa sorta di appendice al racconto esiodeo è tramandata da un inno (Inno Omerico VI, “Ad Afrodite”),
attribuito ad Omero ma in realtà posteriore ad Esiodo.
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Cfr. Angela Cerinotti, Atlante dei miti dell'antica Grecia e di Roma antica, 1998, s.v. Afrodite.
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come un fanciullo così come la tradizione più tarda, anche figurativa, lo rappresenta; d'altra
parte, il fatto che sia nato prima di Afrodite non costituisce un impedimento a che egli entri a
far parte del corteggio della dea: nello stesso modo, infatti, Potere e Forza, figli di Stige,
entrano a far parte del corteggio di Zeus (cfr. Theog., vv. 385 sgg.). Nessuna contraddizione,
dunque, tra l'Eros del v. 120 e quello del v. 201: piuttosto, due maniere differenti di
rappresentare la divinità (entità fisico-cosmologica e entità divina personificata, fino ad
assumere sembianze umane), secondo un modo di procedere tipico di Esiodo, ma in generale
proprio degli antichi.
Dice Platone nel Simposio (178 b) a proposito di Eros: «Il fatto che il dio sia tra i più
antichi è cosa che gli rende grande onore: prova di ciò è che di Eros né vi sono né vengono
rammentati dei genitori da parte di alcuno, né persona che scrive in prosa né poeta. Ma Esiodo
dice che per primo fu Caos […] dopo Caos questi due nacquero, la Terra ed Eros». Ma quali
sono le caratteristiche del dio secondo Esiodo? Al v. 121 è definito lusimelh/j (che in Omero
è attributo di u3pnoj, "sonno"); etimologicamente vuol dire "colui che scioglie le membra"
(cfr. Od. 20, 57; 23, 252). Interessante è allora il fatto che Esiodo trasferisca quest'aggettivo
ad Eros. Si tratta di una grossa componente di novità, ardita ma indovinata in quanto Eros è
considerato come figura dotata di una capacità dissolvitrice: dal sonno che ci fa abbandonare
si passa agli effetti fisici provocati da Eros6. Ancora, il dio prwto/gonoj7 ("il generato per
primo") è colui che "sia di tutti gli dèi sia di tutti gli uomini / doma la mente nel petto e il
saggio volere" (Theog., vv. 121-122). Siamo ancora lontani, pertanto, dall'attribuire a Eros
quelle implicazioni negative o, comunque, perturbatrici dell'animo umano, che poi
contrassegneranno il recepimento di questa figura mitica nella tradizione posteriore.
Una figura duplice ed enigmatica, quella di Eros, in bilico, come già accennato, tra la
sua natura di entità teo-cosmogonica e il suo valore allegorico. Eros è venerato come dio e a
lui sono dedicati alcuni celebri santuari (ad esempio quello di Tespie in Beozia), ma al tempo
stesso assurge, nella speculazione filosofica e non solo, a simbolo delle emozioni più intense e
profonde dell'anima umana. La figura di questa divinità riassume laceranti contrasti: la gioia
dell’amore e le sue pene, l’irruenza e la premurosa difesa del cuore dell'amante, l’istanza di
giustizia e il capriccio, l’audacia e lo sgomento.
Sia Afrodite che Eros ritornano, sia pure trasfigurati, in quei generi poetici tramite i
quali il simposio aristocratico esprime la propria dimensione erotica: dunque, li troviamo
nelle elegie di Teognide e nella lirica di Alceo e Anacreonte, ma soprattutto in quella
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Casi come questo inducono a riflettere sulla maniera in cui Esiodo componeva la sua poesia. La composizione
della poesia orale, testimoniata in Omero, si basa sul presupposto che l'aedo ha a disposizione nella sua memoria
un complesso di concetti accompagnati da un complesso di attributi, per cui Odisseo è "astuto", Achille "veloce
nei piedi" ecc. Tale artificio era imposto evidentemente dalla composizione estemporanea, che non concede al
poeta molto tempo per pensare. Allora, quando un poeta come Esiodo si permette queste grosse variazioni,
collegando concetti e aggettivi che appartengono a differenti contesti, fa un lavoro di riflessione, diverso se non
opposto a quello di composizione orale.
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L'appellativo fa riferimento al mito orfico della creazione, che vede all'origine del mondo Nyx, la Notte, la
quale regnava in principio simile a un uccello dalle immense ali nere. Dal suo grembo di tenebre gonfiato dal
vento fu deposto un uovo d'argento, dal quale balzò fuori appunto il Protogonos. Lo si nominava anche con
l'appellativo di Fanete, 'colui che rende manifesto', forse perché, rompendo il guscio dell'uovo, ne aveva rivelato
il contenuto. Si trattava dunque di Eros, il dio dell'amore, il più vecchio tra gli dèi.
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particolare forma di poesia conviviale che è l'encomio dedicato ai bei giovinetti (vedi Ibico e
Pindaro). Rimanendo però nell'ambito di nostra pertinenza, ossia quello della lirica arcaica, è
il caso di soffermarsi sui poeti del VII-VI sec. a.C., a cominciare da Archiloco, dove quella
connessione tra desiderio e relazione d'amore che abbiamo visto rappresentata da Esiodo nella
raffigurazione del corteggio di Afrodite, appare ormai compiuta: si parla infatti di filo/thtoj
e1rwj (fr. 112 Diehl). Secondo lo Chantraine, i3meroj indicherebbe in senso più ampio il
desiderio, all'interno del quale si colloca quello amoroso; e1ramai, invece, può avere talora un
valore generale, ma designa principalmente la passione amorosa. Il campo di applicazione dei
due termini risulta, tuttavia, pressoché analogo8.
Al di là di queste notazioni terminologiche, è importante sottolineare come con la
poesia lirica – e segnatamente già in Archiloco – cominci un processo di interiorizzazione
delle componenti dell'amore, visto perlopiù come forza-passione dagli effetti dirompenti
sull'animo di chi ne è colpito. In effetti, si può dire che l'eros di Archiloco manca
completamente di qualunque abbandono o di qualunque tono di tenerezza: per lui l'amore è
solo forza devastante o, tutt'al più, eros puramente fisico9. Archilochea è, poi, la metafora
della "battaglia" d'amore (fr. 125 W.), basata sulla diffusa concezione di Eros come essere
battagliero e audace10, concezione cui non è certo estranea la connessione operata tra Afrodite
e Ares. La relazione mitica tra le due divinità11 assunse valore esemplare, tanto che i Greci vi
videro rappresentata "l'immensa potenza dell'attrazione fra i sessi, con la misteriosa paura che
reca con sé e l'indomabile desiderio di una realizzazione"12. Ciò è provato, tra l'altro, dalla
natura dei figli frutto dell’amore tra Ares e Afrodite: Fobo e Dimo, 'Paura' e 'Spavento', Eros e
Anteros, la passione sessuale e l'amore corrisposto, e Armonia, il cui nome non richiede
ulteriori spiegazioni.
Tramontata è la luna / e le Pleiadi a mezzo della notte; / anche giovinezza già dilegua,
/ e ora nel mio letto resto sola. / Scuote l'anima mia Eros, / come vento sul monte / che
irrompe entro le querce; / e scioglie le membra e le agita, / dolce amara indomabile belva. /
Ma a me non ape, non miele; / e soffro e desidero. Così Saffo in Tramontata è la luna13, dove
la forza dell'Amore irrompe come presenza pervasiva che non lascia scampo, "scioglie le
membra", "agita" e condensa tutte le sue diverse implicazioni nell'ossimoro "dolce-amaro".
Non parliamo poi degli effetti descritti nel famosissimo frammento (2 Diehl) in cui l'Amore è
rappresentato come potenza che sconvolge fino a provocare sensazioni di morte, col "sudore
freddo" che imperla il volto dell'amante irretito dalle maglie di Eros.
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Eros e hìmeros compaiono già in Omero, tra le parole con cui Paride rivolge il suo invito amoroso ad Elena (Il.
3, vv. 438-46), a rappresentare una prima e, tuttavia, abbastanza compiuta espressione della "brama d'amore".
9
A tale concezione e a un siffatto atteggiamento, indubbiamente poco sereno, nei confronti del sentimento
amoroso, il poeta fu probabilmente indotto da vicende personali tormentate come quelle relative ai suoi presunti
rapporti tempestosi con Licambe e sua figlia Neobule a causa di una promessa di matrimonio non rispettata da
parte del padre della ragazza.
10
Eros, del resto, è "invincibile in battaglia" in Sofocle, Antigone 781; ma per il carattere combattivo di Eros
basterebbe rinviare, in generale, al Simposio platonico.
11
Per la 'prima volta' di Ares e Afrodite si veda, naturalmente, il racconto di Od. 8.
12
Cfr. Angela Cerinotti, Atlante dei miti dell'antica Grecia e di Roma antica, 1998, s.v. Ares, p. 194.
13
Nella traduzione di Salvatore Quasimodo. Si tratta dei frammenti 94, 50, 137, 52, 20 Diehl.
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Ancora come forza che stronca è presentato l'amore nei versi di Anacreonte: Di nuovo,
con un maglio grande Eros, come un fabbro, / mi colpì, e in un torrente gelido mi immerse
(fr. 45 Diehl); oppure: Con una palla purpurea, di nuovo / Eros chioma d'oro mi colpisce, / e
mi invita a giocare / con una fanciulla dal sandalo variegato (fr. 5 Diehl, vv. 1-4). Qualcosa
di totalizzante diventa l'eros in Mimnermo, che lo canta, per così dire, in negativo; ossia ci fa
capire che senza di esso non vale neanche la pena di vivere: Quale vita, che dolcezza senza
Afrodite d'oro? / Meglio morire quando non avrò più cari / gli amori segreti e il letto e le
dolcissime offerte, / che di giovinezza sono i fiori effimeri / per gli uomini e le donne... (fr. 1
Diehl, vv. 1-5).
Anche il poeta elegiaco Teognide, per concludere, non fa mistero di essere avvinto
dalle spire di Amore; un amore che, come si vede, non lesina le sue gioie/pene relativamente
alla sfera omoerotica (2, 1327-1334): Ragazzo, finché avrai la guancia così liscia / non
smetterò mai di accarezzarti – dovessi anche morirne. / Per te è bello donarti; per me, che
t'amo, non è vergogna / chiedere. Per i miei genitori, ragazzo, ti imploro: / abbi pietà di me,
fammi felice! Anche tu un giorno / invocherai la carità di Cipride coronata di viole, / e andrai
da un altro. Possa allora la dea / far sì che ti risponda come rispondi a me.
I miti non sono fatti veri… ma accadono sempre
[Sallustio]
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