Newsletter - Società Italiana di Psicoterapia Medica

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Newsletter - Società Italiana di Psicoterapia Medica
NUMERO 5
SOCIETA’ ITALIANA DI PSICOTERAPIA MEDICA
a cura del Consiglio Direttivo
Newsletter
Numero 5
Novembre 2010
In questo numero
1 Editoriale
3 Congressi del mese
5 Human Empathy Through the
Lens of Social Neuroscience
24 The interplay between biological
and
psychological
factors
in
determining vulnerability to mental
disorders
34 The human mirror neuron system
in a population with deficient selfawareness: An
fMRI . in alexithymia.
48. Walking a mile in their patients'
shoes: empathy and othering in
medical students' education
64
Cost-effectiveness
psychotherapy
for
cluster
personality disorders
of
B
XL CONGRESSO SIPM “Perchè la psicoterapia conviene”.
Nei giorni 9-10-11 aprile 2010 si è tenuto a Palermo il XL Congresso della SIPM.
Il Congresso ha affrontato lo status della psicoterapia in un'era in cui la
medicina basata sull’evidenza determina ampiamente quello che è da
considerare un trattamento efficace.
I temi sono stati sviluppati a partire dall’interrogativo su come la psicoterapia
potrebbe rispondere alle aspettative di una EBM, preservando
contemporaneamente la sua identità e il suo ruolo in psichiatria. Alla luce di
varie considerazioni articolate all’interno di un modello bio-psico-sociale (BPS)
sono stati quindi affrontati i temi dei costi, della formazione, della
organizzazione di un efficace sistema di cure.
La psicoterapia a livello economico è un costo produttivo, è un buon
investimento perché consente guadagni in termini di risparmi in spese
sanitarie e in costi sociali. Il “clima psicoterapico” della relazione consente di
migliorare la comprensione del paziente, il senso delle cure e la qualità delle
prestazioni. Non prendersi cura del paziente anche sotto il profilo psicologico
aumenta i costi diretti e indiretti dell’intervento clinico. La psicoterapia
conviene perché è efficace anche come contesto e ambito del progetto
terapeutico BPS. Specie nei casi difficili aumenta la resilience e la capacità di
coping del paziente e della famiglia promuove la crescita e la maturazione
della personalità. L’attitudine picoterapeutica dà senso al lavoro dello
psichiatra e previene logoramento e burn out.
La partecipazione dei soci è stata come al solito vivace con numerose
comunicazioni e dibattiti.
All’interno del Congresso sono state tenute le elezioni del nuovo Consiglio
Direttivo e nell’Assemblea dei soci è stato approvata la modificazione dello
Statuto con l’introduzione nel Consiglio Direttivo stesso delle figure dei probiviri
e dei rappresentanti delle sezioni regionali.
a cura del Consiglio Direttivo
Dalla neurobiologia all’economia : la ricerca sull’efficacia della psicoterapia.
Recenti scoperte
confermano
una base neurale per l’intersoggettività nucleare,
un’intersoggettività primaria (Stern 2005): un nucleo sul quale in ultima analisi si fondano fenomeni
clinici come l’empatia, l’identificazione e l’interiorizzazione. Gli studi sui mirror neurons delle cui
implicanze psicoterapeutiche si è detto nella precedente News Letter SIPM dedicata a
Comunicazione e relazione empatica come nucleo del processo di cambiamento in psicoterapia,
può portarci lontano nella comprensione , a livello neurale, dell’intersoggettività specie per quanto
riguarda la “partecipazione” diretta alla vita mentale, alle azioni e alle emozioni,degli altri (cfr.
embodied simulation e intentional attunement).
Gli articoli di cui si riportano ampie sintesi in italiano nella presente News Letter SIPM n.5 riguardano
ancora principalmente il problema delle acquisizioni neurobiologiche sul ruolo dell’ empatia nella
psicoterapia e anche nella formazione degli studenti di medicina alla relazione medico-paziente.
a)
In Human Empathy Through the Lens of Social Neuroscience
Decety e Lamm
articolano le prove scientifiche provenienti dalla psicologia sociale e dalle neuroscienze cognitive e
discutono come l’empatia coinvolga sia la condivisione delle emozioni (processamento delle
informazioni dal basso verso l’alto) sia il controllo esecutivo per regolare e modulare tale esperienza
(processamento di informazioni dall’alto verso il basso), con il rinforzo di sistemi neurali specifici ed
interagenti. La consapevolezza di una distinzione tra le esperienze proprie e quelle degli altri
costituisce un aspetto cruciale dell’empatia: sono discussi studi comportamentali e funzionali di
neuroimmagine che mettono in risalto la percezione del dolore negli altri e sottolineano il ruolo dei
differenti meccanismi neurali che rinforzano l’esperienza dell’empatia.
b)
David Goldberg in The interplay between biological and psychological factors
in determining vulnerability to mental disorders analizza le recenti ricerche sugli animali che hanno
dato nuova luce ai meccanismi e alle conseguenze dell’attaccamento materno, per arrivare
comprendere, attraverso le ricerche sull’essere umano, fino a che punto sia possibile attribuire a noi
gli stessi meccanismi. E’ chiaro che, mentre alcune caratteristiche dell’adulto sono mediate dai
geni, i fattori ambientali
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c)
Il sistema dei neuroni specchio (MNS) è considerato determinante nell’imitazione e
nell’apprendimento del linguaggio e fornisce la base per lo sviluppo di empatia e mentalizzazione.
L’alessitimia , che si riferisce ai deficit nell’autoconsapevolezza degli stati emotivi, è stata
identificata come associata con una scarsa abilità in vari aspetti delle capacità cognitive sociali
come -specialmente l’attaccamento materno-, sono altrettanto importanti. mentalizzazione,
empatia cognitiva e perspective-taking. Moriguchi Y, Ohnishi T, et al in The human mirror neuron
system in a population with deficient self-awareness: An fMRI study in alexithymia attraverso la
risonanza magnetica funzionale hanno misurato il segnale emodinamico per esaminare le
differenze nell’attività MNS tra i soggetti alessitimici e non alessitimici in risposta ai classici compiti
MNS . I risultati suggeriscono che la risposta neuronale MNS correlata negli individui che
totalizzavano alti punteggi per l’alessitimia è associata con la loro insufficiente capacità di
distinzione sè-altro.
d)
Johanna Shapiro in Walking a mile in thei patients' shoes: empathaty and othering in
medical students' education esplora l’empatia per le sue potenzialità nell’educazione dei medici.
Gli studenti di medicina hanno reazioni emotive complesse e molto spesso irrisolte nei confronti
dell’ umana vulnerabilità alla malattia, alla disabilità, alla decadenza ed, in definitiva, alla morte;
tutte situazioni, queste, che essi devono affrontare all’interno del processo di cura del paziente. Gli
attuali assunti circa la capacità di proteggere, controllare e risanare contrastano in modo
profondo con le culture istituzionali della biomedicina tradizionale e possono creare barriere alla
relazione empatica. In mancanza di appropriate dissertazioni su come gestire, a livello emotivo,
aspetti angoscianti della condizione umana, è probabile che gli studenti ricorrano a meccanismi
di coping come la distanza, il distacco e il disimpegno. Questo articolo suggerisce la necessità di
un paradigma epistemologico che aiuti gli allievi a sviluppare tolleranza nei confronti della propria
e dell’altrui imperfezione e accettare la vulnerabilità emotiva condivisa e la sofferenza,
riconoscendo allo stesso tempo l’esistenza della differenza.
e)
Infine anche in riferimento al XL Congresso della nostra SIPM “Perchè conviene la
psicoterapia?” della primavera scorsa a Palermo riportiamo un complesso e recente studio di
Soeteman, Verheul et al. Cost-effectiveness of psychotherapy for cluster B personality disorders.
appena pubblicato su Br J Psychiatry. Utilizzando un modello decisionale, gli autori hanno stimato il
rapporto costo/efficacia di 3 modelli di psicoterapia - ambulatoriale, day hospital e ospedaliera per i disturbi di personalità del cluster B su un orizzonte di 5 anni, sia dal punto di vista sociale che
dal punto di vista dei fornitori di servizi. Per quanto ne sappiamo, questo è il primo studio di costoefficacia su questo tipo di popolazione svolto secondo un modello decisionale. Le ricerche degli
autori dimostrano che quando i finanziamenti non superano i 12274 € per anno/paziente guarito,
la psicoterapia ambulatoriale mantiene i più alti vantaggi al netto. Se i finanziamenti superano i
12274 € per paziente guarito, la scelta migliore è la psicoterapia in day hospital. E’ da osservare
che la psicoterapia ospedaliera non viene considerata la scelta migliore se i finanziamenti sono
inferiori a 113298 €. L’uso dei QALYs (Quality Adjusted Life Year , unità di valutazione della durata
della vita in combinazione con la sua qualità)
come misura di outcome permette la
comparazione degli oneri tra diverse patologie. La psicoterapia ambulatoriale può essere
identificata come quella con il migliore rapporto costo-efficacia e perciò l’opzione migliore
poiché fornisce i maggiori vantaggi al di sotto di questa soglia di finanziamento.
***
L’approccio neurobiologico sembra incoraggiare
la ricerca sul modo di procedere nel
profondo, operante fuori della coscienza, della psicoterapia. Queste indagini sono infatti critiche
per individuare il nucleo dei
fattori di cambiamento, specialmente al fine di
attivarli
precocemente , più ancora che per fare evidenza sull’efficacia. Anche la ricerca sul problema
costo/efficacia sta rendendo visibile come in una psichiatria di per sé biopsicosociale come
quella attuale, la psicoterapia sia un investimento conveniente; spesso - specie nei casi difficilinon utilizzare la psicoterapia è un costo, oltre che un’omissione etica e di buona pratica clinica.
In Italia le promesse di inserire la psicoterapia nei Livelli Essenziali di Assistenza sono rimaste tali,
come pure i disegni di legge che prevedevano di organizzare anche da un punto di vista
economico la psicoterapia nei Servizi di Salute Mentale…
.
Human Empathy Through the Lens of Social Neuroscience
Jean Decety* and Claus Lamm,
The ScientificWorld Journal (2006) 6, 1146–1163
The interplay between biological and psychological factors in determining vulnerability to mental
disorders
David Goldberg
Psychoanalitic Psychoterapy,Vol 13,No3,September 2009, 236 – 247
The human mirror neuron system in a population with deficient self-awareness: An
fMRI . in alexithymia.
Moriguchi Y,et al
Hum Brain Mapp. 2009 Jul;30(7):2063-76.
Walking a mile in their patients' shoes: empathy and othering in medical students' education
Johanna Shapiro
Philosophy, Ethics, and Humanities in Medicine 2008,3:10
Cost-effectiveness of psychotherapy for cluster B personality disorders
Djøra I. Soeteman, et a
Br J Psychiatry. 2010 May;196(5):396-403
NEWSLETTER
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In rilievo: congressi
•
12 novembre, 2010
IL SONNO TRA SOMA E PSICHE
BENESSERE PSICOLOGICO E CORRELAZIONI ORGANICHE
La partecipazione e’ gratuita
Inviare la scheda di iscrizione via fax o e-mail alla Segreteria
Organizzativa:
Facoltà di Medicina e Chirurgia San Luigi Gonzaga
Fax 011.670.5704 – 011.902.6595
[email protected]
•
Sabato 20 novembre 2010
LE APPLICAZIONI CLINICHE DELLA MINDFULNESS
IL PROGRAMMA M.B.S.R. E LE PSICOTERAPIE PSICODINAMICHE INDIVIDUALI
Relatore: Prof. Gherardo Amadei
Discussant: Prof. Andrea Ferrero
E' stato richiesto accreditamento ECM per la figura professionale dello
psicoterapeuta medico e psicologo
Per informazioni e prenotazioni:
S.A.I.G.A.
Società Adleriana Italiana Gruppi e Analisi
SCUOLA S.A.I.G.A. DI INDIVIDUAL PSICOLOGIA PER PSICOTERAPEUTI
ISTITUTO DI RICERCA S.A.I.G.A.
Via Principe Amedeo 16, 10123 Torino
Tel. +39 011 8129274 - Fax. +39 011 8140252
E-mail: [email protected] - Web: www.saiga.it
LA PSICOTERAPIA DINAMICO ESPERENZIALE INTENSIVA in Teoria ed in Video
Ciclo di Seminari di Ferruccio OSIMO
20 Ottobre 2010
10 Novembre 2010
1 Dicembre 2010
Evento in accreditamento ECM Regione Piemonte per Medici e Psicologi
Quota di ISCRIZIONE (numero chiuso 50 posti) 3 seminari 200 euro + IVA; 1
seminario 90 euro + IVA
SEGRETERIA ORGANIZZATIVA
Facoltà di Medicina e Chirurgia San Luigi Gonzaga
Ufficio Formazione ed ECM
Tel. 011.6705492 Fax 011..6705704,
E-mail: [email protected]
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Consiglio direttivo:
Presidente: Gianpaolo PIERRI
Segretario: Alberto MERINI
Tesoriere: Maria ZUCCOLIN
Probiviri : Giuseppe BALLAURI
Italo CARTA
Marco COLAFELICE
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consiglieri: Domenico BERARDI
Vanna BERLINCIONI
Daniela BOLELLI
Secondo FASSINO
Pier Maria FURLAN
Filippo GABRIELLI
Arcangelo GIAMMUSSO
Davide LA BARBERA
NEWSLETTER
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Jean Decety and Claus Lamm
Human Empathy Through the Lens of
Social Neuroscience
TheScientificWorld Journal (2006) 6, 1146–1163
Abstract
Empathy is the ability to experience and understand what others feel
without confusion between oneself and others. Knowing what someone
else is feeling plays a fundamental role in interpersonal interactions. In this
paper, we articulate evidence from social psychology and cognitive
neuroscience, and argue that empathy involves both emotion sharing
(bottom-up information processing) and executive control to regulate
and modulate this experience (top-down information processing),
underpinned by specific and interacting neural systems. Furthermore,
awareness of a distinction between the experiences of the self and others
constitutes a crucial aspect of empathy. We discuss data from recent
behavioral and functional neuroimaging studies with an emphasis on the
perception of pain in others, and highlight the role of different neural
mechanisms that underpin the experience of empathy, including emotion
sharing, perspective taking,and emotion regulation
Introduzione
Tra le varie forme di connessioni emotive con gli altri, l’empatia ha
ricevuto molta attenzione da parte dei filosofi e degli psicologi e più
recentemente dagli scienziati neurocognitivi. “Empatia” denota, a un
livello fenomenologico di descrizione, un senso di somiglianza tra i
sentimenti che un individuo prova e quelli espressi dagli altri. Può essere
immaginata come un’interazione tra due individui con uno dei due che
prova e condivide il sentimento dell’altro. Ancora, la condivisione di
sentimenti non è sufficiente per scatenare l’empatia. Molti studiosi
vedono l’empatia come un’emozione sociale orientata agli altri (vedi
Tabella 1). Inoltre, le situazioni sociali ed emotive che scatenano
l’empatia possono diventare abbastanza complesse e dipendono dai
sentimenti provati da chi osserva e dalla relazione con l’osservato. In più,
numerosi studi hanno documentato che l’empatia gioca un ruolo
centrale nel ragionamento morale, motiva comportamenti prosociali e
inibisce l’aggressione verso gli altri. Batson e colleghi hanno proposto
un’ipotesi di empatia-altruismo che dichiara che un’azione puramente
altruistica può ragionevolmente accadere a patto che sia preceduta
dalla preoccupazione empatica per gli altri. La preoccupazione
“Empatia” denota, a un
livello fenomenologico
di descrizione, un senso
di somiglianza tra i
sentimenti che un
individuo prova e quelli
espressi dagli altri
l’empatia gioca un
ruolo centrale nel
ragionamento morale,
motiva comportamenti
prosociali e inibisce
l’aggressione verso gli
altri.
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NEWSLETTER
empatica è definita come una reazione emotiva caratterizzata da
sentimenti quali compassione, tenerezza, bontà di cuore e simpatia.
L’obiettivo di questo articolo è di articolare diversi livelli di analisi del
costrutto dell’empatia, incluse le neuroscienze cognitive ed evolutive e le
descrizioni psicologiche sociali. Crediamo che congiungere questi livelli –
le capacità delle neuroscienze sociali - possa consentire una migliore
comprensione di un aspetto del comportamento umano così complicato.
Unire la psicologia sociale e le neuroscienze cognitive fornisce linee guida
importanti per indagare i processi neurali che sono alla base
dell’empatia. Inoltre, le neuroscienze cognitive possono aiutare a dirimere
le teorie della psicologia sociale in competizione; per esempio,
prendendo in considerazione gli effetti dell’acquisizione di prospettive
sull’empatia e l’angoscia personale. A questo fine, invece di considerare
ogni dominio di ricerca separatamente, la nozioni teoretiche e i
ritrovamenti dei diversi approcci saranno ordinati con la guida di una
cornice concettuale (vedi Figura 1).
Questa cornice considera l’empatia come un costrutto che fa
affidamento su un senso di somiglianza nei sentimenti provati da se stessi
e dagli altri (tali traslazioni vanno in entrambe le direzioni, da se stessi agli
altri e dagli altri verso se stessi), senza confusione tra i due agenti.
L’esperienza dell’empatia spesso (ma non sempre) ha come risultato la
simpatia (preoccupazione per un altro basata sull’apprensione o sulla
comprensione dello stato o condizione emotivi dell’altro), anche se
questo può portare a un’iperattivazione empatica (o angoscia
personale, una reazione avversiva, auto-centrata all’apprensione o
comprensione dello stato o condizione emotivi dell’altro). Il nostro
modello di empatia coinvolge il processamento delle informazioni sia dal
basso verso l’alto sia dall’alto verso il basso. Inoltre, esso combina aspetti
rappresentazionali, per esempio ricordi che sono localizzati in reti
neuronali distribuite che codificano le informazioni e, quando
temporaneamente attivate, rendono possibile l’accesso a queste
informazioni archiviate, come anche i processi, per esempio le procedure
computazionali che sono localizzate e sono indipendenti dalla natura o
dalla modalità dello stimolo che viene processato.
Le radici evolutive dell’empatia
Preston e de Waal hanno discusso convincentemente che l’empatia non
è un fenomeno tutto-o-nulla ed esistono molte forme di empatia
intermedie tra gli estremi della pura agitazione per il dolore altrui e la
piena comprensione della loro condizione. Altri psicologi comparativi
vedono l’empatia come un modo di induzione di processo con cui le
emozioni, sia positive sia negative, sono condivise e con cui le probabilità
di comportamenti simili sono accresciuti negli osservatori. Mentre certi
primati non umani potrebbero condividere i sentimenti tra individui, gli
umani sono i soli capaci di sentire intenzionalmente per qualcuno e agire
al posto di altre persone le cui esperienze potrebbero differire molto dalle
proprie. Tale capacità potrebbe aiutare a spiegare perché la
preoccupazione empatica è spesso associata con comportamenti
prosociali quali l’aiuto a un familiare ed è stata considerata cruciale per
l’altruismo. I biologi evolutivi suggeriscono che il comportamento di aiuto
empatico si è evoluto per il suo contributo al benessere genetico
(selezione del ceppo). Negli uomini e in altri mammiferi, l’impulso a
prendersi cura della discendenza è quasi sicuramente strettamente
deciso geneticamente. E’ comunque meno chiaro se l’impulso a
prendersi cura dei fratelli, della parentela più remota e dei simili non
parenti
sia
decisa
strettamente
geneticamente.
L’emergere
dell’altruismo, dell’empatizzare con e del prendersi cura degli altri che
non sono parenti non è spiegata facilmente dalla cornice delle teorie
neo-Darwiniane della selezione naturale e inoltre le spiegazioni
dell’apprendimento sociale dei pattern di famiglia sono altamente
plausibili nel comportamento di aiuto umano. Inoltre, uno dei più
importanti aspetti dell’empatia umana è che può essere provata
virtualmente per qualsiasi individuo, anche se di specie diversa.
Oltretutto, questa visione evolutiva concettuale è compatibile con
l’ipotesi che livelli avanzati di cognizione sociale potrebbero aver fatto
L’esperienza
dell’empatia spesso (ma
non sempre) ha come
risultato la simpatia
(preoccupazione per un
altro basata
sull’apprensione o sulla
comprensione dello
stato o condizione
emotivi dell’altro),
anche se questo può
portare a
un’iperattivazione
empatica (o angoscia
personale, una reazione
avversiva, autocentrata
all’apprensione o
comprensione dello
stato o condizione
emotivi dell’altro).
Mentre certi primati non
umani potrebbero
condividere i sentimenti
tra individui, gli umani
sono i soli capaci di
sentire intenzionalmente
per qualcuno e agire al
posto di altre persone le
cui esperienze
Durante
la nostra attività
potrebbero
differire
lavorativa, non
solo
molto
dalle
proprie.
riceviamo richieste per
apportare modifiche al
corso di studi, ma anche
appelli volti ad ottenere
trasformazioni
istituzionali e svolte
culturali
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nascere una proprietà emergente di potenti funzionamenti esecutivi
assistiti dalle proprietà rappresentazionali del linguaggio. Comunque,
questi più alti livelli operano su quelli precedenti di organizzazione e non
dovrebbero essere visti come indipendenti o in conflitto. L’evoluzione ha
costruito strati di complessità crescente, da meccanismi non
rappresentazionali e rappresentazionali o meta-rappresentazionali che
necessitano di essere tenuti in conto per una piena comprensione
dell’empatia umana. Le rappresentazioni, in questo contesto, sono
definite come pattern di attivazione paralleli distribuiti che verosimilmente
si scatenano in risposta a un dato stimolo. Queste reti neurali codificano
informazioni e, quando attivate temporaneamente, rendono possibile
l’accesso a informazioni registrate. Questa natura distribuita dei
processamenti sociali pone una sfida nella comprensione delle
neuroscienze della cognizione sociale in generale e dell’empatia in
particolare. In più, i concetti psicologici sociali, quali l’empatia, non
corrispondono necessariamente a processi neurali. Le relazioni tra i
processi psicologici e biologici non possono essere pienamente comprese
tramite indagini a un livello singolo di organizzazione. Inoltre, la ricerca a
più livelli è necessaria per creare connessioni tra discipline e in ultimo per
raggiungere davvero le neuroscienze sociali interdisciplinari.
I circuiti neurali condivisi tra se stessi e gli altri
I
comportamenti
prosociali
potrebbero
abbondare
per
le
rappresentazioni sincronizzate tra se stessi e gli altri. La componente
iniziale che precede l’empatia conduce alla mimica somatica anche
conosciuta come contagio emotivo, per esempio la tendenza a mimare
automaticamente e a sincronizzare le espressioni faciali, le vocalizzazioni,
le posture e i movimenti con quelli di un’altra persona e
conseguentemente di convergere emozionalmente. Le ricerche
dimostrano che vedere espressioni faciali scatena espressioni sulla faccia
di ognuno, anche in assenza di un riconoscimento conscio dello stimolo.
E’
stato
discusso
che
inizialmente
tale
mimica
inconscia
comportamentale potrebbe aver avuto una valore in un’ottica di
sopravvivenza nell’aiuto per la comunicazione umana. Tale proposta è in
linea con gli esperimenti di psicologia sociale che mostrano che gli uomini
tendono a imitare inconsciamente i comportamenti degli altri; questo
conduce a interazioni più lineari e a un maggiore piacersi. E’ interessante
notare che le persone con livelli più alti di empatia mostrano questo
effetto, cosiddetto camaleonte, di maggiore ampiezza. E’ stato anche
dimostrato che una mimica comportamentale inconscia aumenta il
legame che serve a incoraggiare le relazioni con gli altri.
Le registrazioni elettrofisiologiche nelle scimmie così come gli esperimenti
di neuroimaging negli uomini hanno mostrato che l’osservazione di azioni
svolte dagli altri attiva le rappresentazioni motorie corticali in se stessi. Il
sistema a specchio umano è formato da una rete corticale motoria
composta dalla parte rostrale del lobulo parietale inferiore, dal settore
caudale (pars opercularis) del giro frontale inferiore, così come da parti
della corteccia premotoria. Tale meccanismo di percezione-azione
automatica ha una valenza adattativa per la sopravvivenza degli
individui. Per esempio, uno studio di fMRI ha mostrato che l’osservazione
di espressioni corporee di paura non solo produce un’aumentata attività
nelle aree cerebrali associate con i processi emotivi, ma anche in aree
collegate con la rappresentazione di azioni e movimenti. Inoltre, il
meccanismo del contagio della paura prepara automaticamente il
cervello all’azione.
Prove accumulate suggeriscono che circuiti neurali simili sono stimolati
quando gli uomini provano emozioni e quando percepiscono le emozioni
espresse dagli altri. Per esempio, l’insula anteriore si attiva in risposta alla
visione di espressioni faciali disgustate degli altri così come dall’esperienza
di disgusto in prima persona. Un esperimento condotto all’fMRI dimostra
che quando si chiede ai partecipanti di osservare o di imitare le
espressioni faciali di varie emozioni, si rivela esserci un’aumentata attività
neurodinamica nel solco temporale superiore, nell’insula anteriore e
nell’amigdala, così come in aree della corteccia premotoria
corrispondenti alla rappresentazione dei volti. Un altro studio ha mostrato
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I concetti
psicologici sociali, quali
l’empatia, non
corrispondono
necessariamente a
processi neurali. Le
relazioni tra i processi
psicologici e biologici
non possono essere
pienamente comprese
tramite indagini a un
livello singolo di
organizzazione
Gli uomini tendono a
imitare inconsciamente i
comportamenti degli
altri; questo conduce a
interazioni più lineari e a
un maggiore piacersi. E’
interessante notare che
le persone con livelli più
alti di empatia mostrano
questo effetto,
cosiddetto camaleonte,
di maggiore ampiezza.
E’ stato anche
dimostrato che una
mimica
comportamentale
inconscia aumenta il
legame che serve a
incoraggiare le relazioni
con gli altri.
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NEWSLETTER
che l’osservazione della mano di tutti i giorni e di azioni faciali eseguite
con emozione recluta le regioni coinvolte nella percezione e
nell’esperienza di emozioni e nella loro comunicazione. Gli autori di
questo studio dicono che, in aggiunta alla risonanza indotta nel
programma motorio necessaria per eseguire un’azione, guardare
un’azione fatta con emozione induce una risonanza nel sistema emotivo
responsabile per la modulazione affettiva del programma motorio. Tale
meccanismo potrebbe anche essere una chiave per comprendere come
l’altra persona senta e le sua intenzioni associate.
L’apparente meccanismo accoppiato azione-percezione nel contagio
emotivo sembra anche contribuire alla nostra abilità di percepire e
comprendere il dolore altrui. Studi di neuroimaging funzionale su volontari
sani rivelano che le aree cerebrali implicate nel processamento degli
aspetti affettivi e motivazionali del dolore mediano l’osservazione del
dolore negli altri. In uno studio, i partecipanti nello scanner hanno ricevuto
stimoli dolorosi in alcuni trials e, in altri trials, hanno osservato un segnale al
quale il loro partner, presente nella stessa stanza, avrebbe ricevuto lo
stesso stimolo. L’esperienza di prima-mano del dolore ha prodotto
un’attivazione della corteccia somatosensitiva che codifica la
dimensione discriminativa sensitiva di uno stimolo doloroso quale la sua
localizzazione sul corpo e la sua intensità. Durante entrambi i trials, erano
attivati la corteccia cingolata anteriore (ACC), l’insula anteriore e il
cervelletto. E’ interessante notare che queste regioni contribuiscono al
processamento affettivo e motivazionale dello stimolo doloroso, per
esempio agli aspetti del dolore che pertengono ai desideri, alle spinte o
agli impulsi ad evitare o porre termine a un’esperienze dolorosa. Risultati
simili sono stati riportati anche da Morrison e colleghi che hanno
scannerizzato i partecipanti durante una condizione di stimolo a puntura
di spillo moderatamente doloroso alla punta delle dita e in un’altra
condizione in cui hanno testimoniato allo stesso stimolo doloroso
effettuato su una mano altrui. Entrambe le condizioni hanno avuto come
risultato una comune attività emodinamica in un’area collegata al dolore
nell’ACC dorsale destra. Le attività comuni in risposta a stimoli nocivi tattili
e visivi erano relative all’area 24b di Broadmann destra inferiore. In
contrasto, la corteccia primaria somatosensitiva ha mostrato attivazioni
significative in risposta a stimoli nocicettivi tattili, ma non visivi. I pattern
diversi di risposta nelle due aree sono in linea con il ruolo dell’ACC nel
codificare la dimensione motivazionale-affettiva del dolore che è
associata con la preparazione comportamentale ad eventi avversi.
Questi ritrovamenti sono supportati da uno studio di fMRI in cui ai
partecipanti erano mostrate fotografie che ritraevano mani e piedi destri
in situazioni di vita quotidiana dolorose o neutrali e a loro veniva chiesto di
immaginare il livello di dolore che tali situazioni stavano producendo.
Erano indagate attivazioni significative nelle regioni coinvolte nell’aspetto
affettivo del processamento del dolore, ma non c’era cambiamento di
segnale nella corteccia somatosensitiva. Inoltre, il livello di attivazione
dell’ACC era strettamente correlato con la valutazione soggettiva del
dolore attribuito alle diverse situazioni.
Recentemente, studi di stimolazione transcranica magnetica (TMS) hanno
riportato cambiamenti nelle rappresentazioni corticospinali motorie dei
muscoli della mano negli individui che osservavano aghi che
penetravano mani o piedi di un modello umano, indicando che
l’osservazione del dolore può coinvolgere le rappresentazioni
sensomotorie. Comunque, queste scoperte sono in rapporto con gli studi
di fMRI dell’empatia per il dolore che non hanno trovato cambiamenti
nella corteccia sensomotoria durante la percezione del dolore in altri.
Una spiegazione per questa discrepanza è che il metodo di TMS coglie
sottili cambiamenti nella corteccia sensomotoria che esistono al di sotto
della soglia di significatività nelle tecniche di fMRI. Un’altra possibilità è
che assistere a una specifica parte del corpo scateni un’attività
somatosensitiva nella regione corrispondente. Questo è stato dimostrato
in uno studio di tomografia a emissione di positroni in cui i partecipanti
erano istruiti a concentrare la propria attenzione sia sulla spiacevolezza
sia sulla localizzazione dello stimolo doloroso condotto sulle mani dei
partecipanti con la seconda condizione che risultava in un aumentato
Un esperimento
condotto all’fMRI
dimostra che quando si
chiede ai partecipanti
di osservare o di imitare
le espressioni faciali di
varie emozioni, si rivela
esserci un’aumentata
attività neurodinamica
nel solco temporale
superiore, nell’insula
anteriore e
nell’amigdala, così
come in aree della
corteccia premotoria
corrispondenti alla
rappresentazione dei
volti
Il metodo di TMS coglie
sottili cambiamenti nella
corteccia sensomotoria
che esistono al di sotto
della soglia di
significatività nelle
tecniche di fMRI.
NEWSLETTER
flusso regionale cerebrale nella corteccia somatosensitiva primaria
controlaterale.
Prove correnti inoltre suggeriscono che la semplice osservazione di un
altro individuo in una condizione di dolore porta risposte correlate al
dolore nella rete neurale associata con la codifica della dimensione
motivazionale-affettiva del dolore in ciascuno e potrebbe includere la
corteccia somatosensitiva come dimostrato dall’esperimento alla TMS. Il
ritrovamento di una forte sovrapposizione tra esperienze del dolore in
prima persona e la percezione del dolore negli altri sembra suggerire una
congruenza totale tra se stessi e un’esperienza altrui. Comunque, questa
assunzione è superficiale, poiché non sentiamo letteralmente il dolore
degli altri in tali situazioni. Approfondimenti derivanti da studi anatomici
correlati all’esperienza del dolore e alla sua percezione aiutano a chiarire
questo punto. Studi di neuroimaging di esperienze in prima persona e di
percezione del dolore negli altri indicano una parziale sovrapposizione
nell’ACC e nell’insula anteriore, ma anche in aree specifiche che non si
sovrappongono e che appartengono alla matrice del dolore.
L’esperienza in prima persona del dolore è associata con attivazioni più
caudali (BA24), in linea con le proiezioni nocicettive spinotalamiche,
mentre la percezione del dolore negli altri è rappresentata in regioni più
rostrali (e dorsali; BA32), più vicine alle vie prefrontali. Una simile
organizzazione rostrocaudale è osservata nell’insula, in cui risposte dolorespecifiche sono osservate in parti più mediali e posteriori, mentre
l’osservazione del dolore porta ad aumenti nell’insula anteriore. Le
sensazioni dolorose possono essere evocate solo stimolando la parte
posteriore dell’insula, mentre l’applicazione di correnti elettriche all’insula
anteriore non ha avuto come risultato dolore. E’ interessante notare che
le localizzazioni somestesiche delle stimolazioni dolorose e non, si sono
molto sovrapposte, indicando un ruolo non specifico dell’insula
nell’esperienza del dolore in prima persona.
Dovrebbe anche essere notato che la rete neurale coinvolta nella
percezione del dolore negli altri (ACC e insula anteriore) non è specifico
per il processamento del dolore. Questa rete è anche implicata nel
disgusto e più in generale in situazioni che possono mettere a rischio
l’individuo e che possono scatenare risposte viscerali e somatosensitive.
Similarmente, l’attivazione nell’ACC mediale congiuntamente con l’area
motoria pre-supplementare (SMA) non è necessariamente specifico per
l’esperienza emotiva del dolore (sia altrui sia in prima persona), ma è
correlata a vari altri processi quali il monitoraggio somatico, la valutazione
negativa degli stimoli e la selezione di movimenti muscolo scheletrici
appropriati di avversione. Inoltre, sembra probabile che le
rappresentazioni neurali condivise nella parte affettiva-motivazionale
della matrice del dolore non siano specifiche per le qualità sensitive del
dolore, ma siano associate con meccanismi di sopravvivenza più generali
quali l’avversione e la ritirata.
L’acquisizione di prospettiva e l’empatia
Come notato sopra, le abilità empatiche umane sono più sofisticate
rispetto al semplice appaiamento di percezioni di se stessi e degli altri. Nel
18° secolo, il filosofo Scottish e l’economista Adam Smith hanno proposto
che attraverso l’immaginazione ci mettiamo nelle situazioni degli altri,
come se fosse proprio nel corpo altrui e diventiamo in qualche modo la
stessa persona. Con l’immaginazione, arriviamo a provare sensazioni che
generalmente sono simili, anche se tipicamente di minor intensità, a
quelle dell’altra persona. Questa capacità di acquisire ruoli è stata
teoricamente collegata allo sviluppo dell’empatia, al ragionamento
morale e più in generale al comportamento prosociale. Diversamente
dalla mimica motoria e dagli aspetti del contagio emotivo, l’acquisizione
di prospettive si sviluppa più tardi, probabilmente perché conduce
fortemente alla maturazione di funzioni esecutive (per esempio, i processi
che servono a monitorare e controllare pensieri e azioni, inclusi
l’autoregolazione, la pianificazione, la flessibilità cognitiva, l’inibizione di
risposta e la resistenza alle interferenze) della corteccia prefrontale che
continua a maturare dalla nascita all’adolescenza. E’ interessante notare
che lo sviluppo della comprensione dello stato mentale proprio e altrui è
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l’attivazione nell’ACC
mediale
congiuntamente con
l’area motoria presupplementare (SMA)
non è necessariamente
specifico per
l’esperienza emotiva del
dolore (sia altrui sia in
prima persona), ma è
correlata a vari altri
processi quali il
monitoraggio somatico,
la valutazione negativa
degli stimoli e la
selezione di movimenti
muscolo scheletrici
appropriati di
avversione
E’ interessante notare
che lo sviluppo della
comprensione dello
stato mentale proprio e
altrui è collegato
funzionalmente a quello
delle funzioni esecutive
La ricerca nelle
neuroscienze cognitive
dimostra che quando si
chiede agli individui di
adottare la prospettiva
altrui, i circuiti neurali
comuni sono attivati sia
per se stessi sia per gli
altri.
PAGINA 10
collegato funzionalmente a quello delle funzioni esecutive. Ci sono chiare
prove crescenti di un collegamente specifico di sviluppo tra lo sviluppo
della teoria-della-mente e un aumentato auto-controllo all’età di circa 4
anni. Carlson e Moses hanno convincentemente documentato il
contributo delle funzioni esecutive, specialmente del controllo inibitorio,
sia nella nascita sia nell’espressione dell’attribuzione di uno stato mentale
nei bambini. L’abilità dell’acquisizione di prospettiva ci consente di
soprassedere al nostro abituale egocentrismo, di calibrare i nostri
comportamenti alle aspettative altrui e inoltre di rendere possibili relazioni
interpersonali soddisfacenti. In linea con questo ragionamento, la ricerca
nelle neuroscienze cognitive dimostra che quando si chiede agli individui
di adottare la prospettiva altrui, i circuiti neurali comuni sono attivati sia
per se stessi sia per gli altri. Comunque, prendere l’altrui prospettiva risulta
in specifiche attivazioni di parti della corteccia frontale che sono
implicate nel controllo esecutivo. E’ stato ipotizzato che il ruolo dei lobi
frontali potrebbe essere di mantenere prospettive separate o di resistere
alle interferenze tra differenti prospettive.
In uno studio di neuroimaging funzionale ai partecipanti erano presentati
brevi frasi scritte che descrivevano situazioni di vita reale (per esempio,
qualcuno che apre la porta del bagno che ci si era dimenticati di
chiudere) che sono in grado di produrre emozioni sociali (per esempio,
vergogna, colpa, orgoglio), o altre situazioni che erano emotivamente
neutrali. In una condizione, ai partecipanti veniva chiesto di immaginare
come si sarebbero sentiti se loro avessero provato tali situazioni, anche se
in altre condizioni, e di immaginare come si sarebbero sentite le loro
madri. I tempi di reazione erano significativamente più lunghi quando i
soggetti avevano immaginato situazioni cariche emotivamente se
comparate a quelle neutrali, sia dalla loro prospettiva sia da quella delle
loro madri. I cambiamenti neurodinamici erano indagati nella corteccia
frontopolare, in quella ventromediale, in quella prefrontale mediale e nel
lobulo parietale inferiore quando i partecipanti hanno adottato la
prospettiva delle loro madri, senza tenere in considerazione il contenuto
affettivo della situazione descritta. Le regioni corticali che sono coinvolte
nei processi emotivi si attivavano nelle condizioni che coinvolgevano
situazioni cariche emotivamente, inclusi l’amigdala e i poli temporali.
In uno studio recente con la fMRI, ai partecipanti venivano mostrate
figure di persone con piedi o mani in situazioni dolorose o no con le
istruzioni di immaginare se stessi o di immaginare un altro individuo nelle
stesse condizioni. Sia l’auto-prospettiva sia quella altrui erano associate
con un’attivazione nella rete neurale coinvolta nel processamento del
dolore, inclusi l’opercolo parietale, l’ACC e l’insula anteriore. Questi
risultati hanno rivelato le somiglianze nelle reti neurali che rappresentano
le informazioni in prima e terza persona che è in linea con il rapporto delle
rappresentazioni condivise dell’interazione sociale. Comunque, l’autoprospettiva ha condotto a tassi di dolore più alti e ha coinvolto la matrice
del dolore più estesamente nella corteccia somatosensitiva secondaria,
nella parte posteriore dell’ACC e nell’insula mediale. Inoltre, questi risultati
sottolineano importanti differenze tra l’auto-prospettiva e quella altrui. Per
esempio, mentre l’insula anteriore e l’ACC sono attivate entrambe
quando i partecipanti immaginano il proprio dolore o quello altrui, l’autoprospettiva è specificamente associata con gruppi non sovrapponibili tra
l’insula mediale, un altro settore dell’ACC e la corteccia parietale destra.
Di particolare interesse sono alcuni ritrovamenti dalla psicologia sociale
che provano la distinzione tra immaginare gli altri ed immaginare se stessi.
Questi studi mostrano che nel primo caso si può evocare preoccupazione
empatica (definita come una risposta orientata verso gli altri congruente
con il dolore percepito di una persona in condizione di bisogno), mentre
nel secondo caso si inducono sia preoccupazione empatica sia dolore
personale (per esempio, una risposta emotiva avversiva auto-orientata
quale ansia o sconforto). Questa osservazione potrebbe aiutare a
spiegare perché l’empatia o la condivisione delle emozioni o dei bisogni
di qualcuno non aumentano i comportamenti prosociali. Se percepire
un’altra persona in una circostanza emotivamente o fisicamente dolorosa
scatena distress personale, allora l’osservatore potrebbe avere la
NEWSLETTER
E’ stato ipotizzato che il
ruolo dei lobi frontali
potrebbe essere di
mantenere prospettive
separate o di resistere
alle interferenze tra
differenti prospettive
La proiezione di un
individuo in situazioni
avversive conduce a un
distress personale
aumentato e a una
minore preoccupazione
empatica, mentre la
concentrazione sulle
reazioni emotive e
comportamentali della
condizione altrui si
accompagna a una
maggiore
preoccupazione
empatica e a un minore
distress personale. I dati
del neuroimaging sono
in linea con questi
ritrovamenti.
NEWSLETTER
tendenza a non assistere pienamente all’esperienza altrui e come risultato
si ha la mancanza di comportamenti simpatetici.
Mettendo insieme numerose misurazioni comportamentali e fMRI
correlate a un evento, un recente studio del nostro gruppo ha indagato
la distinzione tra preoccupazione empatica e distress personale usando
un set di stimoli ecologici ed estesamente validati. Questo studio ha
ulteriormente dimostrato che, in base alla prospettiva adottata,
l’osservazione di altre persone in condizioni di dolore scatenerà sia
preoccupazione empatica sia distress personale e che questa risposta
orientata verso se stessi o verso gli altri recluta reti neurali differenti. Ai
partecipanti veniva chiesto di guardare una serie di videoclip che
rappresentavano pazienti sottoposti a trattamenti medici dolorosi con
l’istruzione sia mettersi nei panni del paziente (“immaginare se stessi”) o, in
una seconda condizione, di concentrare la loro attenzione sui sentimenti
e sulle reazioni del paziente (“immaginare l’altro”). Misure
comportamentali hanno confermato precedenti ritrovamenti della
psicologia sociale per cui la proiezione di un individuo in situazioni
avversive conduce a un distress personale aumentato e a una minore
preoccupazione empatica, mentre la concentrazione sulle reazioni
emotive e comportamentali della condizione altrui si accompagna a una
maggiore preoccupazione empatica e a un minore distress personale. I
dati del neuroimaging sono in linea con questi ritrovamenti. L’autoprospettiva ha evocato risposte emodinamiche più forti nelle regioni
cerebrali coinvolte nel codificare le dimensioni motivazionali-affettive del
dolore, inclusa la corteccia insulare bilaterale e la corteccia cingolata
mediale anteriore (aMCC). In più, l’auto-prospettiva era associata con
maggiori attivazioni dell’amigdala. Questa struttura limbica gioca un
ruolo critico nei comportamenti correlati alla paura, quali la valutazione
delle minacce attuali o potenziali. E’ interessante notare che l’amigdala
riceve informazioni nocicettive dal sistema del dolore spino-parabrachiale
e dall’insula e la sua attività sembra strettamente connessa al contesto e
al livello di avversione dello stimolo percepito. Immaginare se stessi in una
situazione dolorosa e potenzialmente pericolosa inoltre scatena una
risposta avversiva o paurosa più forte rispetto a immaginare qualcun altro
nella stessa situazione. Alternativamente e meno specificamente il
coinvolgimento
forte
dell’amigdala potrebbe
anche
riflettere
un’attivazione generale dell’arousal evocata dall’immaginare se stessi in
una situazione dolorosa. Riguardo all’attivazione insulare è importante
notare che era localizzata nella sezione medio-dorsale dei quest’area.
Questa parte dell’insula gioca un ruolo nella codifica degli aspetti
sensomotori della stimolazione dolorosa ed ha forti connessioni con i
gangli della base in cui l’attività era anche maggiore quando veniva
adottata l’auto-prospettiva. Nel complesso, l’attività in questa parte
dell’insula possibilmente riflette la simulazione degli aspetti sensitivi
dell’esperienza dolorosa. Tale stimolazione potrebbe condurre alla
mobilizzazione delle aree motorie (inclusa la SMA) per preparare
comportamenti difensivi o di ritirata e al monitoraggio enterocettivo
associato con i cambiamenti autonomici evocati da questo processo di
simulazione. Questi dati ricevono ulteriore supporto da un altro studio del
nostro gruppo in cui l’attività in una parte simile dell’insula era anche
maggiore quando i partecipanti adottavano l’auto-prospettiva.
Nell’insieme, questi dati empirici dimostrano le somiglianze nelle
rappresentazioni affettive di se stessi e degli altri, derivando da circuiti
neurali condivisi che possono essere attivati dall’azione dell’acquisizione
di prospettiva. Questi dati combaciano anche con la teoria della
simulazione che dichiara che il comportamento può esser simulato
attivando le stesse risorse neurali per agire e percepire. Comunque, ci
sono anche alcune importanti differenze nei sistemi neurali attivati
coinvolti nelle prospettive di prima e di terza persona che vanno contro la
proposta di una completa fusione tra se stessi e gli altri. Nel caso di
percezione del dolore negli altri, il controllo esecutivo potrebbe essere
necessario per inibire il distress provato da se stessi e consentire una piena
considerazione, non egocentrica e auto-regolata, della situazione altrui.
Consapevolezza di se stessi e degli altri ed empatia
PAGINA 11
Durante la nostra attività
lavorativa, non solo
riceviamo richieste per
apportare modifiche al
corso di studi, ma anche
appelli volti ad ottenere
trasformazioni istituzionali
e svolte culturali
Data la
commensurabilità tra le
rappresentazioni di se
stessi e degli altri, anche
se queste
rappresentazioni sono
attivate da processi dal
basso verso l’alto
(condivisione di
emozioni) o
dall’adozione di una
prospettiva soggettiva
di un altro individuo,
l’auto-consapevolezza
e il senso di essere
persone in grado di
agire costituiscono
processi chiave
addizionali che sono
necessari per interazioni
sociali di successo
PAGINA 12
Data la commensurabilità tra le rappresentazioni di se stessi e degli altri,
anche se queste rappresentazioni sono attivate da processi dal basso
verso l’alto (condivisione di emozioni) o dall’adozione di una prospettiva
soggettiva di un altro individuo, l’auto-consapevolezza e il senso di essere
persone in grado di agire costituiscono processi chiave addizionali che
sono necessari per interazioni sociali di successo. Il prerequisito per la
comunicazione sociale, inclusa l’esperienza dell’empatia, è che due
persone agenti preservino la loro individualità. La cognizione sociale si
basa sia sulle somiglianze sia sulle differenze tra individui. Comunque, nel
caso della condivisione di emozioni, una completa sovrapposizione tra
rappresentazioni di se stessi e degli altri potrebbe indurre distress emotivo
(una risposta emotiva avversiva auto-orientata), o iperarousal empatico
che non è l’obiettivo dell’empatia. Infatti, nell’esperienza dell’empatia gli
individui devono essere capaci di districare i propri sentimenti da quelli
condivisi con gli altri per attribuire uno stato mentale all’obiettivo. L’autoconsapevolezza è una condizione necessaria per creare un’interferenza
sugli stati mentali altrui. Inoltre, l’“azione” è un aspetto cruciale per
attraversare con successo le rappresentazioni condivise tra se stessi e gli
altri. Inoltre, l’intervento gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo
cognitivo, incluso il primo stadio di auto-consapevolezza (o esperienza
pre-teoretica della propria intelligenza) che crea un’impalcatura per le
abilità della teoria della mente. Inoltre, l’abilità di riconoscere se stessi
come persone che agiscono un comportamento è la via per cui ci si
costruisce come entità indipendenti dal mondo esterno. Nel caso
dell’empatia, la condivisione affettiva deve essere modulata e
monitorizzata dal senso di quali sentimenti appartengono a chi e inoltre
l’azione è un aspetto cruciale che rende capaci di un riguardo incurante
di se stessi per l’altro piuttosto che di un desiderio egoistico di evitare un
arousal avversivo.
Si accumulano prove dagli studi di neuroimmagine, così come dagli studi
delle lesioni nei pazienti neurologici, che indicano che la corteccia
parietale inferiore destra, alla giunzione con la corteccia temporale
posteriore (giunzione temporoparietale, TPJ) gioca un ruolo critico nella
comparazione di segnali derivanti da azioni auto-prodotte con segnali
provenienti dall’ambiente. La TPJ è una corteccia associativa etero
modale che integra gli stimoli dal talamo laterale e posteriore, così come
dalle aree visive, uditive, somestesiche e limbiche. Ha connessioni
reciproche con la corteccia prefrontale e con i lobi temporali. A causa di
queste caratteristiche anatomiche, questa regione è un locus neurale
centrale per l’auto-processamento che è coinvolto nel processamento
delle informazioni multisensoriali legate al corpo, così come nel
processamento degli aspetti fenomenologici e cognitivi di se stessi. Un
danno in quest’area può produrre una varietà di disturbi associati con la
consapevolezza del corpo e l’auto-consapevolezza, quali l’anosoagnosia
(per esempio, la negazione della malattia), asomatoagnosia (per
esempio, la mancanza di consapevolezza della condizione della
condizione del proprio corpo o di alcune sue parti), o somatoparafrenia
(per esempio, convincimenti delusi riguardo al corpo). Blanke e
collaboratori hanno dimostrato che le esperienze fuori-dal-corpo (per
esempio, l’esperienza di essere localizzati al di fuori del corpo) possono
essere indotte tramite stimolazione elettrica della TPJ in pazienti
neurologici.
Numerosi studi di imaging funzionale hanno fatto emergere il
coinvolgimento del lobulo parietale inferiore nell’esperienza dell’azione.
L’attribuzione dell’azione ad un altro individuo che agisce, cosa che in
modo cruciale richiede di distinguere tra il comportamento proprio e di
quello degli altri, è stata associata con un’attività specifica aumentata
nel lobo parietale inferiore destro. In uno studio, gli sperimentatori hanno
usato un congegno che consentiva di modificare il grado di controllo dei
partecipanti sui movimenti di una mano virtuale che era presentata sullo
schermo. Le condizioni sperimentali variavano il grado di distorsione del
feedback visivo fornito ai partecipanti riguardo ai loro movimenti. I risultati
hanno dimostrato un’attività emodinamica graduata del lobulo parietale
inferiore destro che è in parallelo rispetto al grado di non corrispondenza
tra i movimenti eseguiti e la riafferenza visiva. In un altro studio, veniva
NEWSLETTER
La cognizione sociale si
basa sia sulle
somiglianze sia sulle
differenze tra individui
L’auto-consapevolezza
è una condizione
necessaria per creare
un’interferenza sugli stati
mentali altrui.
Nel caso dell’empatia,
la condivisione affettiva
deve essere modulata e
monitorizzata dal senso
di quali sentimenti
appartengono a chi e
inoltre l’azione è un
aspetto cruciale che
rende capaci di un
riguardo incurante di se
stessi per l’altro piuttosto
che di un desiderio
egoistico di evitare un
arousal avversivo.
I risultati hanno
dimostrato
Numerosi un’attività
studi di
emodinamica
graduata
imaging funzionale
del lobulo
parietale il
hanno
fatto emergere
inferiore
destro che
coinvolgimento
delè in
parallelo
rispetto
al
lobulo
parietale
inferiore
grado di non
nell’esperienza
corrispondenza
dell’azione tra i
movimenti eseguiti e la
riafferenza visiva.
NEWSLETTER
PAGINA 13
usato un joystick per guidare un cerchio lungo un percorso a forma di T. I
partecipanti erano informati che sia loro sia lo sperimentatore avrebbero
guidato il cerchio. Nel primo caso, si chiedeva ai soggetti di guidare il
cerchio, per essere consapevoli di averlo guidato, e inoltre di attribuire
mentalmente l’azione vista sullo schermo a loro stessi. Nel secondo caso,
a loro veniva richiesto di compiere la prova, ma credendo che fosse lo
sperimentatore a guidare la scena sullo schermo. I risultati hanno mostrato
che essere consapevoli di causare un’azione era associato con
un’attivazione dell’insula anteriore, anche se essere consapevoli di non
causare un’azione e di attribuirla ad un’altra persona era associata con
l’attivazione nella corteccia parietale inferiore destra. In un altro studio di
fMRI, i partecipanti erano istruiti ad aprire e chiudere le loro mani
lentamente e continuativamente (0.5 HZ) mentre questo movimento era
filmato e proiettato loro online su uno schermo. E’ stata trovata una
correlazione positiva tra l’ampiezza del ritardo temporale e l’attivazione
nella TPJ destra. Di particolare interesse, Uddin e colleghi hanno
recentemente dimostrato un deficit selettivo della distinzione tra se stessi e
gli altri quando TMS ripetitive erano applicate sul lobulo parietale inferiore
destro quando i partecipanti hanno attuato una prova percettiva che
coinvolgeva la discriminazione tra il proprio volto e quello di altri familiari.
Questo secondo studio ha fornito una prova diretta di un ruolo causale
per questa regione nella discriminazione tra se stessi e gli altri.
In più, studi sull’imitazione hanno documentato il coinvolgimento della
corteccia parietale inferiore destra/TPJ durante una imitazione reciproca
in cui potrebbe essere difficile mantenere traccia dell’azione. Quando i
partecipanti imitavano gli altri, la TPJ sinistra era fortemente reclutata,
anche se un’attivazione maggiore era trovata nella TPJ destra quando
essi venivano imitati. Solo quest’ultima condizione ha comportato
differenze tra i risultati predetti dell’azione agita dai partecipanti e quelli
percepiti. Questi risultati hanno fornito forti argomenti per l’implicazione
della TPJ destra nel processo dell’azione tramite la dimostrazione di una
chiara dissociazione tra la TPJ destra e sinistra.
E’ interessante che perfino la simulazione mentale del proprio
comportamento e di quello altrui recluta un meccanismo di
discriminazione simile a quello tra se stessi e gli altri. In uno studio di
neuroimaging, ai partecipanti si richiedeva di immaginare azioni familiari
da una prospettiva in prima persona o di immaginare queste azioni dalla
prospettiva di un’altra persona (conosciuta). Entrambe le prospettive
erano associate con aumenti di segnale nelle regioni corticali coinvolte
nella rappresentazione motoria, inclusi il lobulo premotorio e parietale
sinistro. Un’attivazione specifica nella corteccia parietale inferiore
destra/TPJ era indagata quando i partecipanti simulavano mentalmente
azioni attraverso la prospettiva di qualcun altro. In entrambe le condizioni
sperimentali si chiedeva ai partecipanti di immaginare un’azione. Questi
risultati indicano che quest’area non è semplicemente coinvolta
nell’associare azioni e le loro conseguenze sensorie ma, in generale,
contribuisce a distinguere se stessi dagli altri.
Inoltre, recenti dati suggeriscono che questa regione è anche coinvolta
nell’empatia e nella teoria della mente, per esempio la consapevolezza
che altri come se stessi hanno stati mentali che possono essere simili o
diversi dai propri. Per esempio, la TPJ destra è specificamente coinvolta
quando i partecipanti immaginano come un’altra persona si sentirebbe
in situazioni della vita di tutti i giorni che scatenano emozioni sociali o in
esperienze dolorose, ma non quando immaginano queste situazioni per
se stessi. Tali ritrovamenti sottolineano la somiglianza dei meccanismi
neurali che garantiscono la corretta attribuzione di azioni, emozioni e
pensieri ai loro rispettivi agenti quando mentalmente si simulano azioni o si
provano emozioni per se stessi o per un altro individuo. In linea con questo
ragionamento, un recente studio di fMRI di percezione sociale e di
empatia ha dimostrato che l’attività nella corteccia parietale inferiore era
associata negativamente con il grado di sovrapposizione tra se stessi e gli
altri e che una minore sovrapposizione porta ad un’aumentata
accuratezza durante la percezione sociale.
E’ interessante che
perfino la simulazione
mentale del proprio
comportamento e di
quello altrui recluta un
meccanismo di
discriminazione simile a
quello tra se stessi e gli
altri.
In numerosi studi, è stato
dimostrato che la TPJ
destra è specificamente
attivata quando ai
soggetti, concentrati su
una certa localizzazione
dello schermo, viene
presentato uno stimolo
in una localizzazione
non attesa, il che
rappresenta una
violazione della loro
aspettativa e richiede
loro di ridirigere la loro
attenzione
PAGINA 14
Un’alternativa, pur non contraddittoria, interpretazione del ruolo della TPJ
destra può essere derivata da studi sull’attenzione visiva e
sull’individuazione del dubbio e del cambiamento. In numerosi studi, è
stato dimostrato che la TPJ destra è specificamente attivata quando ai
soggetti, concentrati su una certa localizzazione dello schermo, viene
presentato uno stimolo in una localizzazione non attesa, il che
rappresenta una violazione della loro aspettativa e richiede loro di
ridirigere la loro attenzione. Il lavoro di Donowar et al. suggerisce che la
TPJ destra (e sinistra) rappresentano aspetti cruciali di una rete corticale
multimodale per l’indagine di cambiamenti nell’ambiente sensorio.
Inoltre, la maggiore attivazione nella regione TPJ durante gli studi sulla
discriminazione tra se stessi e gli altri e sull’azione potrebbero riflettere la
maggiore incertezza associata con i comportamenti spesso imprevedibili
dei nostri simili. Questi dati suggeriscono anche che le operazioni di
computo elementari ottenute grazie all’apporto della TPJ contribuiscono
a più alti livelli (sociali) dell’interazione sociale.
Per concludere, l’auto-consapevolezza e il senso di azione giocano un
ruolo centrale nell’empatia e contribuiscono in modo significativo
all’interazione sociale. Questi importanti aspetti sembrano essere in gioco
nel distinguere il contagio emotivo che si fonda fortemente sul legame
automatico tra la percezione delle emozioni espresse dagli altri e la
propria esperienza delle medesime emozioni, e l’empatia che ha bisogno
di una relazione più distaccata. Noi suggeriamo che la nonsovrapposizione nella risposta neurale tra se stessi e gli altri libera la
capacità di processamento cerebrale per aumentare azioni future
appropriate nei confronti degli altri. Inoltre, essere consapevoli dei propri
sentimenti ed essere in grado di regolare consciamente le proprie
emozioni potrebbe rappresentare ciò che ci consente di distinguere le
risposte empatiche per gli altri dal nostro distress personale, dato che solo
le prime portano a un comportamento prosociale.
La regolazione delle emozioni
La capacità di regolare le proprie emozioni ha una chiara funzione
adattiva per l’interazione sociale, sia per gli individui sia per la specie. E’
stato dimostrato che gli individui che possono regolare le loro emozioni
sono più in grado di provare empatia e anche di agire in modo
moralmente desiderabile nei confronti degli altri. Il costrutto della
regolazione delle emozioni è definito come il processo di iniziare, evitare,
inibire, mantenere o modulare l’occorrenza, la forma, l’intensità o la
durata degli stati emotivi interni, dei processi fisiologici collegati alle
emozioni, degli obiettivi collegati alle emozioni e/o dei comportamenti
concomitanti alle emozioni, generalmente al servizio del compimento dei
propri obiettivi. La regolazione delle emozioni è anche importante per la
modulazione dell’emozione riferita agli altri di ciascuno in modo che non
sia sentita come avversiva. Precedenti ricerche hanno mostrato che la
regolazione delle emozioni correla positivamente con i sentimenti di
preoccupazione per le altre persone. Al contrario, le persone che
provano le loro emozioni intensamente, soprattutto quelle negative, sono
inclini all’ansia personale, per esempio una reazione emotiva avversiva,
quale ansia o sconforto basati sulla scoperta dello stato o condizione
emotiva altrui. Il distress emotivo può far slittare le priorità verso
l’immediato presente e inoltre promuovere un focus a breve termine; per
esempio, sentirsi meglio e alleviare una situazione dolorosa che potrebbe
essere in conflitto con una motivazione a provare emozioni per l’altro. In
caso di empatia, la migliore risposta all’angoscia altrui potrebbe non
essere l’angoscia, ma gli sforzi per attenuare tale ansia.
Nel nostro modello di empatia, consideriamo che la regolazione delle
emozioni, sotto controllo volontario (processamento dall’alto verso il
basso) che batte sulle risorse funzionali esecutive, agisca congiuntamente
ad altri meccanismi neurali per trarre computazioni specifiche cognitive
ed emotive richieste per l’esperienza dei sentimenti altrui. Tali
computazioni includono la selezione di un’appropriata risposta e
l’inibizione di altre risposte meno appropriate.
I meccanismi cognitivi dall’alto verso il basso possono anche funzionare
come down-regulation (per esempio, ridurre) o come up-regulation (per
NEWSLETTER
l’auto-consapevolezza
e il senso di azione
giocano un ruolo
centrale nell’empatia e
contribuiscono in modo
significativo
all’interazione sociale
La regolazione delle
emozioni è anche
La regolazione delle
importante per la
emozioni, sotto controllo
modulazione
volontario
dell’emozione riferita
(processamento
agli altri di ciascuno in
dall’alto verso il basso)
modo che non sia
che batte sulle risorse
sentita come avversiva
funzionali esecutive,
agisca congiuntamente
ad altri meccanismi
neurali per trarre
computazioni specifiche
cognitive ed emotive
richieste per l’esperienza
dei sentimenti altrui
NEWSLETTER
esempio, promuovere) delle emozioni. Anche se la down-regulation
sembra essere prevalente in caso di empatia, entrambi i processi giocano
un ruolo importante quando si risponde a qualcuno che ha bisogno. In
caso di percezione del dolore altrui, l’abilità della down-regulation delle
emozioni è prevalente se il dolore dell’obiettivo diventa opprimente per
l’osservatore. Per esempio, una madre in allarme per il pianto del suo
bambino deve gestire la sua reazione avversiva per fornire una cura
appropriata per la sua discendenza in difficoltà. L’up-regulation, d’altro
canto, diventa importante se un osservatore vuole promuovere la sua
risposta empatica verso gli altri, come nel tentativo di relazionarsi con
persone nei cui confronti ci comporteremmo con indifferenza o che
perfino eviteremmo, in quanto membri di un gruppo esterno. Varie
strategie sono state identificate per regolare le emozioni attraverso un
controllo cognitivo di tipo dall’alto verso il basso. Euristicamente, questi
processi sono stati modificati su un continuum dal controllo attentivo al
cambiamento cognitivo. Mentre il controllo attentivo riguarda soprattutto
il tipo e l’entità dell’informazione sensitiva che è percepita e, da ciò,
processata dall’osservatore, le strategie di cambiamento cognitivo si
concentrano per la maggior parte nel rivalutare o nel rigiudicare
informazioni affettive interne o esterne.
La ricerca ha mostrato che concentrandosi selettivamente su uno
specifico segnale sensitivo (quale un’espressione faciale o una prosodia
di linguaggio) che comunica lo stato emotivo altrui potrebbe scatenare
differenti risposte emotive nell’osservatore. In linea con questa ipotesi, uno
studio recente di fMRI ha mostrato che l’amigdala è coinvolta in modo
diverso quando i partecipanti sono istruiti a guardare o ad ignorare
attivamente volti felici o impauriti quando paragonati a case.
L’attivazione dell’amigdala era diversa in accordo al significato
dell’espressione faciale e alla categoria dello stimolo osservato. Per i volti
felici, l’attività nell’amigdala era maggiore nella faccia-osservata rispetto
alla condizione di casa-osservata, anche per i volti impauriti, l’attività era
maggiore nella condizione di casa-osservata piuttosto che in quella di
faccia-osservata. La distrazione è un altro potente meccanismo per
adoperare il controllo attentivo, poiché aumenta la carica cognitiva e
inoltre riduce le risorse attentive utilizzabili per la percezione dello stimolo e
per il suo processamento. Nelle situazioni quotidiane, le strategie di
distrazione potrebbero giocare un ruolo importante se il costo per
l’empatia è troppo elevato, per esempio se non vogliamo fare attenzione
allo stato emotivo altrui. Anche, è ben noto che la distrazione può
effettivamente ridurre o eliminare la reazione personale alla stimolazione
dolorosa avversiva. Una regione rostrale nella corteccia prefrontale
mediale (MPFC) sembra giocare un ruolo importante in questa
modulazione, poiché l’attivazione in questa regione durante uno stimolo
doloroso era considerevolmente ridotta sotto una maggiore carica di
lavoro attentivo. In più, l’importanza della MPFC nella regolazione delle
risposte dolorose è stata recentemente rinforzata da uno studio con fMRI
che ha dimostrato che l’ansia scaturita dall’anticipazione dello shock
elettrico è ridotta significativamente dallo svolgimento contemporaneo di
una prova di working memory.
Inoltre, l’osservazione selettiva di certi aspetti dell’esperienza dolorosa può
aumentare (per esempio, up-regulation) l’avversione per essa. Questo
processo recluta reti neurali funzionali specifiche, come mostrato da uno
studio di neuroimaging. In quello studio, la concentrazione sulla
spiacevolezza di uno stimolo doloroso è risultata in un’attivazione più forte
nel sistema dolorifico mediale. Questo sistema include l’insula e la
corteccia cingolata mediale e codifica la dimensione affettiva e
motivazionale del dolore. Nel caso dell’empatia, la direzione selettiva
dell’attenzione potrebbe essere uno dei meccanismi che conducono a
risposte emotive differenti quando si usano le istruzioni per l’acquisizione di
prospettiva. Attraverso il controllo dall’alto verso il basso, le istruzioni per
l’acquisizione di prospettiva forzano i partecipanti a concentrarsi sui
differenti aspetti della risposta emotiva dei loro simili o di se stessi. Come
risultato, le risposte comportamentali e neuronali dei partecipanti sono più
centrate quanto adottano una prospettiva in prima persona. Dall’altro
PAGINA 15
La ricerca ha mostrato
che concentrandosi
selettivamente su uno
specifico segnale
sensitivo (quale
un’espressione faciale o
una prosodia di
linguaggio) che
comunica lo stato
emotivo altrui potrebbe
scatenare differenti
risposte emotive
nell’osservatore
L’importanza della
MPFC nella regolazione
delle risposte dolorose è
stata recentemente
rinforzata da uno studio
con fMRI che ha
dimostrato che l’ansia
scaturita
dall’anticipazione dello
shock elettrico è ridotta
significativamente dallo
svolgimento
contemporaneo di una
prova di working
memory
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lato, guardare gli altri in modo più distaccato ha come risultato
un’amplificazione delle risposte orientate agli altri.
Le strategie di cambiamento cognitivo sono un modo alternativo e/o
complementare per regolare le emozioni. Negare l’importanza di uno
stimolo in grado di scatenare un’emozione è un esempio di tale strategia.
E’ noto che, se si prende la posizione dell’osservatore distaccato e si
genera consciamente o inconsciamente un’immagine dell’osservatore
medesimo, si riduce l’esperienza soggettiva dell’ansia, dell’arousal
simpatetico e della reattività al dolore. Tale distaccamento
probabilmente gioca un ruolo importante nell’empatia nel mantenere
una prospettiva neutrale sull’obiettivo; per esempio, nell’interazione tra
uno psicoterapeuta e il suo cliente. Recenti studi con fMRI hanno
identificato un numero limitato di regioni nella corteccia prefrontale
anterolaterale e in quella prefrontale mediale che mediano tale funzione.
Per esempio, i partecipanti istruiti a immaginarsi in un posto sicuro e
confortevole hanno mostrato markers di ansia comportamentali e
fisiologici ridotti se paragonati all’anticipazione della stimolazione
dolorosa. Questa condizione era accompagnata dalla modulazione
dell’attivazione nel cingolato/corteccia prefrontale mediale e nella
corteccia prefrontale anterolaterale. Mentre la prima regione sembra
riflettere il cambiamento nell’esperienza affettiva evocata dalla strategia
di regolazione delle emozioni, i cambiamenti dell’attivazione nella
seconda sono visti come una sorgente, poiché questa regione encefalica
è stata ripetutamente identificata durante la regolazione delle emozioni
attraverso la rivalutazione.
La rivalutazione delle emozioni coinvolge la reinterpretazione della
valenza di uno stimolo per cambiare il modo in cui noi rispondiamo ad
esso. Può essere raggiunta intenzionalmente (per esempio, nel tentativo
di reagire in modo diverso rispetto al solito alla sofferenza altrui) o si può
basare su informazioni esterne addizionali fornite riguardo allo stimolo che
scatena l’emozione. Uno studio recente condotto dal nostro gruppo ha
indagato gli effetti dall’apprendimento cognitivo sull’esperienza
dell’empatia. Nello scanner MRI, i partecipanti hanno guardato videoclip
provenienti da due gruppi di pazienti neurologici che manifestavano la
sofferenza dovuta a un nuovo trattamento sperimentale usando suoni
dissonanti. L’apprendimento cognitivo era manipolato fornendo
informazioni riguardo all’efficacia di quel trattamento: mentre la salute e
la qualità della vita sono migliorate in un gruppo, i membri dell’altro
gruppo non hanno tratto beneficio dal trattamento. Inoltre, gli stimoli dai
contenuti emotivi ugualmente attivanti e connotati negativamente erano
guardati con differenti possibilità di apprendere le risposte dolorose dei
pazienti. Era anticipato che testimoniare alla sofferenza di un’altra
persona e sapere che il suo trattamento non era stato efficace avrebbe
aumentato la risposta emotiva negativa nell’osservatore. Al contrario,
sapere che un trattamento aveva giovato al paziente ci si aspettava che
scatenasse una down-regulation della risposta affettiva scatenata dalla
percezione. In linea con questa ipotesi, sono state ottenute nei
partecipanti dello studio risposte comportamentali e neuronali distinte. I
pazienti che erano stati sottoposti a trattamento efficace erano giudicati
provare alti livelli di sofferenza e il dolore personale negli osservatori era
generalmente più pronunciato quando venivano osservati i video di
questi pazienti. L’attivazione cerebrale era modulata in due sottoregioni
della corteccia orbitofrontale (OFC) e della parte rostrale della aMCC.
L’OFC gioca un ruolo importante nella valutazione dei rinforzi positivi o
negativi ed è anche coinvolta nella rivalutazione emotiva. Per esempio,
guardare figure dalla valenza negativa evoca un’attività più forte
nell’OFC ventromediale rispetto alla rivalutazione di queste figure in un
modo che non scateni più questa risposta negativa. L’attività nell’OFC
potrebbe dunque riflettere l’esigenza di valutare gli aspetti globali, positivi
e negativi, dello stimolo presentato. E’ interessante che, guardando i
pazienti trattati efficacemente vs quelli trattati non efficacemente, non
veniva modulata l’attività emodinamica né nelle aree visive-sensitive né
nell’insula. Questo suggerisce che i pazienti di entrambi i gruppi hanno
scatenato reazioni emotive e che i meccanismi dall’alto verso il basso
NEWSLETTER
Le strategie di
cambiamento cognitivo
sono un modo
alternativo e/o
complementare per
regolare le emozioni
Oltretutto, la capacità
di regolare le emozioni è
un aspetto importante
della nostra abilità di
interagire in modo
appropriato con le altre
persone
NEWSLETTER
non hanno avuto effetti sul processamento percettivo in uno stadio
iniziale.
Oltretutto, la capacità di regolare le emozioni è un aspetto importante
della nostra abilità di interagire in modo appropriato con le altre persone.
La corteccia prefrontale è altamente differenziata in termini di strutture
cellulari e pattern di interconnessione con altri sottosistemi corticali. In
linea con questo fatto, studi di neuroimmagine suggeriscono che sistemi
specifici interagiscono per generare regolazioni emotive. Le neuroscienze
sociali stanno iniziando a fare luce sui meccanismi fisiologici e neurali che
promuovono le diverse strategie di regolazione delle emozioni che ci
consentono di comprendere i nostri simili.
La modulazione dell’empatia
Nonostante il fatto che l’empatia sia parzialmente basata su processi dal
basso verso l’alto, automatici e inconsci, noi non sempre reagiamo agli
altri in modo empatico nel senso convenzionale del termine. La
comunicazione di massa e le condizioni di vita urbana ci rendono
testimoni della sofferenza e della condizione degli altri su una base
quotidiana e ancora noi non sappiamo rispondere sempre in modo
prosociale. Questo sembra essere intuito al contrario per porre la
concezione che considera l’empatia come una risposta automatica che
dovrebbe essere promossa senza restrizioni. Comunque, nonostante gli
ovvi vantaggi di comprendere i pensieri e sentimenti di un’altra persona,
l’empatia ha dei costi. Inoltre, l’empatia si è evoluta come fenomeno di
gruppo. Sono stati identificati molti fattori intra- ed interpersonali in grado
di facilitare o inibire la frequenza e il grado delle risposte empatiche e
inoltre consentire la modulazione delle loro spese associate.
Le neuroscienze sociali correntemente indagano i meccanismi neurali
che sottostanno a tali modulazioni. Lo stato affettivo di base, la prima
esperienza per le situazioni e la capacità di gestire la sofferenza degli altri
(che si basa, tra gli altri, sulle capacità di regolazione delle emozioni) sono
solo pochi esempi dei vari fattori interpersonali che possono avere un
impatto sull’esperienza dell’empatia. E’ stato mostrato che stati emotivi
sperimentalmente indotti hanno effetto sulla capacità degli osservatori di
riconoscere la manifestazione faciale delle emozioni. Si sa che l’umore
depresso ha effetti sulla nostra percezione del mondo, incluse le
espressioni delle emozioni da parte degli altri. Un recente studio di
neuroscienze dello sviluppo ha identificato i potenziali substrati neurali di
tale modulazione. Le strutture limbiche quali l’amigdala e il nucleo
accumbens sono diventate iperattive quando i partecipanti affetti da
disturbo bipolare pediatrico hanno osservato l’espressione faciale di
un’emozione. Similarmente, i pazienti con fobia sociale generalizzata che
sono caratterizzati dalla paura delle interazioni sociali e dalla sensibilità
alla disapprovazione degli altri, mostrano aumentata attivazione
dell’amigdala quando esposti a facce arrabbiate o sprezzanti. Gli effetti
dello stato affettivo non diventano prevalenti solo nei disturbi psichiatrici o
psicologici e neppure sono confinati alla valutazione dell’informazione
emotiva. Invece, l’innesco emotivo (per esempio, la breve presentazione
di stimoli con valenza positiva o negativa prima di presentare lo stimolo
target) rinforza il processamento visivo precoce in volontari sani. Questo,
a turno, potrebbe avere effetti sulla percezione visiva di uno stimolo
emotivo, quale il sottile cambiamento nell’espressione faciale
dell’emozione. La prima esperienza è un altro fattore che ha degli effetti
sulla nostra risonanza emotiva con gli altri. Per esempio, promuovere la
conoscenza sugli specifici problemi e sul bisogno delle persone anziane in
una situazione ludica ha avuto come risultato aumenti significativi
nell’empatia e nella cura per i pazienti anziani. Questo gioco includeva
esercizi quali l’indossare un paio di pesanti stivali di gomma per simulare la
diminuita destrezza manuale e occhialoni con uno strato di nastro chiaro
per simulare la cataratta.
Come l’empatia disposizionale, per esempio la tendenza generale autoriportata di rispondere empaticamente agli altri, moduli anche la
frequenza e l’intensità della risposta empatica è correntemente una
questione di dibattito. Parte di questa controversia è collegata alla nota
scarsa validità delle misure auto-riportate nelle specifiche relazioni tra le
PAGINA 17
La comunicazione di
massa e le condizioni di
vita urbana ci rendono
testimoni della
sofferenza e della
condizione degli altri su
una base quotidiana e
ancora noi non
sappiamo rispondere
sempre in modo
prosociale
Lo stato affettivo di
base, la prima
esperienza per le
situazioni e la capacità
di gestire la sofferenza
degli altri (che si basa,
tra gli altri, sulle
capacità di regolazione
delle emozioni) sono
solo pochi esempi dei
vari fattori interpersonali
che possono avere un
impatto sull’esperienza
dell’empatia
Gli effetti dello stato
affettivo
diventano
Comenon
l’empatia
prevalenti solo per
nei
disposizionale,
disturbi
psichiatrici
o
esempio la tendenza
psicologici
e neppure
generale
auto-riportata
sono
confinati
di risponderealla
valutazione agli
empaticamente
dell’informazione
altri, moduli anche la
emotiva
frequenza
e l’intensità
della risposta empatica
è correntemente una
questione di dibattito
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misure di empatia a un questionario e l’attività cerebrale. Per esempio,
Lamm e colleghi hanno dimostrato un’attivazione significativamente
aumentata nella corteccia dell’insula e del cingolo nei partecipanti con
maggiore empatia auto-riportata durante l’osservazione del dolore altrui.
Questo è in linea con i dati di Singer e colleghi e mostra la modulazione
dell’attività nelle regioni cerebrali che sono coinvolte nel codificare la
risposta affettiva alla sofferenza altrui. Comunque, tali correlazioni non
erano state ritrovate in uno studio simile.
Le disposizioni cognitive e affettive verso gli altri o il tipo di rapporto e
l’attaccamento associato (per esempio genitori e loro prole) ha anche
degli effetti su come rispondiamo agli altri. Questi fattori interpersonali non
capitano necessariamente in isolamento con i fattori interpersonali, ma
probabilmente interagiscono con loro. Questo è dimostrato da uno studio
con fMRI che mostra interazioni significative tra genere e stato di
parentela nella risposta neurale al pianto o al riso infantili. Le donne, ma
non gli uomini, e indipendentemente dalla parentela, hanno mostrato
una naturale disattivazione nella corteccia cingolata anteriore in risposta
al pianto o al riso dei bambini. In più, il modello di risposta nell’amigdala e
nelle strutture limbiche interconnesse sono cambiate in modo radicale
con l’esperienza genitoriale in entrambi i sessi. I non-genitori hanno
mostrato un’attivazione maggiore dal riso, anche se i genitori hanno
mostrato attivazioni maggiori per il pianto. Questi risultati indicano che la
componente di condivisione delle emozioni potrebbe essere soggetta
all’esperienza personale e/o questa regolazione delle emozioni e la cura
associata è preparata in modo differente negli uomini e nelle donne. Una
prova addizionale per questo effetto viene da uno studio con fMRI che
ha dimostrato che le madri che vedono la loro prole vs un bambino della
famiglia hanno mostrato risposte più forti nella rete cerebrale
(para)limbica e nel solco temporale superiore posteriore (STS), riflettendo
probabilmente l’attaccamento più intenso che le madri hanno per la loro
stessa discendenza.
La domanda “in che modo le relazioni interpersonali competitive vs
quelle cooperative hanno effetto sull’empatia?” è stata indagata a livello
comportamentale, psicofisiologico e neurologico. Il ragionamento a
monte di questi studi è che le disposizioni affettive, o le attitudini,
differiscono se l’altro è visto come un concorrente o un alleato, e a turno
influenzano le nostre reazioni, più o meno congruenti all’affetto altrui.
Lanzetta e collaboratori hanno indagato gli effetti psicofisiologici,
comportamentali e psicologici delle attitudini nei confronti delle
interazioni interpersonali. Il loro dato principale è che le relazioni
competitive portano a risposte affettive (il contrario di empatiche)
asimmetriche, mentre i setting cooperativi hanno dato come risultato
emozioni simmetriche per l’altro. Per esempio, le misure psicofisiologiche
hanno indicato i partecipanti hanno reagito a uno shock doloroso dei
competitori con poco arousal e dolore, ma la sofferenza era aumentata
quando li hanno visti in situazioni di gioia. Il modello opposto era ottenuto
con i cooperatori. Questi ritrovamenti riflettono un importante e spesso
ignorato aspetto dell’empatia, vale a dire che questa capacità può
anche essere usata in modo malevolo come quando la conoscenza
dello stato emotivo o cognitivo dei competitori è utilizzato per
danneggiarli (per esempio, quando i soldati nemici sono attaccati dopo
averli resi esausti da un continuo fuoco di fila dell’artiglieria). Un recente
studio ha dimostrato i correlati neuronali di tale risposta contraria
al’empatia. Singer e colleghi hanno reclutato partecipanti in un
sequenziale gioco di “dilemma del Prigioniero” con soggetti che
potevano giocare in modo corretto o scorretto. Seguendo questa
manipolazione comportamentale, le misure fMRI erano prese durante
l’osservazione dei giocatori corretti e scorretti che ricevevano una
stimolazione dolorosa. Osservare i giocatori corretti ha riproposto i primi
ritrovamenti di aumentata attivazione nelle aree cerebrali che codificano
gli aspetti affettivi del dolore, quali l’insula anteriore e la corteccia
cingolata mediale/anteriore. Di particolare interesse, l’attivazione in
queste regioni cerebrali era significativamente ridotta quando i
partecipanti nello scanner hanno osservato i giocatori scorretti in situazioni
di dolore. Questo effetto, comunque era indagato solo nei partecipanti
NEWSLETTER
“in che modo le
relazioni interpersonali
competitive vs quelle
cooperative hanno
effetto sull’empatia?”
Lanzetta: le relazioni
competitive portano a
risposte affettive (il
contrario di empatiche)
asimmetriche, mentre i
setting cooperativi
hanno dato come
risultato emozioni
simmetriche per l’altro.
meccanismi
ci sono forti prove
differenti
comportamentali
sono in gioco quando
che
l’empatia
dimostrano
è modulata
che
a
causa
l’esperienza
di fattori inter- o
dell’empatia
intrapersonali.
possa
essere modulata da
numerosi fattori sociocognitivi
NEWSLETTER
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maschi che hanno mostrato anche un aumento contemporaneo
dell’attivazione nelle aree correlate alla gratificazione (per esempio, il
nucleo accumbens e lo striato ventrale). La riduzione specifica
dell’attività della rete neurale che processa la dimensione affettiva del
dolore è in contrasto con i risultati dagli studi di neuroimging che hanno
indagato la modulazione delle risposte affettive (dirette o vicarie) al
dolore attraverso la regolazione delle emozioni. Inoltre, questi studi hanno
riportato la modulazione dell’attività nelle regioni cerebrali che non sono
direttamente coinvolte nella rappresentazione dello stato affettivo, quali
la corteccia orbito-frontale (che, interessante, era anche attivata nei
partecipanti maschi dello studio di Singer) o la corteccia prefrontale
mediale. Questo suggerisce che meccanismi differenti sono in gioco
quando l’empatia è modulata a causa di fattori inter- o intrapersonali. Il
fatto che qualcuno piaccia o non piaccia potrebbe determinare se una
risposta affettiva empatica è generata del tutto, mentre rispondere alla
sofferenza di un soggetto neutro potrebbe richiedere una regolazione di
una risposta emotiva prontamente evocata. In alternativa, le differenze
nei paradigmi usati (manifestazione di espressioni emotive dinamiche vs
stimoli per stimolazione dolorosa) potrebbero spiegare queste differenze
tra studi.
In sintesi, ci sono forti prove comportamentali che dimostrano che
l’esperienza dell’empatia possa essere modulata da numerosi fattori
socio-cognitivi. In più, studi di neuroscienze recenti indicano che tale
modulazione porta a un cambiamento nell’attività neurodinamica nei
sistemi neurali che processano l’informazione sociale. Ulteriori studi sono
necessari per aumentare la nostra conoscenza su vari fattori, processi e
effetti (neurali e comportamentali) coinvolti e che risultano dalla
modulazione delle risposte empatiche. Questa conoscenza ci darà
informazioni riguardo a come l’empatia può essere promossa per
aumentare in ultimo la capacità del genere umano di agire con modalità
maggiormente prosociali ed altruistiche.
Conclusioni
Il costrutto dell’empatia è stato discusso nella filosofia della mente per
molte decadi ed è stato ampiamente investigato dagli psicologi sociali
così come dagli psicologi dello sviluppo. Più recentemente, le
neuroscienze cognitive hanno iniziato a chiarire i sistemi neurali che
rinforzano i processi coinvolti nell’esperienza dell’empatia, inclusi la
condivisione delle emozioni, l’acquisizione di prospettive e la regolazione
delle emozioni. Il nuovo approccio delle neuroscienze sociali,
combinando i disegni di ricerca e le misurazioni comportamentali usati
nella psicologia sociale con i markers delle neuroscienze possono giocare
un ruolo importante nel districare le concorrenti teorie di psicologia
sociale in generale e in particolare nella ricerca collegata all’empatia.
Per esempio, una questione critica dibattuta tra gli psicologi sociali è se le
istruzioni sull’acquisizione di prospettiva inducano preoccupazione
empatica e/o angoscia personale e a quale livello la motivazione
prosociale origini dalla sovrapposizione tra se stessi e gli altri. Il recente
lavoro, qui passato in rassegna, dimostra che adottare una propria
prospettiva quando si osservano gli altri soffrire ha come risultato più forti
sentimenti di angoscia personale e attiva la matrice del dolore con
maggiore ampiezza, così come l’amigdala. Una tale completa fusione tra
se stessi e gli altri sembra essere dannosa per la preoccupazione
empatica. Invece, la migliore risposta per la sofferenza altrui potrebbe
essere non l’angoscia, ma gli sforzi per diminuire tale ansia. Al contrario,
quando i partecipanti prendono la prospettiva altrui, si verifica minore
sovrapposizione tra i circuiti neurali coinvolti nel processamento
dell’esperienza in prima persona del dolore e loro infatti riportano più
sentimenti di preoccupazione empatica. Da questi studi, si può
concludere che l’empatia si basa sia sul processamento di informazioni
dal basso verso l’alto (sistemi neurali condivisi tra l’esperienza emotiva in
prima persona e la percezione o l’immaginazione dell’esperienza altrui),
così come sul processamento dall’alto verso il basso che consente la
modulazione
e
l’auto-regolazione.
Senza
auto-regolazione
il
le neuroscienze
cognitive hanno iniziato
a chiarire i sistemi neurali
che rinforzano i processi
coinvolti nell’esperienza
dell’empatia, inclusi la
condivisione delle
emozioni, l’acquisizione
di prospettive e la
regolazione delle
emozioni
una comprensione più
vasta dell’empatia e
delle emozioni ad essa
collegate saranno
favorite dalle analisi
integrative relative a
livelli di organizzazione
biologica e sociale.
PAGINA 20
processamento delle informazioni perderebbe flessibilità e diventerebbe
primariamente legato alle stimolazioni esterne.
Infine, questo articolo illustra l’importanza del combinare la ricerca delle
neuroscienze con la psicologia sociale nella validazione dei modelli di
scienze sociali dell’interazione sociale. La convergenza degli approcci ha
anche benefici su altri fronti, nel senso che i paradigmi e i modelli derivati
dalla psicologia sociale giocano un ruolo complementare (e ispirante)
nell’indagine dei meccanismi cerebrali che stanno alla base del
comportamento sociale. E’ nostra convinzione che una comprensione più
vasta dell’empatia e delle emozioni ad essa collegate saranno favorite
dalle analisi integrative relative a livelli di organizzazione biologica e
sociale. Tale prospettiva ha anche il potenziale per generare nuove
ipotesi riguardo ai disturbi cognitivi sociali.
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NEWSLETTER
NEWSLETTER
PAGINA 25
David Goldberg
The interplay between biological
and
psychological
factors
in
determining vulnerability to mental
disorders
Psychoanalytic Psychotherapy,
Vol. 23, No. 3, September 2009, 236–247
Abstract
This paper reviews recent research with animals which has cast new light
on the mechanism and consequences of maternal attachment, and
goes on to describe research in humans which has investigated the
extent to which the same mechanisms may apply to us. It is clear that
while some features of the adult are mediated by genes, environmental
factors – notably good maternal attachment, are also of great
importance. Stress during pregnancy can interfere with good maternal
care with effects upon the hippocampus and the sensitivity of the infant’s
hypothalamo-pituitary-adrenal (HPA) axis.
Interactions between gene expression and environment, between
behavior and genotype are important in the way they provide
explanations of how the many different features that make-up the
‘depressive diathesis’ arise.
E’tempo che il dialogo dei sordi, psichiatri genetisti e psicoterapeuti, arrivi
al termine: importanti progressi sono stati compiuti nella comprensione
dell’interazione tra la nostra costituzione genica e l’ambiente sociale che
da una parte permettono ai geni di manifestarsi attraverso il fenotipo
oppure, al contrario, vengono soppressi.
E’ora possibile descrivere la biologia dell’attaccamento sicuro ed i
cambiamenti fisiologici che lo accompagnano.
Un vantaggio inaspettato di questo progresso è che ora abbiamo una
visione più chiara sul perché alcune persone si dimostrano più vulnerabili
a sviluppare sintomi di ansia e depressione quando affrontano eventi tristi
o perdite, mentre altri risultano relativamente resilienti.
Per esempio, mentre è vero che il 20% della popolazione sviluppa un
disturbo depressivo a seguito di una evento di perdita (Brown e Harris,
1978), è spesso dimenticato che ciò implica che l’80% di quella stessa
popolazione non lo sviluppi. Prima di revisionare i lavori recenti, verrà dato
un breve resoconto di alcune dei più salienti riscontri precedenti (per una
revisione completa della Letteratura confronta Golberg&Goodyear,
2005). Il neuroticismo (affettività negativa) offre un forte contributo a tutti i
disturbi emozionali. Tutti coloro che hanno condotto un’analisi
multivariata con strumenti auto-valutativi relativi ai disturbi mentali
comuni, hanno trovato una generale componente di differenze
riscontrabili nelle varie classificazioni.
Il gruppo di Kendler in Virginia ha prodotto una serie di articoli
occupandosi dei fattori genetici nei disturbi mentali comuni. Il contributo
dei geni allo sviluppo dei disturbi emozionali è composto da due fattori
correlati, il primo che corrisponde a grandi linee ad un fattore “ansiainfelicità”, che sono fortemente presenti nella depressione maggiore
(DDM), nella distimia e nel Disturbo d’ansia Generalizzato (GAD) e il
secondo fattore di “paura”, che gioca un ruolo primario nelle fobie e nel
importanti progressi
sono stati compiuti nella
comprensione
dell’interazione tra la
nostra costituzione
genica e l’ambiente
sociale che da una
parte permettono ai
geni di manifestarsi
attraverso il fenotipo
oppure, al contrario,
vengono soppressi
PAGINA 26
disturbo di panico (Kendler, Prescott, Myers & Neale, 2003). C’è una
frequente comorbilità tra nove di questi disturbi, c’è una straordinaria
omogeneità tra i vari modelli in tre differenti paesi che hanno condotto
ampi studi a livello nazionale. Gli Stati Uniti (Krueger, 1999), l’Australia
(Slade &Watson, 2006) e l’Olanda (Vollebergh, ledema, Bijil, de Graaf,
Smith&Ormel et al., 2001).
Per tutti questi disturbi ci sono componenti comuni che riguardano sia
l’ambiente familiare sia le fasi precoci della vita: disturbo d’ansia in
famiglia, madri predisposte ad avere un disturbo internalizzato
(emozionale), e più alti livelli di affettività negativa, disturbi della condotta
durante l’infanzia e divorzio dei genitori (Goldberg and Goodyear, 2005).
E’stato noto per molti anni che i bambini con una attaccamento insicuro
non cercano il contatto con il loro care-giver ed hanno maggiori
manifestazione di emozioni negative, un comportamento maggiormente
antisociale e hanno spesso tratti ansiosi (Goldberg&Goodyear, 2005).
Questi estesi fattori comuni tra quelli descritti dalle classificazioni come
disturbi piuttosto diversi, richiedono un substrato biologico comune.
Ci sono tre sistemi principali che hanno a che fare con le nostre reazioni
verso l’ambiente sociale – il sistema nervoso centrale, il sistema endocrino
e il sistema immunitario. Ciascuno di questi sistemi è in equilibrio con l’altro
-il sistema nervoso centrale è in comunicazione con l’altro -il sistema
nervoso centrale e quello endocrino principalmente dal sistema
ipotalamo ipofisario, il sistema nervoso centrale ed il sistema immunitario
dagli immuno-peptidi e dagli immuno-trasmettitori, e il sistema endocrino
ed il sistema immunitario dagli immunotrasmettitotri e dagli ormoni
endocrini.
Lo stress emozionale è controllato dall’ippocampo, che in presenza di
stress inibisce l’ipotalamo. Tale fenomeno è associato con l’aumento del
fattore di rilascio del cortisolo (CRH) e l’arginina vasopressina (AVP).
Questo fa sì che l’ipofisi stimoli il rilascio dell’ormone adrenocorticotropo,
che stimola la corteccia surrenale a produrre cortisolo. Il cortisolo agisce
inibendo l’ippocampo, così il ciclo omeostatico si completa. Il rilascio di
CRH è associato con la risposta acuta allo stress e all’ansia, mentre
l’arginina vasopressina è associata con la risposta cronica allo stress,
aumentando la sensibilità dell’ipofisi e la depressione. I Glucocorticoidi
rappresentano il prodotto finale dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e con
le catecolamine serve a mobilizzare la produzione la distribuzione della
risposta del corpo allo stress. Un individuo con un asse ipotalamo-ipofisisurrene sensibile è più vulnerabile a provare sentimenti di ansia, ed a
formare risposte condizionate- per esempio risposte di paurapiù
rapidamente degli altri.
Ricerche con animali da esperimento.
Uno psicoterapeuta potrebbe chiedere in che direzione la ricerca sugli
animali
possa
implementare
le
nostre
conoscenze
relative
all’attaccamento derivato dalla diretta osservazione dell’essere umano.
Ci sono molti vantaggi: primo, gli effetti delle variabili genetiche e
ambientali possono essere facilmente decodificati attraverso disegni
sperimentali di topi tramite lo scambio crociato dei piccoli di una madre
con quelli di un’altra; secondo, gli animali possono sperimentare
esperienze più critiche di stimoli di punizione e ricompensa rispetto agli
umani; e terzo, studi post-mortem possono chiarire i cambiamenti fisici
attuali sottolineando gli effetti dell’ambiente sull’allevamento.
I primi studi sistematici sulla deprivazione materna sono stati introdotti da
Harry Harlow, che ha studiato scimmie reshus e macachi. Come è ben
noto il suo gruppo ha dimostrato che l’isolamento sociale che perdurava
per un anno risultava in giovani scimmie più timorose, che non avevano
comportamenti sociali positivi, avevano scarsa aggressività e
praticamente non avevano comportamenti sessuali (Harlow, Dodsworth
&Harlow, 1965). Egli ha inoltre dimostrato che le femmine di scimmia che
erano state deprivate socialmente tendevano a resistere ad avere
rapporti con i maschi, e, quando questo avveniva con successo,
volontariamente, dopo resistenze o artificialmente, spesso rifiutavano i
loro piccoli, rifiutando il contatto che i piccoli persistevano nel cercare e
talvolta facendo loro del male o uccidendoli (Harlow, Harlow,
NEWSLETTER
. Il contributo dei geni
allo sviluppo dei disturbi
emozionali è composto
da due fattori correlati, il
primo che corrisponde a
grandi linee ad un
fattore “ansia-infelicità”,
che sono fortemente
presenti nella
depressione maggiore
(DDM), nella distimia e
nel Disturbo d’ansia
Generalizzato (GAD) e il
secondo fattore di
“paura”, che gioca un
ruolo primario nelle
fobie e nel disturbo di
panico
Ci sono tre sistemi
principali che hanno a
che fare con le nostre
reazioni verso
l’ambiente sociale – il
sistema nervoso
centrale, il sistema
endocrino e il sistema
immunitario
NEWSLETTER
Dodsworth&Arling, 1966). Studi successivi hanno dimostrato che questi
severi effetti potevano esser in gran parte superati dopo prolungati
contatti con altre scimmie socialmente normali (Suomi e Harlow, 1972).
Il seguente importante passo avanti è avvenuto nel 2002, quando
Champoux e altri hanno dimostrato che la maggior componente del
danno causato dalla deprivazione materna è determinato dal possesso
di un particolare gene: il gene trasportatore della serotonina (5HTT).
Ci sono tre principali aminoacidi- serotonina, noradrenalina e dopamina,
ciascuno dei quali è di fondamentale importanza nella comprensione
dell’ansia, della depressione e nel riconoscimento dei comportamenti in
generale. Le scimmie che erano eterozigoti per il gene 5HTT
-con un
braccio lungo e un braccio corto del gene- dimostravano effetti più
severi in seguito alla deprivazione materna rispetto a scimmie omozigoti
per lo stesso gene (con doppio braccio lungo). A livello funzionale è stato
poi dimostrato che questo gene è importante nel determinare in che
misura eventi di perdita possono essere seguiti da episodi depressivi negli
esseri umani, argomento che verrà discusso più avanti. Il successivo
importante lavoro, invece, si è concentrato sul ruolo delle cure primarie.
E’stato condotto su topi di laboratorio da Michael Meaney e il suo
gruppo alla McGill University. Hanno studiato madri che avessero
differenti livelli di “licking and grooming behaviours” (LGBs,
comportamenti di accudimento e affetto verso i piccoli, n.d.t.) verso i loro
piccoli. I vantaggi dei topi rispetto alle scimmie è che il loro ciclo vitale è
più breve, oltre al fatto che sono più economici. Alcune madri ratte
mostravano un grande quantitativo di questi comportamenti, inarcando
spesso le loro schiene e pulendo frequentemente i loro piccoli –chiamato
“madri con alto LG-Arched Back nursing (ABN)”-, mentre altre
mostravano questi comportamenti in maniera molto scarsa. Scambiando
i piccoli dalle madri con basso LG con i piccoli delle madri con alto LG e
viceversa è possibile dimostrare che l’effetto di queste cure primarie
coscienziose sono piuttosto indipendenti dall’assetto genetico. Una volta
che una femmina sperimenta tale accadimento, metterà in atto gli stessi
comportamenti con la sua prole, anche se la sua madre biologica era
carente in tali comportamenti (Francis, Diorio, Liu, & Meaney, 1999).
Inoltre, Liu, Diorio, Day, Francis, & Meaney (2000) hanno dimostrato che
alti livelli di comportamenti LG causano un migliore sviluppo
dell’ippocampo, aumentano l’innervazione colinergica dell’ippocampo
ed incrementano l’apprendimento spaziale e la memoria. Un basso
grado di comportamenti LG, dall’altra parte, causa un livello
significativamente maggiore di proteine acidiche gliali fibrillari a livello
ippocampale (Bredy, Grant, Champagne, &
Meaney, 2003).
L’epigenetica è la branca della biologia che studia l’interazione causale
tra geni e ambiente che conduce il fenotipo all’essere, e determina
quando un particolare gene sarà attivo oppure verrà silenziato.
Studiando il gene del recettore ippocampale dei glucocorticoidi, Fish ed
altri nel 2004, hanno identificato che le cure materne regolano la sua
espressione modificando due processi: l’acetilazione degli istoni e la
metilazione della sequenza consensus sul promotore dell’esone 17 di
NGF1-A (un fattore di crescita neuronale). Tali variazioni il LG-ABN
possono alterare la funzione dell’asse ipotalamo-ipofisi—surrene e lo
sviluppo cognitivo ed emotivo colpendo direttamente i sottostanti
meccanismi neuronali. Di grande rilevanza è il fatto che i comportamenti
LG determinano il livello di sensibilità dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene; le
madri con più bassi livelli LG, crescono una prole con un asse ipotalamoipofisi-surrene più sensibile. Weawer e altri (2004) hanno dimostrato che
elevati livelli di comportamento LG alterano l’epigenoma dei cuccioli e il
promotore del gene che codifica per il recettore dei glucocorticoidi (GR)
a livello ippocampale. Essi hanno trovato delle differenze nella
metilazione del DNA, comparando tali cuccioli con quelli delle mamme a
basso comportamento LG. Queste differenze emergevano dopo la prima
settimana di vita, erano reversibili dopo lo scambio di madri, persistevano
nell’età adulta ed erano associati con un’alterata acetilazione degli
istoni e con la trascrizione di (NGFI-A)legato al promotore del recettore
PAGINA 27
Ci sono tre principali
aminoacidi- serotonina,
noradrenalina e
dopamina, ciascuno dei
quali è di fondamentale
importanza nella
comprensione
dell’ansia, della
depressione e nel
riconoscimento dei
comportamenti in
generale. Le scimmie
che erano eterozigoti
per il gene 5HTT
con un braccio lungo e
un braccio corto del
gene- dimostravano
effetti più severi in
seguito alla
deprivazione materna
rispetto a scimmie
omozigoti per lo stesso
gene (con doppio
braccio lungo)
L’epigenetica è la
branca della biologia
che studia l’interazione
causale tra geni e
ambiente che conduce
il fenotipo all’essere, e
determina quando un
particolare gene sarà
attivo oppure verrà
silenziato
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dei glucorticoidi. Essi hanno dimostrato che tali cambiamenti erano
potenzialmente reversibili.
Zhang, Parent, Weaver, & Meaney (2004) hanno riportato i risultati di una
serie di studi che dimostrano che variazioni nelle interazioni madrecucciolo programmano lo sviluppo delle differenze individuali nelle
risposte comportamentali ed endocrine allo stress nei topi. Questi effetti
sono associati con un’alterata espressione di geni in alcune regioni
cerebrali, come l’amigdala, l’ippocampo e l’ipotalamo, che regolano
l’espressione delle risposte allo stress. Menard, Champagne, & Meaney
(2004) hanno dimostrato che i topi adulti che avevano avuto una madre
con alti livelli di LG crescendo erano meno timorosi nel rispondere alle
novità rispetto a quelli che erano stati allevati da madri con bassi livelli di
LG, dati che suggeriscono che le cure materne servono a
“programmare” i circuiti neuronali che modulano le risposte legate alla
paura nel topo e ciò risulta in risposte neuronali qualitativamente
differenti allo stress, che condizionano anche la responsività del sistema
immunitario.
McGowan, Meaney & Szyf (2008) descrivono nel dettaglio il processo
biologico in base al quale l’allevamento precoce condiziona i
comportamenti futuri. Essi hanno dimostrato che naturali variazioni nel
comportamento materno nel ratto influenzano la reattività allo stress nella
prole e inducono cambiamenti a lungo termine nell’espressione genica,
inclusi i recettori dei glucocrticoidi. Questi sono alternativamente associati
con un’alterata acetilazione degli istoni, la metilazione del DNA e la
trascrizione del fattore di attacco di NGF1-A.
C’è evidenza che questi cambiamenti sono sensibili alle influenze
ambientali come il comportamento materno e la dieta, che conducono
alle sostenute differenze all’interno del fenotipo. Questi effetti possono
essere reversibili con un precoce scambio di madri postatale, e con una
manipolazione farmacologia nell’età adulta, incluse a somministrazione
di Tricostatina A (TSA) e Metionina., che influenzano lo stato epigenetico
di loci critici a livello cerebrale. Così come i livelli di Metionina sono
influenzati dalla dieta, questi effetti suggeriscono che la dieta potrebbe
contribuire significativamente a questa plasticità comportamentale.
Il passo successivo in questa linea di ragionamento è probabilmente il più
interessante: l’ambiente nel quale avvengono le precoci cure materne
ha effetto sul fatto che il comportamento LG si manifesti o meno nella
generazione successiva (Champagne&Meaney, 2007). I topi sono stati
assegnati a tre ambienti di allevamento - un ambiente impoverito, in una
piccola gabbia senza cuccia e con il pavimento grigliato, un ambiente
“normale” in una gabbia più ampia con del materiale per fare una
cuccia; oppure una “arricchita” con multi-compartimenti di sei livelli,
equipaggiati con materiale per costruire un giaciglio e connesso con dei
tunnel- i vari compartimenti erano dotati di una selezione di giochi che
venivano cambiati ogni giorno.
Quelli che crescevano nelle gabbie in isolamento non sviluppavano alti
livelli di comportamento LG, anche se le loro erano madri con elevati
livelli di comportamento LG, mentre i ratti che vivevano nell’ambiente
“arricchito”, sviluppavano il comportamento ad alto LG anche se le loro
erano madri a basso LG. Solo nella gabbia con allestimento “normale” il
comportamento LG delle madri agiva come unico determinante del
comportamento delle future madri.
Diorio e Meaney (2007) sono arrivati a dimostrare che in condizioni di
avversità ambientali, gli effetti del comportamento materno aumentano
le capacità di mettere in atto risposte difensive della prole. Cure materne
scarse aumentano le reazione di timore e la sensibilità dell’asse
ipotalamo-ipofisi-surrene, così come performance più scarse nei compiti
che richiedono attenzione, apprendimento di nuove capacità e
memoria. Sembra che questi effetti “programmino” i sistemi endocrino,
cognitivo ed emozionale verso un aumento della sensibilità alle avversità.
Con un aumentato livello di avversità tali effetti comportamentali
possono esser considerati adattativi, aumentando la capacità di
rispondere con comportamenti che hanno un immediato valore
adattativi; il costo è pero un aumentato rischio per multiple forme di
patologie nella vita futura.
NEWSLETTER
Zhang, Parent, Weaver,
& Meaney (2004) hanno
riportato i risultati di una
serie di studi che
dimostrano che
variazioni nelle
interazioni madrecucciolo programmano
lo sviluppo delle
differenze individuali
nelle risposte
comportamentali ed
endocrine allo stress nei
topi. Questi effetti sono
associati con
un’alterata espressione
di geni in alcune regioni
cerebrali, come
l’amigdala,
l’ippocampo e
l’ipotalamo, che
regolano l’espressione
delle risposte allo stress.
le cure materne servono
a “programmare” i
circuiti neuronali che
modulano le risposte
legate alla paura nel
topo e ciò risulta in
risposte neuronali
qualitativamente
differenti allo stress, che
condizionano anche la
responsività del sistema
immunitario.
NEWSLETTER
L’ossitocina, molto usata dalle ostetriche per la sua azione promotrice sia
delle contrazioni uterine durante gli stadi finali del travaglio, sia come
attivatore della produzione di latte nel periodo dell’allattamento, è un
altro ormone ipofisario che si è scoperto avere altre importanti funzioni.
Tra queste la più importante è il ruolo che ha nel promuovere il
comportamento affiliativo negli animali da branco come mucche e
pecore, e nell’influenzare i comportamenti relativi alle cure materne. Per
esempio, quando vengono somministrati degli antagonisti dell’ossitocina
ai ratti, val Leengoed, Kerker & Swanson (1987) hanno dimostrato che
venivano aboliti gli elevati livelli di comportamento LG.
Champagne and Meaney (2006) hanno investigato alcuni determinanti
degli elevati livelli di LG delle madri oltre all’esperienza precoce della
maternità. Hanno preso madri che disponevano di alti o bassi livelli di LG
nel corso della prima figliata e durante la seconda gravidanza le
sottoponevano ad alti o bassi livelli di stress. La condizione di elevato
stress consisteva nel sottoporle a tre periodi di 30 minuti al giorno durante
gli ultimi sette giorni di gravidanza. I cuccioli di sesso femminile sono stati
raggruppati e a loro volta osservati con i loro cuccioli. Lo stress durante la
gravidanza riduce i comportamenti LG non solo nei confronti della
seconda figliata, che era associata con l’imposizione di stressogeni
durante la gestazione, ma anche per la terza gravidanza, durante la
quale gli stressogeni non erano stati somministrati. I risultati del terzo
accoppiamento hanno dimostrato il perdurare degli effetti dello stress
indotto nel periodo gestazionale, sia nelle madri che nella prole, oltre che
nell’osservazione di reazioni di timore da parte della prole.
Durante la seconda e la terza gravidanza madri con alto LG che erano
state stressate avevano un comportamento paragonabile a madri con
basso LG, mentre madri con alto LG che non erano state stressate
persistevano nel mostrare alti livelli di comportamenti LG. Questi
cambiamenti si accompagnavano a elevati livelli di ossitocina a livello
dell’amigdala, della stria terminale e dell’area pre-ottica. Dai loro risultati
emergerebbe che lo stress durante la gravidanza può alterare
direttamente la capacità materna di prestare cure, attraverso i sistemi
neuroendocrini che normalmente regolano tale comportamento.
Nel complesso, le ricerche sugli animali suggeriscono che, mentre alcuni
importanti effetti sono mediati dai geni, alcuni effetti dell’ambiente
possono parzialmente determinare in che misura un determinato gene si
manifesterà nell’età adulta (attraverso il fenotipo). Inoltre, vi sono effetti
ambientali che sono indipendenti dai geni, ma questi possono essere
modificati attraverso la manipolazione dell’ambiente durante la crescita
e sono essi stessi parzialmente condizionati dallo stress subito dalla madre
durante la gravidanza. Profondi cambiamenti nel cervello del cucciolo di
topo sono stati dimostrati in risposta a buone cure materne.
L’ippocampo,
la
parte
del
cervello
che
è
responsabile
dell’accrescimento dell’apprendimento spaziale e della memoria, così
come sulla sensibilità personale all’ambiente esterno, è la componente
maggiormente
condizionata
da
questi
cambiamenti.
Questi
cambiamenti non sono semplicemente un modo di cambiare l’assetto
genetico della prole-lo scambio della prole induce questo- ma
maggiormente un modo per influenzare l’espressione dei geni nel
fenotipo. Questi cambiamenti hanno l’effetto di modificare la sensibilità
dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene nei cuccioli di topo, e in conseguenza
la sua vulnerabilità agli effetti dello stress durante la vita adulta. E’stato
dimostrato che le esperienze stressanti esperite dalla madre durante la
gravidanza sopprimono gli effetti positivi delle buone cure materne,
creando future generazioni di madri simili alle madri con basso LG -ma le
buone madri che non vengono sottoposte allo stress durante la
gravidanza, dimostrano che i vantaggi persistono nelle generazioni
successive.
Ricerche sull’essere umano
Gli studi che includono gli esseri umani sono ovviamente necessari per
vedere se gli effetti visti negli animali siano applicabili a noi, anche se gli
studi sperimentali descritti nella precedente sezione non sono replicabili
sull’essere umano.
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L’ ossitocina ha il ruolo di
promuovere il
comportamento
affiliativo negli animali
da branco come
mucche e pecore, e
nell’influenzare i
comportamenti relativi
alle cure materne
Le ricerche sugli animali
suggeriscono che,
mentre alcuni importanti
effetti sono mediati dai
geni, alcuni effetti
dell’ambiente possono
parzialmente
determinare in che
misura un determinato
gene si manifesterà
nell’età adulta
(attraverso il fenotipo).
Inoltre, vi sono effetti
ambientali che sono
indipendenti dai geni,
ma questi possono
essere modificati
attraverso la
manipolazione
dell’ambiente durante
la crescita e sono essi
stessi parzialmente
condizionati dallo stress
subito dalla madre
durante la gravidanza
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Come verrà dimostrato in seguito, sembra che il lavoro fatto sugli animali
sia di grande rilevanza per la nostra specie. Le ricerche sull’essere umano
inoltre ci permettono di porci un altro tipo di problema -come mai alcuni
bambini sono estremamente sensibili all’attaccamento insicuro e alle
varie forme di avversità dell’infanzia, mentre molti altri sono relativamente
resistenti?-Si vedrà che questo è il campo nel quale dove le interazioni tra
geni e componenti ambientali diventano importanti.
Nel precedente paragrafo abbiamo visto che le cure materne
determinano parzialmente lo sviluppo dell’ippocampo. E’interessante ciò
che è stato riscontrato da Buss e altri nel 2007: questo effetto
ippocampale è dimostrabile solo negli esseri umani di sesso femminile che
raccontano di aver ricevuto scarse cure materne. Le stesse modificazioni
non erano invece dimostrabili in individui di sesso maschile che avevano
vissuto nelle stesse condizioni. Qui ci si scontra con uno svantaggio
relativo alla ricerca sull’essere umano- mentre nel topo i livelli di cure
materne possono essere direttamente osservate, nell’essere umano
adulto i ricercatori devono fare affidamento su un ricordo retrospettivo
dell’infanzia ricostruita tramite il PBI (Parental Bonding Inventory). In ogni
caso questo svantaggio focalizza l’attenzione sul sistema umano: gli
umani, cioè, sono dotati di auto direttività e di memoria autobiografica,
c’è la possibilità che, ciò che è effettivamente successo e ciò che invece
è ricordato potrebbero essere indipendentemente importanti.
L’importanza del gene che codifica per il trasportatore della serotonina
(5HT) è stata confermata dagli studi sugli esseri umani: Caspi, Sugden, ,
Moffit, Taylor, Craig & Harrington (2003), hanno dimostrato che gli individui
che hanno una o due copie dell’allele corto del promotore di 5 HT T
esibivano maggiormente sintomi depressivi, depressione diagnosticabile
e ideazione suicidaria in relazione a eventi stressanti di vita che gli
individui omozigoti per l’allele lungo, cosa che conferma un’interazione
tra il possesso del gene ed un evento ambientale-in questo caso il
numero di eventi stressanti riportati dal soggetto. Questi sono risultati
ampiamente confermati da Eley ed altri (2004); Kendler, Kuhn, Vittum,
Prescott &Riley (2005) e Wilhelm ed altri (2006), anche se hanno fallito nel
dimostrare l’associazione. Kaufman ed altri nel 2004 hanno esteso le
ricerche sui bambini. In un campione di 101 bambini tra i 5 e i 15 anni,
hanno confermato l’importanza dell’allele corto nella modulazione gli
effetti delle esperienze stressanti, ma hanno aggiunto a tale riscontro che
i maltrattamenti sui bambini senza supporti sociali si accompagnavano ai
più alti tassi di depressione in presenza dell’allele corto.
E’stato anche dimostrato che questa variante genetica- avente o un
doppio allele corto (ss), o un gene corto e uno lungo (ls)-interagiscono
con la qualità della responsività materna verso i figli. Barry, Kochanska &
Philibert (2008) hanno dimostrato dopo una prolungata osservazione
naturalistica di 88 coppie di madre e figlio che tale relazione non
sussisteva tra colori che erano omozigoti per l’allele lungo di tale gene (ll).
In ogni caso, con bambini (ss) e (sl), una bassa responsività materna era
associata ad un attaccamento molto scarso, mentre un’elevata
responsività si associava con bambini con alto attaccamento, simile a
quello dei bambini omozigoti per la forma lunga del gene (ll), una
responsività media era intermedia tra i due. Questi riscontri sono in
accordo con il modello “diatesi-stress”: le esperienze negative precoci
amplificano il rischio conferito dall’allele corto di 5-HTT, mentre esperienze
precoci positive, mentre sono utili per contrastare tale rischio, sembrano
non condurre a migliori outcomes che gli outcomes che hanno i bambini
senza rischio genetico.
Caspers, Paradiso, Yucuis &Troutman (2009) confermano l’importanza
dell’interazione, in questo caso studiando adulti che erano stati adottati
all’età media di 2,4 mesi, usando l’Adult Attachment Interview (Intervista
per l’Attacamento dell’Adulto). Ancora una volta, è stata dimostrata
un’associazione tra il possesso dell’allele corto del gene 5HTT e uno stile di
attaccamento irrisolto. Tratti temperamentali e il possesso di correnti
sintomi psicologici.
Kochanska, Philbert& Barry (2009) hanno studiato 89 bambini usando lo
“Strange Situation Test” a 15 mesi per valutare l’attaccamento materno,
ripetendo test seriati fino a 52 mesi per valutare l’autoregolazione. Nei
NEWSLETTER
gli umani sono dotati di
auto direttività e di
memoria
autobiografica, c’è la
possibilità che, ciò che è
effettivamente successo
e ciò che invece è
ricordato potrebbero
essere
indipendentemente
importanti.
è stata dimostrata
un’associazione tra il
possesso dell’allele
corto del gene 5HTT e
uno stile di
attaccamento irrisolto.
Tratti temperamentali e
il possesso di correnti
sintomi psicologici.
NEWSLETTER
bambini con attaccamento sicuro l’autoregolazione non era
condizionata dalla presenza del gene , ma l’autoregolazione dei bambini
con attaccamento insicuro che avevano l’allele corto era fortemente
danneggiata. Un recente articolo di Caspi, McCray, Moffitt, Mill, Martin,
Craig e altri (2002) ha dimostrato un’interazione gene-ambiente tra
maltrattamenti durante l’infanzia ed il possesso del gene responsabile
della codificazione dell’enzima che metabolizza il neurotrasmettitore
Mono Amino Ossidasi A (il gene per le MAO A ). Questo lavoro ha
riscontrato che coloro che avevano elevati livelli di espressione del gene
MAO erano meno inclini a sviluppare problematiche antisociali se
maltrattati, rispetto a coloro che avevano un basso livello di espressione
del gene -la combinazione di bassi livelli di espressione genica e
maltrattamenti durante l’infanzia producevano alti livelli di ogni tipo di
comportamento antisociale e criminale durante la vita adulta-. Altri
esempi di interazioni gene-ambiente potrebbero essere quelli tra fumo
materno in epoca prenatale e il genotipo del trasportatore della
dopamina con l’iperattivittà nell’infanzia (Kahn, Khoury, Nichols &
Lanphear, 2003), e tra il gene delle catecol-o-metiltransferasi (COMT) e la
cannabis usata in concomitanza di schizofrenia (Caspi et al. 2005).
Ossitocina e abuso nell’infanzia
Cyranowski, Frank, Young & Shear (2000)
hanno ipotizzato che
l’ossitocina, stimolando i comportamenti affiliativi in ragazze adolescenti,
potrebbe essere parzialmente responsabile dell’alta prevalenza di
depressione nelle ragazze, dal momento che ragazze con scarse relazioni
con i coetanei prima della pubertà potrebbero avere un doppio
svantaggio: se le loro relazioni con i coetanei sono scarse, una richiesta
mediata dagli ormoni di un maggior legame potrebbe metterle in una
situazione di svantaggio ancora maggiore.
Domes, Heinrichhs, Michel, Berger&Herpetz (2007), in uno studio
controllato con il placebo, hanno usato il test “Reading the Mind in the
eyes” su 30 soggetti di sesso maschile ed hanno ipotizzato che l’ossitocina
aiuti a “leggere” la mente delle altre persone. Questo test valuta un
particolare aspetto della lettura della mente, che è l’interferenza dello
stato interno da parte di sottili espressioni affettive del volto più che la
lettura della mente di per sé (Baron-Cohen, Wheelwright, Hill,
raste&Plumb, 2001). Guastella, Mitchell&Dadds (2008) hanno ipotizzato
che l’ossitocina aumenti la fiducia negli altri e l’abilità di interpretare le
emozioni degli altri: essi hanno dimostrato che, comparata al placebo,
l’ossitocina aumenta il numero di fissazioni dello sguardo alla regione
oculare dei soggetti.
Heim ed altri (2009) hanno comparato i livelli di ossitocina nel fluido
cerebrospinale i donne che hanno avuto esperienze di abuso
o
trascuratezza nell’infanzia con quello di alcune donne sane. Essi hanno
riscontrato livelli inferiori in donne che avevano subito tutte le forme di
abuso, particolarmente con forti differenze tra colore che erano state
abusate emotivamente rispetto ai controlli sani. Mc Gowan ed altri (2009)
hanno invece ipotizzato che l’abuso nell’infanzia alteri le risposte dell’asse
ipotalamo-ipofisi-surrene allo stress e aumenti il rischio di suicidio. Essi
hanno esaminato le differenze epigenetiche nel promotore di un
recettore dei glucorticoidi neurone-specifico (NR3C1) tra ippocampi
pelevati post mortem ottenuti da vittime morte suicide con una storia di
abuso nell’infanzia e coloro che, seppur vittime di suicidio, non avevano
subito tali abusi. Le vittime che avevano subito abuso differivano
significativamente sia dal gruppo di controllo che dai soggetti che non
avevano subito abuso, mentre gli altri due gruppi erano sostanzialmente
simili. E’stato notato che il recettore dei glucocorticoidi era soppresso a
livello ippocampale tra i suicidi per abuso sessuale, ed una grande
porzione di essi aveva la regione promotrice di NR3C1 metilata. Essi
hanno quindi trovato fattori comuni tra comportamento dei topi e degli
esseri umani, suggerendo un effetto simile delle cure parentali sulla
regolazione epigenetica dell’espressione del recettore dei glucorticoidi a
livello ippocampale.
Resumè del lavoro sugli esseri umani
PAGINA 31
Nei bambini con
attaccamento sicuro
l’autoregolazione non
era condizionata dalla
presenza del gene , ma
l’autoregolazione dei
bambini con
attaccamento insicuro
che avevano l’allele
corto era fortemente
danneggiata
Cyranowski, Frank,
Young & Shear (2000)
hanno ipotizzato che
l’ossitocina, stimolando i
comportamenti affiliativi
in ragazze adolescenti,
potrebbe essere
parzialmente
responsabile dell’alta
prevalenza di
depressione nelle
ragazze, dal momento
che ragazze con scarse
relazioni con i coetanei
prima della pubertà
potrebbero avere un
doppio svantaggio: se
le loro relazioni con i
coetanei sono scarse,
una richiesta mediata
dagli ormoni di un
maggior legame
potrebbe metterle in
una situazione di
svantaggio ancora
maggiore.
PAGINA 32
Negli esseri umani, gli effetti delle cure materne sullo sviluppo
ippocampale sono stati da tempo dimostrati nelle femmine, ma non nei
maschi. L’effetto dell’ambiente nel promuovere l’espressione genica
sembra essere supportato dai lavori che dimostrano che l’entità delle
anormalità in un particolare gene , responsabile del metabolismo di un
importante neurotrasmettitore inibitore (serotonina), può essere
dimostrato essere responsabile della sensibilità dell’adulto agli stress
esterni. Questo gene è anche correlato con la probabilità di sviluppare
un attaccamento insicuro. Inoltre, le anormalità osservate nel topo
sembrano applicabili anche all’essere umano.
In modo simile, le anormalità in un altro gene, responsabile del
neurotrasmettitore monoaminoossidasi A, sono associate alla sensibilità
del bambino degli effetti nocivi delle punizioni fisiche – in presenza del
gene normale, la relazione è abbastanza debole, ma se è anormale si
verificano risultati a livello di comportamento antisociale. Sembra che
l’ormone ossitocina -così ben conosciuto per la sua importanza nei primi
anni dell’infanzia-, abbia altri svariati importanti effetti. L’abuso sessuale
durante l’infanzia associato a bassi livelli di ossitocina nel fluido
cerebrospinale, e individui abusati sessualmente che conseguentemente
si suicidano hanno un’aumentata sensibilità dell’asse ipotalamo ipofisario
ed hanno modificazioni simili a quelli visti negli studi sugli animali. Nella
giovane ragazza adolescente tale ormone aumenta il bisogno di relazioni
strette- e in conseguenza probabilmente la vulnerabilità con
relativamente scarse relazioni a vivere episodi depressivi-.
Queste interazioni tra gene ed ambiente, tra comportamento e genotipo
sono importanti, perché forniscono le spiegazioni di come agiscono i
differenti aspetti che compongono la diatesi depressiva. In ogni caso,
hanno significati molto più vasti. Questi aspetti creano presupposti per un
possibile strada nella quale cambiando i fattori culturali ed interpersonali
tra generazioni, possono essere causati effetti sul genotipo, oltre al fatto
che cambiamenti nella cultura potrebbero operare come acceleratori di
processi evolutivi.
Nel complesso, abbiamo visto che condizioni ambientali avverse sono
specialmente dannose per alcuni genotipi, non dimenticando la
popolazione relativamente resiliente. Le ricerche in questo campo sono in
continua rapida espansione e ci si aspettano molti passi avanti nei
prossimi anni.
Gli Psicoterapeuti saranno interessati a sapere che Nemeroff e altri (2003)
hanno dimostrato che la psicoterapia (basata su un’analisi cognitivo
comportamentale) mostrava migliori risultati in quei pazienti depressi che
avevano sperimentato abusi e trascuratezza nell’infanzia rispetto ai
soggetti che ricevevano l’antidepressivo senza psicoterapia. L’aggiunta
dell’antidepressivo produceva solo pochi miglioramenti, suggerendo
pertanto che la psicoterapia debba essere pensata come un ingrediente
essenziale del trattamento per coloro che hanno vissuto un trauma
nell’infanzia..
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L’abuso sessuale
durante l’infanzia
associato a bassi livelli di
ossitocina nel fluido
cerebrospinale, e
individui abusati
sessualmente che
conseguentemente si
suicidano hanno
un’aumentata sensibilità
dell’asse ipotalamo
ipofisario ed hanno
modificazioni simili a
quelli visti negli studi sugli
animali. Nella giovane
ragazza adolescente
tale ormone aumenta il
bisogno di relazioni
strette- e in
conseguenza
probabilmente la
vulnerabilità con
relativamente scarse
relazioni a vivere episodi
depressivi-.
La psicoterapia
(basata
su un’analisi cognitivo
comportamentale)
mostrava migliori risultati
in quei pazienti depressi
che avevano
sperimentato abusi e
trascuratezza
nell’infanzia rispetto ai
soggetti che ricevevano
l’antidepressivo senza
psicoterapia. L’aggiunta
dell’antidepressivo
produceva solo pochi
miglioramenti,
suggerendo pertanto
che la psicoterapia
debba essere pensata
come un ingrediente
essenziale del
trattamento per coloro
che hanno vissuto un
trauma nell’infanzia..
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NEWSLETTER
NEWSLETTER
PAGINA 35
Moriguchi Y, Ohnishi T, Decety J, Hirakata M,
Maeda M, Matsuda H, Komaki G
The human mirror neuron system in a
population with deficient selfawareness: An fMRI study in
alexithymia.
Hum Brain Mapp. 2009 :Jul;30(7):2063-76.
L’alessitimia (ALEX) (Sifneos, 1972) è una dimensione che descrive le
persone che sembrano avere dei deficit nel comprendere, processare o
raccontare le proprie emozioni. Ciò comprende la difficoltà
nell’identificare, descrivere e lavorare con i propri sentimenti così come la
difficoltà nel distinguere tra emozioni e sensazioni corporee legate
all’attivazione emotiva (Taylor et al., 1997). ALEX è considerata un tratto
personale, presente non solo nei soggetti sani ma anche in un largo
spettro di pazienti psichiatrici e psicosomatici, ed è coinvolta nell’esordio
e nell’aggravarsi di questi disturbi ( Taylor e Bagby, 2004. Taylor et al.,
1997).
Anche se esistono numerose teorie relative all’eziologia dell’ALEX, una
delle proposte maggiormente accettate suggerisce un’asscoiazione con
alcuni fattori legati allo sviluppo. Uno studio prospettico durato 31 anni su
un ampio campione di bambini ha dimostrato che ALEX nell’età adulta
era associata con l’essere un bambino non desiderato, l’essere nato in
una famiglia con tanti bambini, l’essere cresciuto in ambiente rurale e la
capacità di parlare all’età di 1 anno (Joukamaa et al., 2003; Kokkonen et
al., 2003; Taylor an Bagby, 2004). Le attuali ricerche sono incentrate sul
dimostrare la presenza di una correlazione tra ALEX e teorie rilevanti come
quelle della psicologia dello sviluppo o delle malatie dell’età evolutiva.
Nonostante ALEX faccia riferimento ai deficit nell’auto consapevolezza
emotiva, spesso è indicata come una
cattiva comprensione dei
sentimenti altrui (Taylor et al., 1997). ALEX è stata identificata diverse volte
in un ampio spettro di disturbi psichiatrici (ad es. abuso di sostanze
(Cleland et al., 2005; Haviland et al., 1988; Mann et al., 1995; Taylor et al.,
1990), disturbo post traumatico da stress (Alvarez e Shipko, 1991; Frewen
et al., 2008; Hyer et al., 1990; Krystal et al., 1986) e disturbi dissociativi
(Elzing et al., 2002; Irwin e Melbin-Helberg, 1997; Sayar et al., 2005; Zlotnick
et al., 1996)). Allo stesso tempo, c’è da notare che esiste un
identificazione con gli altri, come nell’autismo e nella sindrome di
Asperger (AS) (Berthoz e Hill, 2005; Frith, 2004; Hill et al., 2004), schizofrenia
(Cedro et al., 2001; Stanghellini e Ricca, 1995) e disturbo borderline di
personalità (Guttman e La porte, 2002). Questi disturbi sono caratterizzati
da una diminuita distinzione del sé dagli altri ed una minore empatia, così
come da una maggiore angoscia orientata verso il sé o da un maggiore
contagio emotivo (Decety e Moriguchi, 2007; Moriguchi et al., 2006;
Preston e deWaal, 2002). Inoltre, studi recenti che utilizzano il
neuroimaging (Moriguchi et al., 2006, 2007) hanno dimostrato che gli
individui con ALEX hanno una minore capacità di mentalizzazione, di
empatia cognitiva e di abilità prospettica. Questi risultati puntano a
componenti comuni nel riconoscere il sé e gli altri; inoltre, ALEX
comprende un deficit nell’autoconsapevolezza ed anche nella
comprensione del perspective-taking altrui ad un livello cognitivo più
elevato.
L’alessitimia (ALEX)
(Sifneos, 1972) è una
dimensione che
descrive le persone che
sembrano avere dei
deficit nel
comprendere,
processare o
raccontare le proprie
emozioni
Uno studio prospettico
durato 31 anni su un
ampio campione di
bambini ha dimostrato
che ALEX nell’età
adulta era associata
con l’essere un
bambino non
desiderato, l’essere
nato in una famiglia
con tanti bambini,
l’essere cresciuto in
ambiente rurale e la
capacità di parlare
all’età di 1 anno
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I meccanismi neuronali che stanno alla base della comprensione degli
stati mentali altrui possono includere il sistema dei neuroni a specchio
(MNS) . Un neurone a specchio è un neurone senso motorio che si attiva
sia quando un animale esegue un’azione, sia quando l’animale osserva
la medesima azione eseguita da un altro individuo ( Gallese et al., 1996;
Rizzolatti et al., 1996°). Perciò i neuroni “rispecchiano” il comportamento
degli altri, così come se fosse l’osservatore ad eseguire l’azione, questi
neuroni sono stati direttamente registrati nei primati( Rizzolati e Craighero,
2004). Negli umani, gli studi di neuroimaging hanno dimostrato una attività
neuronale compatibile con i neuroni a specchio nella cortecia
premotoria e nella corteccia parietale inferiore (Rizzolati e Craighero,
2004). Il MNS fornisce un primitivo ma già importante punto di partenza
per la comprensione dei pensieri altrui attraverso la simulazione motoria.
Inoltre il MNS è stato indicato come meccanismo importante per la
comprensione sociale in generale (Blakemore e Frith, 2005; Ohnishi et al.,
2004).
Uno studio di imaging attraverso risonanza magnetica funzionale (fMRI)
ha identificato una ridotta attività emodinamica nel MNS quando i
bambini artistici osservano od imitano le espressioni facciali, mentre il
compito era eseguito allo stesso modo dei bambini non autistici (Dapretto
et al., 2006). Il dato interessante è che gli individui con autismo hanno
totalizzato punteggi ALEX elevati (Berthoz e Hill, 2005; Bush et al., 1998;
Frith, 2004; Hill e al, 2004; Tani et al., 2004). Inoltre l’autismo e ALEX paiono
sovrapporsi per qualche motivo (Berthoz e hill, 2005; Fritzgerald e
Bellgrove, 2006; Fitzgerald e molyneux, 2004). Comunque, Hamilton e al
(2007) recentemente hanno dimostrato che l’abilità di capire ed imitare
gli obbiettivi delle azioni manuali è intatta nei bambini con autismo. Inoltre
non è chiaro se ALEX comprenda cambiamenti nel MNS che sembrano
agire come prerequisiti per lo sviluppo dell’abilità di comprendere la
mente altrui. Secondo quanto ne sappiamo, nessuno studio, ad oggi, ha
esaminato
la
relazione
tra
MNS
ed
ALEX
o
i
deficit
nell’autoconsapevolezza.
MATERIALI E METODI
Lo studio è stato approvato dai comitati etici locali (Centro nazionale di
neurologia e psichiatria in Giappone, Istituo nazionale di Sanità) e
sviluppato in accordo con la dichiarazione di Helsinki.
Partecipanti
310 studenti del college hanno compilato la Toronto ALEXithymia Scale
(TAS) a 20 item (Moriguchi et al., 2007b; Taylor et al., 2003). Gli individui
che risultavano con alti o bassi valori alla TAS (n=20, punteggio >60; n=17,
punteggio<39) sono stati selezionati al fine di ottenere 2 gruppi con il più
ampio range di punteggi ALEX possibile. 37 studenti hanno compilato il
consenso informato per partecipare alla ricerca. Le variabili
demografiche sono illustrate in tabella I. Tutti i partecipanti che hanno
acconsentito ad entrare nello studio fMRI sono stati intervistati tramite
l’utilizzo della Mini-International Neuropsychiatric Interview (Sheehan et al.,
1998) da 2 medici specialisti in psichiatria e medicina psicosomatica. Tutti i
partecipanti non avevano una storia di malattie neurologiche, mediche o
psichiatriche e nessuno è stato escluso dallo studio. Tutti i partecipanti
erano destrimani, come determinato tramite Edinburgh handedness
inventory (Oldfield, 1971). I partecipanti erano perlopiù gli stessi coinvolti
nello studio che esaminava l’associazione tra ALEX e mentalizzazione
(Moriguchi et al., 2006) e tra ALEX ed empatia (Moriguchi et al., 2007).
Comunque, questo studio è stato condotto in un setting completamente
diverso ed è stato incentrato unicamente sulle analisi del paradigma
MNS..
L’intero campione che abbiamo descritto (n=37) è stato diviso in 2 gruppi
basati sui punteggi di cutoff della TAS-20: ALEX (TAS>60) e non-ALEX
(TAS<39). L’intervista strutturata, edizione modificata, del Beth Israel
hospital psychosomatic questionnaire (SIBIQ) (Arimura et al., 2002; Sirima
et al., 1988) è stato utilizzato per confermare la presenza o l’assenza
dell’ALEX. 4 parteipanti con elevati punteggi alla TAS-20 e bassi punteggi
NEWSLETTER
Un neurone a specchio
è un neurone senso
motorio che si attiva sia
quando un animale
esegue un’azione, sia
quando l’animale
osserva la medesima
azione eseguita da un
altro individuo
Uno studio di imaging
attraverso risonanza
magnetica funzionale
(fMRI) ha identificato
una ridotta attività
emodinamica nel MNS
quando i bambini
artistici osservano od
imitano le espressioni
facciali, mentre il
compito era eseguito
allo stesso modo dei
bambini non autistici
NEWSLETTER
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alla SIBIQ e 4 con bassi punteggi TAS-20 ed alti SIBQ sono stati esclusi.
Punteggi comparativi per il rimanente gruppo ALEX (n=16) e non ALEX
(n=13) sono illustrati in tabella 1.
STRUMENTI PSICOLOGICI
La TAS-20 (Bagby et al., 1994; Parker et al., al., 2003) ; la versione
giapponese della TAS 20 redatta da Moriguchi et al. (2007b) è un
questionario autosomministrato a 20 items. Gli items sono elencati su una
scala a 5 valori da fortemente in disaccordo a fortemente in accordo. La
TAS-20 ha una struttura a 3 fattori. Il fattore 1 valuta la difficoltà
nell’identificare i sentimenti. Il fattore 2 valuta la difficoltà nel descrivere i
sentimenti. Il fattore 3 valuta il pensiero concreto.
L’intervista per l’alessitimia strutturata secondo il Beth Israel Hospital (SIBIQ,
Arimura et al., 2002) è basata sul Beth Israel Hospital Psychosomatic
questionnaire (Sriram et al., 1988) che è utilizzato perlopiù sui pazienti
psicosomatici. La SIBIQ è stata studiata per i pazienti con sintomi fisici o
psichiatrici e richiede ai pazienti di descrivere come loro percepiscono i
propri sintomi. Nell’intervistare i pazienti senza sintomi, abbiamo
modificato la SIBIQ aggiungendo domande relative ai loro sentimenti in
risposta ad eventi cattivi/tristi/difficili (negativi) o felici/buoni/soddisfacenti
(positivi) di cui hanno avuto esperienza. Se avessero risposto di non aver
mai avuto simili eventi di vita, noi abbiamo aggiunto domande “se” in cui
era chieso ai partecipanti di immaginare situazioni studiate per causare
tali emozioni (in modo simile all’Alexithymia provoked questionairre; APRQ.
Krystal et al., 1986) e veniva loro richiesto di rispondere in termini di
emozioni proprie. I correttori dei test valutavano queste risposte come per
la scale SIBIQ. La SIBIQ è stata somministrata da due medici qualificati,
esperti in ALEX, e tra i loro punteggi veniva calcolata la media per ogni
partecipante. I due ricercatori non erano a conoscenza della selezione
dei partecipanti sulla base dei loro punteggi TAS. Non c’è un cutoff
standard nella SIBQ. Noi abbiam posizionato un limite al quartile superiore
dei punteggi SIBIQ (cioè >47) considerandolo il limite “superiore” ed il
quartile più basso (<25) inteso come “inferiore”.
Il test NEO a 5 fattori (NEO-FFI) (Costa e McCrae, 1992) è una delle misure
standard del modello a cinque fattori (modello grandi cinque) dei tratti di
personalità ed è una versione ridotta del Neo personality inventory (Costa
McCrae, 1992), uno strumento largamente utilizzato studiato atto a fornire
una descrizione generale della normale personalità attraverso una scala
Likert a 5 punti, da 0 (fortemente in disaccordo) fino a 4 (fortemente in
accordo). Questa scala comprende 60 items studiati per misurare le 5
grandi dimensioni (fattori) di personalità: nevroticismo (N), estroversione
(E), apertura verso le esperienze (V), coperatività (A) e livello di
consapevolezza (C). I punteggi vengono sommati e rientrano in un range
da 0 a 48 per ciascuna dimensione personologica. La versione
giapponese del NEO-FFI è stata validata e la sua affidabilità confermata
nella popolazione in generale. (Shimonaka et al., 1997).
L’indice di reattività interpersonale (IRI) (Davis, 1983); la versione
giapponese sviluppata da Aketa (1999) fa parte di un tipo di questionari
autosomministrati, che misurano la capacità empatica dei partecipanti.
L’IRI consiste di quattro scale, ognuna che misura uno specifico
componente di empatia. 1) L’interessamento empatico misura il
sentimento di interessamento empatico verso gli altri. 2) il “vedere
prospettive” misura l’abilità di prevedere le intenzioni di un altro ed è
correlato con la competenza sociale. 3) La “Fantasia” misura il livello di
identificazione emotiva con i personaggi di libri, film, ecc. e 4) lo stress
personale misura il livello di sentimenti negativi autocentranti in risposta
allo stress derivato dagli altri che può essere alla base di un agito
egoistico della persona stessa. I fattori 1 e 2 sono caratterizzati da stili
interpersonali desiderabili e predicono comportamenti positivi come una
buona comunicazione, calore, persino la malleabilità ed uno sguardo
La TAS 20
La SIBIQ
Il test NEO
L’indice di reattività
interpersonale: IRI
Religione: religiosità e
spiritualità
PAGINA 38
NEWSLETTER
positivo sugli eventi di vita. Lo stress personale è correlato in modo
negativo a questi comportamenti, ma positivamente alla sfiducia,
insensibilità e ossessività (Davis e Oathout, 1987).
La scala di coping allo stress (SCI) (Lazarus e Folkman, 1984); la versione
giapponese è stata sviluppata dall’Istituto di sanità giapponese (1996), ed
è stata usata per investigare il carattere e gli stili di coping dei
partecipanti in risposta a degli stimoli. La SCI ha 2 fattori importanti: 1) le
strategie cognitive di adattamento e 2) la strategie emotive di
adattamento. Ci sono 8 sottoscale derivate dalla SCI: 1) confronto, 2)
distanza, 3) auto controllo, 4) ricerca di supporto sociale, 5) accettazione
delle responsabilità, 6) fuga-evitamento, 7) problem solving e 8) ripresa
positiva.
La versione giapponese delle scale psicologiche usate in questo studio e
descritte in precedenza (TAS 20, IRI, SCI) è stata tradotta attraverso un
metodo di back-tranlation e l’analisi dei fattori di tali versioni giapponesi
ha dimostrato gli stessi fattori delle versioni inglesi originali. La
concomitante validità ed affidabilità di ogni scala psicologica è stata
confermata, indicando che la versione giapponese di ogni test
psicologico misura lo stesso costrutto delle versioni originali.
VIDEO CLIPS
Gli stimoli visivi sono stati registrati in modo che venisse ripreso un individuo
mentre compiva azioni manuali dirette ad uno scopo (ad es. sollevare
una tazza, un martello, utilizzare un telefono) su 52 oggetti tipicamente
usati nella vita di tutti i giorni (ad es. una gomma, una matita, una
forchetta, ecc.) Gli oggetti era posizionati al centro della ripresa. Ogni
video consisteva in una mano che si avvicinava dall’angolo superiore
destro dello schermo e che sollevava l’oggetto. Ogni clip aveva una
durata di 4 secondi; gli individui osservavano 5 movimenti di
avvicinamento compiuti da un braccio artificiale al di sopra dei medesimi
oggetti nel medesimo periodo. La velocità e l’intenzione del braccio
artificiale era controllata affichè combaciasse con i tempi del medesimo
compito eseguito a mano. Ogni video stimolo di controllo durava 4
secondi; perciò, durante il periodo del compito, i soggetti osservavano 5
stimoli. Gli stimoli erano gli stessi utilizzati nel precedente studio di fMRI
mirato a misurare l’MNS nei bambini (Ohnishi et al., 2004).
METODI E PROCEDURE DI CONTROLLO
I partecipanti avevano preso parte ad una delle sessioni consistenti in 24
blocchi. Ogni compito o blocco di controllo consisteva di 5 trails di 4 sec
nelle stesse condizioni. I partecipanti erano istruiti affinché osservassero
passivamente ma attentamente i video clip rappresentanti le azioni
manuali oggetto-correlate durante le condizioni di attività (8 blocchi) e i
movimenti del braccio artificiale durante le condizioni di controllo (8
blocchi). Durante i trial di partenza, ai partecipanti veniva chiesto di
fissare la croce centrale per 4 secondi e non veniva mostrato il compito
MNS (8 blocchi). L’ordine delle condizioni era randomizzato durante gli
incontri. Nessuno oggetto nei video veniva presentato più di una volta
durante l’intero esperimento.
ACQUISIZIONE DI DATI ED ANALISI
I dati MRI sono stati acquisiti tramite un 1.5 Siemens Magneton Vision Plus
System, Erlangen, Germania. Cambiamenti nei livelli di ossigeno nel
sangue (BOLD) pesati attraverso segnale T2 MR (Ogawa et al., 1990) sono
stati misurati attraverso sequenza di imaging a gradiente eco-planare
(EPI) (tempo di ripetizione TR= 4 s, echo time TE=55 ms, FOV= 220 mm;
angolo di rotazione 90, matrice 64 x 64, metodo a 30 slide continuo,
spessore slide 4 mm, misura voxel 3.44 mm x 3.44 x 4 mm). Per ogni
La scala di coping allo
stress: SCI
NEWSLETTER
PAGINA 39
sessione di scan, un totale di 125 imagini EPI sono stae acquisite attraverso
il piano AC-PC. Le immagini di MR strutturale sono state acquisite
attraverso una sequenza MPRAGE (TE/TR, 4.4/11.4 ms; angolo di rotazione,
15; matrice di acquisizione 256x 256; 1nex campo visivo, 31.5 cm, spessore
slide 1.23 mm) I primi 5 volumi delle immagini EPI sono stati scartati a
causa dell’instabilità della magnetizzazione, inoltre abbiamo ottenuto 120
volumi per l’analisi Epi.
Gli stimoli erano proiettati su uno schermo posto a 50 cm dalla testa dei
partecipanti. I partecipanti guardavano lo schermo attraverso uno
specchio fissato sulla testa.
La processazione delle immagini era ottenuta attraverso un software di
mappaggio parametrico (SPM2, Wellcome departmet of imaging
neuroscience, London UK). Le immagini EPI era reallineate e coregistrate
con le immagini MR T1 pesate dei partecipanti. Quindi, le immagini T1
erano trasformate nello spazio anatomico di un modello cerebrale in cui
lo spazio era basato sullo spazio MNI (Montreal Neurologic Institue). I
parametri per la trasformazione erano applicati alle immagini EPI
coregistrate. Le immagini normalizzate erano arrotondate tramite un
kernel a 8 mm FWHM. Un primo livello definito di analisi era calcolato
utilizzando un modello lineare attraverso la risposta emodinica
considerata come un vagone di cui la lunghezza ricopriva i 5 successivi
video del medesimo tipo.
Per testare le ipotesi degli effetti regione-specifici secondo le condizioni
dettate dai compiti MNS, le stime erano comparate da medie di
contrasto lineare per ogni periodo (il periodo di movimento manuale
oggetto-correlato paragonato al periodo di movimento del braccio
meccanico). I risultanti gruppi di valori voxel per ogni contrasto
costituivano una mappa statistico-parametrica del t statistico SPM SPM (t).
La localizzazione anatomica era presentata come coordinate MNI, e per
controllare l’area di Broadmann, sono state usate le coordinate Talairach
(1988). I contrasti di primo livello erano introdotti in un’analisi randomizzata
di secondo livello (Friston et al., 1999) per permettere gli interventi della
popolazione.
I principali effetti nel guardare i video sono stati calcolati separatamente
usando test a campione singolo separatamente per il gruppo ALEX ed il
gruppo non ALEX, ed una analisi successiva di entrambi i test a campione
singolo sono stati condotti per mostrare le aree di sovrapposizione relative
all’attivazione all’interno dei 2 gruppi. Le analisi sono state condotte per
ciascuno dei contrasti che potevano formare una mappa statistico
parametrica attraverso il t statistico, in seguito poi trasformati nell’unità di
distribuzione normale (SPM Z). Un livello di voxel e di cluster p<0.05
corretto per paragoni multipli (frequenza di falsa scoperta; t=2.9 per il
gruppo non ALEX, 2.76 per il gruppo ALEX, e 2.77 per l’analisi
comparativa) è stato usato per identificare le regioni MNS correlate
paragonate all’ipotesi nulla.
I test a 2 campioni sono stati usati per paragonare la differenza
nell’attività neuronale correlata all’MNS tra il gruppo ALEX ed il gruppo
non ALEX. L’altezza ed i limiti sono stati impostati a p<0.05 corretti per
errore famiglia. Per le aree maggiormente correlate con l’ipotesi MNS
(dorsale bilaterale/corteccia motoria preventrale e corteccia parietale
supero/inferiore come le aree correlate al nucleo MNS, identificate in
numerosi studi (ed. Buccino t al., 2004; Iacoboni e Dapretto (2006);
Rizzolati e Craighero (2004)) ed il giro temporale medio-superiore
considerato come area addizionale (Gazzola et al., 2007; Iacoboni e
Dapretto, 2006; Rizzolati et al., 1996b; Tettamanti et al., 2005), abbiamo
applicato un’analisi a regione di interesse (ROI). Per esplorare le differenze
di gruppo in queste regioni MNS correlate, abbiamo usato una lenient
height e degli extent thresholds (t= 1.70 e k= 10 rispettivamente) tra le
regioni attivate nelle analisi comparative per ridurre il rischio di falsi
Gli effetti guardando i
video…
Religione: religiosità e
spiritualità
PAGINA 40
NEWSLETTER
negativi. Se le regioni che mostravano differenze significative venivano
identificate in regioni già trovate in studi presenti o passasti, eseguivamo
analisi ROI aggiuntive, che consistevano in 20 voxel centrati su ogni
coordinata di picco trovate nel gruppo di paragone. I valori di contrasto
medi individuali (compito meno controllo) sono stati calcolati per ogni
ROI attraverso il software Marsbar. Questi valori di contrasto medi erano
valutati attraverso t-test (p<0.05). Da queste analisi ROI, abbaimo
confermato la presenza di regioni con significativi effetti di gruppo per le
attivazioni MNS.
Per chiarire più avanti le caratteristiche delle regioni che dimostravano
differenze di gruppo per le attività MNS correlate, i coefficienti di
correlazione tra questi valori di contrasto ROI mediati e i punteggi alle
scale psicologiche sono stati calcolati per investigare le caratteristiche
delle regioni che dimostravano differenze tra i gruppi. Inoltre, abbiamo
testato l’omogeneità dei gruppi di variabili covariata-dipendenti, in cui
l’attività neuronale per ogni ROI era una variabile dipendente, la
presenza o meno di ALEX era considerata un livello categoriale, ed ogni
punteggio psicologico una coverianza per vedere se ci fosse
un’interazione tra ogni misura psicologica ed i livelli categoriali ALEX.
Abbiamo
anche
confermato
il
significato
delle
correlazioni
separatamente su ogni livello categoriale.
RISULTATI
ANALISI AD UN CAMPIONE E ANALISI DI PARAGONE
I cambiamenti emodinamici significativi in risposta all’osservazione dei
compiti di movimento manuale contro il gruppo di controllo (braccio
meccanico) così come le analisi di paragone/congiunzione per ogni
gruppi. Le regioni MNS correlate e le loro cordinate rappresentative per le
analisi di paragone. Un simile pattern di attività è stato riscontrato in ogni
gruppo e nelle analisi di paragone. Cambiamenti significativi erano
identificati bilateralmente nel giro frontale supero/mediale (BA 6/8), giro
frontale inferiore (BA 9/45), superiore (BA7) e parietale inferiore (BA 40/5),
giro medio temporo-occipitale e giro fusiforme (BA 37/18). Aree di
attivazione addizionli sono inoltre state identificate nel cervetto, uncino
sinistro (BA 38) e cuneo (BA 19).
ANALISI DI COMPARAZIONE TRA GRUPPI
Abbiamo paragonato il gruppo ALEX con il gruppo non ALEX,
esaminando l’attività neuronale in risposta al compito MNS (tavole 3, fig.
2) Inizialmente, non abbiamo identificato differenze tra i gruppi usando
una soglia relativamente stretta (p<0.05, corretto per errore famiglia senza
un’ipotesi precedente). In ogni caso, quando venivano impostati
un’altezza ed un limite più larghi (t=1.70 e K=10) erano determinati per le
regioni basate su un’ipotesi precedente tra le aree attivate identificate
nell’analisi di congiunzione, un’attività più importante è stata notata nel
gruppo ALEX paragonata al gruppo non ALEX nei lobi parietali superiori
bilaterali (BA7/5/3), lobo parietale inferiore sinistro (BA40), giro frontale
superiore bilaterale (BA6), e regioni medio temporali ed occipitali visione
correlate (BA 37/22/19). Tra le aree MNS correlate, non c’erano aree in
cui il gruppo non ALEX mostrava una più grande attivazione rispetto al
gruppo ALEX (tavola 3 e figura 2).
In seguito abbiamo centrato i sette ROI sulle cordinate identificate nello
studio sul gruppo di controllo (cordinate in grassetto in tavola 3). I loci di
questi ROI sono stati imputati come aree MNS correlate nell’uomo
(Buccino et al., 2001, 2004b; Decety et al., 1994, 2002; Gazzola et al., 2007;
Graffo net al., 1996; Grezes et al., 1998, 2001, 2003; Iacoboni e Dapretto,
2006; Iacoboni et al., 1999; Koski et al., 2002, 2003; Manthey et al., 2003;
Nishitani e Hari, 2000, 2002; Perani et al., 2001; Rizzolati et al., 1996b;
Tettamani et al., 2005). Tutte le 7 analisi hanno dimostrato che l’intensità
media dell’attività neurale in ogni ROI in risposta al compito MNS era
significativamente incrementata nel gruppo ALEX se comparata con il
Analisi di paragone:
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gruppo non-ALEX nella corteccia premotoria superiore e nella corteccia
parietale superiore-media-inferiore (Fig. 3 p<0.05, corretta ROI).
ANALISI DI CORRELAZIONE
I coefficienti di correlazione calcolati tra l’attivazione emodinamica per
ciascun ROI e i punteggi alla scale psicologiche sono mostrati in tavola IV
per i ROI MNS correlati identificati nella comparazione tra gruppi.
L’attivazione bilaterale nei lobi parietali superiore-medio-inferiore era
negativamente correlata con le scale valutanti il coping allo stress a
livello cognitivo (“cognitivo”, ”problem solving”, “di confronto”, “ricerca di
supporto sociale”, “auto controllo” e “apprezzamento positivo”) ed i
fattori NEO-FFI di “estroversione”, “apertura alle esperienze” e
“coscienziosità”. I lobi parietali sinistro medio-inferiore erano
positivamente correlati con il fattore NEO-FFI di “nevroticismo”. L’area
premotoria superiore sinistra era negativamente correlata con la scala IRI
della ricerca di prospettive (Fig. 4). La regione temporale destra mediale
non ha mostrato alcuna correlazione con le scale proposte. Inoltre,
abbiamo ricercato una correlazione tra il gruppo ALEX e ciascun fattore
psicologico (covarianza) per l’attività emodinamica in ciascun ROI come
variabile dipendente. Abbiamo riscontrato un’interazione tra il gruppo
ALEX e molti fattori psicologici nei ROI della regione parietale media (Neonevroticismo; F=5.01, P=0.035), la regione parietale sinistra medio-inferiore
(NEO-nevroticismo; F=9.89, P=0.004, apprezzamento SCI-positivo; F=4.55,
P=0.035) e regione media temporale (Sci- emotivo; F=6.31, P=0.019,
accettazione della responsabilità; F=8.83, P=0.007, distanza; F=8.95,
P=0.006, auto controllo; F=5.98, P=0.022). Per confermare i significati di
correlazione in ciascun livello categoriale, abbiamo calcolato i
coefficienti di correlazione tra il gruppo ALEX e quello non ALEX
separatamente attraverso le coppie di fattori psicologici e ROI che
mostravano una interazione significativa con la categorizzazione ALEX
descritta in precedenza. (fig. 5). Inoltre, un cambiamento emodinamico
era positivamente correlato con il nevroticismo-NEO e negativamente
(ma non in modo significativo) con i fattori SCI nel gruppo ALEX. Nel
gruppo non ALEX, le attività neurali nell’area medio-temporale erano
positivamente correlate con i fattori SCI (emotivo, accettazione delle
responsabilità e self control).
Per quanto riguarda le scale ALEX correlate, abbiamo condotto analisi di
correlazione separatamente per il gruppo ALEX e quello non ALEX. Il
fattore TAS-20 ed i punteggi totali non mostravano una correlazione
significativa con l’attività di ciascun ROI. I punteggi SIBQ hanno mostrato
una correlazione positiva con l’attività neuronale nel ROI localizzato nella
corteccia destra parietale superiore (Spearman’s rho=0.5, P=0.048; fig. 6)
nel gruppo ALEX, ma non nel gruppo non ALEX (Spearman’s rho = -0.14, P
= 0.65).
DISCUSSIONE
Lo studio ha esaminato le differenze nella risposta neuronale durante
l’osservazione passiva dei movimenti manuali finalizzati oggetto-correlati
(compiti MNS) tra gli individui con e senza ALEX.
Innanzitutto, le analisi di congiunzione tese ad esaminare le analisi a
campione singolo da ciascun gruppo hanno confermato un’aumentata
risposta BOLD nella corteccia premotoria e parietale durante
l’osservazione dei compiti MNS. Questo risultato è confrontabile con
quanto riportato da Buccino et al. (2001; 2004°) i quali segnalavano
come, allo stesso modo dell’effettuare azioni in un contesto reale,
l’osservazione dell’azione porti all’attivazione selettiva dei circuiti
frontoparietali organizzati somatotopicamente.
I paragoni tra i gruppi hanno dimostrato che il gruppo ALEX, rispetto al
gruppo non ALEX, mostrava una maggiore attivazione nelle aree parietali
premotorie. Un recente studio di neuroimaging in ALEX mostrava come i
partecipanti con ALEX attivassero un numero di parti della corteccia
motoria e sensitiva (es. regioni “del corpo”) superiore rispetto al controllo
in risposta a video clip con contenuto emozionale, incluso il giro
precentrale sinistro (BA4), il lobo temporale subgirale, il lobo parietale
Lo studio ha esaminato
le differenze nella
risposta neuronale
durante l’osservazione
passiva dei movimenti
manuali finalizzati
oggetto-correlati
(compiti MNS) tra gli
individui con e senza
ALEX
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NEWSLETTER
destro (BA7), ed il giro frontale mediale/superiore (BA6), cosa che
suggerisce un’iperattivazione delle componenti sensomotorie (Karlsson et
al., 2008). Questo studio è comparabile con le nostre scoperte in termini di
iperattivazione del sistema neuro-motorio negli individui ALEX.
Inoltre, l’attivazione neuronale nella corteccia premotoria sinistra era
negativamente correlato con i punteggi che determinano l’abilità di
impostare progetti. In aggiunta, l’attivazione nella regione destra
parietale superiore nel gruppo ALEX era positivamente correlata con la
severità di ALEX come misurato nell’intervista strutturata.
Dato importante è che un recente studio di MRI funzionale (Moriguchi et
al., 2006) ha dimostrato che gli individui ALEX avevano una performance
inferiore nei compiti di teoria della mente (ToM) e mostravano una ridotta
nell’abilità “perspective taking”. Una minore attività neuronale è stata
riscontrata nella corteccia destra mediale prefrontale durante i compiti
ToM. Gli Autori hanno proposto che la discriminazione sé-altro così come
l’autoconsapevolezza può essere alterata nell’ALEX. Considerando che
l’MNS ci permette di codificare le azioni altrui automaticamente
attraverso un meccanismo neuronale di simulazione, ciò è essenzialmente
opposto alla differenziazione sé-altro. Una spiegazione per questi risultati
dimostra che un incremento nell’attività MNS nel gruppo ALEX è che
questi individui hanno diminuite abilità di discriminare il sé dagli altri e sono
più inclini a simulare le azioni degli altri sovrapponendole alle proprie.
Questa spiegazione è in linea con la dimostrazione che gli individui con
ALEX hanno una minore abilità perspective-taking e maggiori punteggi di
stress auto-centrato (Guttman e La porte, 2002; Moriguchi et al., 2006).
Un dato interessante è che un recente studio di Gazzola et al. (2006) ha
segnalato l’area sinistra premotoria, l’area di Broca, e le aree SI/SII come
aree di risposta sia durante l’esecuzione motoria sia quando gli individui
ascoltavano i suoni delle azioni effettuate dallo stesso agente, questo in
dimostrazione di un sistema acustico a specchio nell’organismo umano.
Questo studio ha anche dimostrato che i partecipanti con un alto
perspective-taking mostravano una maggiore attivazione in questo
sistema acustico a specchio. Ciononostante questo dato appare
opposto al risultato di questo studio, le condizioni dei due studi erano
diverse; uno incentrato sulla vista, l’altro sull’udito. Questa discrepanza
nella relazione tra punteggi di attivazione e perspective-taking nei due
studi suggerisce che l’ MNS visuo-motorio osservato nello studio può
operare ad un più basso livello di abilità cognitiva in perspective-taking e
distinzione sè-altro, mentre l’MNS uditivo potrebbe includere più processi
meta-rappresentativi rispetto al classico MNS moto correlato. Questa
nozione è supportata dai nostri risultati tesi a dimostrare la correlazione
negativa tra attivazione nella corteccia parietale e vari aspetti cognitivi di
coping misurati attraverso SCI (cognitivi, problem solving, confrontativi,
ricerca di supporto sociale, auto controllo ed apprezzamento positivo)
così come tratti di personalità misurati attraverso NEO (extraversione,
apertura all’esperienza e coscienziosità). In modo interessante, i punteggi
positivi SCI erano negativamente correlati con l’attività emodinamica
nella corteccia parietale in modo particolare nel gruppo ALEX. Inoltre, il
nevroticismo era positivamente correlato con l’attività parietale medioinferiore e queste correlazioni erano maggiori nel gruppo ALEX
confrontato con il gruppo non ALEX. Scoperte precedenti avevano
notato come le persone con un alto punteggio nel nevroticismo sono
auto coscienti in modo intensivo ed hanno una minore regolazione
emotiva, motivazione ed abilità interpersonali; possono avere problemi
anche nel controllo dell’impulsività e nel rimandare le gratificazioni
(Goleman, 1995). Un alto nevroticismo è stato segnalato come
positivamente correlato con la reazione che un individuo può avere
nell’affrontare un pericolo (sensibilità nell’affrontare pericoli; FTS) così
come la scala IRI dello stress personale, che ha una significativa relazione
inversa con il perspective-taking (Davis, 1983) ed è anche positivamente
correlata con FTS (White et al., 2004). Quindi, l’attività MNS correlata nella
corteccia parietale può essere associata con la tendenza ad essere
Un dato interessante è
che un recente studio
di Gazzola et al. (2006)
ha segnalato l’area
sinistra premotoria,
l’area di Broca, e le
aree SI/SII come aree di
risposta sia durante
l’esecuzione motoria sia
quando gli individui
ascoltavano i suoni
delle azioni effettuate
dallo stesso agente,
questo in dimostrazione
di un sistema acustico a
specchio
nell’organismo umano.
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facilmente influenzati dalle emozioni negative altrui. Saarela et al. (2007)
hanno segnalato che il giro frontale inferiore (IFG) che ha un importante
ruolo nel sistema motorio a specchio alla base della comprensione ed
imitazione delle azioni, era attivato in risposta all’osservazione delle
espressioni facciali in seguito a dolore provocato. Inoltre, l’attivazione
della regione IFG era positivamente correlata con la misura IRI di stress
personale, ma non con una scala di perspective-taking. Queste scoperte
sono in linea con il presupposto della varietà in MNS (Hamilton et al.,
2007), con risultati più associati con la tendenza allo stress personale o al
contagio emotivo più che al perspective-taking. D’altra parte, studi
recenti si sono incentrati sulla plasticità in MNS. Ad esempio i pianisti
esperti non hanno mostrato un’attivazione più forte rispetto ai non
musicisti nelle aree MNS correlate inclusa l’area premotoria in risposta al
suono/vista del suono di un piano (Bangert et al., 2006), ed è stato
dimostrato che l’MNS era modulata dallo stato motivazionale
dell’osservatore come la rabbia (Cheng et al., 2007). Questi studi,
considerati insieme al risultato di questa ricerca, indicano che MNS non è
un’architettura rigida, piuttosto può essere modulata dall’imparare.
Lo spettro delle malattie autistiche inclusa AS è considerato fare parte
delle patologie psichiatriche con un disturbo più pervasivo sia in MNS che
in ToM rispetto alla popolazione generale ALEX; l’autismo sembra
includere un impairment ad un livello più biologico. In ogni caso i concetti
di AS ed ALEX si sovrappongono (Berthoz e Hill, 2005; Fitzgerald e
Bellgrove, 2006; Fitzgerald e Molyenaux, 2004). Perciò gli studi che
esaminano l’MNS tra le persone autistiche dovrebbero fornire indizi per la
comprensione di MNS in ALEX. Da una prospettiva di sviluppo l’MNS è
considerata importante per la lettura di obbiettivi ed intenzioni degli altri
(Sommerville e Decety, 2006). E’ inoltre implicata nello sviluppo del
linguggio e considerata una primitiva versione del modello cognitivo di
lettura della mente ToM (Frith e Frith, 2006). Comunque, Hamilton et al.
( 2007) recentemente hanno segnalato come i bambini con malattie
dello spettro autistico, nonostante i loro deficit nei compiti ToM, non
mostravano un impairment nel compito di imitazione e persino in quella
che era descrittta come una performance “supriore” attraverso il
compito di riconoscimento dei gesti, anche se questi compiti sono tutti
correlati con il classico sistema motorio MNS negli adulti. Inoltre, le
persone autistiche mostravano una minore attività neuronale dei controlli
nell’osservazione delle espressioni facciali (Dapretto et al., 2006) e
movimenti manuali senza scopo (Williams et al., 2006) così come una
minore attività neuronale ai compiti ToM (Brambilla et al., 2004; Castelli et
al., 2002; Frith, 2003; Happe et al., 1996; Nieminem Von Wedt et al., 2003).
Inoltre, Hamilton (2007) ha proposto che il classico MNS comprendesse
movimenti manuali oggetto-diretti intatti nelle persone autistiche, benchè
le altre componenti MNS (relative al riconosimento emotivo) fossero
scemate. I risultati negli studi relativi alle persone autistiche sono
paragonabili agli studi nelle persone ALEX. In particolare nelle persone
ALEX, le ricerche si sono incentrate alla ridotta attività neuronale nel IFG
destro (BA 44/45) e nel lobo parietale inferiore (BA40) nell’osservazione
dell’espressioni facciali (Kano et al., 2003) così come un’attività ridotta nel
MPFC destro in risposta ad un compito ToM (Moriguchi et al., 2006). In
questo studio, le azioni manuali oggetto correlate e l’attivazione MNS in
ALEX era intatta e più forte nel gruppo ALEX rispetto al gruppo non ALEX.
Perciò il risultato di questo studio pare indicare che le persone ALEX, così
come gli autistici, sono bloccate ad un più basso livello di comprensione
degli altri, sulla base di una funzione MNS primitiva. Inoltre, le funzione
cognitive ToM ad un livello più alto non sembrano originare nell’MNS
motorio (Hamiltone al., 2007). Sono necessari più studi per chiarie la
polisemia del MNS e la relazione funzionale tra MNS e ToM.
In conclusione il nostro studio ha dimostrato che l’ALEX è correlata ad una
maggiore attività nelle aree MNS; precisamente nella corteccia
premotoria e parietale associate a minore empatia cognitiva ed abilità di
perspective-taking. Il classico MNS motorio che risponde alle interazioni
mano-oggetto è intatto o più forte nell’ALEX, mentre gli altri processi MNS
l’ALEX è correlata ad
una maggiore attività
nelle aree MNS;
precisamente nella
corteccia premotoria e
parietale associate a
minore empatia
cognitiva ed abilità di
perspective-taking.
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di riconoscimento emotivo possono essere alterati come nell’autismo. I
nostri risultati inoltre suggeriscono che gli individui con ALEX possono
bloccarsi ad un livello di mentalizzazione primitivo, e che ALEX è correlato
con uno stato immaturo nell’interpretazione degli altri senza una
sufficiente differenziazione sè-altro. Ciò può portare gli individui con ALEX
ad essere influenzati dagli altri, portando a deficit nella regolazione
emotiva.
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NEWSLETTER
NEWSLETTER
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Johanna Shapiro
Walking a mile in their patients'
shoes: empathy and othering in
medical students' education
Philosophy, Ethics, and Humanities in Medicine 2008,
3:10
Abstract
One of the major tasks of medical educators is to help maintain and
increase trainee empathy for patients. Yet research suggests that during
the course of medical training, empathy in medical students and residents
decreases. Various exercises and more comprehensive paradigms have
been introduced to promote empathy and other humanistic values, but
with inadequate success. This paper argues that the potential for medical
education to promote empathy is not easy for two reasons: a) Medical
students and residents have complex and mostly unresolved emotional
responses to the universal human vulnerability to illness, disability, decay,
and ultimately death that they must confront in the process of rendering
patient care b) Modernist assumptions about the capacity to protect,
control, and restore run deep in institutional cultures of mainstream
biomedicine and can create barriers to empathic relationships. In the
absence of appropriate discourses about how to emotionally manage
distressing aspects of the human condition, it is likely that trainees will
resort to coping mechanisms that result in distance and detachment. This
paper suggests the need for an epistemological paradigm that helps
trainees develop a tolerance for imperfection in self and others; and
acceptance of shared emotional vulnerability and suffering while
simultaneously honoring the existence of difference. Reducing the sense
of anxiety and threat that are now reinforced by the dominant medical
discourse in the presence of illness will enable trainees to learn to
emotionally contain the suffering of their patients and themselves, thus
providing a psychologically sound foundation for the development of
true empathy
Background
Quando una persona è malata, incapace, sofferente, ferita o morente, la
medicina si attende un impulso altruistico da parte del medico. In altre
parole, il medico deve avvicinarsi al paziente, mettendo gli interessi
dell’altro al di sopra dei propri, anche facendo sacrifici personali. Alcuni
studiosi hanno provato a determinare quale molteplicità di fattori spinga
alcuni individui a compiere azioni altruistiche (1). Benchè la confluenza di
valori, personalità e situazione sia complessa, alcuni ricercatori hanno
proposto un nesso tra altruismo ed empatia (2), nel quale l’empatia è
motivatore e forza dell’essere altruisti. Stando a questa teoria,
l’ingrediente chiave dell’aiuto è l’empatia (3). Senza l’empatia, la teoria
Alcuni ricercatori hanno
proposto un nesso tra
altruismo ed empatia,
nel quale l’empatia è
motivatore e forza
dell’essere altruisti.
Stando a questa teoria,
l’ingrediente chiave
dell’aiuto è l’empatia
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dello scambio sociale, che afferma che il beneficio deve sempre
superare il costo in ogni azione, prende il sopravvento (4).
In tal senso, poi, l’empatia nei confronti del paziente sta alla base di uno
degli obiettivi chiave professionali dell’educazione del medico e può
essere considerato come una sorta di segnale del cambiamento della
natura fondamentale della pratica medica. Sebbene Landau (5) si sia
riferito sprezzantemente all’empatia come alla “minore” tra le virtù
professionali della medicina, in realtà, se si considera come cuore di una
buona pratica medica la capacità di ridurre l’inevitabile distanza tra
medico e paziente (6), allora l’empatia può diventare “la più
importante”. La “American Association of Medical Colleges” ha
identificato lo sviluppo e il miglioramento dell’empatia negli studenti di
medicina come un traguardo chiave (7) e l’ “Accreditation Council for
Graduate Medical Education” inserisce l’empatia come componente di
professionalità (8). Il valore dell’empatia è citato tra le linee guida
contrattuali di addestramento (9-12) ed è allo stesso modo menzionato
dai tirocinanti (13).
Benchè la riduzione dell’empatia alle sue componenti comportamentali
(14,15) abbia ricevuto critiche intense (16,19), poiché è più facilmente
osservabile e traducibile in termini di pratica clinica giornaliera rispetto
alla virtù dell’altruismo, ha raccolto un’enfasi molto maggiore nell’ambito
dell’istruzione medica. I programmi di tirocinio utilizzano vari esercizi e
attività di apprendimento, come essere ammessi in un ospedale (20,21),
accompagnare i pazienti a visite mediche (22), partecipare a workshop
sul miglioramento della comunicazione empatica (23), fare visite
domiciliari (24), obbligarsi a provvedimenti eccezionali (25), scrivere
racconti in prima persona sui pazienti (26) o su morti (27) e leggere testi
correlati alla medicina e poesie come modi di aiutare gli allievi medici ad
acquisire empatia per le esperienze delle persone affette da malattie o
disabilità (28). Su una scala più ampia, contributi critici all’arte della
medicina sono stati apportati attraverso modelli teoretici e di
insegnamento come il modello biopsicosociale (29), il modello centrato
sul paziente (30) ed il modello centrato sulla relazione (31), ognuno dei
quali ha promosso l’empatia come un obiettivo chiave, sia tra gli
apprendisti sia tra gli specialisti. La medicina narrativa (6) ha fornito
recentemente un metodo di interazione paziente-medico che sviluppa
esperienze emotive e cognitive di competenza narrativa, utilizzando la
comprensione e la valutazione di una storia come via per sensibilizzare il
medico nei confronti dell’empatia e della compassione.
Inoltre, purtroppo, evidenze riscontrabili indicano che l’empatia tende a
diminuire durante gli anni di studi in medicina; questo ancora di più
avviene durante il tirocinio pratico (32, 34); per risultati contrari, si veda
(35). Man mano che la loro educazione progredisce, gli studenti
diventano cinici e disillusi (36-38). Marcus (39) nota come gli studenti del
primo anno instaurino una relazione più profonda con i pazienti. Al terzo
anno di formazione clinica, invece, essi tendono a contrapporsi ai
pazienti e, al contrario, ad identificarsi con i medici che hanno idealizzato
come figure sane, invulnerabili, autoritarie, abili ed esperte e che
possiedono oltre al potere una misteriosa conoscenza ed esperienza (40,
41).
Cosa non ha funzionato? Noi abbiamo brillantemente delineato modelli
di pratica medica che mettono l’empatia, assieme ad altre qualità
umane cruciali, come punto focale della loro dottrina. Abbiamo specifici
esercizi di comportamento basati sulla pratica che sono strutturati per
promuovere l’empatia. Nonostante ciò, non abbiamo osservato i grandi
cambiamenti nello sviluppo dell’empatia che ci saremmo aspettati (42,
43). In parte, sarebbe appropriato e desiderabile che i tirocinanti si
identificassero con i medici attraverso i processi di socializzazione ai quali
sono sottoposti. E’ anche vero che gli studenti devono porre un freno ad
un’identificazione emotiva eccessiva con il paziente, così che possano
ottenere un’empatia clinica che gli permetta di comprendere sia la
prospettiva del paziente, sia un contesto complementare più ampio, che
In tal senso, poi,
l’empatia nei confronti
del paziente sta alla
base di uno degli
obiettivi chiave
professionali
dell’educazione del
medico e può essere
considerato come una
sorta di segnale del
cambiamento della
natura fondamentale
della pratica medica
“Accreditation Council
for Graduate Medical
Education” inserisce
l’empatia come
componente di
professionalità .
L’educazione dei
medici sembra essere
ancora
sorprendentemente
inefficace nell’aiutare
gli studenti ad
immedesimarsi con i
pazienti, come
sarebbero felici di
riuscire a fare.
NEWSLETTER
PAGINA 51
possa essere valutato dal paziente nei termini della propria situazione
medica (44-46). Tuttavia, l’educazione dei medici sembra essere ancora
sorprendentemente inefficace nell’aiutare gli studenti ad immedesimarsi
con i pazienti, come sarebbero felici di riuscire a fare.
Le osservazioni contenute in questo articolo suggeriscono come la vera
empatia possa essere più complicata da coltivare nei confronti di
pazienti che inizialmente appaiono meno sensibili allo sviluppo di
capacità comportamentali o a rimproveri retorici. Dobbiamo andare più
a fondo per comprendere quali impulsi ed i desideri degli allievi
interferiscano con l’espressione dell’empatia verso i pazienti,
specialmente
quando
sono
disponibili
diversi
modelli
che
apparentemente la incoraggerebbero. Suppongo che alcuni modi di
pensare radicati circa il significato simbolico della malattia e della salute,
e quindi su cosa unisce e cosa separa la malattia dalla non-malattia,
creino barriere che interferiscono significativamente con lo sviluppo e
l’espressione dell’empatia. Inoltre sostengo che per aumentare
veramente l’empatia degli studenti, la formazione dei medici richiederà
percorsi di riflessione ed insegnamento complementari che esplorino
creativamente e lancino una sfida a quella nebulosa terra di confine tra
paziente e medico che spesso fa paura (47).
Contaminazione e simili in relazione alla salute e alla malattia
L’impulso ad “avvicinarsi”, ad assumersi e a cercare un’unione con la
sofferenza dell’altro, malgrado abbia un ruolo centrale nella pratica
medica, è lontano dall’essere automatico nella natura umana. Infatti,
abbiamo un uguale, se non più forte, ed opposto impulso a tirarci
indietro, a distaccarci e separarci dalla contaminazione della malattia
(48-50). Questo impulso potrebbe essere correlato alla paura della propria
sofferenza e della morte (51), e probabilmente contiene un elemento
evolutivamente importante di autoconservazione. Se non ci fossimo
allontanati dalle malattie contagiose o dalle minacce fisiche avremmo
probabilmente contribuito all’estinzione della nostra specie.
Componenti cultural/filosofiche
Questa reazione di ritiro ha, inoltre, una forte componente culturale e
filosofica. Tradizioni filosofiche orientali, come il Buddismo e il Taoismo
(52,53), pongono enfasi su una sostanziale impossibilità di conoscere
l’universo, sulla temporaneità di tutte le cose, incluso sé stessi, sulla
ricorrenza ciclica della vita e della morte, considerando di conseguenza
la morte come una parte della vita, e sull’estrema armonia o unione tra
sé stessi e gli altri. Queste antiche dottrine, pur non eliminando
l’esperienza della sofferenza e della paura della morte, mitigano la loro
intensità e tengono in equilibrio la resistenza alla morte con l’accettazione
e la sopportazione.
In contrasto con questa ideologia, nel mondo occidentale l’enfasi è
posta sulla conoscenza, con il pensiero razionale e l’intelletto considerati
in grado di penetrare e risolvere i misteri del mondo (54). Nell’ambito della
malattia, ciò significa che possiamo vincere e superare la malattia e la
disabilità con l’applicazione persistente del metodo logico-scientifico. Il
dualismo Cartesiano che caratterizza la filosofia occidentale, definisce la
malattia come l’opposto della salute e la morte come l’opposto della
vita. Siccome la salute e la vita sono molto desiderabili, la malattia e la
morte diventano altamente indesiderabili, eventi da temere, da evitare o
addirittura da detestare.
Il
pensiero
cultural/filosofico
occidentale
enfatizza
soprattutto
l’importanza dell’individuo, specialmente nel suo essere distinto dall’altro,
ma come studiosi di disabilità (55-57) e del movimento femminista (58-60)
hanno sottolineato, nella maggioranza dei casi l’individuo stimabile è
colui che è puro, pulito, indipendente e sano. D’altra parte, a livello
individuale, ognuno desidera fortemente un corpo del tutto sano e
immune al deperimento e alla corruzione (61,62). La decadenza,
l’infezione e la malattia sono viste come potenzialmente travolgenti e
rappresentano un ostacolo fondamentale a questa idealizzazione di sé
per aumentare
veramente l’empatia
degli studenti, la
formazione dei medici
richiederà percorsi di
riflessione ed
insegnamento
complementari che
esplorino creativamente
e lancino una sfida a
quella nebulosa terra di
confine tra paziente e
medico che spesso fa
paura .
Contaminazione e simili
in relazione alla salute e
alla malattia.
Nel mondo occidentale
l’enfasi è posta sulla
conoscenza, con il
pensiero razionale e
l’intelletto considerati in
grado di penetrare e
risolvere
Il pensiero
i misteri del
cultural/filosofico
mondo.
occidentale enfatizza
soprattutto l’importanza
dell’individuo,
specialmente nel suo
essere distinto dall’altro,
ma come studiosi di
disabilità e del
movimento femminista
hanno sottolineato,
nella maggioranza dei
casi l’individuo stimabile
è colui che è puro,
pulito, indipendente e
sano
PAGINA 52
NEWSLETTER
stessi (49). In questo modo, poiché desiderata idealmente, la salute corre
il rischio di rappresentare un ideale morale, e di entrare a far parte degli
attributi della bontà.
A livello societario, il desiderio di una cittadinanza produttiva e operosa
privilegia la salute del corpo (63). La malattia non sanabile in poco tempo
è percepita come sregolata, fuori controllo, imprevedibile, fuori dai limiti
consentiti e quindi un fenomeno sociale preoccupante che minaccia la
stabilità collettiva (48,49,62). In quest’ottica, il ruolo della medicina è
quello di contenere e gestire il caos che la malattia potrebbe
potenzialmente scatenare distruggendo il tessuto sociale.
Comunque, questo sé sano e produttivo, desiderato sia dalla società, sia
dall’individuo (64), non può mai essere veramente invulnerabile, ma
piuttosto si trova sotto un costante attacco. Malattia, alterazione,
disabilità sono pericolose proprio perché possono facilmente infiltrare e
contaminare il corpo prima puro e sano. All’interno di questa struttura,
diventa comprensibile come l’impulso all’altruismo, all’avvicinamento,
alla sofferenza dell’altro sia spesso schiacciato dalla tendenza al ritiro e
all’evitamento, opposta ma di ugual misura.
L’altro della persona malata
L’asserzione psico-strutturale dell’ Io/Altro diviso formulata da Lacan (65) e
altri teorici della psicoanalisi (66) e filosofi sociali (67) mette in luce la
tendenza dell’uomo a contrassegnare le differenze come più significative
rispetto alle caratteristiche comuni e a dedurre qualcosa di pericoloso e
minaccioso da questa differenza. Secondo questa teoria, tendiamo a
definire noi stessi non solo in termini di sé, ma in termini di altro (68); non
solo nei termini di chi siamo, ma anche in relazione a chi non siamo, o a
chi non ci permettiamo di essere. In termini Eriksoniani, l’”identità positiva”
non esiste senza l’”identità negativa” (69). Non siamo in grado di
riconoscerci in quanto puri, sani e buoni, a meno che non abbiamo
qualcuno che possiamo identificare come contaminato, malato e
“cattivo”. Al massimo l’altro può essere confuso con il sé, e la cosa più
urgente diventa la delineare un confine. La proiezione è una strategia di
auto-rassicurazione che “addomestica” le nostre paure di crollo e
dissoluzione. Una volta collocati stabilmente “la paura della nostra stessa
dissoluzione viene rimossa. Poi non siamo noi a vacillare sull’orlo del
collasso, ma piuttosto l’Altro”(70). Tutte le identità che sono minacciate
da un sé pulito e puro, e che per questo sono detestabili, diventano
“altro”.
Il dualismo sé stessi/altro non è mai privo di giudizio di valore, ma implica
relazioni del tipo superiore-inferiore o dominante-subordinato (71). Perciò,
in questo contesto, l’obiettivo sociale della medicina moderna,
all’opposto dell’originario obiettivo medico di curare le malattie, diventa
l’esatta demarcazione tra malattia e bene (45). Il concetto di limite
interviene per proteggere il sé desiderabile dal rischio di venire confuso o
inghiottito dall’altro minaccioso, delineando un sé fisso e categorico
(30,58,62). Permettere la permeabilità in ogni sua forma, inclusa
l’ammissione della vulnerabilità condivisa e della sofferenza, diventa una
minaccia poiché porta alla destabilizzazione del sé sano (57,68).
Il capro espiatorio
La forma estrema dell’altro è il capro espiatorio, o il modo in cui individui
e gruppi perseguitano la totalità e rifiutano le minacce o elementi impuri
di sé stessi (come la vulnerabilità nei confronti della malattia e della
morte) proiettandoli al di fuori negli altri (73). L’individuo e/o il gruppo
allontana e rigetta ciò di cui ha paura e ciò che pare minacciare la
propria integrità, in questo caso, nello specifico, la bontà ed il valore.
Come capro espiatorio, la persona non pura può venire bandita
simbolicamente, nettamente separata dal resto del gruppo. Nel caso del
malato, il ritorno nella comunità dei sani è permessa, dopo un
il ruolo della medicina è
quello di contenere e
gestire il caos che la
malattia potrebbe
potenzialmente
scatenare distruggendo
il tessuto sociale.
L’impulso all’altruismo,
all’avvicinamento, alla
sofferenza dell’altro sia
spesso schiacciato dalla
tendenza al ritiro e
all’evitamento, opposta
ma di ugual misura.
L’obiettivo sociale della
medicina moderna,
all’opposto
dell’originario obiettivo
medico di curare le
malattie, diventa
l’esatta
demarcazione
La forma
estrema
tra
malattia
bene
dell’altro è ilecapro
espiatorio, o il modo in
cui individui e gruppi
perseguitano la totalità
e rifiutano le minacce o
elementi impuri di sé
stessi (come la
vulnerabilità nei
confronti della malattia
e della morte)
proiettandoli al di fuori
negli altri
NEWSLETTER
PAGINA 53
temporaneo esilio, a chi si sottopone alle cure e guarisce; in caso
contrario permane una stigmatizzazione simbolica ed una separazione
dai sani per evitare un’eventuale contaminazione.
Vengono spesso designate come capri espiatori individui malati che sono
“colpevoli”per la loro malattia. Nel primo periodo di diffusione
dell’epidemia dell’AIDS, questo fenomeno era riscontrabile non solo nei
discorsi della popolazione generale, ma anche tra medici ed infermieri
(74). A tutt’oggi, in alcuni contesti di educazione medica, è tacitamente
accettato che il personale possa deridere pazienti obesi, o accusi alcune
categorie di abusatori di sostanze, alcolisti, o senzatetto per i loro
problemi di natura medica. Più in generale, ogni persona malata che non
può riprendersi, corre il rischio di essere definito deviante (55), ricondotto
ad un ruolo di paziente restrittivo, perdendo così molto del formale
rispetto e del senso dell’identità. Attraverso vari meccanismi di
allontanamento, il paziente-vittima viene definito come un estraneo, al
contrario di coloro che rimangono nella cerchia confinandosi (73). Il
malato funziona come l’altro stigmatizzato e come capro espiatorio (76)
e il suo ruolo sociale è quello di liberare simbolicamente il privilegiato,
figura idealizzata del sé sano, dalla stravaganza e dalla vulnerabilità della
personificazione.
Medicina moderna, salute e malattia
Fin qui, ho considerato fenomeni sociali supportati in parte da indiscutibili
presupposti cultural/filosofici e le reazioni psicologiche che essi tendono a
produrre. Ora mi concentrerò sulla professione medica ed esaminerò
entrambi i suoi tentativi di indirizzare e di abbattersi improvvisamente
sull’ambiente societario e culturale nel quale è situata. Prima di iniziare, è
necessaria una premessa.
Avendo lavorato come educatore in campo medico per trent’anni, so
per esperienza personale, ed è confermato dalla letteratura specialistica,
che la grande maggioranza degli studenti iniziano gli studi in medicina
motivati dall’idealismo e dal desiderio di aiutare gli altri. So anche che
l’intenzione consapevole della maggioranza degli educatori che sono
miei colleghi nella mia struttura e in altre parti della nazione, è quella di
formare laureati che siano empatici, altruisti e competenti.
Inoltre, sono consapevole che nonostante i “picchi” di cinismo e
disillusione del terzo anno e dopo ancora durante l’internato, molti medici
in formazione trovano il proprio modo di assumere un atteggiamento
empatico nei confronti dei loro pazienti. Non discuto né mi interrogo su
questo punto, e come paziente ne sono molto felice. Sostengo, invece,
che le strutture filosofiche e gli assunti della medicina non forniscano una
guida adeguata nel perseguimento di questa capacità; a causa di ciò gli
allievi sono spesso costretti ad incespicare attraverso una lotta libera per
trovare un mentore tra i diversi medici, i quali, a loro volta, hanno
casualmente scoperto il modo per avvicinarsi al paziente. La critica che
avanzerò in seguito viene proposta all’interno di un clima di rispetto,
affetto e stima per i medici impegnati in prima linea nella pratica clinica;
inoltre sono convinta che il sistema educativo possa fornire loro un
supporto molto migliore e indicazioni utili per impegnarsi in un cammino
verso l’empatia.
La moderna pratica medica basata sui presupposti del metodo
scientifico interpreta l’avvicinamento e l’evitamento, contraddittori istinti
umani nei confronti della malattia e della sofferenza, in un modo univoco.
L’obiettivo esplicito della medicina è sempre stato quello di preparare i
propri professionisti ad avvicinarsi ai pazienti, con l’intento di fornire
conoscenza ed assistenza. Nell’era moderna, però, l’“avvicinarsi” è
mediato dalla tecnologia: invece di osservare e visitare il paziente
toccandolo direttamente, i progressi scientifici prendono il posto del
rapporto di alleanza e fiducia che si ritrova invece in una vicinanza
personale. Capire è tradotto con i termini di diagnosi e prognosi e
l’assistenza si trasforma in trattamento ed intervento.
Il malato funziona come
l’altro stigmatizzato e
come capro espiatorio
e il suo ruolo sociale è
quello di liberare
simbolicamente il
privilegiato, figura
idealizzata del sé sano,
dalla stravaganza e
dalla vulnerabilità della
personificazione
Le strutture filosofiche e
gli assunti della
medicina non
forniscano una guida
adeguata nel
perseguimento della
capacità empatica; a
causa di ciò gli allievi
sono spesso costretti ad
incespicare attraverso
una lotta libera per
trovare un mentore tra i
diversi medici, i quali, a
loro volta, hanno
casualmente scoperto il
La moderna pratica
modo per avvicinarsi al
medica basata sui
paziente
presupposti del metodo
scientifico interpreta
l’avvicinamento e
l’evitamento,
contraddittori istinti
umani nei confronti
della malattia e della
sofferenza, in un modo
univoco
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E’ stato osservato (77) che questa scienza richiede un alto livello di
astrazione per promuovere con successo la teoria e la verifica della teoria
stessa. Questa astrazione, mentre si sviluppano nuove scoperte
scientifiche, suffraga una tendenza a pensare alla realtà da una
prospettiva esclusivamente astratta, sorvolando il fatto che, nel
frattempo, vengono tralasciati necessariamente altri aspetti che mal si
conciliano con la teoria scientifica. Questo “spirito di astrazione” produce
anche un involontario effetto: ciò che non è racchiuso nel paradigma
scientifico o che non derivi da esso, viene considerato secondario,
soggettivo ed inaffidabile. In campo medico, tali dimensioni “non
importanti” includono di solito tutte le esperienze soggettive dei pazienti e
le loro reazioni. In questo senso, la medicina moderna promuove una
sorta di altruismo scientifico (cf. 78 “professionismo affine”) che
incoraggia sì un approccio al paziente, ma come oggetto di interesse
piuttosto che come soggetto solidale e partecipe. La paura e la
vulnerabilità alla base del ritiro sono correlate ad un desiderio di
padronanza e controllo.
Con molto rispetto, il discorso moderno, modellando la pratica medica
dei giorni nostri, sfida il significato morale di malattia. Il discorso biomedico
attuale si focalizza sulla malattia concepita in termini di meccanismi
fisiopatologici, non come punizione divina, o come segno di debolezza
morale. Lavorando all’interno di questo sistema, Susan Sontag ha esposto
gli effetti dannosi delle metafore che attribuiscono una stigmatizzazione a
malattie come il cancro o l’AIDS (79,80). La medicina moderna,
riducendo la malattia alle sue basi scientifiche, rimuove apparentemente
ogni giudizio morale.
Ad ogni modo, il riduzionismo ed il positivismo oggettivo che sostengono
la medicina non sono moralmente neutrali. Gli obiettivi di risanamento,
restituzione, e ristabilimento che emergono riflettono l’aspetto culturale
occidentale della paura della contaminazione, dell’impurità e della
morte. La “armoniosa visione meccanicistica” che la scienza tenta di
imporre sulla sofferenza corre il rischio di ridurre il paziente ad una
malattia, ad un oggetto, ad una pratica, permettendo di aumentare il
controllo e la sicurezza ma, allo stesso tempo, diminuendo l’empatia.
Ovviamente, i termini infezione e contagio hanno un significato
biomedico; a questo proposito, il settore della salute pubblica ha rivestito
un ruolo fondamentale nello sviluppo del benessere nella popolazione,
curandosi di promuovere la disinfezione dell’acqua, il contenimento degli
sprechi, il lavaggio delle mani, l’uso degli antisettici e anche le necessarie
quarantene. Comunque, analizzando ancora questo moderno
paradigma, si può osservare che conclusioni che appaiono sagge e
vantaggiose da una prospettiva medico-scientifica, tendono ad
estendersi inconsapevolmente alla sfera sociale, con risultati turbanti.
La dicotomizzazione della salute dalla malattia (81) e il presupposto che
la malattia possa essere sradicata o curata, per esempio, hanno prodotto
svolte inestimabili in termini di alleviamento e miglioramento della salute
fisica. Questi assunti, allo stesso tempo, hanno però inavvertitamente
trasformato la medicina in una vasta impresa di protezione della salute
dalla malattia, con lo scopo di tranquillizzare i sani sul fatto che non si
ammaleranno e che, anche se sfortunatamente dovessero capitare nel
regno dei malati (79), avranno la garanzia di essere fermati e riportati alla
normalità.
La malattia si accetta più facilmente e spaventa meno se evolve in un
risarcimento ed in un ritorno alla normalità. Nella visione della malattia di
Parsons (63), ai lavoratori produttivi che si ammalano è concesso un
temporaneo sollevamento dagli obblighi societari, durante il quale
ritornare in buona salute, per poter così assumere nuovamente la
funzione produttiva (lavoro). Le malattie che non seguono questo corso
diventano frustranti e preoccupanti, poiché dimostrano che la guarigione
non sempre è possibile. A causa del numero sempre maggiore di malattie
croniche presente negli Stati Uniti (82), moltissime persone si ritrovano in
NEWSLETTER
la medicina moderna
promuove una sorta di
altruismo scientifico (cf.
78 “professionismo
affine”) che incoraggia
sì un approccio al
paziente, ma come
oggetto di interesse
piuttosto che come
soggetto solidale e
partecipe
La “armoniosa visione
meccanicistica” che la
scienza tenta di imporre
sulla sofferenza corre il
rischio di ridurre il
paziente ad una
malattia, ad un
oggetto, ad una
pratica, permettendo di
aumentare il controllo e
la sicurezza ma, allo
stesso tempo,
diminuendo l’empatia
La malattia si accetta
più facilmente e
spaventa meno se
evolve in un
risarcimento ed in un
ritorno alla normalità
NEWSLETTER
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questo stato liminale (83). Questi pazienti rischiano più di altri di subire
l’allontanamento e la separazione da parte dei propri medici curanti,
specialmente se si tratta di medici in formazione.
Il trasferimento degli assunti moderni nell’educazione in campo medico
Malgrado importanti riforme e revisioni del corso di studi, nel profondo la
medicina rimane affidata ad un modello educativo che è riluttante ad
abbandonare il paradigma modernista. Alla luce delle discussioni
precedenti, non sorprende che i pazienti possano evocare sentimenti di
rabbia, paura, disgusto ed orrore non solo negli individui non malati, ma
anche nei medici e negli allievi, sebbene queste reazioni solo raramente
siano riconosciute (84). Caratteristicamente, la struttura modernista spinge
i medici a mettersi al riparo da queste reazioni “non professionali”
rifugiandosi nell’obiettività scientifica. Un gran numero di progetti
educativi, rivolti alla formazione dei medici, si dedica a promuovere tra gli
allievi questo atteggiamento sicuro e limitato. Essi promuovono, infatti,
l’uso di un linguaggio spersonalizzato (85), un modo di pensare che
predilige il razionalismo scientifico ed una condotta professionale
distanziata (40), per permettere agli studenti di evitare di affrontare
problematiche emotive complesse proprie e/o del paziente, vissute come
pericolose e preoccupanti (86). Fondamentalmente, il modello
modernista di educazione medica assegna al medico un ruolo
caratterizzato da competenza ed eroismo, nel quale la paura e la
vulnerabilità non trovano spazio.
Perciò la rinuncia che trova le sue radici nel timore e nella paura è
percepita come inaccettabile. La rinuncia basata sull’obiettività
scientifica, al contrario, è considerata altamente professionale.
Sfortunatamente per gli allievi, è facile confonderle.
Sebbene siano stati introdotti, per esempio da parte di Balint (87), percorsi
di approfondimento sull’esperienza medica che considerano le difficoltà
emotive dei medici, nel complesso gli studenti entrano a far parte di un
discorso medico dominante che manca di spunti di riflessione e di
autoconsapevolezza. In più, esso incoraggia gli studenti a rivestire ruoli
professionali piuttosto delimitati, enfatizzando la padronanza, il controllo
ed una tendenza alla ricerca della perfezionabilità, nel senso di sviluppo
del timore di commettere errori (88), e portandoli al rifiuto e alla
negazione di molti dei loro limiti e difetti (89). Suchman (90) studia il
fascino che questo discorso esercita sui medici professionisti e sugli
studenti, proprio perché offre precise indicazioni e permette di ottenere i
risultati desiderati mantenendo un apparente controllo sia sulla salute, sia
sulla malattia.
La soluzione modernista di trasformare i pazienti in oggetti o in incarichi
(91), piuttosto che considerarli “esseri viventi da conoscere” (92),
concepita coscientemente come modo di evitare un coinvolgimento
non prettamente scientifico, sottolinea inconsciamente e rinforza il
concetto di “altro” di cui abbiamo discusso precedentemente trattando
di quella paura di contaminazione profondamente radicata e di origine
culturale.
Una volta che il paziente diventa l’altro, l’empatia non è più necessaria.
In questo modo, l’incapacità del discorso modernista porta
involontariamente ma verosimilmente come conseguenza problemi legati
alla contaminazione e il rapporto con l’altro si inserisce in una sorta di
“arroganza di metodo” (91), nel quale gli studenti possono vedere i
pazienti più che come esseri umani, come progetti da portare a termine
o puzzle da risolvere.
Poiché l’educazione degli studenti non include una preparazione
sufficientemente accurata per riflettere, per riuscire a coinvolgersi e per
venire a patti con il timore e l’ansia di venire contaminati dalla
confusione, dalla perdita, dalla vulnerabilità, dal bisogno di aiuto,
dall’impotenza e dalla sofferenza proprie e dei pazienti, queste difficili
emozioni diventano oggetto di paura, da evitare a tutti i costi. I tentativi
di sperimentare l’empatia in questo clima di pressione psicologica, più
che mitigare l’ansia degli studenti, tendono ad esacerbarla e, inoltre,
il modello modernista di
educazione medica
assegna al medico un
ruolo caratterizzato da
competenza ed
eroismo, nel quale la
paura e la vulnerabilità
non trovano spazio.
La soluzione modernista
di trasformare i pazienti
in oggetti o in incarichi ,
piuttosto che
considerarli “esseri
viventi da conoscere” ,
concepita
coscientemente come
modo di evitare un
coinvolgimento non
prettamente scientifico,
sottolinea
inconsciamente e
rinforza il concetto di
“altro” di cui abbiamo
discusso
precedentemente
trattando di quella
paura di
contaminazione
profondamente
radicata e di origine
culturale
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NEWSLETTER
aumentano la probabilità che le loro azioni siano motivate più dal
bisogno di ridurre il proprio disagio piuttosto che dalle reali esigenze dei
pazienti (93,94).
Nell’intento di prevenire, in senso figurato ed emotivo, la contaminazione
da parte dei pazienti, gli studenti tendono a conformarsi troppo spesso ad
un corso di studi carente (95), che li spinge a tralasciare incontri e scambi
che potrebbero turbare la loro identità stabilita, l’ordine apparente e
l’accuratezza del sistema medico. La necessità di mantenere questo
confine può creare profondi divari emotivi tra chi guarisce e chi soffre. In
questo modo, i pazienti si ritrovano in cura da persone che non sanno
entrare in contatto con loro, e che mantengono sempre “un certo
distacco”.
In un recente numero di Academic Medicine, imperniato sulla
professionalità, molti autori accusano il corso di studi in medicina di
minare alle basi gli obiettivi dichiarati e i valori della professionalità (16, 97,
98). Fondamentalmente, questi autori sostengono che la facoltà di
medicina e il personale medico spesso si comportino in modo non
professionale. Sebbene argomentare queste affermazioni sia complesso,
una delle possibili interpretazioni è il fallimento dell’empatia. I modelli
ideali del ruolo del il medico possono dare la priorità all’efficienza e alla
produttività rispetto alla centralità del paziente poiché il sistema nel quale
egli opera non è attento all’empatia e non pone il paziente come centro
della cura. Al contrario il paziente, in definitiva, ha iniziato ad essere
considerato come un misero: questo atteggiamento suffraga
l’allontanamento emotivo ed oggettivato da parte dei curanti.
Naturalmente ci sono molti esempi di comportamento di medici che sono
in grado di stare accanto ai propri pazienti con successo. La pratica
quotidiana di molti professionisti è colma di esempi di espressione di
empatia e solidarietà nei confronti dei pazienti. Tuttavia questa modalità,
a causa del modello logico-scientifico prevalente, non emerge in modo
naturale durante la formazione, a dispetto degli sforzi per sviluppare
l’empatia come base per “stare vicino” al paziente, ma appare piuttosto
come qualcosa di “allegato”.
La ricerca di un approccio teoretico complementare per promuovere
l’empatia
Considerando l’esistenza del paradigma biomedico modernista, è
essenziale prima di tutto riconoscere gli straordinari contributi che esso ha
saputo portare nel campo della salute e del benessere di milioni di
persone.
Proponendo la convinzione che le persone non dovrebbero soffrire e che
l’intelligenza umana può essere utilizzata per risolvere i problemi di
sofferenza fisica, la biomedicina ha ottenuto un grande successo nel
conseguire i propri obiettivi, come, per esempio, la cura di centinaia di
malattie e il miglioramento della qualità dei servizi medici offerti. Sarebbe
assurdo sostenere che il modello biomedico sia diventato inutile, anche
perché, chiaramente, comprendere i meccanismi fisiopatologici delle
malattie ha portato e continua a portare incalcolabili benefici all’uomo.
In tutti i casi, i principi del discorso biomedico hanno avuto implicazioni
non solo negli interventi biomedici, dove sono stati fortemente pertinenti e
vantaggiosi, ma si sono espansi anche alla diffusione di atteggiamenti e
valori a volte nocivi per il benessere emotivo del paziente e degli studenti.
Ho sostenuto che il discorso biomedico abbia distolto i medici
dall’empatia, rendendola secondaria e tangenziale rispetto all’intervento
scientifico, e che abbia anche condotto, in molti casi, ad una
stigmatizzazione dei pazienti non intenzionale ma molto forte, rendendoli
dei diversi.
Un sistema che persegue e idealizza la ricerca della perfezione nel senso
del controllo e della supremazia sulla malattia e sulla sofferenza diventa
subito un sistema eroico e assennato. L’entusiasmo per la perfezione della
salute è mirabile sotto molti aspetti, ma può anche portare
all’emarginazione di quei pazienti che non sono in grado di conformarsi a
questi dettami. Inoltre, il riduttivo empirismo del modello biomedico
In un recente numero di
Academic Medicine si
afferma che: la facoltà
di medicina e il
personale medico
spesso si comportino in
modo non professionale
Proponendo la
convinzione che le
persone non
dovrebbero soffrire e
che l’intelligenza umana
può essere utilizzata per
risolvere i problemi di
sofferenza fisica, la
biomedicina ha
ottenuto un grande
successo nel conseguire
i propri obiettivi, come,
per esempio, la cura di
centinaia di malattie e il
miglioramento della
il riduttivo empirismo del
qualità dei servizi medici
modello biomedico
offerti
conduce, ad un livello
narrativo, ad enfatizzare
la soluzione ed il
risanamento . Un’altra
conseguenza
involontaria è che
questo sistema mette un
marchio a quei pazienti
che non raggiungono la
guarigione
NEWSLETTER
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conduce, ad un livello narrativo, ad enfatizzare la soluzione ed il
risanamento (83). Un’altra conseguenza involontaria è che questo sistema
mette un marchio a quei pazienti che non raggiungono la guarigione.
Proprio per far fronte a questi effetti non ricercati ma reali, dobbiamo
impegnarci ad ampliare il focus educativo, raccogliendo da altri sistemi
conoscenze che possano apportare miglioramenti nel campo
dell’empatia e dell’altruismo. Precedenti tentativi già citati in questo
articolo non hanno avuto successo poiché la società occidentale in
generale, ed in particolare la formazione medica e la medicina stessa,
continuano a privilegiare il sistema modernista, senza sfumature o
specificità. Il punto importante da ribadire è che la supremazia
dell’approccio e dell’atteggiamento biomedico è adatta in alcuni
campi; si deve riconoscere ad altri tipi di conoscenza, a parità di valore,
una maggior pertinenza, utilità ed applicabilità in altre sfere, ad esempio
nel decidere come ci si debba comportare nella relazione con i pazienti.
Il sapere biomedico non può produrre empatia, anzi, involontariamente,
è possibile che porti al risultato opposto, attraverso la supremazia del
riduzionismo, del positivismo e dell’obiettività. Così come abbiamo
ricevuto una formazione logico-scientifica dalla quale emerge un sistema
di questo tipo, allo stesso modo necessitiamo di un sistema narrativo (99),
fondato su alcuni concetti filosofici riguardanti le relazioni tra le persone,
per poter sviluppare l’empatia e la compassione.
Questo articolo ha indicato che se i nuovi modelli che possono portare
benefici e riflessioni continueranno ad essere assorbiti dal sistema
modernista esistente, verranno soffocati nel raggiungimento del loro
massimo potenziale, in particolare nel favorire lo sviluppo e la pratica
dell’empatia tra gli studenti. Quando gli atteggiamenti e i presupposti
fortemente radicati nel nostro inconscio collettivo culturale vengono
minacciati, tutti noi, compresi studenti ed insegnanti, torniamo ai modi di
pensare e reagire che ci sono familiari. Anche il migliore tra i modelli
alternativi/complementari può essere distorto dal potere del discorso
modernista, che tenta sempre di plasmare le relazioni medico-paziente
non del tutto distaccate e oggettivate, a meno che la formazione non
riconosca questo fenomeno, aiutando gli studenti a riconsiderare e a
lavorare le questioni centrali della contaminazione e dell’altro.
Necessitiamo di approcci concettuali ed educativi che possano aiutare
gli studenti a non temere e ad imparare dalle emozioni che provano
relazionandosi con i pazienti, attraverso “una mutua esperienza di unione
che porti ad una sensazione di totalità” (100). Gli studenti non riusciranno
a dare veramente un senso al prendersi cura degli altri, se non
riconosceranno che la morte, la fragilità e la vulnerabilità appartengono
a tutti noi in quanto esseri umani (91).
L’educazione in campo medico necessita di metodi per permettere a chi
è in formazione di riconoscere ed affrontare le proprie paure di
contaminazione e le tentazioni nei confronti dell’altro, insegnando loro ad
essere emotivamente presenti con i pazienti. All’interno di un sistema che
normalizzi e dia valore a questi aspetti della vita dell’uomo, con il tempo
necessario ed una adeguata definizione dei ruoli, gli allievi possono
acquisire esperienza ed esprimere una profonda empatia clinica, senza
per questo sentirsi in pericolo.
Un’etica dell’imperfezione
Piuttosto che tentare di inserire nuovi modelli di relazione medicopaziente nel sistema modernista biomedico, dobbiamo interrogarci
sull’ampia supremazia di questo paradigma, che porta gli studenti ed i
medici a continuare ad allontanarsi dai pazienti. Potremmo iniziare
formulando un’etica dell’imperfezione, un concetto già introdotto da
David Morris (101). Sebbene Morris non abbia poi elaborato nel dettaglio
questo concetto, credo di aver capito che questa struttura potrebbe
basarsi sull’accettazione dell’imperfezione dell’esistenza umana e sul
fatto che il controllo che ognuno di noi può esercitare sulla vita rimane
comunque limitato. Questo punto di vista suggerisce che dobbiamo
La supremazia
dell’approccio e
dell’atteggiamento
biomedico è adatta in
alcuni campi; si deve
riconoscere ad altri tipi
di conoscenza, a parità
di valore, una maggior
pertinenza, utilità ed
applicabilità in altre
sfere
L’educazione in campo
medico necessita di
metodi per permettere
a chi è in formazione di
riconoscere ed
affrontare le proprie
paure di
contaminazione e le
tentazioni nei confronti
La moderna pratica
dell’altro, insegnando
medica basata sui
loro ad essere
presupposti del metodo
emotivamente presenti
scientifico interpreta
con i pazienti.
l’avvicinamento e
l’evitamento,
contraddittori istinti
umani nei confronti
della malattia e della
sofferenza, in un modo
univoco
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NEWSLETTER
imparare ad accettare e a resistere alla vulnerabilità corporea (102).
Un’etica dell’imperfezione potrebbe probabilmente avvicinarsi molto al
pensiero di filosofi come Ricoeur (103): le sue teorie potrebbero fornire
una base per l’espressione di comportamenti umani ed empatici, non
tanto con l’intento si stilarne un elenco di riferimento, ma piuttosto per
indicare alcuni imperativi morali avvertiti profondamente.
A partire dalla consapevolezza della fragilità della condizione umana,
Ricoeur sosteneva che, sebbene ci saranno sempre alcune irriducibili
differenze a separare un individuo da un altro, alla fine siamo
inevitabilmente legati nella ricerca del mutuo riconoscimento e della
comprensione. Sosteneva che tutti noi siamo, allo stesso tempo,
competenti e vulnerabili. Queste asserzioni liberano automaticamente
dalla concezione che la competenza sia propria del ruolo del medico e
che la vulnerabilità e la debolezza appartengano invece al paziente.
Ricoeur pensava, inoltre, che l’individualità e la diversità non potessero
essere separate: quando realizziamo di essere in grado di considerare noi
stessi al pari di un’altra persona, significa che siamo anche capaci di
considerare l’altro al nostro pari. In questo modo la sofferenza dell’altro
diventa la nostra stessa sofferenza. Questa posizione lancia una sfida alle
implicazioni dell’obiettività scientifica, ma propone un importante
posizione psicologica, dalla quale l’empatia per gli altri potrà emergere
totalmente e naturalmente.
Implicazioni pratiche per la formazione clinica di un’etica
dell’imperfezione
La ricerca mostra costantemente che ciò che influenza maggiormente gli
atteggiamenti degli studenti di medicina e il loro apprendimento è la
presenza di modelli precisi che definiscano il ruolo del medico (104).
Un’etica dell’imperfezione esige modelli che esprimano vulnerabilità, che
commettano errori e che includano anche il non-sapere; comprende chi
è consapevole delle proprie reazioni emotive ed è sincero al riguardo e
chi lavora sempre sul limite tra la confidenza ed il distacco e, soprattutto,
chi riconosce la naturalezza dei legami di umanità con i pazienti.
Durante il corso di studi, oltre alla definizione del ruolo del medico,
andrebbero definiti anche altri scopi ed obiettivi. Ciò che si richiede qui è
una seria focalizzazione su questioni importanti come approfondire il
discorso che riguarda il rapporto tra sé stessi e gli altri, sviluppare capacità
di coping con le emozioni difficili, specialmente con la paura, l’ansia e
con il desiderio di prendere le distanze dalla morte, dall’agonia e dal
decadimento e saper riconoscere e gestire i limiti medici. Esistono molti
metodi per realizzare questi obiettivi, come le pratiche riflessive e
meditative e l’introduzione di studi umanistici nei corsi di medicina (105107). In più, il corso di studi potrebbe prevedere piccoli gruppi di
discussione, guidati da professionisti, sul significato del ruolo del medico,
al fine di facilitarne la comprensione, e si potrebbe dare la possibilità agli
studenti di interagire con i pazienti come con insegnanti (108), non
limitandosi ad indagare i sintomi, ma approfondendo l’esperienza
soggettiva della malattia. Infine le materie di studio potrebbero
comprendere anche la filosofia morale, non solo dalla prospettiva
attualmente favorita (109) (nella quale il focus è rappresentato da ciò
che si dovrebbe/non si dovrebbe fare al/per il paziente), ma anche
analizzando testi di filosofi come Ricoeur, Buber (110) e Levinas (111), per
approfondire le implicazioni morali significative che nascono dalle
relazioni con gli altri.
Molte di queste attività già esistono, purtroppo però sono relegate ai
margini della formazione del medico. Invece di essere considerate stimoli
piacevoli (o fastidiose perdite di tempo), esse dovrebbero assumere un
ruolo centrale nella medicina. Durante la nostra attività lavorativa, non
solo riceviamo richieste per apportare modifiche al corso di studi, ma
anche appelli volti ad ottenere trasformazioni istituzionali e svolte culturali
(42,98). Simili proposte riconoscono che i fondamenti basilari del nostro
sistema educativo necessitano di ampliamento ed umanizzazione. Un
Ciò che influenza
maggiormente gli
atteggiamenti degli
studenti di medicina e il
loro apprendimento è la
presenza di modelli
precisi che definiscano il
ruolo del medico
Durante la nostra attività
lavorativa, non solo
riceviamo richieste per
apportare modifiche al
corso di studi, ma anche
appelli volti ad ottenere
trasformazioni
istituzionali e svolte
culturali
NEWSLETTER
PAGINA 59
cambiamento radicale del sistema è fondamentale e potrà aiutare gli
studenti-medici ad affrontare le proprie paure di contaminazione, la
vulnerabilità e la condizione di mortalità, oltre che a soffocare gli impulsi
di protezione dall’altro e a evitare di trattare alcuni pazienti
particolarmente timorosi come capri espiatori; attraverso tutti questi
processi di crescita interiore, essi potranno imparare ad esprimere
empatia e a prendersi cura in modo altruistico dei pazienti.
Note conclusive
Il valore della soggettività e della confidenza (112)ed il riconoscimento di
sé nell’altro vulnerabile e malato, potrebbero aprire la porta ad una sana
permeabilità e ad una ridiscussione dei limiti (113) esistenti tra studentimedici e pazienti. Da questa prospettiva, il paziente non diventa più
solamente “oggetto”, ma parte del sé del medico. Una simile visione non
implica l’abbandono degli sforzi compiuti in campo scientifico ed
umanistico per alleviare la sofferenza, ma significa piuttosto che quando
questo non è del tutto possibile, o quando è addirittura impossibile, gli
allievi possono imparare a sviluppare reazioni emotive diverse dall’ansia
incontrollabile che porta all’allontanamento dall’altro. Imparare ad
accettare l’imperfezione, a tollerarla, a riconoscerla e a sviluppare la
compassione richiede l’abilità di osservare sia sé stessi, sia il paziente con
occhi nuovi, senza preconcetti, con curiosità e attenzione (114, 115). Si
pone così l’accento sulla presenza piuttosto che sul giudizio (116).
Un’etica dell’imperfezione potrebbe aiutarci a riconoscere e ad
approfondire elementi comuni con l’altrui sofferenza, piuttosto che
rifiutarla e fuggire da essa, rispettando la natura inesatta ed incompleta
delle percezioni (117) (vedere Figura 1).
Attraverso modi di pensare che comprendono la malattia, il dolore e la
sofferenza gli studenti possono imparare a capire e a dare un senso alle
esperienze degli altri. Lavorando a partire da questo punto, potremmo
sviluppare in modo più efficace un ambiente educativo che rispetti la
vulnerabilità condivisa da studenti-medici e pazienti, insegnando agli
studenti a considerare gli altri non come una parte temibile e rifiutata di
sé, ma come una presenza autonoma (118). Inoltre, si potrebbe educare
ad accettare la vicinanza al paziente e a stargli accanto sia nella
malattia, sia in prossimità della morte (119).
Questa complessa prospettiva dell’imperfezione comprende paralleli e
stranezze, comprensioni ed incomprensioni tra allievi e pazienti, mutabilità
e inevitabili cambiamenti in sé stessi e negli altri (120). Un’etica
dell’imperfezione
potrebbe
facilitare
l’impegno
degli
studenti
nell’analizzare le proprie ed altrui sofferenze, grazie alla capacità di
contenere ed accettare a livello profondo tutti gli aspetti della vita (121).
Con l’ausilio della tolleranza e del riconoscimento di una comune
imperfezione, potremmo riconoscere più facilmente i legami umani degli
studenti e dei pazienti; in ogni relazione potrebbe essere utile aiutare gli
studenti a capire e ad accettare che siamo tutti feriti ed imperfetti, e tutti
condividiamo l’essere differenti dagli altri con gli altri. Essere in grado di
contenere emotivamente con compassione le difficili realtà della
condizione umana può essere la base di sviluppo di un’empatia
profonda e duratura. Vedere tutta l’umanità come danneggiata,
sofferente e in lotta favorisce l’umiltà, porta a coltivare legami comuni e a
rivolgersi agli altri con gentilezza; in questo modo, si realizza che la
distanza che ci separa dagli altri non è così grande come potevamo
pensare.
Ivan Illich scrisse “la salute medicalizzata mina la nostra capacità
culturale ed individuale di contenere e replicare al dolore e alla
sofferenza” (122). Il sé dello studente-medico deve emergere da
presupposizioni
filosofiche
che
tengano
conto
dell’analisi
e
dell’integrazione di qualità interiori che sono caotiche, disgreganti,
vulnerabili o disturbanti, aiutando gli studenti a riconoscere gli individui
rifiutati come collegati a loro e non nettamente separati. Per aiutare gli
studenti di medicina a superare la paura e a sviluppare un’empatia
Con l’ausilio della
tolleranza e del
riconoscimento di una
comune imperfezione,
potremmo riconoscere
più facilmente i legami
umani degli studenti e
dei pazienti; in ogni
relazione potrebbe
essere utile aiutare gli
studenti a capire e ad
accettare che siamo
tutti feriti ed imperfetti, e
tutti condividiamo
l’essere differenti dagli
altri con gli altri
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profonda e costante nei confronti dei pazienti è necessaria una struttura
che supporti concetti provvisori e mutevoli, aperta alle somiglianze tra sé
stessi e gli altri (123) e al riconoscimento dei limiti e dell’imperfezione.
Bibliografia:
1. Monroe KR: The heart of altruism: perceptions of a common humanity
Princeton, NJ: Princeton University Press; 1996.
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NEWSLETTER
NEWSLETTER
Djøra I. Soeteman, Roel Verheul, Jos Delimon, Anke M. M. A.
Meerman, Ellen van den Eijnden, Bert V. Rossum, Uli Ziegler,
Moniek Thunnissen, Jan J. V. Busschbach and Jane J. Kim
Cost-effectiveness of psychotherapy for cluster B
personality disorders
Br J Psychiatry. 2010 May;196(5):396-403
Abstract:
Cluster B personality disorders, including borderline,
antisocial, histrionic and narcissistic, are among the
most prevalent mental disorders in the general
population1,2 and in mental healthcare settings.3,4
Moreover, these disorders are associated with high
societal costs and a low quality of life.5,6 Although
different in many respects, a common feature of
cluster B personality disorders is a rather dramatic
and impulsive manifestation that is considered more
persistent and resistant to change than cluster C
personality disorders (i.e. avoidant, dependent and
obsessive– compulsive) but less so than cluster A
personality disorders (i.e. paranoid, schizoid and
schizotypal). Currently, several treatments with
demonstrated efficacy for borderline personality
disorders are being adapted and tested for
antisocial personality disorders, suggesting a partially
common nature to these disorders.7
Additionally, contemporary classification models of
personality
disorders
increasingly
focus
on
dimensions rather than categories, and cluster B
personality disorders seem to have similarly high
scores on dimensions of behavioural and emotional
disinhibition and antagonism.8 This paradigm shift
makes it clinically relevant to include the full range of
cluster B personality disorders in analyses rather than
focusing solely on the more common borderline
personality disorders.
A multidisciplinary clinical guideline in The
Netherlands recently identified various modalities of
psychotherapy, including out-patient, day hospital,
and in-patient psychotherapy, to be preferential for
cluster B personality disorders,9 consistent with two
other clinical guidelines that focused on borderline
personality disorders.10,11 Although based on strong
evidence of efficacy,12 the economic impact of
these recommendations has not yet been explored
and few cost-effectiveness analyses of personality
disorder interventions exist that can guide
decisionmaking with respect to clinical practices
and healthcare resource allocation. Recently, the
Study on Cost-Effectiveness of Personality disorder
Treatment (SCEPTRE) was conducted with the
purpose of providing data for economic evaluation
PAGINA 65
PAGINA 66
NEWSLETTER
of various psychotherapeutic treatments for
personality disorders. Used in a decision-analytic
framework, the data on health benefits and
resource use from this study can be synthesised to
evaluate the relative performance of health
interventions under conditions of uncertainty and
imperfect data.13 The objective of this study was to
assess the cost-effectiveness of three modalities of
psychotherapy in treating cluster B personality
disorders (i.e. out-patient, day hospital and in-patient
psychotherapy) and to inform decision makers
about the value of these treatment options. We
incorporated clinical and economic patient-level
data from the SCEPTRE trial in a simulation model to
compare the strategies over a 5-year time horizon in
terms of costs per recovered patient-year and costs
per quality-adjusted life-year (QALY).
I disturbi di personalità del cluster B, tra cui il borderline, l’antisociale,
l’istrionico ed il narcisistico, sono fra i distrubi più frequenti tra la
popolazione generale (1,2) e tra i pazienti psichiatrici (3,4). Inoltre questi
disturbi sono associati con elevati costi per la società (5, 6). Fino ad oggi,
molti sono i trattamenti che hanno mostrato un’efficacia per i disturbi di
personalità borderline e che sono stati sperimentati anche per i disturbi
antisociali, suggerendo una natura in parte comune tra queste patologie
(7). Inoltre, i modelli di classificazione attuali si concentrano più sulle
dimensioni che sulle categorie ed i disturbi del cluster B paiono avere
punteggi elevati nelle dimensioni di disinibizione comportamentale ed
emotiva e nel parametro antagonismo (8).
Le linee guida multidisciplinari olandesi prevedono diversi modelli di
psicoterapia per i disturbi del cluster B, che includono interventi
ambulatoriali, ospedalieri e di day hospital (9, 10, 11). Anche se hanno
forti evidenze di efficacia (12), l’impatto economico di questi modelli non
è stato ancora esplorato. Recentemente è stato condotto lo studio sul
rapporto costo-efficacia nel trattamento dei disturbi di personalità
(SCEPTRE) , al fine di fornire una valutazione economica dei diversi modelli
di intervento. L’obiettivo di questo studio è stato di valutare il rapporto
costo-efficacia di tre modelli di psicoterapia nella terapia dei disturbi del
cluster B (ambulatoriale, ospedaliero e day hospital) e di informare i
decision makers sul valore di queste opzioni di trattamento. Abbiamo
integrato dati clinici ed economici per ogni paziente del trial SCEPTRE in
un modello di simulazione per paragonare le strategie in un tempo di 5
anni in termini di costi annui per paziente guarito e costi relativi
all’aspettativa di vita di un anno in condizioni di buona salute (QALY).
Metodi
Modello
Abbiamo usato un modello a coorte di Markov precedentemente
sviluppato (13, 14) per simulare la transizione di una coorte di individui con
disturbi del cluster B attraverso livelli di salute mutualmente esclusivi e
collettivamente esaustivi basandosi sul trial SCEPTRE. Il modello è quindi
stato usato per stimare l’impatto di diversi interventi sulla popolazione di
pazienti. Il processo clinico alla base del modello definisce il
“cambiamento clinicamente significativo”, basandosi su un approccio
statistico di ricerca in psicoterapia (15). Per calcolare i punti di cut off e gli
indici di cambiamento, i punteggi ricavati dalla Symptom Checklist-90
rivisitata (SCL-90 R) sono stati usati come misure di outcome sia per la
popolazione normale che patologica (16). I pazienti sono stati classificati
in 4 classi: guariti (se l’entità del cambiamento risultava statisticamente
affidabile e gli individui ottenevano valori all’interno del range di norma
nelle variabili di interesse); migliorati (se i valori erano significativi ma
emergeva ancora qualche elemento patologico); non modificati (se
l’entità del cambiamento non è statisticamente affidabile, oppure il
metodo non è riuscito a determinare se il cambiamento è stato
molti sono i trattamenti
che hanno mostrato
un’efficacia per i
disturbi di personalità
borderline e che sono
stati sperimentati anche
per i disturbi antisociali,
suggerendo una natura
in parte comune tra
queste patologie
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statisticamente significativo); ricaduti o peggiorati (se il cambiamento è
statisticamente significativo ma al polo opposto); deceduti. La struttura
del modello di Markov è in fig.1
Il modello Markov
Quattro sono stati i parametri utilizzati nel modello: probabilità di
transizione, cioè il movimento tra i 5 stati; costi del trattamento nei 3
modelli di psicoterapia; costi di utilizzo del sistema sanitario e perdita di
produttività; qualità di vita per paziente a seconda dello stato. Per
superare il problema del bias di selezione abbiamo controllato le
differenze individuali utilizzando il metodo del punteggio di propensione
(vedi dopo).
Le transizioni da uno stato all’altro sono state ipotizzate ogni 6 mesi. Sulla
base di altri trial abbiamo considerato un orizzonte di tempo di 5 anni,
ovvero 2 anni oltre la durata del trial. Sulla base delle probabilità di
transizione, abbiamo estrapolato gli ultimi 2 anni di analisi considerando
metodi diversi. Sulla base degli andamenti dello studio abbiamo
considerato la media di due osservazioni (anno 2 e anno 3) mantenendo
costanti tali valori negli anni 4 e 5 dell’analisi.
Abbiamo registrato i costi per paziente guarito e i costi per QALY sui 5 anni
usando questo modello; i costi ed i QALYs sono stati comparati con un
tasso di sconto annuale del 4% e 1.5% rispettivamente, coerentemente
con le valutazioni economiche olandesi (19). In una sensitivity analysis,
abbiamo studiato l’impatto nell’applicazione di un tasso di sconto del 3%
sia per i costi che per gli outcome di salute come raccomandato dalle
linee guida economiche inglesi e statunitensi.
Reclutamento ed assegnazione
I pazienti sono stati reclutati da un pool proveniente da 6 strutture
psichiatriche specializzate in intervento psicoterapeutico per disturbi di
personalità in Olanda. I criteri di inclusione erano diagnosi di personalità
del cluster B, età 18-70 anni, psicoterapia specifica per disturbi di
personalità, lingua olandese. I criteri di esclusione sono stati: disturbi
psicotici, demenze, ritardo mentale. Incluse le comorbidità di asse I e II.
Sono risultati idonei 241 individui che hanno fornito un consenso informato
e che sono entrati nello studio. I pazienti sono stati assegnati ad uno dei
tre gruppi terapeutici, sulla base di una valutazione completa fornita da
esperti e clinici, i gruppi erano: ambulatorio, day hospital, reparto. Nel
setting ambulatoriale erano fornite 2 sedute/settimana; nel day hospital
psicoterapia individuale e di gruppo e terapia non verbale per 1-5 giorni/
settimana; simile il reparto dove però si permaneva 5-7 giorni/settimana.
La durata media era rispettivamente 15.1, 10.4, 9.3 mesi (Tab.1).
I 4 parametri utilizzati:
probabilità di
transizione,
costi del trattamento,
costi di utilizzo del
sistema sanitario e
perdita di
produttività,qualità
della vita
Lo studio:
PAGINA 68
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Dati
Probabilità di transizione
La proporzione dei partecipanti nei differenti stati di salute è stata
determinata a 6, 12, 18, 24, 30 e 36 mesi dall’inizio.
Costi
I costi sono stati suddivisi tra quelli per la società e quelli per il fornitore di
servizi. I costi per la società includevano i costi dell’intervento medico
(intervento sul territorio ed utilizzo dei servizi dopo la dimissione) e costi
medici indiretti (diminuita produttività dovuta alla malattia), mentre i costi
per i fornitori includevano solo i costi diretti. I dati includevano costi del
personale, dei materiali, affitti, abbiamo usato un approccio microcosting per determinare il costo per singolo paziente. I costi medi
risultavano 7445 € per la psicoterapia ambulatoriale, 23279 € per la
psicoterapia in day hospital, 35218 € per la psicoterapia ospedaliera.
Il test Trimbos and Institute for Medical Technology (iMTA) ed il
questionario Costi Associati con la Patologia Mentale (TiC-P) sono stati
usati per determinare costi diretti ed indiretti (22). Per i costi diretti, il
numero totale delle visite (ambulatoriali, durata del ricovero, uso di
farmaci) è stato moltiplicato per i valori del 2003 dei corrispondenti servizi
sanitari (23,24) e corretti per il 2007 (25). Il valore medio è stato poi
moltiplicato per 6.5 al fine di rientrare nel modello ciclico dei 6 mesi. Per
quanto riguarda i costi indiretti, abbiamo ottenuto i dati basati
sull’assenza dal lavoro, la ridotta efficacia lavorativa e la difficoltà nelle
performance lavorative dal Tic P e dalla versione abbreviata dell’ Health
And Labor Questionnaire (26). Per valutare l’assenza dal lavoro sul lungo
termine, abbiamo applicato il metodo “fiction cost” che considera il fatto
che una persona disoccupata può prendere il posto di una malata (27).
Tali valutazioni sono riassunte in tabella 2. Per ciascun tipo di intervento, il
modello calcola i costi attesi da una media ponderata dei costi per ogni
livello di salute e la percentuale della corte in ogni periodo di 6 mesi; il
costo totale atteso di ogni intervento è quindi calcolato su una somma di
5 anni.
La suddivisione dei
costi: Il test Trimbos and
Institute for Medical
Technology (iMTA) ed il
questionario Costi
Associati con la
Patologia Mentale (TiCP) sono stati usati per
determinare costi diretti
ed indiretti
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Parametri di salute
Per indagare la diminuita qualità di vita nei pazienti affetti da disturbo di
personalità si è utilizzato l’EuroQoL EQ-5D che registra la qualità di vita in 5
dimensioni: mobilità, cura del sé, attività abituali, dolore/disagio,
ansia/depressione (28). Ogni dimensione è divisa in 3 stati: nessun
problema, alcuni problemi, gravi problemi. Un totale di 243 possibili livelli
di salute sono stati calcolati per derivare un indice tra -0.33 (peggior stato
di salute immaginabile) ed 1 (miglior stato di salute immaginabile). Per
calcolare i valori medi EQ-5D sono stati utilizzati i valori olandesi di norma
(29). La qualità di vita media nel corso di un anno in ciascun ciclo è
riassunta in Tab 2. il numero di QALYs atteso per ciascun tipo di intervento
era calcolato soppesando la durata in ciascuno stato per l’utilità in quello
stato e sommando tutti gli stati di salute in ciascun ciclo. Il numero atteso
di QALYs per paziente sui 5 anni era calcolato sommando tutti i cicli.
Tassi di mortalità
I partecipanti in buono stato di salute, guariti, erano considerati a rischio
di vita in maniera uguale rispetto alla popolazione generale. I tassi di
mortalità genere ed età specifici erano ottenuti da tabelle di
sopravvivenza standardizzate (30).
Metodo del propensity score
Per diminuire il bias di selezione le differenze iniziali dei pazienti sono state
controllate attraverso il metodo del propensity score (31). Il “punteggio di
propensione” valutato è definito dalla probabilità di essere assegnati ad
un certo trattamento sulla base delle caratteristiche pre trattamento.
Analisi
Per riflettere l’incertezza nei valori dei nostri parametri, abbiamo condotto
un’analisi probabilistica in cui le distribuzioni erano assegnate ai parametri
di input del modello (es. distribuzioni gamma per i costi, distribuzioni beta
per gli strumenti e distribuzioni Dirichlet per i parametri di probabilità) (13).
Sono stati costruiti gruppi di parametri usati nel modello per calcolare i
costi attesi, gli anni attesi per paziente guarito e i QALYs per ogni metodo.
I valori medi sono stati utilizzati per calcolare il rapporto costo
incrementale (ICER) associato con ogni strategia, definito come costo
aggiuntivo diviso per benessere aggiuntivo associato con una strategia in
relazione con la successiva strategia a costo minore. La strategia con
migliore rapporto costo-beneficio era quindi identificata paragonando gli
ICERs di differenti strategie con diversi valori soglia che rispecchiassero le
decisioni dei fornitori di servizi per ogni unità o effetto migliorativo. Le
strategie inferiori ad un valore prestabilito rappresentavano un buon
“value for money”; la strategia con il miglior rapporto “costo beneficio” è
quella con il più alto ICER al di sotto del valore soglia
PAGINA 69
Parametri di salute:
l’EuroQoL EQ-5D che
registra la qualità di vita
in 5 dimensioni:
mobilità, cura del sé,
attività abituali, dolore/
disagio,
ansia/depressione (28).
PAGINA 70
prestabilito,rappresentando quindi l’opzione con il miglior guadagno per
unità di costo.
Al fine di valutare l’incertezza nei valori dei parametri sono state create
curve di accettabilità costo-efficacia (CEAC) al fine di indicare la
probabilità per ogni opzione di essere costo-efficace in rapporto alla
decisione dei fornitori di servizi per anno-paziente guarito o QALY (33).
Infine, il limite di accettabilità (CEAF) è stato valutato per inquadrare ogni
CEAC su il range dei valori soglia secondo cui ogni opzione è pensata
come la più costo-efficace, così come gli ICER soglia nei quali
avvengono modifiche nella modalità migliore (es. “punti di switch”) (34).
Risultati
Costi su 5 anni ed outcome di salute
I costi medi su 5 anni e gli outcome dal punto di vista della società sono
presentati in Tab 3. La tabella mostra che i costi medi sono
sostanzialmente inferiori per la psicoterapia dei pazienti ambulatoriali,
suggerendo che i maggiori costi di trattamento del day hospital e del
reparto implicano altri fattori come la riduzione dei costi sanitari e la
perdita di produttività. L’ordine di efficacia delle strategie valutato per
anni/paziente guarito e QALYs, indica che la psicoterapia ospedaliera è
l’opzione più efficace. Valutando la percentuale dei pazienti che
mantenevano i risultati a 5 anni, la psicoterapia di day hospital è
associata con la maggiore percentuale di pazienti guariti. La psicoterapia
ambulatoriale pare l’opzione di gran lunga più sfavorevole.
Analisi costo efficacia dal punto di vista sociale
Il rapporto costo efficacia per paziente guarito secondo ciascuna
strategia, riferiti come costo per paziente guarito e costo per QALY su un
periodo di 5 anni, sono mostrati in Tab 4.
La psicoterapia ambulatoriale risulta avere i minori costi e benefici; la
psicoterapia in day hospital i maggiori costi e benefici, risultando
associata con un ICER di 12274 € per paziente guarito ed un ICER di 56325
€ per QALY rapportato con terapia ambulatoriale. La terapia ospedaliera
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detiene i più elevati costi e benefici in termini di salute ed è associata con
un ICER di 113298 € per anno-paziente guarito ed un ICER di 286493 € per
QALY rapportato con la psicoterapia in day hospital.
Le differenze osservate tra le tre modalità di trattamento in relazione con
gli effetti erano più pronunciate nei termini di paziente guarito per anno
che per QALYs (Fig. 2)
La psicoterapia
ambulatoriale risulta
avere i minori costi e
benefici; la
psicoterapia in day
hospital i maggiori costi
e benefici, risultando
associata con un ICER
di 12274 € per paziente
guarito ed un ICER di
56325 € per QALY
rapportato con terapia
ambulatoriale
Fig. 2 Scatter plots showing the costs and health outcomes of the
treatment strategies from 1000 Monte Carlo simulations for (a) recovered
patient-years and (b) for quality-adjusted life-years (QALYs).
La fig. 3 mostra il CEAC che indica la probabilità di ciascuna strategia di
essere cost effective per differenti valori di disponibilità nei pagamenti da
parte della società, per unità di benefit salute.
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Fig. 3 Cost-effectiveness acceptability curves (CEAC) showing the
probability of each modality being cost-effective at different values of the
societal willingness-to-pay (WTP). (a) CEAC for recovered patient-year; (b)
CEAC for quality-adjusted life-years (QALYs).
In termini di costi per anno-paziente guarito la psicoterapia ambulatoriale
ha la maggiore probabilità di essere cost effective per valori di
disponibilità di pagamento al di sotto dei 12500€. Per valori tra i 12500 €
ed i 103100 € per anno paziente guarito, la psicoterapia di day-hospital è
probabilmente la più efficace. Per valori al di sopra dei 103100 € per
paziente guarito la psicoterapia ospedaliera ha la più alta probabilità di
essere cost effective. In termini di costi per QALY possono essere osservati
risultati simili. Secondo questa analisi la psicoterapia ambulatoriale ha la
probabilità di essere conveniente per i costi in circa l’84% delle
simulazioni; d’altra parte la psicoterapia di day hospital ed ospedaliera
ha poca probabilità di essere conveniente.
Inoltre è utile conoscere l’effetto dell’incertezza dei risultati, la probabilità
di una strategia di essere cost-effective non è sufficiente per determinare
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Inoltre è utile conoscere
l’effetto dell’incertezza
dei risultati, la
probabilità di una
strategia di essere costeffective non è
sufficiente per
determinare l’opzione
migliore. Le decisioni
dovrebbero essere
prese sulla base dei
vantaggi attesi, a
scapito delle incertezze
ad essi associate
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PAGINA 73
l’opzione migliore. Le decisioni dovrebbero essere prese sulla base dei
vantaggi attesi, a scapito delle incertezze ad essi associate. (33). Per
identificare la migliore opzione di trattamento (ad es l’opzione con i
maggiori benefici al netto per un certo costo), è stato esaminato il CEAF
(Fig. 4).
Il CEAF dei costi per paziente guarito/anno fig. 4°) mostra il range dei
valori soglia su cui la psicoterapia ambulatoriale (0-12247 €), la
psicoterapia di day hospital (12274 € - 113298 €) e la psicoterapia
ospedaliera (oltre i 113298 €), hanno i maggiori vantaggi al netto e
possono essere considerate le scelte migliori. I valori di suddivisione, a cui
corrisponde una modifica nella scelta ottimale, corrispondono agli ICERs
tra psicoterapia ospedaliera e di day hospital e tra quella di day hospital
e l’ambulatoriale. In termini di costi per QALY (fig. 4b) i valori soglia erano
di 56325 € e di 286493 € rispettivamente. Se i fornitori di servizi decidono di
fornire finanziamenti inferiori ai 56325 €, la psicoterapia ambulatoriale è
quella più conveniente al di sopra di questo valore ed al si sotto di 286493
€ la strategia ottimale sarebbe la psicoterapia di day hospital. I valori
possono essere aggiustati tenendo conto di un tasso di sconto del 3%.
Analisi costo efficacia dal punto di vista del fornitore
la strategia ottimale
sarebbe la psicoterapia
di day hospital
PAGINA 74
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Il CEAF dei costi per anno-paziente guarito ed il costo per QALY dal punto
di vista dei fornitori di servizi mantengono gli stessi risultati di quelli
affrontati dal punto di vista sociale. Comunque, i valori limite erano
posizionati du cifre differenti: 9895 € e 15579 € per anno paziente guarito e
43427 € e 561188 € per QALY. Utilizzando un tasso di sconto del 3%
all’anno, i valori limite si muovevano leggermente attestandosi a 9495 € e
204278 € per anno paziente guarito e 44580 € e 500151 € per QALY.
Discussione
Principali esiti
Utilizzando un modello decisionale, abbiamo stimato il rapporto
costo/efficacia di 3 modelli di psicoterapia per i disturbi di personalità del
cluster B su un orizzonte di 5 anni, sia dal punto di vista sociale che dal
punto di vista dei fornitori di servizi. Per quanto ne sappiamo, questo è il
primo studio di costo-efficacia su questo tipo di popolazione svolto
secondo un modello decisionale.
Le nostre ricerche dimostrano che quando i finanziamenti non superano i
12274 € per anno/paziente guarito, la psicoterapia ambulatoriale
mantiene i più alti vantaggi al netto. Se i finanziamenti superano i 12274 €
per paziente guarito, la scelta migliore è la psicoterapia in day hospital. E’
da osservare che la psicoterapia ospedaliera non viene considerata la
scelta migliore se i finanziamenti sono inferiori a 113298 €.
L’uso dei QALYs come misura di outcome permette la comparazione
degli oneri tra diverse patologie, benché non esistano valori soglia
riconosciuti. I nostri risultati in termini di costi per QALY possono essere
interpretati in accordo con le raccomandazioni del consiglio olandese
per la Sanità Pubblica (36). Per le malattie mortali (negli stadi più gravi), è
raccomandato un tetto massimo di 80000 € per QALY. I disturbi del cluster
B sono associati con un impairment importante nella qualità di vita (6). Il
valore osservato di 0.49 (ad es. valore medio all’EQ 5D di 0.51, range 0.50
-0 .52) indica che il trattamento può costare fino a 39200 € per QALY per
esser accettabile. Basandosi su questo valore soglia, la psicoterapia
ambulatoriale può essere identificata come quella con il migliore
rapporto costo-efficacia e perciò l’opzione migliore poiché fornisce i
maggiori vantaggi al di sotto di questa soglia.
La decisione di adottare una psicoterapia ambulatoriale è avvalorata
anche dai tassi di sconto applicati, che potrebbe essere un risultato
prevedibile poiché abbiamo utilizzato un modello che prevedeva un
limite di tempo di 5 anni. I nostri risultati suggeriscono che 2 misure
costo/efficacia con differenti outcome di salute mantenevano un trend
simile, poiché la terapia ambulatoriale appariva come l’intervento
migliore con finanziamenti più scarsi, la terapia in day hospital con
finanziamenti superiori e quella di reparto con i finanziamenti più elevati. I
punti di suddivisione in termini di costi per QALY erano delineati a valori
più alti, perché la distinzione tra le modalità relative ai livelli di salute
erano più determinate dalle guarigioni, che dai QALYs. Di conseguenza, il
costo relativamente basso di una psicoterapia ambulatoriale pesa di più
nel calcolo del costo per QALY del costo per anno/paziente guarito e
porta più risultati della psicoterapia ambulatoriale. Precedenti studi hanno
suggerito che l’EQ-5D può non essere sensibile nel riscontrare i
cambiamenti nella qualità di vita dei pazienti con disturbo di personalità
borderline (37, 38). Comunque, i valori di salute considerati in questo
studio indicano che l’EQ-5D usato per generare i QALYs può esser
reputato sensibile ai cambiamenti nei pazienti con un disturbo del cluster
B. Ad esempio i partecipanti guariti mostrano livelli di salute (ad es. qualità
di vita) simili a quelli della popolazione normale (non clinica) (0.85); i
partecipanti che non hanno avuto una modifica nello stato di salute
mantengono un valore stabile rispetto all’ingresso (0.51); quelli che sono
ricaduti o hanno peggiorato il quadro hanno avuto risultati inferiori.
Nonostante la sensibilità dell’EQ-5D nel determinare la qualità di vita
associata con particolari livelli di salute, QALYs appaiono misure poco
adeguate per determinare i livelli di cambiamento tra differenti modalità
di psicoterapia.
I risultati di costo efficacia per le due misure di effetto indicano che la
psicoterapia ambulatoriale e di day hospital sono convenienti nella
I risultati di costo
efficacia per le due
misure di effetto
indicano che la
psicoterapia
ambulatoriale e di day
hospital sono
convenienti nella
terapia dei disturbi di
personalità del cluster B
rispetto alla
psicoterapia
ospedaliera
NEWSLETTER
PAGINA 75
terapia dei disturbi di personalità del cluster B rispetto alla psicoterapia
ospedaliera. Le nostre ricerche vanno di pari passo con le poche
evidenze economiche identificate da Brazier e colleghi nella loro review
che valuta il rapporto costo efficacia degli interventi psicologici per i
pazienti borderline (38).
Diverse implicazioni cliniche possono esser tratte dalla nostra analisi. Da
un punto di vista economico, la psicoterapia ambulatoriale e di day
hospital dovrebbero eseere considerate le scelte principali per i pazienti
con disturbi del cluster B, sulla base delle risorse fornite dai finanziatori. E’
da notare che questa conclusione coincide con molti studi di efficacia
(12). Benchè siano stati utilizzati dati paziente, questi sono stati normalizzati
per rapportarli ad una popolazione generale. Pertanto c’è stata una
possibilità limitata di esaminare l’eterogeneità individuale, perciò
sicuramente esistono persone per cui l’intervento ospedaliero è il più
adatto. Inoltre dobbiamo sottolineare che il rapporto costo-efficacia è
solo uno degli aspetti che condizionano le decisioni cliniche, perciò nella
pratica clinica quotidiana devono essere considerati altri fattori, trascurati
nel modello, come le preferenze individuali, l’anamnesi, un insufficiente
supporto sociale. Il nostro studio ha sottolineato come la psicoterapia
ospedaliera possa essere un’opzione efficace ma costosa; studi futuri
dovranno incentrarsi al meglio sulla combinazione paziente-trattamento
adeguato.
Punti di forza e limiti
Il maggior punto di forza di questo studio è l’utilizzo della metodologia e
dei dati paziente per valutare il rapporto costo-efficacia dell’intervento. Il
modello decisionale analitico fornisce una cornice per orientarsi in
condizioni di incertezza. In particolare, permette di confrontare diversi
parametri e dare una previsione al di là del periodo del trial clinico.
Sono state formulate delle premesse in questo modello di analisi. Per far
studiare la durata del modello, il costo dei servizi sanitari dopo la
dimissione è stato moltiplicato per 6.5 così da fornire una stima dei costi
annuali. L’estrapolare questi costi si basa sulla premessa che un periodo di
osservazione di 4 settimane del Tic-P sia rappresentativo di almeno 6 mesi.
Questa premessa era già stata testata nella stessa popolazione in uno
studio precedente, indicando che ad un livello di popolazione non
c’erano differenze significative tra i costi ad un anno o a 4 settimane (5).
Inoltre crediamo che i costi calcolati nel presente studio siano una stima
ragionevole dei costi reali un modello di 6 mesi.
La nostra analisi presenta molti limiti. Primo, il modello è sviluppato
attraverso l’utilizzo di dati di una popolazione “in cerca di terapia”, in
particolare di coloro orientati verso una psicoterapia specializzata nei
disturbi del cluster B. Perciò l’applicabilità dei risultati su pazienti non alla
ricerca di terapia, pazienti con implicazione giudiziarie o individui che
presentano diagnosi in Asse I è limitata. Secondo, benché questi pazienti
abbiano spesso problemi legali, questi costi non sono stati inclusi
nell’analisi, sottostimando i reali costi per la società. Terzo, questo studio
mette a confronto solo 3 modelli di psicoterapia, benché i trattamenti
considerati possano differire in termini di altre caratteristiche come
orientamento teorico e tecniche terapeutiche. Questa limitazione è in
qualche modo meno significativa poiché alcuni studi dimostrano che
l’orientamento teorico come parametro di terapia può giustificare solo
differenze minori negli effetti, che se presenti (39, 40), non sono associate
con i costi. Ciò non è del tutto vero per la durata come parametro di
trattamento; ricerche future dovrebbero orientarsi verso un dosaggio
ottimale in termini di durata del trattamento. Infine le nostre analisi si
basano su trial clinici con uno studio non randomizzato. I pazienti nono
sono stati randomizzati sulle condizioni trattamento, ciononostante,
questo non sia un limite ma un vantaggio in termini di valutazioni
economiche, perché gli studi non randomizzati possono essere
maggiormente significativi nei confronti di costi ed effetti (17, 18). Inoltre,
la randomizzazione tra le opzioni di trattamento esistenti non è più
fattibile, perché una volta che si rendono disponibili i dati sull’efficacia
clinica, i pazienti potrebbero non voler partecipar allo studio solo per
ricerche sui costi. Proprio per questo motivo, lo stesso gruppo di ricerca
la psicoterapia
ambulatoriale e di day
hospital sono
trattamenti ottimali per i
pazienti con un disturbo
del cluster B intermini di
costi per paziente
guarito e costi per
QALY.
PAGINA 76
non è riuscito ad attuare uno studio randomizzato sulle personalità del
cluster C. Per superare il problema del bias di selezione, controlliamo le
differenze iniziali attraverso un metodo di propensity score (329).
Implicazioni
Si può dedurre dall’analisi del nostro modello che la psicoterapia
ambulatoriale e di day hospital siano trattamenti ottimali per i pazienti
con un disturbo del cluster B intermini di costi per paziente guarito e costi
per QALY. La selezione definitiva deve dipendere su quale livello costo
efficacia sia considerato accettabile e quale prospettiva venga
adottata. La decisione se adottare o no una terapia è inevitabilmente
presa in un contesto di incertezza, perciò esiste la possibilità di scegliere il
trattamento inadatto per il paziente. Lavori futuri dovranno includere la
cosiddetta “value of information analysis” che valuta fino a che punto
un’informazione aggiuntiva riduce le probabilità e le conseguenze (costi)
di una decisione sbagliata e paragona il miglioramento con il costo
dell’informazione
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PAGINA 79