Newsletter - Società Italiana di Psicoterapia Medica
Transcript
Newsletter - Società Italiana di Psicoterapia Medica
NUMERO 5 SOCIETA’ ITALIANA DI PSICOTERAPIA MEDICA a cura del Consiglio Direttivo Newsletter Numero 5 Novembre 2010 In questo numero 1 Editoriale 3 Congressi del mese 5 Human Empathy Through the Lens of Social Neuroscience 24 The interplay between biological and psychological factors in determining vulnerability to mental disorders 34 The human mirror neuron system in a population with deficient selfawareness: An fMRI . in alexithymia. 48. Walking a mile in their patients' shoes: empathy and othering in medical students' education 64 Cost-effectiveness psychotherapy for cluster personality disorders of B XL CONGRESSO SIPM “Perchè la psicoterapia conviene”. Nei giorni 9-10-11 aprile 2010 si è tenuto a Palermo il XL Congresso della SIPM. Il Congresso ha affrontato lo status della psicoterapia in un'era in cui la medicina basata sull’evidenza determina ampiamente quello che è da considerare un trattamento efficace. I temi sono stati sviluppati a partire dall’interrogativo su come la psicoterapia potrebbe rispondere alle aspettative di una EBM, preservando contemporaneamente la sua identità e il suo ruolo in psichiatria. Alla luce di varie considerazioni articolate all’interno di un modello bio-psico-sociale (BPS) sono stati quindi affrontati i temi dei costi, della formazione, della organizzazione di un efficace sistema di cure. La psicoterapia a livello economico è un costo produttivo, è un buon investimento perché consente guadagni in termini di risparmi in spese sanitarie e in costi sociali. Il “clima psicoterapico” della relazione consente di migliorare la comprensione del paziente, il senso delle cure e la qualità delle prestazioni. Non prendersi cura del paziente anche sotto il profilo psicologico aumenta i costi diretti e indiretti dell’intervento clinico. La psicoterapia conviene perché è efficace anche come contesto e ambito del progetto terapeutico BPS. Specie nei casi difficili aumenta la resilience e la capacità di coping del paziente e della famiglia promuove la crescita e la maturazione della personalità. L’attitudine picoterapeutica dà senso al lavoro dello psichiatra e previene logoramento e burn out. La partecipazione dei soci è stata come al solito vivace con numerose comunicazioni e dibattiti. All’interno del Congresso sono state tenute le elezioni del nuovo Consiglio Direttivo e nell’Assemblea dei soci è stato approvata la modificazione dello Statuto con l’introduzione nel Consiglio Direttivo stesso delle figure dei probiviri e dei rappresentanti delle sezioni regionali. a cura del Consiglio Direttivo Dalla neurobiologia all’economia : la ricerca sull’efficacia della psicoterapia. Recenti scoperte confermano una base neurale per l’intersoggettività nucleare, un’intersoggettività primaria (Stern 2005): un nucleo sul quale in ultima analisi si fondano fenomeni clinici come l’empatia, l’identificazione e l’interiorizzazione. Gli studi sui mirror neurons delle cui implicanze psicoterapeutiche si è detto nella precedente News Letter SIPM dedicata a Comunicazione e relazione empatica come nucleo del processo di cambiamento in psicoterapia, può portarci lontano nella comprensione , a livello neurale, dell’intersoggettività specie per quanto riguarda la “partecipazione” diretta alla vita mentale, alle azioni e alle emozioni,degli altri (cfr. embodied simulation e intentional attunement). Gli articoli di cui si riportano ampie sintesi in italiano nella presente News Letter SIPM n.5 riguardano ancora principalmente il problema delle acquisizioni neurobiologiche sul ruolo dell’ empatia nella psicoterapia e anche nella formazione degli studenti di medicina alla relazione medico-paziente. a) In Human Empathy Through the Lens of Social Neuroscience Decety e Lamm articolano le prove scientifiche provenienti dalla psicologia sociale e dalle neuroscienze cognitive e discutono come l’empatia coinvolga sia la condivisione delle emozioni (processamento delle informazioni dal basso verso l’alto) sia il controllo esecutivo per regolare e modulare tale esperienza (processamento di informazioni dall’alto verso il basso), con il rinforzo di sistemi neurali specifici ed interagenti. La consapevolezza di una distinzione tra le esperienze proprie e quelle degli altri costituisce un aspetto cruciale dell’empatia: sono discussi studi comportamentali e funzionali di neuroimmagine che mettono in risalto la percezione del dolore negli altri e sottolineano il ruolo dei differenti meccanismi neurali che rinforzano l’esperienza dell’empatia. b) David Goldberg in The interplay between biological and psychological factors in determining vulnerability to mental disorders analizza le recenti ricerche sugli animali che hanno dato nuova luce ai meccanismi e alle conseguenze dell’attaccamento materno, per arrivare comprendere, attraverso le ricerche sull’essere umano, fino a che punto sia possibile attribuire a noi gli stessi meccanismi. E’ chiaro che, mentre alcune caratteristiche dell’adulto sono mediate dai geni, i fattori ambientali PAGINA 2 NEWSLETTER c) Il sistema dei neuroni specchio (MNS) è considerato determinante nell’imitazione e nell’apprendimento del linguaggio e fornisce la base per lo sviluppo di empatia e mentalizzazione. L’alessitimia , che si riferisce ai deficit nell’autoconsapevolezza degli stati emotivi, è stata identificata come associata con una scarsa abilità in vari aspetti delle capacità cognitive sociali come -specialmente l’attaccamento materno-, sono altrettanto importanti. mentalizzazione, empatia cognitiva e perspective-taking. Moriguchi Y, Ohnishi T, et al in The human mirror neuron system in a population with deficient self-awareness: An fMRI study in alexithymia attraverso la risonanza magnetica funzionale hanno misurato il segnale emodinamico per esaminare le differenze nell’attività MNS tra i soggetti alessitimici e non alessitimici in risposta ai classici compiti MNS . I risultati suggeriscono che la risposta neuronale MNS correlata negli individui che totalizzavano alti punteggi per l’alessitimia è associata con la loro insufficiente capacità di distinzione sè-altro. d) Johanna Shapiro in Walking a mile in thei patients' shoes: empathaty and othering in medical students' education esplora l’empatia per le sue potenzialità nell’educazione dei medici. Gli studenti di medicina hanno reazioni emotive complesse e molto spesso irrisolte nei confronti dell’ umana vulnerabilità alla malattia, alla disabilità, alla decadenza ed, in definitiva, alla morte; tutte situazioni, queste, che essi devono affrontare all’interno del processo di cura del paziente. Gli attuali assunti circa la capacità di proteggere, controllare e risanare contrastano in modo profondo con le culture istituzionali della biomedicina tradizionale e possono creare barriere alla relazione empatica. In mancanza di appropriate dissertazioni su come gestire, a livello emotivo, aspetti angoscianti della condizione umana, è probabile che gli studenti ricorrano a meccanismi di coping come la distanza, il distacco e il disimpegno. Questo articolo suggerisce la necessità di un paradigma epistemologico che aiuti gli allievi a sviluppare tolleranza nei confronti della propria e dell’altrui imperfezione e accettare la vulnerabilità emotiva condivisa e la sofferenza, riconoscendo allo stesso tempo l’esistenza della differenza. e) Infine anche in riferimento al XL Congresso della nostra SIPM “Perchè conviene la psicoterapia?” della primavera scorsa a Palermo riportiamo un complesso e recente studio di Soeteman, Verheul et al. Cost-effectiveness of psychotherapy for cluster B personality disorders. appena pubblicato su Br J Psychiatry. Utilizzando un modello decisionale, gli autori hanno stimato il rapporto costo/efficacia di 3 modelli di psicoterapia - ambulatoriale, day hospital e ospedaliera per i disturbi di personalità del cluster B su un orizzonte di 5 anni, sia dal punto di vista sociale che dal punto di vista dei fornitori di servizi. Per quanto ne sappiamo, questo è il primo studio di costoefficacia su questo tipo di popolazione svolto secondo un modello decisionale. Le ricerche degli autori dimostrano che quando i finanziamenti non superano i 12274 € per anno/paziente guarito, la psicoterapia ambulatoriale mantiene i più alti vantaggi al netto. Se i finanziamenti superano i 12274 € per paziente guarito, la scelta migliore è la psicoterapia in day hospital. E’ da osservare che la psicoterapia ospedaliera non viene considerata la scelta migliore se i finanziamenti sono inferiori a 113298 €. L’uso dei QALYs (Quality Adjusted Life Year , unità di valutazione della durata della vita in combinazione con la sua qualità) come misura di outcome permette la comparazione degli oneri tra diverse patologie. La psicoterapia ambulatoriale può essere identificata come quella con il migliore rapporto costo-efficacia e perciò l’opzione migliore poiché fornisce i maggiori vantaggi al di sotto di questa soglia di finanziamento. *** L’approccio neurobiologico sembra incoraggiare la ricerca sul modo di procedere nel profondo, operante fuori della coscienza, della psicoterapia. Queste indagini sono infatti critiche per individuare il nucleo dei fattori di cambiamento, specialmente al fine di attivarli precocemente , più ancora che per fare evidenza sull’efficacia. Anche la ricerca sul problema costo/efficacia sta rendendo visibile come in una psichiatria di per sé biopsicosociale come quella attuale, la psicoterapia sia un investimento conveniente; spesso - specie nei casi difficilinon utilizzare la psicoterapia è un costo, oltre che un’omissione etica e di buona pratica clinica. In Italia le promesse di inserire la psicoterapia nei Livelli Essenziali di Assistenza sono rimaste tali, come pure i disegni di legge che prevedevano di organizzare anche da un punto di vista economico la psicoterapia nei Servizi di Salute Mentale… . Human Empathy Through the Lens of Social Neuroscience Jean Decety* and Claus Lamm, The ScientificWorld Journal (2006) 6, 1146–1163 The interplay between biological and psychological factors in determining vulnerability to mental disorders David Goldberg Psychoanalitic Psychoterapy,Vol 13,No3,September 2009, 236 – 247 The human mirror neuron system in a population with deficient self-awareness: An fMRI . in alexithymia. Moriguchi Y,et al Hum Brain Mapp. 2009 Jul;30(7):2063-76. Walking a mile in their patients' shoes: empathy and othering in medical students' education Johanna Shapiro Philosophy, Ethics, and Humanities in Medicine 2008,3:10 Cost-effectiveness of psychotherapy for cluster B personality disorders Djøra I. Soeteman, et a Br J Psychiatry. 2010 May;196(5):396-403 NEWSLETTER PAGINA 3 In rilievo: congressi • 12 novembre, 2010 IL SONNO TRA SOMA E PSICHE BENESSERE PSICOLOGICO E CORRELAZIONI ORGANICHE La partecipazione e’ gratuita Inviare la scheda di iscrizione via fax o e-mail alla Segreteria Organizzativa: Facoltà di Medicina e Chirurgia San Luigi Gonzaga Fax 011.670.5704 – 011.902.6595 [email protected] • Sabato 20 novembre 2010 LE APPLICAZIONI CLINICHE DELLA MINDFULNESS IL PROGRAMMA M.B.S.R. E LE PSICOTERAPIE PSICODINAMICHE INDIVIDUALI Relatore: Prof. Gherardo Amadei Discussant: Prof. Andrea Ferrero E' stato richiesto accreditamento ECM per la figura professionale dello psicoterapeuta medico e psicologo Per informazioni e prenotazioni: S.A.I.G.A. Società Adleriana Italiana Gruppi e Analisi SCUOLA S.A.I.G.A. DI INDIVIDUAL PSICOLOGIA PER PSICOTERAPEUTI ISTITUTO DI RICERCA S.A.I.G.A. Via Principe Amedeo 16, 10123 Torino Tel. +39 011 8129274 - Fax. +39 011 8140252 E-mail: [email protected] - Web: www.saiga.it LA PSICOTERAPIA DINAMICO ESPERENZIALE INTENSIVA in Teoria ed in Video Ciclo di Seminari di Ferruccio OSIMO 20 Ottobre 2010 10 Novembre 2010 1 Dicembre 2010 Evento in accreditamento ECM Regione Piemonte per Medici e Psicologi Quota di ISCRIZIONE (numero chiuso 50 posti) 3 seminari 200 euro + IVA; 1 seminario 90 euro + IVA SEGRETERIA ORGANIZZATIVA Facoltà di Medicina e Chirurgia San Luigi Gonzaga Ufficio Formazione ed ECM Tel. 011.6705492 Fax 011..6705704, E-mail: [email protected] PAGINA 4 Consiglio direttivo: Presidente: Gianpaolo PIERRI Segretario: Alberto MERINI Tesoriere: Maria ZUCCOLIN Probiviri : Giuseppe BALLAURI Italo CARTA Marco COLAFELICE NEWSLETTER consiglieri: Domenico BERARDI Vanna BERLINCIONI Daniela BOLELLI Secondo FASSINO Pier Maria FURLAN Filippo GABRIELLI Arcangelo GIAMMUSSO Davide LA BARBERA NEWSLETTER PAGINA 5 Jean Decety and Claus Lamm Human Empathy Through the Lens of Social Neuroscience TheScientificWorld Journal (2006) 6, 1146–1163 Abstract Empathy is the ability to experience and understand what others feel without confusion between oneself and others. Knowing what someone else is feeling plays a fundamental role in interpersonal interactions. In this paper, we articulate evidence from social psychology and cognitive neuroscience, and argue that empathy involves both emotion sharing (bottom-up information processing) and executive control to regulate and modulate this experience (top-down information processing), underpinned by specific and interacting neural systems. Furthermore, awareness of a distinction between the experiences of the self and others constitutes a crucial aspect of empathy. We discuss data from recent behavioral and functional neuroimaging studies with an emphasis on the perception of pain in others, and highlight the role of different neural mechanisms that underpin the experience of empathy, including emotion sharing, perspective taking,and emotion regulation Introduzione Tra le varie forme di connessioni emotive con gli altri, l’empatia ha ricevuto molta attenzione da parte dei filosofi e degli psicologi e più recentemente dagli scienziati neurocognitivi. “Empatia” denota, a un livello fenomenologico di descrizione, un senso di somiglianza tra i sentimenti che un individuo prova e quelli espressi dagli altri. Può essere immaginata come un’interazione tra due individui con uno dei due che prova e condivide il sentimento dell’altro. Ancora, la condivisione di sentimenti non è sufficiente per scatenare l’empatia. Molti studiosi vedono l’empatia come un’emozione sociale orientata agli altri (vedi Tabella 1). Inoltre, le situazioni sociali ed emotive che scatenano l’empatia possono diventare abbastanza complesse e dipendono dai sentimenti provati da chi osserva e dalla relazione con l’osservato. In più, numerosi studi hanno documentato che l’empatia gioca un ruolo centrale nel ragionamento morale, motiva comportamenti prosociali e inibisce l’aggressione verso gli altri. Batson e colleghi hanno proposto un’ipotesi di empatia-altruismo che dichiara che un’azione puramente altruistica può ragionevolmente accadere a patto che sia preceduta dalla preoccupazione empatica per gli altri. La preoccupazione “Empatia” denota, a un livello fenomenologico di descrizione, un senso di somiglianza tra i sentimenti che un individuo prova e quelli espressi dagli altri l’empatia gioca un ruolo centrale nel ragionamento morale, motiva comportamenti prosociali e inibisce l’aggressione verso gli altri. PAGINA 6 NEWSLETTER empatica è definita come una reazione emotiva caratterizzata da sentimenti quali compassione, tenerezza, bontà di cuore e simpatia. L’obiettivo di questo articolo è di articolare diversi livelli di analisi del costrutto dell’empatia, incluse le neuroscienze cognitive ed evolutive e le descrizioni psicologiche sociali. Crediamo che congiungere questi livelli – le capacità delle neuroscienze sociali - possa consentire una migliore comprensione di un aspetto del comportamento umano così complicato. Unire la psicologia sociale e le neuroscienze cognitive fornisce linee guida importanti per indagare i processi neurali che sono alla base dell’empatia. Inoltre, le neuroscienze cognitive possono aiutare a dirimere le teorie della psicologia sociale in competizione; per esempio, prendendo in considerazione gli effetti dell’acquisizione di prospettive sull’empatia e l’angoscia personale. A questo fine, invece di considerare ogni dominio di ricerca separatamente, la nozioni teoretiche e i ritrovamenti dei diversi approcci saranno ordinati con la guida di una cornice concettuale (vedi Figura 1). Questa cornice considera l’empatia come un costrutto che fa affidamento su un senso di somiglianza nei sentimenti provati da se stessi e dagli altri (tali traslazioni vanno in entrambe le direzioni, da se stessi agli altri e dagli altri verso se stessi), senza confusione tra i due agenti. L’esperienza dell’empatia spesso (ma non sempre) ha come risultato la simpatia (preoccupazione per un altro basata sull’apprensione o sulla comprensione dello stato o condizione emotivi dell’altro), anche se questo può portare a un’iperattivazione empatica (o angoscia personale, una reazione avversiva, auto-centrata all’apprensione o comprensione dello stato o condizione emotivi dell’altro). Il nostro modello di empatia coinvolge il processamento delle informazioni sia dal basso verso l’alto sia dall’alto verso il basso. Inoltre, esso combina aspetti rappresentazionali, per esempio ricordi che sono localizzati in reti neuronali distribuite che codificano le informazioni e, quando temporaneamente attivate, rendono possibile l’accesso a queste informazioni archiviate, come anche i processi, per esempio le procedure computazionali che sono localizzate e sono indipendenti dalla natura o dalla modalità dello stimolo che viene processato. Le radici evolutive dell’empatia Preston e de Waal hanno discusso convincentemente che l’empatia non è un fenomeno tutto-o-nulla ed esistono molte forme di empatia intermedie tra gli estremi della pura agitazione per il dolore altrui e la piena comprensione della loro condizione. Altri psicologi comparativi vedono l’empatia come un modo di induzione di processo con cui le emozioni, sia positive sia negative, sono condivise e con cui le probabilità di comportamenti simili sono accresciuti negli osservatori. Mentre certi primati non umani potrebbero condividere i sentimenti tra individui, gli umani sono i soli capaci di sentire intenzionalmente per qualcuno e agire al posto di altre persone le cui esperienze potrebbero differire molto dalle proprie. Tale capacità potrebbe aiutare a spiegare perché la preoccupazione empatica è spesso associata con comportamenti prosociali quali l’aiuto a un familiare ed è stata considerata cruciale per l’altruismo. I biologi evolutivi suggeriscono che il comportamento di aiuto empatico si è evoluto per il suo contributo al benessere genetico (selezione del ceppo). Negli uomini e in altri mammiferi, l’impulso a prendersi cura della discendenza è quasi sicuramente strettamente deciso geneticamente. E’ comunque meno chiaro se l’impulso a prendersi cura dei fratelli, della parentela più remota e dei simili non parenti sia decisa strettamente geneticamente. L’emergere dell’altruismo, dell’empatizzare con e del prendersi cura degli altri che non sono parenti non è spiegata facilmente dalla cornice delle teorie neo-Darwiniane della selezione naturale e inoltre le spiegazioni dell’apprendimento sociale dei pattern di famiglia sono altamente plausibili nel comportamento di aiuto umano. Inoltre, uno dei più importanti aspetti dell’empatia umana è che può essere provata virtualmente per qualsiasi individuo, anche se di specie diversa. Oltretutto, questa visione evolutiva concettuale è compatibile con l’ipotesi che livelli avanzati di cognizione sociale potrebbero aver fatto L’esperienza dell’empatia spesso (ma non sempre) ha come risultato la simpatia (preoccupazione per un altro basata sull’apprensione o sulla comprensione dello stato o condizione emotivi dell’altro), anche se questo può portare a un’iperattivazione empatica (o angoscia personale, una reazione avversiva, autocentrata all’apprensione o comprensione dello stato o condizione emotivi dell’altro). Mentre certi primati non umani potrebbero condividere i sentimenti tra individui, gli umani sono i soli capaci di sentire intenzionalmente per qualcuno e agire al posto di altre persone le cui esperienze Durante la nostra attività potrebbero differire lavorativa, non solo molto dalle proprie. riceviamo richieste per apportare modifiche al corso di studi, ma anche appelli volti ad ottenere trasformazioni istituzionali e svolte culturali NEWSLETTER nascere una proprietà emergente di potenti funzionamenti esecutivi assistiti dalle proprietà rappresentazionali del linguaggio. Comunque, questi più alti livelli operano su quelli precedenti di organizzazione e non dovrebbero essere visti come indipendenti o in conflitto. L’evoluzione ha costruito strati di complessità crescente, da meccanismi non rappresentazionali e rappresentazionali o meta-rappresentazionali che necessitano di essere tenuti in conto per una piena comprensione dell’empatia umana. Le rappresentazioni, in questo contesto, sono definite come pattern di attivazione paralleli distribuiti che verosimilmente si scatenano in risposta a un dato stimolo. Queste reti neurali codificano informazioni e, quando attivate temporaneamente, rendono possibile l’accesso a informazioni registrate. Questa natura distribuita dei processamenti sociali pone una sfida nella comprensione delle neuroscienze della cognizione sociale in generale e dell’empatia in particolare. In più, i concetti psicologici sociali, quali l’empatia, non corrispondono necessariamente a processi neurali. Le relazioni tra i processi psicologici e biologici non possono essere pienamente comprese tramite indagini a un livello singolo di organizzazione. Inoltre, la ricerca a più livelli è necessaria per creare connessioni tra discipline e in ultimo per raggiungere davvero le neuroscienze sociali interdisciplinari. I circuiti neurali condivisi tra se stessi e gli altri I comportamenti prosociali potrebbero abbondare per le rappresentazioni sincronizzate tra se stessi e gli altri. La componente iniziale che precede l’empatia conduce alla mimica somatica anche conosciuta come contagio emotivo, per esempio la tendenza a mimare automaticamente e a sincronizzare le espressioni faciali, le vocalizzazioni, le posture e i movimenti con quelli di un’altra persona e conseguentemente di convergere emozionalmente. Le ricerche dimostrano che vedere espressioni faciali scatena espressioni sulla faccia di ognuno, anche in assenza di un riconoscimento conscio dello stimolo. E’ stato discusso che inizialmente tale mimica inconscia comportamentale potrebbe aver avuto una valore in un’ottica di sopravvivenza nell’aiuto per la comunicazione umana. Tale proposta è in linea con gli esperimenti di psicologia sociale che mostrano che gli uomini tendono a imitare inconsciamente i comportamenti degli altri; questo conduce a interazioni più lineari e a un maggiore piacersi. E’ interessante notare che le persone con livelli più alti di empatia mostrano questo effetto, cosiddetto camaleonte, di maggiore ampiezza. E’ stato anche dimostrato che una mimica comportamentale inconscia aumenta il legame che serve a incoraggiare le relazioni con gli altri. Le registrazioni elettrofisiologiche nelle scimmie così come gli esperimenti di neuroimaging negli uomini hanno mostrato che l’osservazione di azioni svolte dagli altri attiva le rappresentazioni motorie corticali in se stessi. Il sistema a specchio umano è formato da una rete corticale motoria composta dalla parte rostrale del lobulo parietale inferiore, dal settore caudale (pars opercularis) del giro frontale inferiore, così come da parti della corteccia premotoria. Tale meccanismo di percezione-azione automatica ha una valenza adattativa per la sopravvivenza degli individui. Per esempio, uno studio di fMRI ha mostrato che l’osservazione di espressioni corporee di paura non solo produce un’aumentata attività nelle aree cerebrali associate con i processi emotivi, ma anche in aree collegate con la rappresentazione di azioni e movimenti. Inoltre, il meccanismo del contagio della paura prepara automaticamente il cervello all’azione. Prove accumulate suggeriscono che circuiti neurali simili sono stimolati quando gli uomini provano emozioni e quando percepiscono le emozioni espresse dagli altri. Per esempio, l’insula anteriore si attiva in risposta alla visione di espressioni faciali disgustate degli altri così come dall’esperienza di disgusto in prima persona. Un esperimento condotto all’fMRI dimostra che quando si chiede ai partecipanti di osservare o di imitare le espressioni faciali di varie emozioni, si rivela esserci un’aumentata attività neurodinamica nel solco temporale superiore, nell’insula anteriore e nell’amigdala, così come in aree della corteccia premotoria corrispondenti alla rappresentazione dei volti. Un altro studio ha mostrato PAGINA 7 I concetti psicologici sociali, quali l’empatia, non corrispondono necessariamente a processi neurali. Le relazioni tra i processi psicologici e biologici non possono essere pienamente comprese tramite indagini a un livello singolo di organizzazione Gli uomini tendono a imitare inconsciamente i comportamenti degli altri; questo conduce a interazioni più lineari e a un maggiore piacersi. E’ interessante notare che le persone con livelli più alti di empatia mostrano questo effetto, cosiddetto camaleonte, di maggiore ampiezza. E’ stato anche dimostrato che una mimica comportamentale inconscia aumenta il legame che serve a incoraggiare le relazioni con gli altri. PAGINA 8 NEWSLETTER che l’osservazione della mano di tutti i giorni e di azioni faciali eseguite con emozione recluta le regioni coinvolte nella percezione e nell’esperienza di emozioni e nella loro comunicazione. Gli autori di questo studio dicono che, in aggiunta alla risonanza indotta nel programma motorio necessaria per eseguire un’azione, guardare un’azione fatta con emozione induce una risonanza nel sistema emotivo responsabile per la modulazione affettiva del programma motorio. Tale meccanismo potrebbe anche essere una chiave per comprendere come l’altra persona senta e le sua intenzioni associate. L’apparente meccanismo accoppiato azione-percezione nel contagio emotivo sembra anche contribuire alla nostra abilità di percepire e comprendere il dolore altrui. Studi di neuroimaging funzionale su volontari sani rivelano che le aree cerebrali implicate nel processamento degli aspetti affettivi e motivazionali del dolore mediano l’osservazione del dolore negli altri. In uno studio, i partecipanti nello scanner hanno ricevuto stimoli dolorosi in alcuni trials e, in altri trials, hanno osservato un segnale al quale il loro partner, presente nella stessa stanza, avrebbe ricevuto lo stesso stimolo. L’esperienza di prima-mano del dolore ha prodotto un’attivazione della corteccia somatosensitiva che codifica la dimensione discriminativa sensitiva di uno stimolo doloroso quale la sua localizzazione sul corpo e la sua intensità. Durante entrambi i trials, erano attivati la corteccia cingolata anteriore (ACC), l’insula anteriore e il cervelletto. E’ interessante notare che queste regioni contribuiscono al processamento affettivo e motivazionale dello stimolo doloroso, per esempio agli aspetti del dolore che pertengono ai desideri, alle spinte o agli impulsi ad evitare o porre termine a un’esperienze dolorosa. Risultati simili sono stati riportati anche da Morrison e colleghi che hanno scannerizzato i partecipanti durante una condizione di stimolo a puntura di spillo moderatamente doloroso alla punta delle dita e in un’altra condizione in cui hanno testimoniato allo stesso stimolo doloroso effettuato su una mano altrui. Entrambe le condizioni hanno avuto come risultato una comune attività emodinamica in un’area collegata al dolore nell’ACC dorsale destra. Le attività comuni in risposta a stimoli nocivi tattili e visivi erano relative all’area 24b di Broadmann destra inferiore. In contrasto, la corteccia primaria somatosensitiva ha mostrato attivazioni significative in risposta a stimoli nocicettivi tattili, ma non visivi. I pattern diversi di risposta nelle due aree sono in linea con il ruolo dell’ACC nel codificare la dimensione motivazionale-affettiva del dolore che è associata con la preparazione comportamentale ad eventi avversi. Questi ritrovamenti sono supportati da uno studio di fMRI in cui ai partecipanti erano mostrate fotografie che ritraevano mani e piedi destri in situazioni di vita quotidiana dolorose o neutrali e a loro veniva chiesto di immaginare il livello di dolore che tali situazioni stavano producendo. Erano indagate attivazioni significative nelle regioni coinvolte nell’aspetto affettivo del processamento del dolore, ma non c’era cambiamento di segnale nella corteccia somatosensitiva. Inoltre, il livello di attivazione dell’ACC era strettamente correlato con la valutazione soggettiva del dolore attribuito alle diverse situazioni. Recentemente, studi di stimolazione transcranica magnetica (TMS) hanno riportato cambiamenti nelle rappresentazioni corticospinali motorie dei muscoli della mano negli individui che osservavano aghi che penetravano mani o piedi di un modello umano, indicando che l’osservazione del dolore può coinvolgere le rappresentazioni sensomotorie. Comunque, queste scoperte sono in rapporto con gli studi di fMRI dell’empatia per il dolore che non hanno trovato cambiamenti nella corteccia sensomotoria durante la percezione del dolore in altri. Una spiegazione per questa discrepanza è che il metodo di TMS coglie sottili cambiamenti nella corteccia sensomotoria che esistono al di sotto della soglia di significatività nelle tecniche di fMRI. Un’altra possibilità è che assistere a una specifica parte del corpo scateni un’attività somatosensitiva nella regione corrispondente. Questo è stato dimostrato in uno studio di tomografia a emissione di positroni in cui i partecipanti erano istruiti a concentrare la propria attenzione sia sulla spiacevolezza sia sulla localizzazione dello stimolo doloroso condotto sulle mani dei partecipanti con la seconda condizione che risultava in un aumentato Un esperimento condotto all’fMRI dimostra che quando si chiede ai partecipanti di osservare o di imitare le espressioni faciali di varie emozioni, si rivela esserci un’aumentata attività neurodinamica nel solco temporale superiore, nell’insula anteriore e nell’amigdala, così come in aree della corteccia premotoria corrispondenti alla rappresentazione dei volti Il metodo di TMS coglie sottili cambiamenti nella corteccia sensomotoria che esistono al di sotto della soglia di significatività nelle tecniche di fMRI. NEWSLETTER flusso regionale cerebrale nella corteccia somatosensitiva primaria controlaterale. Prove correnti inoltre suggeriscono che la semplice osservazione di un altro individuo in una condizione di dolore porta risposte correlate al dolore nella rete neurale associata con la codifica della dimensione motivazionale-affettiva del dolore in ciascuno e potrebbe includere la corteccia somatosensitiva come dimostrato dall’esperimento alla TMS. Il ritrovamento di una forte sovrapposizione tra esperienze del dolore in prima persona e la percezione del dolore negli altri sembra suggerire una congruenza totale tra se stessi e un’esperienza altrui. Comunque, questa assunzione è superficiale, poiché non sentiamo letteralmente il dolore degli altri in tali situazioni. Approfondimenti derivanti da studi anatomici correlati all’esperienza del dolore e alla sua percezione aiutano a chiarire questo punto. Studi di neuroimaging di esperienze in prima persona e di percezione del dolore negli altri indicano una parziale sovrapposizione nell’ACC e nell’insula anteriore, ma anche in aree specifiche che non si sovrappongono e che appartengono alla matrice del dolore. L’esperienza in prima persona del dolore è associata con attivazioni più caudali (BA24), in linea con le proiezioni nocicettive spinotalamiche, mentre la percezione del dolore negli altri è rappresentata in regioni più rostrali (e dorsali; BA32), più vicine alle vie prefrontali. Una simile organizzazione rostrocaudale è osservata nell’insula, in cui risposte dolorespecifiche sono osservate in parti più mediali e posteriori, mentre l’osservazione del dolore porta ad aumenti nell’insula anteriore. Le sensazioni dolorose possono essere evocate solo stimolando la parte posteriore dell’insula, mentre l’applicazione di correnti elettriche all’insula anteriore non ha avuto come risultato dolore. E’ interessante notare che le localizzazioni somestesiche delle stimolazioni dolorose e non, si sono molto sovrapposte, indicando un ruolo non specifico dell’insula nell’esperienza del dolore in prima persona. Dovrebbe anche essere notato che la rete neurale coinvolta nella percezione del dolore negli altri (ACC e insula anteriore) non è specifico per il processamento del dolore. Questa rete è anche implicata nel disgusto e più in generale in situazioni che possono mettere a rischio l’individuo e che possono scatenare risposte viscerali e somatosensitive. Similarmente, l’attivazione nell’ACC mediale congiuntamente con l’area motoria pre-supplementare (SMA) non è necessariamente specifico per l’esperienza emotiva del dolore (sia altrui sia in prima persona), ma è correlata a vari altri processi quali il monitoraggio somatico, la valutazione negativa degli stimoli e la selezione di movimenti muscolo scheletrici appropriati di avversione. Inoltre, sembra probabile che le rappresentazioni neurali condivise nella parte affettiva-motivazionale della matrice del dolore non siano specifiche per le qualità sensitive del dolore, ma siano associate con meccanismi di sopravvivenza più generali quali l’avversione e la ritirata. L’acquisizione di prospettiva e l’empatia Come notato sopra, le abilità empatiche umane sono più sofisticate rispetto al semplice appaiamento di percezioni di se stessi e degli altri. Nel 18° secolo, il filosofo Scottish e l’economista Adam Smith hanno proposto che attraverso l’immaginazione ci mettiamo nelle situazioni degli altri, come se fosse proprio nel corpo altrui e diventiamo in qualche modo la stessa persona. Con l’immaginazione, arriviamo a provare sensazioni che generalmente sono simili, anche se tipicamente di minor intensità, a quelle dell’altra persona. Questa capacità di acquisire ruoli è stata teoricamente collegata allo sviluppo dell’empatia, al ragionamento morale e più in generale al comportamento prosociale. Diversamente dalla mimica motoria e dagli aspetti del contagio emotivo, l’acquisizione di prospettive si sviluppa più tardi, probabilmente perché conduce fortemente alla maturazione di funzioni esecutive (per esempio, i processi che servono a monitorare e controllare pensieri e azioni, inclusi l’autoregolazione, la pianificazione, la flessibilità cognitiva, l’inibizione di risposta e la resistenza alle interferenze) della corteccia prefrontale che continua a maturare dalla nascita all’adolescenza. E’ interessante notare che lo sviluppo della comprensione dello stato mentale proprio e altrui è PAGINA 9 l’attivazione nell’ACC mediale congiuntamente con l’area motoria presupplementare (SMA) non è necessariamente specifico per l’esperienza emotiva del dolore (sia altrui sia in prima persona), ma è correlata a vari altri processi quali il monitoraggio somatico, la valutazione negativa degli stimoli e la selezione di movimenti muscolo scheletrici appropriati di avversione E’ interessante notare che lo sviluppo della comprensione dello stato mentale proprio e altrui è collegato funzionalmente a quello delle funzioni esecutive La ricerca nelle neuroscienze cognitive dimostra che quando si chiede agli individui di adottare la prospettiva altrui, i circuiti neurali comuni sono attivati sia per se stessi sia per gli altri. PAGINA 10 collegato funzionalmente a quello delle funzioni esecutive. Ci sono chiare prove crescenti di un collegamente specifico di sviluppo tra lo sviluppo della teoria-della-mente e un aumentato auto-controllo all’età di circa 4 anni. Carlson e Moses hanno convincentemente documentato il contributo delle funzioni esecutive, specialmente del controllo inibitorio, sia nella nascita sia nell’espressione dell’attribuzione di uno stato mentale nei bambini. L’abilità dell’acquisizione di prospettiva ci consente di soprassedere al nostro abituale egocentrismo, di calibrare i nostri comportamenti alle aspettative altrui e inoltre di rendere possibili relazioni interpersonali soddisfacenti. In linea con questo ragionamento, la ricerca nelle neuroscienze cognitive dimostra che quando si chiede agli individui di adottare la prospettiva altrui, i circuiti neurali comuni sono attivati sia per se stessi sia per gli altri. Comunque, prendere l’altrui prospettiva risulta in specifiche attivazioni di parti della corteccia frontale che sono implicate nel controllo esecutivo. E’ stato ipotizzato che il ruolo dei lobi frontali potrebbe essere di mantenere prospettive separate o di resistere alle interferenze tra differenti prospettive. In uno studio di neuroimaging funzionale ai partecipanti erano presentati brevi frasi scritte che descrivevano situazioni di vita reale (per esempio, qualcuno che apre la porta del bagno che ci si era dimenticati di chiudere) che sono in grado di produrre emozioni sociali (per esempio, vergogna, colpa, orgoglio), o altre situazioni che erano emotivamente neutrali. In una condizione, ai partecipanti veniva chiesto di immaginare come si sarebbero sentiti se loro avessero provato tali situazioni, anche se in altre condizioni, e di immaginare come si sarebbero sentite le loro madri. I tempi di reazione erano significativamente più lunghi quando i soggetti avevano immaginato situazioni cariche emotivamente se comparate a quelle neutrali, sia dalla loro prospettiva sia da quella delle loro madri. I cambiamenti neurodinamici erano indagati nella corteccia frontopolare, in quella ventromediale, in quella prefrontale mediale e nel lobulo parietale inferiore quando i partecipanti hanno adottato la prospettiva delle loro madri, senza tenere in considerazione il contenuto affettivo della situazione descritta. Le regioni corticali che sono coinvolte nei processi emotivi si attivavano nelle condizioni che coinvolgevano situazioni cariche emotivamente, inclusi l’amigdala e i poli temporali. In uno studio recente con la fMRI, ai partecipanti venivano mostrate figure di persone con piedi o mani in situazioni dolorose o no con le istruzioni di immaginare se stessi o di immaginare un altro individuo nelle stesse condizioni. Sia l’auto-prospettiva sia quella altrui erano associate con un’attivazione nella rete neurale coinvolta nel processamento del dolore, inclusi l’opercolo parietale, l’ACC e l’insula anteriore. Questi risultati hanno rivelato le somiglianze nelle reti neurali che rappresentano le informazioni in prima e terza persona che è in linea con il rapporto delle rappresentazioni condivise dell’interazione sociale. Comunque, l’autoprospettiva ha condotto a tassi di dolore più alti e ha coinvolto la matrice del dolore più estesamente nella corteccia somatosensitiva secondaria, nella parte posteriore dell’ACC e nell’insula mediale. Inoltre, questi risultati sottolineano importanti differenze tra l’auto-prospettiva e quella altrui. Per esempio, mentre l’insula anteriore e l’ACC sono attivate entrambe quando i partecipanti immaginano il proprio dolore o quello altrui, l’autoprospettiva è specificamente associata con gruppi non sovrapponibili tra l’insula mediale, un altro settore dell’ACC e la corteccia parietale destra. Di particolare interesse sono alcuni ritrovamenti dalla psicologia sociale che provano la distinzione tra immaginare gli altri ed immaginare se stessi. Questi studi mostrano che nel primo caso si può evocare preoccupazione empatica (definita come una risposta orientata verso gli altri congruente con il dolore percepito di una persona in condizione di bisogno), mentre nel secondo caso si inducono sia preoccupazione empatica sia dolore personale (per esempio, una risposta emotiva avversiva auto-orientata quale ansia o sconforto). Questa osservazione potrebbe aiutare a spiegare perché l’empatia o la condivisione delle emozioni o dei bisogni di qualcuno non aumentano i comportamenti prosociali. Se percepire un’altra persona in una circostanza emotivamente o fisicamente dolorosa scatena distress personale, allora l’osservatore potrebbe avere la NEWSLETTER E’ stato ipotizzato che il ruolo dei lobi frontali potrebbe essere di mantenere prospettive separate o di resistere alle interferenze tra differenti prospettive La proiezione di un individuo in situazioni avversive conduce a un distress personale aumentato e a una minore preoccupazione empatica, mentre la concentrazione sulle reazioni emotive e comportamentali della condizione altrui si accompagna a una maggiore preoccupazione empatica e a un minore distress personale. I dati del neuroimaging sono in linea con questi ritrovamenti. NEWSLETTER tendenza a non assistere pienamente all’esperienza altrui e come risultato si ha la mancanza di comportamenti simpatetici. Mettendo insieme numerose misurazioni comportamentali e fMRI correlate a un evento, un recente studio del nostro gruppo ha indagato la distinzione tra preoccupazione empatica e distress personale usando un set di stimoli ecologici ed estesamente validati. Questo studio ha ulteriormente dimostrato che, in base alla prospettiva adottata, l’osservazione di altre persone in condizioni di dolore scatenerà sia preoccupazione empatica sia distress personale e che questa risposta orientata verso se stessi o verso gli altri recluta reti neurali differenti. Ai partecipanti veniva chiesto di guardare una serie di videoclip che rappresentavano pazienti sottoposti a trattamenti medici dolorosi con l’istruzione sia mettersi nei panni del paziente (“immaginare se stessi”) o, in una seconda condizione, di concentrare la loro attenzione sui sentimenti e sulle reazioni del paziente (“immaginare l’altro”). Misure comportamentali hanno confermato precedenti ritrovamenti della psicologia sociale per cui la proiezione di un individuo in situazioni avversive conduce a un distress personale aumentato e a una minore preoccupazione empatica, mentre la concentrazione sulle reazioni emotive e comportamentali della condizione altrui si accompagna a una maggiore preoccupazione empatica e a un minore distress personale. I dati del neuroimaging sono in linea con questi ritrovamenti. L’autoprospettiva ha evocato risposte emodinamiche più forti nelle regioni cerebrali coinvolte nel codificare le dimensioni motivazionali-affettive del dolore, inclusa la corteccia insulare bilaterale e la corteccia cingolata mediale anteriore (aMCC). In più, l’auto-prospettiva era associata con maggiori attivazioni dell’amigdala. Questa struttura limbica gioca un ruolo critico nei comportamenti correlati alla paura, quali la valutazione delle minacce attuali o potenziali. E’ interessante notare che l’amigdala riceve informazioni nocicettive dal sistema del dolore spino-parabrachiale e dall’insula e la sua attività sembra strettamente connessa al contesto e al livello di avversione dello stimolo percepito. Immaginare se stessi in una situazione dolorosa e potenzialmente pericolosa inoltre scatena una risposta avversiva o paurosa più forte rispetto a immaginare qualcun altro nella stessa situazione. Alternativamente e meno specificamente il coinvolgimento forte dell’amigdala potrebbe anche riflettere un’attivazione generale dell’arousal evocata dall’immaginare se stessi in una situazione dolorosa. Riguardo all’attivazione insulare è importante notare che era localizzata nella sezione medio-dorsale dei quest’area. Questa parte dell’insula gioca un ruolo nella codifica degli aspetti sensomotori della stimolazione dolorosa ed ha forti connessioni con i gangli della base in cui l’attività era anche maggiore quando veniva adottata l’auto-prospettiva. Nel complesso, l’attività in questa parte dell’insula possibilmente riflette la simulazione degli aspetti sensitivi dell’esperienza dolorosa. Tale stimolazione potrebbe condurre alla mobilizzazione delle aree motorie (inclusa la SMA) per preparare comportamenti difensivi o di ritirata e al monitoraggio enterocettivo associato con i cambiamenti autonomici evocati da questo processo di simulazione. Questi dati ricevono ulteriore supporto da un altro studio del nostro gruppo in cui l’attività in una parte simile dell’insula era anche maggiore quando i partecipanti adottavano l’auto-prospettiva. Nell’insieme, questi dati empirici dimostrano le somiglianze nelle rappresentazioni affettive di se stessi e degli altri, derivando da circuiti neurali condivisi che possono essere attivati dall’azione dell’acquisizione di prospettiva. Questi dati combaciano anche con la teoria della simulazione che dichiara che il comportamento può esser simulato attivando le stesse risorse neurali per agire e percepire. Comunque, ci sono anche alcune importanti differenze nei sistemi neurali attivati coinvolti nelle prospettive di prima e di terza persona che vanno contro la proposta di una completa fusione tra se stessi e gli altri. Nel caso di percezione del dolore negli altri, il controllo esecutivo potrebbe essere necessario per inibire il distress provato da se stessi e consentire una piena considerazione, non egocentrica e auto-regolata, della situazione altrui. Consapevolezza di se stessi e degli altri ed empatia PAGINA 11 Durante la nostra attività lavorativa, non solo riceviamo richieste per apportare modifiche al corso di studi, ma anche appelli volti ad ottenere trasformazioni istituzionali e svolte culturali Data la commensurabilità tra le rappresentazioni di se stessi e degli altri, anche se queste rappresentazioni sono attivate da processi dal basso verso l’alto (condivisione di emozioni) o dall’adozione di una prospettiva soggettiva di un altro individuo, l’auto-consapevolezza e il senso di essere persone in grado di agire costituiscono processi chiave addizionali che sono necessari per interazioni sociali di successo PAGINA 12 Data la commensurabilità tra le rappresentazioni di se stessi e degli altri, anche se queste rappresentazioni sono attivate da processi dal basso verso l’alto (condivisione di emozioni) o dall’adozione di una prospettiva soggettiva di un altro individuo, l’auto-consapevolezza e il senso di essere persone in grado di agire costituiscono processi chiave addizionali che sono necessari per interazioni sociali di successo. Il prerequisito per la comunicazione sociale, inclusa l’esperienza dell’empatia, è che due persone agenti preservino la loro individualità. La cognizione sociale si basa sia sulle somiglianze sia sulle differenze tra individui. Comunque, nel caso della condivisione di emozioni, una completa sovrapposizione tra rappresentazioni di se stessi e degli altri potrebbe indurre distress emotivo (una risposta emotiva avversiva auto-orientata), o iperarousal empatico che non è l’obiettivo dell’empatia. Infatti, nell’esperienza dell’empatia gli individui devono essere capaci di districare i propri sentimenti da quelli condivisi con gli altri per attribuire uno stato mentale all’obiettivo. L’autoconsapevolezza è una condizione necessaria per creare un’interferenza sugli stati mentali altrui. Inoltre, l’“azione” è un aspetto cruciale per attraversare con successo le rappresentazioni condivise tra se stessi e gli altri. Inoltre, l’intervento gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo cognitivo, incluso il primo stadio di auto-consapevolezza (o esperienza pre-teoretica della propria intelligenza) che crea un’impalcatura per le abilità della teoria della mente. Inoltre, l’abilità di riconoscere se stessi come persone che agiscono un comportamento è la via per cui ci si costruisce come entità indipendenti dal mondo esterno. Nel caso dell’empatia, la condivisione affettiva deve essere modulata e monitorizzata dal senso di quali sentimenti appartengono a chi e inoltre l’azione è un aspetto cruciale che rende capaci di un riguardo incurante di se stessi per l’altro piuttosto che di un desiderio egoistico di evitare un arousal avversivo. Si accumulano prove dagli studi di neuroimmagine, così come dagli studi delle lesioni nei pazienti neurologici, che indicano che la corteccia parietale inferiore destra, alla giunzione con la corteccia temporale posteriore (giunzione temporoparietale, TPJ) gioca un ruolo critico nella comparazione di segnali derivanti da azioni auto-prodotte con segnali provenienti dall’ambiente. La TPJ è una corteccia associativa etero modale che integra gli stimoli dal talamo laterale e posteriore, così come dalle aree visive, uditive, somestesiche e limbiche. Ha connessioni reciproche con la corteccia prefrontale e con i lobi temporali. A causa di queste caratteristiche anatomiche, questa regione è un locus neurale centrale per l’auto-processamento che è coinvolto nel processamento delle informazioni multisensoriali legate al corpo, così come nel processamento degli aspetti fenomenologici e cognitivi di se stessi. Un danno in quest’area può produrre una varietà di disturbi associati con la consapevolezza del corpo e l’auto-consapevolezza, quali l’anosoagnosia (per esempio, la negazione della malattia), asomatoagnosia (per esempio, la mancanza di consapevolezza della condizione della condizione del proprio corpo o di alcune sue parti), o somatoparafrenia (per esempio, convincimenti delusi riguardo al corpo). Blanke e collaboratori hanno dimostrato che le esperienze fuori-dal-corpo (per esempio, l’esperienza di essere localizzati al di fuori del corpo) possono essere indotte tramite stimolazione elettrica della TPJ in pazienti neurologici. Numerosi studi di imaging funzionale hanno fatto emergere il coinvolgimento del lobulo parietale inferiore nell’esperienza dell’azione. L’attribuzione dell’azione ad un altro individuo che agisce, cosa che in modo cruciale richiede di distinguere tra il comportamento proprio e di quello degli altri, è stata associata con un’attività specifica aumentata nel lobo parietale inferiore destro. In uno studio, gli sperimentatori hanno usato un congegno che consentiva di modificare il grado di controllo dei partecipanti sui movimenti di una mano virtuale che era presentata sullo schermo. Le condizioni sperimentali variavano il grado di distorsione del feedback visivo fornito ai partecipanti riguardo ai loro movimenti. I risultati hanno dimostrato un’attività emodinamica graduata del lobulo parietale inferiore destro che è in parallelo rispetto al grado di non corrispondenza tra i movimenti eseguiti e la riafferenza visiva. In un altro studio, veniva NEWSLETTER La cognizione sociale si basa sia sulle somiglianze sia sulle differenze tra individui L’auto-consapevolezza è una condizione necessaria per creare un’interferenza sugli stati mentali altrui. Nel caso dell’empatia, la condivisione affettiva deve essere modulata e monitorizzata dal senso di quali sentimenti appartengono a chi e inoltre l’azione è un aspetto cruciale che rende capaci di un riguardo incurante di se stessi per l’altro piuttosto che di un desiderio egoistico di evitare un arousal avversivo. I risultati hanno dimostrato Numerosi un’attività studi di emodinamica graduata imaging funzionale del lobulo parietale il hanno fatto emergere inferiore destro che coinvolgimento delè in parallelo rispetto al lobulo parietale inferiore grado di non nell’esperienza corrispondenza dell’azione tra i movimenti eseguiti e la riafferenza visiva. NEWSLETTER PAGINA 13 usato un joystick per guidare un cerchio lungo un percorso a forma di T. I partecipanti erano informati che sia loro sia lo sperimentatore avrebbero guidato il cerchio. Nel primo caso, si chiedeva ai soggetti di guidare il cerchio, per essere consapevoli di averlo guidato, e inoltre di attribuire mentalmente l’azione vista sullo schermo a loro stessi. Nel secondo caso, a loro veniva richiesto di compiere la prova, ma credendo che fosse lo sperimentatore a guidare la scena sullo schermo. I risultati hanno mostrato che essere consapevoli di causare un’azione era associato con un’attivazione dell’insula anteriore, anche se essere consapevoli di non causare un’azione e di attribuirla ad un’altra persona era associata con l’attivazione nella corteccia parietale inferiore destra. In un altro studio di fMRI, i partecipanti erano istruiti ad aprire e chiudere le loro mani lentamente e continuativamente (0.5 HZ) mentre questo movimento era filmato e proiettato loro online su uno schermo. E’ stata trovata una correlazione positiva tra l’ampiezza del ritardo temporale e l’attivazione nella TPJ destra. Di particolare interesse, Uddin e colleghi hanno recentemente dimostrato un deficit selettivo della distinzione tra se stessi e gli altri quando TMS ripetitive erano applicate sul lobulo parietale inferiore destro quando i partecipanti hanno attuato una prova percettiva che coinvolgeva la discriminazione tra il proprio volto e quello di altri familiari. Questo secondo studio ha fornito una prova diretta di un ruolo causale per questa regione nella discriminazione tra se stessi e gli altri. In più, studi sull’imitazione hanno documentato il coinvolgimento della corteccia parietale inferiore destra/TPJ durante una imitazione reciproca in cui potrebbe essere difficile mantenere traccia dell’azione. Quando i partecipanti imitavano gli altri, la TPJ sinistra era fortemente reclutata, anche se un’attivazione maggiore era trovata nella TPJ destra quando essi venivano imitati. Solo quest’ultima condizione ha comportato differenze tra i risultati predetti dell’azione agita dai partecipanti e quelli percepiti. Questi risultati hanno fornito forti argomenti per l’implicazione della TPJ destra nel processo dell’azione tramite la dimostrazione di una chiara dissociazione tra la TPJ destra e sinistra. E’ interessante che perfino la simulazione mentale del proprio comportamento e di quello altrui recluta un meccanismo di discriminazione simile a quello tra se stessi e gli altri. In uno studio di neuroimaging, ai partecipanti si richiedeva di immaginare azioni familiari da una prospettiva in prima persona o di immaginare queste azioni dalla prospettiva di un’altra persona (conosciuta). Entrambe le prospettive erano associate con aumenti di segnale nelle regioni corticali coinvolte nella rappresentazione motoria, inclusi il lobulo premotorio e parietale sinistro. Un’attivazione specifica nella corteccia parietale inferiore destra/TPJ era indagata quando i partecipanti simulavano mentalmente azioni attraverso la prospettiva di qualcun altro. In entrambe le condizioni sperimentali si chiedeva ai partecipanti di immaginare un’azione. Questi risultati indicano che quest’area non è semplicemente coinvolta nell’associare azioni e le loro conseguenze sensorie ma, in generale, contribuisce a distinguere se stessi dagli altri. Inoltre, recenti dati suggeriscono che questa regione è anche coinvolta nell’empatia e nella teoria della mente, per esempio la consapevolezza che altri come se stessi hanno stati mentali che possono essere simili o diversi dai propri. Per esempio, la TPJ destra è specificamente coinvolta quando i partecipanti immaginano come un’altra persona si sentirebbe in situazioni della vita di tutti i giorni che scatenano emozioni sociali o in esperienze dolorose, ma non quando immaginano queste situazioni per se stessi. Tali ritrovamenti sottolineano la somiglianza dei meccanismi neurali che garantiscono la corretta attribuzione di azioni, emozioni e pensieri ai loro rispettivi agenti quando mentalmente si simulano azioni o si provano emozioni per se stessi o per un altro individuo. In linea con questo ragionamento, un recente studio di fMRI di percezione sociale e di empatia ha dimostrato che l’attività nella corteccia parietale inferiore era associata negativamente con il grado di sovrapposizione tra se stessi e gli altri e che una minore sovrapposizione porta ad un’aumentata accuratezza durante la percezione sociale. E’ interessante che perfino la simulazione mentale del proprio comportamento e di quello altrui recluta un meccanismo di discriminazione simile a quello tra se stessi e gli altri. In numerosi studi, è stato dimostrato che la TPJ destra è specificamente attivata quando ai soggetti, concentrati su una certa localizzazione dello schermo, viene presentato uno stimolo in una localizzazione non attesa, il che rappresenta una violazione della loro aspettativa e richiede loro di ridirigere la loro attenzione PAGINA 14 Un’alternativa, pur non contraddittoria, interpretazione del ruolo della TPJ destra può essere derivata da studi sull’attenzione visiva e sull’individuazione del dubbio e del cambiamento. In numerosi studi, è stato dimostrato che la TPJ destra è specificamente attivata quando ai soggetti, concentrati su una certa localizzazione dello schermo, viene presentato uno stimolo in una localizzazione non attesa, il che rappresenta una violazione della loro aspettativa e richiede loro di ridirigere la loro attenzione. Il lavoro di Donowar et al. suggerisce che la TPJ destra (e sinistra) rappresentano aspetti cruciali di una rete corticale multimodale per l’indagine di cambiamenti nell’ambiente sensorio. Inoltre, la maggiore attivazione nella regione TPJ durante gli studi sulla discriminazione tra se stessi e gli altri e sull’azione potrebbero riflettere la maggiore incertezza associata con i comportamenti spesso imprevedibili dei nostri simili. Questi dati suggeriscono anche che le operazioni di computo elementari ottenute grazie all’apporto della TPJ contribuiscono a più alti livelli (sociali) dell’interazione sociale. Per concludere, l’auto-consapevolezza e il senso di azione giocano un ruolo centrale nell’empatia e contribuiscono in modo significativo all’interazione sociale. Questi importanti aspetti sembrano essere in gioco nel distinguere il contagio emotivo che si fonda fortemente sul legame automatico tra la percezione delle emozioni espresse dagli altri e la propria esperienza delle medesime emozioni, e l’empatia che ha bisogno di una relazione più distaccata. Noi suggeriamo che la nonsovrapposizione nella risposta neurale tra se stessi e gli altri libera la capacità di processamento cerebrale per aumentare azioni future appropriate nei confronti degli altri. Inoltre, essere consapevoli dei propri sentimenti ed essere in grado di regolare consciamente le proprie emozioni potrebbe rappresentare ciò che ci consente di distinguere le risposte empatiche per gli altri dal nostro distress personale, dato che solo le prime portano a un comportamento prosociale. La regolazione delle emozioni La capacità di regolare le proprie emozioni ha una chiara funzione adattiva per l’interazione sociale, sia per gli individui sia per la specie. E’ stato dimostrato che gli individui che possono regolare le loro emozioni sono più in grado di provare empatia e anche di agire in modo moralmente desiderabile nei confronti degli altri. Il costrutto della regolazione delle emozioni è definito come il processo di iniziare, evitare, inibire, mantenere o modulare l’occorrenza, la forma, l’intensità o la durata degli stati emotivi interni, dei processi fisiologici collegati alle emozioni, degli obiettivi collegati alle emozioni e/o dei comportamenti concomitanti alle emozioni, generalmente al servizio del compimento dei propri obiettivi. La regolazione delle emozioni è anche importante per la modulazione dell’emozione riferita agli altri di ciascuno in modo che non sia sentita come avversiva. Precedenti ricerche hanno mostrato che la regolazione delle emozioni correla positivamente con i sentimenti di preoccupazione per le altre persone. Al contrario, le persone che provano le loro emozioni intensamente, soprattutto quelle negative, sono inclini all’ansia personale, per esempio una reazione emotiva avversiva, quale ansia o sconforto basati sulla scoperta dello stato o condizione emotiva altrui. Il distress emotivo può far slittare le priorità verso l’immediato presente e inoltre promuovere un focus a breve termine; per esempio, sentirsi meglio e alleviare una situazione dolorosa che potrebbe essere in conflitto con una motivazione a provare emozioni per l’altro. In caso di empatia, la migliore risposta all’angoscia altrui potrebbe non essere l’angoscia, ma gli sforzi per attenuare tale ansia. Nel nostro modello di empatia, consideriamo che la regolazione delle emozioni, sotto controllo volontario (processamento dall’alto verso il basso) che batte sulle risorse funzionali esecutive, agisca congiuntamente ad altri meccanismi neurali per trarre computazioni specifiche cognitive ed emotive richieste per l’esperienza dei sentimenti altrui. Tali computazioni includono la selezione di un’appropriata risposta e l’inibizione di altre risposte meno appropriate. I meccanismi cognitivi dall’alto verso il basso possono anche funzionare come down-regulation (per esempio, ridurre) o come up-regulation (per NEWSLETTER l’auto-consapevolezza e il senso di azione giocano un ruolo centrale nell’empatia e contribuiscono in modo significativo all’interazione sociale La regolazione delle emozioni è anche La regolazione delle importante per la emozioni, sotto controllo modulazione volontario dell’emozione riferita (processamento agli altri di ciascuno in dall’alto verso il basso) modo che non sia che batte sulle risorse sentita come avversiva funzionali esecutive, agisca congiuntamente ad altri meccanismi neurali per trarre computazioni specifiche cognitive ed emotive richieste per l’esperienza dei sentimenti altrui NEWSLETTER esempio, promuovere) delle emozioni. Anche se la down-regulation sembra essere prevalente in caso di empatia, entrambi i processi giocano un ruolo importante quando si risponde a qualcuno che ha bisogno. In caso di percezione del dolore altrui, l’abilità della down-regulation delle emozioni è prevalente se il dolore dell’obiettivo diventa opprimente per l’osservatore. Per esempio, una madre in allarme per il pianto del suo bambino deve gestire la sua reazione avversiva per fornire una cura appropriata per la sua discendenza in difficoltà. L’up-regulation, d’altro canto, diventa importante se un osservatore vuole promuovere la sua risposta empatica verso gli altri, come nel tentativo di relazionarsi con persone nei cui confronti ci comporteremmo con indifferenza o che perfino eviteremmo, in quanto membri di un gruppo esterno. Varie strategie sono state identificate per regolare le emozioni attraverso un controllo cognitivo di tipo dall’alto verso il basso. Euristicamente, questi processi sono stati modificati su un continuum dal controllo attentivo al cambiamento cognitivo. Mentre il controllo attentivo riguarda soprattutto il tipo e l’entità dell’informazione sensitiva che è percepita e, da ciò, processata dall’osservatore, le strategie di cambiamento cognitivo si concentrano per la maggior parte nel rivalutare o nel rigiudicare informazioni affettive interne o esterne. La ricerca ha mostrato che concentrandosi selettivamente su uno specifico segnale sensitivo (quale un’espressione faciale o una prosodia di linguaggio) che comunica lo stato emotivo altrui potrebbe scatenare differenti risposte emotive nell’osservatore. In linea con questa ipotesi, uno studio recente di fMRI ha mostrato che l’amigdala è coinvolta in modo diverso quando i partecipanti sono istruiti a guardare o ad ignorare attivamente volti felici o impauriti quando paragonati a case. L’attivazione dell’amigdala era diversa in accordo al significato dell’espressione faciale e alla categoria dello stimolo osservato. Per i volti felici, l’attività nell’amigdala era maggiore nella faccia-osservata rispetto alla condizione di casa-osservata, anche per i volti impauriti, l’attività era maggiore nella condizione di casa-osservata piuttosto che in quella di faccia-osservata. La distrazione è un altro potente meccanismo per adoperare il controllo attentivo, poiché aumenta la carica cognitiva e inoltre riduce le risorse attentive utilizzabili per la percezione dello stimolo e per il suo processamento. Nelle situazioni quotidiane, le strategie di distrazione potrebbero giocare un ruolo importante se il costo per l’empatia è troppo elevato, per esempio se non vogliamo fare attenzione allo stato emotivo altrui. Anche, è ben noto che la distrazione può effettivamente ridurre o eliminare la reazione personale alla stimolazione dolorosa avversiva. Una regione rostrale nella corteccia prefrontale mediale (MPFC) sembra giocare un ruolo importante in questa modulazione, poiché l’attivazione in questa regione durante uno stimolo doloroso era considerevolmente ridotta sotto una maggiore carica di lavoro attentivo. In più, l’importanza della MPFC nella regolazione delle risposte dolorose è stata recentemente rinforzata da uno studio con fMRI che ha dimostrato che l’ansia scaturita dall’anticipazione dello shock elettrico è ridotta significativamente dallo svolgimento contemporaneo di una prova di working memory. Inoltre, l’osservazione selettiva di certi aspetti dell’esperienza dolorosa può aumentare (per esempio, up-regulation) l’avversione per essa. Questo processo recluta reti neurali funzionali specifiche, come mostrato da uno studio di neuroimaging. In quello studio, la concentrazione sulla spiacevolezza di uno stimolo doloroso è risultata in un’attivazione più forte nel sistema dolorifico mediale. Questo sistema include l’insula e la corteccia cingolata mediale e codifica la dimensione affettiva e motivazionale del dolore. Nel caso dell’empatia, la direzione selettiva dell’attenzione potrebbe essere uno dei meccanismi che conducono a risposte emotive differenti quando si usano le istruzioni per l’acquisizione di prospettiva. Attraverso il controllo dall’alto verso il basso, le istruzioni per l’acquisizione di prospettiva forzano i partecipanti a concentrarsi sui differenti aspetti della risposta emotiva dei loro simili o di se stessi. Come risultato, le risposte comportamentali e neuronali dei partecipanti sono più centrate quanto adottano una prospettiva in prima persona. Dall’altro PAGINA 15 La ricerca ha mostrato che concentrandosi selettivamente su uno specifico segnale sensitivo (quale un’espressione faciale o una prosodia di linguaggio) che comunica lo stato emotivo altrui potrebbe scatenare differenti risposte emotive nell’osservatore L’importanza della MPFC nella regolazione delle risposte dolorose è stata recentemente rinforzata da uno studio con fMRI che ha dimostrato che l’ansia scaturita dall’anticipazione dello shock elettrico è ridotta significativamente dallo svolgimento contemporaneo di una prova di working memory PAGINA 16 lato, guardare gli altri in modo più distaccato ha come risultato un’amplificazione delle risposte orientate agli altri. Le strategie di cambiamento cognitivo sono un modo alternativo e/o complementare per regolare le emozioni. Negare l’importanza di uno stimolo in grado di scatenare un’emozione è un esempio di tale strategia. E’ noto che, se si prende la posizione dell’osservatore distaccato e si genera consciamente o inconsciamente un’immagine dell’osservatore medesimo, si riduce l’esperienza soggettiva dell’ansia, dell’arousal simpatetico e della reattività al dolore. Tale distaccamento probabilmente gioca un ruolo importante nell’empatia nel mantenere una prospettiva neutrale sull’obiettivo; per esempio, nell’interazione tra uno psicoterapeuta e il suo cliente. Recenti studi con fMRI hanno identificato un numero limitato di regioni nella corteccia prefrontale anterolaterale e in quella prefrontale mediale che mediano tale funzione. Per esempio, i partecipanti istruiti a immaginarsi in un posto sicuro e confortevole hanno mostrato markers di ansia comportamentali e fisiologici ridotti se paragonati all’anticipazione della stimolazione dolorosa. Questa condizione era accompagnata dalla modulazione dell’attivazione nel cingolato/corteccia prefrontale mediale e nella corteccia prefrontale anterolaterale. Mentre la prima regione sembra riflettere il cambiamento nell’esperienza affettiva evocata dalla strategia di regolazione delle emozioni, i cambiamenti dell’attivazione nella seconda sono visti come una sorgente, poiché questa regione encefalica è stata ripetutamente identificata durante la regolazione delle emozioni attraverso la rivalutazione. La rivalutazione delle emozioni coinvolge la reinterpretazione della valenza di uno stimolo per cambiare il modo in cui noi rispondiamo ad esso. Può essere raggiunta intenzionalmente (per esempio, nel tentativo di reagire in modo diverso rispetto al solito alla sofferenza altrui) o si può basare su informazioni esterne addizionali fornite riguardo allo stimolo che scatena l’emozione. Uno studio recente condotto dal nostro gruppo ha indagato gli effetti dall’apprendimento cognitivo sull’esperienza dell’empatia. Nello scanner MRI, i partecipanti hanno guardato videoclip provenienti da due gruppi di pazienti neurologici che manifestavano la sofferenza dovuta a un nuovo trattamento sperimentale usando suoni dissonanti. L’apprendimento cognitivo era manipolato fornendo informazioni riguardo all’efficacia di quel trattamento: mentre la salute e la qualità della vita sono migliorate in un gruppo, i membri dell’altro gruppo non hanno tratto beneficio dal trattamento. Inoltre, gli stimoli dai contenuti emotivi ugualmente attivanti e connotati negativamente erano guardati con differenti possibilità di apprendere le risposte dolorose dei pazienti. Era anticipato che testimoniare alla sofferenza di un’altra persona e sapere che il suo trattamento non era stato efficace avrebbe aumentato la risposta emotiva negativa nell’osservatore. Al contrario, sapere che un trattamento aveva giovato al paziente ci si aspettava che scatenasse una down-regulation della risposta affettiva scatenata dalla percezione. In linea con questa ipotesi, sono state ottenute nei partecipanti dello studio risposte comportamentali e neuronali distinte. I pazienti che erano stati sottoposti a trattamento efficace erano giudicati provare alti livelli di sofferenza e il dolore personale negli osservatori era generalmente più pronunciato quando venivano osservati i video di questi pazienti. L’attivazione cerebrale era modulata in due sottoregioni della corteccia orbitofrontale (OFC) e della parte rostrale della aMCC. L’OFC gioca un ruolo importante nella valutazione dei rinforzi positivi o negativi ed è anche coinvolta nella rivalutazione emotiva. Per esempio, guardare figure dalla valenza negativa evoca un’attività più forte nell’OFC ventromediale rispetto alla rivalutazione di queste figure in un modo che non scateni più questa risposta negativa. L’attività nell’OFC potrebbe dunque riflettere l’esigenza di valutare gli aspetti globali, positivi e negativi, dello stimolo presentato. E’ interessante che, guardando i pazienti trattati efficacemente vs quelli trattati non efficacemente, non veniva modulata l’attività emodinamica né nelle aree visive-sensitive né nell’insula. Questo suggerisce che i pazienti di entrambi i gruppi hanno scatenato reazioni emotive e che i meccanismi dall’alto verso il basso NEWSLETTER Le strategie di cambiamento cognitivo sono un modo alternativo e/o complementare per regolare le emozioni Oltretutto, la capacità di regolare le emozioni è un aspetto importante della nostra abilità di interagire in modo appropriato con le altre persone NEWSLETTER non hanno avuto effetti sul processamento percettivo in uno stadio iniziale. Oltretutto, la capacità di regolare le emozioni è un aspetto importante della nostra abilità di interagire in modo appropriato con le altre persone. La corteccia prefrontale è altamente differenziata in termini di strutture cellulari e pattern di interconnessione con altri sottosistemi corticali. In linea con questo fatto, studi di neuroimmagine suggeriscono che sistemi specifici interagiscono per generare regolazioni emotive. Le neuroscienze sociali stanno iniziando a fare luce sui meccanismi fisiologici e neurali che promuovono le diverse strategie di regolazione delle emozioni che ci consentono di comprendere i nostri simili. La modulazione dell’empatia Nonostante il fatto che l’empatia sia parzialmente basata su processi dal basso verso l’alto, automatici e inconsci, noi non sempre reagiamo agli altri in modo empatico nel senso convenzionale del termine. La comunicazione di massa e le condizioni di vita urbana ci rendono testimoni della sofferenza e della condizione degli altri su una base quotidiana e ancora noi non sappiamo rispondere sempre in modo prosociale. Questo sembra essere intuito al contrario per porre la concezione che considera l’empatia come una risposta automatica che dovrebbe essere promossa senza restrizioni. Comunque, nonostante gli ovvi vantaggi di comprendere i pensieri e sentimenti di un’altra persona, l’empatia ha dei costi. Inoltre, l’empatia si è evoluta come fenomeno di gruppo. Sono stati identificati molti fattori intra- ed interpersonali in grado di facilitare o inibire la frequenza e il grado delle risposte empatiche e inoltre consentire la modulazione delle loro spese associate. Le neuroscienze sociali correntemente indagano i meccanismi neurali che sottostanno a tali modulazioni. Lo stato affettivo di base, la prima esperienza per le situazioni e la capacità di gestire la sofferenza degli altri (che si basa, tra gli altri, sulle capacità di regolazione delle emozioni) sono solo pochi esempi dei vari fattori interpersonali che possono avere un impatto sull’esperienza dell’empatia. E’ stato mostrato che stati emotivi sperimentalmente indotti hanno effetto sulla capacità degli osservatori di riconoscere la manifestazione faciale delle emozioni. Si sa che l’umore depresso ha effetti sulla nostra percezione del mondo, incluse le espressioni delle emozioni da parte degli altri. Un recente studio di neuroscienze dello sviluppo ha identificato i potenziali substrati neurali di tale modulazione. Le strutture limbiche quali l’amigdala e il nucleo accumbens sono diventate iperattive quando i partecipanti affetti da disturbo bipolare pediatrico hanno osservato l’espressione faciale di un’emozione. Similarmente, i pazienti con fobia sociale generalizzata che sono caratterizzati dalla paura delle interazioni sociali e dalla sensibilità alla disapprovazione degli altri, mostrano aumentata attivazione dell’amigdala quando esposti a facce arrabbiate o sprezzanti. Gli effetti dello stato affettivo non diventano prevalenti solo nei disturbi psichiatrici o psicologici e neppure sono confinati alla valutazione dell’informazione emotiva. Invece, l’innesco emotivo (per esempio, la breve presentazione di stimoli con valenza positiva o negativa prima di presentare lo stimolo target) rinforza il processamento visivo precoce in volontari sani. Questo, a turno, potrebbe avere effetti sulla percezione visiva di uno stimolo emotivo, quale il sottile cambiamento nell’espressione faciale dell’emozione. La prima esperienza è un altro fattore che ha degli effetti sulla nostra risonanza emotiva con gli altri. Per esempio, promuovere la conoscenza sugli specifici problemi e sul bisogno delle persone anziane in una situazione ludica ha avuto come risultato aumenti significativi nell’empatia e nella cura per i pazienti anziani. Questo gioco includeva esercizi quali l’indossare un paio di pesanti stivali di gomma per simulare la diminuita destrezza manuale e occhialoni con uno strato di nastro chiaro per simulare la cataratta. Come l’empatia disposizionale, per esempio la tendenza generale autoriportata di rispondere empaticamente agli altri, moduli anche la frequenza e l’intensità della risposta empatica è correntemente una questione di dibattito. Parte di questa controversia è collegata alla nota scarsa validità delle misure auto-riportate nelle specifiche relazioni tra le PAGINA 17 La comunicazione di massa e le condizioni di vita urbana ci rendono testimoni della sofferenza e della condizione degli altri su una base quotidiana e ancora noi non sappiamo rispondere sempre in modo prosociale Lo stato affettivo di base, la prima esperienza per le situazioni e la capacità di gestire la sofferenza degli altri (che si basa, tra gli altri, sulle capacità di regolazione delle emozioni) sono solo pochi esempi dei vari fattori interpersonali che possono avere un impatto sull’esperienza dell’empatia Gli effetti dello stato affettivo diventano Comenon l’empatia prevalenti solo per nei disposizionale, disturbi psichiatrici o esempio la tendenza psicologici e neppure generale auto-riportata sono confinati di risponderealla valutazione agli empaticamente dell’informazione altri, moduli anche la emotiva frequenza e l’intensità della risposta empatica è correntemente una questione di dibattito PAGINA 18 misure di empatia a un questionario e l’attività cerebrale. Per esempio, Lamm e colleghi hanno dimostrato un’attivazione significativamente aumentata nella corteccia dell’insula e del cingolo nei partecipanti con maggiore empatia auto-riportata durante l’osservazione del dolore altrui. Questo è in linea con i dati di Singer e colleghi e mostra la modulazione dell’attività nelle regioni cerebrali che sono coinvolte nel codificare la risposta affettiva alla sofferenza altrui. Comunque, tali correlazioni non erano state ritrovate in uno studio simile. Le disposizioni cognitive e affettive verso gli altri o il tipo di rapporto e l’attaccamento associato (per esempio genitori e loro prole) ha anche degli effetti su come rispondiamo agli altri. Questi fattori interpersonali non capitano necessariamente in isolamento con i fattori interpersonali, ma probabilmente interagiscono con loro. Questo è dimostrato da uno studio con fMRI che mostra interazioni significative tra genere e stato di parentela nella risposta neurale al pianto o al riso infantili. Le donne, ma non gli uomini, e indipendentemente dalla parentela, hanno mostrato una naturale disattivazione nella corteccia cingolata anteriore in risposta al pianto o al riso dei bambini. In più, il modello di risposta nell’amigdala e nelle strutture limbiche interconnesse sono cambiate in modo radicale con l’esperienza genitoriale in entrambi i sessi. I non-genitori hanno mostrato un’attivazione maggiore dal riso, anche se i genitori hanno mostrato attivazioni maggiori per il pianto. Questi risultati indicano che la componente di condivisione delle emozioni potrebbe essere soggetta all’esperienza personale e/o questa regolazione delle emozioni e la cura associata è preparata in modo differente negli uomini e nelle donne. Una prova addizionale per questo effetto viene da uno studio con fMRI che ha dimostrato che le madri che vedono la loro prole vs un bambino della famiglia hanno mostrato risposte più forti nella rete cerebrale (para)limbica e nel solco temporale superiore posteriore (STS), riflettendo probabilmente l’attaccamento più intenso che le madri hanno per la loro stessa discendenza. La domanda “in che modo le relazioni interpersonali competitive vs quelle cooperative hanno effetto sull’empatia?” è stata indagata a livello comportamentale, psicofisiologico e neurologico. Il ragionamento a monte di questi studi è che le disposizioni affettive, o le attitudini, differiscono se l’altro è visto come un concorrente o un alleato, e a turno influenzano le nostre reazioni, più o meno congruenti all’affetto altrui. Lanzetta e collaboratori hanno indagato gli effetti psicofisiologici, comportamentali e psicologici delle attitudini nei confronti delle interazioni interpersonali. Il loro dato principale è che le relazioni competitive portano a risposte affettive (il contrario di empatiche) asimmetriche, mentre i setting cooperativi hanno dato come risultato emozioni simmetriche per l’altro. Per esempio, le misure psicofisiologiche hanno indicato i partecipanti hanno reagito a uno shock doloroso dei competitori con poco arousal e dolore, ma la sofferenza era aumentata quando li hanno visti in situazioni di gioia. Il modello opposto era ottenuto con i cooperatori. Questi ritrovamenti riflettono un importante e spesso ignorato aspetto dell’empatia, vale a dire che questa capacità può anche essere usata in modo malevolo come quando la conoscenza dello stato emotivo o cognitivo dei competitori è utilizzato per danneggiarli (per esempio, quando i soldati nemici sono attaccati dopo averli resi esausti da un continuo fuoco di fila dell’artiglieria). Un recente studio ha dimostrato i correlati neuronali di tale risposta contraria al’empatia. Singer e colleghi hanno reclutato partecipanti in un sequenziale gioco di “dilemma del Prigioniero” con soggetti che potevano giocare in modo corretto o scorretto. Seguendo questa manipolazione comportamentale, le misure fMRI erano prese durante l’osservazione dei giocatori corretti e scorretti che ricevevano una stimolazione dolorosa. Osservare i giocatori corretti ha riproposto i primi ritrovamenti di aumentata attivazione nelle aree cerebrali che codificano gli aspetti affettivi del dolore, quali l’insula anteriore e la corteccia cingolata mediale/anteriore. Di particolare interesse, l’attivazione in queste regioni cerebrali era significativamente ridotta quando i partecipanti nello scanner hanno osservato i giocatori scorretti in situazioni di dolore. Questo effetto, comunque era indagato solo nei partecipanti NEWSLETTER “in che modo le relazioni interpersonali competitive vs quelle cooperative hanno effetto sull’empatia?” Lanzetta: le relazioni competitive portano a risposte affettive (il contrario di empatiche) asimmetriche, mentre i setting cooperativi hanno dato come risultato emozioni simmetriche per l’altro. meccanismi ci sono forti prove differenti comportamentali sono in gioco quando che l’empatia dimostrano è modulata che a causa l’esperienza di fattori inter- o dell’empatia intrapersonali. possa essere modulata da numerosi fattori sociocognitivi NEWSLETTER PAGINA 19 maschi che hanno mostrato anche un aumento contemporaneo dell’attivazione nelle aree correlate alla gratificazione (per esempio, il nucleo accumbens e lo striato ventrale). La riduzione specifica dell’attività della rete neurale che processa la dimensione affettiva del dolore è in contrasto con i risultati dagli studi di neuroimging che hanno indagato la modulazione delle risposte affettive (dirette o vicarie) al dolore attraverso la regolazione delle emozioni. Inoltre, questi studi hanno riportato la modulazione dell’attività nelle regioni cerebrali che non sono direttamente coinvolte nella rappresentazione dello stato affettivo, quali la corteccia orbito-frontale (che, interessante, era anche attivata nei partecipanti maschi dello studio di Singer) o la corteccia prefrontale mediale. Questo suggerisce che meccanismi differenti sono in gioco quando l’empatia è modulata a causa di fattori inter- o intrapersonali. Il fatto che qualcuno piaccia o non piaccia potrebbe determinare se una risposta affettiva empatica è generata del tutto, mentre rispondere alla sofferenza di un soggetto neutro potrebbe richiedere una regolazione di una risposta emotiva prontamente evocata. In alternativa, le differenze nei paradigmi usati (manifestazione di espressioni emotive dinamiche vs stimoli per stimolazione dolorosa) potrebbero spiegare queste differenze tra studi. In sintesi, ci sono forti prove comportamentali che dimostrano che l’esperienza dell’empatia possa essere modulata da numerosi fattori socio-cognitivi. In più, studi di neuroscienze recenti indicano che tale modulazione porta a un cambiamento nell’attività neurodinamica nei sistemi neurali che processano l’informazione sociale. Ulteriori studi sono necessari per aumentare la nostra conoscenza su vari fattori, processi e effetti (neurali e comportamentali) coinvolti e che risultano dalla modulazione delle risposte empatiche. Questa conoscenza ci darà informazioni riguardo a come l’empatia può essere promossa per aumentare in ultimo la capacità del genere umano di agire con modalità maggiormente prosociali ed altruistiche. Conclusioni Il costrutto dell’empatia è stato discusso nella filosofia della mente per molte decadi ed è stato ampiamente investigato dagli psicologi sociali così come dagli psicologi dello sviluppo. Più recentemente, le neuroscienze cognitive hanno iniziato a chiarire i sistemi neurali che rinforzano i processi coinvolti nell’esperienza dell’empatia, inclusi la condivisione delle emozioni, l’acquisizione di prospettive e la regolazione delle emozioni. Il nuovo approccio delle neuroscienze sociali, combinando i disegni di ricerca e le misurazioni comportamentali usati nella psicologia sociale con i markers delle neuroscienze possono giocare un ruolo importante nel districare le concorrenti teorie di psicologia sociale in generale e in particolare nella ricerca collegata all’empatia. Per esempio, una questione critica dibattuta tra gli psicologi sociali è se le istruzioni sull’acquisizione di prospettiva inducano preoccupazione empatica e/o angoscia personale e a quale livello la motivazione prosociale origini dalla sovrapposizione tra se stessi e gli altri. Il recente lavoro, qui passato in rassegna, dimostra che adottare una propria prospettiva quando si osservano gli altri soffrire ha come risultato più forti sentimenti di angoscia personale e attiva la matrice del dolore con maggiore ampiezza, così come l’amigdala. Una tale completa fusione tra se stessi e gli altri sembra essere dannosa per la preoccupazione empatica. Invece, la migliore risposta per la sofferenza altrui potrebbe essere non l’angoscia, ma gli sforzi per diminuire tale ansia. Al contrario, quando i partecipanti prendono la prospettiva altrui, si verifica minore sovrapposizione tra i circuiti neurali coinvolti nel processamento dell’esperienza in prima persona del dolore e loro infatti riportano più sentimenti di preoccupazione empatica. Da questi studi, si può concludere che l’empatia si basa sia sul processamento di informazioni dal basso verso l’alto (sistemi neurali condivisi tra l’esperienza emotiva in prima persona e la percezione o l’immaginazione dell’esperienza altrui), così come sul processamento dall’alto verso il basso che consente la modulazione e l’auto-regolazione. Senza auto-regolazione il le neuroscienze cognitive hanno iniziato a chiarire i sistemi neurali che rinforzano i processi coinvolti nell’esperienza dell’empatia, inclusi la condivisione delle emozioni, l’acquisizione di prospettive e la regolazione delle emozioni una comprensione più vasta dell’empatia e delle emozioni ad essa collegate saranno favorite dalle analisi integrative relative a livelli di organizzazione biologica e sociale. PAGINA 20 processamento delle informazioni perderebbe flessibilità e diventerebbe primariamente legato alle stimolazioni esterne. Infine, questo articolo illustra l’importanza del combinare la ricerca delle neuroscienze con la psicologia sociale nella validazione dei modelli di scienze sociali dell’interazione sociale. La convergenza degli approcci ha anche benefici su altri fronti, nel senso che i paradigmi e i modelli derivati dalla psicologia sociale giocano un ruolo complementare (e ispirante) nell’indagine dei meccanismi cerebrali che stanno alla base del comportamento sociale. E’ nostra convinzione che una comprensione più vasta dell’empatia e delle emozioni ad essa collegate saranno favorite dalle analisi integrative relative a livelli di organizzazione biologica e sociale. Tale prospettiva ha anche il potenziale per generare nuove ipotesi riguardo ai disturbi cognitivi sociali. Bibliografia 1. Thompson, E. (2001) Empathy and consciousness. J. Consc. Stud. 8, 1– 32. 2. Eisenberg, N., Spinrad, T.L., and Sadovsky, A. (2005) Empathy-related responding in children. In Handbook of Moral Development. Killen, M. and Smetana, J.G., Eds. Lawrence Erlbaum Associates, Mahwah. pp. 517–549. 3. Batson, C.D., Batson, J.G., Singlsby, J.K., Harrell, K.L., Peekna, H.M., and Todd, R.M. (1991) Empathic joy and the empathy-altruism hypothesis. J. Pers. Soc. Psychol. 61, 413–426. 4. Goldman, A. (1993) Ethics and cognitive science. Ethics 103, 337–360. 5. Ickes, W. (1997) Empathic Accuracy. The Guilford Press, New York. 6. Hoffman, M.L. (1982) Development of prosocial motivation: empathy and guilt. In The Development of Prosocial Behavior. Eisenberg, N., Ed. Academic Press, New York. pp. 281–313. 7. Batson, C.D., Sager, K., Garst, E., Kang, M., Rubchinsky, K., and Dawson, K. (1997) Is empathy-induced helping due to self-other merging? J. Pers. Soc. Psychol. 73, 495–509. 8. Eisenberg, N. (2000) Emotion, regulation, and moral development. Annu. Rev. Psychol. 51, 665–697. 9. Preston, S.D. and de Waal, F.B.M. (2002) Empathy: its ultimate and proximate bases. Behav. Brain Sci. 25, 1–72. 10. Batson, C.D. (2006) Folly bridges. In Bridging Social Psychology. van Lange, P.A.M., Ed. Erlbaum, Mahwah. pp. 59–64. 11. Barrett, L., Henzi, P., and Dunbar, R.I.M. (2003) Primate cognition: from what now to what if. Trends Cogn. Sci. 7, 494–497. 12. Cacioppo, J.T., Tassinary, L.G., and Berntson, G.G. (2000) Psychophysiological science. In Handbook of Psychophysiology. Cacioppo, J.T., Tassinary, L.G., and Berntson, G.G., Eds. Cambridge University Press. pp. 3–23. 13. Hatfield, E., Cacioppo, J.T., and Rapson, R.L. (1993) Emotional contagion. Curr. Dir. Psychol. Sci. 2, 96–99. 14. Dimberg, U., Thunberg, M., and Elmehed, K. (2000) Unconscious facial reactions to emotional facial expressions. Psychol. Sci. 11, 86–89. 15. Chartrand, T.L. and Bargh, J.A. (1999) The chameleon effect: the perception-behavior link and social interaction. J. Pers. Soc. Psychol. 71, 464–478. 16. Lakin, J.L., Jefferis, V.E., Chen, C.M., and Chartrand, T.L. (2003) The chameleon effect as social glue: evidence for the evolutionary significance of nonconscious mimicry. J. Nonverbal Behav. 27, 145–162. 17. Rizzolatti, G. and Craighero, L. (2004) The mirror-neuron system. Annu. Rev. Neurosci. 27, 169–92. 18. De Gelder, B., Snyder, J., Greve, D., Gerard, G., and Hadijkhani, N. (2004) Fear fosters flight: a mechanism for fear contagion when perceiving emotion expressed by a whole body. Proc. Natl. Acad. Sci. U. S. A. 47, 16701–16706. NEWSLETTER NEWSLETTER 19. Wicker, B., Keysers, C., Plailly, J., Royet, J.P., Gallese, V., and Rizzolatti, G. (2003) Both of us disgusted in my insula: the common neural basis of seeing and feeling disgust. Neuron 40, 655–664. 20. Carr, L., Iacoboni, M., Dubeau, M.C., Mazziotta, J.C., and Lenzi, G.L. (2003) Neural mechanisms of empathy in humans: a relay from neural systems for imitation to limbic areas. Proc. Natl. Acad. Sci. U. S. A. 100, 5497–5502. 21. Grosbras, M.H. and Paus, T. (2006) Brain networks involved in viewing angry hands or faces. Cereb. Cortex 16, 1087–1096. 22. Singer, T., Seymour, B., O’Doherty, J., Kaube, H., Dolan, R.J., and Frith, C.D. (2004) Empathy for pain involves the affective but not the sensory components of pain. Science 303, 1157–1161. 23. Morrison, I., Lloyd, D., di Pellegrino, G., and Roberts, N. (2004) Vicarious responses to pain in anterior cingulated cortex is empathy a multisensory issue? Cogn. Affect. Behav. Neurosci. 4, 270–278. 24. Jackson, P.L., Meltzoff, A.N., and Decety, J. (2005) How do we perceive the pain of others: a window into the neural processes involved in empathy. Neuroimage 24, 771–779. 25. Avenanti, A., Bueti, D., Galati, G., and Aglioti, S.M. (2005) Transcranial magnetic stimulation highlights the sensorimotor side of empathy for pain. Nat. Neurosci. 8, 955–960. 26. Kulkarni, B., Bentley, D.E., Elliott, R., Youel, P., Watson, A., Derbyshire, S.W.G., Frackowiak, R.S.J., Friston, K.J., and Jones, A.K.P. (2005) Attention to pain localization and unpleasantness discriminates the functions of the medial and lateral pain systems. Eur. J. Neurosci. 21, 3133–3142. 27. Jackson, P.L., Brunet, E., Meltzoff, A.N., and Decety, J. (2006) Empathy examined through the neural mechanisms involved in imagining how I feel versus how you feel pain. Neuropsychologia 44, 752–761. 28. Jackson, P.L., Rainville, P., and Decety, J. (2006) To what extent do we share the pain of others? Insight from the neural bases of pain empathy. Pain, in press. 29. Ostrowsky, K., Magnin, M., Ryvlin, P., Isnard, J., Gueno, M., and Mauguière, F. (2002) Representation of pain and somatic sensation in the human insula: a study of responses to direct electrical cortical stimulation. Cereb. Cortex 12, 376–385. 30. Isomura, Y. and Takada, M. (2004) Neural mechanisms of versatile function in primate anterior cingulate cortex. Rev. Neurosci. 15, 279–291. 31. Russell, J. (1996) Agency and Its Role in Mental Development. Psychology Press, Hove. 32. Zelazo, P.D. (2004) The development of conscious control in childhood. Trends Cogn. Sci 8, 12–17 33. Perner, J. and Lang, B. (1999) Development of theory of mind and executive control. Trends Cogn. Sci. 3, 337–344. 34. Carlson, S.M. and Moses, L.J. (2001) Individual differences in inhibitory control and children's theory of mind. Child Dev. 72, 1032–1053. 35. Davis, M.H. (1994) Empathy: A Social Psychological Approach. Brown and Benchmark, Dubuque. 36. Decety, J. and Jackson, P.L. (2004) The functional architecture of human empathy. Behav. Cogn. Neurosci. Rev. 3, 71–100. 37. Ruby, P. and Decety, J. (2004) How would you feel versus how do you think she would feel? A neuroimaging study of perspective taking with social emotions. J. Cogn. Neurosci. 19, 988–999. 38. Decety, J. and Grèzes, J. (2006) The power of simulation: imagining one’s own and other’s behavior. Brain Res. 1079, 4–14. 39. Lamm, C., Batson, C.D., and Decety, J. (2006) The neural basis of human empathy – effects of perspective-taking and cognitive appraisal. J. Cogn. Neurosci., in press. 40. Batson, C.D., Lishner, D.A., Carpenter, A., Dulin, L., Harjusola-Webb, S., Stocks, E.L., Gale, S., Hassan, O., and Sampat, B. (2003) As you would have them do unto you: does imagining yourself in the other's place stimulate moral action? Pers. Soc. Psychol. Bull. 29, 1190–1201. 41. LeDoux, J.E. (2000) Emotion circuits in the brain. Annu. Rev. Neurosci. 23, 155–184. 42. Zald, D.H. (2003) The human amygdala and the emotional evaluation of sensory stimuli. Brain Res. Rev. 41, 88–123. PAGINA 21 PAGINA 22 43. Wager, T.D. and Feldman Barrett, L. (2004) From affect to control: functional specialization of the insula in motivation and regulation. Online Publication at http://www.apa.org/psycextra 44. Critchley, H.D., Wiens, S., Rotshtein, P., Öhman, A., and Dolan, R.D. (2005) Neural systems supporting interoceptive awareness. Nat. Neurosci. 7, 189–195. 45. Hesslow, G. (2002) Conscious thought as simulation of behavior and perception. Trends Cogn. Sci. 6, 242–247. 46. Goldman, A. (2006) Simulating Minds: The Philosophy, Psychology, and Neuroscience of Mindreading. Oxford University Press, New York. 47. Gallup, G.G. (1982) Self-awareness and the emergence of the mind in primates. Am. J. Primatol. 2, 237–248. 48. Decety, J. and Sommerville, J.A. (2003) Shared representations between self and others: a social cognitive neuroscience view. Trends Cogn. Sci. 7, 527–533. 49. Decety, J. (2005) Perspective taking as the royal avenue to empathy. In Other Minds: How Humans Bridge the Divide Between Self and Other. Malle, B.F. and Hodges, S.D., Eds. Guilford Publications, New York. pp. 135– 149. 50. Sommerville, J.A. and Decety, J. (2006) Weaving the fabric of social interaction: articulating developmental psychology and cognitive neuroscience. Psychon. Bull. Rev. 13, 179–200. 51. Rochat, P. (1999) Early Social Cognition: Understanding Others in the First Months of Life. Lawrence Erlbaum Associates, Mahwah. 52. Jeannerod, M. (2003) The mechanism of self-recognition in humans. Behav. Brain Res. 142, 1–15. 53. Blakemore, S.-J. and Frith, C.D. (2003) Self-awareness and action. Curr. Opin. Neurobiol. 13, 219–224. 54. Jackson, P.L. and Decety, J. (2004) Motor cognition: a new paradigm to study self other interactions. Curr. Opin. Neurobiol. 14, 259–263. 55. Blanke, O. and Arzy, S. (2005) The out-of-body experience: disturbed self-processing at the temporo-parietal junction. Neuroscientist 11, 16–24. 56. Berlucchi, G. and Aglioti, S. (1997) The body in the brain: neural bases of corporeal awareness. Trends Neurosci. 20, 560–564. 57. Blanke, O., Ortigue, S., Landis, T., and Seeck, M. (2002) Stimulating illusory own-body perceptions. Nature 419, 269–270. 58. Farrer, C., Franck, N., Georgieff, N., Frith, C.D., Decety, J., and Jeannerod, M. (2003) Modulating the experience of agency: a positron emission tomography study. Neuroimage 18, 324–333. 59. Farrer, C. and Frith, C.D. (2002) Experiencing oneself vs. another person as being the cause of an action: the neural correlates of the experience of agency. Neuroimage 15, 596–603. 60. Leube, D.T., Knoblich, G., Erb, M., Grodd, W., Bartels, M., and Kircher, T.T.J. (2003) The neural correlates of perceiving one’s own movements. Neuroimage 20, 2084–2090. 61. Uddin, L.Q., Molnar-Szakacs, I., Zaidel, E., and Iacoboni, M. (2006) rTMS to the right inferior parietal lobule disrupts self-other discrimination. SCAN 1, 65–71. 62. Chaminade, T. and Decety, J. (2002) Leader or follower? Involvement of the inferior parietal lobule in agency. Neuroreport 13, 1975–1978. 63. Decety, J., Chaminade, T., Grèzes, J., and Meltzoff, A.N. (2002) A PET exploration of the neural mechanisms involved in reciprocal imitation. Neuroimage 15, 265–272. 64. Ruby, P. and Decety, J. (2001) Effect of subjective perspective taking during simulation of action: a PET investigation of agency. Nat. Neurosci. 4, 546–550. 65. Ruby, P. and Decety, J. (2003) What you believe versus what you think they believe? A neuroimaging study of conceptual perspective taking. Eur. J. Neurosci. 17, 2475–2480. 66. Apperly, I.A., Samson, D., Chiavarino, C., and Humprheys, G. (2004) Frontal and temporo-parietal lobe contributions to theory of mind: neuropsychological evidence from a false-belief task with reduced language and executive demands. J. Cogn. Neurosci. 16, 1773–1784. 67. Saxe, R. and Wexler, A. (2005) Making sense of another mind: the role of the right temporo-parietal junction. Neuropsychologia 43, 1391–1399. NEWSLETTER NEWSLETTER 68. Lawrence, E.J., Shaw, P., Giampietro, V.P., Surguladze, S., Brammer, M.J., and David, A.S. (2006) The role of shared representations’ in social perception and empathy: an fMRI study. Neuroimage 29, 1173–1184. 69. Corbetta, M. and Shulman, G.L. (2002) Control of goal-directed and stimulus-driven attention in the brain. Nat. Rev. Neurosci. 3, 201–215. 70. Downar, J., Crawley, A.P., Mikulis, D.J., and Davis, K.D. (2000) A multimodal cortical network for the detection of changes in the sensory environment. Nat. Neurosci. 3, 277–283. 71. Eisenberg, N., Fabes, R.A., Murphy, B., Karbon, M., Maszk, P., Smith, M., O'Boyle, C., and Suh, K. (1994) The relations of emotionality and regulation to dispositional and situational empathy-related responding. J. Pers. Soc. Psychol. 66, 776–797. 72. Eisenberg, N., Smith, C.L., Sadovsky, A., and Spinrad, T.L. (2004). Effortful control. In Handbook of Self- Regulation. Baumeister, R.F. and Vohs, K.D., Eds. The Guilford Press, New York. pp. 259–282. 73. Derryberry, D. and Rothbart, M.K. (1988) Arousal, affect, and attention as components of temperament. J. Pers. Soc. Psychol. 55, 958–966. 74. Eisenberg, N., Shea, C.L., Carlo, G., and Knight, G. (1991) Empathy related responding and cognition: a "chicken and the egg" dilemma. In Handbook of Moral Behavior and Development. Vol. 2. Research. Kurtines, W. and Gewirtz, J., Eds. Erlbaum, Hillsdale. pp. 63–68. 75. Gross, J.J. (1998) The emerging field of emotion regulation: an integrative review. Rev. Gen. Psychol. 2, 271–299. 76. Ochsner, K.N. and Gross, J.J. (2005) The cognitive control of emotion. Trends Cogn. Sci. 9, 242–249. 77. Williams, M.A., McGlone, F., Abbott, D.F., and Mattingley, J.B. (2005) Differential amygdala responses to happy and fearful facial expressions depend on selective attention. Neuroimage 24, 417–425. 78. Villemure, C. and Bushnell, M.C. (2002) Cognitive modulation of pain: how do attention and emotion influence pain processing? Pain 95, 195– 199. 79. Wiech, K., Seymour, B., Kalish, R., Stephan, K.E., Koltzenburg, M., Driver, J., and Dolan, R.J. (2005) Modulation of pain processing in hyperalgesia by cognitive demand. Neuroimage 27, 59–69. 80. Kalisch, R., Wiech, K., Critchley, H.D., and Dolan, R.J. (2006) Levels of appraisal: a medial prefrontal role in highlevel appraisal of emotional material. Neuroimage 30, 1458–1466. 81. Craig, A.D. (2002) How do you feel? Interoception: the sense of the physiological condition of the body. Nat. Rev. Neurosci. 3, 655–666. 82. Kalisch, R., Wiech, K., Critchley, H.D., Seymour, B., O’Doherty, J.P., Oakley, D.A., Allen, P., and Dolan, R.J. (2005) Anxiety reduction through detachment: subjective, physiological, and neural effects. J. Cogn. Neurosci. 17, 874–883. 83. Kringelbach, M.L. and Rolls, E.T. (2004) The functional neuroanatomy of the human orbitofrontal cortex: evidence from neuroimaging and neuropsychology. Progr. Neurobiol. 72, 341–372. 84. Ochsner, K.N., Bunge, S.A., Gross, J.J., and Gabrieli, J.D.E. (2002) Rethinking feelings: an fMRI study of cognitive regulation of emotion. J. Cogn. Neurosci. 14, 1215–1229. 85. Hodges, S.D. and Klein, K.J.K. (2001) Regulating the costs of empathy: the price of being human. J. Socio-Econ. 30, 437–452. 86. Niedenthal, P.M., Halberstadt, J.B., Margolin, J., and Innes-Ker, A.H. (2000) Emotional state and the detection of change in the facial expression of emotion. Eur. J. Soc. Psychol. 30, 211–222. 87. Stein, M.B., Goldin, P.R., Sareen, J., Zorrilla, L.T., and Brown, G.G. (2002) Increased amygdala activation to angry and contemptuous faces in generalized social phobia. Arch. Gen. Psychol. 59, 1027–1034. 88. Phelps, E.A., Ling, S., and Carrasco, M. (2006) Emotion facilitates perception and potentiates the perceptual benefits of attention. Psychol. Sci. 17, 292–200. 89. Varkey, P., Chutka, D.S., and Lesnick, T.G. (2006) The aging game: improving medical students’ attitudes toward caring for the elderly. J. Am. Med. Directors Assoc. 7, 224–229. PAGINA 23 PAGINA 24 90. Davis, M.H. and Kraus, L.A. (1997) Personality and empathic accuracy. In Empathic Accuracy. Ickes, W., Ed. The Guilford Press, New York. pp. 144–168. 91. Singer, T., Seymour, B., O’Doherty, J.P., Stephan, K.E., Dolan, R.J., and Frith, C.D. (2006). Empathic neural responses are modulated by the perceived fairness of others. Nature 439, 466–469. 92. Seifritz, E., Esposito, F., Neuhoff, J.G., Lüthi, A., Mustovic, H., Dammann, G., von Bardeleben, U., Radue, E.W., Cirillo, S., Tedeschi, G., and Di Salle, F. (2003) Differential sex-independent amygdala response to infant crying and laughing in parents versus nonparents. Biol. Psychiatry 54, 1367–1375. 93. Klein, K.J.K. and Hodges, S.D. (2001) Gender differences, motivation, and empathic accuracy: when it pays to understand. Pers. Soc. Psychol. Bull. 27, 720–730. 94. Englis, B.G., Vaughan, K.B., and Lanzetta, J.T. (1982) Conditioning of counter-empathetic emotional responses. J.Exp. Soc. Psychol. 18, 375–391. 95. Lanzetta, J.T. and Englis, B.G. (1989) Expectations of cooperation and competition and their effects on observers’ vicarious emotional responses. J. Pers. Soc. Psychol. 56, 543–554. 96. Cialdini, R.B., Brown, S.L., Lewis, B.P., Luce, C., and Neuberg, S.L. (1997) Reinterpreting the empathy-altruism relationship: when one into one equals oneness. J. Pers. Soc. Psychol. 73, 481–494. 97. Lange, P.A.M. (2006) Bridging Social Psychology: Benefits of Transdisciplinary Approaches. Lawrence Erlbaum Associates, Mahwah. NEWSLETTER NEWSLETTER PAGINA 25 David Goldberg The interplay between biological and psychological factors in determining vulnerability to mental disorders Psychoanalytic Psychotherapy, Vol. 23, No. 3, September 2009, 236–247 Abstract This paper reviews recent research with animals which has cast new light on the mechanism and consequences of maternal attachment, and goes on to describe research in humans which has investigated the extent to which the same mechanisms may apply to us. It is clear that while some features of the adult are mediated by genes, environmental factors – notably good maternal attachment, are also of great importance. Stress during pregnancy can interfere with good maternal care with effects upon the hippocampus and the sensitivity of the infant’s hypothalamo-pituitary-adrenal (HPA) axis. Interactions between gene expression and environment, between behavior and genotype are important in the way they provide explanations of how the many different features that make-up the ‘depressive diathesis’ arise. E’tempo che il dialogo dei sordi, psichiatri genetisti e psicoterapeuti, arrivi al termine: importanti progressi sono stati compiuti nella comprensione dell’interazione tra la nostra costituzione genica e l’ambiente sociale che da una parte permettono ai geni di manifestarsi attraverso il fenotipo oppure, al contrario, vengono soppressi. E’ora possibile descrivere la biologia dell’attaccamento sicuro ed i cambiamenti fisiologici che lo accompagnano. Un vantaggio inaspettato di questo progresso è che ora abbiamo una visione più chiara sul perché alcune persone si dimostrano più vulnerabili a sviluppare sintomi di ansia e depressione quando affrontano eventi tristi o perdite, mentre altri risultano relativamente resilienti. Per esempio, mentre è vero che il 20% della popolazione sviluppa un disturbo depressivo a seguito di una evento di perdita (Brown e Harris, 1978), è spesso dimenticato che ciò implica che l’80% di quella stessa popolazione non lo sviluppi. Prima di revisionare i lavori recenti, verrà dato un breve resoconto di alcune dei più salienti riscontri precedenti (per una revisione completa della Letteratura confronta Golberg&Goodyear, 2005). Il neuroticismo (affettività negativa) offre un forte contributo a tutti i disturbi emozionali. Tutti coloro che hanno condotto un’analisi multivariata con strumenti auto-valutativi relativi ai disturbi mentali comuni, hanno trovato una generale componente di differenze riscontrabili nelle varie classificazioni. Il gruppo di Kendler in Virginia ha prodotto una serie di articoli occupandosi dei fattori genetici nei disturbi mentali comuni. Il contributo dei geni allo sviluppo dei disturbi emozionali è composto da due fattori correlati, il primo che corrisponde a grandi linee ad un fattore “ansiainfelicità”, che sono fortemente presenti nella depressione maggiore (DDM), nella distimia e nel Disturbo d’ansia Generalizzato (GAD) e il secondo fattore di “paura”, che gioca un ruolo primario nelle fobie e nel importanti progressi sono stati compiuti nella comprensione dell’interazione tra la nostra costituzione genica e l’ambiente sociale che da una parte permettono ai geni di manifestarsi attraverso il fenotipo oppure, al contrario, vengono soppressi PAGINA 26 disturbo di panico (Kendler, Prescott, Myers & Neale, 2003). C’è una frequente comorbilità tra nove di questi disturbi, c’è una straordinaria omogeneità tra i vari modelli in tre differenti paesi che hanno condotto ampi studi a livello nazionale. Gli Stati Uniti (Krueger, 1999), l’Australia (Slade &Watson, 2006) e l’Olanda (Vollebergh, ledema, Bijil, de Graaf, Smith&Ormel et al., 2001). Per tutti questi disturbi ci sono componenti comuni che riguardano sia l’ambiente familiare sia le fasi precoci della vita: disturbo d’ansia in famiglia, madri predisposte ad avere un disturbo internalizzato (emozionale), e più alti livelli di affettività negativa, disturbi della condotta durante l’infanzia e divorzio dei genitori (Goldberg and Goodyear, 2005). E’stato noto per molti anni che i bambini con una attaccamento insicuro non cercano il contatto con il loro care-giver ed hanno maggiori manifestazione di emozioni negative, un comportamento maggiormente antisociale e hanno spesso tratti ansiosi (Goldberg&Goodyear, 2005). Questi estesi fattori comuni tra quelli descritti dalle classificazioni come disturbi piuttosto diversi, richiedono un substrato biologico comune. Ci sono tre sistemi principali che hanno a che fare con le nostre reazioni verso l’ambiente sociale – il sistema nervoso centrale, il sistema endocrino e il sistema immunitario. Ciascuno di questi sistemi è in equilibrio con l’altro -il sistema nervoso centrale è in comunicazione con l’altro -il sistema nervoso centrale e quello endocrino principalmente dal sistema ipotalamo ipofisario, il sistema nervoso centrale ed il sistema immunitario dagli immuno-peptidi e dagli immuno-trasmettitori, e il sistema endocrino ed il sistema immunitario dagli immunotrasmettitotri e dagli ormoni endocrini. Lo stress emozionale è controllato dall’ippocampo, che in presenza di stress inibisce l’ipotalamo. Tale fenomeno è associato con l’aumento del fattore di rilascio del cortisolo (CRH) e l’arginina vasopressina (AVP). Questo fa sì che l’ipofisi stimoli il rilascio dell’ormone adrenocorticotropo, che stimola la corteccia surrenale a produrre cortisolo. Il cortisolo agisce inibendo l’ippocampo, così il ciclo omeostatico si completa. Il rilascio di CRH è associato con la risposta acuta allo stress e all’ansia, mentre l’arginina vasopressina è associata con la risposta cronica allo stress, aumentando la sensibilità dell’ipofisi e la depressione. I Glucocorticoidi rappresentano il prodotto finale dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e con le catecolamine serve a mobilizzare la produzione la distribuzione della risposta del corpo allo stress. Un individuo con un asse ipotalamo-ipofisisurrene sensibile è più vulnerabile a provare sentimenti di ansia, ed a formare risposte condizionate- per esempio risposte di paurapiù rapidamente degli altri. Ricerche con animali da esperimento. Uno psicoterapeuta potrebbe chiedere in che direzione la ricerca sugli animali possa implementare le nostre conoscenze relative all’attaccamento derivato dalla diretta osservazione dell’essere umano. Ci sono molti vantaggi: primo, gli effetti delle variabili genetiche e ambientali possono essere facilmente decodificati attraverso disegni sperimentali di topi tramite lo scambio crociato dei piccoli di una madre con quelli di un’altra; secondo, gli animali possono sperimentare esperienze più critiche di stimoli di punizione e ricompensa rispetto agli umani; e terzo, studi post-mortem possono chiarire i cambiamenti fisici attuali sottolineando gli effetti dell’ambiente sull’allevamento. I primi studi sistematici sulla deprivazione materna sono stati introdotti da Harry Harlow, che ha studiato scimmie reshus e macachi. Come è ben noto il suo gruppo ha dimostrato che l’isolamento sociale che perdurava per un anno risultava in giovani scimmie più timorose, che non avevano comportamenti sociali positivi, avevano scarsa aggressività e praticamente non avevano comportamenti sessuali (Harlow, Dodsworth &Harlow, 1965). Egli ha inoltre dimostrato che le femmine di scimmia che erano state deprivate socialmente tendevano a resistere ad avere rapporti con i maschi, e, quando questo avveniva con successo, volontariamente, dopo resistenze o artificialmente, spesso rifiutavano i loro piccoli, rifiutando il contatto che i piccoli persistevano nel cercare e talvolta facendo loro del male o uccidendoli (Harlow, Harlow, NEWSLETTER . Il contributo dei geni allo sviluppo dei disturbi emozionali è composto da due fattori correlati, il primo che corrisponde a grandi linee ad un fattore “ansia-infelicità”, che sono fortemente presenti nella depressione maggiore (DDM), nella distimia e nel Disturbo d’ansia Generalizzato (GAD) e il secondo fattore di “paura”, che gioca un ruolo primario nelle fobie e nel disturbo di panico Ci sono tre sistemi principali che hanno a che fare con le nostre reazioni verso l’ambiente sociale – il sistema nervoso centrale, il sistema endocrino e il sistema immunitario NEWSLETTER Dodsworth&Arling, 1966). Studi successivi hanno dimostrato che questi severi effetti potevano esser in gran parte superati dopo prolungati contatti con altre scimmie socialmente normali (Suomi e Harlow, 1972). Il seguente importante passo avanti è avvenuto nel 2002, quando Champoux e altri hanno dimostrato che la maggior componente del danno causato dalla deprivazione materna è determinato dal possesso di un particolare gene: il gene trasportatore della serotonina (5HTT). Ci sono tre principali aminoacidi- serotonina, noradrenalina e dopamina, ciascuno dei quali è di fondamentale importanza nella comprensione dell’ansia, della depressione e nel riconoscimento dei comportamenti in generale. Le scimmie che erano eterozigoti per il gene 5HTT -con un braccio lungo e un braccio corto del gene- dimostravano effetti più severi in seguito alla deprivazione materna rispetto a scimmie omozigoti per lo stesso gene (con doppio braccio lungo). A livello funzionale è stato poi dimostrato che questo gene è importante nel determinare in che misura eventi di perdita possono essere seguiti da episodi depressivi negli esseri umani, argomento che verrà discusso più avanti. Il successivo importante lavoro, invece, si è concentrato sul ruolo delle cure primarie. E’stato condotto su topi di laboratorio da Michael Meaney e il suo gruppo alla McGill University. Hanno studiato madri che avessero differenti livelli di “licking and grooming behaviours” (LGBs, comportamenti di accudimento e affetto verso i piccoli, n.d.t.) verso i loro piccoli. I vantaggi dei topi rispetto alle scimmie è che il loro ciclo vitale è più breve, oltre al fatto che sono più economici. Alcune madri ratte mostravano un grande quantitativo di questi comportamenti, inarcando spesso le loro schiene e pulendo frequentemente i loro piccoli –chiamato “madri con alto LG-Arched Back nursing (ABN)”-, mentre altre mostravano questi comportamenti in maniera molto scarsa. Scambiando i piccoli dalle madri con basso LG con i piccoli delle madri con alto LG e viceversa è possibile dimostrare che l’effetto di queste cure primarie coscienziose sono piuttosto indipendenti dall’assetto genetico. Una volta che una femmina sperimenta tale accadimento, metterà in atto gli stessi comportamenti con la sua prole, anche se la sua madre biologica era carente in tali comportamenti (Francis, Diorio, Liu, & Meaney, 1999). Inoltre, Liu, Diorio, Day, Francis, & Meaney (2000) hanno dimostrato che alti livelli di comportamenti LG causano un migliore sviluppo dell’ippocampo, aumentano l’innervazione colinergica dell’ippocampo ed incrementano l’apprendimento spaziale e la memoria. Un basso grado di comportamenti LG, dall’altra parte, causa un livello significativamente maggiore di proteine acidiche gliali fibrillari a livello ippocampale (Bredy, Grant, Champagne, & Meaney, 2003). L’epigenetica è la branca della biologia che studia l’interazione causale tra geni e ambiente che conduce il fenotipo all’essere, e determina quando un particolare gene sarà attivo oppure verrà silenziato. Studiando il gene del recettore ippocampale dei glucocorticoidi, Fish ed altri nel 2004, hanno identificato che le cure materne regolano la sua espressione modificando due processi: l’acetilazione degli istoni e la metilazione della sequenza consensus sul promotore dell’esone 17 di NGF1-A (un fattore di crescita neuronale). Tali variazioni il LG-ABN possono alterare la funzione dell’asse ipotalamo-ipofisi—surrene e lo sviluppo cognitivo ed emotivo colpendo direttamente i sottostanti meccanismi neuronali. Di grande rilevanza è il fatto che i comportamenti LG determinano il livello di sensibilità dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene; le madri con più bassi livelli LG, crescono una prole con un asse ipotalamoipofisi-surrene più sensibile. Weawer e altri (2004) hanno dimostrato che elevati livelli di comportamento LG alterano l’epigenoma dei cuccioli e il promotore del gene che codifica per il recettore dei glucocorticoidi (GR) a livello ippocampale. Essi hanno trovato delle differenze nella metilazione del DNA, comparando tali cuccioli con quelli delle mamme a basso comportamento LG. Queste differenze emergevano dopo la prima settimana di vita, erano reversibili dopo lo scambio di madri, persistevano nell’età adulta ed erano associati con un’alterata acetilazione degli istoni e con la trascrizione di (NGFI-A)legato al promotore del recettore PAGINA 27 Ci sono tre principali aminoacidi- serotonina, noradrenalina e dopamina, ciascuno dei quali è di fondamentale importanza nella comprensione dell’ansia, della depressione e nel riconoscimento dei comportamenti in generale. Le scimmie che erano eterozigoti per il gene 5HTT con un braccio lungo e un braccio corto del gene- dimostravano effetti più severi in seguito alla deprivazione materna rispetto a scimmie omozigoti per lo stesso gene (con doppio braccio lungo) L’epigenetica è la branca della biologia che studia l’interazione causale tra geni e ambiente che conduce il fenotipo all’essere, e determina quando un particolare gene sarà attivo oppure verrà silenziato PAGINA 28 dei glucorticoidi. Essi hanno dimostrato che tali cambiamenti erano potenzialmente reversibili. Zhang, Parent, Weaver, & Meaney (2004) hanno riportato i risultati di una serie di studi che dimostrano che variazioni nelle interazioni madrecucciolo programmano lo sviluppo delle differenze individuali nelle risposte comportamentali ed endocrine allo stress nei topi. Questi effetti sono associati con un’alterata espressione di geni in alcune regioni cerebrali, come l’amigdala, l’ippocampo e l’ipotalamo, che regolano l’espressione delle risposte allo stress. Menard, Champagne, & Meaney (2004) hanno dimostrato che i topi adulti che avevano avuto una madre con alti livelli di LG crescendo erano meno timorosi nel rispondere alle novità rispetto a quelli che erano stati allevati da madri con bassi livelli di LG, dati che suggeriscono che le cure materne servono a “programmare” i circuiti neuronali che modulano le risposte legate alla paura nel topo e ciò risulta in risposte neuronali qualitativamente differenti allo stress, che condizionano anche la responsività del sistema immunitario. McGowan, Meaney & Szyf (2008) descrivono nel dettaglio il processo biologico in base al quale l’allevamento precoce condiziona i comportamenti futuri. Essi hanno dimostrato che naturali variazioni nel comportamento materno nel ratto influenzano la reattività allo stress nella prole e inducono cambiamenti a lungo termine nell’espressione genica, inclusi i recettori dei glucocrticoidi. Questi sono alternativamente associati con un’alterata acetilazione degli istoni, la metilazione del DNA e la trascrizione del fattore di attacco di NGF1-A. C’è evidenza che questi cambiamenti sono sensibili alle influenze ambientali come il comportamento materno e la dieta, che conducono alle sostenute differenze all’interno del fenotipo. Questi effetti possono essere reversibili con un precoce scambio di madri postatale, e con una manipolazione farmacologia nell’età adulta, incluse a somministrazione di Tricostatina A (TSA) e Metionina., che influenzano lo stato epigenetico di loci critici a livello cerebrale. Così come i livelli di Metionina sono influenzati dalla dieta, questi effetti suggeriscono che la dieta potrebbe contribuire significativamente a questa plasticità comportamentale. Il passo successivo in questa linea di ragionamento è probabilmente il più interessante: l’ambiente nel quale avvengono le precoci cure materne ha effetto sul fatto che il comportamento LG si manifesti o meno nella generazione successiva (Champagne&Meaney, 2007). I topi sono stati assegnati a tre ambienti di allevamento - un ambiente impoverito, in una piccola gabbia senza cuccia e con il pavimento grigliato, un ambiente “normale” in una gabbia più ampia con del materiale per fare una cuccia; oppure una “arricchita” con multi-compartimenti di sei livelli, equipaggiati con materiale per costruire un giaciglio e connesso con dei tunnel- i vari compartimenti erano dotati di una selezione di giochi che venivano cambiati ogni giorno. Quelli che crescevano nelle gabbie in isolamento non sviluppavano alti livelli di comportamento LG, anche se le loro erano madri con elevati livelli di comportamento LG, mentre i ratti che vivevano nell’ambiente “arricchito”, sviluppavano il comportamento ad alto LG anche se le loro erano madri a basso LG. Solo nella gabbia con allestimento “normale” il comportamento LG delle madri agiva come unico determinante del comportamento delle future madri. Diorio e Meaney (2007) sono arrivati a dimostrare che in condizioni di avversità ambientali, gli effetti del comportamento materno aumentano le capacità di mettere in atto risposte difensive della prole. Cure materne scarse aumentano le reazione di timore e la sensibilità dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, così come performance più scarse nei compiti che richiedono attenzione, apprendimento di nuove capacità e memoria. Sembra che questi effetti “programmino” i sistemi endocrino, cognitivo ed emozionale verso un aumento della sensibilità alle avversità. Con un aumentato livello di avversità tali effetti comportamentali possono esser considerati adattativi, aumentando la capacità di rispondere con comportamenti che hanno un immediato valore adattativi; il costo è pero un aumentato rischio per multiple forme di patologie nella vita futura. NEWSLETTER Zhang, Parent, Weaver, & Meaney (2004) hanno riportato i risultati di una serie di studi che dimostrano che variazioni nelle interazioni madrecucciolo programmano lo sviluppo delle differenze individuali nelle risposte comportamentali ed endocrine allo stress nei topi. Questi effetti sono associati con un’alterata espressione di geni in alcune regioni cerebrali, come l’amigdala, l’ippocampo e l’ipotalamo, che regolano l’espressione delle risposte allo stress. le cure materne servono a “programmare” i circuiti neuronali che modulano le risposte legate alla paura nel topo e ciò risulta in risposte neuronali qualitativamente differenti allo stress, che condizionano anche la responsività del sistema immunitario. NEWSLETTER L’ossitocina, molto usata dalle ostetriche per la sua azione promotrice sia delle contrazioni uterine durante gli stadi finali del travaglio, sia come attivatore della produzione di latte nel periodo dell’allattamento, è un altro ormone ipofisario che si è scoperto avere altre importanti funzioni. Tra queste la più importante è il ruolo che ha nel promuovere il comportamento affiliativo negli animali da branco come mucche e pecore, e nell’influenzare i comportamenti relativi alle cure materne. Per esempio, quando vengono somministrati degli antagonisti dell’ossitocina ai ratti, val Leengoed, Kerker & Swanson (1987) hanno dimostrato che venivano aboliti gli elevati livelli di comportamento LG. Champagne and Meaney (2006) hanno investigato alcuni determinanti degli elevati livelli di LG delle madri oltre all’esperienza precoce della maternità. Hanno preso madri che disponevano di alti o bassi livelli di LG nel corso della prima figliata e durante la seconda gravidanza le sottoponevano ad alti o bassi livelli di stress. La condizione di elevato stress consisteva nel sottoporle a tre periodi di 30 minuti al giorno durante gli ultimi sette giorni di gravidanza. I cuccioli di sesso femminile sono stati raggruppati e a loro volta osservati con i loro cuccioli. Lo stress durante la gravidanza riduce i comportamenti LG non solo nei confronti della seconda figliata, che era associata con l’imposizione di stressogeni durante la gestazione, ma anche per la terza gravidanza, durante la quale gli stressogeni non erano stati somministrati. I risultati del terzo accoppiamento hanno dimostrato il perdurare degli effetti dello stress indotto nel periodo gestazionale, sia nelle madri che nella prole, oltre che nell’osservazione di reazioni di timore da parte della prole. Durante la seconda e la terza gravidanza madri con alto LG che erano state stressate avevano un comportamento paragonabile a madri con basso LG, mentre madri con alto LG che non erano state stressate persistevano nel mostrare alti livelli di comportamenti LG. Questi cambiamenti si accompagnavano a elevati livelli di ossitocina a livello dell’amigdala, della stria terminale e dell’area pre-ottica. Dai loro risultati emergerebbe che lo stress durante la gravidanza può alterare direttamente la capacità materna di prestare cure, attraverso i sistemi neuroendocrini che normalmente regolano tale comportamento. Nel complesso, le ricerche sugli animali suggeriscono che, mentre alcuni importanti effetti sono mediati dai geni, alcuni effetti dell’ambiente possono parzialmente determinare in che misura un determinato gene si manifesterà nell’età adulta (attraverso il fenotipo). Inoltre, vi sono effetti ambientali che sono indipendenti dai geni, ma questi possono essere modificati attraverso la manipolazione dell’ambiente durante la crescita e sono essi stessi parzialmente condizionati dallo stress subito dalla madre durante la gravidanza. Profondi cambiamenti nel cervello del cucciolo di topo sono stati dimostrati in risposta a buone cure materne. L’ippocampo, la parte del cervello che è responsabile dell’accrescimento dell’apprendimento spaziale e della memoria, così come sulla sensibilità personale all’ambiente esterno, è la componente maggiormente condizionata da questi cambiamenti. Questi cambiamenti non sono semplicemente un modo di cambiare l’assetto genetico della prole-lo scambio della prole induce questo- ma maggiormente un modo per influenzare l’espressione dei geni nel fenotipo. Questi cambiamenti hanno l’effetto di modificare la sensibilità dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene nei cuccioli di topo, e in conseguenza la sua vulnerabilità agli effetti dello stress durante la vita adulta. E’stato dimostrato che le esperienze stressanti esperite dalla madre durante la gravidanza sopprimono gli effetti positivi delle buone cure materne, creando future generazioni di madri simili alle madri con basso LG -ma le buone madri che non vengono sottoposte allo stress durante la gravidanza, dimostrano che i vantaggi persistono nelle generazioni successive. Ricerche sull’essere umano Gli studi che includono gli esseri umani sono ovviamente necessari per vedere se gli effetti visti negli animali siano applicabili a noi, anche se gli studi sperimentali descritti nella precedente sezione non sono replicabili sull’essere umano. PAGINA 29 L’ ossitocina ha il ruolo di promuovere il comportamento affiliativo negli animali da branco come mucche e pecore, e nell’influenzare i comportamenti relativi alle cure materne Le ricerche sugli animali suggeriscono che, mentre alcuni importanti effetti sono mediati dai geni, alcuni effetti dell’ambiente possono parzialmente determinare in che misura un determinato gene si manifesterà nell’età adulta (attraverso il fenotipo). Inoltre, vi sono effetti ambientali che sono indipendenti dai geni, ma questi possono essere modificati attraverso la manipolazione dell’ambiente durante la crescita e sono essi stessi parzialmente condizionati dallo stress subito dalla madre durante la gravidanza PAGINA 30 Come verrà dimostrato in seguito, sembra che il lavoro fatto sugli animali sia di grande rilevanza per la nostra specie. Le ricerche sull’essere umano inoltre ci permettono di porci un altro tipo di problema -come mai alcuni bambini sono estremamente sensibili all’attaccamento insicuro e alle varie forme di avversità dell’infanzia, mentre molti altri sono relativamente resistenti?-Si vedrà che questo è il campo nel quale dove le interazioni tra geni e componenti ambientali diventano importanti. Nel precedente paragrafo abbiamo visto che le cure materne determinano parzialmente lo sviluppo dell’ippocampo. E’interessante ciò che è stato riscontrato da Buss e altri nel 2007: questo effetto ippocampale è dimostrabile solo negli esseri umani di sesso femminile che raccontano di aver ricevuto scarse cure materne. Le stesse modificazioni non erano invece dimostrabili in individui di sesso maschile che avevano vissuto nelle stesse condizioni. Qui ci si scontra con uno svantaggio relativo alla ricerca sull’essere umano- mentre nel topo i livelli di cure materne possono essere direttamente osservate, nell’essere umano adulto i ricercatori devono fare affidamento su un ricordo retrospettivo dell’infanzia ricostruita tramite il PBI (Parental Bonding Inventory). In ogni caso questo svantaggio focalizza l’attenzione sul sistema umano: gli umani, cioè, sono dotati di auto direttività e di memoria autobiografica, c’è la possibilità che, ciò che è effettivamente successo e ciò che invece è ricordato potrebbero essere indipendentemente importanti. L’importanza del gene che codifica per il trasportatore della serotonina (5HT) è stata confermata dagli studi sugli esseri umani: Caspi, Sugden, , Moffit, Taylor, Craig & Harrington (2003), hanno dimostrato che gli individui che hanno una o due copie dell’allele corto del promotore di 5 HT T esibivano maggiormente sintomi depressivi, depressione diagnosticabile e ideazione suicidaria in relazione a eventi stressanti di vita che gli individui omozigoti per l’allele lungo, cosa che conferma un’interazione tra il possesso del gene ed un evento ambientale-in questo caso il numero di eventi stressanti riportati dal soggetto. Questi sono risultati ampiamente confermati da Eley ed altri (2004); Kendler, Kuhn, Vittum, Prescott &Riley (2005) e Wilhelm ed altri (2006), anche se hanno fallito nel dimostrare l’associazione. Kaufman ed altri nel 2004 hanno esteso le ricerche sui bambini. In un campione di 101 bambini tra i 5 e i 15 anni, hanno confermato l’importanza dell’allele corto nella modulazione gli effetti delle esperienze stressanti, ma hanno aggiunto a tale riscontro che i maltrattamenti sui bambini senza supporti sociali si accompagnavano ai più alti tassi di depressione in presenza dell’allele corto. E’stato anche dimostrato che questa variante genetica- avente o un doppio allele corto (ss), o un gene corto e uno lungo (ls)-interagiscono con la qualità della responsività materna verso i figli. Barry, Kochanska & Philibert (2008) hanno dimostrato dopo una prolungata osservazione naturalistica di 88 coppie di madre e figlio che tale relazione non sussisteva tra colori che erano omozigoti per l’allele lungo di tale gene (ll). In ogni caso, con bambini (ss) e (sl), una bassa responsività materna era associata ad un attaccamento molto scarso, mentre un’elevata responsività si associava con bambini con alto attaccamento, simile a quello dei bambini omozigoti per la forma lunga del gene (ll), una responsività media era intermedia tra i due. Questi riscontri sono in accordo con il modello “diatesi-stress”: le esperienze negative precoci amplificano il rischio conferito dall’allele corto di 5-HTT, mentre esperienze precoci positive, mentre sono utili per contrastare tale rischio, sembrano non condurre a migliori outcomes che gli outcomes che hanno i bambini senza rischio genetico. Caspers, Paradiso, Yucuis &Troutman (2009) confermano l’importanza dell’interazione, in questo caso studiando adulti che erano stati adottati all’età media di 2,4 mesi, usando l’Adult Attachment Interview (Intervista per l’Attacamento dell’Adulto). Ancora una volta, è stata dimostrata un’associazione tra il possesso dell’allele corto del gene 5HTT e uno stile di attaccamento irrisolto. Tratti temperamentali e il possesso di correnti sintomi psicologici. Kochanska, Philbert& Barry (2009) hanno studiato 89 bambini usando lo “Strange Situation Test” a 15 mesi per valutare l’attaccamento materno, ripetendo test seriati fino a 52 mesi per valutare l’autoregolazione. Nei NEWSLETTER gli umani sono dotati di auto direttività e di memoria autobiografica, c’è la possibilità che, ciò che è effettivamente successo e ciò che invece è ricordato potrebbero essere indipendentemente importanti. è stata dimostrata un’associazione tra il possesso dell’allele corto del gene 5HTT e uno stile di attaccamento irrisolto. Tratti temperamentali e il possesso di correnti sintomi psicologici. NEWSLETTER bambini con attaccamento sicuro l’autoregolazione non era condizionata dalla presenza del gene , ma l’autoregolazione dei bambini con attaccamento insicuro che avevano l’allele corto era fortemente danneggiata. Un recente articolo di Caspi, McCray, Moffitt, Mill, Martin, Craig e altri (2002) ha dimostrato un’interazione gene-ambiente tra maltrattamenti durante l’infanzia ed il possesso del gene responsabile della codificazione dell’enzima che metabolizza il neurotrasmettitore Mono Amino Ossidasi A (il gene per le MAO A ). Questo lavoro ha riscontrato che coloro che avevano elevati livelli di espressione del gene MAO erano meno inclini a sviluppare problematiche antisociali se maltrattati, rispetto a coloro che avevano un basso livello di espressione del gene -la combinazione di bassi livelli di espressione genica e maltrattamenti durante l’infanzia producevano alti livelli di ogni tipo di comportamento antisociale e criminale durante la vita adulta-. Altri esempi di interazioni gene-ambiente potrebbero essere quelli tra fumo materno in epoca prenatale e il genotipo del trasportatore della dopamina con l’iperattivittà nell’infanzia (Kahn, Khoury, Nichols & Lanphear, 2003), e tra il gene delle catecol-o-metiltransferasi (COMT) e la cannabis usata in concomitanza di schizofrenia (Caspi et al. 2005). Ossitocina e abuso nell’infanzia Cyranowski, Frank, Young & Shear (2000) hanno ipotizzato che l’ossitocina, stimolando i comportamenti affiliativi in ragazze adolescenti, potrebbe essere parzialmente responsabile dell’alta prevalenza di depressione nelle ragazze, dal momento che ragazze con scarse relazioni con i coetanei prima della pubertà potrebbero avere un doppio svantaggio: se le loro relazioni con i coetanei sono scarse, una richiesta mediata dagli ormoni di un maggior legame potrebbe metterle in una situazione di svantaggio ancora maggiore. Domes, Heinrichhs, Michel, Berger&Herpetz (2007), in uno studio controllato con il placebo, hanno usato il test “Reading the Mind in the eyes” su 30 soggetti di sesso maschile ed hanno ipotizzato che l’ossitocina aiuti a “leggere” la mente delle altre persone. Questo test valuta un particolare aspetto della lettura della mente, che è l’interferenza dello stato interno da parte di sottili espressioni affettive del volto più che la lettura della mente di per sé (Baron-Cohen, Wheelwright, Hill, raste&Plumb, 2001). Guastella, Mitchell&Dadds (2008) hanno ipotizzato che l’ossitocina aumenti la fiducia negli altri e l’abilità di interpretare le emozioni degli altri: essi hanno dimostrato che, comparata al placebo, l’ossitocina aumenta il numero di fissazioni dello sguardo alla regione oculare dei soggetti. Heim ed altri (2009) hanno comparato i livelli di ossitocina nel fluido cerebrospinale i donne che hanno avuto esperienze di abuso o trascuratezza nell’infanzia con quello di alcune donne sane. Essi hanno riscontrato livelli inferiori in donne che avevano subito tutte le forme di abuso, particolarmente con forti differenze tra colore che erano state abusate emotivamente rispetto ai controlli sani. Mc Gowan ed altri (2009) hanno invece ipotizzato che l’abuso nell’infanzia alteri le risposte dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene allo stress e aumenti il rischio di suicidio. Essi hanno esaminato le differenze epigenetiche nel promotore di un recettore dei glucorticoidi neurone-specifico (NR3C1) tra ippocampi pelevati post mortem ottenuti da vittime morte suicide con una storia di abuso nell’infanzia e coloro che, seppur vittime di suicidio, non avevano subito tali abusi. Le vittime che avevano subito abuso differivano significativamente sia dal gruppo di controllo che dai soggetti che non avevano subito abuso, mentre gli altri due gruppi erano sostanzialmente simili. E’stato notato che il recettore dei glucocorticoidi era soppresso a livello ippocampale tra i suicidi per abuso sessuale, ed una grande porzione di essi aveva la regione promotrice di NR3C1 metilata. Essi hanno quindi trovato fattori comuni tra comportamento dei topi e degli esseri umani, suggerendo un effetto simile delle cure parentali sulla regolazione epigenetica dell’espressione del recettore dei glucorticoidi a livello ippocampale. Resumè del lavoro sugli esseri umani PAGINA 31 Nei bambini con attaccamento sicuro l’autoregolazione non era condizionata dalla presenza del gene , ma l’autoregolazione dei bambini con attaccamento insicuro che avevano l’allele corto era fortemente danneggiata Cyranowski, Frank, Young & Shear (2000) hanno ipotizzato che l’ossitocina, stimolando i comportamenti affiliativi in ragazze adolescenti, potrebbe essere parzialmente responsabile dell’alta prevalenza di depressione nelle ragazze, dal momento che ragazze con scarse relazioni con i coetanei prima della pubertà potrebbero avere un doppio svantaggio: se le loro relazioni con i coetanei sono scarse, una richiesta mediata dagli ormoni di un maggior legame potrebbe metterle in una situazione di svantaggio ancora maggiore. PAGINA 32 Negli esseri umani, gli effetti delle cure materne sullo sviluppo ippocampale sono stati da tempo dimostrati nelle femmine, ma non nei maschi. L’effetto dell’ambiente nel promuovere l’espressione genica sembra essere supportato dai lavori che dimostrano che l’entità delle anormalità in un particolare gene , responsabile del metabolismo di un importante neurotrasmettitore inibitore (serotonina), può essere dimostrato essere responsabile della sensibilità dell’adulto agli stress esterni. Questo gene è anche correlato con la probabilità di sviluppare un attaccamento insicuro. Inoltre, le anormalità osservate nel topo sembrano applicabili anche all’essere umano. In modo simile, le anormalità in un altro gene, responsabile del neurotrasmettitore monoaminoossidasi A, sono associate alla sensibilità del bambino degli effetti nocivi delle punizioni fisiche – in presenza del gene normale, la relazione è abbastanza debole, ma se è anormale si verificano risultati a livello di comportamento antisociale. Sembra che l’ormone ossitocina -così ben conosciuto per la sua importanza nei primi anni dell’infanzia-, abbia altri svariati importanti effetti. L’abuso sessuale durante l’infanzia associato a bassi livelli di ossitocina nel fluido cerebrospinale, e individui abusati sessualmente che conseguentemente si suicidano hanno un’aumentata sensibilità dell’asse ipotalamo ipofisario ed hanno modificazioni simili a quelli visti negli studi sugli animali. Nella giovane ragazza adolescente tale ormone aumenta il bisogno di relazioni strette- e in conseguenza probabilmente la vulnerabilità con relativamente scarse relazioni a vivere episodi depressivi-. Queste interazioni tra gene ed ambiente, tra comportamento e genotipo sono importanti, perché forniscono le spiegazioni di come agiscono i differenti aspetti che compongono la diatesi depressiva. In ogni caso, hanno significati molto più vasti. Questi aspetti creano presupposti per un possibile strada nella quale cambiando i fattori culturali ed interpersonali tra generazioni, possono essere causati effetti sul genotipo, oltre al fatto che cambiamenti nella cultura potrebbero operare come acceleratori di processi evolutivi. Nel complesso, abbiamo visto che condizioni ambientali avverse sono specialmente dannose per alcuni genotipi, non dimenticando la popolazione relativamente resiliente. Le ricerche in questo campo sono in continua rapida espansione e ci si aspettano molti passi avanti nei prossimi anni. Gli Psicoterapeuti saranno interessati a sapere che Nemeroff e altri (2003) hanno dimostrato che la psicoterapia (basata su un’analisi cognitivo comportamentale) mostrava migliori risultati in quei pazienti depressi che avevano sperimentato abusi e trascuratezza nell’infanzia rispetto ai soggetti che ricevevano l’antidepressivo senza psicoterapia. L’aggiunta dell’antidepressivo produceva solo pochi miglioramenti, suggerendo pertanto che la psicoterapia debba essere pensata come un ingrediente essenziale del trattamento per coloro che hanno vissuto un trauma nell’infanzia.. BIBLIOGRAFIA: 1. 1.Baron-Cohen, S., Wheelwright, S., Hill, J., Raste, Y., & Plumb, I. (2001). The ‘Reading the Mind in the Eyes’ Test, revised version: A study with normal adults, and adults with Asperger syndrome or high-functioning autism. Journal of Child Psychology and Psychiatry, 42, 241–251. 2.Barry, R.A., Kochanska, G., & Philibert, R.A. (2008). G·E interaction in the organization of attachment: Mothers’ responsiveness as a moderator of children’s genotypes. Journal of Child Psychology and Psychiatry, 49, 1313–1320. 3.Bredy, T.W., Grant, R.J., Champagne, D.L., & Meaney, M.J. (2003). Maternal care influences neuronal survival in the hippocampus of the rat. European Journal of Neuroscience, 18(10), 2903–2909. 4.Brown, G.W., & Harris, T. (1978). The social origins of depression. London: Tavistock. NEWSLETTER L’abuso sessuale durante l’infanzia associato a bassi livelli di ossitocina nel fluido cerebrospinale, e individui abusati sessualmente che conseguentemente si suicidano hanno un’aumentata sensibilità dell’asse ipotalamo ipofisario ed hanno modificazioni simili a quelli visti negli studi sugli animali. Nella giovane ragazza adolescente tale ormone aumenta il bisogno di relazioni strette- e in conseguenza probabilmente la vulnerabilità con relativamente scarse relazioni a vivere episodi depressivi-. La psicoterapia (basata su un’analisi cognitivo comportamentale) mostrava migliori risultati in quei pazienti depressi che avevano sperimentato abusi e trascuratezza nell’infanzia rispetto ai soggetti che ricevevano l’antidepressivo senza psicoterapia. L’aggiunta dell’antidepressivo produceva solo pochi miglioramenti, suggerendo pertanto che la psicoterapia debba essere pensata come un ingrediente essenziale del trattamento per coloro che hanno vissuto un trauma nell’infanzia.. NEWSLETTER 5.Buss, C., Lord, C., Wadiwalla, M., Hellhammer, D.H., Lupien, S.J., Meaney, M.J., & Pruessner, J.C. (2007). Maternal care modulates the relationship between prenatal risk and hippocampal volume in women but not in men. Journal of Neuroscience, 27(10), 2592–2595. 6.Caspers, K.M., Paradiso, S., Yucuis, R., & Troutman, B. (2009). Association between the serotonin transporter promoter polymorphism (5-HTTLPR) and adult unresolved attachment. Developmental Psychology, 45, 64–76. 7.Caspi, A., McCray, J., Moffitt, T.E., Mill, J., Martin, J., & Craig, I.W. et al. (2002). Role of genotype in the cycle of violence in maltreated children. Science, 297, 851–854. 8.Caspi, A., Sugden, K., Moffitt, T.E., Taylor, A., Craig, I.W., & Harrington, H. et al. (2003). Influence of life stress on depression Polymorphism in the 5HTT gene. Science, 301, 386–389. 9.Caspi, A., Moffitt, T.E., Cannon, M., McClay, J., Murray, R., Harrington, H., Taylor, A., Arseneault, L., Williams, B., Braithwaite, A., Poulton, R., & Craig, I.W. (2005). Moderation of the effect of adolescent-onset cannabis use on adult psychosis by a functional polymorphism in the COMT gene: Longitudinal evidence of a gene X environment interaction. Biological Psychiatry, 57, 1117–1127. 10.Champagne, F.A., & Meaney, M.J. (2006). Stress during gestation alters postpartum maternal care and the development of the offspring in a rodent model. Biological Psychiatry, 59, 1227–1235. 11.Champagne, F.A., & Meaney, M.J. (2007). Transgenerational effects of social environment on variations in maternal care and behavioral response to novelty. Behavioral Neuroscience, 121, 1353–1363. 12.Champoux, M., Bennertt, A., Shannon, C., Higley, J.D., Lesch, K.P., & Suomi, S.J. (2002). Serotonin transporter gene polymorphism, differential early rearing, and behavior in rhesus monkey neonates. Molecular Psychiatry, 7, 1058–1063. 13.Cyranowski, J.M., Frank, E., Young, E., & Shear, M.K. (2000). Adolescent onset of the gender difference in lifetime rates of major depression. Archives of General Psychiatry, 57, 21–27. 14.Domes, G., Heinrichs, M., Michel, A., Berger, C., & Herpertz, S.C. (2007). Oxytocin improves ‘mind-reading’ in humans. Biological Psychiatry, 61, 731–733. 15.Diorio, J., & Meaney, M.J. (2007). Maternal programming of defensive responses through sustained effects on gene expression. Journal of Psychiatry and Neuroscience, 32(4), 275–284. 16.Eley, T.C., Sugden, K., Corsico, A., Gregory, A.M., Sham, P., McGuffin, P., Plomin, R., & Craig, I.W. (2004). Gene-environment interaction analysis of serotonin system markers with adolescent depression. Molecular Psychiatry, 9(10), 908–915. 17.Fish, E.W., Shahrokh, D., Bagot, R., Caldji, C., Bredy, T., Szyf, M., & Meaney, M.J. (2004). Epigenetic programming of stress responses through variations in maternal care. Annals of the New York Academy of Sciences, 1036, 167–180. 18.Francis, D., Diorio, J., Liu, D., & Meaney, M.J. (1999). Nongenomic transmission across generations of maternal behavior and stress responses in the rat. Science, 286(5442), 1155–1158. 19.Goldberg, D.P., & Goodyer, I. (2005). The origins and course of common mental disorders. London: Tavistock. 20.Guastella, A.J., Mitchell, P.B., & Dadds, M.R. (2008). Oxytocin increases gaze to the eye region of human faces. Biological Psychiatry, 63, 3–5. 21.Harlow, H.F., Dodsworth, R.O., & Harlow, M.K. (1965). Total social isolation in monkeys. Proceedings of the National Academy of Sciences, USA, 54(1), 90–97. 22.Harlow, H.F., Harlow, M.K., Dodsworth, R.O., & Arling, G.L. (1966). Maternal behavior of rhesus monkeys deprived of mothering and peer associations in infancy. Proceedings of the American Philosophical Society, 110(1), 58–66. 23.Heim, C., Young, L.J., Newport, D.J., Mletzko, T., Miller, A.H., & Nemeroff, C.B. (2009). Lower CSF oxytocin concentrations in women with a history of childhood abuse. Molecular Psychiatry, 14(10), 954–958. 24.Kahn, R.S., Khoury, J., Nichols, W.C., & Lanphear, B.P. (2003). Role of dopamine transporter genotype and maternal prenatal smoking in PAGINA 33 PAGINA 34 childhood hyperactiveimpulsive, inattentive, and oppositional behaviors. Journal of Pediatrics, 143, 104–110. 25.Kaufman, J., Yang, B.Z., Douglas-Palumberi, H., Houshyar, S., Lipschitz, D., Krystal, J.H., & Gelernter, J. (2004). Social supports and serotonin transporter gene moderate depression in maltreated children. PNAS, 101, 49. 26.Kendler, K.S., Prescott, C.A., Myers, J., & Neale, M.C. (2003). The structure of genetic and environmental risk factors for common psychiatric and substance use disorders in men and women. Archives of General Psychiatry, 60, 929–937. 27.Kendler, K.S., Kuhn, J.W., Vittum, J., Prescott, C.A., & Riley, B. (2005). The interaction of stressful life events and a serotonin transporter polymorphism in the prediction of episodes of major depression. Archives of General Psychiatry, 62, 529–535. 28.Kochanska, G., Philibert, R.A., & Barry, R.A. (2009). Interplay of genes and early mother–child relationship in the development of self-regulation from toddler to preschool age. Journal of Child Psychology and Psychiatry, in press. 29.Krueger, R.F. (1999). The structure of common mental disorders. Archives of General Psychiatry, 56, 921–927. 30.Liu, D., Diorio, J., Day, J.C., Francis, D.D., & Meaney, M.J. (2000). Maternal care, hippocampal synaptogenesis and cognitive development in rats. Nature Neuroscience, 3, 799–806. 246 31.McGowan, P.O., Meaney, M.J., & Szyf, M. (2008). Diet and the epigenetic (re)programming of phenotypic differences in behavior. Brain Research, 1237(C), 12–24. 32.McGowan, P.O., Sasaki, A., D’Alessio, A.C., Dymov, S., Labonte, B., Szyf, M., Turecki, G., & Meaney, M.J. (2009). Epigenetic regulation of the glucocorticoid receptor in human brain associates with childhood abuse. Nature Neuroscience, 12(3), 342–348. 33.Menard, J.L., Champagne, D.L., & Meaney, M.J. (2004). Variations of maternal care differentially influence ‘fear’ reactivity and regional patterns of cFOS immunoreactivity in response to the shock-probe burying test. Neuroscience, 129(2), 297–308. 34.Nemeroff, C.B., Heim, C.M., Thase, M.E., Klein, D.N., Rush, A.J., Schatzberg, A.F., Ninan, P.T., McCullough, J.P., Weiss, P.M., Dunner, D.J., Rothbaum, B.O., Kornstein, S., Keitner, G., & Keller, M.B. (2003). Differential responses to psychotherapy versus pharmacotherapy in patients with chronic forms of major depression and childhood trauma. PNAS, 100, 14293–14296. 35.Slade, T., & Watson, D. (2006). The structure of common DSM-IV and ICD-10 mental disorders in the Australian general population. Psychological Medicine, 36, 1593–1600. 36.Suomi, S., & Harlow, H.F. (1972). Social rehabilitation of isolate-reared monkeys. Developmental Psychology, 6, 487–496. 37.van Leengoed, E., Kerker, E., & Swanson, H.H. (1987). Inhibition of postpartum maternal behaviour in the rat by injecting an oxytocin antagonist into the cerebral ventricles. Journal of Endocrinology, 112, 275–282. 38.Vollebergh, W.A., Iedema, J., Bijl, R.V., de Graaf, R., Smit, F., & Ormel, J. (2001). The structure and stability of common mental disorders: The NEMESIS study. Archives of General Psychiatry, 58, 597–603. 39.Weaver, I.C., Cervoni, N., Champagne, F.A., D’Alessio, A.C., Seckl, J.R., Dymov, S., Szyf, M., & Meaney, M.J. (2004). Epigenetic programming by maternal behaviour.Nature Neuroscience, 8, 847. 40.Wilhelm, K., Mitchell, P.B., Niven, H., Finch, A., Wedgwood, L., Scimone, A., Blair, I.P., Parker, G., & Schofield, P.R. (2006). Life events, first depression onset and the serotonin transporter gene. British Journal of Psychiatry, 188, 210–215. 41.Zhang, T.-Y., Parent, C., Weaver, I., & Meaney, M.J. (2004). Maternal programming of individual differences in defensive responses in the rat. Annals of the New York Academy of Sciences, 1032, 85–103. NEWSLETTER NEWSLETTER PAGINA 35 Moriguchi Y, Ohnishi T, Decety J, Hirakata M, Maeda M, Matsuda H, Komaki G The human mirror neuron system in a population with deficient selfawareness: An fMRI study in alexithymia. Hum Brain Mapp. 2009 :Jul;30(7):2063-76. L’alessitimia (ALEX) (Sifneos, 1972) è una dimensione che descrive le persone che sembrano avere dei deficit nel comprendere, processare o raccontare le proprie emozioni. Ciò comprende la difficoltà nell’identificare, descrivere e lavorare con i propri sentimenti così come la difficoltà nel distinguere tra emozioni e sensazioni corporee legate all’attivazione emotiva (Taylor et al., 1997). ALEX è considerata un tratto personale, presente non solo nei soggetti sani ma anche in un largo spettro di pazienti psichiatrici e psicosomatici, ed è coinvolta nell’esordio e nell’aggravarsi di questi disturbi ( Taylor e Bagby, 2004. Taylor et al., 1997). Anche se esistono numerose teorie relative all’eziologia dell’ALEX, una delle proposte maggiormente accettate suggerisce un’asscoiazione con alcuni fattori legati allo sviluppo. Uno studio prospettico durato 31 anni su un ampio campione di bambini ha dimostrato che ALEX nell’età adulta era associata con l’essere un bambino non desiderato, l’essere nato in una famiglia con tanti bambini, l’essere cresciuto in ambiente rurale e la capacità di parlare all’età di 1 anno (Joukamaa et al., 2003; Kokkonen et al., 2003; Taylor an Bagby, 2004). Le attuali ricerche sono incentrate sul dimostrare la presenza di una correlazione tra ALEX e teorie rilevanti come quelle della psicologia dello sviluppo o delle malatie dell’età evolutiva. Nonostante ALEX faccia riferimento ai deficit nell’auto consapevolezza emotiva, spesso è indicata come una cattiva comprensione dei sentimenti altrui (Taylor et al., 1997). ALEX è stata identificata diverse volte in un ampio spettro di disturbi psichiatrici (ad es. abuso di sostanze (Cleland et al., 2005; Haviland et al., 1988; Mann et al., 1995; Taylor et al., 1990), disturbo post traumatico da stress (Alvarez e Shipko, 1991; Frewen et al., 2008; Hyer et al., 1990; Krystal et al., 1986) e disturbi dissociativi (Elzing et al., 2002; Irwin e Melbin-Helberg, 1997; Sayar et al., 2005; Zlotnick et al., 1996)). Allo stesso tempo, c’è da notare che esiste un identificazione con gli altri, come nell’autismo e nella sindrome di Asperger (AS) (Berthoz e Hill, 2005; Frith, 2004; Hill et al., 2004), schizofrenia (Cedro et al., 2001; Stanghellini e Ricca, 1995) e disturbo borderline di personalità (Guttman e La porte, 2002). Questi disturbi sono caratterizzati da una diminuita distinzione del sé dagli altri ed una minore empatia, così come da una maggiore angoscia orientata verso il sé o da un maggiore contagio emotivo (Decety e Moriguchi, 2007; Moriguchi et al., 2006; Preston e deWaal, 2002). Inoltre, studi recenti che utilizzano il neuroimaging (Moriguchi et al., 2006, 2007) hanno dimostrato che gli individui con ALEX hanno una minore capacità di mentalizzazione, di empatia cognitiva e di abilità prospettica. Questi risultati puntano a componenti comuni nel riconoscere il sé e gli altri; inoltre, ALEX comprende un deficit nell’autoconsapevolezza ed anche nella comprensione del perspective-taking altrui ad un livello cognitivo più elevato. L’alessitimia (ALEX) (Sifneos, 1972) è una dimensione che descrive le persone che sembrano avere dei deficit nel comprendere, processare o raccontare le proprie emozioni Uno studio prospettico durato 31 anni su un ampio campione di bambini ha dimostrato che ALEX nell’età adulta era associata con l’essere un bambino non desiderato, l’essere nato in una famiglia con tanti bambini, l’essere cresciuto in ambiente rurale e la capacità di parlare all’età di 1 anno PAGINA 36 I meccanismi neuronali che stanno alla base della comprensione degli stati mentali altrui possono includere il sistema dei neuroni a specchio (MNS) . Un neurone a specchio è un neurone senso motorio che si attiva sia quando un animale esegue un’azione, sia quando l’animale osserva la medesima azione eseguita da un altro individuo ( Gallese et al., 1996; Rizzolatti et al., 1996°). Perciò i neuroni “rispecchiano” il comportamento degli altri, così come se fosse l’osservatore ad eseguire l’azione, questi neuroni sono stati direttamente registrati nei primati( Rizzolati e Craighero, 2004). Negli umani, gli studi di neuroimaging hanno dimostrato una attività neuronale compatibile con i neuroni a specchio nella cortecia premotoria e nella corteccia parietale inferiore (Rizzolati e Craighero, 2004). Il MNS fornisce un primitivo ma già importante punto di partenza per la comprensione dei pensieri altrui attraverso la simulazione motoria. Inoltre il MNS è stato indicato come meccanismo importante per la comprensione sociale in generale (Blakemore e Frith, 2005; Ohnishi et al., 2004). Uno studio di imaging attraverso risonanza magnetica funzionale (fMRI) ha identificato una ridotta attività emodinamica nel MNS quando i bambini artistici osservano od imitano le espressioni facciali, mentre il compito era eseguito allo stesso modo dei bambini non autistici (Dapretto et al., 2006). Il dato interessante è che gli individui con autismo hanno totalizzato punteggi ALEX elevati (Berthoz e Hill, 2005; Bush et al., 1998; Frith, 2004; Hill e al, 2004; Tani et al., 2004). Inoltre l’autismo e ALEX paiono sovrapporsi per qualche motivo (Berthoz e hill, 2005; Fritzgerald e Bellgrove, 2006; Fitzgerald e molyneux, 2004). Comunque, Hamilton e al (2007) recentemente hanno dimostrato che l’abilità di capire ed imitare gli obbiettivi delle azioni manuali è intatta nei bambini con autismo. Inoltre non è chiaro se ALEX comprenda cambiamenti nel MNS che sembrano agire come prerequisiti per lo sviluppo dell’abilità di comprendere la mente altrui. Secondo quanto ne sappiamo, nessuno studio, ad oggi, ha esaminato la relazione tra MNS ed ALEX o i deficit nell’autoconsapevolezza. MATERIALI E METODI Lo studio è stato approvato dai comitati etici locali (Centro nazionale di neurologia e psichiatria in Giappone, Istituo nazionale di Sanità) e sviluppato in accordo con la dichiarazione di Helsinki. Partecipanti 310 studenti del college hanno compilato la Toronto ALEXithymia Scale (TAS) a 20 item (Moriguchi et al., 2007b; Taylor et al., 2003). Gli individui che risultavano con alti o bassi valori alla TAS (n=20, punteggio >60; n=17, punteggio<39) sono stati selezionati al fine di ottenere 2 gruppi con il più ampio range di punteggi ALEX possibile. 37 studenti hanno compilato il consenso informato per partecipare alla ricerca. Le variabili demografiche sono illustrate in tabella I. Tutti i partecipanti che hanno acconsentito ad entrare nello studio fMRI sono stati intervistati tramite l’utilizzo della Mini-International Neuropsychiatric Interview (Sheehan et al., 1998) da 2 medici specialisti in psichiatria e medicina psicosomatica. Tutti i partecipanti non avevano una storia di malattie neurologiche, mediche o psichiatriche e nessuno è stato escluso dallo studio. Tutti i partecipanti erano destrimani, come determinato tramite Edinburgh handedness inventory (Oldfield, 1971). I partecipanti erano perlopiù gli stessi coinvolti nello studio che esaminava l’associazione tra ALEX e mentalizzazione (Moriguchi et al., 2006) e tra ALEX ed empatia (Moriguchi et al., 2007). Comunque, questo studio è stato condotto in un setting completamente diverso ed è stato incentrato unicamente sulle analisi del paradigma MNS.. L’intero campione che abbiamo descritto (n=37) è stato diviso in 2 gruppi basati sui punteggi di cutoff della TAS-20: ALEX (TAS>60) e non-ALEX (TAS<39). L’intervista strutturata, edizione modificata, del Beth Israel hospital psychosomatic questionnaire (SIBIQ) (Arimura et al., 2002; Sirima et al., 1988) è stato utilizzato per confermare la presenza o l’assenza dell’ALEX. 4 parteipanti con elevati punteggi alla TAS-20 e bassi punteggi NEWSLETTER Un neurone a specchio è un neurone senso motorio che si attiva sia quando un animale esegue un’azione, sia quando l’animale osserva la medesima azione eseguita da un altro individuo Uno studio di imaging attraverso risonanza magnetica funzionale (fMRI) ha identificato una ridotta attività emodinamica nel MNS quando i bambini artistici osservano od imitano le espressioni facciali, mentre il compito era eseguito allo stesso modo dei bambini non autistici NEWSLETTER PAGINA 37 alla SIBIQ e 4 con bassi punteggi TAS-20 ed alti SIBQ sono stati esclusi. Punteggi comparativi per il rimanente gruppo ALEX (n=16) e non ALEX (n=13) sono illustrati in tabella 1. STRUMENTI PSICOLOGICI La TAS-20 (Bagby et al., 1994; Parker et al., al., 2003) ; la versione giapponese della TAS 20 redatta da Moriguchi et al. (2007b) è un questionario autosomministrato a 20 items. Gli items sono elencati su una scala a 5 valori da fortemente in disaccordo a fortemente in accordo. La TAS-20 ha una struttura a 3 fattori. Il fattore 1 valuta la difficoltà nell’identificare i sentimenti. Il fattore 2 valuta la difficoltà nel descrivere i sentimenti. Il fattore 3 valuta il pensiero concreto. L’intervista per l’alessitimia strutturata secondo il Beth Israel Hospital (SIBIQ, Arimura et al., 2002) è basata sul Beth Israel Hospital Psychosomatic questionnaire (Sriram et al., 1988) che è utilizzato perlopiù sui pazienti psicosomatici. La SIBIQ è stata studiata per i pazienti con sintomi fisici o psichiatrici e richiede ai pazienti di descrivere come loro percepiscono i propri sintomi. Nell’intervistare i pazienti senza sintomi, abbiamo modificato la SIBIQ aggiungendo domande relative ai loro sentimenti in risposta ad eventi cattivi/tristi/difficili (negativi) o felici/buoni/soddisfacenti (positivi) di cui hanno avuto esperienza. Se avessero risposto di non aver mai avuto simili eventi di vita, noi abbiamo aggiunto domande “se” in cui era chieso ai partecipanti di immaginare situazioni studiate per causare tali emozioni (in modo simile all’Alexithymia provoked questionairre; APRQ. Krystal et al., 1986) e veniva loro richiesto di rispondere in termini di emozioni proprie. I correttori dei test valutavano queste risposte come per la scale SIBIQ. La SIBIQ è stata somministrata da due medici qualificati, esperti in ALEX, e tra i loro punteggi veniva calcolata la media per ogni partecipante. I due ricercatori non erano a conoscenza della selezione dei partecipanti sulla base dei loro punteggi TAS. Non c’è un cutoff standard nella SIBQ. Noi abbiam posizionato un limite al quartile superiore dei punteggi SIBIQ (cioè >47) considerandolo il limite “superiore” ed il quartile più basso (<25) inteso come “inferiore”. Il test NEO a 5 fattori (NEO-FFI) (Costa e McCrae, 1992) è una delle misure standard del modello a cinque fattori (modello grandi cinque) dei tratti di personalità ed è una versione ridotta del Neo personality inventory (Costa McCrae, 1992), uno strumento largamente utilizzato studiato atto a fornire una descrizione generale della normale personalità attraverso una scala Likert a 5 punti, da 0 (fortemente in disaccordo) fino a 4 (fortemente in accordo). Questa scala comprende 60 items studiati per misurare le 5 grandi dimensioni (fattori) di personalità: nevroticismo (N), estroversione (E), apertura verso le esperienze (V), coperatività (A) e livello di consapevolezza (C). I punteggi vengono sommati e rientrano in un range da 0 a 48 per ciascuna dimensione personologica. La versione giapponese del NEO-FFI è stata validata e la sua affidabilità confermata nella popolazione in generale. (Shimonaka et al., 1997). L’indice di reattività interpersonale (IRI) (Davis, 1983); la versione giapponese sviluppata da Aketa (1999) fa parte di un tipo di questionari autosomministrati, che misurano la capacità empatica dei partecipanti. L’IRI consiste di quattro scale, ognuna che misura uno specifico componente di empatia. 1) L’interessamento empatico misura il sentimento di interessamento empatico verso gli altri. 2) il “vedere prospettive” misura l’abilità di prevedere le intenzioni di un altro ed è correlato con la competenza sociale. 3) La “Fantasia” misura il livello di identificazione emotiva con i personaggi di libri, film, ecc. e 4) lo stress personale misura il livello di sentimenti negativi autocentranti in risposta allo stress derivato dagli altri che può essere alla base di un agito egoistico della persona stessa. I fattori 1 e 2 sono caratterizzati da stili interpersonali desiderabili e predicono comportamenti positivi come una buona comunicazione, calore, persino la malleabilità ed uno sguardo La TAS 20 La SIBIQ Il test NEO L’indice di reattività interpersonale: IRI Religione: religiosità e spiritualità PAGINA 38 NEWSLETTER positivo sugli eventi di vita. Lo stress personale è correlato in modo negativo a questi comportamenti, ma positivamente alla sfiducia, insensibilità e ossessività (Davis e Oathout, 1987). La scala di coping allo stress (SCI) (Lazarus e Folkman, 1984); la versione giapponese è stata sviluppata dall’Istituto di sanità giapponese (1996), ed è stata usata per investigare il carattere e gli stili di coping dei partecipanti in risposta a degli stimoli. La SCI ha 2 fattori importanti: 1) le strategie cognitive di adattamento e 2) la strategie emotive di adattamento. Ci sono 8 sottoscale derivate dalla SCI: 1) confronto, 2) distanza, 3) auto controllo, 4) ricerca di supporto sociale, 5) accettazione delle responsabilità, 6) fuga-evitamento, 7) problem solving e 8) ripresa positiva. La versione giapponese delle scale psicologiche usate in questo studio e descritte in precedenza (TAS 20, IRI, SCI) è stata tradotta attraverso un metodo di back-tranlation e l’analisi dei fattori di tali versioni giapponesi ha dimostrato gli stessi fattori delle versioni inglesi originali. La concomitante validità ed affidabilità di ogni scala psicologica è stata confermata, indicando che la versione giapponese di ogni test psicologico misura lo stesso costrutto delle versioni originali. VIDEO CLIPS Gli stimoli visivi sono stati registrati in modo che venisse ripreso un individuo mentre compiva azioni manuali dirette ad uno scopo (ad es. sollevare una tazza, un martello, utilizzare un telefono) su 52 oggetti tipicamente usati nella vita di tutti i giorni (ad es. una gomma, una matita, una forchetta, ecc.) Gli oggetti era posizionati al centro della ripresa. Ogni video consisteva in una mano che si avvicinava dall’angolo superiore destro dello schermo e che sollevava l’oggetto. Ogni clip aveva una durata di 4 secondi; gli individui osservavano 5 movimenti di avvicinamento compiuti da un braccio artificiale al di sopra dei medesimi oggetti nel medesimo periodo. La velocità e l’intenzione del braccio artificiale era controllata affichè combaciasse con i tempi del medesimo compito eseguito a mano. Ogni video stimolo di controllo durava 4 secondi; perciò, durante il periodo del compito, i soggetti osservavano 5 stimoli. Gli stimoli erano gli stessi utilizzati nel precedente studio di fMRI mirato a misurare l’MNS nei bambini (Ohnishi et al., 2004). METODI E PROCEDURE DI CONTROLLO I partecipanti avevano preso parte ad una delle sessioni consistenti in 24 blocchi. Ogni compito o blocco di controllo consisteva di 5 trails di 4 sec nelle stesse condizioni. I partecipanti erano istruiti affinché osservassero passivamente ma attentamente i video clip rappresentanti le azioni manuali oggetto-correlate durante le condizioni di attività (8 blocchi) e i movimenti del braccio artificiale durante le condizioni di controllo (8 blocchi). Durante i trial di partenza, ai partecipanti veniva chiesto di fissare la croce centrale per 4 secondi e non veniva mostrato il compito MNS (8 blocchi). L’ordine delle condizioni era randomizzato durante gli incontri. Nessuno oggetto nei video veniva presentato più di una volta durante l’intero esperimento. ACQUISIZIONE DI DATI ED ANALISI I dati MRI sono stati acquisiti tramite un 1.5 Siemens Magneton Vision Plus System, Erlangen, Germania. Cambiamenti nei livelli di ossigeno nel sangue (BOLD) pesati attraverso segnale T2 MR (Ogawa et al., 1990) sono stati misurati attraverso sequenza di imaging a gradiente eco-planare (EPI) (tempo di ripetizione TR= 4 s, echo time TE=55 ms, FOV= 220 mm; angolo di rotazione 90, matrice 64 x 64, metodo a 30 slide continuo, spessore slide 4 mm, misura voxel 3.44 mm x 3.44 x 4 mm). Per ogni La scala di coping allo stress: SCI NEWSLETTER PAGINA 39 sessione di scan, un totale di 125 imagini EPI sono stae acquisite attraverso il piano AC-PC. Le immagini di MR strutturale sono state acquisite attraverso una sequenza MPRAGE (TE/TR, 4.4/11.4 ms; angolo di rotazione, 15; matrice di acquisizione 256x 256; 1nex campo visivo, 31.5 cm, spessore slide 1.23 mm) I primi 5 volumi delle immagini EPI sono stati scartati a causa dell’instabilità della magnetizzazione, inoltre abbiamo ottenuto 120 volumi per l’analisi Epi. Gli stimoli erano proiettati su uno schermo posto a 50 cm dalla testa dei partecipanti. I partecipanti guardavano lo schermo attraverso uno specchio fissato sulla testa. La processazione delle immagini era ottenuta attraverso un software di mappaggio parametrico (SPM2, Wellcome departmet of imaging neuroscience, London UK). Le immagini EPI era reallineate e coregistrate con le immagini MR T1 pesate dei partecipanti. Quindi, le immagini T1 erano trasformate nello spazio anatomico di un modello cerebrale in cui lo spazio era basato sullo spazio MNI (Montreal Neurologic Institue). I parametri per la trasformazione erano applicati alle immagini EPI coregistrate. Le immagini normalizzate erano arrotondate tramite un kernel a 8 mm FWHM. Un primo livello definito di analisi era calcolato utilizzando un modello lineare attraverso la risposta emodinica considerata come un vagone di cui la lunghezza ricopriva i 5 successivi video del medesimo tipo. Per testare le ipotesi degli effetti regione-specifici secondo le condizioni dettate dai compiti MNS, le stime erano comparate da medie di contrasto lineare per ogni periodo (il periodo di movimento manuale oggetto-correlato paragonato al periodo di movimento del braccio meccanico). I risultanti gruppi di valori voxel per ogni contrasto costituivano una mappa statistico-parametrica del t statistico SPM SPM (t). La localizzazione anatomica era presentata come coordinate MNI, e per controllare l’area di Broadmann, sono state usate le coordinate Talairach (1988). I contrasti di primo livello erano introdotti in un’analisi randomizzata di secondo livello (Friston et al., 1999) per permettere gli interventi della popolazione. I principali effetti nel guardare i video sono stati calcolati separatamente usando test a campione singolo separatamente per il gruppo ALEX ed il gruppo non ALEX, ed una analisi successiva di entrambi i test a campione singolo sono stati condotti per mostrare le aree di sovrapposizione relative all’attivazione all’interno dei 2 gruppi. Le analisi sono state condotte per ciascuno dei contrasti che potevano formare una mappa statistico parametrica attraverso il t statistico, in seguito poi trasformati nell’unità di distribuzione normale (SPM Z). Un livello di voxel e di cluster p<0.05 corretto per paragoni multipli (frequenza di falsa scoperta; t=2.9 per il gruppo non ALEX, 2.76 per il gruppo ALEX, e 2.77 per l’analisi comparativa) è stato usato per identificare le regioni MNS correlate paragonate all’ipotesi nulla. I test a 2 campioni sono stati usati per paragonare la differenza nell’attività neuronale correlata all’MNS tra il gruppo ALEX ed il gruppo non ALEX. L’altezza ed i limiti sono stati impostati a p<0.05 corretti per errore famiglia. Per le aree maggiormente correlate con l’ipotesi MNS (dorsale bilaterale/corteccia motoria preventrale e corteccia parietale supero/inferiore come le aree correlate al nucleo MNS, identificate in numerosi studi (ed. Buccino t al., 2004; Iacoboni e Dapretto (2006); Rizzolati e Craighero (2004)) ed il giro temporale medio-superiore considerato come area addizionale (Gazzola et al., 2007; Iacoboni e Dapretto, 2006; Rizzolati et al., 1996b; Tettamanti et al., 2005), abbiamo applicato un’analisi a regione di interesse (ROI). Per esplorare le differenze di gruppo in queste regioni MNS correlate, abbiamo usato una lenient height e degli extent thresholds (t= 1.70 e k= 10 rispettivamente) tra le regioni attivate nelle analisi comparative per ridurre il rischio di falsi Gli effetti guardando i video… Religione: religiosità e spiritualità PAGINA 40 NEWSLETTER negativi. Se le regioni che mostravano differenze significative venivano identificate in regioni già trovate in studi presenti o passasti, eseguivamo analisi ROI aggiuntive, che consistevano in 20 voxel centrati su ogni coordinata di picco trovate nel gruppo di paragone. I valori di contrasto medi individuali (compito meno controllo) sono stati calcolati per ogni ROI attraverso il software Marsbar. Questi valori di contrasto medi erano valutati attraverso t-test (p<0.05). Da queste analisi ROI, abbaimo confermato la presenza di regioni con significativi effetti di gruppo per le attivazioni MNS. Per chiarire più avanti le caratteristiche delle regioni che dimostravano differenze di gruppo per le attività MNS correlate, i coefficienti di correlazione tra questi valori di contrasto ROI mediati e i punteggi alle scale psicologiche sono stati calcolati per investigare le caratteristiche delle regioni che dimostravano differenze tra i gruppi. Inoltre, abbiamo testato l’omogeneità dei gruppi di variabili covariata-dipendenti, in cui l’attività neuronale per ogni ROI era una variabile dipendente, la presenza o meno di ALEX era considerata un livello categoriale, ed ogni punteggio psicologico una coverianza per vedere se ci fosse un’interazione tra ogni misura psicologica ed i livelli categoriali ALEX. Abbiamo anche confermato il significato delle correlazioni separatamente su ogni livello categoriale. RISULTATI ANALISI AD UN CAMPIONE E ANALISI DI PARAGONE I cambiamenti emodinamici significativi in risposta all’osservazione dei compiti di movimento manuale contro il gruppo di controllo (braccio meccanico) così come le analisi di paragone/congiunzione per ogni gruppi. Le regioni MNS correlate e le loro cordinate rappresentative per le analisi di paragone. Un simile pattern di attività è stato riscontrato in ogni gruppo e nelle analisi di paragone. Cambiamenti significativi erano identificati bilateralmente nel giro frontale supero/mediale (BA 6/8), giro frontale inferiore (BA 9/45), superiore (BA7) e parietale inferiore (BA 40/5), giro medio temporo-occipitale e giro fusiforme (BA 37/18). Aree di attivazione addizionli sono inoltre state identificate nel cervetto, uncino sinistro (BA 38) e cuneo (BA 19). ANALISI DI COMPARAZIONE TRA GRUPPI Abbiamo paragonato il gruppo ALEX con il gruppo non ALEX, esaminando l’attività neuronale in risposta al compito MNS (tavole 3, fig. 2) Inizialmente, non abbiamo identificato differenze tra i gruppi usando una soglia relativamente stretta (p<0.05, corretto per errore famiglia senza un’ipotesi precedente). In ogni caso, quando venivano impostati un’altezza ed un limite più larghi (t=1.70 e K=10) erano determinati per le regioni basate su un’ipotesi precedente tra le aree attivate identificate nell’analisi di congiunzione, un’attività più importante è stata notata nel gruppo ALEX paragonata al gruppo non ALEX nei lobi parietali superiori bilaterali (BA7/5/3), lobo parietale inferiore sinistro (BA40), giro frontale superiore bilaterale (BA6), e regioni medio temporali ed occipitali visione correlate (BA 37/22/19). Tra le aree MNS correlate, non c’erano aree in cui il gruppo non ALEX mostrava una più grande attivazione rispetto al gruppo ALEX (tavola 3 e figura 2). In seguito abbiamo centrato i sette ROI sulle cordinate identificate nello studio sul gruppo di controllo (cordinate in grassetto in tavola 3). I loci di questi ROI sono stati imputati come aree MNS correlate nell’uomo (Buccino et al., 2001, 2004b; Decety et al., 1994, 2002; Gazzola et al., 2007; Graffo net al., 1996; Grezes et al., 1998, 2001, 2003; Iacoboni e Dapretto, 2006; Iacoboni et al., 1999; Koski et al., 2002, 2003; Manthey et al., 2003; Nishitani e Hari, 2000, 2002; Perani et al., 2001; Rizzolati et al., 1996b; Tettamani et al., 2005). Tutte le 7 analisi hanno dimostrato che l’intensità media dell’attività neurale in ogni ROI in risposta al compito MNS era significativamente incrementata nel gruppo ALEX se comparata con il Analisi di paragone: NEWSLETTER PAGINA 41 gruppo non-ALEX nella corteccia premotoria superiore e nella corteccia parietale superiore-media-inferiore (Fig. 3 p<0.05, corretta ROI). ANALISI DI CORRELAZIONE I coefficienti di correlazione calcolati tra l’attivazione emodinamica per ciascun ROI e i punteggi alla scale psicologiche sono mostrati in tavola IV per i ROI MNS correlati identificati nella comparazione tra gruppi. L’attivazione bilaterale nei lobi parietali superiore-medio-inferiore era negativamente correlata con le scale valutanti il coping allo stress a livello cognitivo (“cognitivo”, ”problem solving”, “di confronto”, “ricerca di supporto sociale”, “auto controllo” e “apprezzamento positivo”) ed i fattori NEO-FFI di “estroversione”, “apertura alle esperienze” e “coscienziosità”. I lobi parietali sinistro medio-inferiore erano positivamente correlati con il fattore NEO-FFI di “nevroticismo”. L’area premotoria superiore sinistra era negativamente correlata con la scala IRI della ricerca di prospettive (Fig. 4). La regione temporale destra mediale non ha mostrato alcuna correlazione con le scale proposte. Inoltre, abbiamo ricercato una correlazione tra il gruppo ALEX e ciascun fattore psicologico (covarianza) per l’attività emodinamica in ciascun ROI come variabile dipendente. Abbiamo riscontrato un’interazione tra il gruppo ALEX e molti fattori psicologici nei ROI della regione parietale media (Neonevroticismo; F=5.01, P=0.035), la regione parietale sinistra medio-inferiore (NEO-nevroticismo; F=9.89, P=0.004, apprezzamento SCI-positivo; F=4.55, P=0.035) e regione media temporale (Sci- emotivo; F=6.31, P=0.019, accettazione della responsabilità; F=8.83, P=0.007, distanza; F=8.95, P=0.006, auto controllo; F=5.98, P=0.022). Per confermare i significati di correlazione in ciascun livello categoriale, abbiamo calcolato i coefficienti di correlazione tra il gruppo ALEX e quello non ALEX separatamente attraverso le coppie di fattori psicologici e ROI che mostravano una interazione significativa con la categorizzazione ALEX descritta in precedenza. (fig. 5). Inoltre, un cambiamento emodinamico era positivamente correlato con il nevroticismo-NEO e negativamente (ma non in modo significativo) con i fattori SCI nel gruppo ALEX. Nel gruppo non ALEX, le attività neurali nell’area medio-temporale erano positivamente correlate con i fattori SCI (emotivo, accettazione delle responsabilità e self control). Per quanto riguarda le scale ALEX correlate, abbiamo condotto analisi di correlazione separatamente per il gruppo ALEX e quello non ALEX. Il fattore TAS-20 ed i punteggi totali non mostravano una correlazione significativa con l’attività di ciascun ROI. I punteggi SIBQ hanno mostrato una correlazione positiva con l’attività neuronale nel ROI localizzato nella corteccia destra parietale superiore (Spearman’s rho=0.5, P=0.048; fig. 6) nel gruppo ALEX, ma non nel gruppo non ALEX (Spearman’s rho = -0.14, P = 0.65). DISCUSSIONE Lo studio ha esaminato le differenze nella risposta neuronale durante l’osservazione passiva dei movimenti manuali finalizzati oggetto-correlati (compiti MNS) tra gli individui con e senza ALEX. Innanzitutto, le analisi di congiunzione tese ad esaminare le analisi a campione singolo da ciascun gruppo hanno confermato un’aumentata risposta BOLD nella corteccia premotoria e parietale durante l’osservazione dei compiti MNS. Questo risultato è confrontabile con quanto riportato da Buccino et al. (2001; 2004°) i quali segnalavano come, allo stesso modo dell’effettuare azioni in un contesto reale, l’osservazione dell’azione porti all’attivazione selettiva dei circuiti frontoparietali organizzati somatotopicamente. I paragoni tra i gruppi hanno dimostrato che il gruppo ALEX, rispetto al gruppo non ALEX, mostrava una maggiore attivazione nelle aree parietali premotorie. Un recente studio di neuroimaging in ALEX mostrava come i partecipanti con ALEX attivassero un numero di parti della corteccia motoria e sensitiva (es. regioni “del corpo”) superiore rispetto al controllo in risposta a video clip con contenuto emozionale, incluso il giro precentrale sinistro (BA4), il lobo temporale subgirale, il lobo parietale Lo studio ha esaminato le differenze nella risposta neuronale durante l’osservazione passiva dei movimenti manuali finalizzati oggetto-correlati (compiti MNS) tra gli individui con e senza ALEX PAGINA 42 NEWSLETTER destro (BA7), ed il giro frontale mediale/superiore (BA6), cosa che suggerisce un’iperattivazione delle componenti sensomotorie (Karlsson et al., 2008). Questo studio è comparabile con le nostre scoperte in termini di iperattivazione del sistema neuro-motorio negli individui ALEX. Inoltre, l’attivazione neuronale nella corteccia premotoria sinistra era negativamente correlato con i punteggi che determinano l’abilità di impostare progetti. In aggiunta, l’attivazione nella regione destra parietale superiore nel gruppo ALEX era positivamente correlata con la severità di ALEX come misurato nell’intervista strutturata. Dato importante è che un recente studio di MRI funzionale (Moriguchi et al., 2006) ha dimostrato che gli individui ALEX avevano una performance inferiore nei compiti di teoria della mente (ToM) e mostravano una ridotta nell’abilità “perspective taking”. Una minore attività neuronale è stata riscontrata nella corteccia destra mediale prefrontale durante i compiti ToM. Gli Autori hanno proposto che la discriminazione sé-altro così come l’autoconsapevolezza può essere alterata nell’ALEX. Considerando che l’MNS ci permette di codificare le azioni altrui automaticamente attraverso un meccanismo neuronale di simulazione, ciò è essenzialmente opposto alla differenziazione sé-altro. Una spiegazione per questi risultati dimostra che un incremento nell’attività MNS nel gruppo ALEX è che questi individui hanno diminuite abilità di discriminare il sé dagli altri e sono più inclini a simulare le azioni degli altri sovrapponendole alle proprie. Questa spiegazione è in linea con la dimostrazione che gli individui con ALEX hanno una minore abilità perspective-taking e maggiori punteggi di stress auto-centrato (Guttman e La porte, 2002; Moriguchi et al., 2006). Un dato interessante è che un recente studio di Gazzola et al. (2006) ha segnalato l’area sinistra premotoria, l’area di Broca, e le aree SI/SII come aree di risposta sia durante l’esecuzione motoria sia quando gli individui ascoltavano i suoni delle azioni effettuate dallo stesso agente, questo in dimostrazione di un sistema acustico a specchio nell’organismo umano. Questo studio ha anche dimostrato che i partecipanti con un alto perspective-taking mostravano una maggiore attivazione in questo sistema acustico a specchio. Ciononostante questo dato appare opposto al risultato di questo studio, le condizioni dei due studi erano diverse; uno incentrato sulla vista, l’altro sull’udito. Questa discrepanza nella relazione tra punteggi di attivazione e perspective-taking nei due studi suggerisce che l’ MNS visuo-motorio osservato nello studio può operare ad un più basso livello di abilità cognitiva in perspective-taking e distinzione sè-altro, mentre l’MNS uditivo potrebbe includere più processi meta-rappresentativi rispetto al classico MNS moto correlato. Questa nozione è supportata dai nostri risultati tesi a dimostrare la correlazione negativa tra attivazione nella corteccia parietale e vari aspetti cognitivi di coping misurati attraverso SCI (cognitivi, problem solving, confrontativi, ricerca di supporto sociale, auto controllo ed apprezzamento positivo) così come tratti di personalità misurati attraverso NEO (extraversione, apertura all’esperienza e coscienziosità). In modo interessante, i punteggi positivi SCI erano negativamente correlati con l’attività emodinamica nella corteccia parietale in modo particolare nel gruppo ALEX. Inoltre, il nevroticismo era positivamente correlato con l’attività parietale medioinferiore e queste correlazioni erano maggiori nel gruppo ALEX confrontato con il gruppo non ALEX. Scoperte precedenti avevano notato come le persone con un alto punteggio nel nevroticismo sono auto coscienti in modo intensivo ed hanno una minore regolazione emotiva, motivazione ed abilità interpersonali; possono avere problemi anche nel controllo dell’impulsività e nel rimandare le gratificazioni (Goleman, 1995). Un alto nevroticismo è stato segnalato come positivamente correlato con la reazione che un individuo può avere nell’affrontare un pericolo (sensibilità nell’affrontare pericoli; FTS) così come la scala IRI dello stress personale, che ha una significativa relazione inversa con il perspective-taking (Davis, 1983) ed è anche positivamente correlata con FTS (White et al., 2004). Quindi, l’attività MNS correlata nella corteccia parietale può essere associata con la tendenza ad essere Un dato interessante è che un recente studio di Gazzola et al. (2006) ha segnalato l’area sinistra premotoria, l’area di Broca, e le aree SI/SII come aree di risposta sia durante l’esecuzione motoria sia quando gli individui ascoltavano i suoni delle azioni effettuate dallo stesso agente, questo in dimostrazione di un sistema acustico a specchio nell’organismo umano. NEWSLETTER PAGINA 43 facilmente influenzati dalle emozioni negative altrui. Saarela et al. (2007) hanno segnalato che il giro frontale inferiore (IFG) che ha un importante ruolo nel sistema motorio a specchio alla base della comprensione ed imitazione delle azioni, era attivato in risposta all’osservazione delle espressioni facciali in seguito a dolore provocato. Inoltre, l’attivazione della regione IFG era positivamente correlata con la misura IRI di stress personale, ma non con una scala di perspective-taking. Queste scoperte sono in linea con il presupposto della varietà in MNS (Hamilton et al., 2007), con risultati più associati con la tendenza allo stress personale o al contagio emotivo più che al perspective-taking. D’altra parte, studi recenti si sono incentrati sulla plasticità in MNS. Ad esempio i pianisti esperti non hanno mostrato un’attivazione più forte rispetto ai non musicisti nelle aree MNS correlate inclusa l’area premotoria in risposta al suono/vista del suono di un piano (Bangert et al., 2006), ed è stato dimostrato che l’MNS era modulata dallo stato motivazionale dell’osservatore come la rabbia (Cheng et al., 2007). Questi studi, considerati insieme al risultato di questa ricerca, indicano che MNS non è un’architettura rigida, piuttosto può essere modulata dall’imparare. Lo spettro delle malattie autistiche inclusa AS è considerato fare parte delle patologie psichiatriche con un disturbo più pervasivo sia in MNS che in ToM rispetto alla popolazione generale ALEX; l’autismo sembra includere un impairment ad un livello più biologico. In ogni caso i concetti di AS ed ALEX si sovrappongono (Berthoz e Hill, 2005; Fitzgerald e Bellgrove, 2006; Fitzgerald e Molyenaux, 2004). Perciò gli studi che esaminano l’MNS tra le persone autistiche dovrebbero fornire indizi per la comprensione di MNS in ALEX. Da una prospettiva di sviluppo l’MNS è considerata importante per la lettura di obbiettivi ed intenzioni degli altri (Sommerville e Decety, 2006). E’ inoltre implicata nello sviluppo del linguggio e considerata una primitiva versione del modello cognitivo di lettura della mente ToM (Frith e Frith, 2006). Comunque, Hamilton et al. ( 2007) recentemente hanno segnalato come i bambini con malattie dello spettro autistico, nonostante i loro deficit nei compiti ToM, non mostravano un impairment nel compito di imitazione e persino in quella che era descrittta come una performance “supriore” attraverso il compito di riconoscimento dei gesti, anche se questi compiti sono tutti correlati con il classico sistema motorio MNS negli adulti. Inoltre, le persone autistiche mostravano una minore attività neuronale dei controlli nell’osservazione delle espressioni facciali (Dapretto et al., 2006) e movimenti manuali senza scopo (Williams et al., 2006) così come una minore attività neuronale ai compiti ToM (Brambilla et al., 2004; Castelli et al., 2002; Frith, 2003; Happe et al., 1996; Nieminem Von Wedt et al., 2003). Inoltre, Hamilton (2007) ha proposto che il classico MNS comprendesse movimenti manuali oggetto-diretti intatti nelle persone autistiche, benchè le altre componenti MNS (relative al riconosimento emotivo) fossero scemate. I risultati negli studi relativi alle persone autistiche sono paragonabili agli studi nelle persone ALEX. In particolare nelle persone ALEX, le ricerche si sono incentrate alla ridotta attività neuronale nel IFG destro (BA 44/45) e nel lobo parietale inferiore (BA40) nell’osservazione dell’espressioni facciali (Kano et al., 2003) così come un’attività ridotta nel MPFC destro in risposta ad un compito ToM (Moriguchi et al., 2006). In questo studio, le azioni manuali oggetto correlate e l’attivazione MNS in ALEX era intatta e più forte nel gruppo ALEX rispetto al gruppo non ALEX. Perciò il risultato di questo studio pare indicare che le persone ALEX, così come gli autistici, sono bloccate ad un più basso livello di comprensione degli altri, sulla base di una funzione MNS primitiva. Inoltre, le funzione cognitive ToM ad un livello più alto non sembrano originare nell’MNS motorio (Hamiltone al., 2007). Sono necessari più studi per chiarie la polisemia del MNS e la relazione funzionale tra MNS e ToM. In conclusione il nostro studio ha dimostrato che l’ALEX è correlata ad una maggiore attività nelle aree MNS; precisamente nella corteccia premotoria e parietale associate a minore empatia cognitiva ed abilità di perspective-taking. Il classico MNS motorio che risponde alle interazioni mano-oggetto è intatto o più forte nell’ALEX, mentre gli altri processi MNS l’ALEX è correlata ad una maggiore attività nelle aree MNS; precisamente nella corteccia premotoria e parietale associate a minore empatia cognitiva ed abilità di perspective-taking. PAGINA 44 di riconoscimento emotivo possono essere alterati come nell’autismo. I nostri risultati inoltre suggeriscono che gli individui con ALEX possono bloccarsi ad un livello di mentalizzazione primitivo, e che ALEX è correlato con uno stato immaturo nell’interpretazione degli altri senza una sufficiente differenziazione sè-altro. Ciò può portare gli individui con ALEX ad essere influenzati dagli altri, portando a deficit nella regolazione emotiva. Bibliografia 1 Aketa H ( 1999): Structure and measurement of empathy: Japanese version of Davis's interpersonal reactivity index (IRI-J). Psychol Rep Sophia Univ 23: 19-31. 2.Alvarez WA,Shipko S ( 1991): Alexithymia and posttraumatic stress disorder. J Clin Psychiatry 52: 317-319. 3.Arimura T,Komaki G,Murakami S,Tamagawa K,Nishikata H,Kawai K,Nozaki T,Takii M,Kubo C ( 2002): Development of the structured interview by the modified edition of Beth Israel hospital psychosomatic questionnaire (SIBIQ) in Japanese edition to evaluate ALEXithymia. Jpn J Psychosom Med 42: 259-269. 4.Bagby RM,Parker JD,Taylor GJ ( 1994a): The twenty-item Toronto ALEXithymia Scale-I. Item selection and cross-validation of the factor structure. J Psychosom Res 38: 23-32. 5.Bagby RM,Taylor GJ,Parker JD ( 1994b): The twenty-item Toronto ALEXithymia Scale-II. Convergent, discriminant, and concurrent validity. J Psychosom Res 38: 33-40. 6.Bangert M,Peschel T,Schlaug G,Rotte M,Drescher D,Hinrichs H,Heinze HJ,Altenmuller E ( 2006): Shared networks for auditory and motor processing in professional pianists: Evidence from fMRI conjunction. Neuroimage 30: 917-926. 7.Berthoz S,Hill EL ( 2005): The validity of using self-reports to assess emotion regulation abilities in adults with autism spectrum disorder. Eur Psychiatry 20: 291-298. 8.Blakemore SJ,Frith C ( 2005): The role of motor contagion in the prediction of action. Neuropsychologia 43: 260-267. 9.Bodini B,Mandarelli G,Tomassini V,Tarsitani L,Pestalozza I,Gasperini C,Lenzi GL,Pancheri P,Pozzilli C ( 2008): ALEXithymia in multiple sclerosis: Relationship with fatigue and depression. Acta Neurol Scand 118: 18-23. 10.Brambilla P,Hardan AY,di Nemi SU,Caverzasi E,Soares JC,Perez J,Barale F ( 2004): The functional neuroanatomy of autism. Funct Neurol 19: 9-17. 11.Buccino G,Binkofski F,Fink GR,Fadiga L,Fogassi L,Gallese V,Seitz RJ,Zilles K,Rizzolatti G,Freund HJ ( 2001): Action observation activates premotor and parietal areas in a somatotopic manner: An fMRI study. Eur J Neurosci 13: 400-404. 12.Buccino G,Binkofski F,Riggio L ( 2004a): The mirror neuron system and action recognition. Brain Lang 89: 370-376. 13.Buccino G,Vogt S,Ritzl A,Fink GR,Zilles K,Freund HJ,Rizzolatti G ( 2004b): Neural circuits underlying imitation learning of hand actions: An eventrelated fMRI study. Neuron 42: 323-334. 14.Bush G,Whalen PJ,Rosen BR,Jenike MA,McInerney SC,Rauch SL ( 1998): The counting Stroop: An interference task specialized for functional neuroimaging-validation study with functional MRI. Hum Brain Mapp 6: 270-282. 15.Castelli F,Frith C,Happe F,Frith U ( 2002): Autism, Asperger syndrome and brain mechanisms for the attribution of mental states to animated shapes. Brain 125: 1839-1849. 16.Cedro A,Kokoszka A,Popiel A,Narkiewicz-Jodko W ( 2001): ALEXithymia in schizophrenia: An exploratory study. Psychol Rep 89: 95-98. Cheng Y,Meltzoff AN,Decety J ( 2007): Motivation modulates the activity of the human mirror-neuron system. Cereb Cortex 17: 1979-1986. 17.Cleland C,Magura S,Foote J,Rosenblum A,Kosanke N ( 2005): Psychometric properties of the Toronto ALEXithymia Scale (TAS-20) for substance users. J Psychosom Res 58: 299-306. NEWSLETTER NEWSLETTER 18.Costa PT,McCrae RR ( 1992): Revised NEO Personality Inventory (NEOPI-R) and NEO Five-Factor (NEO-FFI) Inventory: Professional Manual. Odessa, FL: Psychological Assessment Resources. 19.Dapretto M,Davies MS,Pfeifer JH,Scott AA,Sigman M,Bookheimer SY,Iacoboni M ( 2006): Understanding emotions in others: Mirror neuron dysfunction in children with autism spectrum disorders. Nat Neurosci 9: 2830. 20.Davis MH ( 1983): Measuring individual differences in empathy: Evidence for a multidimensional approach. J Pers Soc Psychol 44: 113-126. 21.Davis MH,Oathout HA ( 1987): Maintenance of satisfaction in romantic relationships: Empathy and relational competence. J Pers Soc Psychol 53: 397-410. 22.Decety J,Moriguchi Y ( 2007): The empathic brain and its dysfunction in psychiatric populations: Implications for intervention across different clinical conditions. Biopsychosoc Med 1: 22. 23.Decety J,Perani D,Jeannerod M,Bettinardi V,Tadary B,Woods R,Mazziotta JC,Fazio F ( 1994): Mapping motor representations with positron emission tomography. Nature 371: 600-602. 24.Decety J,Chaminade T,Grezes J,Meltzoff AN ( 2002): A PET exploration of the neural mechanisms involved in reciprocal imitation. Neuroimage 15: 265-272. 25.Elzinga BM,Bermond B,van Dyck R ( 2002): The relationship between dissociative proneness and ALEXithymia. Psychother Psychosom 71: 104111. 26.Fitzgerald M,Bellgrove MA ( 2006): The overlap between Alexithymia and Asperger's syndrome. J Autism Dev Disord 36: 573-576. 27.Fitzgerald M,Molyneux G ( 2004): Overlap between Alexithymia and Asperger's syndrome. Am J Psychiatry 161: 2134-2135. 28.Frewen PA,Dozois DJ,Neufeld RW,Lanius RA ( 2008a): Meta-analysis of Alexithymia in posttraumatic stress disorder. J Trauma Stress 21: 243-246. 29.Frewen PA,Lanius RA,Dozois DJ,Neufeld RW,Pain C,Hopper JW,Densmore M,Stevens TK ( 2008b): Clinical and neural correlates of ALEXithymia in posttraumatic stress disorder. J Abnorm Psychol 117: 171181. 30.Friston KJ,Holmes AP,Worsley KJ ( 1999): How many subjects constitute a study? Neuroimage 10: 1-5. 31.Frith C ( 2003): What do imaging studies tell us about the neural basis of autism? Novartis Found Symp 251: 149-166. 32.Frith CD,Frith U ( 2006): The neural basis of mentalizing. Neuron 50: 531534. 33.Frith U ( 2004): Emanuel miller lecture: Confusions and controversies about Asperger syndrome. J Child Psychol Psychiatry 45: 672-686. 34.Gallese V,Fadiga L,Fogassi L,Rizzolatti G ( 1996): Action recognition in the premotor cortex. Brain 119 (Part 2): 593-609. 35.Gazzola V,Aziz-Zadeh L,Keysers C ( 2006): Empathy and the somatotopic auditory mirror system in humans. Curr Biol 16: 1824-1829. 36.Gazzola V,Rizzolatti G,Wicker B,Keysers C ( 2007): The anthropomorphic brain: The mirror neuron system responds to human and robotic actions. Neuroimage 35: 1674-1684. 37.Goleman D ( 1995): Emotional Intelligence: Why It Can Matter More Than IQ. New York: Bantam. Grafton ST,Arbib MA,Fadiga L,Rizzolatti G ( 1996): Localization of grasp representations in humans by positron emission tomography. II. Observation compared with imagination. Exp Brain Res 112: 103-111. Grezes J,Costes N,Decety J ( 1998): Top-down effect of strategy on the perception of human biological motion: A PET investigation. Cogn Neuropsychol 15: 553-582. Grezes J,Fonlupt P,Bertenthal B,Delon-Martin C,Segebarth C,Decety J ( 2001): Does perception of biological motion rely on specific brain regions? Neuroimage 13: 775-785. Grezes J,Armony JL,Rowe J,Passingham RE ( 2003): Activations related to mirror and canonical neurones in the human brain: An fMRI study. Neuroimage 18: 928-937. Guttman H,Laporte L ( 2002): ALEXithymia, empathy, and psychological symptoms in a family context. Compr Psychiatry 43: 448-455. PAGINA 45 PAGINA 46 Hamilton AF,Brindley RM,Frith U ( 2007): Imitation and action understanding in autistic spectrum disorders: How valid is the hypothesis of a deficit in the mirror neuron system? Neuropsychologia 45: 1859-1868. Happe F,Ehlers S,Fletcher P,Frith U,Johansson M,Gillberg C,Dolan R,Frackowiak R,Frith C ( 1996): 'Theory of mind' in the brain. Evidence from a PET scan study of Asperger syndrome. Neuroreport 8: 197-201. Haslinger B,Erhard P,Altenmuller E,Schroeder U,Boecker H,CeballosBaumann AO ( 2005): Transmodal sensorimotor networks during action observation in professional pianists. J Cogn Neurosci 17: 282-293. Haviland MG,Hendryx MS,Shaw DG,Henry JP ( 1994): ALEXithymia in women and men hospitalized for psychoactive substance dependence. Compr Psychiatry 35: 124-128. Haviland MG,Shaw DG,MacMurray JP,Cummings MA ( 1988): Validation of the Toronto ALEXithymia scale with substance abusers. Psychother Psychosom 50: 81-87. Hill E,Berthoz S,Frith U ( 2004): Brief report: Cognitive processing of own emotions in individuals with autistic spectrum disorder and in their relatives. J Autism Dev Disord 34: 229-235. Hyer L,Woods MG,Summers MN,Boudewyns P,Harrison WR ( 1990): ALEXithymia among Vietnam veterans with posttraumatic stress disorder. J Clin Psychiatry 51: 243-247. Iacoboni M,Dapretto M ( 2006): The mirror neuron system and the consequences of its dysfunction. Nat Rev Neurosci 7: 942-951. Iacoboni M,Woods RP,Brass M,Bekkering H,Mazziotta JC,Rizzolatti G ( 1999): Cortical mechanisms of human imitation. Science 286: 2526-2528. Irwin HJ,Melbin-Helberg EB ( 1997): ALEXithymia and dissociative tendencies. J Clin Psychol 53: 159-166. Japanese Institute of Health Psychology ( 1996). Lazarus Type Stress Coping Inventory. Tokyo: Jitsumu Kyoiku Shuppan. Joukamaa M,Kokkonen P,Veijola J,Laksy K,Karvonen JT,Jokelainen J,Jarvelin MR ( 2003): Social situation of expectant mothers and ALEXithymia 31 years later in their offspring: A prospective study. Psychosom Med 65: 307-312. Kano M,Fukudo S,Gyoba J,Kamachi M,Tagawa M,Mochizuki H,Itoh M,Hongo M,Yanai K ( 2003): Specific brain processing of facial expressions in people with ALEXithymia: An H2 15O-PET study. Brain 126: 1474-1484. Karlsson H,Naatanen P,Stenman H ( 2008): Cortical activation in ALEXithymia as a response to emotional stimuli. Br J Psychiatry 192: 32-38. Kokkonen P,Veijola J,Karvonen JT,Laksy K,Jokelainen J,Jarvelin MR,Joukamaa M ( 2003): Ability to speak at the age of 1 year and ALEXithymia 30 years later. J Psychosom Res 54: 491-495. Koski L,Wohlschlager A,Bekkering H,Woods RP,Dubeau MC,Mazziotta JC,Iacoboni M ( 2002): Modulation of motor and premotor activity during imitation of target-directed actions. Cereb Cortex 12: 847-855. Koski L,Iacoboni M,Dubeau MC,Woods RP,Mazziotta JC ( 2003): Modulation of cortical activity during different imitative behaviors. J Neurophysiol 89: 460-471. Krystal JH,Giller EL Jr,Cicchetti DV ( 1986a): Assessment of ALEXithymia in posttraumatic stress disorder and somatic illness: Introduction of a reliable measure. Psychosom Med 48: 84-94. Krystal JH,Giller EL Jr,Cicchetti DV ( 1986b): Assessment of ALEXithymia in posttraumatic stress disorder and somatic illness: Introduction of a reliable measure. Psychosom Med 48: 84-94. Lazarus RS,Folkman S ( 1984): Stress,Appraisal, and Coping. New York: Springer. Mann LS,Wise TN,Trinidad A,Kohanski R ( 1995): ALEXithymia, affect recognition, and five factors of personality in substance abusers. Percept Mot Skills 81: 35-40. Manthey S,Schubotz RI,von Cramon DY ( 2003): Premotor cortex in observing erroneous action: An fMRI study. Brain Res Cogn Brain Res 15: 296-307. Moriguchi Y,Ohnishi T,Lane RD,Maeda M,Mori T,Nemoto K,Matsuda H,Komaki G ( 2006): Impaired self-awareness and theory of mind: An fMRI study of mentalizing in ALEXithymia. Neuroimage 32: 1472-1482. NEWSLETTER NEWSLETTER Moriguchi Y,Decety J,Ohnishi T,Maeda M,Mori T,Nemoto K,Matsuda H,Komaki G ( 2007a): Empathy and judging other's pain: An fMRI study of ALEXithymia. Cereb Cortex 17: 2223-2234. Moriguchi Y,Maeda M,Igarashi T,Ishikawa T,Shoji M,Kubo C,Komaki G ( 2007b): Age and gender effect on ALEXithymia in large, Japanese community and clinical samples: A cross-validation study of the Toronto ALEXithymia scale (TAS-20). Biopsychosoc Med 1: 7. Nieminen-von Wendt T,Metsahonkala L,Kulomaki T,Aalto S,Autti T,Vanhala R,von Wendt L ( 2003): Changes in cerebral blood flow in Asperger syndrome during theory of mind tasks presented by the auditory route. Eur Child Adolesc Psychiatry 12: 178-189. Nishitani N,Hari R ( 2000): Temporal dynamics of cortical representation for action. Proc Natl Acad Sci USA 97: 913-918. Nishitani N,Hari R ( 2002): Viewing lip forms: Cortical dynamics. Neuron 36: 1211-1220. Ogawa S,Lee TM,Kay AR,Tank DW ( 1990): Brain magnetic resonance imaging with contrast dependent on blood oxygenation. Proc Natl Acad Sci USA 87: 9868-9872. Ohnishi T,Moriguchi Y,Matsuda H,Mori T,Hirakata M,Imabayashi E,Hirao K,Nemoto K,Kaga M,Inagaki M,Yamada M,Uno A ( 2004): The neural network for the mirror system and mentalizing in normally developed children: An fMRI study. Neuroreport 15: 1483-1487. Oldfield RC ( 1971): The assessment and analysis of handedness: The Edinburgh inventory. Neuropsychologia 9: 97-113. Parker JD,Taylor GJ,Bagby RM ( 2003): The 20-item Toronto ALEXithymia scale. III. Reliability and factorial validity in a community population. J Psychosom Res 55: 269-275. Perani D,Fazio F,Borghese NA,Tettamanti M,Ferrari S,Decety J,Gilardi MC ( 2001): Different brain correlates for watching real and virtual hand actions. Neuroimage 14: 749-758. Preston SD,de Waal FB ( 2002): Empathy: Its ultimate and proximate bases. Behav Brain Sci 25: 1-20. Rizzolatti G,Craighero L ( 2004): The mirror-neuron system. Annu Rev Neurosci 27: 169-192. Rizzolatti G,Fadiga L,Gallese V,Fogassi L ( 1996a): Premotor cortex and the recognition of motor actions. Brain Res Cogn Brain Res 3: 131-141. Rizzolatti G,Fadiga L,Matelli M,Bettinardi V,Paulesu E,Perani D,Fazio F ( 1996b): Localization of grasp representations in humans by PET. I. Observation versus execution. Exp Brain Res 111: 246-252. Rocca MA,Tortorella P,Ceccarelli A,Falini A,Tango D,Scotti G,Comi G,Filippi M ( 2008): The mirror-neuron system in MS: A 3 tesla fMRI study. Neurology 70: 255-262. Saarela MV,Hlushchuk Y,Williams AC,Schurmann M,Kalso E,Hari R ( 2007): The compassionate brain: Humans detect intensity of pain from another's face. Cereb Cortex 17: 230-237. Sayar K,Kose S,Grabe HJ,Topbas M ( 2005): ALEXithymia and dissociative tendencies in an adolescent sample from eastern Turkey. Psychiatry Clin Neurosci 59: 127-134. Sheehan DV,Lecrubier Y,Sheehan KH,Amorim P,Janavs J,Weiller E,Hergueta T,Baker R,Dunbar GC ( 1998): The mini-international neuropsychiatric interview (M.I.N.I.): The development and validation of a structured diagnostic psychiatric interview for DSM-IV and ICD-10. J Clin Psychiatry 59 ( Suppl 20): 22-33. Shimonaka J,Nakazato K,Gondo Y,Takayama M ( 1997): Construction and factorial validity of the Japanese NEO-PI-R. Jpn J Pers 6: 138-147. Sifneos PE ( 1972): Short-Term Psychotherapy and Emotional Crisis. Cambridge, MA: Harvard University Press. Sommerville JA,Decety J ( 2006): Weaving the fabric of social interaction: Articulating developmental psychology and cognitive neuroscience in the domain of motor cognition. Psychon Bull Rev 13: 179-200. Sriram TG,Pratap L,Shanmugham V ( 1988): Towards enhancing the utility of Beth Israel hospital psychosomatic questionnaire. Psychother Psychosom 49: 205-211. Stanghellini G,Ricca V ( 1995): ALEXithymia and schizophrenias. Psychopathology 28: 263-272. PAGINA 47 PAGINA 48 Talairach J,Tournoux P ( 1988): Co-planar Stereotaxic Atlas of the Human Brain. New York: Thieme. Tani P,Lindberg N,Joukamaa M,Nieminen-von Wendt T,von Wendt L,Appelberg B,Rimon R,Porkka-Heiskanen T ( 2004): Asperger syndrome, ALEXithymia and perception of sleep. Neuropsychobiology 49: 64-70. Taylor GJ,Bagby RM ( 2004): New trends in ALEXithymia research. Psychother Psychosom 73: 68-77. Taylor GJ,Parker JD,Bagby RM ( 1990): A preliminary investigation of ALEXithymia in men with psychoactive substance dependence. Am J Psychiatry 147: 1228-1230. Taylor GJ,Bagby RM,Parker JDA ( 1997): Disorders of Affect Regulation: ALEXithymia in Medical and Psychiatric Illness. New York: Cambridge University Press. Taylor GJ,Bagby RM,Parker JD ( 2003): The 20-item Toronto ALEXithymia scale. IV. Reliability and factorial validity in different languages and cultures. J Psychosom Res 55: 277-283. Tettamanti M,Buccino G,Saccuman MC,Gallese V,Danna M,Scifo P,Fazio F,Rizzolatti G,Cappa SF,Perani D ( 2005): Listening to action-related sentences activates fronto-parietal motor circuits. J Cogn Neurosci 17: 273-281. White JB,Tynan R,Galinsky AD,Thompson L ( 2004): Face threat sensitivity in negotiation: Roadblock to agreement and joint gain. Organ Behav Hum Decis Process 94: 102-124. Williams JH,Waiter GD,Gilchrist A,Perrett DI,Murray AD,Whiten A ( 2006): Neural mechanisms of imitation and mirror neuron functioning in autistic spectrum disorder. Neuropsychologia 44: 610-621. Wright MJ,Jackson RC ( 2007): Brain regions concerned with perceptual skills in tennis: An fMRI study. Int J Psychophysiol 63: 214-220. Zlotnick C,Shea MT,Pearlstein T,Simpson E,Costello E,Begin A ( 1996): The relationship between dissociative symptoms, ALEXithymia, impulsivity, sexual abuse, and self-mutilation. Compr Psychiatry 37: 12-16. NEWSLETTER NEWSLETTER PAGINA 49 Johanna Shapiro Walking a mile in their patients' shoes: empathy and othering in medical students' education Philosophy, Ethics, and Humanities in Medicine 2008, 3:10 Abstract One of the major tasks of medical educators is to help maintain and increase trainee empathy for patients. Yet research suggests that during the course of medical training, empathy in medical students and residents decreases. Various exercises and more comprehensive paradigms have been introduced to promote empathy and other humanistic values, but with inadequate success. This paper argues that the potential for medical education to promote empathy is not easy for two reasons: a) Medical students and residents have complex and mostly unresolved emotional responses to the universal human vulnerability to illness, disability, decay, and ultimately death that they must confront in the process of rendering patient care b) Modernist assumptions about the capacity to protect, control, and restore run deep in institutional cultures of mainstream biomedicine and can create barriers to empathic relationships. In the absence of appropriate discourses about how to emotionally manage distressing aspects of the human condition, it is likely that trainees will resort to coping mechanisms that result in distance and detachment. This paper suggests the need for an epistemological paradigm that helps trainees develop a tolerance for imperfection in self and others; and acceptance of shared emotional vulnerability and suffering while simultaneously honoring the existence of difference. Reducing the sense of anxiety and threat that are now reinforced by the dominant medical discourse in the presence of illness will enable trainees to learn to emotionally contain the suffering of their patients and themselves, thus providing a psychologically sound foundation for the development of true empathy Background Quando una persona è malata, incapace, sofferente, ferita o morente, la medicina si attende un impulso altruistico da parte del medico. In altre parole, il medico deve avvicinarsi al paziente, mettendo gli interessi dell’altro al di sopra dei propri, anche facendo sacrifici personali. Alcuni studiosi hanno provato a determinare quale molteplicità di fattori spinga alcuni individui a compiere azioni altruistiche (1). Benchè la confluenza di valori, personalità e situazione sia complessa, alcuni ricercatori hanno proposto un nesso tra altruismo ed empatia (2), nel quale l’empatia è motivatore e forza dell’essere altruisti. Stando a questa teoria, l’ingrediente chiave dell’aiuto è l’empatia (3). Senza l’empatia, la teoria Alcuni ricercatori hanno proposto un nesso tra altruismo ed empatia, nel quale l’empatia è motivatore e forza dell’essere altruisti. Stando a questa teoria, l’ingrediente chiave dell’aiuto è l’empatia PAGINA 50 NEWSLETTER dello scambio sociale, che afferma che il beneficio deve sempre superare il costo in ogni azione, prende il sopravvento (4). In tal senso, poi, l’empatia nei confronti del paziente sta alla base di uno degli obiettivi chiave professionali dell’educazione del medico e può essere considerato come una sorta di segnale del cambiamento della natura fondamentale della pratica medica. Sebbene Landau (5) si sia riferito sprezzantemente all’empatia come alla “minore” tra le virtù professionali della medicina, in realtà, se si considera come cuore di una buona pratica medica la capacità di ridurre l’inevitabile distanza tra medico e paziente (6), allora l’empatia può diventare “la più importante”. La “American Association of Medical Colleges” ha identificato lo sviluppo e il miglioramento dell’empatia negli studenti di medicina come un traguardo chiave (7) e l’ “Accreditation Council for Graduate Medical Education” inserisce l’empatia come componente di professionalità (8). Il valore dell’empatia è citato tra le linee guida contrattuali di addestramento (9-12) ed è allo stesso modo menzionato dai tirocinanti (13). Benchè la riduzione dell’empatia alle sue componenti comportamentali (14,15) abbia ricevuto critiche intense (16,19), poiché è più facilmente osservabile e traducibile in termini di pratica clinica giornaliera rispetto alla virtù dell’altruismo, ha raccolto un’enfasi molto maggiore nell’ambito dell’istruzione medica. I programmi di tirocinio utilizzano vari esercizi e attività di apprendimento, come essere ammessi in un ospedale (20,21), accompagnare i pazienti a visite mediche (22), partecipare a workshop sul miglioramento della comunicazione empatica (23), fare visite domiciliari (24), obbligarsi a provvedimenti eccezionali (25), scrivere racconti in prima persona sui pazienti (26) o su morti (27) e leggere testi correlati alla medicina e poesie come modi di aiutare gli allievi medici ad acquisire empatia per le esperienze delle persone affette da malattie o disabilità (28). Su una scala più ampia, contributi critici all’arte della medicina sono stati apportati attraverso modelli teoretici e di insegnamento come il modello biopsicosociale (29), il modello centrato sul paziente (30) ed il modello centrato sulla relazione (31), ognuno dei quali ha promosso l’empatia come un obiettivo chiave, sia tra gli apprendisti sia tra gli specialisti. La medicina narrativa (6) ha fornito recentemente un metodo di interazione paziente-medico che sviluppa esperienze emotive e cognitive di competenza narrativa, utilizzando la comprensione e la valutazione di una storia come via per sensibilizzare il medico nei confronti dell’empatia e della compassione. Inoltre, purtroppo, evidenze riscontrabili indicano che l’empatia tende a diminuire durante gli anni di studi in medicina; questo ancora di più avviene durante il tirocinio pratico (32, 34); per risultati contrari, si veda (35). Man mano che la loro educazione progredisce, gli studenti diventano cinici e disillusi (36-38). Marcus (39) nota come gli studenti del primo anno instaurino una relazione più profonda con i pazienti. Al terzo anno di formazione clinica, invece, essi tendono a contrapporsi ai pazienti e, al contrario, ad identificarsi con i medici che hanno idealizzato come figure sane, invulnerabili, autoritarie, abili ed esperte e che possiedono oltre al potere una misteriosa conoscenza ed esperienza (40, 41). Cosa non ha funzionato? Noi abbiamo brillantemente delineato modelli di pratica medica che mettono l’empatia, assieme ad altre qualità umane cruciali, come punto focale della loro dottrina. Abbiamo specifici esercizi di comportamento basati sulla pratica che sono strutturati per promuovere l’empatia. Nonostante ciò, non abbiamo osservato i grandi cambiamenti nello sviluppo dell’empatia che ci saremmo aspettati (42, 43). In parte, sarebbe appropriato e desiderabile che i tirocinanti si identificassero con i medici attraverso i processi di socializzazione ai quali sono sottoposti. E’ anche vero che gli studenti devono porre un freno ad un’identificazione emotiva eccessiva con il paziente, così che possano ottenere un’empatia clinica che gli permetta di comprendere sia la prospettiva del paziente, sia un contesto complementare più ampio, che In tal senso, poi, l’empatia nei confronti del paziente sta alla base di uno degli obiettivi chiave professionali dell’educazione del medico e può essere considerato come una sorta di segnale del cambiamento della natura fondamentale della pratica medica “Accreditation Council for Graduate Medical Education” inserisce l’empatia come componente di professionalità . L’educazione dei medici sembra essere ancora sorprendentemente inefficace nell’aiutare gli studenti ad immedesimarsi con i pazienti, come sarebbero felici di riuscire a fare. NEWSLETTER PAGINA 51 possa essere valutato dal paziente nei termini della propria situazione medica (44-46). Tuttavia, l’educazione dei medici sembra essere ancora sorprendentemente inefficace nell’aiutare gli studenti ad immedesimarsi con i pazienti, come sarebbero felici di riuscire a fare. Le osservazioni contenute in questo articolo suggeriscono come la vera empatia possa essere più complicata da coltivare nei confronti di pazienti che inizialmente appaiono meno sensibili allo sviluppo di capacità comportamentali o a rimproveri retorici. Dobbiamo andare più a fondo per comprendere quali impulsi ed i desideri degli allievi interferiscano con l’espressione dell’empatia verso i pazienti, specialmente quando sono disponibili diversi modelli che apparentemente la incoraggerebbero. Suppongo che alcuni modi di pensare radicati circa il significato simbolico della malattia e della salute, e quindi su cosa unisce e cosa separa la malattia dalla non-malattia, creino barriere che interferiscono significativamente con lo sviluppo e l’espressione dell’empatia. Inoltre sostengo che per aumentare veramente l’empatia degli studenti, la formazione dei medici richiederà percorsi di riflessione ed insegnamento complementari che esplorino creativamente e lancino una sfida a quella nebulosa terra di confine tra paziente e medico che spesso fa paura (47). Contaminazione e simili in relazione alla salute e alla malattia L’impulso ad “avvicinarsi”, ad assumersi e a cercare un’unione con la sofferenza dell’altro, malgrado abbia un ruolo centrale nella pratica medica, è lontano dall’essere automatico nella natura umana. Infatti, abbiamo un uguale, se non più forte, ed opposto impulso a tirarci indietro, a distaccarci e separarci dalla contaminazione della malattia (48-50). Questo impulso potrebbe essere correlato alla paura della propria sofferenza e della morte (51), e probabilmente contiene un elemento evolutivamente importante di autoconservazione. Se non ci fossimo allontanati dalle malattie contagiose o dalle minacce fisiche avremmo probabilmente contribuito all’estinzione della nostra specie. Componenti cultural/filosofiche Questa reazione di ritiro ha, inoltre, una forte componente culturale e filosofica. Tradizioni filosofiche orientali, come il Buddismo e il Taoismo (52,53), pongono enfasi su una sostanziale impossibilità di conoscere l’universo, sulla temporaneità di tutte le cose, incluso sé stessi, sulla ricorrenza ciclica della vita e della morte, considerando di conseguenza la morte come una parte della vita, e sull’estrema armonia o unione tra sé stessi e gli altri. Queste antiche dottrine, pur non eliminando l’esperienza della sofferenza e della paura della morte, mitigano la loro intensità e tengono in equilibrio la resistenza alla morte con l’accettazione e la sopportazione. In contrasto con questa ideologia, nel mondo occidentale l’enfasi è posta sulla conoscenza, con il pensiero razionale e l’intelletto considerati in grado di penetrare e risolvere i misteri del mondo (54). Nell’ambito della malattia, ciò significa che possiamo vincere e superare la malattia e la disabilità con l’applicazione persistente del metodo logico-scientifico. Il dualismo Cartesiano che caratterizza la filosofia occidentale, definisce la malattia come l’opposto della salute e la morte come l’opposto della vita. Siccome la salute e la vita sono molto desiderabili, la malattia e la morte diventano altamente indesiderabili, eventi da temere, da evitare o addirittura da detestare. Il pensiero cultural/filosofico occidentale enfatizza soprattutto l’importanza dell’individuo, specialmente nel suo essere distinto dall’altro, ma come studiosi di disabilità (55-57) e del movimento femminista (58-60) hanno sottolineato, nella maggioranza dei casi l’individuo stimabile è colui che è puro, pulito, indipendente e sano. D’altra parte, a livello individuale, ognuno desidera fortemente un corpo del tutto sano e immune al deperimento e alla corruzione (61,62). La decadenza, l’infezione e la malattia sono viste come potenzialmente travolgenti e rappresentano un ostacolo fondamentale a questa idealizzazione di sé per aumentare veramente l’empatia degli studenti, la formazione dei medici richiederà percorsi di riflessione ed insegnamento complementari che esplorino creativamente e lancino una sfida a quella nebulosa terra di confine tra paziente e medico che spesso fa paura . Contaminazione e simili in relazione alla salute e alla malattia. Nel mondo occidentale l’enfasi è posta sulla conoscenza, con il pensiero razionale e l’intelletto considerati in grado di penetrare e risolvere Il pensiero i misteri del cultural/filosofico mondo. occidentale enfatizza soprattutto l’importanza dell’individuo, specialmente nel suo essere distinto dall’altro, ma come studiosi di disabilità e del movimento femminista hanno sottolineato, nella maggioranza dei casi l’individuo stimabile è colui che è puro, pulito, indipendente e sano PAGINA 52 NEWSLETTER stessi (49). In questo modo, poiché desiderata idealmente, la salute corre il rischio di rappresentare un ideale morale, e di entrare a far parte degli attributi della bontà. A livello societario, il desiderio di una cittadinanza produttiva e operosa privilegia la salute del corpo (63). La malattia non sanabile in poco tempo è percepita come sregolata, fuori controllo, imprevedibile, fuori dai limiti consentiti e quindi un fenomeno sociale preoccupante che minaccia la stabilità collettiva (48,49,62). In quest’ottica, il ruolo della medicina è quello di contenere e gestire il caos che la malattia potrebbe potenzialmente scatenare distruggendo il tessuto sociale. Comunque, questo sé sano e produttivo, desiderato sia dalla società, sia dall’individuo (64), non può mai essere veramente invulnerabile, ma piuttosto si trova sotto un costante attacco. Malattia, alterazione, disabilità sono pericolose proprio perché possono facilmente infiltrare e contaminare il corpo prima puro e sano. All’interno di questa struttura, diventa comprensibile come l’impulso all’altruismo, all’avvicinamento, alla sofferenza dell’altro sia spesso schiacciato dalla tendenza al ritiro e all’evitamento, opposta ma di ugual misura. L’altro della persona malata L’asserzione psico-strutturale dell’ Io/Altro diviso formulata da Lacan (65) e altri teorici della psicoanalisi (66) e filosofi sociali (67) mette in luce la tendenza dell’uomo a contrassegnare le differenze come più significative rispetto alle caratteristiche comuni e a dedurre qualcosa di pericoloso e minaccioso da questa differenza. Secondo questa teoria, tendiamo a definire noi stessi non solo in termini di sé, ma in termini di altro (68); non solo nei termini di chi siamo, ma anche in relazione a chi non siamo, o a chi non ci permettiamo di essere. In termini Eriksoniani, l’”identità positiva” non esiste senza l’”identità negativa” (69). Non siamo in grado di riconoscerci in quanto puri, sani e buoni, a meno che non abbiamo qualcuno che possiamo identificare come contaminato, malato e “cattivo”. Al massimo l’altro può essere confuso con il sé, e la cosa più urgente diventa la delineare un confine. La proiezione è una strategia di auto-rassicurazione che “addomestica” le nostre paure di crollo e dissoluzione. Una volta collocati stabilmente “la paura della nostra stessa dissoluzione viene rimossa. Poi non siamo noi a vacillare sull’orlo del collasso, ma piuttosto l’Altro”(70). Tutte le identità che sono minacciate da un sé pulito e puro, e che per questo sono detestabili, diventano “altro”. Il dualismo sé stessi/altro non è mai privo di giudizio di valore, ma implica relazioni del tipo superiore-inferiore o dominante-subordinato (71). Perciò, in questo contesto, l’obiettivo sociale della medicina moderna, all’opposto dell’originario obiettivo medico di curare le malattie, diventa l’esatta demarcazione tra malattia e bene (45). Il concetto di limite interviene per proteggere il sé desiderabile dal rischio di venire confuso o inghiottito dall’altro minaccioso, delineando un sé fisso e categorico (30,58,62). Permettere la permeabilità in ogni sua forma, inclusa l’ammissione della vulnerabilità condivisa e della sofferenza, diventa una minaccia poiché porta alla destabilizzazione del sé sano (57,68). Il capro espiatorio La forma estrema dell’altro è il capro espiatorio, o il modo in cui individui e gruppi perseguitano la totalità e rifiutano le minacce o elementi impuri di sé stessi (come la vulnerabilità nei confronti della malattia e della morte) proiettandoli al di fuori negli altri (73). L’individuo e/o il gruppo allontana e rigetta ciò di cui ha paura e ciò che pare minacciare la propria integrità, in questo caso, nello specifico, la bontà ed il valore. Come capro espiatorio, la persona non pura può venire bandita simbolicamente, nettamente separata dal resto del gruppo. Nel caso del malato, il ritorno nella comunità dei sani è permessa, dopo un il ruolo della medicina è quello di contenere e gestire il caos che la malattia potrebbe potenzialmente scatenare distruggendo il tessuto sociale. L’impulso all’altruismo, all’avvicinamento, alla sofferenza dell’altro sia spesso schiacciato dalla tendenza al ritiro e all’evitamento, opposta ma di ugual misura. L’obiettivo sociale della medicina moderna, all’opposto dell’originario obiettivo medico di curare le malattie, diventa l’esatta demarcazione La forma estrema tra malattia bene dell’altro è ilecapro espiatorio, o il modo in cui individui e gruppi perseguitano la totalità e rifiutano le minacce o elementi impuri di sé stessi (come la vulnerabilità nei confronti della malattia e della morte) proiettandoli al di fuori negli altri NEWSLETTER PAGINA 53 temporaneo esilio, a chi si sottopone alle cure e guarisce; in caso contrario permane una stigmatizzazione simbolica ed una separazione dai sani per evitare un’eventuale contaminazione. Vengono spesso designate come capri espiatori individui malati che sono “colpevoli”per la loro malattia. Nel primo periodo di diffusione dell’epidemia dell’AIDS, questo fenomeno era riscontrabile non solo nei discorsi della popolazione generale, ma anche tra medici ed infermieri (74). A tutt’oggi, in alcuni contesti di educazione medica, è tacitamente accettato che il personale possa deridere pazienti obesi, o accusi alcune categorie di abusatori di sostanze, alcolisti, o senzatetto per i loro problemi di natura medica. Più in generale, ogni persona malata che non può riprendersi, corre il rischio di essere definito deviante (55), ricondotto ad un ruolo di paziente restrittivo, perdendo così molto del formale rispetto e del senso dell’identità. Attraverso vari meccanismi di allontanamento, il paziente-vittima viene definito come un estraneo, al contrario di coloro che rimangono nella cerchia confinandosi (73). Il malato funziona come l’altro stigmatizzato e come capro espiatorio (76) e il suo ruolo sociale è quello di liberare simbolicamente il privilegiato, figura idealizzata del sé sano, dalla stravaganza e dalla vulnerabilità della personificazione. Medicina moderna, salute e malattia Fin qui, ho considerato fenomeni sociali supportati in parte da indiscutibili presupposti cultural/filosofici e le reazioni psicologiche che essi tendono a produrre. Ora mi concentrerò sulla professione medica ed esaminerò entrambi i suoi tentativi di indirizzare e di abbattersi improvvisamente sull’ambiente societario e culturale nel quale è situata. Prima di iniziare, è necessaria una premessa. Avendo lavorato come educatore in campo medico per trent’anni, so per esperienza personale, ed è confermato dalla letteratura specialistica, che la grande maggioranza degli studenti iniziano gli studi in medicina motivati dall’idealismo e dal desiderio di aiutare gli altri. So anche che l’intenzione consapevole della maggioranza degli educatori che sono miei colleghi nella mia struttura e in altre parti della nazione, è quella di formare laureati che siano empatici, altruisti e competenti. Inoltre, sono consapevole che nonostante i “picchi” di cinismo e disillusione del terzo anno e dopo ancora durante l’internato, molti medici in formazione trovano il proprio modo di assumere un atteggiamento empatico nei confronti dei loro pazienti. Non discuto né mi interrogo su questo punto, e come paziente ne sono molto felice. Sostengo, invece, che le strutture filosofiche e gli assunti della medicina non forniscano una guida adeguata nel perseguimento di questa capacità; a causa di ciò gli allievi sono spesso costretti ad incespicare attraverso una lotta libera per trovare un mentore tra i diversi medici, i quali, a loro volta, hanno casualmente scoperto il modo per avvicinarsi al paziente. La critica che avanzerò in seguito viene proposta all’interno di un clima di rispetto, affetto e stima per i medici impegnati in prima linea nella pratica clinica; inoltre sono convinta che il sistema educativo possa fornire loro un supporto molto migliore e indicazioni utili per impegnarsi in un cammino verso l’empatia. La moderna pratica medica basata sui presupposti del metodo scientifico interpreta l’avvicinamento e l’evitamento, contraddittori istinti umani nei confronti della malattia e della sofferenza, in un modo univoco. L’obiettivo esplicito della medicina è sempre stato quello di preparare i propri professionisti ad avvicinarsi ai pazienti, con l’intento di fornire conoscenza ed assistenza. Nell’era moderna, però, l’“avvicinarsi” è mediato dalla tecnologia: invece di osservare e visitare il paziente toccandolo direttamente, i progressi scientifici prendono il posto del rapporto di alleanza e fiducia che si ritrova invece in una vicinanza personale. Capire è tradotto con i termini di diagnosi e prognosi e l’assistenza si trasforma in trattamento ed intervento. Il malato funziona come l’altro stigmatizzato e come capro espiatorio e il suo ruolo sociale è quello di liberare simbolicamente il privilegiato, figura idealizzata del sé sano, dalla stravaganza e dalla vulnerabilità della personificazione Le strutture filosofiche e gli assunti della medicina non forniscano una guida adeguata nel perseguimento della capacità empatica; a causa di ciò gli allievi sono spesso costretti ad incespicare attraverso una lotta libera per trovare un mentore tra i diversi medici, i quali, a loro volta, hanno casualmente scoperto il La moderna pratica modo per avvicinarsi al medica basata sui paziente presupposti del metodo scientifico interpreta l’avvicinamento e l’evitamento, contraddittori istinti umani nei confronti della malattia e della sofferenza, in un modo univoco PAGINA 54 E’ stato osservato (77) che questa scienza richiede un alto livello di astrazione per promuovere con successo la teoria e la verifica della teoria stessa. Questa astrazione, mentre si sviluppano nuove scoperte scientifiche, suffraga una tendenza a pensare alla realtà da una prospettiva esclusivamente astratta, sorvolando il fatto che, nel frattempo, vengono tralasciati necessariamente altri aspetti che mal si conciliano con la teoria scientifica. Questo “spirito di astrazione” produce anche un involontario effetto: ciò che non è racchiuso nel paradigma scientifico o che non derivi da esso, viene considerato secondario, soggettivo ed inaffidabile. In campo medico, tali dimensioni “non importanti” includono di solito tutte le esperienze soggettive dei pazienti e le loro reazioni. In questo senso, la medicina moderna promuove una sorta di altruismo scientifico (cf. 78 “professionismo affine”) che incoraggia sì un approccio al paziente, ma come oggetto di interesse piuttosto che come soggetto solidale e partecipe. La paura e la vulnerabilità alla base del ritiro sono correlate ad un desiderio di padronanza e controllo. Con molto rispetto, il discorso moderno, modellando la pratica medica dei giorni nostri, sfida il significato morale di malattia. Il discorso biomedico attuale si focalizza sulla malattia concepita in termini di meccanismi fisiopatologici, non come punizione divina, o come segno di debolezza morale. Lavorando all’interno di questo sistema, Susan Sontag ha esposto gli effetti dannosi delle metafore che attribuiscono una stigmatizzazione a malattie come il cancro o l’AIDS (79,80). La medicina moderna, riducendo la malattia alle sue basi scientifiche, rimuove apparentemente ogni giudizio morale. Ad ogni modo, il riduzionismo ed il positivismo oggettivo che sostengono la medicina non sono moralmente neutrali. Gli obiettivi di risanamento, restituzione, e ristabilimento che emergono riflettono l’aspetto culturale occidentale della paura della contaminazione, dell’impurità e della morte. La “armoniosa visione meccanicistica” che la scienza tenta di imporre sulla sofferenza corre il rischio di ridurre il paziente ad una malattia, ad un oggetto, ad una pratica, permettendo di aumentare il controllo e la sicurezza ma, allo stesso tempo, diminuendo l’empatia. Ovviamente, i termini infezione e contagio hanno un significato biomedico; a questo proposito, il settore della salute pubblica ha rivestito un ruolo fondamentale nello sviluppo del benessere nella popolazione, curandosi di promuovere la disinfezione dell’acqua, il contenimento degli sprechi, il lavaggio delle mani, l’uso degli antisettici e anche le necessarie quarantene. Comunque, analizzando ancora questo moderno paradigma, si può osservare che conclusioni che appaiono sagge e vantaggiose da una prospettiva medico-scientifica, tendono ad estendersi inconsapevolmente alla sfera sociale, con risultati turbanti. La dicotomizzazione della salute dalla malattia (81) e il presupposto che la malattia possa essere sradicata o curata, per esempio, hanno prodotto svolte inestimabili in termini di alleviamento e miglioramento della salute fisica. Questi assunti, allo stesso tempo, hanno però inavvertitamente trasformato la medicina in una vasta impresa di protezione della salute dalla malattia, con lo scopo di tranquillizzare i sani sul fatto che non si ammaleranno e che, anche se sfortunatamente dovessero capitare nel regno dei malati (79), avranno la garanzia di essere fermati e riportati alla normalità. La malattia si accetta più facilmente e spaventa meno se evolve in un risarcimento ed in un ritorno alla normalità. Nella visione della malattia di Parsons (63), ai lavoratori produttivi che si ammalano è concesso un temporaneo sollevamento dagli obblighi societari, durante il quale ritornare in buona salute, per poter così assumere nuovamente la funzione produttiva (lavoro). Le malattie che non seguono questo corso diventano frustranti e preoccupanti, poiché dimostrano che la guarigione non sempre è possibile. A causa del numero sempre maggiore di malattie croniche presente negli Stati Uniti (82), moltissime persone si ritrovano in NEWSLETTER la medicina moderna promuove una sorta di altruismo scientifico (cf. 78 “professionismo affine”) che incoraggia sì un approccio al paziente, ma come oggetto di interesse piuttosto che come soggetto solidale e partecipe La “armoniosa visione meccanicistica” che la scienza tenta di imporre sulla sofferenza corre il rischio di ridurre il paziente ad una malattia, ad un oggetto, ad una pratica, permettendo di aumentare il controllo e la sicurezza ma, allo stesso tempo, diminuendo l’empatia La malattia si accetta più facilmente e spaventa meno se evolve in un risarcimento ed in un ritorno alla normalità NEWSLETTER PAGINA 55 questo stato liminale (83). Questi pazienti rischiano più di altri di subire l’allontanamento e la separazione da parte dei propri medici curanti, specialmente se si tratta di medici in formazione. Il trasferimento degli assunti moderni nell’educazione in campo medico Malgrado importanti riforme e revisioni del corso di studi, nel profondo la medicina rimane affidata ad un modello educativo che è riluttante ad abbandonare il paradigma modernista. Alla luce delle discussioni precedenti, non sorprende che i pazienti possano evocare sentimenti di rabbia, paura, disgusto ed orrore non solo negli individui non malati, ma anche nei medici e negli allievi, sebbene queste reazioni solo raramente siano riconosciute (84). Caratteristicamente, la struttura modernista spinge i medici a mettersi al riparo da queste reazioni “non professionali” rifugiandosi nell’obiettività scientifica. Un gran numero di progetti educativi, rivolti alla formazione dei medici, si dedica a promuovere tra gli allievi questo atteggiamento sicuro e limitato. Essi promuovono, infatti, l’uso di un linguaggio spersonalizzato (85), un modo di pensare che predilige il razionalismo scientifico ed una condotta professionale distanziata (40), per permettere agli studenti di evitare di affrontare problematiche emotive complesse proprie e/o del paziente, vissute come pericolose e preoccupanti (86). Fondamentalmente, il modello modernista di educazione medica assegna al medico un ruolo caratterizzato da competenza ed eroismo, nel quale la paura e la vulnerabilità non trovano spazio. Perciò la rinuncia che trova le sue radici nel timore e nella paura è percepita come inaccettabile. La rinuncia basata sull’obiettività scientifica, al contrario, è considerata altamente professionale. Sfortunatamente per gli allievi, è facile confonderle. Sebbene siano stati introdotti, per esempio da parte di Balint (87), percorsi di approfondimento sull’esperienza medica che considerano le difficoltà emotive dei medici, nel complesso gli studenti entrano a far parte di un discorso medico dominante che manca di spunti di riflessione e di autoconsapevolezza. In più, esso incoraggia gli studenti a rivestire ruoli professionali piuttosto delimitati, enfatizzando la padronanza, il controllo ed una tendenza alla ricerca della perfezionabilità, nel senso di sviluppo del timore di commettere errori (88), e portandoli al rifiuto e alla negazione di molti dei loro limiti e difetti (89). Suchman (90) studia il fascino che questo discorso esercita sui medici professionisti e sugli studenti, proprio perché offre precise indicazioni e permette di ottenere i risultati desiderati mantenendo un apparente controllo sia sulla salute, sia sulla malattia. La soluzione modernista di trasformare i pazienti in oggetti o in incarichi (91), piuttosto che considerarli “esseri viventi da conoscere” (92), concepita coscientemente come modo di evitare un coinvolgimento non prettamente scientifico, sottolinea inconsciamente e rinforza il concetto di “altro” di cui abbiamo discusso precedentemente trattando di quella paura di contaminazione profondamente radicata e di origine culturale. Una volta che il paziente diventa l’altro, l’empatia non è più necessaria. In questo modo, l’incapacità del discorso modernista porta involontariamente ma verosimilmente come conseguenza problemi legati alla contaminazione e il rapporto con l’altro si inserisce in una sorta di “arroganza di metodo” (91), nel quale gli studenti possono vedere i pazienti più che come esseri umani, come progetti da portare a termine o puzzle da risolvere. Poiché l’educazione degli studenti non include una preparazione sufficientemente accurata per riflettere, per riuscire a coinvolgersi e per venire a patti con il timore e l’ansia di venire contaminati dalla confusione, dalla perdita, dalla vulnerabilità, dal bisogno di aiuto, dall’impotenza e dalla sofferenza proprie e dei pazienti, queste difficili emozioni diventano oggetto di paura, da evitare a tutti i costi. I tentativi di sperimentare l’empatia in questo clima di pressione psicologica, più che mitigare l’ansia degli studenti, tendono ad esacerbarla e, inoltre, il modello modernista di educazione medica assegna al medico un ruolo caratterizzato da competenza ed eroismo, nel quale la paura e la vulnerabilità non trovano spazio. La soluzione modernista di trasformare i pazienti in oggetti o in incarichi , piuttosto che considerarli “esseri viventi da conoscere” , concepita coscientemente come modo di evitare un coinvolgimento non prettamente scientifico, sottolinea inconsciamente e rinforza il concetto di “altro” di cui abbiamo discusso precedentemente trattando di quella paura di contaminazione profondamente radicata e di origine culturale PAGINA 56 NEWSLETTER aumentano la probabilità che le loro azioni siano motivate più dal bisogno di ridurre il proprio disagio piuttosto che dalle reali esigenze dei pazienti (93,94). Nell’intento di prevenire, in senso figurato ed emotivo, la contaminazione da parte dei pazienti, gli studenti tendono a conformarsi troppo spesso ad un corso di studi carente (95), che li spinge a tralasciare incontri e scambi che potrebbero turbare la loro identità stabilita, l’ordine apparente e l’accuratezza del sistema medico. La necessità di mantenere questo confine può creare profondi divari emotivi tra chi guarisce e chi soffre. In questo modo, i pazienti si ritrovano in cura da persone che non sanno entrare in contatto con loro, e che mantengono sempre “un certo distacco”. In un recente numero di Academic Medicine, imperniato sulla professionalità, molti autori accusano il corso di studi in medicina di minare alle basi gli obiettivi dichiarati e i valori della professionalità (16, 97, 98). Fondamentalmente, questi autori sostengono che la facoltà di medicina e il personale medico spesso si comportino in modo non professionale. Sebbene argomentare queste affermazioni sia complesso, una delle possibili interpretazioni è il fallimento dell’empatia. I modelli ideali del ruolo del il medico possono dare la priorità all’efficienza e alla produttività rispetto alla centralità del paziente poiché il sistema nel quale egli opera non è attento all’empatia e non pone il paziente come centro della cura. Al contrario il paziente, in definitiva, ha iniziato ad essere considerato come un misero: questo atteggiamento suffraga l’allontanamento emotivo ed oggettivato da parte dei curanti. Naturalmente ci sono molti esempi di comportamento di medici che sono in grado di stare accanto ai propri pazienti con successo. La pratica quotidiana di molti professionisti è colma di esempi di espressione di empatia e solidarietà nei confronti dei pazienti. Tuttavia questa modalità, a causa del modello logico-scientifico prevalente, non emerge in modo naturale durante la formazione, a dispetto degli sforzi per sviluppare l’empatia come base per “stare vicino” al paziente, ma appare piuttosto come qualcosa di “allegato”. La ricerca di un approccio teoretico complementare per promuovere l’empatia Considerando l’esistenza del paradigma biomedico modernista, è essenziale prima di tutto riconoscere gli straordinari contributi che esso ha saputo portare nel campo della salute e del benessere di milioni di persone. Proponendo la convinzione che le persone non dovrebbero soffrire e che l’intelligenza umana può essere utilizzata per risolvere i problemi di sofferenza fisica, la biomedicina ha ottenuto un grande successo nel conseguire i propri obiettivi, come, per esempio, la cura di centinaia di malattie e il miglioramento della qualità dei servizi medici offerti. Sarebbe assurdo sostenere che il modello biomedico sia diventato inutile, anche perché, chiaramente, comprendere i meccanismi fisiopatologici delle malattie ha portato e continua a portare incalcolabili benefici all’uomo. In tutti i casi, i principi del discorso biomedico hanno avuto implicazioni non solo negli interventi biomedici, dove sono stati fortemente pertinenti e vantaggiosi, ma si sono espansi anche alla diffusione di atteggiamenti e valori a volte nocivi per il benessere emotivo del paziente e degli studenti. Ho sostenuto che il discorso biomedico abbia distolto i medici dall’empatia, rendendola secondaria e tangenziale rispetto all’intervento scientifico, e che abbia anche condotto, in molti casi, ad una stigmatizzazione dei pazienti non intenzionale ma molto forte, rendendoli dei diversi. Un sistema che persegue e idealizza la ricerca della perfezione nel senso del controllo e della supremazia sulla malattia e sulla sofferenza diventa subito un sistema eroico e assennato. L’entusiasmo per la perfezione della salute è mirabile sotto molti aspetti, ma può anche portare all’emarginazione di quei pazienti che non sono in grado di conformarsi a questi dettami. Inoltre, il riduttivo empirismo del modello biomedico In un recente numero di Academic Medicine si afferma che: la facoltà di medicina e il personale medico spesso si comportino in modo non professionale Proponendo la convinzione che le persone non dovrebbero soffrire e che l’intelligenza umana può essere utilizzata per risolvere i problemi di sofferenza fisica, la biomedicina ha ottenuto un grande successo nel conseguire i propri obiettivi, come, per esempio, la cura di centinaia di malattie e il miglioramento della il riduttivo empirismo del qualità dei servizi medici modello biomedico offerti conduce, ad un livello narrativo, ad enfatizzare la soluzione ed il risanamento . Un’altra conseguenza involontaria è che questo sistema mette un marchio a quei pazienti che non raggiungono la guarigione NEWSLETTER PAGINA 57 conduce, ad un livello narrativo, ad enfatizzare la soluzione ed il risanamento (83). Un’altra conseguenza involontaria è che questo sistema mette un marchio a quei pazienti che non raggiungono la guarigione. Proprio per far fronte a questi effetti non ricercati ma reali, dobbiamo impegnarci ad ampliare il focus educativo, raccogliendo da altri sistemi conoscenze che possano apportare miglioramenti nel campo dell’empatia e dell’altruismo. Precedenti tentativi già citati in questo articolo non hanno avuto successo poiché la società occidentale in generale, ed in particolare la formazione medica e la medicina stessa, continuano a privilegiare il sistema modernista, senza sfumature o specificità. Il punto importante da ribadire è che la supremazia dell’approccio e dell’atteggiamento biomedico è adatta in alcuni campi; si deve riconoscere ad altri tipi di conoscenza, a parità di valore, una maggior pertinenza, utilità ed applicabilità in altre sfere, ad esempio nel decidere come ci si debba comportare nella relazione con i pazienti. Il sapere biomedico non può produrre empatia, anzi, involontariamente, è possibile che porti al risultato opposto, attraverso la supremazia del riduzionismo, del positivismo e dell’obiettività. Così come abbiamo ricevuto una formazione logico-scientifica dalla quale emerge un sistema di questo tipo, allo stesso modo necessitiamo di un sistema narrativo (99), fondato su alcuni concetti filosofici riguardanti le relazioni tra le persone, per poter sviluppare l’empatia e la compassione. Questo articolo ha indicato che se i nuovi modelli che possono portare benefici e riflessioni continueranno ad essere assorbiti dal sistema modernista esistente, verranno soffocati nel raggiungimento del loro massimo potenziale, in particolare nel favorire lo sviluppo e la pratica dell’empatia tra gli studenti. Quando gli atteggiamenti e i presupposti fortemente radicati nel nostro inconscio collettivo culturale vengono minacciati, tutti noi, compresi studenti ed insegnanti, torniamo ai modi di pensare e reagire che ci sono familiari. Anche il migliore tra i modelli alternativi/complementari può essere distorto dal potere del discorso modernista, che tenta sempre di plasmare le relazioni medico-paziente non del tutto distaccate e oggettivate, a meno che la formazione non riconosca questo fenomeno, aiutando gli studenti a riconsiderare e a lavorare le questioni centrali della contaminazione e dell’altro. Necessitiamo di approcci concettuali ed educativi che possano aiutare gli studenti a non temere e ad imparare dalle emozioni che provano relazionandosi con i pazienti, attraverso “una mutua esperienza di unione che porti ad una sensazione di totalità” (100). Gli studenti non riusciranno a dare veramente un senso al prendersi cura degli altri, se non riconosceranno che la morte, la fragilità e la vulnerabilità appartengono a tutti noi in quanto esseri umani (91). L’educazione in campo medico necessita di metodi per permettere a chi è in formazione di riconoscere ed affrontare le proprie paure di contaminazione e le tentazioni nei confronti dell’altro, insegnando loro ad essere emotivamente presenti con i pazienti. All’interno di un sistema che normalizzi e dia valore a questi aspetti della vita dell’uomo, con il tempo necessario ed una adeguata definizione dei ruoli, gli allievi possono acquisire esperienza ed esprimere una profonda empatia clinica, senza per questo sentirsi in pericolo. Un’etica dell’imperfezione Piuttosto che tentare di inserire nuovi modelli di relazione medicopaziente nel sistema modernista biomedico, dobbiamo interrogarci sull’ampia supremazia di questo paradigma, che porta gli studenti ed i medici a continuare ad allontanarsi dai pazienti. Potremmo iniziare formulando un’etica dell’imperfezione, un concetto già introdotto da David Morris (101). Sebbene Morris non abbia poi elaborato nel dettaglio questo concetto, credo di aver capito che questa struttura potrebbe basarsi sull’accettazione dell’imperfezione dell’esistenza umana e sul fatto che il controllo che ognuno di noi può esercitare sulla vita rimane comunque limitato. Questo punto di vista suggerisce che dobbiamo La supremazia dell’approccio e dell’atteggiamento biomedico è adatta in alcuni campi; si deve riconoscere ad altri tipi di conoscenza, a parità di valore, una maggior pertinenza, utilità ed applicabilità in altre sfere L’educazione in campo medico necessita di metodi per permettere a chi è in formazione di riconoscere ed affrontare le proprie paure di contaminazione e le tentazioni nei confronti La moderna pratica dell’altro, insegnando medica basata sui loro ad essere presupposti del metodo emotivamente presenti scientifico interpreta con i pazienti. l’avvicinamento e l’evitamento, contraddittori istinti umani nei confronti della malattia e della sofferenza, in un modo univoco PAGINA 58 NEWSLETTER imparare ad accettare e a resistere alla vulnerabilità corporea (102). Un’etica dell’imperfezione potrebbe probabilmente avvicinarsi molto al pensiero di filosofi come Ricoeur (103): le sue teorie potrebbero fornire una base per l’espressione di comportamenti umani ed empatici, non tanto con l’intento si stilarne un elenco di riferimento, ma piuttosto per indicare alcuni imperativi morali avvertiti profondamente. A partire dalla consapevolezza della fragilità della condizione umana, Ricoeur sosteneva che, sebbene ci saranno sempre alcune irriducibili differenze a separare un individuo da un altro, alla fine siamo inevitabilmente legati nella ricerca del mutuo riconoscimento e della comprensione. Sosteneva che tutti noi siamo, allo stesso tempo, competenti e vulnerabili. Queste asserzioni liberano automaticamente dalla concezione che la competenza sia propria del ruolo del medico e che la vulnerabilità e la debolezza appartengano invece al paziente. Ricoeur pensava, inoltre, che l’individualità e la diversità non potessero essere separate: quando realizziamo di essere in grado di considerare noi stessi al pari di un’altra persona, significa che siamo anche capaci di considerare l’altro al nostro pari. In questo modo la sofferenza dell’altro diventa la nostra stessa sofferenza. Questa posizione lancia una sfida alle implicazioni dell’obiettività scientifica, ma propone un importante posizione psicologica, dalla quale l’empatia per gli altri potrà emergere totalmente e naturalmente. Implicazioni pratiche per la formazione clinica di un’etica dell’imperfezione La ricerca mostra costantemente che ciò che influenza maggiormente gli atteggiamenti degli studenti di medicina e il loro apprendimento è la presenza di modelli precisi che definiscano il ruolo del medico (104). Un’etica dell’imperfezione esige modelli che esprimano vulnerabilità, che commettano errori e che includano anche il non-sapere; comprende chi è consapevole delle proprie reazioni emotive ed è sincero al riguardo e chi lavora sempre sul limite tra la confidenza ed il distacco e, soprattutto, chi riconosce la naturalezza dei legami di umanità con i pazienti. Durante il corso di studi, oltre alla definizione del ruolo del medico, andrebbero definiti anche altri scopi ed obiettivi. Ciò che si richiede qui è una seria focalizzazione su questioni importanti come approfondire il discorso che riguarda il rapporto tra sé stessi e gli altri, sviluppare capacità di coping con le emozioni difficili, specialmente con la paura, l’ansia e con il desiderio di prendere le distanze dalla morte, dall’agonia e dal decadimento e saper riconoscere e gestire i limiti medici. Esistono molti metodi per realizzare questi obiettivi, come le pratiche riflessive e meditative e l’introduzione di studi umanistici nei corsi di medicina (105107). In più, il corso di studi potrebbe prevedere piccoli gruppi di discussione, guidati da professionisti, sul significato del ruolo del medico, al fine di facilitarne la comprensione, e si potrebbe dare la possibilità agli studenti di interagire con i pazienti come con insegnanti (108), non limitandosi ad indagare i sintomi, ma approfondendo l’esperienza soggettiva della malattia. Infine le materie di studio potrebbero comprendere anche la filosofia morale, non solo dalla prospettiva attualmente favorita (109) (nella quale il focus è rappresentato da ciò che si dovrebbe/non si dovrebbe fare al/per il paziente), ma anche analizzando testi di filosofi come Ricoeur, Buber (110) e Levinas (111), per approfondire le implicazioni morali significative che nascono dalle relazioni con gli altri. Molte di queste attività già esistono, purtroppo però sono relegate ai margini della formazione del medico. Invece di essere considerate stimoli piacevoli (o fastidiose perdite di tempo), esse dovrebbero assumere un ruolo centrale nella medicina. Durante la nostra attività lavorativa, non solo riceviamo richieste per apportare modifiche al corso di studi, ma anche appelli volti ad ottenere trasformazioni istituzionali e svolte culturali (42,98). Simili proposte riconoscono che i fondamenti basilari del nostro sistema educativo necessitano di ampliamento ed umanizzazione. Un Ciò che influenza maggiormente gli atteggiamenti degli studenti di medicina e il loro apprendimento è la presenza di modelli precisi che definiscano il ruolo del medico Durante la nostra attività lavorativa, non solo riceviamo richieste per apportare modifiche al corso di studi, ma anche appelli volti ad ottenere trasformazioni istituzionali e svolte culturali NEWSLETTER PAGINA 59 cambiamento radicale del sistema è fondamentale e potrà aiutare gli studenti-medici ad affrontare le proprie paure di contaminazione, la vulnerabilità e la condizione di mortalità, oltre che a soffocare gli impulsi di protezione dall’altro e a evitare di trattare alcuni pazienti particolarmente timorosi come capri espiatori; attraverso tutti questi processi di crescita interiore, essi potranno imparare ad esprimere empatia e a prendersi cura in modo altruistico dei pazienti. Note conclusive Il valore della soggettività e della confidenza (112)ed il riconoscimento di sé nell’altro vulnerabile e malato, potrebbero aprire la porta ad una sana permeabilità e ad una ridiscussione dei limiti (113) esistenti tra studentimedici e pazienti. Da questa prospettiva, il paziente non diventa più solamente “oggetto”, ma parte del sé del medico. Una simile visione non implica l’abbandono degli sforzi compiuti in campo scientifico ed umanistico per alleviare la sofferenza, ma significa piuttosto che quando questo non è del tutto possibile, o quando è addirittura impossibile, gli allievi possono imparare a sviluppare reazioni emotive diverse dall’ansia incontrollabile che porta all’allontanamento dall’altro. Imparare ad accettare l’imperfezione, a tollerarla, a riconoscerla e a sviluppare la compassione richiede l’abilità di osservare sia sé stessi, sia il paziente con occhi nuovi, senza preconcetti, con curiosità e attenzione (114, 115). Si pone così l’accento sulla presenza piuttosto che sul giudizio (116). Un’etica dell’imperfezione potrebbe aiutarci a riconoscere e ad approfondire elementi comuni con l’altrui sofferenza, piuttosto che rifiutarla e fuggire da essa, rispettando la natura inesatta ed incompleta delle percezioni (117) (vedere Figura 1). Attraverso modi di pensare che comprendono la malattia, il dolore e la sofferenza gli studenti possono imparare a capire e a dare un senso alle esperienze degli altri. Lavorando a partire da questo punto, potremmo sviluppare in modo più efficace un ambiente educativo che rispetti la vulnerabilità condivisa da studenti-medici e pazienti, insegnando agli studenti a considerare gli altri non come una parte temibile e rifiutata di sé, ma come una presenza autonoma (118). Inoltre, si potrebbe educare ad accettare la vicinanza al paziente e a stargli accanto sia nella malattia, sia in prossimità della morte (119). Questa complessa prospettiva dell’imperfezione comprende paralleli e stranezze, comprensioni ed incomprensioni tra allievi e pazienti, mutabilità e inevitabili cambiamenti in sé stessi e negli altri (120). Un’etica dell’imperfezione potrebbe facilitare l’impegno degli studenti nell’analizzare le proprie ed altrui sofferenze, grazie alla capacità di contenere ed accettare a livello profondo tutti gli aspetti della vita (121). Con l’ausilio della tolleranza e del riconoscimento di una comune imperfezione, potremmo riconoscere più facilmente i legami umani degli studenti e dei pazienti; in ogni relazione potrebbe essere utile aiutare gli studenti a capire e ad accettare che siamo tutti feriti ed imperfetti, e tutti condividiamo l’essere differenti dagli altri con gli altri. Essere in grado di contenere emotivamente con compassione le difficili realtà della condizione umana può essere la base di sviluppo di un’empatia profonda e duratura. Vedere tutta l’umanità come danneggiata, sofferente e in lotta favorisce l’umiltà, porta a coltivare legami comuni e a rivolgersi agli altri con gentilezza; in questo modo, si realizza che la distanza che ci separa dagli altri non è così grande come potevamo pensare. Ivan Illich scrisse “la salute medicalizzata mina la nostra capacità culturale ed individuale di contenere e replicare al dolore e alla sofferenza” (122). Il sé dello studente-medico deve emergere da presupposizioni filosofiche che tengano conto dell’analisi e dell’integrazione di qualità interiori che sono caotiche, disgreganti, vulnerabili o disturbanti, aiutando gli studenti a riconoscere gli individui rifiutati come collegati a loro e non nettamente separati. Per aiutare gli studenti di medicina a superare la paura e a sviluppare un’empatia Con l’ausilio della tolleranza e del riconoscimento di una comune imperfezione, potremmo riconoscere più facilmente i legami umani degli studenti e dei pazienti; in ogni relazione potrebbe essere utile aiutare gli studenti a capire e ad accettare che siamo tutti feriti ed imperfetti, e tutti condividiamo l’essere differenti dagli altri con gli altri PAGINA 60 profonda e costante nei confronti dei pazienti è necessaria una struttura che supporti concetti provvisori e mutevoli, aperta alle somiglianze tra sé stessi e gli altri (123) e al riconoscimento dei limiti e dell’imperfezione. Bibliografia: 1. Monroe KR: The heart of altruism: perceptions of a common humanity Princeton, NJ: Princeton University Press; 1996. 2. Darley J, Batson CD: From Jerusalem to Jericho: a study of situational and dispositional variables in helping behaviour. J Pers Soc Psychol 1973, 27:100-108. 3. Batson CD: The altruism question: Towards a social social-psychological answer Hillsdale, NJ: Erlbaum; 1991. 4. Aronson E, Wilson TD, Akert AM: Social psychology 5th edition. Upper Saddle River, NJ: Prentice Hall; 2005. 5. Landau RL: "And the least of these is empathy.". In Empathy and the practice of medicine: beyond pills and the scalpel Edited by: Spiro H, McCrea-Curnen MG, Peschel E, St. James D. New Haven: Yale University Press; 1993:103-109. 6. Charon R: Narrative medicine: honoring the stories of illness Oxford: Oxford University Press; 2006. 7. The Medical School Objectives Writing Group: Learning objectives for medical student education-guidelines for medical schools: report I of the Medical School Objectives Project. Acad Med 1999, 74:13-8. 8. Association of American Medical Colleges [http:// www.acgme.org/Outcome] 9. Klein EJ, Jackson JC, Kratz L, Marcuse EK, McPhillips HA, Shugerman RP, Watkins S, Stapleton FB: Teaching professionalism to residents. Acad Med 2003, 78:26-34. 10. Hafferty FW: Definitions of professionalism. Clin Orthop Relat Res 2006, 449:193-204. 11. Stepien KA, Baernstein A: Educating for empathy. a review. J Gen Intern Med 2006, 21:524-30. 12. Zenni EA, Ravago L, Ewart C, Livingood W, Wood D, Goldhagen J: A walk in the patients' shoes: a step toward competency development in systems-based practice. Ambul Pediatr 2006, 6:54-7. 13. Brownell AK, Cote L: Senior residents' views on the meaning of professionalism and how they learn about it. Acad Med 2001, 76:734-7. 14. Satterfield JM, Hughes E: Emotion skills training for medical students: a systematic review. Med Educ 2007, 41:935-41. 15. Stepien KA, Baernstein A: Educating for empathy: a review. J Gen Intern Med 2006, 21:524-30. 16. Coulehan J: Viewpoint: today's professionalism: engaging the mind but not the heart. Acad Med 2005, 80:892-8. 17. Hanna M, Hins JJ: Power and communication: why simulation training ought to be complemented by experiential and humanist learning. Acad Med 2006, 81:265-70. 18. Hafferty F: Measuring professionalism: a commentary. In Measuring medical professionalism Edited by: Stern DT. Oxford: Oxford University Press; 2006:281-306. 19. Rees CE, Knight LV: The trouble with assessing students' professionalism: theoretical insights from sociocognitive psychology. Acad Med 2007, 82:46-50. 20. Markham B: Medical students become patients: a new teaching strategy. J Med 1979, 54:416-18. 21. Belkin L: "In lessons on empathy, doctors become patients.". New York Times . June 4, 1992 22. University of Pennsylvania Health System: "Unique medical school program pairs students with patients over all four years of education.". . Press release, November 10, 2004 23. Wagner PJ, Lentz P, Heslop SD: Teaching communication skills: NEWSLETTER NEWSLETTER a skills-based approach. Acad Med 2002, 77:1164. 24. Turner J, Fleck L, Oswald T: "Unique MSU program gives new medical students hands-on experiences.". Michigan State University School of Medicine 2004 [http://newsroom.msu.edu]. 25. Dow AW, Leong D, Anderson A, Wenzel RP, VCU Theater-Medicine Team: * Using theater to teach clinical empathy: a pilot study. J Gen Intern Med in press. 2007 May 8 26. Charon R: Reading, writing, and doctoring: literature and medicine. Am J Med Sci 2000, 319:285-291. 27. Reifler DR: "Poor Yorick": reflections on gross anatomy. In Teaching literature and medicine Edited by: Hawkins AH, McEntyre MC. New York: Modern Language Association of America; 2000:327-332. 28. Shapiro J, Duke A, Boker J, Ahearn CS: Just a spoonful of humanities makes the medicine go down: introducing literature into a family medicine clerkship. Med Educ 2005, 39:605-12. 29. Engel G: The need for a new medical model: a challenge for biomedicine. Science 1977, 196:129-136. 30. Stewart M, Brown JB, Weston WW, McWhinney IR, McWilliam CL, Freeman TR, editors: Patient-centered medicine: transforming the clinical method Thousand Oaks, CA: Sage Publications; 1995. 31. Frankel RM: Relationship-centered care and the patient-physician relationship. J Gen 2004, 19:1163-1165. 32. Bellini LM, Baime M, Shea JA: Variation of mood and empathy during internship. JAMA 2002, 288:1846-7. 33. Hojat M, Mangione S, Nasca TJ, Rattner S, Erdmann JB, Gonnella JS, Magee M: An empirical study of decline in empathy in medical school. Med Educ 2004, 38:934-41. 34. Bellini LM, Shea JA: Mood change and empathy decline persist during three years of internal medicine training. Acad Med 2005, 80:164-7. 35. Mangione S, Kane GC, Caruso JW, Gonnella JS, Nasca TJ, Hojat M: Assessment of empathy in different years of internal medicine training. Med Teach 2002, 24:370-3. 36. Dyrbye LN, Thomas MR, Shanafelt TD: Medical student distress: causes, consequences, and proposed solutions. Mayo Clin Proc 2005, 80:1613-22. 37. Smith CK, Peterson DF, Degenhardt BF, Johnson JC: Depression, anxiety, and perceived hassles among entering medical students. Psychol Health Med 2007, 12:31-9. 38. Humphrey HJ, Smith K, Reddy S, Scott D, Madara JL, Arora VM: Promoting an environment of professionalism: the University of Chicago "roadmap.". Acad Med 2007, 82:1098-1107. 39. Marcus ER: Empathy, humanism, and the professionalism of medical education. Acad Med 1999, 74:1211-1215. 40. Wear D, Castellani B: The development of professionalism: curriculum matters. Acad Med 2000, 75:602-11. 41. DasGupta S: Reading bodies, writing bodies: self-reflection and cultural criticism in a narrative medicine curriculum. Lit Med 2003, 22:241-256. 42. Christianson CE, McBride RB, Vari RC, Olson L, Wilson HD: From traditional to patient-centered learning: curriculum change as an intervention for changing institutional culture and promoting professionalism in undergraduate medical education. Acad Med 2007, 82:1079-1088. 43. Haidet P, Dains JE, Paterniti DA, Hechtel L, Chang T, Tseng E, Rogers JC: Medical student attitudes toward the doctor-patient relationship. Med Educ 2002, 36:568-574. 44. Campbell A: Moderated love London: SPCK; 1984. 45. Cassell E: The nature of suffering and the goals of medicine Oxford: Oxford University Press; 1991. 46. Halpern J: From detached concern to empathy: humanizing medical practice Oxford: Oxford University Press; 2003. 47. Aull F, Lewis B: Medical intellectuals: resisting medical orientalism. PAGINA 61 PAGINA 62 J Med Humanit 2004, 25:87-108. 48. Kristeva J: Powers of horror: an essay on abjection New York: Columbia University Press; 1982. 49. Douglas M: Purity and danger: an analysis of concepts of pollution and taboo New York: Praeger; 1966. 50. Kuppers P: The scar of visibility: medical performances and contemporary art Minneapolis, MN: University of Minnesota Press; 2007. 51. Becker E: Denial of death New York: Free Press; 1973. 52. Ratanaku P: The Buddhist concept of life, suffering and death, and related bioethical issues. Eubios Journal of Asian and International Bioethics 2004, 14:141-146. 53. Cheng-tek Tai M: Natural and unnatural: an application of Taoist thought to bioethics. Etica & Politica/Ethics & Politics 2004:2 [http://www.univ.trieste.it/~etica/2004_2/CHENG-TEK_TAI.htm]. 54. Dupre L: The enlightenment & the intellectual foundations of modern culture New Haven, CT: Yale University Press; 2004. 55. Epstein J: Altered conditions: disease, medicine, and storytelling New York: Routledge; 1995. 56. Thomson RG: Extraordinary bodies: figuring physical disability in American culture and literature New York: Columbia University Press; 1997. 57. Diedrich L: Breaking down: a phenomenology of disability. Lit Med 2001, 20:209-230. 58. Shildrick M: Leaky bodies and boundaries: feminism, and (bio)ethics New York: Routledge; 1997. 59. Grosz E: Corporeal bodies: toward a corporeal feminism (theories of representation and difference) Purdue, IN: Indiana University Press; 1994. 60. Waldby C: AIDS and the body politic: biomedicine and sexual difference Routledge: London; 1996. 61. Spivak GC: The post-modern condition: the end of politics? In The postcolonial critic: interviews, strategies, dialogues Edited by: Harasym S. London: Routledge; 1990. 62. Crawford R: The boundaries of the self and the unhealthy other: reflections on health, culture, and AIDS. Soc Sci Med 1994, 38:1347-1375. 63. Parsons T: The social system New York: Free Press; 1964. (1951) 64. Foucault M: The birth of the clinic: an archeology of medical perception Edited by: Sheridan Smith AM. New York: Vintage Books; 1973. 65. Lacan J: Ecrits: a selection Edited by: Sheridan A. W.W. Norton: London; 1977. 66. Apprey M, Stein HF: Intersubjectivity, projective identification and otherness Pittsburgh, PA: Duquesne University Press; 1993. 67. Ricoeur P: The symbolism of evil Boston: Beacon Press; 1967. 68. Shildrick M: Becoming vulnerable: contagious encounters and the ethics of risk. J Med Humanit 2000, 21:215-227. 69. Erikson EH: Identity and the life cycle: selected essays New York: International Universities; 1959. 70. Gilman S: Differences and pathology: stereotypes of sexuality, race, and madness Ithaca, NY: Cornell University Press; 1985. 71. Grosz E: Sexual subversions: three French feminists Sydney, Australia: Allen & Unwin; 1989. 72. Marks D: Models of disability. Disability and Rehabilitation 1997, 19:85-91. NEWSLETTER NEWSLETTER 73. Coleman AD: Up from scapegoating: awakening consciousness in groups Wilmette, IL: Chiron Publications; 1995. 74. Radecki S, Shapiro J, Thrupp LD, Gandhi SM, Sangha SS, Miller RB: Willingness to treat HIV-positive patients at different stages of medical education and experience. AIDS Patient Care STDS 1999, 13:403-14. 75. Wear D, Aultman JM, Varley JD, Zarconi J: Making fun of patients: medical students' perceptions and use of derogatory and cynical humor in clinical settings. Acad Med 2006, 81:454-462. 76. Goffman E: Stigma New York: Simon & Schuster; 1963. 77. Schwartz MA, Wiggins OP: Scientific and humanistic medicine: a theory of clinical methods. In The task of medicine Edited by: White KR. Menlo Park, CA: Henry Kaiser Foundation; 1988. 78. Cohen JJ: Linking professionalism to humanism: what it means, why it matters. Acad Med 2007, 82:1029-1032. 79. Sontag S: Illness as metaphor New York: Farrar, Straus, & Giroux; 1978. 80. Sontag S: AIDS and its metaphors New York: Farrar, Straus, & Giroux; 1988. 81. Wagner AT: Re/Covered bodies: the sites and stories of illness in popular media. J Med Humanit 2000, 21:15-27. 82. Rothman AA, Wagner EH: Chronic illness management: what is the role of primary care? Ann Intern Med 2003, 138:256-61. 83. Frank AW: The wounded storyteller: body, illness, and ethics Chicago, IL: University of Chicago Press; 1995. 84. Inui TS, Frankel : Hello, stranger: Building a healing narrative that includes everyone. Acad Med 2006, 81:415-418. 85. Good BJ, Good MJD: "Fiction" and "Historicity" in doctors' stories: social and narrative dimensions of learning medicine. In Narrative and the cultural construction of illness and healing Edited by: Mattingly C, Garro LC. Berkeley: University of California Press; 2000:50-69. 86. McEntyre MC: Getting from how to why: a pause for reflection in professional life. Acad Med 1997, 72:1051-5. 87. Johnson AH, Brock CD, Hamadeh G, Stock R: The current status of Balint groups in US family practice residencies: a 10-year follow-up study, 1990–2000. Fam Med 2001, 33:672-7. 88. Vohra PD, Johnson JK, Daugherty CK, Wen M, Barach P: Housestaff and medical student attitudes toward medical errors and adverse events. Jt Comm J Qual Patient Saf 2007, 33:493-501. 89. Kaiser R: Fixing identity by denying uniqueness: an analysis of professional identity in medicine. J Medical Humanit 2002, 23:95-105. 90. Suchman AL: Story, medicine, and healthcare. Advances 2000, 16:193-198. 91. Berger AS: Arrogance among physicians. Acad Med 2002, 77:145-147. 92. Martinez R: Walker Percy and medicine: the struggle for recovery in medical education. In The last physician: Walker Percy and the moral life of medicine Edited by: Elliot C, Lantos JD. Durham, NC: Duke University Press; 1999:81-95. 93. Eisenberg N, Fabes RA, Murphy B, Karbon M, Maszk P, Smith M, O'Boyle C, Syh K: The relations of emotionality and regulation to dispositional and situational empathy-related responding. J Pers Soc Psychol 1994, 66:776-797. 94. Eisenberg N: Empathy-related emotional responses, altruism, and their socialization. In Visions of compassion: western scientists and Tibetan Buddhists examine human nature Edited by: Davidson RJ, Harrington A. Oxford: Oxford University Press; 2002:131-164. 95. Suchman AL, Williamson PR, Litzelman DK, Frankel RM, Mossbarger DL, Inui TS: Toward an informal curriculum that teaches professionalism: transforming the environment of a medical school. J Gen Intern Med 2004, 19:501-504. PAGINA 63 PAGINA 64 96. Holt TE: Narrative medicine and negative capability. Lit Med 2004, 23:318-333. 97. Brainard AH, Brislen HC: Learning professionalism: a view from the trenches. Acad Med 2007, 82:1010-1014. 98. Smith KL, Saavedra RC, Raeke JL, O'Donnell AA: The journey to creating a campus-wide culture of professionalism. Acad Med 2007, 82:1015-1021. 99. Bruner J: Acts of meaning Cambridge: Harvard University Press; 1990. 100. Suchman AL, Matthews DA: What makes the patient-doctor relationship therapeutic? Exploring the connexional dimension of medical care. Ann Intern Med 1988, 108:125-30. 101. Morris DB: Illness and culture in the postmodern age Berkeley: University of California Press; 1998. 102. Frank AW: The renewal of generosity: illness, medicine, and how to live Chicago, IL: University of Chicago Press; 2005. 103. Ricoeur P: Oneself as another Edited by: Blamey K. Chicago, IL: University of Chicago Press; 1992. 104. Weissman PF, Branch WT, Gracey CF, Haidet P, Frankel RM: Role modeling humanistic behavior: learning bedside manner from the experts. Acad Med 2006, 81:661-7. 105. Levine RB, Kern DE, Wright SM: The impact of prompted narrative writing during internship on reflective practice: a qualitative study. Adv Health Sci Educ Theory Pract . 2007, Sep 21 106. Branch WT Jr: Use of critical incident reports in medical education. A perspective. J Gen Intern Med 2005, 20:1063-7. 107. Macnaughton J: The humanities in medical education: context, outcomes and structures. Med Humanit 2000, 26:23-30. 108. Kwilosz DM: Patient as teacher. Death Studies 2005, 29:737-44. 109. Fiester A: Why the clinical ethics we teach fails patients. Acad Med 2007, 82:684-689. 110. Buber M: I-Thou New York: Touchstone; 1970. 111. Hand S: The Levinas reader New York: Wiley-Blackwell; 2001. 112. Spiegel M, Charon R: Narrative, empathy, proximity. Lit Med 2004, 23:vii-x. 113. Henderson SW: Identity and compassion in Rafael Campo's "The Distant Moon.". Lit Med 2000, 19:262-279. 114. Dobie S: Reflections on a well-traveled path: self-awareness, mindful practice, and relationship-centered care as foundations for medical education. Acad Med 2007, 82:422-427. 115. Bion WR: Attention and interpretation London: Tavistock Books; 1970. 116. Epstein R: Mindful practice. JAMA 1999, 282:833-839. 117. Spiegel M, Charon R: Reflexivity and responsiveness: the expansive orbit of knowledge. Lit Med 2006, 25:vi-xi. 118. Kiceluk S: The body in pain and the physician as conquistador: Hemingway's Indian Camp" and wound stories. Med Humanit Review 2003, 17:7-40. 119. Frank AW: Asking the right question about pain: narrative and phronesis. Lit Med 2004, 23:209-225. 120. Marta J: Towards a bioethics for the twenty-first century: a Ricouerian poststructuralist narrative hermeneutic approach to informed consent. In Stories and their limits: narrative approaches to bioethics Edited by: Nelson HL. New York: Routledge; 1997:198-212. 121. Banks JT: The story within. In Stories matter: the role of narrative in medical ethics Edited by: Charon R, Montello M. New York: Routledge; 2002:219-226. 122. Illich I: Medical nemesis: the expropriation of health New York: Pantheon; 1976. 123. Norton J: Multiculturalism as disease: advocating AIDS. J Med Humanit 1998, 19:99-125. NEWSLETTER NEWSLETTER Djøra I. Soeteman, Roel Verheul, Jos Delimon, Anke M. M. A. Meerman, Ellen van den Eijnden, Bert V. Rossum, Uli Ziegler, Moniek Thunnissen, Jan J. V. Busschbach and Jane J. Kim Cost-effectiveness of psychotherapy for cluster B personality disorders Br J Psychiatry. 2010 May;196(5):396-403 Abstract: Cluster B personality disorders, including borderline, antisocial, histrionic and narcissistic, are among the most prevalent mental disorders in the general population1,2 and in mental healthcare settings.3,4 Moreover, these disorders are associated with high societal costs and a low quality of life.5,6 Although different in many respects, a common feature of cluster B personality disorders is a rather dramatic and impulsive manifestation that is considered more persistent and resistant to change than cluster C personality disorders (i.e. avoidant, dependent and obsessive– compulsive) but less so than cluster A personality disorders (i.e. paranoid, schizoid and schizotypal). Currently, several treatments with demonstrated efficacy for borderline personality disorders are being adapted and tested for antisocial personality disorders, suggesting a partially common nature to these disorders.7 Additionally, contemporary classification models of personality disorders increasingly focus on dimensions rather than categories, and cluster B personality disorders seem to have similarly high scores on dimensions of behavioural and emotional disinhibition and antagonism.8 This paradigm shift makes it clinically relevant to include the full range of cluster B personality disorders in analyses rather than focusing solely on the more common borderline personality disorders. A multidisciplinary clinical guideline in The Netherlands recently identified various modalities of psychotherapy, including out-patient, day hospital, and in-patient psychotherapy, to be preferential for cluster B personality disorders,9 consistent with two other clinical guidelines that focused on borderline personality disorders.10,11 Although based on strong evidence of efficacy,12 the economic impact of these recommendations has not yet been explored and few cost-effectiveness analyses of personality disorder interventions exist that can guide decisionmaking with respect to clinical practices and healthcare resource allocation. Recently, the Study on Cost-Effectiveness of Personality disorder Treatment (SCEPTRE) was conducted with the purpose of providing data for economic evaluation PAGINA 65 PAGINA 66 NEWSLETTER of various psychotherapeutic treatments for personality disorders. Used in a decision-analytic framework, the data on health benefits and resource use from this study can be synthesised to evaluate the relative performance of health interventions under conditions of uncertainty and imperfect data.13 The objective of this study was to assess the cost-effectiveness of three modalities of psychotherapy in treating cluster B personality disorders (i.e. out-patient, day hospital and in-patient psychotherapy) and to inform decision makers about the value of these treatment options. We incorporated clinical and economic patient-level data from the SCEPTRE trial in a simulation model to compare the strategies over a 5-year time horizon in terms of costs per recovered patient-year and costs per quality-adjusted life-year (QALY). I disturbi di personalità del cluster B, tra cui il borderline, l’antisociale, l’istrionico ed il narcisistico, sono fra i distrubi più frequenti tra la popolazione generale (1,2) e tra i pazienti psichiatrici (3,4). Inoltre questi disturbi sono associati con elevati costi per la società (5, 6). Fino ad oggi, molti sono i trattamenti che hanno mostrato un’efficacia per i disturbi di personalità borderline e che sono stati sperimentati anche per i disturbi antisociali, suggerendo una natura in parte comune tra queste patologie (7). Inoltre, i modelli di classificazione attuali si concentrano più sulle dimensioni che sulle categorie ed i disturbi del cluster B paiono avere punteggi elevati nelle dimensioni di disinibizione comportamentale ed emotiva e nel parametro antagonismo (8). Le linee guida multidisciplinari olandesi prevedono diversi modelli di psicoterapia per i disturbi del cluster B, che includono interventi ambulatoriali, ospedalieri e di day hospital (9, 10, 11). Anche se hanno forti evidenze di efficacia (12), l’impatto economico di questi modelli non è stato ancora esplorato. Recentemente è stato condotto lo studio sul rapporto costo-efficacia nel trattamento dei disturbi di personalità (SCEPTRE) , al fine di fornire una valutazione economica dei diversi modelli di intervento. L’obiettivo di questo studio è stato di valutare il rapporto costo-efficacia di tre modelli di psicoterapia nella terapia dei disturbi del cluster B (ambulatoriale, ospedaliero e day hospital) e di informare i decision makers sul valore di queste opzioni di trattamento. Abbiamo integrato dati clinici ed economici per ogni paziente del trial SCEPTRE in un modello di simulazione per paragonare le strategie in un tempo di 5 anni in termini di costi annui per paziente guarito e costi relativi all’aspettativa di vita di un anno in condizioni di buona salute (QALY). Metodi Modello Abbiamo usato un modello a coorte di Markov precedentemente sviluppato (13, 14) per simulare la transizione di una coorte di individui con disturbi del cluster B attraverso livelli di salute mutualmente esclusivi e collettivamente esaustivi basandosi sul trial SCEPTRE. Il modello è quindi stato usato per stimare l’impatto di diversi interventi sulla popolazione di pazienti. Il processo clinico alla base del modello definisce il “cambiamento clinicamente significativo”, basandosi su un approccio statistico di ricerca in psicoterapia (15). Per calcolare i punti di cut off e gli indici di cambiamento, i punteggi ricavati dalla Symptom Checklist-90 rivisitata (SCL-90 R) sono stati usati come misure di outcome sia per la popolazione normale che patologica (16). I pazienti sono stati classificati in 4 classi: guariti (se l’entità del cambiamento risultava statisticamente affidabile e gli individui ottenevano valori all’interno del range di norma nelle variabili di interesse); migliorati (se i valori erano significativi ma emergeva ancora qualche elemento patologico); non modificati (se l’entità del cambiamento non è statisticamente affidabile, oppure il metodo non è riuscito a determinare se il cambiamento è stato molti sono i trattamenti che hanno mostrato un’efficacia per i disturbi di personalità borderline e che sono stati sperimentati anche per i disturbi antisociali, suggerendo una natura in parte comune tra queste patologie NEWSLETTER PAGINA 67 statisticamente significativo); ricaduti o peggiorati (se il cambiamento è statisticamente significativo ma al polo opposto); deceduti. La struttura del modello di Markov è in fig.1 Il modello Markov Quattro sono stati i parametri utilizzati nel modello: probabilità di transizione, cioè il movimento tra i 5 stati; costi del trattamento nei 3 modelli di psicoterapia; costi di utilizzo del sistema sanitario e perdita di produttività; qualità di vita per paziente a seconda dello stato. Per superare il problema del bias di selezione abbiamo controllato le differenze individuali utilizzando il metodo del punteggio di propensione (vedi dopo). Le transizioni da uno stato all’altro sono state ipotizzate ogni 6 mesi. Sulla base di altri trial abbiamo considerato un orizzonte di tempo di 5 anni, ovvero 2 anni oltre la durata del trial. Sulla base delle probabilità di transizione, abbiamo estrapolato gli ultimi 2 anni di analisi considerando metodi diversi. Sulla base degli andamenti dello studio abbiamo considerato la media di due osservazioni (anno 2 e anno 3) mantenendo costanti tali valori negli anni 4 e 5 dell’analisi. Abbiamo registrato i costi per paziente guarito e i costi per QALY sui 5 anni usando questo modello; i costi ed i QALYs sono stati comparati con un tasso di sconto annuale del 4% e 1.5% rispettivamente, coerentemente con le valutazioni economiche olandesi (19). In una sensitivity analysis, abbiamo studiato l’impatto nell’applicazione di un tasso di sconto del 3% sia per i costi che per gli outcome di salute come raccomandato dalle linee guida economiche inglesi e statunitensi. Reclutamento ed assegnazione I pazienti sono stati reclutati da un pool proveniente da 6 strutture psichiatriche specializzate in intervento psicoterapeutico per disturbi di personalità in Olanda. I criteri di inclusione erano diagnosi di personalità del cluster B, età 18-70 anni, psicoterapia specifica per disturbi di personalità, lingua olandese. I criteri di esclusione sono stati: disturbi psicotici, demenze, ritardo mentale. Incluse le comorbidità di asse I e II. Sono risultati idonei 241 individui che hanno fornito un consenso informato e che sono entrati nello studio. I pazienti sono stati assegnati ad uno dei tre gruppi terapeutici, sulla base di una valutazione completa fornita da esperti e clinici, i gruppi erano: ambulatorio, day hospital, reparto. Nel setting ambulatoriale erano fornite 2 sedute/settimana; nel day hospital psicoterapia individuale e di gruppo e terapia non verbale per 1-5 giorni/ settimana; simile il reparto dove però si permaneva 5-7 giorni/settimana. La durata media era rispettivamente 15.1, 10.4, 9.3 mesi (Tab.1). I 4 parametri utilizzati: probabilità di transizione, costi del trattamento, costi di utilizzo del sistema sanitario e perdita di produttività,qualità della vita Lo studio: PAGINA 68 NEWSLETTER Dati Probabilità di transizione La proporzione dei partecipanti nei differenti stati di salute è stata determinata a 6, 12, 18, 24, 30 e 36 mesi dall’inizio. Costi I costi sono stati suddivisi tra quelli per la società e quelli per il fornitore di servizi. I costi per la società includevano i costi dell’intervento medico (intervento sul territorio ed utilizzo dei servizi dopo la dimissione) e costi medici indiretti (diminuita produttività dovuta alla malattia), mentre i costi per i fornitori includevano solo i costi diretti. I dati includevano costi del personale, dei materiali, affitti, abbiamo usato un approccio microcosting per determinare il costo per singolo paziente. I costi medi risultavano 7445 € per la psicoterapia ambulatoriale, 23279 € per la psicoterapia in day hospital, 35218 € per la psicoterapia ospedaliera. Il test Trimbos and Institute for Medical Technology (iMTA) ed il questionario Costi Associati con la Patologia Mentale (TiC-P) sono stati usati per determinare costi diretti ed indiretti (22). Per i costi diretti, il numero totale delle visite (ambulatoriali, durata del ricovero, uso di farmaci) è stato moltiplicato per i valori del 2003 dei corrispondenti servizi sanitari (23,24) e corretti per il 2007 (25). Il valore medio è stato poi moltiplicato per 6.5 al fine di rientrare nel modello ciclico dei 6 mesi. Per quanto riguarda i costi indiretti, abbiamo ottenuto i dati basati sull’assenza dal lavoro, la ridotta efficacia lavorativa e la difficoltà nelle performance lavorative dal Tic P e dalla versione abbreviata dell’ Health And Labor Questionnaire (26). Per valutare l’assenza dal lavoro sul lungo termine, abbiamo applicato il metodo “fiction cost” che considera il fatto che una persona disoccupata può prendere il posto di una malata (27). Tali valutazioni sono riassunte in tabella 2. Per ciascun tipo di intervento, il modello calcola i costi attesi da una media ponderata dei costi per ogni livello di salute e la percentuale della corte in ogni periodo di 6 mesi; il costo totale atteso di ogni intervento è quindi calcolato su una somma di 5 anni. La suddivisione dei costi: Il test Trimbos and Institute for Medical Technology (iMTA) ed il questionario Costi Associati con la Patologia Mentale (TiCP) sono stati usati per determinare costi diretti ed indiretti NEWSLETTER Parametri di salute Per indagare la diminuita qualità di vita nei pazienti affetti da disturbo di personalità si è utilizzato l’EuroQoL EQ-5D che registra la qualità di vita in 5 dimensioni: mobilità, cura del sé, attività abituali, dolore/disagio, ansia/depressione (28). Ogni dimensione è divisa in 3 stati: nessun problema, alcuni problemi, gravi problemi. Un totale di 243 possibili livelli di salute sono stati calcolati per derivare un indice tra -0.33 (peggior stato di salute immaginabile) ed 1 (miglior stato di salute immaginabile). Per calcolare i valori medi EQ-5D sono stati utilizzati i valori olandesi di norma (29). La qualità di vita media nel corso di un anno in ciascun ciclo è riassunta in Tab 2. il numero di QALYs atteso per ciascun tipo di intervento era calcolato soppesando la durata in ciascuno stato per l’utilità in quello stato e sommando tutti gli stati di salute in ciascun ciclo. Il numero atteso di QALYs per paziente sui 5 anni era calcolato sommando tutti i cicli. Tassi di mortalità I partecipanti in buono stato di salute, guariti, erano considerati a rischio di vita in maniera uguale rispetto alla popolazione generale. I tassi di mortalità genere ed età specifici erano ottenuti da tabelle di sopravvivenza standardizzate (30). Metodo del propensity score Per diminuire il bias di selezione le differenze iniziali dei pazienti sono state controllate attraverso il metodo del propensity score (31). Il “punteggio di propensione” valutato è definito dalla probabilità di essere assegnati ad un certo trattamento sulla base delle caratteristiche pre trattamento. Analisi Per riflettere l’incertezza nei valori dei nostri parametri, abbiamo condotto un’analisi probabilistica in cui le distribuzioni erano assegnate ai parametri di input del modello (es. distribuzioni gamma per i costi, distribuzioni beta per gli strumenti e distribuzioni Dirichlet per i parametri di probabilità) (13). Sono stati costruiti gruppi di parametri usati nel modello per calcolare i costi attesi, gli anni attesi per paziente guarito e i QALYs per ogni metodo. I valori medi sono stati utilizzati per calcolare il rapporto costo incrementale (ICER) associato con ogni strategia, definito come costo aggiuntivo diviso per benessere aggiuntivo associato con una strategia in relazione con la successiva strategia a costo minore. La strategia con migliore rapporto costo-beneficio era quindi identificata paragonando gli ICERs di differenti strategie con diversi valori soglia che rispecchiassero le decisioni dei fornitori di servizi per ogni unità o effetto migliorativo. Le strategie inferiori ad un valore prestabilito rappresentavano un buon “value for money”; la strategia con il miglior rapporto “costo beneficio” è quella con il più alto ICER al di sotto del valore soglia PAGINA 69 Parametri di salute: l’EuroQoL EQ-5D che registra la qualità di vita in 5 dimensioni: mobilità, cura del sé, attività abituali, dolore/ disagio, ansia/depressione (28). PAGINA 70 prestabilito,rappresentando quindi l’opzione con il miglior guadagno per unità di costo. Al fine di valutare l’incertezza nei valori dei parametri sono state create curve di accettabilità costo-efficacia (CEAC) al fine di indicare la probabilità per ogni opzione di essere costo-efficace in rapporto alla decisione dei fornitori di servizi per anno-paziente guarito o QALY (33). Infine, il limite di accettabilità (CEAF) è stato valutato per inquadrare ogni CEAC su il range dei valori soglia secondo cui ogni opzione è pensata come la più costo-efficace, così come gli ICER soglia nei quali avvengono modifiche nella modalità migliore (es. “punti di switch”) (34). Risultati Costi su 5 anni ed outcome di salute I costi medi su 5 anni e gli outcome dal punto di vista della società sono presentati in Tab 3. La tabella mostra che i costi medi sono sostanzialmente inferiori per la psicoterapia dei pazienti ambulatoriali, suggerendo che i maggiori costi di trattamento del day hospital e del reparto implicano altri fattori come la riduzione dei costi sanitari e la perdita di produttività. L’ordine di efficacia delle strategie valutato per anni/paziente guarito e QALYs, indica che la psicoterapia ospedaliera è l’opzione più efficace. Valutando la percentuale dei pazienti che mantenevano i risultati a 5 anni, la psicoterapia di day hospital è associata con la maggiore percentuale di pazienti guariti. La psicoterapia ambulatoriale pare l’opzione di gran lunga più sfavorevole. Analisi costo efficacia dal punto di vista sociale Il rapporto costo efficacia per paziente guarito secondo ciascuna strategia, riferiti come costo per paziente guarito e costo per QALY su un periodo di 5 anni, sono mostrati in Tab 4. La psicoterapia ambulatoriale risulta avere i minori costi e benefici; la psicoterapia in day hospital i maggiori costi e benefici, risultando associata con un ICER di 12274 € per paziente guarito ed un ICER di 56325 € per QALY rapportato con terapia ambulatoriale. La terapia ospedaliera NEWSLETTER NEWSLETTER PAGINA 71 detiene i più elevati costi e benefici in termini di salute ed è associata con un ICER di 113298 € per anno-paziente guarito ed un ICER di 286493 € per QALY rapportato con la psicoterapia in day hospital. Le differenze osservate tra le tre modalità di trattamento in relazione con gli effetti erano più pronunciate nei termini di paziente guarito per anno che per QALYs (Fig. 2) La psicoterapia ambulatoriale risulta avere i minori costi e benefici; la psicoterapia in day hospital i maggiori costi e benefici, risultando associata con un ICER di 12274 € per paziente guarito ed un ICER di 56325 € per QALY rapportato con terapia ambulatoriale Fig. 2 Scatter plots showing the costs and health outcomes of the treatment strategies from 1000 Monte Carlo simulations for (a) recovered patient-years and (b) for quality-adjusted life-years (QALYs). La fig. 3 mostra il CEAC che indica la probabilità di ciascuna strategia di essere cost effective per differenti valori di disponibilità nei pagamenti da parte della società, per unità di benefit salute. PAGINA 72 Fig. 3 Cost-effectiveness acceptability curves (CEAC) showing the probability of each modality being cost-effective at different values of the societal willingness-to-pay (WTP). (a) CEAC for recovered patient-year; (b) CEAC for quality-adjusted life-years (QALYs). In termini di costi per anno-paziente guarito la psicoterapia ambulatoriale ha la maggiore probabilità di essere cost effective per valori di disponibilità di pagamento al di sotto dei 12500€. Per valori tra i 12500 € ed i 103100 € per anno paziente guarito, la psicoterapia di day-hospital è probabilmente la più efficace. Per valori al di sopra dei 103100 € per paziente guarito la psicoterapia ospedaliera ha la più alta probabilità di essere cost effective. In termini di costi per QALY possono essere osservati risultati simili. Secondo questa analisi la psicoterapia ambulatoriale ha la probabilità di essere conveniente per i costi in circa l’84% delle simulazioni; d’altra parte la psicoterapia di day hospital ed ospedaliera ha poca probabilità di essere conveniente. Inoltre è utile conoscere l’effetto dell’incertezza dei risultati, la probabilità di una strategia di essere cost-effective non è sufficiente per determinare NEWSLETTER Inoltre è utile conoscere l’effetto dell’incertezza dei risultati, la probabilità di una strategia di essere costeffective non è sufficiente per determinare l’opzione migliore. Le decisioni dovrebbero essere prese sulla base dei vantaggi attesi, a scapito delle incertezze ad essi associate NEWSLETTER PAGINA 73 l’opzione migliore. Le decisioni dovrebbero essere prese sulla base dei vantaggi attesi, a scapito delle incertezze ad essi associate. (33). Per identificare la migliore opzione di trattamento (ad es l’opzione con i maggiori benefici al netto per un certo costo), è stato esaminato il CEAF (Fig. 4). Il CEAF dei costi per paziente guarito/anno fig. 4°) mostra il range dei valori soglia su cui la psicoterapia ambulatoriale (0-12247 €), la psicoterapia di day hospital (12274 € - 113298 €) e la psicoterapia ospedaliera (oltre i 113298 €), hanno i maggiori vantaggi al netto e possono essere considerate le scelte migliori. I valori di suddivisione, a cui corrisponde una modifica nella scelta ottimale, corrispondono agli ICERs tra psicoterapia ospedaliera e di day hospital e tra quella di day hospital e l’ambulatoriale. In termini di costi per QALY (fig. 4b) i valori soglia erano di 56325 € e di 286493 € rispettivamente. Se i fornitori di servizi decidono di fornire finanziamenti inferiori ai 56325 €, la psicoterapia ambulatoriale è quella più conveniente al di sopra di questo valore ed al si sotto di 286493 € la strategia ottimale sarebbe la psicoterapia di day hospital. I valori possono essere aggiustati tenendo conto di un tasso di sconto del 3%. Analisi costo efficacia dal punto di vista del fornitore la strategia ottimale sarebbe la psicoterapia di day hospital PAGINA 74 NEWSLETTER Il CEAF dei costi per anno-paziente guarito ed il costo per QALY dal punto di vista dei fornitori di servizi mantengono gli stessi risultati di quelli affrontati dal punto di vista sociale. Comunque, i valori limite erano posizionati du cifre differenti: 9895 € e 15579 € per anno paziente guarito e 43427 € e 561188 € per QALY. Utilizzando un tasso di sconto del 3% all’anno, i valori limite si muovevano leggermente attestandosi a 9495 € e 204278 € per anno paziente guarito e 44580 € e 500151 € per QALY. Discussione Principali esiti Utilizzando un modello decisionale, abbiamo stimato il rapporto costo/efficacia di 3 modelli di psicoterapia per i disturbi di personalità del cluster B su un orizzonte di 5 anni, sia dal punto di vista sociale che dal punto di vista dei fornitori di servizi. Per quanto ne sappiamo, questo è il primo studio di costo-efficacia su questo tipo di popolazione svolto secondo un modello decisionale. Le nostre ricerche dimostrano che quando i finanziamenti non superano i 12274 € per anno/paziente guarito, la psicoterapia ambulatoriale mantiene i più alti vantaggi al netto. Se i finanziamenti superano i 12274 € per paziente guarito, la scelta migliore è la psicoterapia in day hospital. E’ da osservare che la psicoterapia ospedaliera non viene considerata la scelta migliore se i finanziamenti sono inferiori a 113298 €. L’uso dei QALYs come misura di outcome permette la comparazione degli oneri tra diverse patologie, benché non esistano valori soglia riconosciuti. I nostri risultati in termini di costi per QALY possono essere interpretati in accordo con le raccomandazioni del consiglio olandese per la Sanità Pubblica (36). Per le malattie mortali (negli stadi più gravi), è raccomandato un tetto massimo di 80000 € per QALY. I disturbi del cluster B sono associati con un impairment importante nella qualità di vita (6). Il valore osservato di 0.49 (ad es. valore medio all’EQ 5D di 0.51, range 0.50 -0 .52) indica che il trattamento può costare fino a 39200 € per QALY per esser accettabile. Basandosi su questo valore soglia, la psicoterapia ambulatoriale può essere identificata come quella con il migliore rapporto costo-efficacia e perciò l’opzione migliore poiché fornisce i maggiori vantaggi al di sotto di questa soglia. La decisione di adottare una psicoterapia ambulatoriale è avvalorata anche dai tassi di sconto applicati, che potrebbe essere un risultato prevedibile poiché abbiamo utilizzato un modello che prevedeva un limite di tempo di 5 anni. I nostri risultati suggeriscono che 2 misure costo/efficacia con differenti outcome di salute mantenevano un trend simile, poiché la terapia ambulatoriale appariva come l’intervento migliore con finanziamenti più scarsi, la terapia in day hospital con finanziamenti superiori e quella di reparto con i finanziamenti più elevati. I punti di suddivisione in termini di costi per QALY erano delineati a valori più alti, perché la distinzione tra le modalità relative ai livelli di salute erano più determinate dalle guarigioni, che dai QALYs. Di conseguenza, il costo relativamente basso di una psicoterapia ambulatoriale pesa di più nel calcolo del costo per QALY del costo per anno/paziente guarito e porta più risultati della psicoterapia ambulatoriale. Precedenti studi hanno suggerito che l’EQ-5D può non essere sensibile nel riscontrare i cambiamenti nella qualità di vita dei pazienti con disturbo di personalità borderline (37, 38). Comunque, i valori di salute considerati in questo studio indicano che l’EQ-5D usato per generare i QALYs può esser reputato sensibile ai cambiamenti nei pazienti con un disturbo del cluster B. Ad esempio i partecipanti guariti mostrano livelli di salute (ad es. qualità di vita) simili a quelli della popolazione normale (non clinica) (0.85); i partecipanti che non hanno avuto una modifica nello stato di salute mantengono un valore stabile rispetto all’ingresso (0.51); quelli che sono ricaduti o hanno peggiorato il quadro hanno avuto risultati inferiori. Nonostante la sensibilità dell’EQ-5D nel determinare la qualità di vita associata con particolari livelli di salute, QALYs appaiono misure poco adeguate per determinare i livelli di cambiamento tra differenti modalità di psicoterapia. I risultati di costo efficacia per le due misure di effetto indicano che la psicoterapia ambulatoriale e di day hospital sono convenienti nella I risultati di costo efficacia per le due misure di effetto indicano che la psicoterapia ambulatoriale e di day hospital sono convenienti nella terapia dei disturbi di personalità del cluster B rispetto alla psicoterapia ospedaliera NEWSLETTER PAGINA 75 terapia dei disturbi di personalità del cluster B rispetto alla psicoterapia ospedaliera. Le nostre ricerche vanno di pari passo con le poche evidenze economiche identificate da Brazier e colleghi nella loro review che valuta il rapporto costo efficacia degli interventi psicologici per i pazienti borderline (38). Diverse implicazioni cliniche possono esser tratte dalla nostra analisi. Da un punto di vista economico, la psicoterapia ambulatoriale e di day hospital dovrebbero eseere considerate le scelte principali per i pazienti con disturbi del cluster B, sulla base delle risorse fornite dai finanziatori. E’ da notare che questa conclusione coincide con molti studi di efficacia (12). Benchè siano stati utilizzati dati paziente, questi sono stati normalizzati per rapportarli ad una popolazione generale. Pertanto c’è stata una possibilità limitata di esaminare l’eterogeneità individuale, perciò sicuramente esistono persone per cui l’intervento ospedaliero è il più adatto. Inoltre dobbiamo sottolineare che il rapporto costo-efficacia è solo uno degli aspetti che condizionano le decisioni cliniche, perciò nella pratica clinica quotidiana devono essere considerati altri fattori, trascurati nel modello, come le preferenze individuali, l’anamnesi, un insufficiente supporto sociale. Il nostro studio ha sottolineato come la psicoterapia ospedaliera possa essere un’opzione efficace ma costosa; studi futuri dovranno incentrarsi al meglio sulla combinazione paziente-trattamento adeguato. Punti di forza e limiti Il maggior punto di forza di questo studio è l’utilizzo della metodologia e dei dati paziente per valutare il rapporto costo-efficacia dell’intervento. Il modello decisionale analitico fornisce una cornice per orientarsi in condizioni di incertezza. In particolare, permette di confrontare diversi parametri e dare una previsione al di là del periodo del trial clinico. Sono state formulate delle premesse in questo modello di analisi. Per far studiare la durata del modello, il costo dei servizi sanitari dopo la dimissione è stato moltiplicato per 6.5 così da fornire una stima dei costi annuali. L’estrapolare questi costi si basa sulla premessa che un periodo di osservazione di 4 settimane del Tic-P sia rappresentativo di almeno 6 mesi. Questa premessa era già stata testata nella stessa popolazione in uno studio precedente, indicando che ad un livello di popolazione non c’erano differenze significative tra i costi ad un anno o a 4 settimane (5). Inoltre crediamo che i costi calcolati nel presente studio siano una stima ragionevole dei costi reali un modello di 6 mesi. La nostra analisi presenta molti limiti. Primo, il modello è sviluppato attraverso l’utilizzo di dati di una popolazione “in cerca di terapia”, in particolare di coloro orientati verso una psicoterapia specializzata nei disturbi del cluster B. Perciò l’applicabilità dei risultati su pazienti non alla ricerca di terapia, pazienti con implicazione giudiziarie o individui che presentano diagnosi in Asse I è limitata. Secondo, benché questi pazienti abbiano spesso problemi legali, questi costi non sono stati inclusi nell’analisi, sottostimando i reali costi per la società. Terzo, questo studio mette a confronto solo 3 modelli di psicoterapia, benché i trattamenti considerati possano differire in termini di altre caratteristiche come orientamento teorico e tecniche terapeutiche. Questa limitazione è in qualche modo meno significativa poiché alcuni studi dimostrano che l’orientamento teorico come parametro di terapia può giustificare solo differenze minori negli effetti, che se presenti (39, 40), non sono associate con i costi. Ciò non è del tutto vero per la durata come parametro di trattamento; ricerche future dovrebbero orientarsi verso un dosaggio ottimale in termini di durata del trattamento. Infine le nostre analisi si basano su trial clinici con uno studio non randomizzato. I pazienti nono sono stati randomizzati sulle condizioni trattamento, ciononostante, questo non sia un limite ma un vantaggio in termini di valutazioni economiche, perché gli studi non randomizzati possono essere maggiormente significativi nei confronti di costi ed effetti (17, 18). Inoltre, la randomizzazione tra le opzioni di trattamento esistenti non è più fattibile, perché una volta che si rendono disponibili i dati sull’efficacia clinica, i pazienti potrebbero non voler partecipar allo studio solo per ricerche sui costi. Proprio per questo motivo, lo stesso gruppo di ricerca la psicoterapia ambulatoriale e di day hospital sono trattamenti ottimali per i pazienti con un disturbo del cluster B intermini di costi per paziente guarito e costi per QALY. PAGINA 76 non è riuscito ad attuare uno studio randomizzato sulle personalità del cluster C. Per superare il problema del bias di selezione, controlliamo le differenze iniziali attraverso un metodo di propensity score (329). Implicazioni Si può dedurre dall’analisi del nostro modello che la psicoterapia ambulatoriale e di day hospital siano trattamenti ottimali per i pazienti con un disturbo del cluster B intermini di costi per paziente guarito e costi per QALY. La selezione definitiva deve dipendere su quale livello costo efficacia sia considerato accettabile e quale prospettiva venga adottata. La decisione se adottare o no una terapia è inevitabilmente presa in un contesto di incertezza, perciò esiste la possibilità di scegliere il trattamento inadatto per il paziente. Lavori futuri dovranno includere la cosiddetta “value of information analysis” che valuta fino a che punto un’informazione aggiuntiva riduce le probabilità e le conseguenze (costi) di una decisione sbagliata e paragona il miglioramento con il costo dell’informazione Bibliografia 1 Torgersen S, Kringlen E, Cramer V. The prevalence of personality disorders in a community sample. Arch Gen Psychiatry 2001; 58: 590–6. 2 Lenzenweger MF, Loranger AW, Korfine L, Neff C. Detecting personality disorders in a nonclinical population. Application of a two-stage procedure for case identification. Arch Gen Psychiatry 1997; 54: 345–51. 3 Zimmerman M, Rothschild L, Chelminski I. The prevalence of DSM–IV personality disorders in psychiatric outpatients. Am J Psychiatry 2005; 162: 1911–8. 4 Zimmerman M, Chelminski I, Young D. The frequency of personality disorders in psychiatric patients. Psychiatr Clin North Am 2008; 31: 405–20. 5 Soeteman DI, Hakkaart-van Roijen L, Verheul R, Busschbach JJV. The economic burden of personality disorders in mental health care. J Clin Psychiatry 2008; 69: 259–65. 6 Soeteman DI, Verheul R, Busschbach JJV. The burden of disease in personality disorders: diagnosis-specific quality of life. J Personal Disord 2008; 22: 259–68. 7 Bateman A, Fonagy P. Comorbid antisocial and borderline personality disorders: mentalization-based treatment. J Clin Psychol 2008; 64: 181–94. 8 Saulsman LM, Page AC. The five-factor model and personality disorder empirical literature: a meta-analytic review. Clin Psychol Rev 2004; 23: 1055–85. 9 Landelijke Stuurgroep Richtlijnontwikkeling in de GGZ. Multidisciplinary Clinical Guideline of Personality Disorders [in Dutch]. Trimbos-instituut, 2008. 10 American Psychiatric Association. Practice guideline for the treatment of patients with borderline personality disorder. Am J Psychiatry 2001; 158: 1–52. 11 National Institute for Health and Clinical Excellence. Borderline Personality Disorder: Treatment and Management. NICE, 2009. 12 Verheul R, Herbrink M. The efficacy of various modalities of psychotherapy for personality disorders: a systematic review of the evidence and clinical recommendations. Int Rev Psychiatry 2007; 19: 1–14. 13 Briggs AH, Sculpher MJ, Claxton K. Decision Modelling for Health Economic Evaluation. Oxford University Press, 2006. NEWSLETTER NEWSLETTER 14 Soeteman DI, Verheul R, Meerman AMMA, Ziegler U, Rossum BV, Delimon J, et al. Cost-effectiveness of psychotherapy for cluster C personality disorders. J Clin Psychiatry, in press. 15 Jacobson NS, Truax P. Clinical significance: a statistical approach to defining meaningful change in psychotherapy research. J Consult Clin Psychol 199159: 12–9. 16 Derogatis LR. SCL-90-R: Administration, Scoring and Procedures ManualII for the Revised Version. Clinical Psychometric Research, 1983. 17 Drummond MF, Sculpher MJ, Torrance GW, O’Brien BJ, Stoddart GL. Methods for the Economic Evaluation of Health Care Programmes (3rd edn). Oxford University Press, 2005. 18 Glick HA, Doshi JA, Sonnad SS, Polsky D. Economic Evaluation in Clinical Trials. Oxford University Press, 2007. 19 The Health Care Insurance Board (CVZ). Guidelines for Pharmacoeconomic Research [in Dutch]. CVZ, 2006. 20 De Jong CAJ, Derks FCH, Van Oel CJ, Rinne T. Structured Interview for DSM–IV Personality (SIDP–IV) (Dutch version). Stichting Verslavingszorg Oost-Brabant, 1996. 21 Pfohl B, Blum N, Zimmerman M. Structured Interview for DSM–IV Personality (SIDP–IV). American Psychiatric Press, 1995. 22 Hakkaart-van Roijen L. Manual Trimbos/iMTA Questionnaire for Costs Associated with Psychiatric Illness [in Dutch]. Institute for Medical Technology Assessment, 2002. 23 Oostenbrink JB, Bouwmans CAM, Koopmanschap MA, Rutten FFH. Manual for Cost Research: Methods and Unit-prices for Economic Evaluations in Health Care [in Dutch]. The Health Care Insurance Board (CVZ), 2004. 24 The Health Care Insurance Board (CVZ). Pharmaceutical Compass. CVZ, 2005. 25 Statistics Netherlands. Consumer price index. Statistics Netherlands, 2007 (http://statline.cbs.nl). 26 Roijen L van, Essink-Bot ML, Koopmanschap MA, Bonsel G, Rutten FFH. Labor and health status in economic evaluation of health care: the Health and Labor Questionnaire. Int J Technol Assess Health Care 1996; 12: 405–15. 27 Koopmanschap MA, Rutten FFH. A practical guide for calculating indirect costs of disease. PharmacoEconomics 1996; 10: 460–6. 28 Brooks R, Rabin R, de Charro F. The Measurement and Valuation of Health Status using EQ–5D: A European Perspective. Kluwer Academic Publishers, 2003. 29 Lamers LM, Stalmeier PFM, McDonnell J, Krabbe PFM, Busschbach JJV. Measuring the quality of life in economic evaluations: the Dutch EQ-5D tariff [in Dutch]. Ned Tijdschr Geneeskd 2005; 149: 1574–8. 30 Statistics Netherlands. Life tables. Statistics Netherlands, 2006 (http:// statline.cbs.nl). 31 Rosenbaum PR, Rubin DB. The central role of the propensity score in observational studies for causal effects. Biometrika 1983; 70: 41–55. 32 Bartak A, Spreeuwenberg MD, Andrea H, Busschbach JJV, Croon MA, Verheul R, et al. The use of propensity score methods in psychotherapy research: a practical application. Psychother Psychosom 2009; 78: 26–34. 33 Fenwick E, Claxton K, Sculpher MJ. Representing uncertainty: the role of cost-effectiveness acceptability curves. Health Econ 2001; 10: 779–87. PAGINA 77 PAGINA 78 34 Barton GR, Briggs AH, Fenwick EAL. Optimal cost-effectiveness decisions: the role of the cost-effectiveness acceptability curve (CEAC), the costeffectiveness acceptability frontier (CEAF), and the expected value of perfect information (EVPI). Value Health 2008; 11: 886–97. 35 Fenwick E, O’Brien BJ, Briggs A. Cost-effectiveness acceptability curves – facts, fallacies and frequently asked questions. Health Econ 2004; 13: 405–15. 36 Council for Public Health and Health Care. Sensible and Sustainable Care [in Dutch]. Council for Public Health and Health Care, 2006. 37 van Asselt ADI, Dirksen CD, Arntz A, Giesen-Bloo JH, van Dyck R, Spinhoven P, et al. Out-patient psychotherapy for borderline personality disorder: cost-effectiveness of schema-focused therapy v. transferencefocused psychotherapy. Br J Psychiatry 2008; 192: 450–7. 38 Brazier J, Tumur I, Holmes M, Ferriter M, Parry G, Dent-Brown K, et al. Psychological therapies including dialectical behavior therapy for borderline personality disorder: a systematic review and preliminary economic evaluation. Health Technol Assess 2006; 10: iii, ix–iii, 1–117. 39 Svartberg M, Stiles TC, Seltzer MH. Randomized, controlled trial of the effectiveness of short-term dynamic psychotherapy and cognitive therapy for cluster C personality disorders. Am J Psychiatry 2004; 161: 810–7. 40 Leichsenring F, Rabung S, Leibing E. The efficacy of short-term psychodynamic psychotherapy in specific psychiatric disorders: a meta-analysis. Arch Gen Psychiatry 2004; 61: 1208–16. NEWSLETTER NEWSLETTER PAGINA 79