Dal grano al pane PRODUZIONE DEL GRANO

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Dal grano al pane
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Dove siamo
Didattica
PRODUZIONE DEL GRANO
Tessitura
Latte e formaggio
Baco da seta
Canapa
Grano e pane
Maiale
Aratura
Il lavoro nei campi per la semina del grano
inizia, secondo la tradizione, verso la fine di
ottobre con l'aratura dei campi. L'attrezzo
usato è uno dei più antichi che si conosca:
l'aratro, e' patghèr.Al tipo interamente in
legno venne sostituito alla fine del 1800
quello con la punta in ferro.
Attorno al 1920 comparvero le prime trattrici Fiat, Landini, Orsi,
Bubbi ed altre, ma l'aratro di legno si è visto al lavoro in qualche
campo del nostro territorio anche dopo il 1950.Un tempo l'aratro
veniva trainato da diverse coppie di buoi guidati da e' zarladôr, la
persona o il ragazzo che con incitamenti prolungati incoraggiava e
stimolava i buoi al tiro. I bovini destinati al lavoro venivano appaiati
e allenati al giogo al posto di destra o di sinistra e in quella
posizione erano mantenuti sempre, prendendo il nome di Bunin il
bue di sinistra e Rò quello di destra.
Il contadino camminava nel solco appena fatto e guidava l'aratro
con le mani, alzandolo e spostandolo a seconda degli ostacoli che
incontrava. Questo lavoro faticoso, fatto del sudore dell'uomo e
delle bestie, iniziava alla mattina presto col buio e continuava fino a
sera. Ogni tanto una sosta permetteva a tutti di riposarsi.
Dal 1900 nelle grandi aziende l'aratura veniva
effettuata mediante aratri carrellati a
bilanciere tirati da funi di apparecchiature
comandate prima dai carri locomobili a vapore
poi dalla corrente elettrica.
Dopo l'aratura le zolle che si formavano
dovevano essere frantumate e il terreno
livellato.
Si usava un'apparecchiatura, e' rabi, che con i suoi denti affondati
nel terreno lo spezzettavano e lo spianavano. Era trainata dai buoi
prima che anche in questo lavoro subentrassero le macchine.
Semina
Si seminava dalla fine di ottobre ai primi di
novembre con la luna buona, nel giorno della
settimana in cui era caduto il Natale dell'anno
prima, mai di venerdì.
Il grano da semina è da sempre in continua
evoluzione perché col passare degli anni
anche le migliori qualità perdono le loro
caratteristiche e la resistenza alle malattie che
sopraggiungono.
I tipi di grano da semina di cui ci si ricorda maggiormente e che
vennero utilizzati nella prima metà del 1900 erano il Gentil rosso,
che ha fatto da capostipite per una lunga serie di altri tipi di grano
da semina, il Mentana, il Damiano e il Ciro Menotti.
Il grano si è sempre seminato a mano, a
spaglio. Il contadino teneva un sacchetto di
seme a tracolla e camminando in modo
regolare spargeva il seme con un largo gesto
del braccio. Si è in molti casi seminato a mano
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Granoturco
Le primi seminatrici comparse all'inizio del
1900 erano di produzione estera. Quelle di
produzione nazionale apparvero sul mercato
verso il 1934-35. Alla fine del 1935 nacquero
le prime seminatrici brevettate Garavini. Gli
agricoltori inizialmente utilizzavano i buoi che
avevano nella stalla per trainare queste
apparecchiature meccaniche.Poi gradualmente
si passò al traino meccanico.
Dopo la semina i semi di grano venivano ricoperti livellando la terra
con un'attrezzatura detta "la cadéna", la catena.
Mietitura
La raccolta del grano veniva effettuata verso
la fine di giugno. Da tempi remotissimi il
grano è stato raccolto a mano con la falce
messoria che ha mantenuto nei millenni la
stessa forma. Con una mano si teneva il
mannello, la manê, di steli di grano e con la
falce lo si tagliava a circa 20 centimetri da
terra e si stendeva a terra per qualche giorno
per l'essicazione.
I mannelli si riunivano in covoni, i cuv,
legandoli assieme con steli, bêlz, di strame o
di canapa o di carice e venivano quindi caricati
sui carri e portati sull'aia dove, in attesa della
trebbiatura, i barcarùl costruivano il barco, e'
bêrch. Era un lavoro delicato e occorrevano
persone qualificate perché il barco non doveva
piegarsi sotto l'impeto del vento ne' doveva
lasciar filtrare acqua in caso di pioggia.
In cima al barco si piantava una croce o di legno o composta di
spighe a protezione dalla pioggia e dal fuoco.
Verso il 1920 si sono cominciati ad utilizzare
rudimentali attrezzature per la mietitura.
Verso il 1933 appaiono sul mercato le
mietilega di fabbricazione tedesca e quelle
italiane di marca Laverda.
Trebbiatura
La trebbiatura consiste nella separazione dei
chicci di grano dalla paglia e dalle glume, la
pula, e nel passato è stata eseguita in vari
modi:
Ø con il correggiato, la zércia;
Ø col calpestio degli animali;
Ø con lo sfregamento di una pietra, e'
targion, o pré da bàtar;
Ø con la macchina a vapore;
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La trebbiatura con il correggiato è il modo più antico e più semplice
che si conosca. L'operazione consisteva nella battitura, la batdùra,
del grano per mezzo di un attrezzo, la zércia, composto da due
bastoni di lunghezza diversa uniti insieme da una cinghia di cuoio.
La parte lunga costituiva il manico della zércia, quello corto serviva
per percuotere il grano
disteso sull'aia. Di tanto in tanto si rivoltava il grano col forcale fino
a quando il cereale era uscito dalla spiga.
L'aia veniva resa liscia e piana con l'impiego di sterco di mucca, la
buàza, un metodo economico ma che avrebbe potuto provocare la
diffusione di alcune pericolose malattie.
La paglia rimasta, mescolata al fieno, veniva
data da mangiare ai bovini oppure serviva da
lettiera per le bestie nella stalla.
La trebbiatura col calpestio consisteva nel far
camminare in circolo degli animali, in
particolare bovini, sopra il grano disteso
sull'aia. Il contadino rivoltava il grano col
forcale dopo il passaggio degli animali.
La trebbiatura con la pietra, la pré de gran o la pré da bàtar,
consisteva nello sfregamento di una pietra trainata dai buoi sul
grano disteso sull'aia. Il lato della pietra a contatto col grano era
provvisto di scanalature per la fuoriuscita dei chicchi di grano dalle
spighe.
Dopo aver trebbiato il grano con ciascuno di
questi metodi era necessario separare il chicco
dalla paglia e dalla pula. Occorreva una
giornata ventosa, si stendeva in terra un telo,
con una pala si raccoglieva il grano battuto e
si portava la pala all'altezza della spalla.
Se ne lasciva cadere contro vento una piccola quantità alla volta: il
vento portava via la pula e il chicco cadeva sul telo, poi veniva
raccolto e insaccato in attesa di essere vagliato nel tardo autunno
da uno specializzato, e' valarén.
Trebbiatura con la macchina a vapore, la
machina da bàtar.
Le trebbiatrici, la cui costruzione risale alla
seconda metà del 1800, erano azionate da
locomobili a vapore, le caldaie, mediante
cinghie molto lunghe e robuste che
collegavano le pulegge delle due macchine.
Normalmente queste macchine erano possedute dai proprietari
terrieri che le cedevano in affitto ai mezzadri.
Per svolgere il lavoro alla macchina da battere servivano numerose
persone. Alcune prelevavano i covoni dal barco e li lanciavano alla
persona che con un coltello tagliava e' bèlz slegando i covoni e
consegnandoli ad un altro operaio, imbucadór o pajarén, che li
infilava nell'imboccatura della macchina spingendoli verso i battitori.
Altri lavoratori, i pajarùl, raccoglievano in mezzo ad un'incredibile
polvere la paglia con la quale altri operai ancora avrebbero
innalzato i pagliai. Mentre alcune donne con un'asse e una corda, e'
rabiél, trascinavano via la pùla.
Il grano trebbiato usciva pulito dalla macchina e con lo staio, e'
stêr, veniva diviso a metà col padrone. Dopo qualche giorno di
essiccazione, una parte di grano veniva conservata come riserva
alimentare per tutto l'anno e l'altra veniva venduta al mulino della
zona.
Oggi questo lavoro lo compie la macchina con un solo operatore che
rimane in cabina con l'aria condizionata e compie tutte le
operazione con il computer di bordo.
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PRODUZIONE DEL PANE
Dal tempo degli Egizi fino ai giorni nostri il
pane è stato l'alimento principale dell'uomo e
il simbolo della lotta alla fame.
Il pane non si ottiene solo dalla farina di
grano. Nelle nostre case contadine, nei periodi
difficili, si è fatto uso abbondante di farina di
granoturco
Per produrre il pane si utilizzano farine di grani teneri, per la pasta
si usano invece farine di grani duri.
Macinazione del grano
Raramente il grano si macinava nelle case
contadine. Quelle piccole macine azionate a
mano che sono state trovate servivano per lo
più per macinare il granoturco per gli animali.
La macinazione avveniva di solito presso i
mulini che erano sparsi su tutto il territorio,
soprattutto lungo fiumi e canali al tempo dei
mulini ad acqua.
Anche a San Pancrazio molto tempo fa pare che ci fosse un mulino
ad acqua, come testimoniato sia dall'esistenza di una vecchia via
Molinaccio, sia dai pali di legno, presumibilmente di una diga,
estratti circa 80 anni fa dal letto del fiume Montone.
Quando una famiglia era composta da tante persone si andava al
mulino con cinque o sei quintali di grano; le famiglie meno
numerose macinavano un quintale alla volta altrimenti la farina
invecchiava. Si tornava dal mulino con la farina nei sacchi di tela di
canapa bianca fatta al telaio.
Una volta alla settimana, la sera prima di fare
il pane le donne setacciavano la farina sul
tagliere, e' tulir. Nel setaccio con la tela più
grossolana restava la crusca, e' rèmul; nel
secondo setaccio restava il cruschello, la
rimulèta. Sul tagliere restava e' fiôr, la parte
più nobile della farina che serviva per fare
pane e pasta.
La donna di casa, l'azdôra, metteva e' fiôr in una conca di legno a
forma rettangolare chiamata matréna. Poi prendeva il lievito,
l'alvadùr, conservato dalla settimana prima, lo ammorbidiva con un
po' di acqua tiepida e lo metteva nella matréna in mezzo alla
farina; disegnava con un dito una croce e lasciava lievitare l'impasto
per tutta la notte.
Dopo la guerra d'Africa, a San Pancrazio la famiglia Minardi trasferì
la sede del mulino e sostituì il vecchio mulino a macina con il mulino
a cilindri. Con questo nuovo sistema non era più necessario
setacciare la farina e anche l'uso del buratto andò diminuendo.
Il buratto
Nel 1911 un falegname di San Pancrazio di nome Aldo Fabbri, detto
Ducio, inventò il buratto, e' buràt. Lo brevettò, ricevette un
diploma e una medaglia d'oro, ne vendette tantissimi per tutta la
Romagna fino alla sua morte nel 1941.
Si trattava di una attrezzatura a forma di mobiletto che conteneva
all'interno un cilindro esagonale, posto in leggera pendenza,
rivestito per tre quarti da un velo di seta e per un quarto da rete
metallica molto fine. Il cilindro era azionato da una leva il cui
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manico era esterno al
mobiletto. Si inseriva la farina dall'alto nell'apposita buca e si
ruotava la manovella: prima usciva il fiore, poi il cruschello e infine
la crusca che andava a cadere direttamente in un bigoncio posto
accanto al buratto.
Il profumo del pane
Il giorno in cui si faceva il pane tutti si
alzavano la mattina presto: era venuto il
momento in cui tanta fatica veniva premiata
dal profumo del pane fresco.
L'azdôra prelevava l'impasto, e' spasël, dalla
matréna e lo lavorava un po' a mano. Poi
passava alla gramola, la grâma,
un'attrezzatura che di solito era azionata da
un uomo dato il grande sforzo fisico che
richiedeva l'operazione.
La donna rivoltava più e più volte e' spasël sotto l'asta della gramola
fino a quando l'impasto risultava compatto e omogeneo. Lo lasciava
lievitare ancora un paio di ore. Dopo di che lo tagliava in tanti
pezzetti e con le mani li sagomava nelle diverse forme in uso nel
nostro territorio: la tîra, e' mirunzin, e' mirôn la pagnòca, e'
ciupèt ed altre.
Una quantità di impasto della dimensione di
un pugno veniva conservata in una tazza
coperta da un tovagliolo. Essa fungeva da
lievito per la produzione del pane della
settimana seguente.
Quando il pane era completamente lievitato
veniva messo nel forno alla giusta
temperatura con una pala detta la panéra.
La bocca del forno veniva chiusa con la botola, la böta, e si
aspettava che il pane cuocesse. Una volta estratto dal forno lo si
poneva dentro ad una credenza, un tracantôn, una madia, màtra,
oppure lo si lasciava sull'asse del pane coperto da un telo. La
quantità prodotta doveva bastare almeno per una settimana.
A San Pancrazio tutti i contadini avevano il forno abbinato alla casa
colonica e cuocevano il pane in casa; gli altri, braccianti e artigiani,
lo preparavano in casa e lo cuocevano al forno.
SINTESI DI CULTURA POPOLARE DEL '700
Semina
Non si seminava prima del 9 Ottobre, giorno di San Donnino, che
invece era propizio per la semina della fava:
"Chi semna par San Dunen, e' semna un stêr e e' coi un
mzen".
Chi semina per San Donnino semina uno staio (di grano) e ne
raccoglie la metà.
Per la semina del grano era propizio il giorno di San Gallo, il 16
ottobre:
"Par San Gal: u s'semna nench al val"
Per San Gallo si semina persino nelle valli.
"Par San Gal: s'us'in somna un stêr u s'in coi un car"
Per San Gallo: se ne semina uno staio se ne raccoglie un carro.
In alcune località si serbava una manciata di grano che veniva
seminato la vigilia di Natale. Il pane prodotto con questo grano era
ritenuto carico di un potere magico-rituale.
Presagi e difesa del raccolto
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L'incontro con una persona calva mentre si andava a seminare era
ritenuto di cattivo auspicio perché anche i campi sarebbero stati
"calvi".
Agli angoli del campo seminato a grano era consuetudine fare dei
buchi e versarvi acqua santa e porre dei rametti di olivo benedetto.
Ciò per difendere i campi dalle intemperie, dai parassiti e dai
malefici.
3 Maggio, Santa Croce. Nei campi di grano si piantavano croci fatte
di canne ornate da ramoscelli di olivo benedetto. Era una protezione
dalla grandine.
Se durante un temporale appariva l'arcobaleno e il colore giallo
predominava, il raccolto sarebbe stato abbondante.
Nelle settimane prima della mietitura se i polli andavano nel pollaio
presto la sera si temeva un raccolto scarso.
Se sopra il grano quasi maturo si vedevano molte lucciole si
prevedeva un buon raccolto.
Se le noci crescevano a castlèt (a gruppi di tre), si temeva un
raccolto scarso.
Contro le intemperie si esponevano fuori casa sotto la grondaia gli
avanzi della combustione de zòc d'Nadêl, il ceppo di Natale, che
veniva conservato a questo scopo.
Mietitura e trebbiatura
Prima della mietitura si dice che i contadini facessero prendere al
grano la famosa guazza della notte di San Giovanni Battista, il 24
Giugno, Altre fonti affermano che si iniziava a mietere prima.
Durante la mietitura i contadini si legavano al polso sinistro un
gambo di spiga di grano per essere alla sera meno stanchi e avere il
braccio meno gonfio.
Verso mezzogiorno i mietitori lanciavano dai campi lunghe e potenti
urla. Oltre ad essere il segnale dell'ora di pranzo, era un rito
difensivo contro il demone meridiano che si pensava anticamente
insidiasse chi si trovava nei campi a quell'ora.
I covoni sull'aia venivano battuti con un bastone allo scopo di far
fuggire le bisce eventualmente nascoste dentro. Secondo un antico
rito pagano, invece, la battitura dei covoni rappresentava
l'allontanamento di spiriti maligni.
Nel giorno della battitura si uccideva il gallo più vecchio del pollaio
per rispettare un antico rito sacro.
Un fascio di spighe raccolte il giorno di San Giovanni Battista e
legate con un nastro rosso veniva appeso alla porta di casa o della
stalla a scopo propiziatorio.
Il pane
Era l'alimento principale, simbolo della vita.
Veniva dato alle due persone che andavano ad invitare ai funerali;
anticamente lo si dava a coloro che partecipavano ai cortei funebri;
nella ricorrenza dei defunti venivano lasciati dei pani sulle finestre
delle case.
Il 17 Gennaio, giorno di Sant'Antonio Abate, veniva distribuito un
panino benedetto da dare agli animali.
Il pane non andava posato riverso sul tavolo perché rappresenta il
corpo di Cristo;
Non andava ferito col coltello ma spezzato con le mani come fece il
Signore con l'Eucarestia;
Non se ne doveva sprecare neppure una briciola. Chi le sciupa o le
disperde è condannato dopo la morte a raccoglierle e a riporle in un
cesto senza fondo.
Il pane è un dono del Signore e non si porta alla bocca con la mano
sinistra, la mano del Demonio, ma con la destra, la mano
dell'Angelo.
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Il pezzo di pane che cade e si sporca non si buttava ma si bruciava
dopo aver segnato su di esso una croce e averlo baciato con
riverenza.
Non si doveva rimanere mai senza un po' di pane in casa per non
perdere i benefici di questo talismano.
Non si deve spazzare la casa mentre il pane lievita: si spazza via la
provvidenza;
Non si fa il pane il venerdì perché è presagio di disgrazie alle bestie
bovine; si può anche recare danno alle streghe e ciò compromette il
buon andamento della vita familiare;
Se poi si fa il pane il venerdì per tre volte in un anno succederà una
grande disgrazia;
Il giorno in cui si faceva il pane non si faceva la pasta perché lo
sfoggio del troppo mangiare pregiudicava l'arricchimento della
famiglia e il pane non si sarebbe conservato a lungo.
Non si faceva il pane subito dopo che il maiale era stato ucciso e le
carni fresche erano appese alle travi ad asciugare.
Non si rifiutava il pane a chi lo chiedeva in elemosina, ne' si
ringraziava nel riceverlo perché è simbolo di vita, dono divino,
diritto di tutti.
Il forno
Era un luogo magico della casa come il focolare perché avveniva il
passaggio dal crudo al cotto, dal non commestibile al commestibile e
era un vero miracolo della natura.
La croce simbolo di fede, propiziatorio e di difesa dalle avversità del
maligno, era incisa spesso sopra il forno, era incisa con la mano o
con un dito sui panetti di lievito, sull'impasto in lievitazione e sui
pani da cuocere. Il segno della croce veniva tracciato ancora con la
mano davanti alla bocca del forno dopo aver infornato il pane per la
cottura.
Il bambino affetto da distrofia muscolare, e' mêl de scimiòt, veniva
curato inserendolo tre volte nel forno tiepido recitando formule o
preghiere particolari. Anche i riti propiziatori per le donne che
desideravano dei figli avvenivano davanti alla bocca del forno,
poiché essa simboleggiava l'utero materno.
Detti e proverbi popolari
Rispëta e' pân, frut de' sudór,
Rispetta il pane, frutto del sudore,
côrp de' Signór
corpo del Signore
Ins e' pân nö spudê
Sul pane non sputare
Ch'l'è la fadiga e la faza d'tu mê
perché è la fatica e la faccia di tua madre
E' pân nö tirê vi,
Il pane non gettare via,
se t'an t'vu tirê adös la carastì
se non vuoi tirarti addosso la carestia
Nö dê un chélz a un tröcal d'pân,
Non dare un calcio ad un tozzo di pane,
t'pu avén bsogn da incù a dmân
puoi averne bisogno dall'oggi al domani
L'udór de pân de' fóran
L'odore di pane di forno
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U s'sent un mei d'atóran
si sente per un miglio attorno
U n's' câmpa sol d' pân,
Non si vive di solo pane,
U j avreb nench la brasula
ci vorrebbe anche la braciola
Lavóra cuntadén, lavóra fôrt
Lavora contadino, lavora forte
Quând t'vé a spartì e' grân l'è pôc
quando vai a spartire il grano è poco
Lavóra cuntadén a la sicura
lavora contadino ……..
A e' patrón e' grân, a tê la pùla
al padrone il grano a te la pula
LA VITA DEI BRACCIANTI DEL NOSTRO TERRITORIO
La terra era suddivisa tra un paio di grandi proprietari, i
Chiaramonti e i Duranti, e diversi medi e piccoli proprietari. La
grande proprietà era suddivisa in decine di poderi concessi in
mezzadria a decine di famiglie contadine.
Le famiglie contadine erano in genere numerose e cercavano di
svolgere tutto il lavoro dei campi da sole o si aiutavano le une con
le altre il più possibile.
Per la zappatura dei terreni, la sarchiatura, la mietitura del grano e
la vendemmia i contadini che da soli non ce la facevano ricorrevano
alla manodopera fornita dai braccianti. Il bracciante andava in
piazza a Russi e si vendeva al contadino che aveva bisogno. Se
quest'ultimo era soddisfatto lo teneva, altrimenti tornava in piazza a
Russi e lo sostituiva.
Il collocamento dei braccianti al lavoro, e' tùran, funzionava da
prima della seconda guerra mondiale in particolar modo per formare
le squadre per andare alla macchina, cioè al seguito della
trebbiatrice, la machina da bàtar.
Nel nostro territorio la mietitura si è fatta a mano fino a quando la
locale cooperativa dei braccianti nel 1952 acquistò la prima
mietilega. Prima esistevano delle rudimentali falciatrici meccaniche
che comunque faceva risparmiare tempo e fatica.
I lavori per i quali si impiegavano i braccianti erano: falciare il
grano, rivoltarlo tutto se per caso si bagnava con la pioggia,
raccogliere e portare i mannelli sopra il balzo, e' bêlz, legare i
covoni con i balzi di pavìra che ti mangiavano le mani e a sera ti
sanguinavano.
Ma il lavoro più consistente arrivava con la trebbiatura, quando si
andava alla macchina. Le prime trebbiatrici che lavoravano in conto
terzi, come per esempio quelle dei Bartoletti di Forlì, erano presenti
sul nostro territorio fra il 1880 e il 1890. Si pensa che in quegli anni
a San Pancrazio i Conti Boschi Gucci, proprietari dei maceri,
avessero anch'essi una trebbiatrice utilizzata in conto terzi.
Nella nostra zona, al tempo della mietitura, i contadini davano da
mangiare tre volte ai braccianti. Alle sei il bracciante iniziava a
mietere, alle sette arrivana una delle donne di casa con un paniere
e portava un po' di formaggio secco, dello scalogno e del vino
schietto. Alle otto, otto e mezzo tornava l'azdôra e portava la
colazione: uova fritte, pollo, ancora del formaggio, un po' di
affettato e sempre dello scalogno. A mezzogiorno si mangiava
assieme alla famiglia contadina. I braccianti venivano pagati dal
contadino che sentiva suo dovere ospitare i braccianti a pranzo.
Quasi sempre servivano minestra in brodo. Di sera, quando si
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smetteva di lavorare alle cinque, cinque e mezzo, si cenava di
nuovo assieme al contadino. Poi il contadino tornava a lavorare nel
campo e il bracciante tornava a casa.
Al tempo della battitura, invece, le spese della squadra e della
macchina erano divise a metà fra contadino e padrone, poiché il
contadino non era tenuto a darti ne' da mangiare ne' da bere.
Pertanto il bracciante doveva arrangiarsi e spesso qualcuno da casa
sua gli portava da mangiare a mezzogiorno. Ogni squadra, inoltre,
aveva il proprio incaricato di portarsi il barilotto dell'acqua sul
carretto trainato dall'asino.
Quando arrivarono le prime trebbiatrici i contadini battevano da
soli, si aiutavano uno con l'altro facendo il lavoro dei braccianti. A
mezzogiorno si fermavano a mangiare tutti assieme.Con il Fascismo
la trebbiatura era un lavoro riservato ai braccianti.
La paga una volta era in natura: una certa quantità di grano al
proprietario della macchina e un'altra alla squadra dei braccianti.
I proprietari che avevano troppa terra la davano da lavorare ai
braccianti al terzo: un terzo del raccolto al bracciante e due terzi al
padrone. Nonostante a San Pancrazio i braccianti fossero tanti,
nonostante la terra fosse poca, tutti riuscivano a portare a casa il
grano per fare il pane per la famiglia. Braccianti, donne e bambini
andavano anche a spigolare nei campi dove si era mietuto per
racimolare qualche spiga di grano per garantirsi il pane anche per
l'inverno.
Ricerca curata dall'Associazione culturale La Grama
via della Resistenza, 12
48026 San Pancrazio - RA
Tel. 0544 535033
Fotografie realizzate da Carlo Guberti
e dal Gruppo Audiovideo Pro Loco Russi
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