memorie di una geisha
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MEMORIE DI UNA GEISHA scheda tecnica titolo originale: MEMOIRS OF A GEISHA durata: 140 minuti nazionalità: usa anno: 2005 regia: ROB MARSHALL soggetto: tratto dal best-seller omonimo di ARTHUR GOLDEN sceneggiatura: ROBIN SWICORD produzione: COLUMBIA PICTURES, STEVEN SPILBERG PER DREAMWORKS SKG, DOUGLAS WICK & LUCY FISHER PER RED WAGON PRODUCTIONS, SPYGLASS ENTERTAINMENT, AMBLIN ENTERTAINMENT distribuzione: EAGLE PICTURES fotografia: DION BEEBE montaggio: PIETRO SCALIA scenografia: JOHN MYHRE costumi: COLLEEN ATWOOD effetti: SCOTT FISHER, ROBERT STROMBERG musiche: JOHN WILLIAMS interpreti: ZHANG ZIYI (Sayuri Nitta), GONG LI (Hatsumomo), MICHELLE YEOH (Mameha), KEN WATANABE (Il Presidente), TSAI CHIN (Zietta), TOGO IGAWA (Tanaka), YOUKI KUDOH (Zucca), CARY-HIROYUKI TAGAWA (Il Barone), KENNETH TSANG (Generale), KOJI YAKUSHO (Nobu), KARL YUNE (Koichi), KAORI MOMOI (Madre), SUZUKA OHGO (Chiyo), ZOE WEIZENBAUM (Zucca Da Piccola), THOMAS IKEDA (Sig. Bekku), MINAE NOJI (Maiko), NAVIA NGUYEN (Geisha) i protagonisti Rob Marshall Nasce a Madison, in Winsconsin (USA) il 17 ottobre 1960. Regista. Laureato alla Carnegie Mellon University nel 1982. Noto ballerino, coreografo e regista di Broadway, più volte candidato al Tony Award e al Laurence Olivier Award, ha curato, tra le altre, le coreografie di "Il bacio della donna ragno" e "The Petrified Prince" diretti da Hal Prince, l'adattamento teatrale di "Victor Victoria" di Blake Edwards con Julie Andrews, ed i revivals di "A Funny Thing Happened on the Way to the Forum" e di "Company". Il revival del musical "Cabaret" ha segnato il suo debutto nella regia teatrale, cui ha fatto seguito "Promises Promises" per il City Centers Encores. Dopo aver curato le coreografie delle produzioni Tv "Mrs. Santa Claus" (1996) e "Cinderella" (1997), ha diretto, sempre per la televisione, il film "Annie" (1999, prodotto dalla Disney) che gli è valso la candidatura a numerosi premi e un Emmy per la miglior coreografia. Nel 2002 ha debuttato nella regia cinematografica con il musical "Chicago", già diretto sui palcoscenici di Los Angeles, premiato nel 2003 come miglior film all'Oscar e al Golden Globe nella categoria musical/commedia. [email protected] 1 Filmografia 2002 CHICAGO 2005 MEMORIE DI UNA GEISHA Zhang Ziyi Filmografia 1999 LA STRADA VERSO CASA 2002 HERO 2000 LA TIGRE E IL DRAGONE 2003 PURPLE BUTTERFLY 2001 COLPO GROSSO AL DRAGO ROSSO - RUSH HOUR 2 THE LEGEND OF ZU 2004 2046 LA FORESTA DEI PUGNALI VOLANTI OPERETTA TANUKIGOTEN 2005 MEMORIE DI UNA GEISHA Gong Li Nasce a Shenyang (Cina) il 31 dicembre 1965. Attrice. Il padre è un professore di economia. Sin da bambina adora la musica e sogna una carriera da cantante ma dopo l'insuccesso nell'esame di ammissione alla migliore scuola di musica cinese decide di iscriversi alla Accademia di Arte Drammatica di Pechino, diplomandosi nel 1989. Mentre è ancora una studentessa prende parte a "Sorgo Rosso", primo lavoro di Zhang Yimou ed è l'inizio di una fruttuosa collaborazione fra il regista e l'attrice, uniti anche nella vita privata. Il film ottiene grande successo di pubblico e critica, sia in patria che all'estero e vince l'Orso d'Oro alla Berlinale 1987. Nel 1995 termina l'unione sentimentale fra Yimou e Gong Li e l'attrice sposa l'imprenditore miliardario di Singapore Ooi Hoe Soeng. Lavora nuovamente con Yimou nel 1996 in "Le tentazioni della luna" e nel 1999 in "L'imperatore e l'assassino". Nel 1997 è la protagonista femminile di "Chinese Box" di Wayne Wang, al fianco di Jeremy Irons e recita per la prima volta in inglese. Filmografia 1987 SORGO ROSSO 1990 JU DOU 1991 LANTERNE ROSSE 1992 LA STORIA DI QIU JU 1993 ADDIO MIA CONCUBINA 1994 VIVERE! 1995 SHANGHAI TRIAD - LA TRIADE DI SHANGHAI [email protected] 2 1996 LE TENTAZIONI DELLA LUNA 1997 CHINESE BOX 1999 L'IMPERATORE E L'ASSASSINO PLUS FORT QUE LE SILENCE 2004 2046 EROS 2005 MEMORIE DI UNA GEISHA 2006 MIAMI VICE YOUNG HANNIBAL: BEHIND THE MASK 2007 BELIEVE IT OR NOT! Michelle Yeoh Nasce a Ipoh, Perak (Malesia) il 6 agosto 1963. Attrice. I genitori sono di origine cinese. A quattro anni inizia a studiare danza e dopo aver visto il film "Saranno famosi" (1980) decide di andare a Londra per diplomarsi alla "Royal Academy of Dance". A causa di un infortunio è costretta a rinunciare alla carriera di ballerina, così torna a casa e nel 1983 vince il titolo di Miss Malesia. Chiamata a girare uno spot con Jackie Chan, si mette in evidenza e da quel momento entra far parte della squadra di attori della casa di produzione D&B Film. Cambia il suo nome in Michelle Khan e dopo aver interpretato vari ruoli minori, nel 1985 ottiene il primo ruolo importante con il film "Madam" accanto alla regina dei film di kung-fu al femminile Cynthia Rothrock. Diventa così una delle più importanti e meglio pagate attrici del genere, famosa anche perché gira in prima persona le scene più pericolose senza ricorrere alla controfigura, abitudine che le ha procurato nel corso della carriera numerose fratture e lussazioni. Nel 1996 ottiene grande successo negli Stati Uniti con "Supercop" (1992) accanto a Jackie Chan (che alla fine delle riprese ha dovuto ricredersi dopo un iniziale scetticismo nei riguardi dell'attrice ), cambia il suo nome d'arte nell'attuale Michelle Yeoh e l'anno seguente viene scelta come Bond girl accanto a Pierce Brosnan per "007 - Il domani non muore mai". Nel 2000 arriva la fama internazionale con l'acclamato "La tigre e il dragone" di Ang Lee, vincitore di quattro premi Oscar (miglior film straniero, miglior fotografia, miglior colonna sonora e miglior scenografia). Campionessa di squash, tuffi, nuoto e arti marziali (da lei sono andate a scuola le Charlie's Angels Cameron Diaz, Lucy Liu e Drew Barrymore) durante la sua ventennale carriera cinematografica si è presa solo una piccola pausa lontano dai set dopo il matrimonio con Dickson Poon (uno dei proprietari della D&B Films) terminato con il divorzio nel 1992. Filmografia 1997 007 - IL DOMANI NON MUORE MAI 1985 BAMBOLE E BOTTE 1986 CACCIA SPIETATA 2000 LA TIGRE E IL DRAGONE 2005 MEMORIE DI UNA GEISHA 2004 SILVER HAWK 1992 SUPERCOP [email protected] 3 la parola ai protagonisti Rob Marshall Le attrici non sono giapponesi, i quartieri delle geishe sono stati ricostruiti negli studios californiani. I giapponesi hanno storto il naso e sollevato qualche dubbio sull'autenticità del film Il film, come il romanzo, racconta il Giappone dagli occhi di un occidentale, si tratta di un film impressionista. Io ho una filosofia molto semplice per la scelta degli attori, il migliore per quel ruolo ha la parte. Abbiamo girato il mondo, Cina, Giappone, Stati Uniti, Europa e la migliore per il ruolo di Sayuri è risultata Ziyi Zhang. D'altronde anche Anthony Queen ha fatto Zorba il greco e l'egiziano Omar Sharif il Dottor Divago. Quando ho scritturato per 'Chicago' Queen Latifah tutti mi contestavano che un'afroamericana negli anni Venti non sarebbe mai stata a capo di una prigione, ma per me era la migliore per quel ruolo. Come si traduce la sensibilità orientale in occidente? Noi abbiamo usato come punto di partenza il libro di Arthur Golden che è lo sguardo di un occidentale sull'oriente, è l'occhio occidentale dello scrittore che filtra l'oriente e questo ci ha aiutato molto, però abbiamo studiato attentamente la cultura giapponese dagli anni 20 ai 40 andando sul posto e servendoci di molti esperti sull'argomento. Che difficoltà avete avuto nel trasporre il libro? Che cosa avete voluto sottolineare e cosa eliminare? E’ sempre difficile fare la trasposizione cinematografica di un libro, soprattutto quando è molto lungo (circa 400 pagine) e quando è tanto amato in tutto il mondo come questo. La prima cosa che ho fatto quando ho avuto l'incarico di girare questo film è stata discutere con Golden per trovare l'ossatura della storia, l'emozione che voleva trasmettere, ciò che voleva esprimere. Golden ha riscritto tre volte "Memorie di una geisha" prima di farlo pubblicare e solo la terza volta ha usato la prima persona nel racconto, proprio per sottolineare la figura della protagonista e le sue emozioni. Nel suo libro come nel film, si parla della vita di una donna che è stata privata della possibilità di scelta sul suo futuro, della libertà, racconta il percorso emotivo della protagonista e mostra anche come le geishe in generale affrontavano una vita di rinunce. La figura della geisha è sempre stata molto affascinante, che tipo di donne erano? Com'è questa figura oggi? Il mondo delle geishe una volta era gestito e organizzato esclusivamente da donne. Le geishe erano come le top model di oggi: delle vere e proprie star ammirate e invidiate, protagoniste dei pettegolezzi delle donne comuni. Oggi è molto diverso, una donna è libera di scegliere la sua professione, seppure decide di fare la geisha può sposarsi e amare chi vuole, può smettere di fare la geisha in qualsiasi momento, cosa che invece non era consentito prima, infatti Sayuri lotta per poter essere libera di scegliere e di amare e, animata dal suo carattere molto forte, con ostinazione riuscirà a perseguire i propri desideri. Abbiamo parlato con delle geishe anziane e con noi sul set c'era sempre un'esperta che ci ha aiutato a ricreare questo mondo esclusivamente femminile. Il nostro è un film "hollywoodiano" che paga un tributo a quei giorni gloriosi, è una lettera d'amore a quel mondo. I giapponesi, che lo hanno visto nella più grande anteprima mai organizzata in Giappone con 3000 spettatori, lo hanno capito. Come è andata con un cast così multietnico? Eravamo pieni di traduttori sul set, dal cinese e giapponese. Alcuni attori in realtà comunicavano solo durante le scene e in inglese, per fortuna abbiamo fatto molte prove e [email protected] 4 abbiamo discusso molto così alla fine il risultato comunicativo è stato ottimo. I giapponesi amano molto conversare e negoziare, anche se la risposta è sì o no loro ci arrivano dopo lunghe discussioni. Quale è stata la scena più difficile da girare? Da un punto di vista emotivo lo sono state quelle del Giappone del dopo guerra, prima abbiamo filmato il periodo d'oro delle geishe in cui tutto era bello e splendente e poi abbiamo dovuto mostrare gli stessi luoghi distrutti dalla guerra, è stato molto triste. Da un punto di vista tecnico è stato difficile girare la scena in cui nell'acqua del fiume si vede la scia di sangue che poi si rivela essere la stoffa del kimono: è stata davvero molto complessa! . Come vi siete trovati a girare in Giappone? Molto bene, sul set c'era un 'atmosfera stranissima, quando spiegavo qualche scena agli attori c'erano diversi interpreti che traducevano in cinese e in giapponese. Gli attori non potevano comunicare tra loro, praticamente accadeva soltanto quando recitavano in inglese, la cosa meravigliosa era che comunque riuscivamo lo stesso a discutere le parti e le decisioni da prendere. Come ha reagito il pubblico giapponese a questo film? La prima mondiale di "Memorie di una geisha" è stata proprio il 28 novembre in Giappone, il pubblico e la critica hanno risposto molto positivamente capendo che il nostro era un omaggio appassionato alla loro cultura. Ma è sicuro di questo? Sono giunte voci dal Giappone di una certa perplessità sulla scelta di attrici cinesi per interpretare ruoli di donne giapponesi, come mai questa scelta? Posso assicurare che la reazione giapponese non è stata negativa, hanno capito che il nostro film è il punto di vista di un occidentale non un documentario sulla vita delle geishe, un omaggio appassionato. Io come regista seguo sempre una filosofia: scegliere l'attore migliore per la parte. L'attrice che doveva interpretare il ruolo di Sayuri doveva essere ovviamente una brava attrice ma anche una brava danzatrice, doveva essere molto bella e riuscire a incarnare una star con naturalezza e Ziyi faceva tutto questo in maniera meravigliosa. Questa mia filosofia penso sia stata condivisa da molti nella storia del cinema altrimenti non sarebbe stato scelto Omar Sharif per interpretare "Il dottor Zivago" o Anthony Quinn per "Zorba il greco"!! Appena uscito il libro, Spielberg ne comprò i diritti per girare la trasposizione cinematografica, poi a causa dei tanti impegni gli è subentrato lei, che rapporto c'è stato tra lei e Spielberg? Spielberg è una persona molto intelligente e sa bene che ogni regista deve seguire il suo percorso nella realizzazione di un film, lui aveva già cominciato a lavorare sulla sceneggiatura, ma quando sono subentrato io non mi ha dato il suo materiale, mi ha lasciato ricominciare il lavoro da capo. La cosa bella di avere un produttore-regista è che capisce appieno le tue esigenze e Steven mi ha sempre sostenuto e incoraggiato, mi ha dimostrato spesso di essere orgoglioso del lavoro che stavo facendo! Quali sono i suoi progetti per il futuro? Mi piacerebbe dire che direzione prenderò ma ancora non lo so. Capita che quando dai tutto te stesso ad un progetto per oltre due anni e lo porti a termine ti rimane un vuoto da ricolmare con un po' di vacanza… per adesso credo che mi riposerò un po' e poi chissà…. [email protected] 5 recensioni Irene Bignardi - Il Venerdì di Repubblica, 9 dicembre 2005 Come capita sempre quando un libro è stato un grande successo, molto amato e molto fortunato e molto miliardario (il che, nel nostro caso, vuol dire che oltre quattro milioni di lettori si sono precipitati a comprarlo, che ci sono state traduzioni in ventisei lingue, che legioni di appassionati hanno delle aspettative ben coltivate e che la storia è stata immaginata e fantasticata in molti modi diversi), anche Memorie di una geisha, che arriva il 16 dicembre in forma di film, susciterà le necessarie perplessità. La prima coincide con un problema che era stato sollevato anche per il libro: Il punto di vista occidentale. Come Arthur Golden, l’autore del fortunato e appassionato bestseller pubblicato nel 1997 (edito in Italia da Tea e ora ripubblicato da Longanesi), anche il regista che ha preso il posto di Steven Spielberg — il quale, all’uscita del libro, si era precipitato ad annunciare la sua intenzione di trarne un film, e che in effetti, del film in questione, è ora il produttore — anche il regista, dicevamo, è un occidentale. Molto occidentale. Colui che due anni fa fece un pieno di Oscar con Chicago, Rob Marshall, e che prima si era dato lustro per una versione televisiva di Annie. Eppure, miracolo della mimesi, nel solco di una lunga tradizione di viaggi culturali nel mondo altrui — quella che, tanto per dire, è stata raccontata anni fa da una retrospettiva del Festival di Locarno, dedicata proprio ai rapporti tra gli orientali e il cinema occidentale — Rob Marshall ce l’ha fatta. Soprattutto dal punto di vista delle immagini, che ricreano in maniera fascinosa, grazie alle luci di Dion Beebe e alla scenografie di John Myhre (che aveva firmato anche Elizabeth) il mondo del Giappone degli anni Trenta e Quaranta. E in Italia, dove siamo abituati alle gioie e ai dolori del doppiaggio, la curiosa impressione di questi giapponesi che parlano tutti inglese non dovrebbe ferire la sensibilità filologica di nessuno. Per il resto, il film conta su un cast stellare, almeno per chi abbia anche solo poco frequentato il cinema orientale, che ha conquistato in questi anni le sale occidentali. Ecco quindi che la protagonista ha il bel volto pallido di Ziyi Zhang, già vista in La foresta dei pugnali volanti di Zhang Yimou e in 2046 di Wong Kar-wai. L’uomo che lei ama per tutta la vita è il bel Ken Watanabe, interprete di L’ultimo samurai e di Batman Begins. La sua amica e protettrice è Michelle Yeoh, già ragazza 007 e donna di spada in La tigre e il dragone. La bellissima Gong Li è una cattivona che per gelosia le fa la guerra. Qualcuno oserà obiettare che in questa storia giapponese troppe signore sono cinesi e non nipponiche? Sottigliezze, obietteranno altri: si sa che, ahinoi, per gli occidentali gli orientali non sono facilmente distinguibili gli uni dagli altri... A suo tempo, Arthur Golden - lui stesso un personaggio romanzesco, miliardario di Chattanooga, Tennessee, della famiglia dei proprietari del New York Times, una laurea a Harvard e un master in storia giapponese, una vita da eterno studente-studioso, un romanzo d’esordio folgorante su cui ha impiegato, tra i lazzi e i frizzi della sua potente famiglia, dieci anni di lavoro — Arthur Golden diceva: «Ci sono due miti a proposito delle geishe. Uno è che sono delle prostitute. Questo mito è sbagliato. L’altro è che non sono delle prostitute. Anche questo è sbagliato». Un bel pasticcio tra essere e non essere, che il suo romanzo illustra molto bene, nonostante la geisha a cui il libro si è da lontano ispirato, Mineko Iwasaki, abbia a suo tempo accusato lo scrittore di tradimento nei suoi confronti e nei confronti di Gion, uno dei quartieri delle geishe in cui si svolge la storia raccontata da Golden, perché nel libro ci sarebbe troppo sesso, e lei, ovviamente, appartiene alla scuola di pensiero del mito numero due. Il libro, e quindi anche il film, racconta la storia di Chiyo, una ragazzina di nove anni dagli straordinari occhi blu-grigi che viene venduta dal padre, un poveraccio, a una okiya, una casa di geishe, all’interno della quale, tra rigida disciplina, gelosie, risse, amicizie e inimicizie, crescerà come Sayuri, la geisha più raffinata e ricercata del suo tempo. Una geisha che coltiva un suo segreto sogno d’amore per l’uomo gentile che l’ha incontrata per strada, bambina sola e triste, e l’ha riempita di gentilezze. Una geisha che dovrà affrontare la realtà della guerra, la volgarità del dopoguerra, i cambiamenti del suo mondo, in un crescendo romantico. Ma, appunto, cosa sono le geishe? Siamo nel terreno minato dell’ignoranza occidentale, e quindi ci limiteremo a riferire quello che dice Arthur Golden in un’intervista dove si attiene al mito numero due: «Le geishe non sono prostitute, non sono istruite per fare sesso. Il loro lavoro consiste nell’intrattenere un gruppo di uomini bevendo e con una conversazione spiritosa. Ridono alle cose che dici, ti fanno sentire [email protected] 6 affascinante. . .». Abilità, se così le si vuole vedere, che nascono dopo un lungo e spesso duro tirocinio, durante il quale la geisha deve imparare a suonare, a cantare, a danzare, a parlare con grazia. Non senza dovere sostenere l’orribile rituale della svendita della sua verginità. L’idea di scrivere un romanzo sul mondo delle geishe nacque quando Golden lavorava a Tokyo per una rivista di lingua inglese accanto a un collega figlio di un industriale e, appunto, di una geisha. Affascinato da questa situazione, prima Golden ha tentato la strada della non-fiction. Poi il romanzo in terza persona. Poi, con quella che il Critico del New York Times Michiko Kakutani ha chiamato un’operazione da ventriloquo, è passato alla prima persona. Un punto di vista narrativo che il film rispetta, con una voce off che racconta e raccorda i vari momenti della vita di Sayuri. E la stessa precisione (tuttavia contestata da taluni) che Golden ha messo nel descrivere i riti di vita delle geishe — il kimono, il trucco, le pettinature, la vita in comunità — la ritroviamo nel film e nella ricostruzione di un mondo che sta sparendo sotto la spinta della globalizzazione. Ai tempi d’oro c’erano almeno ottocento geishe nel quartiere di Gion, a Tokyo. Oggi ce ne sono al massimo ottanta. E ora le aspiranti geishe non vestono il kimono, ma Prada. Gianluigi Rondi - Il Tempo, 15 dicembre 2005 Prima di diventare un film, Memorie di una geisha è stato, dal ’97 in poi, un romanzo di Arthur Golden andato incontro a una fortuna eccezionale, tanto da essere tradotto in trentadue lingue, trovando in Italia, in tempi diversi, addirittura due editori. Tra i motivi di tanto successo è certamente da considerare il fatto che il suo autore, dopo essersi ampiamente documentato, ha fatto un po’ di luce sul mondo abbastanza misterioso delle geishe, ritenute, da molti, delle prostitute mentre invece sono delle bellissime donne che, anziché vendere sesso, vendono musiche, danze e canzoni per intrattenere ospiti facoltosi riuniti in genere per trattare degli affari. Il film, diretto da Rob Marshall dopo i trionfi di Chicago e scritto da Robin Swincond, un drammaturgo molto apprezzato off-Broadway, segue in modo piuttosto stringato il romanzo affidandolo alla voce narrante della protagonista, una geisha conosciuta con il nome d’arte di Sayuri, che ripercorre il suo difficile cammino in quell’ambiente da quando a nove anni, un po’ prima dell’ultima guerra, era stata venduta dai genitori molto poveri per servire in casa di una geisha, fino all’occupazione americana del Giappone, quando, nonostante alle donne della sua categoria fosse rigorosamente vietato innamorarsi, riesce a coronare il suo sogno d’amore con l’unico uomo che, da bambina, era stato gentile con lei. In mezzo la sua irresistibile ascesa fra le altre geishe, le durissime lezioni nei quartieri loro riservati per imparare bene a cantare e a suonare maneggiando con meticolosa perizia i ventagli: qua con la gioia di potersi fare delle amiche, là con l’angoscia di dover far fronte a delle perfidi rivali. Senza dimenticare, a un certo momento, l’impietoso rituale della perdita della verginità espresso con le stesse ieratiche cadenze delle cerimonie del tè. Forse, in alcune pagine, il racconto è un po’ statico e la voce narrante non arriva a chiarire fino in fondo i pensieri e le reazioni della protagonista, spesso segnata dalle avversità e dalle contraddizioni sentimentali, ma lo spettacolo, attorno, c’è e con accenti vividi. Sia nella rievocazione (rifatta in studio) della Tokio anni Quaranta, sia negli eventi in cui quelle donne sono spesso coinvolte, dal teatro Kabuki, ai combattimenti dei Sumo, all’arrivo delle truppe americane. Con scenografie splendide, delle immagini spesso buie ma pittoresche, delle musiche orientaleggianti di effetto. Curiosamente tra le geishe in primo piano anziché delle giapponesi, sono note dive cinesi, dalla principale, Ziyi Zhang, già vista con Zhang Yimou nella Foresta dei pugnali volanti e in Hero, alla rivale Gong Li, all’amica Michelle Yeoh («La tigre e il dragone»). L’uomo amato invece è il giapponese Ken Watanabe, che era con Tom Cruise nell’Ultimo samurai. [email protected] 7 Marco Giovannini - Ciak, gennaio 2006 Ci sono film che nascono con la stampigliatura “Oscar” addosso, e forse solo per quella ragione. Almeno sulla carta, che oltretutto era quella di un best seller globale tradotto in 32 lingue. L’epopea di Chiyo, la Cenerentola giapponese che viene venduta infante dalla famiglia che non può mantenerla e si trasforma nella splendida Sayuri, la più corteggiata geisha di Kyoto, avrebbe dovuto far battere anche il cuore più cinico. Invece solo gli occhi sembrano coinvolti nel film diretto dall’ex coreografo Rob Marshall, che l’Oscar lo vinse addirittura al suo esordio con Chicago. Il Giappone ricostruito in studio e nei pochi giardinetti zen disponibili in California (ma la bellezza dei ciliegi in fiore è talmente da cartolina che fa pensare piuttosto a Disneyland), con un cast di superdive di altri Orienti (Zhang Ziyi, la protagonista e Gong Li la terribile rivale, sono cinesi; Michelle Yeoh, la maestra nell’arte e nei misteri del mestiere di geisha, è malese) è abbagliante ma leggero come la seta degli splendidi kimono indossati dalle protagoniste. Sotto il kimono niente, si potrebbe sintetizzare. La strada imboccata da Marshall è infatti quella della festa di colori, ma anche di una semplicità e di un qualunquismo narrativo (non manca nessun clichè esotico, neppure il sumo) che forse gli deriva proprio dalla sua lunga frequentazione dei musical. Resta ovviamente il rimpianto di come lo avrebbe girato Spielberg che aveva preso i diritti dieci anni fa, e alla fine si è accontentato del ruolo di produttore esecutivo. Per certo sarebbe stato più attento ai risvolti della storia - che precipita spesso alla maniera delle soap opera - e più rispettoso per i misteri d’Oriente (come lo fu con L’impero del sole). C’ è anche Ken Watanabe, protagonista de L’ultimo samurai, ma chi esce meglio da questo melò (per non dire polpettone) in salsa teriyaki che si potrebbe intitolare L’ultima geisha, è Gong Li, impagabile cattiva che sembra vivere per davvero (insulti e schiaffoni compresi) la furiosa rivalità che la divide anche nella vita dalla sua giovane erede Zhang Ziyi. Maurizio Porro - Il Corriere della Sera, 16 dicembre 2005 Zhang O Haru donna galante, se ci sei batti un colpo. Se Mizoguchi era spoglio, essenziale e lirico, Rob Marshall, dopo il magnifico Chicago (citato in una danza) racconta l' epopea di una piccola grande geisha nel Giappone dagli anni 30 al dopoguerra protetto dal budget spielberghiano, da una magica fotografia di Dion Beebe, dal romanticismo del melò esotico, in una cornice drammatica degna di Lillian Gish o di Lindsay Kemp. Battaglia di bocche e di bocchini, gara di voci off, pallide maitresse, cuori sottochiave, una scatolina che contiene la verginità, toni da acquarello, collezioni di kimono ricamati per assatanati e discreti machi giapponesi e match di sumo. Dopo la nuttata, arrivano gli yankees e cambia film: Sayonara. Fra le geishe, la migliore e più perfida è Gong Li, ma la rivelazione si chiama Ziyi Zhang. Difficile palpitare ma abbandonatevi all' estenuante racconto di 140 minuti. VOTO: 6,5 Marco Giovannini - Panorama, 15 dicembre 2005 Le mani giunte, gli occhi al cielo e una lunga litania dai toni profondi interrotta da urla improvvise: la tradizionale preghiera per tenere lontani gli spiriti maligni che segna l’inizio lavorazione di ogni film giapponese era perfetta (la voce era quella di Ken Watanabe, già protagonista insieme con Tom Cruise di L’ultimo samurai). Ma il luogo era decisamente atipico. Non la città di Kyoto, come si pretendeva nel film, ma un modernissimo studio cinematografico di Culver City, quartiere di Los Angeles, in cui era stato ricostruito nei minimi termini il Giappone degli anni Trenta. «Di solito la preghiera la recita un professionista, un monaco giapponese» dice Watanabe, «Ma non ne avevamo uno a disposizione e allora mi sono offerto io». Sono passati Otto anni e molte polemiche da quando il romanzo di Arthur Golden Memorie di una geisha è diventato un best-seller globale (32 traduzioni e una causa di diffamazione da parte di Mineko Iwasaki, la geisha su cui si basa la storia). E ora si è trasformato in un film da 80 milioni di dollari che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe essere uno dei più seri contendenti all’Oscar 2006. L’anteprima italiana, mondanissima, sarà presentata da Giorgio Armani. La storia comincia come un’odissea: Chiyo, una bambina di 9 anni di Yoroido, povero villaggio di pescatori, viene venduta dai genitori grazie alla sua unica dote: occhi del colore del mare, grigioblu. E prosegue come un’epopea: Chiyo diventa Sayuri, una delle più affascinanti e celebrate geishe di Kyoto. Ci aveva messo il cappello Steven Spielberg: solo quando la sua agenda è [email protected] 8 diventata ingestibile perfino per uno stakanovista come lui (solo quest’anno ha realizzato due film: La guerra dei mondi e Munich) si è deciso a passare la mano, pur conservando il ruolo di produttore esecutivo. Il regista che l’ha sostituito è l’ex coreografo Rob Marshall, che con il suo film d’esordio, il musical Chicago, ha vinto l’Oscar nel 2002. «Spielberg è stato un vero signore: non mi ha costretto a seguire la sua versione della sceneggiatura, ma mi ha permesso di ripartire da zero» dice Marshall. Una conferma della sua autonomia? Non ha fatto nemmeno un provino all’attrice che Spielberg aveva scelto come protagonista, la ballerina giapponese Rika Okamoto, quando il regista (su consiglio del suo idolo Akira Kurosawa) pensava di girare il film in giapponese con sotto-titoli in inglese. Marshall ha fatto di testa sua e le sue scelte hanno scatenato una specie di guerra santa (cinematografica) d’Oriente. A indossare i raffinati kimono delle tre protagoniste ha chiamato le due più popolari attrici cinesi (Zhang Ziyi e Gong Li) e la diva del cinema d’azione di Hong Kong, Michelle Yeoh, nata in Malaysia. «Sono abituato a scegliere l’attore migliore per la parte, senza occuparmi di dettagli quali il colore della pelle o il passaporto» dice, E cita l’esempio di Chicago, dove diede la parte del capo delle secondine a Queen Latifah, incurante del fatto che a quell’epoca, gli anni Venti, sarebbe stato impossibile per una donna nera ottenere un simile lavoro. Se in Giappone contestano lo scippo etnico, in Cina hanno dato a Zhang Ziyi della «traditrice». E Marshall, da bravo avvocato difensore, spiega che la sua protagonista non solo ha già girato un film in quel paese, Princess Raccoon, ma il commercial di uno shampoo Asianense, in grado di dare alle ragazze giapponesi un look «panasiatico». Per ognuna delle sue tre geishe, che sul set lui chiamava le sue tre grazie, Marshall ha coniato un aggettivo: «incandescente» (Zhang Ziyi, cioè Sayuri), «mozzafiato» (Gong Li, cioè Hatsumomo), «squisita» (Michelle Yeoh, cioè Mameha). La stona le lega a filo doppio: mal-trattata dalla gelosa Hatsumomo, geisha di successo, l’apprendista Sayuri viene protetta e istruita dalla potente Mameha, che ne fa la sua erede. Con pazienza e tenacia, quella ragazzina di campagna che sembra uno scricciolo si trasforma in una sofisticatissima farfalla. «Per un apprendistato che di solito dura tutta la vita noi abbiamo avuto solo sei settimane» sospira Zhang Ziyi, che insieme alle colleghe ha partecipato a un corso intensivo definito «geisha campà». «Le geishe erano una sorta di top model della loro epoca. Abbiamo dovuto riparare tutto: dalla calligrafia all’arte di versare il sakè, dall’uso del ventaglio al linguaggio delle dita» dice invece Michelle Yeoh, che ricorda quel periodo come quello delle sette camere di tortura. I suoi incubi erano nella prima camera (dedicata allo shamisen, lo strumento a tre corde) e nella terza, dove per camminare con il kimono a passettini si cominciava con le ginocchia legate e poi separate soltanto da un sottile foglio di carta che non doveva mai cadere. Il tutto complicato dal fatto che per Zhang Ziyi e per Gong Li si è trattato del primo film recitato in lingua inglese, con inevitabili e severi corsi di dizione («È stato come tornare a scuola»). La grande novità è che Gong Li perla prima volta fa una parte da cattiva: «In realtà Hatsumomo è sfaccettata, come un diamante». Dice di essersi molto divertita e lo si vede dagli insulti e dagli schiaffoni che rifila a Zhang Ziyi. Sono state lanciate dallo stesso regista (Zhang Yimou) e considerate così rivali che Ziyi, che è più giovane di 13 anni, è stata definita la «piccola Gong Li». Per scrivere le musiche di Memorie di una geisha il celebre John Williams ha rinunciato all’ultimo episodio di Harry Potter. Mentre la costumista Coleen Atwood (Oscar per Chicago) si è sbizzarrita con i kimono: ammette di aver semplificata i disegni e di averli modernizzati, prendendosi molte licenze artistiche. Stesso concetto del creativo merchandising: una linea di profumi e cosmetici per la minicatena Fresh e di abbigliamento per Banana Republic. Business is business. Specie nel cinema. Alessandra Levatesi - La Stampa, 16 dicembre 2005 Pare che l’anteprima di Tokyo sia stata un successo. Se è vero, cade il problema che più deve aver preoccupato i produttori (Steven Spielberg in testa) di Memorie di una geisha. Ovvero: come reagirà il pubblico giapponese (ricca fetta del botteghino internazionale) di fronte a un film le cui geishe, emblema da secoli della più raffinata feniminilità nipponica, sono impersonate dalle note attrici cinesi Ziyi Zhang (la protagonista Sayuri) e Gong Li (la sua crudele rivale Hatsumono), [email protected] 9 nonché dall’altrettanto bella e famosa malese Michelle Yeoh (maestra di seduzione di Sayuri)? E del resto il bestseller di Arthur Golden (quattro milioni di copie vendute nel mondo) ispiratore della pellicola, ha provocato analoghe riserve. Anche se l’autore proclama di aver modellato il personaggio su quello reale di tale Mineko Iwasaki, il racconto autobiografico dell’immaginaria Sayuri, che sull’ arco di una ventina danni (dal 1930 al dopoguerra) si riscatta da un’infanzia misera diventando una geisha di prima fila e poi coronando il suo sogno di amore, suona fasullo dal principio alla fine. Così dicono gli antipatizzanti, ai quali ci associamo. Rob Marshall, l’acclamato regista di Chicago in linea di massima rispecchia il testo, accentuando l’impianto di melò e arricchendone lo smalto con la suggestione visiva: scenografie (la Kyoto d’epoca ricostruita negli Studi di Los Angeles), fotografia e costumi sono impeccabili. Quanto alla natura, si intona: tempeste a sottolineare il dramma (vedi la dickensiana scena iniziale quando, fra lampi e tuoni, Sayuri bambina viene strappata alla famiglia); ciliegi in fiore quando si giunge al lieto fine. In fondo Memorie di una geisha è una variazione in stile finto orientale della fiaba dì Cenerentola: chi ha amato il libro, dovrebbe amare il film, prodotto di confezione comunque migliore. Il punto debole è l’interpretazione in chiave vittimistico/passiva di Ziyi Zhang, attrice modesta qui sovrastata per fascino, autorevolezza e capacità emozionale dalla «rivale» Gong Li. Maurizio Cabona - Il Giornale, 16 dicembre 2005 «Tre cose contano nella vita: sumo, affari e guerra. Se capisci uno, capisci gli altri»,dice l'affarista, interpretato da Koji Yakusho, alla geisha,interpretata da Zhang Ziyi. Nell'elenco non c'è il sesso, ma in Memorie di una geisha di RobMarshall - tratto dal romanzo di Arhur Golden - il sesso aleggia sterilmente, perché questo non è un film eroico-erotico come L'impero dei sensi di Oshima. È un prolisso aneddoto sulla lotta per il potere che la donna conduce amando chi il potere l'ha già: regola vecchia più di Machiavelli, nelle pagine verbose di Golden e nelle immagini laccate di Marshall raggiunge estenuante estensione. Nel film si scontrano - si noti la perfidia di opporle nella finzione, oltre che nella realtà - Zhang Ziyi, attuale compagna di Zhang Yimou, e la ex di quest'ultimo, Gong Li. Fra odi a prima vista più intensi degli amori, tutto scorre freddo, levigato come già in Chicago dello stesso Marshall. Mettere le stelle del cinema cinese, più Michelle Yeoh (cinese, ma malese di passaporto), a impersonare geishe ha un effetto straniante, che si somma allo pseudo giapponismo di Golden, che non è Thomas Raucat, né Richard Sorge, né Fosco Maraini, e guarda i giapponesi da entomologo. Fabio Ferzetti - Il Messaggero, 15 dicembre 2005 Un’innocente strappato (strappata) agli affetti più cari cresce nella brutalità e nella privazione fino a quando, superati tradimenti e disgrazie, conosce finalmente il conforto dell’amore. Non è Oliver Twist, è Le memorie di una geisha, dal best-seller di Arthur Golden, ovvero tutto ciò che avete sempre saputo sul Giappone (o quasi), in elegante e un po’ tediosa confezione export. C’è il rapimento in tenera età, in realtà una vendita: non potendo più allevare la piccola Sayuri, il padre pescatore la cede a una casa di geishe. C’è l’apprendistato fatto di arti sottili e di scontri con le compagne, in testa l’odiosa e corrotta Hatsumomo (Gong Li). C’è l’amore impossibile per il cortese alto funzionario che offrì a Sayuri bambina un gelato dischiudendo improvvisamente la sua vocazione di geisha. E poi la verginità messa all’incanto, la guerra, la ricostruzione, le geishe degradate a “signorine”, l’amore che alfine trionfa. Intendiamoci: Rob Marshall (già regista dello zelante Chicago) ha studiato e si vede. Se una volta tutti imitavano il cinema americano, oggi perfino gli americani imitano il cinema asiatico. Ultimo samurai o ultima geisha, siamo sempre lì. Ma non basta imitare le forme e moltiplicare i cliché da esotismo anni ’30 (come diceva Eco su Casablanca, «un cliché è volgare, 100 cliché sono sublimi»). Il nuovo millennio guarda ad Oriente, Hollywood si adegua. Ma per quanto si sforzi, le sue laboriose imitazioni restano lussuose, magari eleganti, ma senz’anima. Ne fa le spese la protagonista Zhang Ziyi, meravigliosa con Zhang Yimou o Wong Kar-wai, ma qui abbastanza opaca. Va meglio per Gong Li e per la regale Michelle Yeoh. Peraltro tutte cinesi, anche se siamo a Kyoto. [email protected] 10 Dina D’Isa – Il Tempo, 15 dicembre 2005 Da sempre, in Giappone, gli incontri sociali sono una parte integrante della conduzione degli affari tra business men e la presenza della geisha, ancora oggi e in molti casi, esalta l'importanza di chi può permettersi una compagnia tanto ambita. L'importanza della geisha è però legata soprattutto alla tradizione giapponese, quando una ragazza sceglieva (o le veniva imposto) di vivere intrattenendo uomini importanti, senza prostituirsi, ma danzando, cantando, suonando e dialogando amabilmente. Questo mondo esotico ed affascinante emerge nel film Memorie di una Geisha, tratto dall’omonimo libro di Arthur Golden, diretto dal premio Oscar Rob Marshall e da domani distribuito dalla Eagle in 150 copie. Il cast è composto da superbi attori asiatici, a cominciare da Ziyi Zhang, Gong Li e Ken Watanabe, premio Oscar per aver partecipato a fianco di Tom Cruise ne L'ultimo Samurai. «Racconto di una geisha che non si é arresa ad una vita dove non c'é spazio per l' amore — ha detto ieri a Roma Rob Marshall, accanto al coreografo John De Luca —. Il film racconta la storia della geisha Sayuri, dalla sua infanzia negli anni Venti, lungo le rive del Mar del Giappone, fino al dopoguerra con l'arrivo degli americani e la difficile situazione di convivenza tra il mito delle geishe e la prostituzione dilagante. Il periodo della occupazione americana ha coinciso con la perdita dell'innocenza della cultura giapponese. Ho realizzato un film impressionista perché, come il romanzo, narra il Giappone attraverso lo sguardo di un occidentale. Abbiamo girato il mondo, ma la migliore per questo ruolo è stata Ziyi Zhang, anche se è cinese. D'altronde pure Anthony Queen ha fatto Zorba il greco e l'egiziano Omar Sharif il Dottor Divago. La mia geisha è una sorta di Cenerentola in salsa orientale, ma c’è di più del matrimonio con un principe e dell’andare a vivere in un castello: c’è il trionfo dello spirito e della libertà di scelta. La protagonista Sayuri decide di ribellarsi al proprio destino. Le geishe erano le top model di oggi, erano ammirate per come si vestivano, per quello che dicevano. Abbiamo parlato con delle geishe anziane e con noi sul set c'era sempre un'esperta, Liza Dalby, che ci ha aiutato a ricreare le atmosfere dell’epoca e i quartieri hanamachi, dove vivevano le geishe. Ai Giapponesi è piaciuto molto: alla proiezione di Tokio c'erano tremila spettatori, mai così tanti per un’anteprima. Realizzato quasi interamente negli Studios californiani, il film si avvale del montaggio del premio Oscar italiano Pietro Scalia, che incontrerò oggi a Milano con Giorgio Armani. Sono felice che sia stata scelta Roma per l’anteprima europea, è una città meravigliosa: ricca di persone eleganti e Cristina Piccino - Il Manifesto, 16 dicembre 2005 Il punto di partenza è il romanzo di Arthur Golden, Memorie di una geisha, best seller nel 97, quattro milioni di copie e traduzioni in 32 lingue. Che divenisse un film era persino scontato e che il film dovesse rientrare nel «pacchetto» colossale del libro pure. Dunque: produzione firmata con la Dreamworks di Spielberg, e un cast di star. Memorie di una geisha (il film) infatti, diretto da Rob Marshall (Chicago) mette insieme le dive asiatiche più «esportate»: Gong Li, Michelle Yeoh e nel ruolo di Sayuri, la voce narrante che ci porta nel mondo degli hanamachi, i quartieri delle geishe, Ziyi Zhang. La storia comincia quando Sayuri è una bimbetta venduta come serva e presa di mira dalla crudele Hatsumoto (Gong Li). Finché la ragazzina non incrocia un uomo che le offre un gelato e, poi sapremo, fa sì che venga presa sotto protezione da un'altra potentissima geisha, Mameha (Yeoh). La quale la insegnerà l'arte sapiente di gesti, sorrisi, accoglienza del maschio. Pare che in Giappone non abbiano gradito che sole attrici cinesi incarnino il mito nazionale tra i più antichi. A dire il vero un certa confusione c'è, spesso sembra di essere in Cina, (il set è tutto in studio in California), e non solo per le attrici (il caso italiano è aggravato da un doppiaggio insopportabile). Ma. Nell'era della globalizzazione è pure divertente che ponti, giardini e fiori di pesco siano più simili al The World di Jiang Zhan Ke che alle immagini di Ozu. Il punto infatti non è questo. Il film di Marshall nulla ci dice di questo mondo, pur penetrando nella cortina invisibile che sta dietro alla seduzione, kimoni mozzafiato, piedi costretti a sanguinare, una maschera quasi già butoh di sofferenza piegata al piacere altrui e rinuncia all'amore obbligata. Così la nostra eroina che ama il «direttore generale» da quel giorno sul ponte intrecciando il melò di questo amore impossibile ai fatti del Giappone, la guerra, l'occupazione americana, la scomparsa di quelle strane «creature» che diventeranno altro, prostitute per soldati con troppo rossetto e parole di inglese imparate in fretta. Pure se la geisha Sayuri farà impazzire il colonnello Usa, incarnazione di un occidente incapace, come la Storia anche oggi insegna, di cercare un confronto con la diversità da [email protected] 11 sé che non sia solo sopraffazione e uso. Ma questa è, appunto, altra cosa. Che scivola quasi casualmente in un film mai capace anch'esso di uscire dalla propria spettacolarità. Mariarosa Mancuso - Il Foglio, 17 dicembre 2005 Una ragazza studia, si applica, ruba i segreti alla maestra, e alla fine sostiene l’esame. “Prova a farlo voltare con una sola occhiata” dice la geisha esperta alla geisha apprendista. Naturalmente, l’uomo a cui far girare la testa è scelto a caso tra i passanti, niente trucco e niente inganno. Prima tocca a Michelle Yeoh (Bond-girl in Il domani non muore mai, spadaccina in La Tigre e il Dragone), poi a Ziyi Zhang (guerriera in Hero e La foresta dei pugnali volanti, icona neoromantica 2046 di Wong Kar-Wai). Due attrici cinesi in ruoli da giapponesi. Abbastanza per scatenare un’altra guerra. I giapponesi sono arrabbiatissimi con Hollywood, che ha preteso attrici con un potenziale di cassetta, tanto il pubblico non avrebbe notato la differenza. I cinesi sono arrabbiati con le loro dive che hanno indossato kimono e obi, dipingendosi la faccia di bianco (lasciando nude due strisce sul collo, tre nelle occasioni speciali). A portar sullo schermo il bellissimo libro di Arthur Golden (appena ristampato nei tascabili Tea), è il regista di Chicago. I ritmi naturalmente sono un po’ più lenti, la cerimonia del tè risulta più tranquilla del tip tap, e non si perde occasione per ribadire che le geishe non erano prostitute ma artiste in un mondo fluttuante. Sapevano cantare, sapevano ballare, sapevano conversare, sapevano inginocchiarsi, sapevano sorridere alle battute dei maschi poco spiritosi, e dopo una lunga giornata dormivano con la testa su uno strapuntino, perché la complicata pettinatura non si sciupasse. Lo loro verginità era messa all’asta, offrendo l’occasione di un discorsetto tra femmine che comincia così: “Ti ha mai detto niente la mamma, dell’anguilla e della caverna?”. Per una ragazza povera e orfana come Chiyo, alla fine degli anni 20, nata in una capanna di pescatori, era comunque una bella carriera (anche se al cuor non si comanda, Lanterne rosse è sempre dietro l’angolo, e pure il dramma). La rivale si chiama Sayuri, e per un prezioso kimono rovinato (sette metri di tessuto, ricami a mano, un anno di lavoro) gliene farà passare di tutti i colori. La trama ricorda Eva contro Eva, i balletti hanno coreografie moderne, la fotografia gronda lusso, calma e voluttà. La battuta più bella, detta nel film dal cinico di turno (anche sfregiato): “Tutta questa fatica per vedere un ciliegio in fiore?”. Daniela Zacconi - Film Tv, n. 50, 13 dicembre 2005 Ha nove anni Sayuri quando la sua vita cambia. Fino a quel momento si è chiamata Chiyo ed è vissuta in un paesino di pescatori sulle rive del mar del Giappone, in una casa “ubriaca” e perennemente a rischio di crolli. La sua famiglia è povera, il padre è anziano, la madre malata. È fin troppo facile risolvere i problemi familiari accettando di “affidare” la ragazzina, e la sorella maggiore, a un vicino premuroso. Che però, a dispetto delle promesse, ha in realtà solo l’intenzione di vendere entrambe a Kyoto, centro vitale di un Giappone che negli anni ‘20 non nasconde le sue mire espansionistiche su tutta l’Asia. Una capitale raffinata dove confluiscono ogni anno torme di ragazze e ragazzine destinate - a seconda della loro bellezza - ai bordelli o alle scuole per geishe. Si apre così il bestseller di Arthur Golden, scrittore e studioso di cultura giapponese, che nel 1997 ha pubblicato Memorie di una geisha, la storia della vita (personale e professionale) della piccola Chiyo destinata a diventare - dopo una lunga formazione condita di fatiche, umiliazioni e rigida autodisciplina - la leggendaria geisha Sayun. Quasi cinque milioni di copie vendute in tutto il mondo (in oltre 30 traduzioni), Memorie di una geisha è diventato ora un film, firmato da Steven Spielberg (che, innamoratosi del soggetto, ha voluto curarne la produzione) e Rob Marshall (regista e coreografo “esploso” con Chicago). Il libro di Golden - che ha utilizzato, romanzandole, le memorie di una vera geisha, Iwasaki Mineko (attualmente in causa con il romanziere perché insoddisfatta dello svilente trattamento letterario della sua storia) - ha suscitato più di una critica, sostanzialmente accusato di travisare - per colpa di un superficiale pragmatismo tipicamente occidentale - la natura delle geishe, trasformandole in prostitute di lusso. In realtà, invece, nella millenaria cultura giapponese le geishe erano “artiste” specializzate nell’intrattenere gli uomini con canti, danze, musica e conversazioni, nonché maestre nella fondamentale cerimonia del tè e solo del tutto marginalmente disposte a concedere favori sessuali. Il destino provocatorio del libro sembra ora essersi trasferito anche al film di Marshall, già oggetto di furiose polemiche. Fondamentalmente perché le tre figure principali (Sayuri, Hatsumomo e [email protected] 12 Mameha) sono state (incautamente) affidate a tre star del cinema cinese, nell’ordine Zhang Ziyi, Gong Li e Michelle Yeoh, suscitando reazioni sia in Giappone (dove non hanno digerito che un regista hollywoodiano non sia riuscito a trovare neanche un’attrice nipponica per il suo film) sia in Cina (dove, memori delle tensioni storiche e razziali che da sempre dividono i due paesi, le tre interpreti sono state tacciate di “tradimento”). Adesso Memorie di una geisha sbarca in Italia (dal i6 dicembre) dove, c’è da giurano, replicherà invece il successo del libro. Marshall (che ha dichiarato: «Volevo raccontare la storia di Sayuri come un’impressione di tempo e di luogo»), ha infatti applicato la cura che aveva già caratterizzato Chicago per ricostruire minuziosamente il fascinoso mondo delle geishe, lasciando in sottofondo la cornice storica e politica per privilegiare usi & costumi, riti & consuetudini di un ambiente totalmente “alieno” per gli occidentali e, anche per questo, tanto più attraente. Sfruttando il suo passato di danzatrice classica, la ventiseienne Zhang Ziyi (dopo La tigre e il dragone e La foresta dei pugnali volanti considerata ben più di una promessa del cinema asiatico) ha conquistato Marshall, che da tempo era alla ricerca di un’attrice e ballerina in grado di dare vita alla sua Sayuri. Smesso l’atteggiamento combattivo caratteristico dei film wuxiapian, Zhang Ziyi si è adattata al duro tirocinio indispensabile per diventare una geisha perfetta. Ha imparato a ballare e a cantare, a servire il tè, a indossare il kimono e a truccarsi come avrebbe potuto fare la vera Sayuri, invecchiando insieme al suo personaggio (che nel corso della pellicola passa dai 5 ai 40 anni). Al suo fianco, due dive riconosciute del cinema mandarino: Michele Yeoh e Cong Li. Se in La tigre e il dragone Yeoh e Zhang erano antagoniste, in Memorie di una geisha alla più matura, esperta e riflessiva Michele spetta il ruolo della sensibile Mameha, che prende sotto la sua ala protettrice la giovane Sayuri cercando di trasmetterle la sua esperienza, compresa l’amara consapevolezza che il destino di notorietà riservato alle geishe migliori è inevitabilmente accompagnato dal tarlo della solitudine. All’altera Gong Li, non nuova ai kolossal hollywoodiani, è invece toccato il personaggio di Hatsumomo, la rivale che cerca in tutti i modi di screditare e rimpiazzare Sayuri e che l’interprete di Lanterne rosse riesce a rendere con sfaccettata perfidia. Infine, se per le protagoniste femminili Marshall ha attinto dal serbatoio del cinema cinese, giapponese è la star maschile del film, Ken Watanabe, che trasferisce l’elegante dignità con cui aveva già caratterizzato il personaggio di Katsumoto in L’ultimo samurai alla figura del Presidente, l’uomo cui la giovane Sayun dona (vanamente e dolorosamente) il proprio cuore. [email protected] 13