la bestia nel cuore

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la bestia nel cuore
LA BESTIA NEL CUORE
A D.e S. che non ho conosciuto, di cui ho letto su un giornale.
Sabina è bella, ha un compagno che la ama, una vita serena....
Ma è davvero felice? Da qualche tempo, strani incubi la tormentano. Quando scopre di
aspettare un bambino una finestra di ricordi si apre sul suo mondo interiore: l'infanzia, la
famiglia, i riti di una borghesia severa e rassicurante al tempo stesso. Ma questa è
soltanto la superficie. Più in fondo si agita qualcosa di oscuro e inquietante…
scheda tecnica
durata: 120 minuti
nazionalità: Italia, Gran Bretagna, Spagna, Francia
anno: 2005
regia: CRISTINA COMENCINI
soggetto: dall’omonimo romanzo di CRISTINA COMENCINI, edito da Feltrinelli
sceneggiatura: FRANCESCA MARCIANO, CRISTINA COMENCINI, GIULIA CALENDA.
produzione: RICCARDO TOZZI, GIOVANNI STABILINI, MARCO CHIMENZ per
CATTLEYA e RAI CINEMA in coproduzione con BEAST IN THE HEART FILMS LIMITED
(REGNO UNITO), ALQUIMIA CINEMA (SPAGNA), BABE (FRANCIA), in collaborazione
con SKY
fotografia: FABIO CIANCHETTI
montaggio: CECILIA ZANUSO
scenografia: PAOLA COMENCINI
suono: BRUNO PUPPARO
costumi ANTONELLA BERARDI
musiche: FRANCO PIERSANTI
interpreti: Giovanna Mezzogiorno (Sabina), Alessio Boni (Franco), Stefania Rocca
(Emilia), Angela Finocchiaro (Maria), Giuseppe Battiston (Negri), Luigi Lo Cascio
(Daniele), Valerio rinasco (padre), Francesca Inaudi (Anita), Lucy Akhurst (Anne), Lewis
Lemperuer Palmer (Giovanni), Jeke-Omer Boyayanlar (Bill), Simona Lisi (madre)
La parola ai protagonisti
Cristina Comencini
Cosa racconta La bestia nel cuore?
Il film è tratto dal mio ultimo romanzo. Racconta la storia di Sabina, un'attrice che non ha
avuto molto successo e lavora come doppiatrice. Vive insieme a Franco, anche lui attore,
sono innamorati l'una dell'altro e la loro vita è abbastanza serena. Una notte, Sabina ha un
incubo che la riporta indietro nel tempo. Il sogno sembra rimandare a un episodio
angoscioso, terribile e violento, avvenuto quando lei era ancora una bambina. Tutta la sua
vita comincia a cambiare, anche il rapporto con Franco. Sabina cerca di scoprire se
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nell’incubo ci sia qualcosa di vero e interroga la sua migliore amica, Emilia, una ragazza
che ha perso la vista e che vive isolata dal resto del mondo. Con il suo aiuto, Sabina cerca
di mettere ordine fra i suoi ricordi, ma le sembra che gliene siano rimasti ben pochi. Decide
allora di parlare con il fratello Daniele, che vive da molti anni in America, e parte per gli Stati
Uniti, dove riuscirà a scoprire cosa si nasconde dietro l’incubo che la tormenta. Nel
frattempo, in sua assenza, i destini delle persone che ha provvisoriamente lasciato si
intrecciano, come se la ricerca della verità di Sabina coinvolgesse indirettamente tutti quelli
che le stanno accanto.
Quale caratteristica porta al suo personaggio ogni attore in questo film?
Il centro del film è Sabina, ma gli altri personaggi non sono secondari: Franco, Emilia, Maria
(una collega di lavoro di Sabina che è stata da poco abbandonata dopo vent’anni dal marito
per una ragazzina che ha l’età della loro figlia), Daniele, tutti sono in parte collegati
all’angoscia di Sabina, ma hanno anche un’esistenza autonoma rispetto a lei, un proprio
percorso all’interno del film. Il personaggio principale è il tramite attraverso cui si sviluppano
le loro storie personali, e contemporaneamente, queste storie personali rimandano sempre
alla situazione centrale del film.
Se dovesse raccontare il film in un minuto, che scena del film sceglierebbe? E se dovesse invece
raccontare il libro con una pagina, che pagina sceglierebbe?
Se dovessi raccontare il film in un minuto direi: è la storia di una donna che ha un grande
incubo che la mette in contatto con una parte di sé che non conosce e arriva a stravolgere
tutta la sua vita. Scoprendo la verità, potrà ricominciare a vivere. La scoperta di una verità
lacerante è un elemento che tutti i personaggi hanno in comune: ognuno di loro potrà
costruire qualcosa di nuovo solo dopo che questa verità sarà stata svelata. Non a caso, il
momento più intenso del film, il suo apice drammatico, è la confessione che Daniele è
costretto a fare a Sabina. Anche nel libro il momento in cui si scopre la verità è quello più
importante. Sia con il romanzo che con il film volevo raccontare il fondo oscuro di ognuno di
noi. Qualcosa che ci portiamo dentro sin da quando siamo bambini, o forse anche da
prima. Un’origine comune della nostra affettività, dell’amore, di tutti i nostri legami,
un’energia che fa parte della natura umana e non ha connotazioni positive o negative, ma
cui noi dobbiamo dare un volto, una forma che non ci faccia soffrire e che riesca a colmare i
nostri vuoti. La storia di Sabina e Daniele coinvolge tutti i personaggi e li mette in contatto
con il loro fondo oscuro.
Durante la lavorazione cosa ha trovato difficile da realizzare?
Il film è stato molto complicato: lo abbiamo girato in 11 settimane, in pieno inverno, in
America, in Inghilterra e poi a Roma, nel Salento e a Cinecittà, dove abbiamo fatto tutti gli
effetti dell'acqua. È stato un lavoro estremamente faticoso, ma anche coinvolgente: proprio
perché si tratta di un film denso, forte, emotivo, durante la sua lavorazione mi sono chiesta
dove fosse la verità e come riuscire a renderla attraverso il cinema. In un libro non sei
costretta a mostrare tutto, hai molti più strumenti, molto più tempo per andare in profondità.
Da questo punto di vista è stato importantissimo il lavoro degli attori, che hanno corrisposto
alle loro parti in maniera eccezionale. Ognuno di loro aveva letto il libro e quindi aveva la
possibilità di conoscere del proprio personaggio molte più cose rispetto a quelle che
avrebbe poi dovuto recitare. Sono stati anche molto conservatori, non volevano che io
cambiassi nulla, mentre a me sembrava giusto che il libro venisse adattato. Tutti gli attori
hanno fatto un lavoro di scavo e sono riusciti a dare ai loro personaggi una grande
profondità umana. Un altro elemento fondamentale del film è stato l’ambientazione: con
tutto il reparto “estetico” abbiamo fatto un lavoro molto particolare, perché La bestia nel
cuore non è un film realistico, ma psichico. Paradossalmente, l’unico set che sembra reale
è quello televisivo, forse perché la nostra realtà, ormai, è la televisione. Le altre
ambientazioni, soprattutto la “casa dei morti”, la casa dell’infanzia, danno invece
l’impressione di un universo del tutto psichico, costruito appositamente per il cinema.
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C'è una scena cui è particolarmente legata?
Ce ne sono parecchie: una scena piena di atmosfera è quella in cui Emilia (Stefania
Rocca), seduce Maria (Angela Finocchiaro). È in piano sequenza. E' una scena molto calda
e vera, credibile: tenera e allo stesso tempo sensuale. Poi, c’è la scena della confessione
che Daniele fa a Sabina e, subito prima della confessione, la scena fra i fuochi d’artificio, in
cui Sabina esce e chiede urlando al fratello che cosa è accaduto. L’abbiamo girata soltanto
due volte, perché Giovanna Mezzogiorno era così concentrata che è riuscita a farla subito.
La sequenza dell’incubo è stata realizzata a più riprese: per prima cosa ho girato con la
bambina. È stato davvero difficile, non volevo turbarla in nessun modo. La scena andava
poi inserita nello schermo della sala doppiaggio. Tutta la sequenza si basa dunque sul
rapporto fra realtà e finzione cinematografica. È stata una parte del film a cui ho pensato
molto e che non si è sviluppata del tutto sul set, ma è stata completata durante il
montaggio.
Che sensazione si prova scrivendo un libro e poi vedendo alla fine la realizzazione del film?
Non credevo che avrei mai tratto un film da uno dei miei libri. I romanzi che ho scritto
raccontano di solito avvenimenti che si svolgono in un arco di tempo molto lungo e c’è il
rischio che al cinema, queste storie diventino dei “polpettoni”. E poi ho sempre scritto i
romanzi proprio perché, a differenza del cinema, nei libri potevo dedicarmi al puro piacere
della parola scritta. In questo caso però sono subentrati diversi fattori: nel libro c’era già il
cinema, i personaggi sono attori; inoltre il racconto occupa un periodo di tempo breve, i
nove mesi di attesa di un bambino. Ho pensato che il cinema potesse aggiungere al libro
qualcosa di nuovo. Anche gli attori sono riusciti a trasformare enormemente i personaggi,
rendendoli autonomi rispetto a quelli del libro. E tuttavia, nonostante tutti i cambiamenti, le
cose che abbiamo tolto e le scelte puramente cinematografiche che abbiamo fatto,
rivedendo il film adesso, mi sembra che l’atmosfera presente nel libro si possa ritrovare
anche nel film.
Gli effetti con l'acqua?
E’ stato un problema che abbiamo dovuto affrontare con Paola (Comencini, ndr), gli
operatori e la produzione: nessuno in Italia ha una grande esperienza di riprese con
l’acqua. Persino Vajont è stato realizzato soprattutto con effetti digitali. Noi invece abbiamo
allagato la casa davvero. Nel Teatro 5 di Cinecittà c’era già la casa dove giravamo gli
incubi, un ambiente del tutto irreale perché a seconda dei ricordi, la casa prende forme
diverse: spariscono i corridoi, le stanze cambiano posizione, in una geografia che non ha
nulla di realistico ed è del tutto emotiva. Questa è stata un’idea di Paola, molto bella. Oltre
a girare in questa casa distorta dai ricordi, avevamo anche parti di casa costruite sui
ponteggi con l’acqua sotto. Gli effetti erano diversi: uno di essi consisteva nel fare scendere
nell’acqua una grande pedana con tutti i mobili sopra, che dovevano restare fermi e essere
completamente seppelliti dall’acqua. La prima volta che abbiamo fatto scendere la pedana,
nulla è rimasto al proprio posto, la forza dell’acqua è stata tale che ha travolto tutto quanto.
Abbiamo dovuto inchiodare i mobili, i libri, i quaderni, tutto quello che faceva parte della
casa e alla fine siamo riusciti a ottenere l’effetto che volevamo. È stato interessante girare
un film così intimista, utilizzando però degli effetti da film catastrofico.
Ci sono delle cose che ha scoperto al montaggio e che non aveva "visto" quando ha scritto e
quando ha girato?
La scoperta più grande, in fase di montaggio, è stata la “casa dei morti”. Di solito, mentre
giro, io ho già il montaggio in testa, però la scena dell’incubo è venuta fuori in tutta la sua
forza solo dopo che avevamo assemblato il materiale. Il resto del film l’ho vissuto
moltissimo sul set. La maggior parte delle scene era già chiara durante le riprese, e
nessuna di esse ha avuto bisogno di molti ciak. È stato un film in cui si è sentita una forte
complicità fin dall'inizio: gli attori stavano spesso insieme, andavano a cena tutti insieme e
addirittura Stefania Rocca e Angela Finocchiaro si vestivano allo stesso modo. Mi ha
ricordato un po' quello che succede a teatro quando si instaura una solidarietà umana con il
gruppo degli attori, con il regista, con i tecnici.
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Giovanna Mezzogiorno
Ci parli di Sabina, il personaggio che interpreti?
Sabina è il personaggio intorno al quale ruota tutta la vicenda: la sua vita, apparentemente
serena, comincia a cambiare nel momento in cui scopre di aspettare un bambino. Fa un
sogno sconvolgente, le affiorano ricordi poco chiari, capisce di aver smarrito parte del suo
passato e decide di andare a trovare suo fratello negli Stati Uniti, perché sente di dover
chiarire qualcosa a livello sentimentale e familiare. Sabina sarà costretta ad accettare la
verità per poter poi costruire una vita normale, essere madre, ricomporre il rapporto con
Franco - tutte cose che vengono messe in crisi.
Come ti sei preparata per lo studio del personaggio? Hai letto anche il libro di Cristina?
Per preparare Sabina ho letto il libro di Cristina ancora prima della sceneggiatura. L'ho
trovato molto intenso e forte, ma anche difficile. Ho aspettato la sceneggiatura con una
certa apprensione, perché non è facile che un film sia all'altezza del romanzo. In questo
caso il lavoro rispecchiava in pieno l'atmosfera del libro, soprattutto per quanto riguarda
l'intrecciarsi delle vite dei personaggi, le casualità, le coincidenze che vengono svelate a
poco a poco, la graduale risoluzione dei problemi. Mi sono preparata seguendo soprattutto
Cristina, perché non amo prepararmi da sola e preferisco affidarmi molto alla regia. Di
solito, chi dirige un film ha un'idea chiara di come quel film deve essere realizzato e se io
accetto di farlo, significa che ho molta stima e fiducia nel regista. Cristina aveva una chiara
idea anche di come avremmo dovuto recitare: in maniera non naturalistica e non
minimalista, al contrario di quanto accade spesso nei film italiani. Il che non significa
utilizzare un tipo di recitazione enfatica, ma soltanto priva di quel minimalismo un po'
sporco che oggi è molto di moda. L'inizio del film è stato difficile perché siamo partiti subito
per l'America, e poi per l'Inghilterra per girare le scene con Luigi Lo Cascio che interpreta
Daniele, mio fratello. Abbiamo dovuto affrontare subito il nucleo centrale del film, la
confessione di Daniele a Sabina, il momento in cui la verità viene a galla, le scene per me
più complesse. Ero preoccupata, ma è andato tutto bene. La direzione di Cristina è precisa,
e lei è molto disponibile e attenta con gli attori, sempre pronta a rispondere a dubbi e
domande. Con Luigi, inoltre, c'è stata una grande sintonia, nonostante non ci
conoscessimo e non avessimo mai lavorato insieme.
C'è una scena che ti ha particolarmente colpito? Se c'è, perché?
Di sicuro tutte le scene girate in America, e soprattutto quella in cui Daniele racconta a
Sabina ciò che è realmente accaduto nella loro famiglia. Da quel momento in poi Sabina
non sarà più la stessa. In realtà la comprensione della verità non avviene all'improvviso, ma
gradualmente, attraverso una serie di elementi che si sovrappongono nella mente di
Sabina: prima gli incubi che ha a Roma e il fastidio che comincia a provare nei confronti del
suo compagno, il fatto che non riesce più ad avere rapporti con lui, poi la partenza per gli
Stati Uniti, dove Sabina rivede il fratello dopo parecchi anni e si rende conto di che persona
sia veramente. Daniele ha enormi difficoltà con il contatto fisico, non riesce neanche ad
abbracciare sua sorella all'aeroporto. Questi problemi condizionano sia la relazione con sua
moglie che con i suoi figli. All'inizio Sabina non riesce a mettere insieme tutti questi
particolari, ma poi tutto si ricompone, grazie a una frase casuale detta dalla moglie di
Daniele la sera di Capodanno. Questa frase fa emergere in Sabina una consapevolezza
accumulata giorno dopo giorno, minuto dopo minuto e che alla fine esplode, scatenando
una reazione molto violenta. Poi c'è la lunga confessione di Daniele, un'intera nottata che i
due fratelli passano insieme. Quello è stato un momento intenso, emozionante e faticoso e
credo che il risultato sia molto forte, e che siamo riusciti a fare qualcosa di vero.
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Stefania Rocca
Chi è Emilia?
E' una donna di trent'anni che è diventata cieca più o meno all'età di venti e quindi forse
non l'ha ancora accettato e vive di solitudine. E' una donna passionale che crede nei
sentimenti, per lei l'amicizia e l'amore sono due sentimenti molto importanti. Credo che la
cecità già dica tutto: è una persona che vive di ricordi; nel momento in cui ha saputo che
sarebbe diventata cieca ha incominciato a imprimersi nella mente il più possibile tutto
quello che poteva vedere. E' una donna forte e vulnerabile nello stesso tempo.
Come ti sei preparata a questo ruolo? Ho visto anche una scena molto particolare e difficile: tu sei
affezionata a questo telaio che è la tua passione e devi muovere le mani mentre stai con lo
sguardo fisso.
Emilia cerca in tutti i modi di essere indipendente, e per questo rifiuta di uscire, o comunque
esce solo con quelle persone che conosce da tanto tempo. È indipendente anche nel suo
lavoro con il telaio, che le permette di restare a casa e di non uscire. Per questo ruolo ho
passato molto tempo con un'associazione di ciechi a Parigi, ho cominciato a lavorare con
loro, ho fatto tutto il training che fanno i bambini quando diventano ciechi. Poi ho cercato di
stare due o tre ore al giorno con gli occhi chiusi, fino ad arrivare ad un totale di due giorni:
si ha un altro rapporto con la vita; con il giorno, la luce, con i tempi, gli orari: la loro
percezione cambia completamente. La produzione mi ha dato un insegnante che mi
aiutasse a lavorare con il telaio. Prima ho imparato a usarlo a occhi aperti, poi per acquisire
manualità e sentire telaio e fili come può sentirli un cieco, ho cominciato a tapparmi gli
occhi.
Come vive Emilia l'amore ?
Per Emilia l'amore è legato ai ricordi. Il suo amore non corrisposto per Sabina nasce dal
fatto che è la sua migliore amica da tanti anni, l'ha seguita nel suo percorso di dolore e le è
rimasta accanto. Avere così tanti ricordi in comune con Sabina non fa che rendere più forti i
suoi sentimenti, che le procurano sofferenza, un senso di abbandono e di gelosia.
Sulla preparazione? L'esperienza con i ciechi a Parigi?
E' stato un lavoro interessante, mi ha permesso di entrare in contatto con una realtà che
non conoscevo. Mi sono resa conto che quelle persone hanno una grandissima forza di
volontà nell'accettare la loro condizione, ma nascondono dentro anche una grande rabbia.
Ho imparato che cosa significa vivere tutti i giorni senza poter vedere: per esempio una
ragazza cieca mi ha guidato lungo il percorso per arrivare a casa sua, che è quello che di
solito i non vedenti conoscono meglio. Io avevo gli occhi bendati ed è stato interessante
conoscere i punti di riferimento che è costretto a costruirsi chi non può vedere. I movimenti
da compiere lungo il percorso vengono stabiliti a seconda degli odori e dei suoni, perché
udito e olfatto ti permettono realmente di "vedere", di visualizzare nella mente il luogo in cui
ti trovi.
Luigi Lo Cascio
Come ti sei accostato al personaggio di Daniele?
Il personaggio di Daniele è diviso in due parti fondamentali, una parte sommersa e una
parte evidente. La sua parte sommersa per me resta enigmatica, oscura. Ci sono delle
cose che un attore può arrivare a capire, altre che secondo me sono incomprensibili. Per
esempio, si può arrivare a capire un lutto, perché tutti quanti abbiamo provato l'esperienza
della perdita di una persona cara, ma l'evento accaduto a Daniele, determina talmente
tante conseguenze nella formazione dell'identità di una persona, che non si può, né coi
libri, né con l'intuizione, capire effettivamente cosa succede. La seconda parte del
personaggio, quella evidente, rappresenta gli effetti che una vicenda così drammatica ha
avuto su Daniele. È degli effetti che mi sono occupato io, e sono gli effetti che noi vediamo
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nel film: Daniele è un professore che insegna in un'università americana, una delle più
prestigiose, vicino Washington. Nel libro la scelta di Daniele di diventare professore
universitario è molto approfondita, ma nel film tutto è raccontato per immagini e per cenni;
si capisce che la decisione di Daniele di fare il professore universitario ha a che vedere con
il rapporto col padre, anche lui insegnante, ma alle superiori. Daniele, oltre alla sua
superiorità rispetto al padre, vuole dimostrare che la cultura e la vita possono coincidere.
Quando incontriamo Daniele per la prima volta nel film, è un individuo bloccato, non riesce
ad avere un rapporto con i figli, non riesce neanche a toccarli. Ha un rapporto difficile anche
con il proprio corpo. Un altro tema importante del film è proprio il tentativo di convivere con
questo dolore, cosa conviene fare quando si vive un'esperienza così traumatica. Si può
dimenticare tutto, oppure parlarne, tirarla fuori, e cercare di ricostruire qualcosa sulle
macerie. L'arrivo di Sabina mette Daniele di fronte al dubbio se raccontarle o meno il loro
destino comune. Un altro elemento importante del personaggio di Daniele è il desiderio di
vendetta, che lo spinge a prendere una decisione molto fredda nei confronti del padre.
Anche a distanza di anni, resta un rancore molto forte, che magari potrebbe sembrare
eccessivo, ma che credo sia profondamente umano.
C'è una scena del film che ti ha particolarmente colpito? C'è una situazione nella quale ti sei
sentito più dentro al personaggio? E se c'è, perché?
Di solito non utilizzo categorie come "stare dentro un personaggio": per me il personaggio è
sempre un altro essere a cui do ospitalità, io mi faccio da parte, lascio questo supporto
corporeo, vocale, di nervi, di sensibilità, di intelligenza, e faccio in modo che quest'altra
creatura esista, perché non rimanga una "larva", un'idea nella mente dello scrittore o del
regista. Il mio rapporto col personaggio è fatto di intuizioni che avvengono al momento.
Daniele, sia nel libro che nel film, si conosce gradualmente, è sempre molto elusivo, non
parla, non comunica, si nasconde e poi, all'improvviso, c'è questa lunga confessione. Per
me sarebbe semplice dire che la scena che mi ha colpito di più è quella in cui racconto tutto
a Sabina, perché c'è emozione, c'è il ricongiungimento con la sorella, c'è la rimozione di un
blocco. Il personaggio di Daniele si rivela proprio in quel momento e le scene che vediamo
prima sono come una preparazione alla confessione. Però sono rimasto molto colpito dalla
scena in cui la moglie di Daniele cerca di aiutarlo a recuperare la sua paternità, ad avere un
rapporto normale con i figli, senza reticenze, distanze e paure: i due fanno una specie di
piccola recita, in cui la madre porta il bambino davanti a Daniele e lui gli dà il bacio della
buona notte, gli fa una carezza. Mi piaceva il modo in cui la scena analizza il rapporto fra le
cose vissute realmente e le cose recitate: la recita non reggeva, era soltanto una
pantomima. Non poteva avere effetti profondi il fare finta di essere padre, non è una
questione esteriore, c'è un lavoro più profondo da fare, che sicuramente inizierà a partire
dalla confessione.
C'è una differenza nell'essere diretto da una donna piuttosto che da un uomo? C'è qualche cosa
che dal tuo punto di vista cambia?
No. Il rapporto tra regista e attore è fondato su una differente posizione, su dei ruoli ben
precisi, ed eventualmente sull'amicizia che può esserci o non esserci. C'è il regista e c'è
l'attore, autore ed esecutore. Il secondo, magari, è in grado di portare qualcosa che il
regista inizialmente non aveva concepito e che scopre attraverso l'attore. Il maschile e il
femminile possono avere a che fare con la formazione della personalità del regista o della
regista, ma la relazione tra attore e regista è asessuata.
Alessio Boni
Chi sei nel film?
Franco, il ragazzo di Sabina. Franco è un attore. Cristina Comencini non sapeva molto di
me. Mi ha confessato che non guarda molto la televisione e non si ricordava del mio ruolo
in "Incantesimo". Il personaggio di Franco è integerrimo, crede molto nel suo lavoro,
vorrebbe fare solo teatro, cinema, e detesta la televisione. Mi sono rispecchiato in lui
perché a un certo punto è costretto a lavorare in una fiction seriale in cui interpreta un
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medico, proprio come "Incantesimo". Questo sdoppiamento mi ha molto colpito. Anche
Sabina è un'attrice, un po' più accomodante rispetto a Franco, lavora soprattutto al
doppiaggio ed è lei che mantiene l'appartamento e paga le bollette. Quando il film inizia,
Franco non ce la fa più, è da parecchio tempo che non lavora e decide di incontrare un
regista di fiction, di fare quindi qualcosa che va contro la sua concezione del lavoro di
attore. Il regista, Andrea, interpretato da Giuseppe Battiston, affascina molto Franco: è
divertente, sincero, a volte anche buffo, colto, intelligente. Franco decide di accettare il
ruolo nella fiction, si fa "corrompere" come dice lui. Il cambiamento di Franco sul lavoro si
intreccia con quello drammatico, tragico, di Sabina. A partire dall'incubo, dal tentativo di
scoprire quella verità così dolorosa, tutti i personaggi del film si trasformano e non ce n'è
uno che, alla fine del film, rimanga uguale a se stesso. È proprio questa la ricchezza del
film, l'intersecarsi dell'emotività dei sei personaggi principali. Mi ha colpito, anche nella
lettura del romanzo, questa quotidianità che si sviluppa giorno per giorno, tramite emozioni
e sensazioni che non si manifestano quasi mai del tutto, che rimangono spesso
nell'interiorità dei personaggi. Sono molto orgoglioso di aver fatto parte di questo progetto.
Come sei entrato nel personaggio?
E' stato un work in progress che ho fatto con Cristina. Lei ha creato il personaggio di
Franco, ha scritto il romanzo, la sceneggiatura e poi ha diretto il film e quindi conosceva
alla perfezione ogni sfumatura del suo carattere. Tutte le scene, anche quelle che
sembravano più facili, per Cristina rappresentavano delle parti importanti di Franco.
Quando ho letto il romanzo e poi la sceneggiatura, la cosa che mi ha colpito di più è stata la
confessione che Daniele fa alla sorella, quindi una scena che non mi appartiene, che non
ho fatto io, e che mi ha coinvolto come lettore e spettatore. Fra le scene che ho girato io,
non saprei dire quale sia stata quella più riuscita, perché ogni momento sul set richiedeva
una tensione e una concentrazione elevate, per capire cosa Cristina volesse trarre dalla
personalità di Franco, quale parte di lui volesse far arrivare al pubblico, tutte cose che lei
sapeva con assoluta precisione. È stata un'esperienza molto singolare quella con Cristina.
Non tutti scrivono un libro, ne fanno una sceneggiatura e poi dirigono anche il film. La
conoscenza totale che in questo caso il regista ha del personaggio è estremamente
gratificante per un attore. Per questo non c'è una scena che sia migliore delle altre.
Angela Finocchiaro e Giuseppe Battiston
Angela Finocchiaro, nel film interpreta il ruolo di Maria, una direttrice di doppiaggio abbandonata
dal marito, vero?
A.F. ...Mi metto a piangere...
E' tutto per finta... ci vuoi dire qualcosa del tuo personaggio?
AF: Maria non è solo stata lasciata dal marito: lui se ne è andato con un'amica della loro
figlia, di trent'anni più giovane. Maria, da quel momento è una donna lacerata. È illividita,
avvelenata dal rancore verso il marito perché il suo abbandono le ha irrimediabilmente
segnato la vita. Ora possiamo invece chiedere a Giuseppe Battiston, del suo personaggio?
Con lui Maria ha un qualche tipo di scambio, ma lo tratta piuttosto male…
GB: Il mio personaggio è un regista che Cristina Comencini definisce talentuoso, che per
campare è costretto a dirigere le fiction, le soap. È anche frustrato, perché la sua vera
passione è il cinema. Grazie all'incontro con Franco scopre una nuova carica vitale in sé e
comincia a scrivere un film. Andrea è una persona politicamente scorretta, è un
personaggio diseducativo: fuma moltissimo, si esprime con un linguaggio colorito, dice
delle cose molto cattive, ma anche molto vere.
Come vi siete preparati? Avete utilizzato anche il libro?
AF: Io il libro l'ho utilizzato tantissimo. Non mi sono limitata a leggerlo e rileggerlo, ma ho
preso tutte le cose che descrivevano la percezione che gli altri hanno di Maria e che Maria
ha di se stessa, il rapporto che lei ha con il suo aspetto fisico. Ho cercato di ricomporlo e
ricostruirlo in funzione del personaggio di Maria. Da questo punto di vista, il romanzo per
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me è stato fondamentale.
GB: Io invece ho fatto il procedimento inverso: ho letto prima la sceneggiatura e poi sono
andato a leggermi il romanzo per capire il perché di alcune cose, e per avere qualche
indicazione in più sul personaggio di Andrea Negri. Dal romanzo, per esempio, è emerso
quell'aspetto di scorrettezza che poi è diventato un tratto distintivo di Andrea nel film.
Nel corso della lavorazione c'è una scena che ti ha colpito particolarmente?
AF: In realtà è l'approccio di ogni personaggio ad ogni scena che mi colpisce. Ci sono delle
scene più intense, altre assolutamente liberatorie, ma l'intensità è presente in ogni
momento del film.
GB: Io invece sono molto legato alla scena in cui Negri prende in braccio il piccolo
Danielino: mi ha emozionato prendere in braccio un bambino, guardarlo, parlarci. Inoltre
credo che quella scena dica moltissimo sul personaggio di Andrea. Sicuramente è una
delle cose che ricordo con più affetto; è stata una giornata particolare e forse l'emozione mi
ha un po' frenato, ma sono contento di averla fatta.
Antonella Berardi
Com'è il tuo rapporto con Cristina?
Il primo film non l'ho fatto io e per il secondo sono stata chiamata dal produttore. All'inizio
quello con Cristina è stato un incontro un po' faticoso, molto impegnativo, ma anche di
grande soddisfazione. Cristina è una persona piena di idee, ma accetta volentieri le
proposte altrui. Mi piace molto lavorare con lei e anche con Paola ho un ottimo rapporto:
siamo affiatate, ormai, abbiamo realizzato molti progetti, anche diversi fra loro. Per
esempio, abbiamo fatto una "Traviata" a Firenze che è stata una cosa meravigliosa e
appassionante e che ha richiesto a tutti grande energia, e un grande consumo di idee. In
questo film non era facile riuscire a rendere la situazione psicologica dei personaggi. Il
costume deve essere un filtro che arricchisce e aiuta l'attore a interpretare il suo ruolo. A
ogni personaggio è stata dedicata una serie di colori che avrebbe dovuto rispecchiare le
sue caratteristiche. Guardando poi le foto di scena di Philippe (Antonello ndr.), mi sono
accorta di come la collaborazione intensa con la scenografia, abbia portato a dei risultati
veramente interessanti.
A volte sembra che i film di epoca contemporanea abbiano la stessa difficoltà di un film ambientato
nell'Ottocento.
Sì, perché bisogna evitare a tutti i costi quello che è ovvio, quello che comunemente si
vede in giro: un film non può essere un recipiente di quello che c'è in circolazione, bisogna
operare una selezione ben precisa.
Cristina aveva dato all'inizio la descrizione dei colori voleva, tutte le scene con i beige, il bianco e il
nero...
In questo caso si sapeva già a quale attore corrispondeva un certo personaggio. Nel mio
libro di questo film, sulla prima pagina io ho la tavolozza di colori, poi il primo piano
dell'attrice in tutte le situazioni, in cui è molto evidente la ricerca del colore giusto: in certe
situazioni sono presenti i colori chiari, in altre invece predominano i colori scuri.
Paola Comencini
Ci parli del tuo rapporto con Cristina?
Ho collaborato con Cristina in tutti i suoi film, sin dall’inizio, quindi il rapporto di
collaborazione va benissimo, perché ci conosciamo da sempre. Con Cristina si lavora
bene, è una persona molto preparata e ha le idee chiare sui risultati che vuole raggiungere.
In questo film, gli ambienti non dovevano essere troppo realistici, ma nemmeno sopra le
righe. Abbiamo quindi cercato prima di tutto di fare le cose in modo semplice, lineare,
senza esagerazioni, ma di dare anche uno stile a tutto quanto. La costruzione che abbiamo
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fatto nel Teatro 5 di Cinecittà non rappresenta un ambiente reale, ma fa parte del sogno e
del ricordo. Apparentemente, è un ambiente semplicissimo, una casa piccolo borghese
senza nulla di particolare, ma anche un po’ inquietante, misteriosa. Abbiamo usato questo
teatro enorme che ha una doppia funzione, da un lato c'è la costruzione, dall'altro lato c'è
una botola come una piscina che abbiamo riempito per metà di acqua e che serviva a
creare degli effetti di inondazione. Perché quella casa piccolo borghese, all’apparenza
innocua, era anche una casa da incubo, che alla fine viene colpita da una specie di
alluvione.
Qual è il grado di interpretazione che ha la scenografa nei confronti della sceneggiatura scritta: la
tua collaborazione è propositiva o Cristina ha un'idea degli ambienti e poi sceglie in base a quello
che tu le proponi?
Cristina ha le idee abbastanza chiare, sa quello che vuole, ma come tutti i registi, accetta
molto volentieri delle proposte, delle idee che magari non erano previste in sceneggiatura.
Chi fa il mio lavoro, deve aggiungere qualcosa di suo al film. Ci sono dei registi che hanno
tutto in mente per filo e per segno, ma sono una minoranza.
Qual è il rapporto di collaborazione tra scenografia e costumi?
Deve essere un rapporto molto stretto, come quello con il direttore della fotografia. Ci deve
essere unità di intenti, la volontà di realizzare il film insieme, altrimenti si rischia un film non
riuscito.
Se in qualsiasi film devi interpretare una cosa scritta, in questo ancora di più: gli ambienti devono
rispecchiare un peso psicologico.
Ci sono dei film che hanno un lato più spettacolare e altri che invece, come questo, sono
più sottili. Ci sono poi quelli in costume in cui devi ricostruire un’intera epoca. Io amo tutti i
generi e tutti i tipi di film, ed ogni volta secondo me bisogna fare uno sforzo creativo per non
essere banali.
Com'è la tua preparazione al film?
Il punto di partenza è la sceneggiatura che di solito fornisce le prime indicazioni, anche se
non molto esaustive. Una persona di una certa età, che appartiene a un determinato ceto
sociale e svolge un certo tipo di lavoro, può abitare in centinaia di case diverse. Lo
scenografo deve operare una scelta personale, deve capire qual è l’effetto che si deve
ottenere, se è preferibile inserire il personaggio in un ambiente del tutto normale, o se è
meglio realizzare qualcosa di più bizzarro ed eccentrico. Sono tutte decisioni che si
prendono insieme al regista.
Come la casa di Emilia con il telaio?
Il lavoro di Emilia era già in sceneggiatura. A meno che lo sceneggiatore non abbia
descritto minuziosamente anche l’ambiente (che è poi una cosa che non si fa mai), non è
detto che a un dato personaggio corrisponda una determinata casa. Un altro scenografo
avrebbe fatto la casa di Emilia in tutt’altro modo. Non è un fatto matematico, ognuno ci
mette la sua personale ispirazione.
Pensi mai a fare un libro sulla scenografia?
Sì, sarebbe divertente. Vorrei fare una specie di manuale, perché non tutte le persone
capiscono bene in che cosa consista il nostro lavoro. Mentre è chiaro a tutti quello che fa
uno scenografo teatrale perché disegna una scena che poi viene realizzata, lo scenografo
di cinema è un essere ibrido: si occupa degli esterni, degli interni, del teatro di posa, degli
ambienti dal vero, sceglie le automobili che passano, insomma, si occupa di tremila cose
diverse contemporaneamente.
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9
www.bloopers.it – errori nel film
Incongruenza
•
Quando Maria (Angela Finocchiaro) chiede a Emilia (Silvia Rocca) di uscire portano con
loro il cagnolino di Emilia. Lungo la strada decidono di andare a fare shopping e Emilia
compra degli abiti. Quando escono dal negozio è sera e non hanno più il cane.
•
Sabina (Giovanna Mezzogiorno) decide di andare a trovare il fratello in America e al suo
arrivo lo trova in Aeroporto che la attende. I due viaggiano dall'aeroporto fino a casa a
bordo di una Jeep (una bella carrellata sul volante toglie ogni dubbio sulla marca
dell'automobile). Quando Daniele (Luigi Lo Cascio) da dentro la macchina mostra alla
sorella la propria casa, si può vedere che sul parabrezza non c'è lo specchietto retrovisore
(probabilmente tolto per motivi di ripresa), quando invece Sabina scende dall'auto lo
specchietto ricompare attaccato al parabrezza.
recensioni
Tullio Kezich - Il corriere della Sera, 9 settembre 2005
Nell'introduzione alla sceneggiatura di La bestia nel cuore (Marsilio), la regista Cristina Comencini
autrice anche del romanzo originario (Bompiani) propone una metafora efficace: «L' idea di girare
un film da un mio libro mi sembrava come rientrare dalla porta di servizio in una casa amata, in cui
avevo vissuto in completa libertà per due anni». Questa sensazione di familiarità furtiva è proprio
quella che dà il film, molto applaudito ieri alla Mostra e visibile da oggi al cinema: l'impressione di
essere entrati nell' intimità dei personaggi, di aver appreso cose che in genere restano nascoste.
Si comincia con Sabina (Giovanna Mezzogiorno) che provvede alle pratiche per la traslazione
delle salme dei genitori insegnanti di liceo. Sotto i titoli passano le immagini vuote ma «parlanti»
dell' appartamento borghese dei defunti (l' ispirata scenografa è Paola, sorella di Cristina):
scrivanie, libri, senso di una vita sospesa: ma che vita è stata? Vediamo poi Sabina, che è una
doppiatrice, alle prese con la scena di uno stupro che le permette di dare voce all' interno affanno.
Questa ancora incognita «bestia nel cuore», che si svelerà cammin facendo, non riguarda tanto il
rapporto con il suo volatile compagno Franco (Alessio Boni), attore anche lui. E' in ballo qualcosa
che si collega a un trauma infantile, a uno di quegli inferni domestici di cui la protagonista riuscirà a
parlare dopo decenni di silenzio con il fratello Daniele (Luigi Lo Cascio) emigrato (ma forse
bisognerebbe dire fuggito) in Canada. Intorno al doloroso nodo centrale si delineano altri
personaggi, la non vedente Emilia (Stefania Rocca) innamorata di Sabina fin da quando ragazzine
facevano insieme i compiti («parlante» anche la sua casa immersa nell' oscurità), l'amica Maria
vulnerata e pragmatica che sfida il conformismo degli eufemismi chiamando cieca la cieca, salvo a
imbastire con lei un rapporto lesbico pieno di riserve; e non ultimo il regista di fiction Negri
(Giuseppe Battiston) che vorrebbe redimersi artisticamente. Rispetto al romanzo originario il film
costituisce una rivisitazione più intensa e lucida affidata a interpreti (tutti bravi, a partire dalla
bravissima Mezzogiorno) che fanno leggere le emozioni e inducono a condividerle. Per Cristina La
bestia nel cuore segna il momento dal quale non verrà più considerata la figlia di Comencini, ma
una cineasta in proprio; magari con la segreta aspirazione a trasformarsi idealmente in una
figlioletta adottiva di Bergman. Ma è bene per lei di essere cresciuta alla scuola familiare della
commedia all' italiana, una pratica le consente di schiarire le tetraggini del dramma rifugiandosi
nella salvifica provvisorietà del sorriso.
Paolo D'Agostini - La Repubblica, 30 agosto 2005
Non certo nuova tanto come romanziera quanto come regista all’indagine sulla famiglia e le sue
pieghe comiche o inquietanti, ma sempre rappresentate con uno speciale tocco di verità, anche
Cristina Comencini ha tradotto in film il suo (quinto) romanzo La bestia nel cuore (edito da
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Feltrinelli). Una protagonista, Sabina (Giovanna Mezzogiorno), e un gruppo di personaggi intorno a
lei tre donne e tre uomini. Più il fantasma dei genitori che non ci sono più, anzitutto il padre radice
di un malessere la cui ragione, sconosciuta ma oscuramente intuita, dovrà necessariamente
emergere alla luce perché dalla consapevolezza del dolore Sabina possa affrontare il futuro, la
costruzione di una famiglia propria. Doppiatrice per ripiego ma senza grave sofferenza. Sabina sta
con Franco (Alessio Baci) che invece crede nella missione dell’attore e soffre per la mancanza di
adeguati riconoscimenti Un posto importante occupa nella sua vita Emilia (Stefania Rocca) amica
d’infanzia, non vedente, inconfessatamente lesbica e pudicamente innamorata da sempre di lei:
quando Sabina deciderà di partire per il suo viaggio iniziatico alla ricerca della verità, in America
dove vive e lavora il fratello maggiore Daniele (Luigi Lo Cascio), le offrirà come sostituta per farle
compagnia la collega di doppiaggio Maria (Angela Finocchiaro) grazie alla quale, dopo molta
iniziale diffidenza, finalmente Emilia conoscerà l’amore. Completano il quadro Anita (Francesca
Inaudi). un’attricetta di cui Franco s’invaghisce in modo passeggero, e “Il regista”, il personaggio
più comico affidato a Giuseppe Battiston: figura di volgarità studiatamente convenzionale (l’artista
che si è deliberatamente sputtanato per fare soldi, in realtà consapevole della propria mediocrità)
che avrà però il merito di svegliare Franco dal suo cul de sac narcisistico e dal suo inerte
vittimismo di genio incompreso. Ritoccando qua e là il tono e sacrificando alcuni passaggi del libro,
il film insegue - anche oltre l’indicibile verità dell’abuso che ha oscurato l’infanzia dei due fratelli - la
conoscenza di quella “bestia” che sia pur informe meno estreme e dannose alberga in ogni cuore,
negli angoli bui di ogni personalità e di ogni vita.
Natalia Aspesi - La Repubblica, 9 settembre 2005
C’è un babbo, pur professore, in pigiama che ogni notte s’accosta al figlioletto addormentato e si
immagina che gli faccia brutte cose; e un paio di volte, con terrorizzanti effetti musicali, abbraccia
con le peggiori intenzioni anche la figlia davvero piccina, mentre la mamma, pure lei
professoressa, fa finta di niente, sferruzza, corregge i compiti.
Sarà pure un cupo sogno da indigestione, o un angoscioso incubo da trauma infantile sfumato dal
tempo, ma sarebbe comunque il virtuoso pretesto per fare un po’ di sempre gradito casino alla
Mostra. Invece: alla fine della proiezione di La bestia nel cuore, secondo film italiano in concorso,
che Cristina Comencini ha tratto dal suo romanzo dallo stesso titolo pubblicato da Feltrinelli,
applausi su applausi, poi ovazioni, lacrime («film magnifico, sorprendente, di grande valore civile»),
anche alla conferenza stampa dove gli attori, belli e giovani, si commuovono: scampato pericolo,
dopo il terrore diffuso l’altro giorno, alla proiezione per la stampa di I giorni dell’abbandono
dell’innocente Roberto Faenza, a causa di un solitario fischio trasformato in tragico fiasco per
eccitare gli animi mal sazi di scarseggianti polemiche.
Ieri il film della Comencini è uscito in più di duecento sale e può darsi che prima o poi qualche
brava persona, un’associazione di genitori, o insegnanti, o teocon,o addirittura padri incestuosi non
pentiti. salti su a protestare. Ci aveva già provato la censura, ricorda la regista:
«Mi sono trovata davanti a un tavolo con tanti signori gentili che mi facevano gentili domande, Ero
sicura che fosse tutto a posto, invece poi m’informano che il film sarà vietato ai minori di 14 anni
perché, dice più o meno la motivazione, suggerisce la demolizione della famiglia, centro positivo
fondamentale della società. Come se l’incesto lo avessi inventato io, come se, al solito, se di una
tragedia non ne parli, non esiste. Facciamo una gran scenata e una più vasta e autorevole
commissione rivede il film e si ricrede, togliendo ogni divieto». E cancella anche un altro
precedente dubbio censorio, quello che si riferiva all’inopportunità di rappresentare, tra Angela
Finocchiaro e Stefania Rocca «un rapporto saffìco con baci e amplessi», vergognoso in quanto
descritto come molto armonioso e felice. Forse i nuovi buoni esaminatori hanno pensato che se
una cinquantenne (ancora!) piantata dal marito per una ventenne (ancora!), s’innamora di una più
giovane donna che a sua volta l’ama (è lesbica e soprattutto cieca!) è umano e generoso lasciar
correre. Giovanna Mezzogiorno, doppiatrice, e Alessio Boni, attore di teatro costretto a fare fiction,
sono marito e moglie e si amano: lei confida all’amica d’infanzia cieca che la bacia sulla bocca, di
non avere ricordi. Ha invece un incubo notturno in cui si rivede bambina, seduta su un letto,
l’ombra vasta di un pigiama che si china su di lei. Messo aspetta un bambino, vuole chiarire quel
nero grumo di vuoto che la tormenta, e raggiunge il fratello Luigi Lo Cascio, docente in
un’università americana, sposo e pacche apparentemente felice. In una festosa notte di
Capodanno, lui spiegherà alla sorella, piangendo, perché non è mai riuscito ad abbracciare i suoi
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figli: «Ci sono dolori da cui è impossibile guarire: il nostro è uno di questi». E racconta di quel
padre irreprensibile di giorno e lupo mannaro di notte,del danno che li ha privati dell’infanzia e ha
reso doloroso il loro crescere. «E mi sono chiesto a cosa gli serviva tutto quello che sapeva, se ha
fatto quello che ha fatto». Cristina, una delle quattro figlie di Luigi Comencini, romanziera e regista
di successo al suo ottavo film (il primo invitato in concorso a un festival) tre figli da due matrimoni,
di quieto rigore protestante (è valdese) dice di essersi chiesta «che tipo di adulto diventa chi ha
subito una violenza come quella incestuosa, quale ferite lascia una simile sopraffazione». Negli
anni 70, in tempi di rivolta contro i padri, si tentò di decretare la morte della famiglia,
sbandierandone i possibili orrori. «Ma oggi tutto si è ricomposto, sotto il potere enorme della
Chiesa che difende l’idea di un nucleo ideale rifiutando la realtà delle sue distorsioni o dei suoi
mutamenti. Io ho tentato di scoperchiare quella pentola sigillata che si vuole sia la famiglia, per
parlare liberamente di quel limite tra amore e sopraffazione, da non superare, oltre il quale si
producono ferite non rimarginabili». (…)
Alberto Crespi - L’Unità, 9 settembre 2005
Che sollievo un bel film italiano in concorso, senza tiratori scelti appostati. La bestia nel cuore di
Cristina Comencini è stato accolto, alla proiezione stampa, da un convinto applauso: i fischi che
avevano martoriato Baciato e Faenza hanno taciuto. La metafora dei «tiratori scelti» è stata usata
da Faenza e la usiamo per comodità, più che di cecchini,si tratta a nostro parere di una «ferocia
preventiva», diffusa, che il pubblico delle proiezioni stampa soffre nei confronti dei film italiani.
Essendo un pubblico che rappresenta se stesso, i suoi ululati non hanno alcuna influenza sulla vita
di un film, ma lì per lì fanno male, e quindi regìstriamo con piacere un dato: Cristina ha domato la
bestia. Il merito, secondo noi,è di Angela Fmocchiaro. Ci spieghiamo: La bestia nel cuore è un
dramma dai toni forti, che rischia continuamente di cadere nel melodrammatico; ma per fortuna c’è
un personaggio, interpretato dalla bravissima attrice milanese, che strappa la risata ovunque si
rischi la lacrima. Angela ha preso per mano il pubblico e l’ha trascinato con sé, «costringendolo» a
godersi il film. Del resto, è lì per questo: la regista e le sue complici in fase di scrittura (Francesca
Marcìano e Giulia Cateda) sono state abilissime nel calibrare i toni, nel mescolare pathos e
umorismo. Papà Luigi (Comencinì) può essere orgoglioso di sua figlia: lui, quando si trattava di far
ridere e piangere insieme, era un maestro. A differenza della sorella minore Francesca (autrice di
film folgoranti tra documentario e fiction, come, Carlo Giuliani ragazzo e Mi piace lavorare) Cristina
Comencini non è una frequentatrice di festival,e lo confessa quasi con orgoglio: «Checca (la
chiama sempre così, ndr) fa i film impegnati, io lavoro per il pubblico».
A Venezia, che la vede esordiente, quasi non voleva venirci: e adesso, sia a vedere che le tocca
anche ritirare qualche premio. Del resto, La bestia nel cuore, se ben lanciato e ben distribuito,
piacerà al pubblico, che in tempi recenti ha premiato i nuovi mélo italiani, da Ozpetek a Muccino. E
qui la materia del melo non manca. Sentite la trama. Sabina è una giovane attrice che convive con
un collega, Franco. Lui sogna il cinema ma accetta un ruolo di chirurgo in una specie di «E.R.»
casereccio, lei tira avanti con il doppiaggio ma sembra serena, se non fosse per un incubo
ricorrente che la perseguita. E un incubo in cui Sabina torna bambina, rivede fa casa dove viveva
con i genitori e il fratello Daniele, e «sente» che in quell’interno borghese è successo qualcosa di
indicibile. Parlarne con l’amica d’infanzia divenuta cieca e omosessuale; o con una collega più
anziana che il marito ha lasciato per una ventenne, serve a poco: le due hanno ferite
apparentemente più gravi della sua... Sabina prende quindi la decisione di raggiungere Daniele in
America, dove vive da anni, per Natale. Fa niente se Franco, approfittando della sua assenza,
finirà per tradirla; e buon per loro scie due amiche, incontratesi grazie a lei, danno il via a una
bizzarra e tenerissima storia lesbìca. La verità si nasconde nei ricordi di Daniele, che in America si
è costruito una famiglia, sembra felice, ma cova anche Iui una bestia nel cuore»...
La storia, che la Comencini ha tratto da un proprio romanzo,è piena di trappole patetiche, ma il film
le supera grazie al correttivo dell’ironia. La bestia nel cuore è un romanzone di genere, cinema
popolare raccontato in modo tradizionale ma efficace, e benissimo recitato. Prima abbiamo lodato
la Finocchiaro, una super-caratterista che il nostro cinema usa troppo poco, ma tutto il cast è di
alto livello: Giovanna Mezzogiorno, Alessio Boni, Stefania Rocca, Giuseppe Battiston e Luigi Lo
Cascio, nel ruolo breve ma intenso del fratello americano.
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Roberto Silvestri - Il Manifesto, 9 settembre 2005
L'infermiera ferma l'omaccione: «Che fa? Posi il neonato. I bambini li toccano solo i genitori!». E
chi lo dice? «Il regolamento». Bel regolamento... Ma questo è il finale, ricominciamo dall'inizio. È
stata toccata, violentata, da bambina, dall'avente diritto, dal padre - mite professore di liceo - ma
solo due volte, come passatempo quasi casuale tra pratiche sessuali notturne più intensive e
continuate, sfogate sul fratellino di dieci anni, e con la mamma silenziosamente complice, perché
la famiglia, comunque sia «dentro», è struttura portante e modello etico della società (che istiga
allo sfruttamento totale di chi è più forte su chi è debole). Però Sabina (Giovanna Mezzogiorno)
cresce bella e felice, lavora, si sposa, rimuove tutto, ma dopo la morte dei genitori, da qualche
piccolo segno e sogno ricorrente o indizio nascosto, e rivedendo il fratello (Luigi Lo Cascio)
«fuggito» in New England e nel mito greco per «cancellare tutto», scopre la verità.
Nel frattempo sta partorendo nel posto più bello del mondo, tra gli ulivi salentini, ma sulla littorina
vuota e squallida delle Ferrovie del Sud-Est; il marito, attore ormai cinico (Alessio Boni) l'ha
appena tradita con una attricetta di soap opera; la migliore amica (Stefania Rocca), diventata via
via cieca, s'è fidanzata con la vice migliore amica (Angela Finocchiaro in forma smagliante),
abbandonata dal marito che sta con una coetanea della figlia; le tocca pure doppiare un filmaccio
televisivo (di Eros Puglielli) tutto stupri, violenze e luoghi comuni; e il regista del marito, di nome A.
Negri (!?), frustrato dalle «idiozie della tv», congegna un film, finalmente per il grande schermo,
sulle anime belle della notte (due cavalieri netturbini) che ritrovato un neonato nel cassonetto, se lo
prendono... Cristina Comencini, 16 anni di regie, questa volta firma La bestia nel cuore, horror in
cornice di tragedia leggera o commedia seria, tratto dalla lettura intensiva delle prime pagine dei
soli quotidiani «mielisti», e da un suo romanzo. Produce Riccardo Tozzi, che viene dalla tv e non
ha rimosso né ha rimorso. Sembrano incestuosi tutti questi rapporti e impasti di generi e registri,
ma La bestia del cuore, presentato ieri in gara, di complicazioni ne inanella ancora di più. Ma tutte
represse. Il metissage liberatorio non abita nel film. È nel fuori campo. Ma l'umorismo che ha
ereditato dal padre, e forse da una delle due coautrici del copione, Francesca Marciano, impedisce
però a Comencini (sorretta da una partitura «bocca a bocca» di Franco Piersanti) di far solo
esercizio di meditazione e respirazione ombelicale. Inoltre. Giovanna Mezzogiorno (complice la
sua band di compagne, di qua e di là dal set) salva miracolosamente la traversata, perché prende
il suo ruolo professionale di doppiatrice (frustrata da una carriera di attrice interrotta dalla crisi) sul
serio. Come chiave di accesso a immagini che svelino un doppio fondo. Si fa «doppia» lei stessa,
e ci conduce nel mondo ambiguo e «double face» della vita in presa diretta, dove tutto il
raccomandabile è mostruoso, e di drop out non ne esistono più. Da quando deve riempire di urla e
gemiti falsi squallide immagini da sonorizzare a quando deve dare un senso alle forme, vere e
insostenibili, che ne straziano l'inconscio. Come fare? Usando il metodo Nabokov. In Lolita è la
schizofrenica regressione all'infanzia del pedofilo che eccita l'irresistibile pulsione. E che va curata,
non cancellata con la delazione e la vendetta occhio per occhio. Ebbene Mezzogiorno, tiene
sovrimpressi i due aspetti, l'infantile dolcezza e la coraggiosa ribellione. Irradiando il mondo
circostante di buone good vibrations letterarie. Tanto che a un tratto sembra proprio l'Immacolata
concezione degli ulivi.
Roberta Ronconi - Liberazione, 9 Settembre 2005
Avevano paura,Cristina Comencini e i suoi attori Giovanna Mezzogiorno, Alessio Boni, Luigi Lo
Cascio, Stefania Rocca, Angela Finocchiaro e Giuseppe Battiston. Comprensibile, peri il gruppo
che ieri ha presentato al festival di Venezia il secondo filai italiano in concorso La bestia nel
cuore,dopo i fischi riservali dalla critica agli altri italiani, Faenza e Battiato. A dimostrazione che i
franchi tiratori denunciati da Faenza non sono altro che spettatori tutt’altro che mal disposti gli
applausi sono giunti liberatori alla fine della proiezione del film per la stampa.
Tratto con un certo rigore dal suo romanzo omonimo, Cristina Comencini trasforma in immagini e
in personaggi in carne ed ossa la vicenda di Sabina, giovane donna che vede spezzarsi
incomprensibilmente il suo equilibrio interiore proprio nel momento in cui dovrebbe essere più
felice alla scoperta di una maternità. La strana inquietudine le si manifesta nei sogni notturni, dove
lei bambina vive l’incubo dl uno stupro paterno. Dapprima confuse, le immagini della notte si fanno
sempre più limpide, sino a costringere Sabina accetta le spiegazioni. Per trovarle, parte verso gli
Stati Uniti dove da anni vive il fratello Daniele, assieme alla giovane moglie e ai due figli. Una
decisione che le darà ragione:il fratello è proprio la chiave del mistero e colui che la aiuterà a
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conoscere e a convivere con la bestia che dimora anche nel suo cuore. Accanto ai due fratelli, le
vicende di altri personaggi Emilia, amica d’infanzia di Sabina divenuta cieca per una malattia della
retina; Maria,collega di lavoro di Sabina, Franco il marito. Ognuno vive un suo incubo, ognuno è
alla ricerca di una strada per uscirne. Fedele al testo, dicevamo, questa trasposizione
cinematografica.Tanto da fairci chiedere a Cristina Comencini quale sia stata la sua urgenza di
raccontare, usando mezzi diversi, la stessa storia. «E’ la prima volta che faccio un’operazione del
genere con un mio lavoro letterario - risponde la regista -.Questa volta sentivo che i personaggi del
romanzo avrebbero potuto trovare un’ulteriore verità sullo schermo». Eppure, insistiamo, le scelte
di regia non ci sembrano segnate da uno stile alternativo a quello della pagina. Comencini a
conferma di aver girato delle scene visivamente forti ma che poi non ha montato:«Sì, perché alla
fine ho scelto stilisticamente una coerenza narrativa. Ho pensato che i personaggi esprimessero
già in modo molto forte le emozioni». Il temibile pubblico della sala del Palagalileo (quella qui a
Venezia dove i critici vedono per primi i film) come abbiamo detto ha più volte applaudito durante
la proiezione e a volte anche riso; nei momenti più lievi affidati alla bravura di Angela Finocchiaro.
Che pure, nella parte dì Maria, affiorava il bellissimo personaggio di una donna oltre i quaranta
abbandonata dal marito che riscopre l’amore iniziando una relazione con Emilla. Applausi sin
troppo generosi, La bestia nel cuore cinematografica a nostro parere non aggiunge nulla alla
lettura del romanzo ed è priva di scelte stilistiche forti. Osservazioni che non impediranno al film di
andare bene in sala, con il merito di portare alla visione del grande pubblico temi non consolatori,
Altro merito, quello di avere strappato qualche risata di cui sentivamo il bisogno. La bestia nel
cuore ha avuto inoltre la sua parte di polemiche. Pochi giorni prima dell’arrivo del film al Festival,
infatti,la commissione di censura sembrava volesse decretarne il divieto ai 14 anni per le scene, tra
l’altro castissime, di amore lesbico tra Maria ed Elena. Le motivazioni, che ci rivelata stessa
regista, si commentano da sole: «Hanno scritto che il film minava la centralità della famiglia
italiana, disegnando come felice solamente il rapporto saffico. «Motivazioni clerico-fasciste» - le
definisce giustamente Comencini. L’indicazione della commissione di censura è stata poi rivista e
cancellata Ma il datore sta, ed è davvero inquietante. Come una bestia nel cuore del paese.
Maurizio Cabona - Il Giornale, 9 settembre 2005
Francesca Comencini, di Luigi, ha girato Mi piace lavorare su lavoro & mobbing ed è andata al
Festival di Berlino. Cristina Comencini gira La bestia nel cuore, traendolo da un suo romanzo
(Feltrinelli), su pedofilia & incesto e va alla Mostra di Venezia.
Personaggio principale di quest'ultimo film, un'impiegata? No, una doppiatrice (Giovanna
Mezzogiorno). Convive con un elettrotecnico? No, con un attore (Alessio Boni). Il fratello (Luigi Lo
Cascio) di lei è un geometra? No, è latinista in un ateneo della Virginia e abita in un maniero.
L'amica del cuore è una sartina prossima alle nozze col panettiere? No, è una lesbica cieca che, a
Natale, si «regala» la matura capo-doppiatrice (Angela Finocchiaro), piantata dal marito per una
ventenne. A Capodanno, in Virginia, la Mezzogiorno apprende dal fratello che sono ricordi, non
incubi (la forza del rimosso!), gli stupri subiti dal padre, annoiato del fratellino. Madre connivente.
Ora i genitori sono morti dello stesso male. Ma proprio quella notte il convivente, rimasto a Roma,
tradisce. E la doppiatrice è incinta! Ricapitoliamo: stupro plurimo continuato e aggravato da
rapporto familiare, pedofilia, cancro, infedeltà semplice e adulterio. Aborto niente. Però c'è un parto
drammatico, con rottura delle acque sul solo treno che viaggi vuoto d'estate!
Eccessive nello sbeffeggiare Il giorno dell'abbandono, stampa e cinefilia hanno ecceduto
nell'applaudire La bestia nel cuore al punto che un corifeo Rai-Tv ha già reclamato il Leone per
questo film. .. Rai-Tv. Normale. Ricordate nel 2003 Buongiorno, notte di Bellocchio? E nel 2004 Le
chiavi di casa di Amelio? Parevano avere il Leone in tasca. La fine è nota. Meno nota è la revoca
della proiezione della Bestia nel cuore programmata l'altro ieri sera per i soli quotidiani. I produttori
negano un veto; la Mostra anche. Ma il tam-tam del Lido ripete che si voleva evitare un secondo
caso Faenza, cioè che risate di scherno «contagiassero» il grosso della stampa alla proiezione
della mattina dopo. In effetti gli sberleffi sono stati minimi. Giusto così. Nella Bestia nel cuore
l'umorismo involontario serpeggia nell'apocalittico cumularsi di sventure, non erompe dai dialoghi.
E poi, tranquilli: il ridicolo irrita sempre, ma non seppellisce più.
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