la bestia nel cuore
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LA BESTIA NEL CUORE A D.e S. che non ho conosciuto, di cui ho letto su un giornale. Sabina è bella, ha un compagno che la ama, una vita serena.... Ma è davvero felice? Da qualche tempo, strani incubi la tormentano. Quando scopre di aspettare un bambino una finestra di ricordi si apre sul suo mondo interiore: l'infanzia, la famiglia, i riti di una borghesia severa e rassicurante al tempo stesso. Ma questa è soltanto la superficie. Più in fondo si agita qualcosa di oscuro e inquietante… scheda tecnica durata: 120 minuti nazionalità: Italia, Gran Bretagna, Spagna, Francia anno: 2005 regia: CRISTINA COMENCINI soggetto: dall’omonimo romanzo di CRISTINA COMENCINI, edito da Feltrinelli sceneggiatura: FRANCESCA MARCIANO, CRISTINA COMENCINI, GIULIA CALENDA. produzione: RICCARDO TOZZI, GIOVANNI STABILINI, MARCO CHIMENZ per CATTLEYA e RAI CINEMA in coproduzione con BEAST IN THE HEART FILMS LIMITED (REGNO UNITO), ALQUIMIA CINEMA (SPAGNA), BABE (FRANCIA), in collaborazione con SKY fotografia: FABIO CIANCHETTI montaggio: CECILIA ZANUSO scenografia: PAOLA COMENCINI suono: BRUNO PUPPARO costumi ANTONELLA BERARDI musiche: FRANCO PIERSANTI interpreti: Giovanna Mezzogiorno (Sabina), Alessio Boni (Franco), Stefania Rocca (Emilia), Angela Finocchiaro (Maria), Giuseppe Battiston (Negri), Luigi Lo Cascio (Daniele), Valerio rinasco (padre), Francesca Inaudi (Anita), Lucy Akhurst (Anne), Lewis Lemperuer Palmer (Giovanni), Jeke-Omer Boyayanlar (Bill), Simona Lisi (madre) La parola ai protagonisti Cristina Comencini Cosa racconta La bestia nel cuore? Il film è tratto dal mio ultimo romanzo. Racconta la storia di Sabina, un'attrice che non ha avuto molto successo e lavora come doppiatrice. Vive insieme a Franco, anche lui attore, sono innamorati l'una dell'altro e la loro vita è abbastanza serena. Una notte, Sabina ha un incubo che la riporta indietro nel tempo. Il sogno sembra rimandare a un episodio angoscioso, terribile e violento, avvenuto quando lei era ancora una bambina. Tutta la sua vita comincia a cambiare, anche il rapporto con Franco. Sabina cerca di scoprire se [email protected] 1 nell’incubo ci sia qualcosa di vero e interroga la sua migliore amica, Emilia, una ragazza che ha perso la vista e che vive isolata dal resto del mondo. Con il suo aiuto, Sabina cerca di mettere ordine fra i suoi ricordi, ma le sembra che gliene siano rimasti ben pochi. Decide allora di parlare con il fratello Daniele, che vive da molti anni in America, e parte per gli Stati Uniti, dove riuscirà a scoprire cosa si nasconde dietro l’incubo che la tormenta. Nel frattempo, in sua assenza, i destini delle persone che ha provvisoriamente lasciato si intrecciano, come se la ricerca della verità di Sabina coinvolgesse indirettamente tutti quelli che le stanno accanto. Quale caratteristica porta al suo personaggio ogni attore in questo film? Il centro del film è Sabina, ma gli altri personaggi non sono secondari: Franco, Emilia, Maria (una collega di lavoro di Sabina che è stata da poco abbandonata dopo vent’anni dal marito per una ragazzina che ha l’età della loro figlia), Daniele, tutti sono in parte collegati all’angoscia di Sabina, ma hanno anche un’esistenza autonoma rispetto a lei, un proprio percorso all’interno del film. Il personaggio principale è il tramite attraverso cui si sviluppano le loro storie personali, e contemporaneamente, queste storie personali rimandano sempre alla situazione centrale del film. Se dovesse raccontare il film in un minuto, che scena del film sceglierebbe? E se dovesse invece raccontare il libro con una pagina, che pagina sceglierebbe? Se dovessi raccontare il film in un minuto direi: è la storia di una donna che ha un grande incubo che la mette in contatto con una parte di sé che non conosce e arriva a stravolgere tutta la sua vita. Scoprendo la verità, potrà ricominciare a vivere. La scoperta di una verità lacerante è un elemento che tutti i personaggi hanno in comune: ognuno di loro potrà costruire qualcosa di nuovo solo dopo che questa verità sarà stata svelata. Non a caso, il momento più intenso del film, il suo apice drammatico, è la confessione che Daniele è costretto a fare a Sabina. Anche nel libro il momento in cui si scopre la verità è quello più importante. Sia con il romanzo che con il film volevo raccontare il fondo oscuro di ognuno di noi. Qualcosa che ci portiamo dentro sin da quando siamo bambini, o forse anche da prima. Un’origine comune della nostra affettività, dell’amore, di tutti i nostri legami, un’energia che fa parte della natura umana e non ha connotazioni positive o negative, ma cui noi dobbiamo dare un volto, una forma che non ci faccia soffrire e che riesca a colmare i nostri vuoti. La storia di Sabina e Daniele coinvolge tutti i personaggi e li mette in contatto con il loro fondo oscuro. Durante la lavorazione cosa ha trovato difficile da realizzare? Il film è stato molto complicato: lo abbiamo girato in 11 settimane, in pieno inverno, in America, in Inghilterra e poi a Roma, nel Salento e a Cinecittà, dove abbiamo fatto tutti gli effetti dell'acqua. È stato un lavoro estremamente faticoso, ma anche coinvolgente: proprio perché si tratta di un film denso, forte, emotivo, durante la sua lavorazione mi sono chiesta dove fosse la verità e come riuscire a renderla attraverso il cinema. In un libro non sei costretta a mostrare tutto, hai molti più strumenti, molto più tempo per andare in profondità. Da questo punto di vista è stato importantissimo il lavoro degli attori, che hanno corrisposto alle loro parti in maniera eccezionale. Ognuno di loro aveva letto il libro e quindi aveva la possibilità di conoscere del proprio personaggio molte più cose rispetto a quelle che avrebbe poi dovuto recitare. Sono stati anche molto conservatori, non volevano che io cambiassi nulla, mentre a me sembrava giusto che il libro venisse adattato. Tutti gli attori hanno fatto un lavoro di scavo e sono riusciti a dare ai loro personaggi una grande profondità umana. Un altro elemento fondamentale del film è stato l’ambientazione: con tutto il reparto “estetico” abbiamo fatto un lavoro molto particolare, perché La bestia nel cuore non è un film realistico, ma psichico. Paradossalmente, l’unico set che sembra reale è quello televisivo, forse perché la nostra realtà, ormai, è la televisione. Le altre ambientazioni, soprattutto la “casa dei morti”, la casa dell’infanzia, danno invece l’impressione di un universo del tutto psichico, costruito appositamente per il cinema. [email protected] 2 C'è una scena cui è particolarmente legata? Ce ne sono parecchie: una scena piena di atmosfera è quella in cui Emilia (Stefania Rocca), seduce Maria (Angela Finocchiaro). È in piano sequenza. E' una scena molto calda e vera, credibile: tenera e allo stesso tempo sensuale. Poi, c’è la scena della confessione che Daniele fa a Sabina e, subito prima della confessione, la scena fra i fuochi d’artificio, in cui Sabina esce e chiede urlando al fratello che cosa è accaduto. L’abbiamo girata soltanto due volte, perché Giovanna Mezzogiorno era così concentrata che è riuscita a farla subito. La sequenza dell’incubo è stata realizzata a più riprese: per prima cosa ho girato con la bambina. È stato davvero difficile, non volevo turbarla in nessun modo. La scena andava poi inserita nello schermo della sala doppiaggio. Tutta la sequenza si basa dunque sul rapporto fra realtà e finzione cinematografica. È stata una parte del film a cui ho pensato molto e che non si è sviluppata del tutto sul set, ma è stata completata durante il montaggio. Che sensazione si prova scrivendo un libro e poi vedendo alla fine la realizzazione del film? Non credevo che avrei mai tratto un film da uno dei miei libri. I romanzi che ho scritto raccontano di solito avvenimenti che si svolgono in un arco di tempo molto lungo e c’è il rischio che al cinema, queste storie diventino dei “polpettoni”. E poi ho sempre scritto i romanzi proprio perché, a differenza del cinema, nei libri potevo dedicarmi al puro piacere della parola scritta. In questo caso però sono subentrati diversi fattori: nel libro c’era già il cinema, i personaggi sono attori; inoltre il racconto occupa un periodo di tempo breve, i nove mesi di attesa di un bambino. Ho pensato che il cinema potesse aggiungere al libro qualcosa di nuovo. Anche gli attori sono riusciti a trasformare enormemente i personaggi, rendendoli autonomi rispetto a quelli del libro. E tuttavia, nonostante tutti i cambiamenti, le cose che abbiamo tolto e le scelte puramente cinematografiche che abbiamo fatto, rivedendo il film adesso, mi sembra che l’atmosfera presente nel libro si possa ritrovare anche nel film. Gli effetti con l'acqua? E’ stato un problema che abbiamo dovuto affrontare con Paola (Comencini, ndr), gli operatori e la produzione: nessuno in Italia ha una grande esperienza di riprese con l’acqua. Persino Vajont è stato realizzato soprattutto con effetti digitali. Noi invece abbiamo allagato la casa davvero. Nel Teatro 5 di Cinecittà c’era già la casa dove giravamo gli incubi, un ambiente del tutto irreale perché a seconda dei ricordi, la casa prende forme diverse: spariscono i corridoi, le stanze cambiano posizione, in una geografia che non ha nulla di realistico ed è del tutto emotiva. Questa è stata un’idea di Paola, molto bella. Oltre a girare in questa casa distorta dai ricordi, avevamo anche parti di casa costruite sui ponteggi con l’acqua sotto. Gli effetti erano diversi: uno di essi consisteva nel fare scendere nell’acqua una grande pedana con tutti i mobili sopra, che dovevano restare fermi e essere completamente seppelliti dall’acqua. La prima volta che abbiamo fatto scendere la pedana, nulla è rimasto al proprio posto, la forza dell’acqua è stata tale che ha travolto tutto quanto. Abbiamo dovuto inchiodare i mobili, i libri, i quaderni, tutto quello che faceva parte della casa e alla fine siamo riusciti a ottenere l’effetto che volevamo. È stato interessante girare un film così intimista, utilizzando però degli effetti da film catastrofico. Ci sono delle cose che ha scoperto al montaggio e che non aveva "visto" quando ha scritto e quando ha girato? La scoperta più grande, in fase di montaggio, è stata la “casa dei morti”. Di solito, mentre giro, io ho già il montaggio in testa, però la scena dell’incubo è venuta fuori in tutta la sua forza solo dopo che avevamo assemblato il materiale. Il resto del film l’ho vissuto moltissimo sul set. La maggior parte delle scene era già chiara durante le riprese, e nessuna di esse ha avuto bisogno di molti ciak. È stato un film in cui si è sentita una forte complicità fin dall'inizio: gli attori stavano spesso insieme, andavano a cena tutti insieme e addirittura Stefania Rocca e Angela Finocchiaro si vestivano allo stesso modo. Mi ha ricordato un po' quello che succede a teatro quando si instaura una solidarietà umana con il gruppo degli attori, con il regista, con i tecnici. [email protected] 3 Giovanna Mezzogiorno Ci parli di Sabina, il personaggio che interpreti? Sabina è il personaggio intorno al quale ruota tutta la vicenda: la sua vita, apparentemente serena, comincia a cambiare nel momento in cui scopre di aspettare un bambino. Fa un sogno sconvolgente, le affiorano ricordi poco chiari, capisce di aver smarrito parte del suo passato e decide di andare a trovare suo fratello negli Stati Uniti, perché sente di dover chiarire qualcosa a livello sentimentale e familiare. Sabina sarà costretta ad accettare la verità per poter poi costruire una vita normale, essere madre, ricomporre il rapporto con Franco - tutte cose che vengono messe in crisi. Come ti sei preparata per lo studio del personaggio? Hai letto anche il libro di Cristina? Per preparare Sabina ho letto il libro di Cristina ancora prima della sceneggiatura. L'ho trovato molto intenso e forte, ma anche difficile. Ho aspettato la sceneggiatura con una certa apprensione, perché non è facile che un film sia all'altezza del romanzo. In questo caso il lavoro rispecchiava in pieno l'atmosfera del libro, soprattutto per quanto riguarda l'intrecciarsi delle vite dei personaggi, le casualità, le coincidenze che vengono svelate a poco a poco, la graduale risoluzione dei problemi. Mi sono preparata seguendo soprattutto Cristina, perché non amo prepararmi da sola e preferisco affidarmi molto alla regia. Di solito, chi dirige un film ha un'idea chiara di come quel film deve essere realizzato e se io accetto di farlo, significa che ho molta stima e fiducia nel regista. Cristina aveva una chiara idea anche di come avremmo dovuto recitare: in maniera non naturalistica e non minimalista, al contrario di quanto accade spesso nei film italiani. Il che non significa utilizzare un tipo di recitazione enfatica, ma soltanto priva di quel minimalismo un po' sporco che oggi è molto di moda. L'inizio del film è stato difficile perché siamo partiti subito per l'America, e poi per l'Inghilterra per girare le scene con Luigi Lo Cascio che interpreta Daniele, mio fratello. Abbiamo dovuto affrontare subito il nucleo centrale del film, la confessione di Daniele a Sabina, il momento in cui la verità viene a galla, le scene per me più complesse. Ero preoccupata, ma è andato tutto bene. La direzione di Cristina è precisa, e lei è molto disponibile e attenta con gli attori, sempre pronta a rispondere a dubbi e domande. Con Luigi, inoltre, c'è stata una grande sintonia, nonostante non ci conoscessimo e non avessimo mai lavorato insieme. C'è una scena che ti ha particolarmente colpito? Se c'è, perché? Di sicuro tutte le scene girate in America, e soprattutto quella in cui Daniele racconta a Sabina ciò che è realmente accaduto nella loro famiglia. Da quel momento in poi Sabina non sarà più la stessa. In realtà la comprensione della verità non avviene all'improvviso, ma gradualmente, attraverso una serie di elementi che si sovrappongono nella mente di Sabina: prima gli incubi che ha a Roma e il fastidio che comincia a provare nei confronti del suo compagno, il fatto che non riesce più ad avere rapporti con lui, poi la partenza per gli Stati Uniti, dove Sabina rivede il fratello dopo parecchi anni e si rende conto di che persona sia veramente. Daniele ha enormi difficoltà con il contatto fisico, non riesce neanche ad abbracciare sua sorella all'aeroporto. Questi problemi condizionano sia la relazione con sua moglie che con i suoi figli. All'inizio Sabina non riesce a mettere insieme tutti questi particolari, ma poi tutto si ricompone, grazie a una frase casuale detta dalla moglie di Daniele la sera di Capodanno. Questa frase fa emergere in Sabina una consapevolezza accumulata giorno dopo giorno, minuto dopo minuto e che alla fine esplode, scatenando una reazione molto violenta. Poi c'è la lunga confessione di Daniele, un'intera nottata che i due fratelli passano insieme. Quello è stato un momento intenso, emozionante e faticoso e credo che il risultato sia molto forte, e che siamo riusciti a fare qualcosa di vero. [email protected] 4 Stefania Rocca Chi è Emilia? E' una donna di trent'anni che è diventata cieca più o meno all'età di venti e quindi forse non l'ha ancora accettato e vive di solitudine. E' una donna passionale che crede nei sentimenti, per lei l'amicizia e l'amore sono due sentimenti molto importanti. Credo che la cecità già dica tutto: è una persona che vive di ricordi; nel momento in cui ha saputo che sarebbe diventata cieca ha incominciato a imprimersi nella mente il più possibile tutto quello che poteva vedere. E' una donna forte e vulnerabile nello stesso tempo. Come ti sei preparata a questo ruolo? Ho visto anche una scena molto particolare e difficile: tu sei affezionata a questo telaio che è la tua passione e devi muovere le mani mentre stai con lo sguardo fisso. Emilia cerca in tutti i modi di essere indipendente, e per questo rifiuta di uscire, o comunque esce solo con quelle persone che conosce da tanto tempo. È indipendente anche nel suo lavoro con il telaio, che le permette di restare a casa e di non uscire. Per questo ruolo ho passato molto tempo con un'associazione di ciechi a Parigi, ho cominciato a lavorare con loro, ho fatto tutto il training che fanno i bambini quando diventano ciechi. Poi ho cercato di stare due o tre ore al giorno con gli occhi chiusi, fino ad arrivare ad un totale di due giorni: si ha un altro rapporto con la vita; con il giorno, la luce, con i tempi, gli orari: la loro percezione cambia completamente. La produzione mi ha dato un insegnante che mi aiutasse a lavorare con il telaio. Prima ho imparato a usarlo a occhi aperti, poi per acquisire manualità e sentire telaio e fili come può sentirli un cieco, ho cominciato a tapparmi gli occhi. Come vive Emilia l'amore ? Per Emilia l'amore è legato ai ricordi. Il suo amore non corrisposto per Sabina nasce dal fatto che è la sua migliore amica da tanti anni, l'ha seguita nel suo percorso di dolore e le è rimasta accanto. Avere così tanti ricordi in comune con Sabina non fa che rendere più forti i suoi sentimenti, che le procurano sofferenza, un senso di abbandono e di gelosia. Sulla preparazione? L'esperienza con i ciechi a Parigi? E' stato un lavoro interessante, mi ha permesso di entrare in contatto con una realtà che non conoscevo. Mi sono resa conto che quelle persone hanno una grandissima forza di volontà nell'accettare la loro condizione, ma nascondono dentro anche una grande rabbia. Ho imparato che cosa significa vivere tutti i giorni senza poter vedere: per esempio una ragazza cieca mi ha guidato lungo il percorso per arrivare a casa sua, che è quello che di solito i non vedenti conoscono meglio. Io avevo gli occhi bendati ed è stato interessante conoscere i punti di riferimento che è costretto a costruirsi chi non può vedere. I movimenti da compiere lungo il percorso vengono stabiliti a seconda degli odori e dei suoni, perché udito e olfatto ti permettono realmente di "vedere", di visualizzare nella mente il luogo in cui ti trovi. Luigi Lo Cascio Come ti sei accostato al personaggio di Daniele? Il personaggio di Daniele è diviso in due parti fondamentali, una parte sommersa e una parte evidente. La sua parte sommersa per me resta enigmatica, oscura. Ci sono delle cose che un attore può arrivare a capire, altre che secondo me sono incomprensibili. Per esempio, si può arrivare a capire un lutto, perché tutti quanti abbiamo provato l'esperienza della perdita di una persona cara, ma l'evento accaduto a Daniele, determina talmente tante conseguenze nella formazione dell'identità di una persona, che non si può, né coi libri, né con l'intuizione, capire effettivamente cosa succede. La seconda parte del personaggio, quella evidente, rappresenta gli effetti che una vicenda così drammatica ha avuto su Daniele. È degli effetti che mi sono occupato io, e sono gli effetti che noi vediamo [email protected] 5 nel film: Daniele è un professore che insegna in un'università americana, una delle più prestigiose, vicino Washington. Nel libro la scelta di Daniele di diventare professore universitario è molto approfondita, ma nel film tutto è raccontato per immagini e per cenni; si capisce che la decisione di Daniele di fare il professore universitario ha a che vedere con il rapporto col padre, anche lui insegnante, ma alle superiori. Daniele, oltre alla sua superiorità rispetto al padre, vuole dimostrare che la cultura e la vita possono coincidere. Quando incontriamo Daniele per la prima volta nel film, è un individuo bloccato, non riesce ad avere un rapporto con i figli, non riesce neanche a toccarli. Ha un rapporto difficile anche con il proprio corpo. Un altro tema importante del film è proprio il tentativo di convivere con questo dolore, cosa conviene fare quando si vive un'esperienza così traumatica. Si può dimenticare tutto, oppure parlarne, tirarla fuori, e cercare di ricostruire qualcosa sulle macerie. L'arrivo di Sabina mette Daniele di fronte al dubbio se raccontarle o meno il loro destino comune. Un altro elemento importante del personaggio di Daniele è il desiderio di vendetta, che lo spinge a prendere una decisione molto fredda nei confronti del padre. Anche a distanza di anni, resta un rancore molto forte, che magari potrebbe sembrare eccessivo, ma che credo sia profondamente umano. C'è una scena del film che ti ha particolarmente colpito? C'è una situazione nella quale ti sei sentito più dentro al personaggio? E se c'è, perché? Di solito non utilizzo categorie come "stare dentro un personaggio": per me il personaggio è sempre un altro essere a cui do ospitalità, io mi faccio da parte, lascio questo supporto corporeo, vocale, di nervi, di sensibilità, di intelligenza, e faccio in modo che quest'altra creatura esista, perché non rimanga una "larva", un'idea nella mente dello scrittore o del regista. Il mio rapporto col personaggio è fatto di intuizioni che avvengono al momento. Daniele, sia nel libro che nel film, si conosce gradualmente, è sempre molto elusivo, non parla, non comunica, si nasconde e poi, all'improvviso, c'è questa lunga confessione. Per me sarebbe semplice dire che la scena che mi ha colpito di più è quella in cui racconto tutto a Sabina, perché c'è emozione, c'è il ricongiungimento con la sorella, c'è la rimozione di un blocco. Il personaggio di Daniele si rivela proprio in quel momento e le scene che vediamo prima sono come una preparazione alla confessione. Però sono rimasto molto colpito dalla scena in cui la moglie di Daniele cerca di aiutarlo a recuperare la sua paternità, ad avere un rapporto normale con i figli, senza reticenze, distanze e paure: i due fanno una specie di piccola recita, in cui la madre porta il bambino davanti a Daniele e lui gli dà il bacio della buona notte, gli fa una carezza. Mi piaceva il modo in cui la scena analizza il rapporto fra le cose vissute realmente e le cose recitate: la recita non reggeva, era soltanto una pantomima. Non poteva avere effetti profondi il fare finta di essere padre, non è una questione esteriore, c'è un lavoro più profondo da fare, che sicuramente inizierà a partire dalla confessione. C'è una differenza nell'essere diretto da una donna piuttosto che da un uomo? C'è qualche cosa che dal tuo punto di vista cambia? No. Il rapporto tra regista e attore è fondato su una differente posizione, su dei ruoli ben precisi, ed eventualmente sull'amicizia che può esserci o non esserci. C'è il regista e c'è l'attore, autore ed esecutore. Il secondo, magari, è in grado di portare qualcosa che il regista inizialmente non aveva concepito e che scopre attraverso l'attore. Il maschile e il femminile possono avere a che fare con la formazione della personalità del regista o della regista, ma la relazione tra attore e regista è asessuata. Alessio Boni Chi sei nel film? Franco, il ragazzo di Sabina. Franco è un attore. Cristina Comencini non sapeva molto di me. Mi ha confessato che non guarda molto la televisione e non si ricordava del mio ruolo in "Incantesimo". Il personaggio di Franco è integerrimo, crede molto nel suo lavoro, vorrebbe fare solo teatro, cinema, e detesta la televisione. Mi sono rispecchiato in lui perché a un certo punto è costretto a lavorare in una fiction seriale in cui interpreta un [email protected] 6 medico, proprio come "Incantesimo". Questo sdoppiamento mi ha molto colpito. Anche Sabina è un'attrice, un po' più accomodante rispetto a Franco, lavora soprattutto al doppiaggio ed è lei che mantiene l'appartamento e paga le bollette. Quando il film inizia, Franco non ce la fa più, è da parecchio tempo che non lavora e decide di incontrare un regista di fiction, di fare quindi qualcosa che va contro la sua concezione del lavoro di attore. Il regista, Andrea, interpretato da Giuseppe Battiston, affascina molto Franco: è divertente, sincero, a volte anche buffo, colto, intelligente. Franco decide di accettare il ruolo nella fiction, si fa "corrompere" come dice lui. Il cambiamento di Franco sul lavoro si intreccia con quello drammatico, tragico, di Sabina. A partire dall'incubo, dal tentativo di scoprire quella verità così dolorosa, tutti i personaggi del film si trasformano e non ce n'è uno che, alla fine del film, rimanga uguale a se stesso. È proprio questa la ricchezza del film, l'intersecarsi dell'emotività dei sei personaggi principali. Mi ha colpito, anche nella lettura del romanzo, questa quotidianità che si sviluppa giorno per giorno, tramite emozioni e sensazioni che non si manifestano quasi mai del tutto, che rimangono spesso nell'interiorità dei personaggi. Sono molto orgoglioso di aver fatto parte di questo progetto. Come sei entrato nel personaggio? E' stato un work in progress che ho fatto con Cristina. Lei ha creato il personaggio di Franco, ha scritto il romanzo, la sceneggiatura e poi ha diretto il film e quindi conosceva alla perfezione ogni sfumatura del suo carattere. Tutte le scene, anche quelle che sembravano più facili, per Cristina rappresentavano delle parti importanti di Franco. Quando ho letto il romanzo e poi la sceneggiatura, la cosa che mi ha colpito di più è stata la confessione che Daniele fa alla sorella, quindi una scena che non mi appartiene, che non ho fatto io, e che mi ha coinvolto come lettore e spettatore. Fra le scene che ho girato io, non saprei dire quale sia stata quella più riuscita, perché ogni momento sul set richiedeva una tensione e una concentrazione elevate, per capire cosa Cristina volesse trarre dalla personalità di Franco, quale parte di lui volesse far arrivare al pubblico, tutte cose che lei sapeva con assoluta precisione. È stata un'esperienza molto singolare quella con Cristina. Non tutti scrivono un libro, ne fanno una sceneggiatura e poi dirigono anche il film. La conoscenza totale che in questo caso il regista ha del personaggio è estremamente gratificante per un attore. Per questo non c'è una scena che sia migliore delle altre. Angela Finocchiaro e Giuseppe Battiston Angela Finocchiaro, nel film interpreta il ruolo di Maria, una direttrice di doppiaggio abbandonata dal marito, vero? A.F. ...Mi metto a piangere... E' tutto per finta... ci vuoi dire qualcosa del tuo personaggio? AF: Maria non è solo stata lasciata dal marito: lui se ne è andato con un'amica della loro figlia, di trent'anni più giovane. Maria, da quel momento è una donna lacerata. È illividita, avvelenata dal rancore verso il marito perché il suo abbandono le ha irrimediabilmente segnato la vita. Ora possiamo invece chiedere a Giuseppe Battiston, del suo personaggio? Con lui Maria ha un qualche tipo di scambio, ma lo tratta piuttosto male… GB: Il mio personaggio è un regista che Cristina Comencini definisce talentuoso, che per campare è costretto a dirigere le fiction, le soap. È anche frustrato, perché la sua vera passione è il cinema. Grazie all'incontro con Franco scopre una nuova carica vitale in sé e comincia a scrivere un film. Andrea è una persona politicamente scorretta, è un personaggio diseducativo: fuma moltissimo, si esprime con un linguaggio colorito, dice delle cose molto cattive, ma anche molto vere. Come vi siete preparati? Avete utilizzato anche il libro? AF: Io il libro l'ho utilizzato tantissimo. Non mi sono limitata a leggerlo e rileggerlo, ma ho preso tutte le cose che descrivevano la percezione che gli altri hanno di Maria e che Maria ha di se stessa, il rapporto che lei ha con il suo aspetto fisico. Ho cercato di ricomporlo e ricostruirlo in funzione del personaggio di Maria. Da questo punto di vista, il romanzo per [email protected] 7 me è stato fondamentale. GB: Io invece ho fatto il procedimento inverso: ho letto prima la sceneggiatura e poi sono andato a leggermi il romanzo per capire il perché di alcune cose, e per avere qualche indicazione in più sul personaggio di Andrea Negri. Dal romanzo, per esempio, è emerso quell'aspetto di scorrettezza che poi è diventato un tratto distintivo di Andrea nel film. Nel corso della lavorazione c'è una scena che ti ha colpito particolarmente? AF: In realtà è l'approccio di ogni personaggio ad ogni scena che mi colpisce. Ci sono delle scene più intense, altre assolutamente liberatorie, ma l'intensità è presente in ogni momento del film. GB: Io invece sono molto legato alla scena in cui Negri prende in braccio il piccolo Danielino: mi ha emozionato prendere in braccio un bambino, guardarlo, parlarci. Inoltre credo che quella scena dica moltissimo sul personaggio di Andrea. Sicuramente è una delle cose che ricordo con più affetto; è stata una giornata particolare e forse l'emozione mi ha un po' frenato, ma sono contento di averla fatta. Antonella Berardi Com'è il tuo rapporto con Cristina? Il primo film non l'ho fatto io e per il secondo sono stata chiamata dal produttore. All'inizio quello con Cristina è stato un incontro un po' faticoso, molto impegnativo, ma anche di grande soddisfazione. Cristina è una persona piena di idee, ma accetta volentieri le proposte altrui. Mi piace molto lavorare con lei e anche con Paola ho un ottimo rapporto: siamo affiatate, ormai, abbiamo realizzato molti progetti, anche diversi fra loro. Per esempio, abbiamo fatto una "Traviata" a Firenze che è stata una cosa meravigliosa e appassionante e che ha richiesto a tutti grande energia, e un grande consumo di idee. In questo film non era facile riuscire a rendere la situazione psicologica dei personaggi. Il costume deve essere un filtro che arricchisce e aiuta l'attore a interpretare il suo ruolo. A ogni personaggio è stata dedicata una serie di colori che avrebbe dovuto rispecchiare le sue caratteristiche. Guardando poi le foto di scena di Philippe (Antonello ndr.), mi sono accorta di come la collaborazione intensa con la scenografia, abbia portato a dei risultati veramente interessanti. A volte sembra che i film di epoca contemporanea abbiano la stessa difficoltà di un film ambientato nell'Ottocento. Sì, perché bisogna evitare a tutti i costi quello che è ovvio, quello che comunemente si vede in giro: un film non può essere un recipiente di quello che c'è in circolazione, bisogna operare una selezione ben precisa. Cristina aveva dato all'inizio la descrizione dei colori voleva, tutte le scene con i beige, il bianco e il nero... In questo caso si sapeva già a quale attore corrispondeva un certo personaggio. Nel mio libro di questo film, sulla prima pagina io ho la tavolozza di colori, poi il primo piano dell'attrice in tutte le situazioni, in cui è molto evidente la ricerca del colore giusto: in certe situazioni sono presenti i colori chiari, in altre invece predominano i colori scuri. Paola Comencini Ci parli del tuo rapporto con Cristina? Ho collaborato con Cristina in tutti i suoi film, sin dall’inizio, quindi il rapporto di collaborazione va benissimo, perché ci conosciamo da sempre. Con Cristina si lavora bene, è una persona molto preparata e ha le idee chiare sui risultati che vuole raggiungere. In questo film, gli ambienti non dovevano essere troppo realistici, ma nemmeno sopra le righe. Abbiamo quindi cercato prima di tutto di fare le cose in modo semplice, lineare, senza esagerazioni, ma di dare anche uno stile a tutto quanto. La costruzione che abbiamo [email protected] 8 fatto nel Teatro 5 di Cinecittà non rappresenta un ambiente reale, ma fa parte del sogno e del ricordo. Apparentemente, è un ambiente semplicissimo, una casa piccolo borghese senza nulla di particolare, ma anche un po’ inquietante, misteriosa. Abbiamo usato questo teatro enorme che ha una doppia funzione, da un lato c'è la costruzione, dall'altro lato c'è una botola come una piscina che abbiamo riempito per metà di acqua e che serviva a creare degli effetti di inondazione. Perché quella casa piccolo borghese, all’apparenza innocua, era anche una casa da incubo, che alla fine viene colpita da una specie di alluvione. Qual è il grado di interpretazione che ha la scenografa nei confronti della sceneggiatura scritta: la tua collaborazione è propositiva o Cristina ha un'idea degli ambienti e poi sceglie in base a quello che tu le proponi? Cristina ha le idee abbastanza chiare, sa quello che vuole, ma come tutti i registi, accetta molto volentieri delle proposte, delle idee che magari non erano previste in sceneggiatura. Chi fa il mio lavoro, deve aggiungere qualcosa di suo al film. Ci sono dei registi che hanno tutto in mente per filo e per segno, ma sono una minoranza. Qual è il rapporto di collaborazione tra scenografia e costumi? Deve essere un rapporto molto stretto, come quello con il direttore della fotografia. Ci deve essere unità di intenti, la volontà di realizzare il film insieme, altrimenti si rischia un film non riuscito. Se in qualsiasi film devi interpretare una cosa scritta, in questo ancora di più: gli ambienti devono rispecchiare un peso psicologico. Ci sono dei film che hanno un lato più spettacolare e altri che invece, come questo, sono più sottili. Ci sono poi quelli in costume in cui devi ricostruire un’intera epoca. Io amo tutti i generi e tutti i tipi di film, ed ogni volta secondo me bisogna fare uno sforzo creativo per non essere banali. Com'è la tua preparazione al film? Il punto di partenza è la sceneggiatura che di solito fornisce le prime indicazioni, anche se non molto esaustive. Una persona di una certa età, che appartiene a un determinato ceto sociale e svolge un certo tipo di lavoro, può abitare in centinaia di case diverse. Lo scenografo deve operare una scelta personale, deve capire qual è l’effetto che si deve ottenere, se è preferibile inserire il personaggio in un ambiente del tutto normale, o se è meglio realizzare qualcosa di più bizzarro ed eccentrico. Sono tutte decisioni che si prendono insieme al regista. Come la casa di Emilia con il telaio? Il lavoro di Emilia era già in sceneggiatura. A meno che lo sceneggiatore non abbia descritto minuziosamente anche l’ambiente (che è poi una cosa che non si fa mai), non è detto che a un dato personaggio corrisponda una determinata casa. Un altro scenografo avrebbe fatto la casa di Emilia in tutt’altro modo. Non è un fatto matematico, ognuno ci mette la sua personale ispirazione. Pensi mai a fare un libro sulla scenografia? Sì, sarebbe divertente. Vorrei fare una specie di manuale, perché non tutte le persone capiscono bene in che cosa consista il nostro lavoro. Mentre è chiaro a tutti quello che fa uno scenografo teatrale perché disegna una scena che poi viene realizzata, lo scenografo di cinema è un essere ibrido: si occupa degli esterni, degli interni, del teatro di posa, degli ambienti dal vero, sceglie le automobili che passano, insomma, si occupa di tremila cose diverse contemporaneamente. [email protected] 9 www.bloopers.it – errori nel film Incongruenza • Quando Maria (Angela Finocchiaro) chiede a Emilia (Silvia Rocca) di uscire portano con loro il cagnolino di Emilia. Lungo la strada decidono di andare a fare shopping e Emilia compra degli abiti. Quando escono dal negozio è sera e non hanno più il cane. • Sabina (Giovanna Mezzogiorno) decide di andare a trovare il fratello in America e al suo arrivo lo trova in Aeroporto che la attende. I due viaggiano dall'aeroporto fino a casa a bordo di una Jeep (una bella carrellata sul volante toglie ogni dubbio sulla marca dell'automobile). Quando Daniele (Luigi Lo Cascio) da dentro la macchina mostra alla sorella la propria casa, si può vedere che sul parabrezza non c'è lo specchietto retrovisore (probabilmente tolto per motivi di ripresa), quando invece Sabina scende dall'auto lo specchietto ricompare attaccato al parabrezza. recensioni Tullio Kezich - Il corriere della Sera, 9 settembre 2005 Nell'introduzione alla sceneggiatura di La bestia nel cuore (Marsilio), la regista Cristina Comencini autrice anche del romanzo originario (Bompiani) propone una metafora efficace: «L' idea di girare un film da un mio libro mi sembrava come rientrare dalla porta di servizio in una casa amata, in cui avevo vissuto in completa libertà per due anni». Questa sensazione di familiarità furtiva è proprio quella che dà il film, molto applaudito ieri alla Mostra e visibile da oggi al cinema: l'impressione di essere entrati nell' intimità dei personaggi, di aver appreso cose che in genere restano nascoste. Si comincia con Sabina (Giovanna Mezzogiorno) che provvede alle pratiche per la traslazione delle salme dei genitori insegnanti di liceo. Sotto i titoli passano le immagini vuote ma «parlanti» dell' appartamento borghese dei defunti (l' ispirata scenografa è Paola, sorella di Cristina): scrivanie, libri, senso di una vita sospesa: ma che vita è stata? Vediamo poi Sabina, che è una doppiatrice, alle prese con la scena di uno stupro che le permette di dare voce all' interno affanno. Questa ancora incognita «bestia nel cuore», che si svelerà cammin facendo, non riguarda tanto il rapporto con il suo volatile compagno Franco (Alessio Boni), attore anche lui. E' in ballo qualcosa che si collega a un trauma infantile, a uno di quegli inferni domestici di cui la protagonista riuscirà a parlare dopo decenni di silenzio con il fratello Daniele (Luigi Lo Cascio) emigrato (ma forse bisognerebbe dire fuggito) in Canada. Intorno al doloroso nodo centrale si delineano altri personaggi, la non vedente Emilia (Stefania Rocca) innamorata di Sabina fin da quando ragazzine facevano insieme i compiti («parlante» anche la sua casa immersa nell' oscurità), l'amica Maria vulnerata e pragmatica che sfida il conformismo degli eufemismi chiamando cieca la cieca, salvo a imbastire con lei un rapporto lesbico pieno di riserve; e non ultimo il regista di fiction Negri (Giuseppe Battiston) che vorrebbe redimersi artisticamente. Rispetto al romanzo originario il film costituisce una rivisitazione più intensa e lucida affidata a interpreti (tutti bravi, a partire dalla bravissima Mezzogiorno) che fanno leggere le emozioni e inducono a condividerle. Per Cristina La bestia nel cuore segna il momento dal quale non verrà più considerata la figlia di Comencini, ma una cineasta in proprio; magari con la segreta aspirazione a trasformarsi idealmente in una figlioletta adottiva di Bergman. Ma è bene per lei di essere cresciuta alla scuola familiare della commedia all' italiana, una pratica le consente di schiarire le tetraggini del dramma rifugiandosi nella salvifica provvisorietà del sorriso. Paolo D'Agostini - La Repubblica, 30 agosto 2005 Non certo nuova tanto come romanziera quanto come regista all’indagine sulla famiglia e le sue pieghe comiche o inquietanti, ma sempre rappresentate con uno speciale tocco di verità, anche Cristina Comencini ha tradotto in film il suo (quinto) romanzo La bestia nel cuore (edito da [email protected] 10 Feltrinelli). Una protagonista, Sabina (Giovanna Mezzogiorno), e un gruppo di personaggi intorno a lei tre donne e tre uomini. Più il fantasma dei genitori che non ci sono più, anzitutto il padre radice di un malessere la cui ragione, sconosciuta ma oscuramente intuita, dovrà necessariamente emergere alla luce perché dalla consapevolezza del dolore Sabina possa affrontare il futuro, la costruzione di una famiglia propria. Doppiatrice per ripiego ma senza grave sofferenza. Sabina sta con Franco (Alessio Baci) che invece crede nella missione dell’attore e soffre per la mancanza di adeguati riconoscimenti Un posto importante occupa nella sua vita Emilia (Stefania Rocca) amica d’infanzia, non vedente, inconfessatamente lesbica e pudicamente innamorata da sempre di lei: quando Sabina deciderà di partire per il suo viaggio iniziatico alla ricerca della verità, in America dove vive e lavora il fratello maggiore Daniele (Luigi Lo Cascio), le offrirà come sostituta per farle compagnia la collega di doppiaggio Maria (Angela Finocchiaro) grazie alla quale, dopo molta iniziale diffidenza, finalmente Emilia conoscerà l’amore. Completano il quadro Anita (Francesca Inaudi). un’attricetta di cui Franco s’invaghisce in modo passeggero, e “Il regista”, il personaggio più comico affidato a Giuseppe Battiston: figura di volgarità studiatamente convenzionale (l’artista che si è deliberatamente sputtanato per fare soldi, in realtà consapevole della propria mediocrità) che avrà però il merito di svegliare Franco dal suo cul de sac narcisistico e dal suo inerte vittimismo di genio incompreso. Ritoccando qua e là il tono e sacrificando alcuni passaggi del libro, il film insegue - anche oltre l’indicibile verità dell’abuso che ha oscurato l’infanzia dei due fratelli - la conoscenza di quella “bestia” che sia pur informe meno estreme e dannose alberga in ogni cuore, negli angoli bui di ogni personalità e di ogni vita. Natalia Aspesi - La Repubblica, 9 settembre 2005 C’è un babbo, pur professore, in pigiama che ogni notte s’accosta al figlioletto addormentato e si immagina che gli faccia brutte cose; e un paio di volte, con terrorizzanti effetti musicali, abbraccia con le peggiori intenzioni anche la figlia davvero piccina, mentre la mamma, pure lei professoressa, fa finta di niente, sferruzza, corregge i compiti. Sarà pure un cupo sogno da indigestione, o un angoscioso incubo da trauma infantile sfumato dal tempo, ma sarebbe comunque il virtuoso pretesto per fare un po’ di sempre gradito casino alla Mostra. Invece: alla fine della proiezione di La bestia nel cuore, secondo film italiano in concorso, che Cristina Comencini ha tratto dal suo romanzo dallo stesso titolo pubblicato da Feltrinelli, applausi su applausi, poi ovazioni, lacrime («film magnifico, sorprendente, di grande valore civile»), anche alla conferenza stampa dove gli attori, belli e giovani, si commuovono: scampato pericolo, dopo il terrore diffuso l’altro giorno, alla proiezione per la stampa di I giorni dell’abbandono dell’innocente Roberto Faenza, a causa di un solitario fischio trasformato in tragico fiasco per eccitare gli animi mal sazi di scarseggianti polemiche. Ieri il film della Comencini è uscito in più di duecento sale e può darsi che prima o poi qualche brava persona, un’associazione di genitori, o insegnanti, o teocon,o addirittura padri incestuosi non pentiti. salti su a protestare. Ci aveva già provato la censura, ricorda la regista: «Mi sono trovata davanti a un tavolo con tanti signori gentili che mi facevano gentili domande, Ero sicura che fosse tutto a posto, invece poi m’informano che il film sarà vietato ai minori di 14 anni perché, dice più o meno la motivazione, suggerisce la demolizione della famiglia, centro positivo fondamentale della società. Come se l’incesto lo avessi inventato io, come se, al solito, se di una tragedia non ne parli, non esiste. Facciamo una gran scenata e una più vasta e autorevole commissione rivede il film e si ricrede, togliendo ogni divieto». E cancella anche un altro precedente dubbio censorio, quello che si riferiva all’inopportunità di rappresentare, tra Angela Finocchiaro e Stefania Rocca «un rapporto saffìco con baci e amplessi», vergognoso in quanto descritto come molto armonioso e felice. Forse i nuovi buoni esaminatori hanno pensato che se una cinquantenne (ancora!) piantata dal marito per una ventenne (ancora!), s’innamora di una più giovane donna che a sua volta l’ama (è lesbica e soprattutto cieca!) è umano e generoso lasciar correre. Giovanna Mezzogiorno, doppiatrice, e Alessio Boni, attore di teatro costretto a fare fiction, sono marito e moglie e si amano: lei confida all’amica d’infanzia cieca che la bacia sulla bocca, di non avere ricordi. Ha invece un incubo notturno in cui si rivede bambina, seduta su un letto, l’ombra vasta di un pigiama che si china su di lei. Messo aspetta un bambino, vuole chiarire quel nero grumo di vuoto che la tormenta, e raggiunge il fratello Luigi Lo Cascio, docente in un’università americana, sposo e pacche apparentemente felice. In una festosa notte di Capodanno, lui spiegherà alla sorella, piangendo, perché non è mai riuscito ad abbracciare i suoi [email protected] 11 figli: «Ci sono dolori da cui è impossibile guarire: il nostro è uno di questi». E racconta di quel padre irreprensibile di giorno e lupo mannaro di notte,del danno che li ha privati dell’infanzia e ha reso doloroso il loro crescere. «E mi sono chiesto a cosa gli serviva tutto quello che sapeva, se ha fatto quello che ha fatto». Cristina, una delle quattro figlie di Luigi Comencini, romanziera e regista di successo al suo ottavo film (il primo invitato in concorso a un festival) tre figli da due matrimoni, di quieto rigore protestante (è valdese) dice di essersi chiesta «che tipo di adulto diventa chi ha subito una violenza come quella incestuosa, quale ferite lascia una simile sopraffazione». Negli anni 70, in tempi di rivolta contro i padri, si tentò di decretare la morte della famiglia, sbandierandone i possibili orrori. «Ma oggi tutto si è ricomposto, sotto il potere enorme della Chiesa che difende l’idea di un nucleo ideale rifiutando la realtà delle sue distorsioni o dei suoi mutamenti. Io ho tentato di scoperchiare quella pentola sigillata che si vuole sia la famiglia, per parlare liberamente di quel limite tra amore e sopraffazione, da non superare, oltre il quale si producono ferite non rimarginabili». (…) Alberto Crespi - L’Unità, 9 settembre 2005 Che sollievo un bel film italiano in concorso, senza tiratori scelti appostati. La bestia nel cuore di Cristina Comencini è stato accolto, alla proiezione stampa, da un convinto applauso: i fischi che avevano martoriato Baciato e Faenza hanno taciuto. La metafora dei «tiratori scelti» è stata usata da Faenza e la usiamo per comodità, più che di cecchini,si tratta a nostro parere di una «ferocia preventiva», diffusa, che il pubblico delle proiezioni stampa soffre nei confronti dei film italiani. Essendo un pubblico che rappresenta se stesso, i suoi ululati non hanno alcuna influenza sulla vita di un film, ma lì per lì fanno male, e quindi regìstriamo con piacere un dato: Cristina ha domato la bestia. Il merito, secondo noi,è di Angela Fmocchiaro. Ci spieghiamo: La bestia nel cuore è un dramma dai toni forti, che rischia continuamente di cadere nel melodrammatico; ma per fortuna c’è un personaggio, interpretato dalla bravissima attrice milanese, che strappa la risata ovunque si rischi la lacrima. Angela ha preso per mano il pubblico e l’ha trascinato con sé, «costringendolo» a godersi il film. Del resto, è lì per questo: la regista e le sue complici in fase di scrittura (Francesca Marcìano e Giulia Cateda) sono state abilissime nel calibrare i toni, nel mescolare pathos e umorismo. Papà Luigi (Comencinì) può essere orgoglioso di sua figlia: lui, quando si trattava di far ridere e piangere insieme, era un maestro. A differenza della sorella minore Francesca (autrice di film folgoranti tra documentario e fiction, come, Carlo Giuliani ragazzo e Mi piace lavorare) Cristina Comencini non è una frequentatrice di festival,e lo confessa quasi con orgoglio: «Checca (la chiama sempre così, ndr) fa i film impegnati, io lavoro per il pubblico». A Venezia, che la vede esordiente, quasi non voleva venirci: e adesso, sia a vedere che le tocca anche ritirare qualche premio. Del resto, La bestia nel cuore, se ben lanciato e ben distribuito, piacerà al pubblico, che in tempi recenti ha premiato i nuovi mélo italiani, da Ozpetek a Muccino. E qui la materia del melo non manca. Sentite la trama. Sabina è una giovane attrice che convive con un collega, Franco. Lui sogna il cinema ma accetta un ruolo di chirurgo in una specie di «E.R.» casereccio, lei tira avanti con il doppiaggio ma sembra serena, se non fosse per un incubo ricorrente che la perseguita. E un incubo in cui Sabina torna bambina, rivede fa casa dove viveva con i genitori e il fratello Daniele, e «sente» che in quell’interno borghese è successo qualcosa di indicibile. Parlarne con l’amica d’infanzia divenuta cieca e omosessuale; o con una collega più anziana che il marito ha lasciato per una ventenne, serve a poco: le due hanno ferite apparentemente più gravi della sua... Sabina prende quindi la decisione di raggiungere Daniele in America, dove vive da anni, per Natale. Fa niente se Franco, approfittando della sua assenza, finirà per tradirla; e buon per loro scie due amiche, incontratesi grazie a lei, danno il via a una bizzarra e tenerissima storia lesbìca. La verità si nasconde nei ricordi di Daniele, che in America si è costruito una famiglia, sembra felice, ma cova anche Iui una bestia nel cuore»... La storia, che la Comencini ha tratto da un proprio romanzo,è piena di trappole patetiche, ma il film le supera grazie al correttivo dell’ironia. La bestia nel cuore è un romanzone di genere, cinema popolare raccontato in modo tradizionale ma efficace, e benissimo recitato. Prima abbiamo lodato la Finocchiaro, una super-caratterista che il nostro cinema usa troppo poco, ma tutto il cast è di alto livello: Giovanna Mezzogiorno, Alessio Boni, Stefania Rocca, Giuseppe Battiston e Luigi Lo Cascio, nel ruolo breve ma intenso del fratello americano. [email protected] 12 Roberto Silvestri - Il Manifesto, 9 settembre 2005 L'infermiera ferma l'omaccione: «Che fa? Posi il neonato. I bambini li toccano solo i genitori!». E chi lo dice? «Il regolamento». Bel regolamento... Ma questo è il finale, ricominciamo dall'inizio. È stata toccata, violentata, da bambina, dall'avente diritto, dal padre - mite professore di liceo - ma solo due volte, come passatempo quasi casuale tra pratiche sessuali notturne più intensive e continuate, sfogate sul fratellino di dieci anni, e con la mamma silenziosamente complice, perché la famiglia, comunque sia «dentro», è struttura portante e modello etico della società (che istiga allo sfruttamento totale di chi è più forte su chi è debole). Però Sabina (Giovanna Mezzogiorno) cresce bella e felice, lavora, si sposa, rimuove tutto, ma dopo la morte dei genitori, da qualche piccolo segno e sogno ricorrente o indizio nascosto, e rivedendo il fratello (Luigi Lo Cascio) «fuggito» in New England e nel mito greco per «cancellare tutto», scopre la verità. Nel frattempo sta partorendo nel posto più bello del mondo, tra gli ulivi salentini, ma sulla littorina vuota e squallida delle Ferrovie del Sud-Est; il marito, attore ormai cinico (Alessio Boni) l'ha appena tradita con una attricetta di soap opera; la migliore amica (Stefania Rocca), diventata via via cieca, s'è fidanzata con la vice migliore amica (Angela Finocchiaro in forma smagliante), abbandonata dal marito che sta con una coetanea della figlia; le tocca pure doppiare un filmaccio televisivo (di Eros Puglielli) tutto stupri, violenze e luoghi comuni; e il regista del marito, di nome A. Negri (!?), frustrato dalle «idiozie della tv», congegna un film, finalmente per il grande schermo, sulle anime belle della notte (due cavalieri netturbini) che ritrovato un neonato nel cassonetto, se lo prendono... Cristina Comencini, 16 anni di regie, questa volta firma La bestia nel cuore, horror in cornice di tragedia leggera o commedia seria, tratto dalla lettura intensiva delle prime pagine dei soli quotidiani «mielisti», e da un suo romanzo. Produce Riccardo Tozzi, che viene dalla tv e non ha rimosso né ha rimorso. Sembrano incestuosi tutti questi rapporti e impasti di generi e registri, ma La bestia del cuore, presentato ieri in gara, di complicazioni ne inanella ancora di più. Ma tutte represse. Il metissage liberatorio non abita nel film. È nel fuori campo. Ma l'umorismo che ha ereditato dal padre, e forse da una delle due coautrici del copione, Francesca Marciano, impedisce però a Comencini (sorretta da una partitura «bocca a bocca» di Franco Piersanti) di far solo esercizio di meditazione e respirazione ombelicale. Inoltre. Giovanna Mezzogiorno (complice la sua band di compagne, di qua e di là dal set) salva miracolosamente la traversata, perché prende il suo ruolo professionale di doppiatrice (frustrata da una carriera di attrice interrotta dalla crisi) sul serio. Come chiave di accesso a immagini che svelino un doppio fondo. Si fa «doppia» lei stessa, e ci conduce nel mondo ambiguo e «double face» della vita in presa diretta, dove tutto il raccomandabile è mostruoso, e di drop out non ne esistono più. Da quando deve riempire di urla e gemiti falsi squallide immagini da sonorizzare a quando deve dare un senso alle forme, vere e insostenibili, che ne straziano l'inconscio. Come fare? Usando il metodo Nabokov. In Lolita è la schizofrenica regressione all'infanzia del pedofilo che eccita l'irresistibile pulsione. E che va curata, non cancellata con la delazione e la vendetta occhio per occhio. Ebbene Mezzogiorno, tiene sovrimpressi i due aspetti, l'infantile dolcezza e la coraggiosa ribellione. Irradiando il mondo circostante di buone good vibrations letterarie. Tanto che a un tratto sembra proprio l'Immacolata concezione degli ulivi. Roberta Ronconi - Liberazione, 9 Settembre 2005 Avevano paura,Cristina Comencini e i suoi attori Giovanna Mezzogiorno, Alessio Boni, Luigi Lo Cascio, Stefania Rocca, Angela Finocchiaro e Giuseppe Battiston. Comprensibile, peri il gruppo che ieri ha presentato al festival di Venezia il secondo filai italiano in concorso La bestia nel cuore,dopo i fischi riservali dalla critica agli altri italiani, Faenza e Battiato. A dimostrazione che i franchi tiratori denunciati da Faenza non sono altro che spettatori tutt’altro che mal disposti gli applausi sono giunti liberatori alla fine della proiezione del film per la stampa. Tratto con un certo rigore dal suo romanzo omonimo, Cristina Comencini trasforma in immagini e in personaggi in carne ed ossa la vicenda di Sabina, giovane donna che vede spezzarsi incomprensibilmente il suo equilibrio interiore proprio nel momento in cui dovrebbe essere più felice alla scoperta di una maternità. La strana inquietudine le si manifesta nei sogni notturni, dove lei bambina vive l’incubo dl uno stupro paterno. Dapprima confuse, le immagini della notte si fanno sempre più limpide, sino a costringere Sabina accetta le spiegazioni. Per trovarle, parte verso gli Stati Uniti dove da anni vive il fratello Daniele, assieme alla giovane moglie e ai due figli. Una decisione che le darà ragione:il fratello è proprio la chiave del mistero e colui che la aiuterà a [email protected] 13 conoscere e a convivere con la bestia che dimora anche nel suo cuore. Accanto ai due fratelli, le vicende di altri personaggi Emilia, amica d’infanzia di Sabina divenuta cieca per una malattia della retina; Maria,collega di lavoro di Sabina, Franco il marito. Ognuno vive un suo incubo, ognuno è alla ricerca di una strada per uscirne. Fedele al testo, dicevamo, questa trasposizione cinematografica.Tanto da fairci chiedere a Cristina Comencini quale sia stata la sua urgenza di raccontare, usando mezzi diversi, la stessa storia. «E’ la prima volta che faccio un’operazione del genere con un mio lavoro letterario - risponde la regista -.Questa volta sentivo che i personaggi del romanzo avrebbero potuto trovare un’ulteriore verità sullo schermo». Eppure, insistiamo, le scelte di regia non ci sembrano segnate da uno stile alternativo a quello della pagina. Comencini a conferma di aver girato delle scene visivamente forti ma che poi non ha montato:«Sì, perché alla fine ho scelto stilisticamente una coerenza narrativa. Ho pensato che i personaggi esprimessero già in modo molto forte le emozioni». Il temibile pubblico della sala del Palagalileo (quella qui a Venezia dove i critici vedono per primi i film) come abbiamo detto ha più volte applaudito durante la proiezione e a volte anche riso; nei momenti più lievi affidati alla bravura di Angela Finocchiaro. Che pure, nella parte dì Maria, affiorava il bellissimo personaggio di una donna oltre i quaranta abbandonata dal marito che riscopre l’amore iniziando una relazione con Emilla. Applausi sin troppo generosi, La bestia nel cuore cinematografica a nostro parere non aggiunge nulla alla lettura del romanzo ed è priva di scelte stilistiche forti. Osservazioni che non impediranno al film di andare bene in sala, con il merito di portare alla visione del grande pubblico temi non consolatori, Altro merito, quello di avere strappato qualche risata di cui sentivamo il bisogno. La bestia nel cuore ha avuto inoltre la sua parte di polemiche. Pochi giorni prima dell’arrivo del film al Festival, infatti,la commissione di censura sembrava volesse decretarne il divieto ai 14 anni per le scene, tra l’altro castissime, di amore lesbico tra Maria ed Elena. Le motivazioni, che ci rivelata stessa regista, si commentano da sole: «Hanno scritto che il film minava la centralità della famiglia italiana, disegnando come felice solamente il rapporto saffico. «Motivazioni clerico-fasciste» - le definisce giustamente Comencini. L’indicazione della commissione di censura è stata poi rivista e cancellata Ma il datore sta, ed è davvero inquietante. Come una bestia nel cuore del paese. Maurizio Cabona - Il Giornale, 9 settembre 2005 Francesca Comencini, di Luigi, ha girato Mi piace lavorare su lavoro & mobbing ed è andata al Festival di Berlino. Cristina Comencini gira La bestia nel cuore, traendolo da un suo romanzo (Feltrinelli), su pedofilia & incesto e va alla Mostra di Venezia. Personaggio principale di quest'ultimo film, un'impiegata? No, una doppiatrice (Giovanna Mezzogiorno). Convive con un elettrotecnico? No, con un attore (Alessio Boni). Il fratello (Luigi Lo Cascio) di lei è un geometra? No, è latinista in un ateneo della Virginia e abita in un maniero. L'amica del cuore è una sartina prossima alle nozze col panettiere? No, è una lesbica cieca che, a Natale, si «regala» la matura capo-doppiatrice (Angela Finocchiaro), piantata dal marito per una ventenne. A Capodanno, in Virginia, la Mezzogiorno apprende dal fratello che sono ricordi, non incubi (la forza del rimosso!), gli stupri subiti dal padre, annoiato del fratellino. Madre connivente. Ora i genitori sono morti dello stesso male. Ma proprio quella notte il convivente, rimasto a Roma, tradisce. E la doppiatrice è incinta! Ricapitoliamo: stupro plurimo continuato e aggravato da rapporto familiare, pedofilia, cancro, infedeltà semplice e adulterio. Aborto niente. Però c'è un parto drammatico, con rottura delle acque sul solo treno che viaggi vuoto d'estate! Eccessive nello sbeffeggiare Il giorno dell'abbandono, stampa e cinefilia hanno ecceduto nell'applaudire La bestia nel cuore al punto che un corifeo Rai-Tv ha già reclamato il Leone per questo film. .. Rai-Tv. Normale. Ricordate nel 2003 Buongiorno, notte di Bellocchio? E nel 2004 Le chiavi di casa di Amelio? Parevano avere il Leone in tasca. La fine è nota. Meno nota è la revoca della proiezione della Bestia nel cuore programmata l'altro ieri sera per i soli quotidiani. I produttori negano un veto; la Mostra anche. Ma il tam-tam del Lido ripete che si voleva evitare un secondo caso Faenza, cioè che risate di scherno «contagiassero» il grosso della stampa alla proiezione della mattina dopo. In effetti gli sberleffi sono stati minimi. Giusto così. Nella Bestia nel cuore l'umorismo involontario serpeggia nell'apocalittico cumularsi di sventure, non erompe dai dialoghi. E poi, tranquilli: il ridicolo irrita sempre, ma non seppellisce più. [email protected] 14