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26 | SPECIALI | SABATO 9 LUGLIO 2016 Gosha Rubchinskiy: il “Rinascimento” ai giorni nostri A vere in giovane età una nitida visione della persona che si vuole diventare non è così diffuso: per Gosha Rubchinskiy però, è stato così. Sin dai quindici anni ha avuto ben chiaro in mente che nella sua vita ci sarebbe stata l’arte a 360 gradi, e così è stato. Nato e cresciuto in Russia, dopo il Moscow College of Technology and Design, Gosha ha deciso di darsi alla fotografia e al video-making concentrandosi su ciò che conosceva meglio: i sobborghi di Mosca, la sua città. Le sue opere sono dure, ma veritiere, raccontano l’adolescenza senza trucchi né filtri, in tutti i suoi aspetti: l’attenzione all’aspetto fisico, la creatività, il desiderio di spiccare il volo, l’insicurezza. Non c’è lirismo nella sua narrazione della Russia post-sovietica, nel suo immortalare piscine in decadenza o skater coloratissimi o ancora ferrovie, case popolari e giovani, tanti giovani. Gosha è un artista che vive di contrasti, e sono proprio questi contrasti come la voglia vibrante di emergere della gioventù e contesti che dicono esattamente il contrario che ritroviamo anche nelle sue collezioni moda. Come stilista Gosha ha esordito nel 2008. La sua prima collezione “Empire of Evil” come tutte le seguenti è stata pensata per la generazione nata dopo il 1991, nella quale egli ripone le maggiori speranze per il futuro del suo paese. “Futuro” è una parola chiave, nel mondo di Gosha: gli abiti, quasi tutti di ispirazione streetwear, con elementi provenienti dallo sportswear, sono dichiaratamente per giovanissimi. Semplici, lineari, imperfetti, anche oversize o più delineati, non vogliono attirare l’attenzione. Lo stile è quello basico, a volte persino un po’ trascurato delle periferie, dei ragazzi che scivolano con i loro skate da una parte all’altra del quartiere, che di notte stanno svegli a disegnare graffiti nei posti più improbabili o addirittura proibiti, sentendosi già adulti grazie alla sigaretta che pende dalle labbra. Non è un caso che Gosha sia davvero un artista a tutto tondo; ha scelto una storia e per raccontarla utilizza tutto ciò che ha dalla moda alla fotografia, dalle suggestioni cinematografiche ai modelli. Già nel 2008 a sfilare per lui sono stati ragazzi selezionati per le strade di Mosca, addirittura certi sotto i quattordici anni. “Guardate il nuovo che avanza, il futuro che arriva” il suo messaggio. Oggi i modelli provengono anche da Instagram, ma poco cambia. Gosha continua comunque a toccare corde più profonde della coscienza, utilizza consapevolmente il mondo della moda per mettere l’accento sui valori. È una rivoluzione, non solo di stile, ma di pensiero e di mezzi. Non è un caso che abbia attirato l’attenzione sin da quel primo defilé avvenuto in uno stadio. Le collezioni successive non fanno che confermare le aspettative della stampa nei suoi confronti: “Growing and Expanding” viene fatta sfilare in una ex chiesa ortodossa in periferia, sconsacrata e trasformata in palestra; “The Sunrise is not far behind the mountains” fa esplicito riferimento al mondo dei graffitari e dell’anarchia, e viene presentata insieme a un video girato a San Pietroburgo e a un libro fotografico, come a sottolineare che la moda non è che una parte dell’epopea che l’artista sta raccontando. La quarta collezione, “Slave”, arriva nel 2010 e plana fino alla London Fashion Week. Nello stesso anno, proprio a Londra Gosha apre il suo primo corner in uno dei concept store più cool della scena internazionale, il Dover Street Market. Dato il mio lavoro, non posso non notare come sia stato proprio un negozio la rampa di lancio per questo stilista emergente. È stato grazie alla lungimiranza del Dover Street se lo sportswear russo è stato esportato in Occidente e ha poi conquistato le passerelle dei maggiori eventi del settore. Il 2010 infatti, è stato l’inizio della consacrazione. Benché Gosha si sia preso un anno sabbatico per tornare alle sue più grandi passioni, la fotografia e i video, ma il mondo della moda non si è dimenticato di lui. Nel 2012 Comme de Garçons lo ingaggia per la prima volta, producendo e distribuendo il lavoro di uno stilista indipendente. Da quel momento tutto è diventato internazionale, sebbene Gosha continui oggi a vigilare in prima persona su ogni aspetto dei suoi progetti. Non solo crea le sue collezioni, ma le fotografa passo passo, sceglie i modelli partecipando ai casting, produce i book e le riviste stagionali. Si è comportato così anche in occasione del Pitti Immagine Uomo 2016, giunto quest’anno alla novantesima edizione, dove è stato invitato a presenziare come Menswear Guest Designer. Per Gosha si trattava della prima volta a Firenze: tanta l’emozione da parte sua, tanta l’attesa da parte della stampa internazionale e di settore. Tanta anche la curiosità degli addetti ai lavori, che non vedevano l’ora di assistere all’evento di presentazione della collezione primavera-estate 2017. Quando a sfilare sono le creazioni di uno stilista che ha tanto fatto parlare di sé, è normale che le aspettative siano molto alte. Nel caso di Gosha poi questo meccanismo era ancora più evidente del solito perché lui, diversamente da altri designer, porta in passerella non solo uno stile, il suo gusto personale, ma un nuovo modo di leggere la moda. Come Junya Watanabe, altro pupillo di Reii Kawacubo, usa collaborazioni con marchi storici, come dal resto fa Gvasalia da Vetement. Mescola varie forme d’arte in un linguaggio che è un’attenta lettura del nostro tempo e del nostro mondo, immaginando un futuro di pace e integrazione. È un connubio, il suo, tra estetica, gusto personale, suggestioni immaginifiche, ispirazioni ed espressione, che porta a una lettura fotografica, quasi cinematografica, della cultura giovanile della Russia post sovietica. Protagonista è stato ancora una volta il mondo dei giovani, degli skater e dei graffitari. Non è questa una scelta casuale: i graffiti sono un linguaggio che travalica le culture, carico di simboli, capace di raccontare speranze, sogni e voglia di cambiamento dei ragazzi di ogni paese. La collezione è stata presentata con una sfilata in una ex fabbrica manifatturiera dedica a Pier Paolo Pasolini, durante la proiezione del un film “The day of my death”, interpretato da Renata Litvinova. Alcuni degli abiti sono stati realizzati in collaborazione con altri marchi, alcuni del mondo sportswear nello specifico Kappa, Fila e Sergio Tacchini, che hanno dato al lavoro di Gosha un tocco di sartorialità. Non solo dunque, felpe e t-shirt, ma anche giacche in denim e abiti. Gosha ha mixato capi per lo sport con altri più eleganti, pezzi di ispirazione storica con altri dichiaratamente politici. Non sono mancati accenni ironici a ciò che la politica nella sua accezione deteriore sta oggi facendo alla gente e alle sue aspettative per il domani. Più che una sfilata, si è trattato di un incrocio di flussi artistici, provenienti da fonti diverse. È stato come se il lavoro di tutti si fosse perfettamente armonizzato: le creazioni dello stilista e l’espressività dei modelli, voglio precisare non tutti professionisti. Per non dimenticare l’attenzione al dettaglio dei marchi che hanno collaborato con le oculate scelte comunicative di Comme de Garçons. Il risultato? Un incredibile viaggio in un mondo di suggestioni: libertà, stile, memoria, speranza, collaborazione, talento, passioni, lavoro, condivisione del proprio sapere e delle proprie capacità. Non posso che sottolineare quanta bellezza ci sia nel lavoro di questo giovane trentaduenne e quanta capacità di tradurre il nostro tempo, con sapienza e attenzione, in qualcosa di fruibile da tanti; quanta bellezza anche nel suo desiderio di trattare le forme artistiche dalla fotografia al cinema, dalla moda ai graffiti come tanti strumenti utili che parlano la stessa lingua, quella dei giovani, ma soprattutto di tutte le culture. Questo designer così è riuscito a costruire un unico, armonico movimento verso un nuovo futuro, un domani migliore: non posso non parlare di lui. Gosha non si sente chiuso in uno stile o nell’altro e proprio per questo attraverso le sue creazioni riesce a mandare un messaggio di vera e reale collaborazione. Il suo lavoro è quanto mai attuale perché parla di quanto siano superflui i conflitti e le barriere, della necessità di abbattere i confini, i limiti e le ingiustizie, lasciando spazio agli uomini, ai singoli individui, per aprire le proprie vedute, guardare oltre e scoprire dentro di sé ciò che veramente conta. Impossibile non cogliere i riferimenti alla crisi in Georgia e in Siria. Si tratta di un messaggio sociale di portata universale, che parla a chiunque e chiunque incanta con la sua luminosità, la sua bellezza. È un inno alla rinascita, e non solo russa: Gosha ironizza spesso attraverso scritte e loghi contro la politica più bolsa e di- stante dalla gente e contro un modo di pensare che si nutre di discriminazioni, pregiudizi, etichette. Ecco, Gosha con il suo lavoro spera di avviare una sorta di nuovo Rinascimento, nel quale ogni uomo sia libero di essere se stesso appieno e possa venire accettato e rispettato per quello che è. Che dire… Io ci credo. Credo nell’unione che deriva dalle passioni, nella libertà di essere ed esprimere se stessi e le proprie idee nel rispetto di tutti, credo che la bellezza sia una delle chiavi per costruire un mondo migliore e più sincero e puro, credo che dall’unione di tante menti possa nascere un linguaggio nuovo, semplice e diretto, capace di parlare a tutti e di interpretare il sentire comune. Ognuno, naturalmente, è libero di pensarla come vuole. C’è chi chiama Gosha Rubchinskiy “genio”, chi invece non lo sopporta e lo vede come uno stilista più affascinante che capace. Di sicuro è un rivoluzionario. Nessuno ultimamente ha usato la moda, i suoi alfabeti e i suoi palcoscenici come ha fatto lui, con un simile intento sociale. Io sono sedotta dal mondo che Gosha sogna. Mi sembra un luogo nel quale valga la pena vivere, dove al centro c’è l’uomo e non gli interessi di qualcuno, dove ciascuno sarà libero di scegliersi il suo futuro. Dove la collaborazione soppianterà la separazione, i valori l’egoismo e la bellezza potrà risplendere in tutta la sua luce. Io ci vivrei, e voi? G. F.