La principessa di Clèves o della passione negata - "Ferraris"
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La principessa di Clèves o della passione negata - "Ferraris"
Antonella Novello 1 La principessa di Clèves o della passione negata Saggio sul romanzo di Madame de La Fayette (1634-1693) Ma gli uomini conservano l’amore quando si legano per sempre? Indice 1. Un gioiello 7. Fenomenologia della passione amorosa 2. Un romanzo tutto nuovo 8. Il teatro dell’amore 3. La corte, specchio delle passioni 9. L’aveu. Prima confessione 4. L’incipit, famoso 10. L’aveu. Seconda confessione 5. Coup de théâtre e coup de foudre 11. La passione negata. 6. I segni dell’amore. Celare/svelare 12. Amore e matrimonio. Il prezzo della donna 1 E’ stata docente di lettere italiane e latine al Ferraris. 1 1. Un gioiello Quest’opera di Madame de La Fayette, pubblicata nel 1678, è un romanzo d’amore che non si potrà mai confondere con un romanzetto d’appendice, per la scienza dell’amore che vi è profusa, dispiegata in nobile forma, scritta in un francese elegante, classico, che si legge con piacere e senza fatica ancora oggi. Un’opera che per la cifra totale dello stile appartiene all’alta letteratura: un gioiello della letteratura francese. Un classico. Proviamo a confrontare una prosa italiana del Seicento, che non sia di Galileo Galilei, il nostro più grande scrittore del secolo.2 Ce ne ha dato un saggio Alessandro Manzoni, quando nell’invenzione del manoscritto dell’Anonimo (che nella finzione sta alla base dei Promessi Sposi) imita la prosa secentista: L’historia si può veramente deffinire una guerra illustre contro il Tempo, perché togliendoli di mano gl’anni suoi prigionieri, anzi già fatti cadaueri, li richiama in vita, li passa in rassegna, e li schiera di nuovo in battaglia. Ma gl’illustri Campioni che in tal Arringo fanno messe di Palme e d’Allori, rapiscono solo che le spoglie più sfarzose e brillanti, imbalsamando co’ loro inchiostri le imprese de Prencipi e Potentati, e qualificati Personaggj, e trapontando coll’ago finissimo dell’ingegno i fili d’oro e di seta, che formano un perpetuo ricamo di Attioni gloriose. Manzoni rievoca come eravamo, ma soprattutto come siamo ancora nel 1821, quando, accingendosi a scrivere un romanzo, “gloria negativa della letteratura italiana”, constata che non aveva a disposizione una lingua moderna adatta allo scopo. Se l’è inventata lui in vent’anni di lavoro. Anche da qui possiamo misurare il nostro ritardo. 2. Un romanzo tutto nuovo Nella sua parte essenziale La principessa di Clèves è un romanzo tutto nuovo e originale, straordinariamente moderno. È nuovo rispetto alla sua epoca, che è stata un’epoca di romanzi (se ne scrissero più di 1200): un romanzo breve, quando erano lunghissimi, anche di 10.000 o 15.000 pagine. Innovativo quanto alla struttura: mentre il romanzo barocco si regge sulla digressione (in una struttura a cannocchiale, da una storia si dipanano variazioni all’infinito di microstorie e dettagli), La principessa ha una struttura compatta, organica, calcolatissima, secondo l’esprit de géometrie di cartesiana memoria. Le quattro storie che si innestano in quella centrale, tutte narrate in II grado: 1. storia di Diana di Poitiers, narrata da Madame de Chartres, madre della principessa 2. storia di Madame de Tournon, narrata dal principe di Clèves, marito della principessa 3. storia di Anna Bolena, narrata dalla regina delfina Maria Stuart 4. storia del visdomino di Chartres, narrata da lui medesimo al duca di Nemours, il quale a sua volta la racconta alla principessa (e siamo in III grado), hanno un rapporto strettamente funzionale con la storia principale. Insieme danno vita a un congegno narrativo di storia nella storia, un gioco di specchi, come nella omonima galleria della reggia di Versailles che si andava costruendo contemporaneamente alla stesura del romanzo. Non sono storie ritardanti 2 Grande anche perché scriveva in italiano quando gran parte del mondo intellettuale scriveva ancora in latino. 2 l’azione, rispondono alla struttura mentale che sottende il romanzo: la specularità. Le prime due, storie di infedeltà femminile, le seconde due, di infedeltà maschile, sono specchi in cui la principessa può vedere riflessa se stessa, sono contributi alla sua educazione sentimentale. 3. La corte, specchio di passioni La cornice della storia è la corte regale di Francia, ambiente che vive nella specularità, nel desiderio mimetico, che, secondo René Girard3, che ha intensamente studiato il fenomeno, si origina sulla base di modelli e mediazioni (io desidero quello che desiderano gli altri) e scatena rivalità che alzano il prezzo dell’oggetto: per una mano che si protende ad afferrare l’oggetto del desiderio, altre mani avanzano in competizione; una donna ammirata e desiderata da uno, sarà ammirata e desiderata ancor più da un rivale. La corte è il luogo per eccellenza del desiderio mimetico mediato da modelli, desiderabili, di status sociale, potere, ricchezza, amore: perciò un luogo di intrighi, corruzioni, seduzioni, innamoramenti, tradimenti, gelosie, invidie, cioè di passioni calde e passioni fredde. Il tema dello specchio, come ha mirabilmente illustrato Pirandello, si risolve nel teatro. In un’epoca che ha molto amato il teatro, la vita della corte si presenta come un grande sipario su cui tutti sono mascherati. Simulazione e dissimulazione (simulare, far vedere ciò che non c’è, dissimulare, nascondere ciò che c’è) sono le virtù sociali della corte. Sono anche, e soprattutto, virtù politiche, che Machiavelli4 raccomanda all’uomo di governo che non voglia “ruinare”, cioè votarsi all’insuccesso. La dissimulazione è una cifra dei rapporti umani del Seicento, basti ricordare il motto di Cartesio, Larvatus prodeo, mi faccio avanti mascherato. 5 Un altro ideologo del secolo, Baltasar Graciàn6, raccomanda: “Bisogna mascherarsi e nascondere il proprio gioco, per meglio togliere la maschera agli altri”; la dissimulazione si accompagna sempre all’ostentazione, cioè all’esibizione di un’apparenza: “L’ostentazione dà una sorta di seconda esistenza”. Elogio dell’ipocrisia, della doppiezza, del bispensiero. Siamo sulle tracce di Orwell, 1984. 3 Tra i tanti saggi di questo studioso, innanzi tutto Menzogna romanzesca e verità romantica, in cui viene esplicitamente considerata La principessa di Clèves; ricorderei anche Geometrie del desiderio, Raffaello Cortina editore, Milano, 2012, in cui sono prese in esame con la stessa chiave di lettura altre opere letterarie. 4 Machiavelli ha marchiato il Cinquecento 5 Esemplare l’analisi di Roland Barthes sul Larvatus prodeo nel capitolo intitolato Gli occhiali da sole del suo Frammenti di un discorso amoroso. Nell’ambito italiano, fondamentale sul tema il saggio Della dissimulazione onesta di Torquato Accetto, recuperato da Benedetto Croce nel 1928, un vero vademecum per l’uomo del Seicento. 6 Gesuita spagnolo (1601-1658) in El discreto (1646). Però poi afferma che per sembrare con efficacia bisogna essere effettivamente. 3 4. L’incipit, famoso La magnificenza e la cortesia non sono mai apparse in Francia con tanto splendore come negli ultimi anni del regno di Enrico II.7 Nella sua cornice La princesse de Clèves è un romanzo storico, informato su una accurata ricerca delle fonti. La vicenda dura dall’ottobre del 1558 al novembre del 1559. Siamo alla corte del re di Francia Enrico II di Valois, anche se questa corte fa da schermo a quella del re Sole, un secolo dopo, che l’autrice conosceva bene: ne era entrata giovanissima, nella cerchia della regina madre, Anna d’Austria. L’autrice trasferisce sulla corte dei Valois caratteristiche che sono pertinenti al tempo del re Sole, ma il quadro storico è attendibile. I personaggi storici ci sono tutti (tra storici e di fantasia si contano nel romanzo centoventi personaggi). Il sipario si apre, dunque, sulla corte del re di Francia, dominata non dalla coppia matrimoniale regnante (Enrico II e la regina, l’italiana Caterina dei Medici 8), ma dalla coppia di passione: il re e Diana di Poitiers. Una consuetudine dei re di Francia, a partire da Francesco I: importanza a corte l’ha la maitresse en titre, l’amante ufficiale, non la moglie. Il compito della moglie del re è generare eredi per il regno. Caterina per dieci anni non concepisce figliolo, il che già la relega ai margini. Dopo dieci anni ne concepisce dieci, di cui sette sopravvivono, tre diventano re di Francia 9 e con loro si chiude la dinastia dei Valois10. Una storia, invece, quella tra Enrico e Diana, che data da quando Enrico aveva diciassette anni (ma pare ne fosse innamorato dagli undici anni) ed era appena salito al trono, lei ne aveva trentasei. Sono passati più di vent’anni e il rapporto si è rivelato inossidabile, la passione non è mai venuta meno. Diana regna con dispotismo sul cuore del re (che ha nello stemma le sue iniziali intrecciate con quelle dell’amante e sfoggia nei tornei di corte i colori di lei, il bianco e il nero) e regna sullo stato. Marguerite Yourcenar annota: “La sua bellezza era così assoluta, così inalterabile, da occultare la personalità stessa di colei che ne era dotata”.11 Un mito. La moglie Caterina, che 7 Le citazioni dal testo sono tratte da Madame de La Fayette, La principessa di Clèves, Fabbri Editori, 1997, stessa opera presente anche nella BUR 8 Personaggio storico controverso in un’epoca dolorosa e terribile, quella delle guerre di religione, culminate nella famigerata notte di san Bartolomeo (23-24 agosto 1672) 9 Francesco II, Carlo IX ed Enrico III 10 Anche due regine: Margherita, regina di Navarra; Elisabetta, regina di Spagna; e una duchessa, Claudia di Lorena. Col che fa concorrenza a Maria Teresa d’Austria 11 cit da B. Craveri, Amanti e regine, p. 26 4 amava appassionatamente il marito, “pareva che tollerasse…non mostrava gelosia”.12 Non era così, in realtà: dissimulava. Facevo buon viso a Madame de Valentinois.13 Era la volontà del re, benché non gli nascondessi che vi acconsentivo mio malgrado: perché mai nessuna donna che ha amato il proprio marito ha amato la sua puttana.14 Poi c’è la coppia delfina, che dopo la morte di Enrico II diventa, sia pure per poco tempo, regnante: Francesco II e Maria Stuart, regina di Scozia, del cui cercle fa parte la principessa. Poi ci sono i campioni della corte, in primis i “principi e le principesse del sangue”. 5. Coup de théâtre e coup de foudre Al triangolo storico (re di Francia, la moglie, l’amante) corrisponde il triangolo dei personaggi di fantasia, i campioni della storia. Primo personaggio del dramma: Mademoiselle de Chartres, giovanissima, sedici anni, per i costumi del tempo in età da marito. La madre, Madame de Chartres, vedova, amica e consigliera della figlia, la prepara all’ingresso nella corte, la mette in guardia, senza nulla nascondere delle insidie che vi avrebbe trovato: Se giudicate dalle apparenze in un luogo come questo vi ingannerete sempre: esse non corrispondono quasi mai alla verità.15 In tale groviglio di apparenza e realtà una grande prudenza è necessaria: solo la scelta per la virtù e il dovere nei confronti del marito possono salvarla dalla “ruina”. La sua apparizione sulla scena del romanzo è intonata a una dimensione di fiaba. La vediamo, di una bellezza e di una grazia suprema, mentre fa il suo ingresso nella corte: il suo incedere ha gli stessi accenti con cui Dante cantava il passaggio della Beata, Tanto gentile e tanto onesta pare : Ella si va, sentendosi laudare, benignamente d’umiltà vestuta; e par che sia una cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrare. Questo ci ricorda che sono ancora vivi i valori cavallereschi e cortesi, spogliati però di ogni trascendenza: il fascino di questo elegante quadro cortese è tutto orizzontale. Il lettore sa che Mademoiselle de Chartres è veramente donna di bellezza e di virtù, è per davvero “benignamente d’umiltà vestuta”, ma in generale qui, nella corte, il dantesco parere è proprio apparire. 12 La principessa, p. 7 13 Così è spesso designata nel romanzo. N.B. è lo stesso titolo di cui Luigi XII aveva insignito Cesare Borgia 14 Lettera del 1584 al sovrintendente Pomponne de Bellièvre, cit. da B. Craveri, La civiltà…, p.31 15 Op. cit., p. 29 5 Naturalmente madamigella è oggetto d’amore da parte di molti. Tra i rivali la spunta il principe di Clèves, secondo personaggio del dramma, che ne è appassionatamente innamorato. Madamigella, interrogata dalla madre, accetta di sposarlo “meno controvoglia di un altro”. Due negazioni qui (vede con chiarezza il principe di Clèves) non fanno una affermazione. I motivi del suo sì consistono in stima e riconoscenza, una specie di bontà, “un sentimento di modestia, non un moto del cuore”, non una inclinazione. Nella Carte du Tendre16, un fortunato divertissement dei salotti del Seicento parigino (alla cui autrice17, Madame de Scudéry, vera autorità in materia, si devono anche romanzi - d’amore, ça va sans dire - che ebbero grande fortuna presso i contemporanei), stima e riconoscenza sono termini con cui si designano i sentimenti che portano al matrimonio, inclinazione designa invece l’amorepassione.18 Il principe la sposa, felice per il sì della moglie, ma “con qualche ombra”. Sta spesso con la moglie per poterla vedere, il che non è consueto per i mariti. Il matrimonio non spegne la passione del principe, contravvenendo al motto della regina Margot:19 “Volete smettere di amare? Possedete l’oggetto del vostro amore”. Appunto, il possesso del principe non è completo, non la possiede tutta. La principessa…lei non sa che cosa sia la passione, non lo sa ancora. Torna a corte il duca di Nemours, terzo personaggio del triangolo amoroso. Tutta la corte è in attesa, se ne parla come dell’esemplare perfetto del gentiluomo, dell’uomo più bello e seducente possibile. La principessa nutre curiosità e impazienza e quando lo vede per la prima volta, senza sapere chi sia, lo riconosce. Lui entra nel salone, l’atmosfera si fa carica di tensione, c’è un movimento, un mormorio. Coup de théâtre, lei si volta, lo riconosce: è lui. Lui va subito dove si balla, vede la principessa, coup de foudre: la tradizione dell’amore cortese insegna che ci si innamora con gli occhi. Qui c’è un espediente narrativo, un fatto che era accaduto realmente: Madame de Sablé si innamora a prima vista del duca di Montmorency, che “invece di entrare dalla porta entra volteggiando dalla finestra”; aveva un aspetto così seducente che lei ne fu presa al laccio all’istante. Così il duca supera volteggiando una fila di sedie che si frappone tra loro, avanza verso di lei per invitarla a ballare. Ha funzionato per Madame de Sablé, funziona anche per la principessa di Clèves. E subito tutti, re e regina compresi, escono in moti di lode. Vibrazioni dell’essere. In lei si origina un turbamento: incomincia il cimento della passione. Il narratore commenta: 16 Si potrebbe tradurre Mappa del Paese della Tenerezza. Compare nel romanzo Clélia. Une histoire romaine, pubblicato nel 1654 17 In realtà frutto di un lavoro collettivo 18 Tutto il Seicento ha concepito un grandissimo interesse per il tema della passione: Cartesio, Pascal, Montaigne nella filosofia, Fénelon, Bossuet, Massillon nell’omiletica, Corneille e Racine nel teatro, per citare i più grandi. 19 Margherita di Valois, figlia della coppia regnante, prima moglie del primo re Borbone di Francia, Enrico IV. Regina di Navarra, non sarà però regina di Francia. Enrico IV la ripudia (consensualmente) e passa a nuove nozze con un’altra principessa italiana, Maria dei Medici. 6 Incontrandosi spesso e trovandosi l’un l’altro quanto di più perfetto vi fosse alla corte, sarebbe stato difficile che non si piacessero infinitamente.20 Come dire, era ineluttabile che accadesse. 6. I segni dell’amore. Celare/svelare Alla contemplatio segue la ruminatio. Una presa di coscienza di quel che è accaduto: immediata per il duca, che ha alle spalle una lunga e fortunata esperienza galante, lenta, contradditoria e tormentosa per la principessa, che va scoprendo un versante della vita a lei totalmente sconosciuto, con la complicazione che l’amato non è il marito. Ora, il sistema amoroso della corte non rappresenterebbe davvero un ostacolo: qui la galanteria, onesta (se così si può dire, cioè intesa come puro gioco di società, una cosa sola con le regole e le consuetudini comportamentali: fare all’amore allora significava flirtare) e disonesta (quella che dà adito al tradimento), è all’ordine del giorno. Ostacoli esteriori non ce ne sarebbero, ma gli ostacoli interiori sono i più forti e in questa donna sono fortissimi. C’è ben più che una fila di sedie a frapporsi tra loro, volteggiare non vale. Il percorso passionale si evince innanzi tutto dalle coppie dei contrari, che rivelano il conflitto: incontro/rifiuto, desiderio/resistenza, speranza/timore, eccitante/spaventevole, euforia/disforia, caso/necessità, libertà/obblighi, volere/non volere, potere/non potere, dovere/non dovere. Questi moti contradditori “le vennero allo spirito tutti insieme” e fanno un ingorgo dentro, la vita non fluisce più. Comincia, in mancanza di una diretta dichiarazione d’amore, un gioco in cui apparenza e realtà si intrecciano, simulazione e dissimulazione si adoperano a confondere le acque, mentre (unico soccorso) l’intelligenza emotiva, l’intelligenza amorosa, si attiva a decodificare i segni dell’amore. Più che le parole, che poco e male vengono in soccorso, valgono i segni fisici, soprattutto sensoriali (massimamente gli occhi) a tradire il non detto. I segni sono, per usare un linguaggio psicoanalitico, sintomi quando non sono controllabili dalla ragione e dalla volontà (e la passione non è controllabile del tutto dalla ragione e dalla volontà). Ci si lascia scappare dei segnali, verbali ma soprattutto corporei, veri atti mancati che contraddicono l’assertività cosciente. Il romanzo è un fitto repertorio dei segni della passione, il cui campo privilegiato di osservazione sono il viso, gli occhi, la pelle, la postura, … 7. Fenomenologia dell’amore-passione La descrizione della fenomenologia amorosa è accuratissima, finissime (esprit de finesse) sono l’analisi e la penetrazione psicologica, che rivelano i progressi e i regressi del venire alla coscienza dell’amore, i labirinti della mente, la cecità, l’autoinganno, l’autorivelazione. È uno dei meriti e dell’originalità di questo romanzo aver sondato i penetrali del cuore, aver portato alla superficie le movenze dell’inconscio, come fanno i romanzi moderni. Una conferma, non la sola, che il Seicento, secolo di luci ed ombre fittissime,21 è gestazione e prima emersione della modernità. 20 Op. cit., p. 28. 21 La pittura (in particolare Caravaggio) ne è sommamente rappresentativa. 7 Vale anche ricordare che nel 1649 era stata pubblicata la traduzione delle Confessioni di Sant’Agostino, modello di analisi interiore. Attraverso i segni e i sintomi dell’amore, dunque, si rivelano i sentimenti e gli stati d’animo profondi che si vorrebbero celare allo sguardo degli altri, per sfuggire al controllo della corte. Il racconto (la storia) e il discorso (come si racconta) ai vari livelli sono imperniati sulla dialettica celare/svelare, nascondere/mostrare. Al livello lessicale troviamo un’impressionante frequenza delle occorrenze del campo semantico vedere/nascondere. Renderne conto qui sarebbe quasi esaurire il lessico del romanzo. Al livello fenomenologico, arrossire, impallidire, mutar umore, mostrare soggezione e timidezza (segni della passione vera) in presenza dell’amato, essere goffi, addirittura inciampare sulla gonna (Freud ammicca); al contrario stare controllatissimi, imporsi di non guardare, ostentare indifferenza, non farsi più vedere, fingere di essere malati, fuggire. È il duca ad essere più consapevole che “gli riusciva impossibile esser padrone del suo volto”22, e tuttavia la cerca senza farsi vedere che la cerca. Mentre le fanno il ritratto non la guarda per paura che si veda il piacere di vederla. Anzi, quel ritratto lui lo sottrae con destrezza, per poterlo comodamente contemplare in solitudine, senza preoccuparsi delle reazioni altrui. La principessa vede il suo gesto e lui vede che lei l’ha visto e finge di non aver visto. Di queste continue retroazioni a spirale è intessuto il romanzo d’amore.23 Altro indizio, mutar costume di vita: il duca, notorio sciupafemmine, improvvisamente sembra non pensare più a nessuna. Ha lasciato cadere la possibilità di sposare Elisabetta d’Inghilterra, enormità in un uomo in carriera come lui; non si nasconde più, è sempre reperibile, non ha più segreti con nessuno, neanche con il visdomino di Chartres, l’amico intimo. Nessun segno lascia trapelare chi è la fortunata: proprio l’assenza di segni è il segno più convincente che c’è qualcuna e qualcuna che non lo riama. Segno certo del cambiamento è diventare ciò che non si era. Il più grande cambiamento per il duca non é tanto amare, che, anzi, questo é per lui consuetudine, ma amare e non essere riamato. La corte si accorge del nuovo comportamento, la curiosità è massima, i rumores non tardano a mettersi in moto. Ben presto raggiungono la principessa ed è inevitabile per lei cadere sempre più nel conflitto tra l’amore coniugale e l’amore-passione. Sorge la gelosia, compagna indefettibile della passione. Difficile non è cercar l’amato, stargli vicino, questo è quel che viene istintivo, ma poiché vuol essere fedele e leale con il marito, difficile è resistere, evitare, per non lasciar vedere al marito e agli altri il proprio sentimento. Capisce di non essere padrona delle sue reazioni emotive, dunque l’unica difesa è sparire dalla corte, andare in campagna presso la propria residenza di Coulommiers24. Gliene dà pretesto la morte della madre, senza la quale è sola a fronteggiare la difficile battaglia. 22 La princesse, p.105 23 Queste dinamiche, qui dispiegate compiutamente, sono state portate alla luce e studiate scientificamente dalla psicologia del Novecento! Per esempio in Watzlavick - J.H. Beavin - D.D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma, 1967 24 Castello che non esisteva ancora nel 1500, di cui Christa Bürger racconta l’affascinante storia e le suggestioni in ordine al romanzo, in Il sistema dell’amore. Genesi e sviluppo della scrittura femminile, in La cultura del romanzo, Einaudi, Torino, p. 496 8 8. Il teatro dell’amore L’assenza dell’amato davanti agli occhi tuttavia non significa assenza dell’amato. L’amore-passione è un delirio fantasmatico,25 nel quale proprio nell’assenza l’amato è più presente. È il teatro interiore ad essere abitato dall’altro. Solo l’indifferenza svuoterebbe il palco. C’è un passaggio che ci restituisce una rappresentazione perfetta del teatro dell’amore. Il duca, sapendola sola, va a Coulommiers di notte per vederla. La sorprende in questa guisa: Stava sopra un divano, con un tavolinetto davanti, dove erano diversi panieri pieni di nastri; ella ne andava scegliendo, e il duca di Nemours notò che erano gli stessi colori da lui portati nel giorno del torneo. Vide che essa ne faceva dei fiocchi per una canna d’India, bellissima, che egli aveva portato per un certo tempo e poi donato a sua sorella, alla quale la principessa di Clèves l’aveva presa fingendo di non sapere che aveva appartenuto al Nemours. Dopo che ebbe terminato quel lavoro, con una grazia e una dolcezza che i sentimenti che le stavano in cuore dipingevano sopra il suo volto, prese un doppiere e si avvicinò a una grande tavola, di faccia al quadro che rappresentava l’assedio di Metz, nel quale era il ritratto del duca; lì sedette, e si pose a contemplare quel ritratto con una attenzione piena di sogni che solamente l’amore può dare.26 È una scena d’estasi, in cui non c’è nessuna dissimulazione: una donna nella solitudine si abbandona ai trasporti d’amore. Anche gli oggetti sono segni dell’amore: il ritratto come surrogato della presenza dell’amato, un oggetto appartenutogli, i colori simbolici dell’appartenenza. Il duca interpreta senza sforzo i sentimenti che sgorgano spontanei dalla donna. Quello che è interessante è la costruzione della scena: il voyeurismo di lui che contempla lei che contempla lui attraverso il suo ritratto, che contempla lei; e il duca non sa che una spia mandata dal marito guarda lui che guarda lei che guarda lui nel ritratto che dal ritratto guarda lei… e il marito attraverso il racconto della spia guarderà lui che guarda lei ecc. Una scena a specchi multipli, tipica della immaginazione barocca. Pur con la differenza tra linguaggio letterario e linguaggio figurativo, nella costruzione questa scena ricorda un quadro di Diego Velazquez, Las meninas. Davanti a questo quadro al Prado c’è sempre un ingorgo di gente, come davanti alla Gioconda, ma davanti alla Gioconda ci si ferma come davanti a una star del cinema, davanti a Las meninas ci si ferma perché non si capisce. Dov’è il quadro? Dov’è la verosimiglianza? Il quadro è costruito sulla stessa complicazione di immagini speculari. 9. L’aveu. Prima confessione Il 29 giugno 1559 durante le feste per il fidanzamento di Elisabetta, figlia di Enrico II, e del re di Spagna, Filippo II, (lei sedici anni, lui, al terzo matrimonio, trentasei) si tiene un grande torneo presso la reggia di Tournelles a Parigi, in cui i campioni del regno possono esibire il loro valore 25 I Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes sono un’esemplare analisi di questo assunto, come anche la Recherche di Proust 26 Op. cit., p. 126-7 9 cavalleresco. Il re sfoggia il bianco e il nero, i colori dell’amante ufficiale. Il duca di Nemours sfoggia il giallo e il nero: il giallo è il colore preferito della principessa. Nessuno lo sa, perché non glielo vedono mai addosso, ma lui lo sa e lei capisce. In quest’occasione avviene la morte del re. Gli astrologi di cui si circondava la regina27 lo avevano predetto con precisione, ma nessuna preghiera vale a far indietreggiare il re. Colpito da una scheggia della lancia dell’avversario alla parete frontale, al di sopra dell’occhio, muore dopo una decina di giorni d’agonia. Non serve che quattro condannati a morte in attesa di esecuzione siano decapitati in fretta perché i medici studino il caso: non ci capirono niente. Caterina diventa reggente del regno, Diana di Poitiers, l’odiata rivale, è estromessa dalla corte. La regina fa abbattere la reggia di Tournelles, su quel luogo sorge Place des Vosges. Il lutto della corte favorisce la retraite, il ritiro della principessa a Coulommiers, in cerca di pace. Sopraffatta dall’amore, ha bisogno di essere protetta da se stessa. Non vuole tradire il marito: gli confessa di amare un altro, senza rivelarne il nome. La confessione è virtuosamente mossa dalla sincerità: sincerità versus dissimulazione la pone in posizione trasgressiva rispetto al costume del suo tempo e del suo ambiente. La pace del marito é scossa, mentre il duca (nascosto nel padiglione che dà sulla foresta, ha udito la confessione della principessa) é il più felice degli uomini: sa di essere amato; ma è anche il più disperato: capisce, infatti, che la donna amata non sarà mai sua. Ex abundantia cordis rivela, attribuendola a un altro, la storia del suo amore (confessione della moglie al marito compresa) all’amico, che tuttavia non si fa ingannare: c’è troppa partecipazione emotiva perché il duca sia solo un referente. La storia fa il giro della corte e torna alle orecchie del principe e della principessa. Chi ha parlato? Il marito? No, è più facile che sia la donna. Gli uomini, a parte le guasconate da caserma, non rivelano agli amici le cose che stanno loro più a cuore. E vanno avanti tutta la notte a rinfacciarsi di aver tradito la fiducia. Ormai il loro segreto sconveniente è nelle mani dell’opinione pubblica. Sarà Nemours stesso a confessare alla principessa di aver parlato: È stato discreto, diceva a se stessa, fin tanto che si è creduto sfortunato… Non gli è parso possibile essere amato senza farlo risapere… Mi sono ingannata quando ho creduto che possa esistere un uomo capace di nascondere ciò che lusinga la sua vanagloria.28 Lo sfortunato in amore non ama far sapere, il fortunato sì. Si dice che le donne cederebbero più volentieri alle lusinghe d’amore se gli uomini sapessero custodire il segreto. Sarebbe stato ben diverso se la principessa avesse potuto contare sulla lealtà del duca, invece si é rivelato come tutti gli uomini; e lei è come tutte le donne. Non c’è eccezionalità in questa storia. Madame de Scudéry docet: lo scopo della Carte du Tendre non è la conquista della donna, ma l’amore. E per ottenere l’amore tutte le virtù etiche devono essere messe alla prova. Il principe, confermata dalla spia la presunta tresca amorosa tra la moglie e il duca, dapprima convinto del tradimento, poi commosso dalle proteste di innocenza della moglie, alla fine le crede, ma è tardi, muore di dolore. Per il geloso non vi sono prove negative, solo perché senza risposta: 27 Nostradamus e non solo ( sull’argomento Balzac ha scritto tre racconti, Sur Catherine de Médecis) 28 La principessa, pp. 110-1 10 “Perché non è egli per voi come un altro qualsiasi?”. Sia quando il rivale è accanto all’amata, sia quando non lo è, non cambia nulla. Non è la realtà che conta, ma la visione della realtà, il delirio di realtà. Alla fine anche il marito è una vittima della passione. Sulla confessione di lei al marito il Mercure Galant nell’aprile 1678, un mese dopo la pubblicazione del romanzo (segno di un successo immediato), lanciò un sondaggio-dibattito (modernità!): “Domando se una Donna virtuosa, la quale nutre tutta la stima possibile per un Marito quanto mai degno, ma è al tempo stesso combattuta da una violenta passione, che cerca in tutti i modi di soffocare, per un Amante, fa meglio a confidare questa sua passione al marito o a tacerla esponendosi a battaglie continue”. L’aveu fu giudicato dai contemporanei inverosimile, quanto meno stravagante; i più lo giudicarono scandaloso, perché attentava alle fondamenta dell’istituto familiare. Il marito l’ha giudicato esiziale: “Perché non lasciarmi in quella pacifica cecità che è benefica per tanti mariti?” 10. L’aveu. Seconda confessione Il romanzo volge al termine. Il marito è morto, la principessa è preda di un grande dolore e rimorso: si giudica responsabile della sua morte. Ora capisce il valore e il merito del marito. Questo è tipico di quasi tutte le vedove. Non ci sono più ostacoli esteriori che impediscano di convolare a nozze con l’amato, ma gli ostacoli interiori sono sempre i più forti. I due vengono al dunque. La principessa per la prima e unica volta confessa al duca di amarlo, ma neanche ora il duca può gioire. La decisione di lei è di mai più rivederlo e così farà, sorretta dall’argomento decisivo: la sua pace, il suo repos. Cade gravemente ammalata, guarisce, ma non del tutto (depressione?): pur con “vedute più vaste e più lontane”, non dimenticherà il duca. Si reca nei suoi possedimenti in provincia. Qui trascorre metà dell’anno, l’altra metà in convento. La sua vita sarà breve, ma esemplare di “virtù inimitabili”. Il romanzo termina con i crismi dell’eccezionalità. Il duca passa assai brutti momenti, devono tenerlo fermo perché non faccia stravaganze, ma poi la vita riprende con le sue distrazioni e ridiventa normale, vivibile: dimentica. “E il folle mondo viene avanti rotolando”.29 11. La passione negata Questo finale, non aperto, apre a interpretazioni diverse. Stiamo parlando dell’amore-passione, della cui natura si discute da sempre: se sia amore per l’altro o amore di sé, se sia amore dell’amore, l’amare amabam di Sant’Agostino o della monaca portoghese del romanzo (epistolare) gemello della Principessa di Clèves, edito nove anni prima, ancora oggi di non definitiva attribuzione: 29 Paul Auster nel suo romanzo Uomo nel buio 11 Ho compreso di non averti mai amato, la sola cosa che io abbia amato è la mia passione.30 Innanzi tutto, secondo le aspettative del romanzo d’amore non c’è lieto fine. C’è chi ha parlato di bildungroman a rovescio: la scelta per il repos e per la retraite è il contrario di una crescita interiore, perché è la negazione di una dinamica umana che assecondi le traiettorie naturali, quali sono la passione d’amore o la pulsione sessuale, che prima si subiscono e poi si scelgono. La rinuncia all’amore è rinuncia alla vita. La principessa ha paura, non ha coraggio, fugge la vita. Molte sono state le valutazioni di questo tipo. Stendhal, per esempio, pensa che ha fatto malissimo: Una disgrazia più grande [delle donne] è che il coraggio sia sempre impiegato contro la loro felicità: la principessa di Clèves doveva non dir niente a suo marito e darsi al duca di Nemours…Credo che se la Signora fosse arrivata alla vecchiaia, a quell’epoca in cui si giudica la vita, e in cui i piaceri d’orgoglio appaiono in tutta la loro meschinità, si sarebbe pentita.31 Ritiene un peccato di orgoglio la confessione al marito e poi, si sa, meglio rimorsi che rimpianti. La principessa sceglie di negare (letteralmente, di non agire) la passione perché ne ha sperimentato il dinamismo devastante. L’ha sperimentata in tutta la sua violenza, non solo sul versante extraconiugale, come è facile ammettere, ma anche intraconiugale: il marito è morto d’amore. Ha sperimentato come nella passione si sia soggetti a una forza fatale contro cui nulla possono la volontà e la razionalità. In essa non si vive, quanto si è vissuti: la libertà personale è soggiogata. Sarebbe necessaria la solitudine, ma per chi vive nella corte, che esige la presenza, è impossibile sottrarsi al campo magnetico della passione. Questo sentire sottende la spiritualità del giansenismo, che svaluta la volontà umana non sorretta dalla grazia divina e da una virtù dura, ascetica, cui si consegna la principessa. Chi vuole conoscere a pieno la vanità dell’uomo ha solo da considerare le cause e gli effetti dell’amore. La causa è un non so che; gli effetti sono spaventosi.32 Madame de La Fayette non era giansenista, ma il suo direttore spirituale lo era. 33In questo influsso il personaggio riflette il suo creatore. L’obiezione maggiore della principessa è sulla durata della passione: ha paura che l’amore finisca, ha paura di essere abbandonata. Conosce bene la fama di seduttore del duca: perché non potrebbe capitare a lei quello che è capitato a una schiera di donne? Tutti coloro che sposano, riamati, le loro amanti tremano nello sposarle, e pensano con timore, nei riguardi degli altri, alla condotta che esse hanno tenuto con loro.34 30 In altra traduzione: Ho provato che mi eravate meno caro della mia passione in Quinta lettera, Lettere portoghesi, Bur, Milano, 2002, p. 90 31 Stendhal, Dell’amore, Garzanti, Milano, 1976, p.66 32 Corneille, cit. in M. Hinker, Madame de La Fayette, in Storia della letteratura francese, vol. I, Garzanti, Milano, pp. 650-ss. 33 Lo stesso caso di Manzoni. Gabriella Violato ha scritto un saggio intero sulla questione, La principessa giansenista, Bulzoni, Napoli, 1981 34 La principessa…, p. 143 12 Del resto la galanteria è la legge comportamentale della corte. Capiterà certamente. L’amore passionale esiste soltanto nel non ancora. Se il duca è stato così tenace è perché ha incontrato ostacoli insormontabili: la passione si pasce dell’impossibile. Via l’ostacolo, la fiamma si spegne, ma la scottatura rimane. Allora la principessa rifiuta la passione per mantenere la sua integrità. In ultima istanza preferisce la tranquillità interiore, la pace, perché lì c’è ordine e stabilità, lì c’è l’essenza della sua identità. Bisognerebbe aver fede nel diktat di Madame de Scudéry: Voglio che si ami per generosità, quando non lo si può più fare per inclinazione, e voglio sinanche che quando non si può più amare, ci si obblighi a comportarsi come se si amasse ancora: questa è infatti l’unica circostanza in cui è consentito ingannare innocentemente, anzi, in cui è persino bello farlo.35 La principessa non crede sia possibile. È un romanzo pessimista. Non solo non esce bene il sogno di felicità, ma neppure il matrimonio. Guardiamo i triangoli amorosi del romanzo, quello storico e quello di fantasia: a. la regina Caterina ama b. il re Enrico che ama c. Diana; a. il principe di Clèves ama b. la principessa che ama c. Nemours. Aba/bab: la figura dell’inversione (chiasmo arricchito=conflitto), letta in continuità (abcabc) dà il senso della ripetizione all’infinito: significa infelicità su tutta la linea, nella storia e nella fantasia; il genere (uomo-donna), che storicamente non è certo equivalente, qui non cambia il problema. Matrimoni combinati, mal assortiti, in contesti vischiosi, sono destinati a dare infelicità. D’altro canto, non che i matrimoni d’amore sfuggano a priori allo stesso destino. 12. Amore e matrimonio. La preziosità della donna Denis de Rougemont36 sostiene che la letteratura d’amore in Occidente, a partire da Tristano e Isotta, che ne è l’archetipo, non sia stata nient’altro che una guerra fatta al matrimonio. La Chiesa ha condannato il testo ideologico di riferimento, il De amore di Andrea Cappellano, per lo stesso motivo, perché questo amore è adultero. Il matrimonio sarebbe la tomba dell’amore per l’ennui, la noia, l’assenza di palpiti ( Madame Bovary), mentre la passione fa palpitare e il palpito è vita vera. Per millenni non ci si sposava per ragioni affettive, che non vuol dire che non ci sia mai stata affettività tra i coniugi, ma che non ci si sposava per libera volontà, bensì per interessi dinastici ed economici, tanto più nella società nobiliare cui appartiene la principessa e appartenne la sua autrice. A quel tempo il matrimonio era una prova difficile per le donne. Ci furono casi estremi, come, per esempio, quello della duchessa di Mont Bazon, che sposa un principe di Rohan: lei ha sedici anni, è 35 Citato in C. Bürger, Il sistema dell’amore. Genesi e sviluppo della scrittura femminile, in La cultura del romanzo, Einaudi, Torino, p. 488 36 Denis de Rougemont, L’Amore e l’Occidente, BUR, Milano, 1977 13 appena uscita dal chiostro dove è stata educata, lui ne ha settantadue. La sua iniziazione matrimoniale sembra un racconto del marchese de Sade. Madame de La Fayette è figlia del suo tempo e delle sue esperienze. Durante il Seicento, in Francia, un movimento culturale, la Preziosità, cui partecipavano donne, ma non solo donne, sviluppatosi parallelamente alla corte, nei salotti (anche Madame de La Fayette ne fece parte), è stato, per così dire, il primo movimento femminista in Europa. Tra le idee moderne ha elaborato l’idea della preziosità della donna, cioè che il prezzo, ovvero il valore della donna, viene prima ed è indipendente dal matrimonio. Le donne che senza il matrimonio si sentono deprivate si defalcano del loro valore personale. Le preziose guardano alle ragioni del cuore e del cuore solamente, non al matrimonio. Ci si sposa per odiare. È questo il motivo per cui un amante sincero non deve mai parlare di matrimonio, perché essere amante significa voler essere amato, e voler essere marito significa voler essere odiato37 George Sorel, un poeta e romanziere del tempo, connota così la Preziosità: Da coloro che oggi sono chiamati preziosi e preziose si ritiene preferibile invecchiare amandosi senza sposarsi e biasimare sempre il matrimonio. Queste donne amano l’indipendenza. Ora, previa indipendenza economica (stiamo parlando della società nobiliare dell’ancien régime), quali possibilità vi erano per le donne di essere indipendenti? La prima soluzione era la vedovanza: Lo stato vedovile era incontestabilmente la sola condizione giuridica in grado di consentire a una donna del XVII secolo di disporre liberamente di sé.38 Se raggiunta in giovane età era una condizione privilegiata . Madame de Sevigné, l’amica-amica di Madame de La Fayette, è vedova a venticinque anni. Una vera fortuna: si guarda bene dal risposarsi e si gode l’indipendenza. Nulla le manca per godersi la vita: status sociale ed economico, intelligenza, cultura... e se la gode. Madame de La Fayette: nasce il 18 marzo del 1634, si sposa a ventuno anni con un uomo più anziano di lei, ovviamente matrimonio combinato; fanno due figli; nel 1661 si separano senza drammi sentimentali, lui in Auvergne, lei a Parigi, ha ventisette anni (seconda soluzione, marito lontano); comincia la sua carriera di donna dei salons, ne fonda uno a casa sua con assai belle frequentazioni; a trentatré anni inizia la sua relazione (amitié amoureuse) con La Rochefoucault; dopo quindici anni d’amore lui muore nel 1680 (è anche l’anno del trasferimento della corte a Versailles), lei ha quarantasei anni; a quarantanove è vedova anagraficamente e muore nel 1693, a cinquantanove anni. La vita esemplare di una donna, molto abile in tutto, che ha scoperto e vissuto il valore di se stessa. La principessa, secondo Stendhal, se fosse invecchiata, “avrebbe voluto aver vissuto come Madame de La Fayette”. 37 Mademoiselle de Scudéry, Cit. in Storia delle donne, vol. III, p. 418 38 B. Craveri, La civiltà…, p. 69 14 Diana di Poitiers è vedova a trentuno anni, mette nel suo stemma araldico il simbolo delle vedove, la torcia rovesciata. Sappiamo già quale è stato il suo ruolo nella corte di Enrico II. Terza soluzione, aver marito liberale. La Marchesa di Rambouillet, l’iniziatrice dei salotti culturali (il suo si chiamava “la camera azzurra”, per il cromatismo di arazzi, tende, baldacchini –riceveva a letto-, mantovane, vasi, fiori), culla della civiltà della conversazione, aveva un marito che tollerava, lasciava fare. Quarta soluzione, non sposarsi per niente: Madame de Scudéry, Mademoiselle de Scudéry, non si sposò mai. Forse la forma più coerente. Quinta soluzione: il convento. Diderot e Manzoni ci hanno raccontato monacazioni forzate, ma c’erano anche le volontarie (parlo sempre del mondo nobiliare). Illustri personaggi femminili entrano in convento o vivono accanto a un convento o parzialmente dentro, come la principessa di Clèves. Madame de la Vallière, prima amante ufficiale del re Sole: quando il re sceglie Madame de Montespan, lei entra tra le carmelitane; Madame de la Sablière entra presso gli Incurabili; Madame de Longueville si stabilisce in una casa all’interno di Port Royal-des-Champs, con ingresso sull’esterno: partecipa alla vita della comunità e può continuare a ricevere; come lei la Marchesa di Sablé.39 Sono donne che in convento mantengono una integrità e una dignità inalterate. Fuori da queste soluzioni, se per gli uomini ci sono, ci sono sempre state uscite tranquillamente ammesse dalla cultura maschilista-patriarcale, in quel secolo per le donne c’era solo la femme abandoneé40. Capita anche, oggi come ieri, che le uscite si chiamino femminicidio. Dunque vie di resistenza, che portino alla pace e al repos. Ma anche chi sa può cadere. Anne-Marie-Louise d’Orléans, de Bourbon Montpensier, la Grande Mademoiselle, principessa del sangue, la più fanatica sostenitrice di queste idee, la più imprendibile delle amazzoni, che aveva proclamato: Ciò che ha conferito la superiorità agli uomini è il matrimonio…Usciamo una buona volta da questa schiavitù.41 improvvisamente a quarantaquattro anni si innamora di Monsieur de Lauzon, favorito del re, di nobiltà recente, di sei anni più giovane, rinomato tombeur de femmes, e lo sposa, salvo dopo quattro anni di terribile delusione separarsene. Ecco come Madame de Sevigné, specialista del gossip, dà la notizia: “Sto per dirvi la cosa più stupefacente, più sorprendente, più mirabolante, più miracolosa, più trionfale, più sbalorditiva, più inaudita, più singolare…la cosa più rara, più comune, più clamorosa, più segreta fino ad oggi, più brillante, più degna d’invidia…una cosa da non credere a Parigi (e come si potrebbe credervi a Lione?); una cosa che fa gridare misericordia a tutti…Non posso decidermi a dirla; indovinatela, ve la do uno a tre. Non riuscite a indovinare? Ebbene, bisogna proprio che ve la dica: domenica Monsieur de Lauzon sposa 39 Sono tutti casi documentati (e ve ne sono altri) da Benedetta Craveri in La civiltà della conversazione, saggio irrinunciabile sull’argomento 40 Racconto di Balzac, esemplare sul tema 41 Mademoiselle de Montpensier a Madame de Motteville, Lettera III, cit da B. Craveri, La civiltà…p.241 15 al Louvre, indovinate chi? Ve la do uno a quattro, uno a dieci, uno a cento. Madame de Coulanges dice: in verità è ben difficile indovinarlo; è Mademoiselle de La Vallière? -Niente affatto, Madame. -Allora è Mademoiselle de Retz? – Niente affatto, siete davvero provinciale. In verità siamo proprio stupidi, dite voi, è Mademoiselle Colbert? – Meno che mai. -Sarà certamente Mademoiselle Créquy. –Non ci siete. Allora devo proprio dirvelo: domenica Monsieur de Lauzon sposa, al Louvre, con il permesso del re, Mademoiselle, Mademoiselle, Mademoiselle de…Mademoiselle…indovinate il nome: sposa Mademoiselle, in fede, in fede mia, Mademoiselle, la Grande Mademoiselle; Mademoiselle, figlia del defunto Monsieur; Mademoiselle, nipote di Enrico IV, Mademoiselle d’Eu, Mademoiselle de Dombes, Mademoiselle de Montpensier, Mademoiselle d’Orléans; Mademoiselle, cugina germana del re; Mademoiselle, destinata al trono; Mademoiselle, il solo partito di Francia che sarebbe stato degno di Monsieur. Ecco un bell’argomento di conversazione. Se gridate, se siete fuori di voi, se dite che abbiamo mentito, che è falso, che vi si prende in giro, che si tratta di una bella celia, che è una trovata insulsa; se in conclusione, ci lanciate delle ingiurie, troveremo che avete ragione; è ciò che abbiamo fatto anche noi”.42 42 Madame de Sévigné a Coulanges, 15 dicembre 1670, cit da B. Craveri, La civiltà…, p.242 16 Bibliografia L’opera utilizzata M.me DE LA FAYETTE, La principessa di Clèves, Fabbri Editori, Milano, 1997 (stessa ed. della BUR) In francese, M.me DE LA FAYETTE, La princesse de Clèves, Livres de poche, Paris, 1958 La critica ROLAND BARTHES, Frammenti di un discorso amoroso, Einaudi, Torino, 1979 CHRISTA BÜRGER, Il sistema dell’amore. Genesi e sviluppo della scrittura femminile, in La cultura del romanzo, Einaudi, Torino, 2001, pp. 481-ss. BENEDETTA CRAVERI, La civiltà della conversazione, Adelphi, Milano, 2001 BENEDETTA CRAVERI, Amanti e regine. Il potere delle donne, Adelphi, Milano, 2005 CLAUDE DULONG, Dalla conversazione alla creazione, in G. BUBY-M. PERROT, Storia delle donne. Dal Rinascimento all’età moderna, Laterza, Bari, 1991, pp. 406-ss. RENÉ GIRARD, Menzogna romanzesca e verità romantica, Bompiani, Milano, 1965 MONIQUE HINKER, Madame de La Fayette, in Storia della letteratura francese, vol. I, Garzanti, Milano, 1985, pp. 650-ss. MONIQUE HINKER, Il preziosismo, op. cit., pp.476-ss. OLWEN HUFTON, Destini femminili, in Storia delle donne in Europa 1500-1800, Mondadori, Milano, 1996 DENIS DE ROUGEMONT, L’Amore e l’Occidente, BUR, Milano, 1977 STENDHAL, Dell’amore, Garzanti, Milano, 1976 P. WATZLAVICK- J.H. BEAVIN- D.D. JACKSON, Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma, 1967 17