Vita Nova. L`arte senza opere raccontata dall`artista

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Vita Nova. L`arte senza opere raccontata dall`artista
Andrea Gatti
Daniele Goldoni
Micaela Latini
Giovanni Lombardo
Luca Marchetti
Giovanni Matteucci
Pietro Montani
Giampiero Moretti
Giangiorgio Pasqualotto
Giorgio Patrizi
Stefano Petrucciani
Andrea Pinotti
Giuseppe Pucci
Ettore Rocca
Ignasi Roviró Alemany
Gianfranco Rubino
Carla Subrizi
Elena Tavani
Salvatore Tedesco
Antonio Valentini
Stefano Velotti
LUCA MARCHETTI (A CURA DI) L’ESTETICA E LE ARTI
Alessandro Alfieri
Tiziana Andina
Gianfranco Baruchello
Fiorella Bassan
Silvana Borutti
Stefano Catucci
Claudia Cieri Via
Marcella D’Abbiero
Paolo D’Angelo
Pierre Dalla Vigna
Maria Giuseppina De Luca
Fabrizio Desideri
Maria Giuseppina Di Monte
Elisabetta Di Stefano
Roberto Diodato
Leonardo Distaso
Dario Evola
Marta Fattori
Maurizio Ferraris
Filippo Fimiani
Elio Franzini
L’ESTETICA E LE ARTI
STUDI IN ONORE DI GIUSEPPE DI GIACOMO
A CURA DI LUCA MARCHETTI
ISBN 978-88-5753-XXX-X
XX,00 euro
MIMESIS
Mimesis Edizioni
Filosofie
www.mimesisedizioni.it
MIMESIS / FILOSOFIE
MIMESIS / FILOSOFIE
N. 434
Collana diretta da Pierre Dalla Vigna (Università “Insubria”, Varese)
e Luca Taddio (Università degli Studi di Udine)
COMITATO SCIENTIFICO
Paolo Bellini 8QLYHUVLWj GHJOL 6WXGL GHOO·,QVXEULD 9DUHVH&RPR,
Claudio Bonvecchio 8QLYHUVLWjGHJOL6WXGLGHOO·,QVXEULD9DUHVH&R
PR, Mauro Carbone 8QLYHUVLWp-HDQ0RXOLQ/\RQ, Antonio De
Simone (8QLYHUVLWjGHJOL6WXGLGL8UELQR&DUOR%R), Morris L. Ghezzi
8QLYHUVLWjGHJOL6WXGLGL0LODQRGiuseppe Di Giacomo (Universi
Wj GL 5RPD /D 6DSLHQ]D, Giovanni Invitto (Università degli Studi
di Lecce), Micaela Latini (Università degli Studi di Cassino), Enrica
Lisciani-Petrini (Università degli Studi di Salerno), Luca Marchetti
(8QLYHUVLWj 6DSLHQ]D GL 5RPD), Antonio Panaino (Università degli
6WXGLGL%RORJQDVHGHGL5DYHQQD, Paolo Perticari (Università de
JOL6WXGLGL%HUJDPR, Susan Petrilli 8QLYHUVLWjGHJOL6WXGLGL%DUL,
Augusto Ponzio 8QLYHUVLWjGHJOL6WXGLGL%DUL, Luca Taddio (Univer
VLWj GHJOL 6WXGL GL 8GLQHValentina Tirloni 8QLYHUVLWp 1LFH 6RSKLD
$QWLSROLV, Tommaso Tuppini (Università degli Studi di Verona), Antonio
Valentini8QLYHUVLWjGL5RPD/D6DSLHQ]D, Jean-Jacques Wunemburger 8QLYHUVLWp-HDQ0RXOLQ/\RQ
L’ESTETICA E LE ARTI
Studi in onore di Giuseppe Di Giacomo
a cura di
Luca Marchetti
MIMESIS
Volume pubblicato con il contributo dell’Università di Roma Sapienza (Progetto di
5LFHUFDGL8QLYHUVLWj'LSDUWLPHQWRGL)LORVR¿D
MIMESIS EDIZIONI (Milano – Udine)
www.mimesisedizioni.it
[email protected]
Collana: Filosofie n. 434
Isbn: 9788857536200
© 2016 – MIM EDIZIONI SRL
Via Monfalcone, 17/19 – 20099
Sesto San Giovanni (MI)
Phone +39 02 24861657 / 24416383
INDICE
PREFAZIONE
9
SOLO GIULLARE, SOLO POETA! LA SCRITTURA E IL PENSIERO
DI NIETZSCHE TRA POESIA E FILOSOFIA
di Alessandro Alfieri
11
UNA DEFINIZIONE DI CONTEMPORANEO
di Tiziana Andina
21
CARISSIMO GIOSE
di Gianfranco Baruchello
31
IMMAGINAZIONE, FANTASIA, REALTÀ: L’ARTE MODERNA
E L’ESPRESSIONE DELLA FOLLIA
di Fiorella Bassan
35
IMMAGINI E SUBLIME NELL’ARTE CONTEMPORANEA.
DUE ESPERIENZE DI IMMAGINI
di Silvana Borutti
43
L’OPERA D’ARTE E LA SUA OMBRA
di Stefano Catucci
55
LEONARDO E IL ‘COMPONIMENTO INCULTO’.
ENERGIA E ANIMAZIONE DELLE IMMAGINI FRA ARTE E SCIENZA
di Claudia Cieri Via
67
ESTETICA ED ETICA. IL CASO DOSTOEVSKIJ
di Marcella D’Abbiero
77
BENEDETTO CROCE E L’UNIVERSITÀ
di Paolo D’Angelo
87
ARTE “VERA” E ARTE “FALSA”
di Pierre Dalla Vigna
99
L’INFORME E LA FORMA
di Maria Giuseppina De Luca
113
SCHEMI ESTETICI. UNA PROPOSTA
di Fabrizio Desideri
125
ALBERTO GIACOMETTI FRA RAPPRESENTAZIONE E PRESENZA
di Maria Giuseppina Di Monte
137
ESTETICA DELL’ORGANISMO IN LEON BATTISTA ALBERTI
E L OUIS H. S ULLIVAN
di Elisabetta Di Stefano
147
GIACOMETTI, LA CATASTROFE
di Roberto Diodato
157
DICO QUELLO CHE DICO, VEDO QUELLO CHE VEDO ...E FORSE MI SBAGLIO
di Leonardo Distaso
167
UNA ESTETICA DELLE ARTI VISIVE PER L’INSEGNAMENTO ARTISTICO
di Dario Evola
177
PAUL KLEE: VISIBILE E INVISIBILE
di Marta Fattori
187
DENKEN? ABSTRAKT? – SAUVE QUI PEUT!
di Maurizio Ferraris
199
VITA NOVA. L’ARTE SENZA OPERE RACCONTATA DALL’ARTISTA
di Filippo Fimiani
207
SENTIRE L’INVISIBILE
di Elio Franzini
217
DIFFRAZIONI TEMPORALI NELLE ARTI VISIVE
di Andrea Gatti
229
CHE COSA SIGNIFICA AVERE RAGIONE IN FILOSOFIA? UN ESEMPIO
di Daniele Goldoni
239
DI CASTELLO IN CASTELLO. FRANZ KAFKA E MICHAEL HANEKE
TRA TESTO E IMMAGINE
di Micaela Latini
249
LEOPARDI EXCLUSUS AMATOR. UN MOTIVO CLASSICO NELLA SERA
DEL DÍ DI FESTA
di Giovanni Lombardo
259
IMMAGINI, ANCORA
di Luca Marchetti
271
TRA ESTETICA E BIOLOGIA.
ARCHEOLOGIA DELLA CATASTROFE DELLA RAPPRESENTAZIONE
di Giovanni Matteucci
281
L’AUTONOMIA DELL’ARTE NEL TEMPO DELLA RETE
di Pietro Montani
293
LA COSCIENZA E IL CERVELLO, OVVERO, TRA LE NEUROSCIENZE E FECHNER
di Giampiero Moretti
303
KANT E CHANOYU
di Giangiorgio Pasqualotto
313
LO SPAZIO RITROVATO. GEOGRAFIA E TRADIZIONE ANTICLASSICA
di Giorgio Patrizi
325
ADORNO E LA CRITICA DELLA CULTURA
di Stefano Petrucciani
335
SGUARDO. NOTE PER UNA MAPPATURA
di Andrea Pinotti
345
LE IDI DI MARZO NON SONO ANCORA PASSATE
di Giuseppe Pucci
355
ARTI FIGURATIVE E ARCHITETTURA. DIRE LA SOFFERENZA
di Ettore Rocca
367
GIUSEPPE DI GIACOMO Y CATALUÑA
di Ignasi Roviró Alemany
377
FRA ETICA ED ESTETICA: GIDE, PROUST, MALRAUX E LA RICERCA DEL SENSO
di Gianfranco Rubino
383
DI FRONTE ALL’INNOMINABILE, LA SPERANZA: VITA? O TEATRO?
DI CHARLOTTE SALOMON
di Carla Subrizi
395
SOMIGLIANZA SENZA FINE – GIACOMETTI E MERLEAU-PONTY
di Elena Tavani
407
“L’IMMAGINE DI UN UOMO”. FRA LETTERATURA E ARTI FIGURATIVE:
ICONE DEL CONTEMPORANEO
di Salvatore Tedesco
ENIGMA E LINGUAGGIO. PATHOS E VISIONE. LA FIGURA DI CASSANDRA
NELL’AGAMENNONE DI ESCHILO
di Antonio Valentini
419
427
LA «DIALETTICA DEL CONTROLLO» E «IL MOMENTO DELLA NON INTENZIONALITÀ».
NOTE SUL RAPPORTO TRA ARTE, CULTURA E SOCIETÀ A PARTIRE DA ADORNO
(E KANT)
di Stefano Velotti
437
FILIPPO FIMIANI
VITA NOVA. L’ARTE SENZA OPERE
RACCONTATA DALL’ARTISTA
Penso di essere un genio, ma non produco niente di sensazionale.
Ho superato tutte queste idee, sono per me […] come delle
fotografie già ingiallite dal tempo.
Yves Klein
1. Un’estate a Nizza
Tre ragazzi – nessuno più di vent’anni: Yves Klein, Claude Pascal, Armand Fernandez –, tre amici per la pelle appassionati di Judo,1 perdono
tempo in un’estate torrida ma serena; parlano, si fanno promesse che sembrano scherzi, come avviene a quell’età e in quella stagione. Passeggiano
per la Promenade des Anglais e arrivano alla spiaggia, dove si siedono,
pantaloni arrotolati e piedi nudi nella sabbia tiepida; occhi e volti dritti al
cielo e al mare, di un azzurro compatto, e al caldo del sole, invisibile eppur
sensibile sulla pelle.
Di questo episodio, i protagonisti hanno dato varie versioni, piccole favole d’artista insieme autobiografiche e di finzione, tra propaganda retrospettiva e proposta programmatica, di cui farò a mia volta una piccola storia attenta alle relazioni tra racconto e manifesto, narrazione e
testimonianza, anche grazie ad alcune recenti riflessioni di Di Giacomo
sulla letteratura e l’arte figurativa.2
Se il “qui e ora” della scrittura autobiografica è sempre in rapporto
all’alterità e all’altrove e a una ricollocazione di sé nel tempo e nello
1
2
R. O’ Neill, Art and Visual Culture on the French Riviera, 1956-1971: The Ecole
de Nice, Ashgate Publishing, Farnham 2012, pp. 48 ss.
G. Di Giacomo, Narrazione e testimonianza, Mimesis, Milano 2012, pp. 20, 4145; programmaticamente all’incrocio tra storia dell’arte, critiche e teorie dell’arte,
e – per la presenza massiccia degli scritti d’artista –, poetiche, è G. Di Giacomo,
Fuori dagli schemi. Estetica e arti figurative dal Novecento a oggi, Laterza,
Roma-Bari 2015, p. 3.
208
L’estetica e le arti
spazio,3 in quella sorta di scena primaria balneare in cui sono ambientati i
nostri racconti, e in cui i desideri assumono le fattezze effimere di un’utopia realizzata,4 emergono due elementi importanti nella auto-narrazione
della nascita dell’artista: la natura e la giovinezza.
La riviera di Nizza è paesaggio guardato attraverso il filtro della cultura
visuale, di una “artialisation in visu”,5 ed è spazio vissuto tramite usi e abitudini, “in situ”, in cui fatti e valori convivono in un’estetizzazione della
vita ordinaria. Il cielo senza nuvole di quella giornata estiva insieme banale ed eccezionale, descritto da Klein6 come la sua più grande e bella opera,
non è, allora, un elemento del cosmo naturale – gli uccelli minacciano anzi
di bucare la sua illimitata tela –, ma di un mondo di artefatti e di pratiche
culturali. «La continuità del blu, afferma Klein,7 è il grande stile»: la qualificazione estetica di secondo grado della natura – già mediata dalla storia
culturale – come arte, implica una doppia legittimazione: dell’atto linguistico improduttivo, assunto come artistico, e di colui che lo pronuncia, di
qualcuno che parla – magari con parole altrui: qui Nietzsche –, ma non fa,
ed è riconosciuto come artista, senza opere.
L’operazione messa in scena da Klein ha a che fare con l’“artification”
– proposta da Nathalie Heinich8 per distinguerla da quella di “artialisation”
di Alain Roger, che presuppone comunque la natura –, ovvero con il diventare arte di oggetti, siti ed eventi appartenenti al mondo storico delle pratiche culturali, grazie a dinamiche discorsive e pragmatiche, aleatorie e durature, simboliche e istituzionali. Per l’indeterminazione, tra eliminazione
e riappropriazione, delle frontiere tra arte e non-arte, centrale nell’arte contemporanea e nei nostri racconti, si pensi al nominalismo duchampiano e
3
4
5
6
7
8
F. Scrivano, Diario e narrazione, Quodlibet, Macerata 2015, pp. 43-44. Cfr, M.
Gil, F. Worms (a cura di), La vita nova. La vie comme texte, l’écriture comme vie,
Hermann, Paris 2016.
J-D. Urbain, Sur la plage. Mœurs et coutumes balnéaires (XXe-XXe siècle), Payot,
Paris 1994, pp. 68 ss, 153 ss, 300 ss.
A. Roger, Cour traité du paysage, Gallimard, Paris 1997; cfr. Y. Luginbühl, La
place de l’ordinaire dans la question du paysage, in J. Lolive, N. Blanc (a cura
di), Esthétique et espace public, «Cosmopolitiques», vol. 15, 2007, pp. 173-178.
Y. Klein, Le dépassement de la problématique de l’art et autres écrits, a cura di
M-A. Sichère, D. Semin, Ecole Nationale Supérieure des Beaux-Arts, Paris 2003,
pp. 299, 310; tale «cielo puro e senza nuvole» è insieme pittorico, letterario e
filosofico, e la firma di Klein si sovrappone a quella di Giotto, Mallarmé e
Bachelard: ivi, pp. 136, 219.
Ivi, p. 340.
N. Heinich, R. Shapiro (a cura di), De l’artification. Enquêtes sur le passage à
l’art, Editions de l’Ehess, Paris 2012, pp. 267-299.
F. Fimiani - Vita nova. L’arte senza opere raccontata dall’artista
209
alla funzione della firma,9 per esempio al celebre proposito, nel 1916, di
usare il Woolworth Building in costruzione come un ready-made.10
Quando Klein parla del cielo come una tela, postula un pictor fictus più
che un artista come Deus artifex. Denuncia insomma che, dopo il 1945,
alla mitografia dell’artista moderno, ricostruita un decennio prima da Kris
e Kurz11, è subentrata una mitomania di un artista che, morte le avanguardie, ancora costruisce una narrazione leggendaria dell’invenzione – di scoperta e ritrovamento casuale – del suo talento, ma che non crede più nel potere demiurgico delle sue mani e della tecnica artistica e crea con ironia
effetti e significati nei discorsi intorno all’arte. Il «muro monocromo e blu»
di cui parla Pascal è l’opposto del «muro di pittura» informe del Frenhofer
balzachiano, personaggio di finzione centrale nella “favola dell’arte
moderna”,12 dell’Action Painting e dell’Espressionismo astratto.
2. Avventure
«Era l’età in cui tutti gli adolescenti vogliono possedere l’universo».13 Se
la battuta di Arman sintetizza una condizione storica e una mitica, una giovinezza per così dire costretta a desiderare cose e merci dopo la povertà e il
9
10
11
12
13
N. Heinich, La signature comme indicateur d’artification, «Sociétés &
Représentations», vol. 1, n. 25, 2008, pp. 97-106.
C. Addock, Marcel Duchamp’s Approach to New York: “Find an Inscription for
the Woolworth Building as a Ready-Made”, in «Dada/Surrealism», vol. 14, n. 1,
1985, pp. 52-65; E. Bonk, Marcel Duchamp: The Woolworth Building as
Readymade, January 1916, in «Grand Street», vol. 13, n. 3, 1995, pp. 165-175; M.
Nesbit, N. Sawlsone-Gorse, Concept of Nothing: New notes by Marcel Duchamp
and Walter Arensberg, in M. Buskirk, M. Nixon (a cura di), The Duchamp Effect,
MIT Press, Cambridge (Mass.) 1999, pp. 152-154; D. Gamboni, Targeting
Architecture: Iconoclasm and the Asymmetry of Conflicts, in U. Fleckner, M.
Steinkamp, H. Ziegle (a cura di), Der Sturm der Bilder: Zerstörte und zerstörende
Kunst von der Antike bis in die Gegenwart, Akademie Verlag, Berlin 2011, pp.
123-124.
E. Kris, O. Kurz, La leggenda dell’artista, presentazione di E. Castelnuovo,
prefazione di E. Gombrich, Bollati Boringhieri, Torino 1980, pp. 13-50; cfr. O.
Bätschmann, M. Groblewski (a cura di), Kultfigur und Mythenbildung. Das Bild
vom Künstler und sein Werk in der zeitgenössischen Kunst, Akademie-Verlag,
Berlin 1993.
D. Ashton, A Fable of Modern Art, Thames & Hudson, New York 1980, pp. 8285.
Arman, De la spiritualité à la conquête affective de l’espace, in K. Ottmann, Klein
le philosophe, Editions Dilecta, Paris 2010, p. 22.
210
L’estetica e le arti
vuoto della Guerra, e un’età dell’innocenza senza memoria del troppo pieno dei suoi orrori e fantasmi,14 più solare e irridente Claude Pascal, apertamente contro ogni connotazione letteraria, iconografica e tematica, del pittoresco marino e del sublime: «Di fronte a questo mare imbecille, scrive,15
in cui si consumano i vecchi della Francia e l’arte, noi avevamo una ventina d’anni… Giovani… astinenza… gusto per l’impresa smisurata… contemplazione dell’universo blu». Quello che i tre amici trovano sulla spiaggia di Nizza, in quell’estate del 1947, è «la natura condivisa, ordinata. A
ciascuno il suo regno. Senza che nessun gesto fosse stato fatto. A ciascuno
la sua misura. Senza che l’adulto fosse nato. Un tratto, un grande tratto, fino
alla fine del mare, segnando l’azzurro e stabilendo l’amicizia, come questo
straordinario viaggio che fece Yves Klein, fino all’altro lato del cielo per firmarlo e appropriarsene, perché la materia appartiene al primo che la scopre», come un tesoro nascosto sotto la sabbia e dissotterrato con palette di
plastica colorata. La ripartizione simbolica della natura è fatta allo stesso
tempo a partire da suggestioni mistico-esoteriche, tratte dai testi dei Rosacroce, e filosofiche, ispirate dalle letture forse già fatte dei libri di Bachelard
sull’immaginazione materiale e gli elementi,16 e corrisponde a una partizione delle arti: a Arman, toccherebbe la terra e le sue ricchezze, ovvero la scultura; a Claude Pascal, l’aria, ovvero la parola poetica; a Yves Klein, il cielo
e l’infinito, ovvero l’azzurro immateriale della pittura.
Se è anche nel nome di una giovinezza costretta dalla guerra a un rinnovato entusiasmo, insieme eccesivo e coatto, transitorio e strategico, in
Klein il gesto disciplinato sarà sempre ombreggiato dalla posa da artista, la
14
15
16
Su memoria e testimonianza in Arman, T. Castle, Accumulations, in «Art in
America», vol. 17, n. 11, 1983, p. 148; R. O’ Neill, Art and Visual Culture on the
French Riviera, 1956-1971, cit., pp. 78 ss.; O. Hahn, Avant-garde. Théorie et
provocations, Chambon, Nîmes 1998, pp. 138-140. Per una ricostruzione, F.
Morris, S. Wilson (a cura di), Paris Post War. Art and Existentialism, cat. exh.,
Tate Gallery, London 1993, pp. 25-52, e L. Bertrand Dorléac, J. Munck (a cura di),
L’art en guerre. France 1938-1947: De Picasso à Dubuffet, Paris Musées, Paris
2012.
C. Pascal, A l’occasion d’une retrospéctive du Monochrome: préface à la petite
mort de trois adoloscents, in K. Ottmann, Klein le philosophe, Editions Dilecta,
Paris 2010, pp. 22-23, e S. Stich (a cura di), Yves Klein, exh. cat., Museo Nacional
Centro de Arte Reina Sofia, Museum Ludwig, Kunstsammlung NordrheinWestfalen, Madrid, Köln, Düssendorlf 1994, pp. 18-19.
Già pubblicati gli studi sulla revêrie dell’acqua (1941), dell’aria (1943), e della
terra (del 1946); Klein dirà di aver avuto per il suo trentesimo compleanno L’Air
et les songes, in coincidenza con la mostra La spécialisation de la sensibilité à
l’état matière première en sensibilité picturale stabilisée, nota come l’Exposition
du Vide, da Iris Clert il 28 aprile 1958.
F. Fimiani - Vita nova. L’arte senza opere raccontata dall’artista
211
serietà accompagnata dall’ironia o la canzonatura, il patto di fiducia con il
pubblico raddoppiato dal raggiro della finzione.17 D’altronde, in lui giovinezza ed entusiasmo sono parole d’ordine polemiche e polisemiche. Per il
primo numero di «Soulèvement de la jeunesse», di Isidore Isou, Klein scrive di “Rivoluzione degli entusiasti” e “Utopia dell’entusiasmo”, dell’istante assoluto ed effimero del colore e della «giovinezza davvero “giovane”»
ed “eterna”.18 L’“avventura monocroma” e le “avventure incomplete” di
Hurlement en faveur de Sade, del 1952, condividono il carattere distruttivo
HLFRQRFODVWD²DQFKHSHUOXLSDUDJRQDWRGD'HERUGD0DOHYLĀ19 «lo spettatore, privato di tutto, [è] inoltre privato d’immagini»,20 ma non di sensibilità.
Sintomatico come Klein evoca l’episodio di Nizza in Manifeste de l’Hotel Chelsea/The Chelsea Hotel Manifesto:21
Quand’ero adolescente, nel 1946, andai a firmare col mio nome l’altro lato
del cielo, durante un fantastico viaggio realistico-immaginario. Quel giorno,
ero steso sulla spiaggia di Nizza, e mi misi a odiare gli uccelli che volavano di
qua e di là nel mio bel cielo blu senza nuvole, perché cercavano di fare dei buchi nella più bella e grande delle mie opere!
Se qui Klein non nomina nessun altro e racconta di essere da solo,
altrove,22 a margine di una riproduzione di una immagine scattata a Nizza
con Pascal, descrive l’esperienza con gli amici come «il tempo dell’incontro dello svuotamento della personalità». Perché questo passaggio dall’io
individuale all’anonimato della comunità e all’evacuazione di ogni peculiarità? Se il Manifeste de l’Hotel Chelsea sembra estremizzare che un ritratto valorizza necessariamente il volto o la figura come carattere individuale e unico, la laconica annotazione sulla fotografia sembra radicalizzare
17
18
19
20
21
22
D. Grojnowski, D. Riout, Les Arts incohérents et le rire dans les arts plastiques,
Corti, Paris 2015, pp. 247-253.
Y. Klein, Le dépassement de la problématique de l’art et autres écrits, cit., pp. 2021, 324-327. Cfr. K.M. Cabañas, Off-Screen Cinema: Isidore Isou and the Lettrist
Avant-Garde, University of Chicago Press, Chicago 2015, pp. 124-127, e S. Stich
(a cura di), Yves Klein, cit., pp. 48-49.
Cfr. M.A. Cheetman, Matting the Monochrome: Malevich, Klein, & Now, in «Art
Journal», vol. 64, n. 4, 2005, pp. 95-108.
È la frase sullo schermo nero di In girum imus nocte et consumitur igni, del 1978.
Y. Klein, Le dépassement de la problématique de l’art et autres écrits, cit., pp.
299, 310.
Cfr. R. O’ Neill, Art and Visual Culture on the French Riviera, 1956-1971: The
Ecole de Nice, cit., p. 49.
212
L’estetica e le arti
la sintonia espressiva e posturale dei due amici e fare di tale immagine una
rappresentazione di soggetti indistinti e impersonali. I due amici sarebbero
depersonalizzati, ma non perché assorbiti nella propria interiorità o nella
loro attività artistica, ma, anzi, mentre esibiscono la propria agognata identità sociale di artisti e interpellano gli altri a riconoscerli come tali sulla
scena pubblica e mondana. Come controllare la veridicità, la validità e il
valore del rapporto tra narrazione e immagine, quando né l’una né l’altra
aspirano a essere una documentazione di un’origine fattuale o un racconto
di una fabbricazione di un’opera materiale, ma affermano una vocazione e
una volontà senza esitazioni e testimoniano un evento senza azioni?
Nella scrittura poetologica di Klein, e in particolare nella narrazione del
suo divenir artista, la legittimazione e la manipolazione sono consapevolmente mescolate. Tra le sue strategie più rilevanti, nominerei le citazioni e
il ricorso ai nomi propri di artisti, scrittori e filosofi, e l’uso della cronologia: si noti, per restare al nostro esempio, che l’incontro estivo sulla spiaggia è datato diversamente dai protagonisti, 1946 o 1947, e la fotografia di
Klein e Pascal a Nizza è, secondo Pascal, del 1947, ma, per Arman, addirittura del 1951.
3. Quando dire è far fare senza fare
Le narrazioni di quell’incontro non si propongono solo come un resoconto di un’esperienza unica, ma anche come uno strumento di propaganda di sé, individuale e di gruppo; eppure, nessuna di esse ha il tono del programma o del progetto, e nessuna loro frase è riconducibile alle modalità
del performativo.
Una scrittura autobiografica, o una narrazione in prima persona, non è
un manifesto. Un manifesto presuppone un potere comunicativo e un’efficacia tendenzialmente intersoggettiva e ampia della parola, indissociabile
dai suoi esiti: anche se al singolare, la parola del manifesto – se non solo riflesso di un’ideologia o un programma preesistente, come accade per un
manifesto artistico d’avanguardia – avrebbe più di un mero effetto perlocutorio sul destinatario, gli assegnerebbe una posizione, un ruolo, un compito, un destino. Il discorso del manifesto sarebbe per sua stessa vocazione
indistinguibile dalla condotta che vorrebbe attuare, sarebbe tendenzialmente normativo e ambiguamente indecidibile tra un processo di soggettivazione e un assoggettamento: non solo farebbe credere di percepire e sentire, di
pensare e fare, ma farebbe davvero percepire e sentire, pensare e fare altrimenti al soggetto universale, eppur singolarmente interpellato.
F. Fimiani - Vita nova. L’arte senza opere raccontata dall’artista
213
Il potere della parola del manifesto può far essere qualcosa di nuovo e
far diventare qualcuno diverso da prima – per noi: far essere un oggetto ordinario, o un luogo banale, un’opera d’arte, e un’opera d’arte radicalmente
diversa da tutte quelle precedenti, e fare essere qualcuno, che non fa realmente nulla di speciale o specializzato, un artista. Tale potere si basa su
un’interpellazione i cui effetti non sono scontati o meccanici. L’efficacia
con cui il potere performativo dell’ordigno linguistico del manifesto si fonda su una storicità e una cultura, riposa su una sedimentazione di pre-comprensioni e abitudini, di saperi e usi. Un simile processo di legittimazione,
in cui la qualificazione estetica non precede ma viene dopo la parola
dell’artista, non presuppone un ambito e una classe di oggetti e generi già
dati – notoriamente: le opere d’arte e gli artisti –, né li distribuisce gerarchicamente; ambiguo e indecidibile, tale processo è una pratica culturale
che si sottrae a un costruttivismo sociale rigido.23 La forza del manifesto o
della dichiarazione d’artista è vincolata al contesto storico, culturale e sociale, incluso quello ristretto del mondo dell’arte e delle sue istituzioni, ma
non è ad esso subordinata o da esso deducibile né in termini di dominazione, necessità o causa: anzi, tale forza è in azione su una scena di legittimità ogni volta insieme condizionata e libera, dove produce un’autorità e
un’autorevolezza credibili e cui si dà credito, le quali, però, non si conformano alle credenze e alle norme date ma si confrontano con esse, in una relazione di reciproca trasformazione.
Senza coincidere con le condizioni di possibilità della sua stessa esistenza – condizioni storiche e culturali, sociali e pragmatiche, stilistiche e simboliche, sensibili e percettive –, la presa di parola dell’artista vive della non
coincidenza tra quanto dice e i suoi usi, della differenza tra performativo e
contesto, e si afferma come promessa di una reinscrizione imprevista o perfino sovversiva del potere delle forme discorsive, capace non solo di nominare, etichettare e legittimare, di fissare e replicare, ma anche e soprattutto
di creare nuove pratiche di senso e di rendere accessibili altre esperienze
sensibili.24
Le parole dei tre giovani amici, insieme autori, narratori e personaggi,
sono una sorta di finzione diaristica del manifesto, perché la volontà di
scrittura dei loro brevi testi trascende la testimonianza ristretta di un’espe23
24
Come in P. Bourdieu, Ce que parler veut dire, Fayard, Paris 1982.
F. Fimiani, Pour une poïétique de l’autre. Atmosphères, art, croyances, in D.
Bertrand, B. Clément, Ch. Doumet (a cura di), Croyance, créance, crédit, Herman,
Paris 2012, pp. 73-98. Cfr, M. Gil, F. Worms (a cura di), La vita nova. La vie
comme texte, l’écriture comme vie, Paris, Hermann 2016.
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L’estetica e le arti
rienza personale, ambisce a esser pubblica, mira a una forma di riconoscimento che riguarda la qualità stilistica e teorica della narrazione, l’autenticità e la legittimità del narrato, la credibilità e autorevolezza del narratore.
Le parole di Arman, Pascal e Klein, traggono parte della loro forza da riferimenti realistici a quanto è accaduto, servendosi ambiguamente della vocazione documentaria della scrittura autobiografica per dichiarare e autentificare un’istanza indessicale alla registrazione del reale e alla presa
diretta sull’immediato.
4. Tracce dell’immediato, o della testimonianza
Per meglio comprendere la natura e la funzione sia della testimonialità e
dell’autobiografico, sia del documento e del manifesto, nella poetica e
nell’attività artistica di Klein, si devono integrare i suoi discorsi con elementi non testuali e non verbali. Per meglio misurare il rapporto tra arte e
«pensiero visuale», tra pittura come “cosa mentale” e la sua «essenza artistica» tuttavia vissuta,25 tra sensibilità ed esperienza estetica, si devono
completare le parole dell’artista con le sue azioni, mettere accanto ai suoi
enunciati i suoi mezzi operativi, alle sue dichiarazioni le sue operazioni.
Ho ricordato la didascalia di Klein all’immagine fotografica scattata in
compagnia di Pascal, mentre camminano con andatura cadenzata e aria
spavalda. Il futuro pittore, indossa una maglietta con impronte di mani e
piedi e segni d’interpunzione, dei punti interrogativi; il futuro poeta, una
camicia con dei motivi vegetali anch’essi impressi, come intricati reticoli
di foglie o radici, e filamenti di canne e fronde. Questi segni fissati manualmente da Klein sulle stoffe non sono espressioni di un gusto personale o
una moda estiva. Sono indizi di una vocazione alla messa in scena mondana e all’autorappresentazione dandy26 dell’artista, tra travestimento infantile e atteggiamento stilizzato, sono spie di una poetica in cui sono essenziali tanto l’ignoranza dell’avvenire e la ciclicità della natura, quanto la
riproducibilità e la serialità. Sono infatti anche indici: come la macchina
fotografica è un attributo del vacanziere e il ruolo umano della fotografia è
assumere un valore d’uso storiografico,27 così i segni sulle camicie estive
25
26
27
G. Di Giacomo, Fuori dagli schemi, cit., pp. 111, 115-116.
A. Jones, “Clothes Make the Man”: The Male Artist as a Performative Function,
in «Oxford Art Journal», vol. 18, n. 2, 1995, pp. 25-27.
È la tesi della ricerca diretta da Bourdieu sugli usi sociali della fotografia (1965),
discussa in J-M. Floch, Formes de l’empreinte, Pierre Fanlac, Périgeux 1986, pp.
F. Fimiani - Vita nova. L’arte senza opere raccontata dall’artista
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dei due giovani artisti sono, da una parte, testimonianza del tempo e prova
veridittiva, e dall’altra, elementi di un’iconografia indessicale e di una poetica dell’impronta ricorrente in Klein.
Nel 1956, dopo aver trovato la nozione di «marcatura» di ciò che è «fuggitivo» e «indefinibile» nel Journal di Delacroix e detto che «quello di cui
ha bisogno un artista, è un temperamento da reporter […] nel senso grande
dell’espressione», Klein fa un bilancio retrospettivo: «la marcatura spirituale degli stati-momenti», sono i Monocromi; quella degli «stati-momenti della carne», le Anthropométries, le «impronte staccate dai corpi delle
modelle»; quella delle «impronte della natura» – vento, pioggia, fuoco –, la
«marcatura di un evento atmosferico», le Naturemétries.28
Nelle molte operazioni di de-specificazione del medium realizzate e
progettate da Klein, ad essere stressati sono il «destino documentale» e lo
«statuto testimoniale»29 della fotografia, ovvero la sua natura di registrazione meccanica continua e diretta del visibile e dell’essere in generale. Alla
luce di tale sperimentazione, rileggo quanto scrive Di Giacomo:30 se Duchamp desacralizza l’originale tramite la firma delle sue repliche,
la presenza reale dell’artista [Klein] votato all’invisibile sembra ancora indispensabile: lui solo può consacrare le sue opere immateriali. Così come si
presenta, infatti, la sua operazione non potrebbe essere delegata, ma richiede la
potenza creativa dell’artista […] Come per i santi, si tratta di una testimonianza, di una “vita esemplare” consacrata allo svelamento della verità, di una verità situata “aldilà della problematica dell’arte”.
Questa testimonianza dell’irrapresentabile, dell’incommensurabile e del
non figurabile, mi sembra analoga all’imitatio Christi, istruisce, cioè, posture e figure comportamentali di uno stile etico. Una comune incorporazione testimoniale vale, da una parte, nella ritualizzazione performativa
della relazione tra artista e pubblico – propriamente una comunione liturgica, ma non aliena dalla logica istituzionale e ironica di Duchamp –, e,
dall’altra, nel meccanismo del dispositivo fotografico di fissaggio dell’impressione del reale circostante. Alla lettera, tutti gli elementi partecipanti
28
29
30
16 ss.
Y. Klein, Le dépassament de la problématique de l’art et autres écrits, cit., pp.
282-286, 304-306; cfr. F. Fimiani, Traces de pas. Atmosphères, affects, images, in
B. Rougé (a cura di), L’Index, Presses Universitaires de Pau, Pau 2009, pp. 177188.
M.G. Dondero, Fotografare il Sacro. Indagini semiotiche, Meltemi, Roma 2007,
pp. 83-84.
G. Di Giacomo, Fuori dagli schemi, cit., pp. 116-117.
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L’estetica e le arti
all’esperienza estetica sono testimoni: come pellicole fotografiche sensibili, l’artista, l’opera, gli spettatori, sono presenti all’evento statico, continuo
e senza azioni,31 ne sono toccati, modificati e commossi. Non si tratta di una
testimonianza oculare ma epidermica, anzi: carnale, perché l’impressione
del reale cui i corpi – dell’artista, del pubblico, dell’opera – sono esposti è
un’impregnazione, ovvero una trasformazione profonda del «clima affettivo, puro, essenziale della carne».32
Testimoni, ovvero «fantasmi e strani personaggi che non appartengono
a nessuno […] e pieni di sensibilità»:33 così Klein definisce le sculture-spugna della fine degli anni Cinquanta. Di piccole dimensioni, blu o di altri colori, sono ispirate alle sculture-spazzatura di Dubuffet, al limite del Kitsch,
e fanno la parodia dell’auto-narrazione leggendaria di Matisse – che, contemporaneamente alla ben più banale scampagnata alla spiaggia di Nizza,
si descrive in Polinesia incapace di dipingere, preso com’era ad assorbire
la luce e il colore, appunto come una spugna l’acqua, e sostituiva l’artista
inoperoso all’azzardo felice della “spugna di Protogene” raccontato da Vasari. Allo stesso tempo antropomorfe e pre-umane, sono degli auto-ritratti
dell’artista e dello spettatore come testimone assoluto, senz’opera ma pieno di storie, miti, e favole per adulti.
31
32
33
Y. Klein, Le dépassament de la problématique de l’art et autres écrits, cit., pp.
230, 154.
Ivi, p. 309.
Ivi, p. 133.