Dionigi Areopagita, Nomi divini Agostino, In Iohannis Evangelicum
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Dionigi Areopagita, Nomi divini Agostino, In Iohannis Evangelicum
Dionigi Areopagita, Nomi divini [tr. it in Tutte le opere, a cura di P Scazzoso ed E. Bellini, Bompiani, Milano 2009] I, 2, 8 “Di questa divinità […] non si può osare dire o pensare alcunché tranne quelle cose che, per ispirazione divina, sono state manifestate a noi per mezzo dei libri sacri.” I, 3, 11 “Se onoriamo l'oscurità della tearchia […] con le sacre venerazioni interiori che non si possono investigare, e le cose ineffabili con un casto silenzio, in tal modo ci protendiamo verso i raggi che per noi brillano nei libri sacri.” Agostino, In Iohannis Evangelicum Tractatus CXXIV, 45, 9 “Nel parlare quotidiano le parole perdono di valore, risuonano, passano e perdono di valore e non sembrano nient'altro che parola” La dottrina cristiana [tr. it. La dottrina cristiana, a cura di V. Tarulli, Città Nuova, Roma 1992] I, VI-VII “Non è col rumore prodotto da queste due sillabe (DEUS) che noi lo conosciamo realmente: quanto tuttavia questo suono tocca le orecchie di tutti quelli che parlano latino, li induce a pensare una natura eminentissima e immortale.” Enarrationes in Psalmos [tr. it. www.augustinus.it] XCIV “Giubiliamo a Dio, autore della nostra salvezza. Che vuol dire: " giubilare "? Avere un'allegria che non si può esprimere a parole e che, non potendosi esprimere a parole pur essendo concepita nel cuore, la si manifesta con grida. Ecco cos'è " giubilare ". La vostra Carità potrebbe andare con la mente al tripudio di certi cantastorie, e questo soprattutto quando ci son come delle gare di allegria profana. Li vedete come, in mezzo alle canzoni che declamano a parole, ogni tanto trabocchino di allegria e, non essendo in grado di esprimerla a parole, si mettono a gridare. Con tali grida esternano quei sentimenti dell'animo che essi provano, sì, ma non riescono a tradurre con parole” Anselmo, Monologio [tr. it. in Opere filosofiche, a cura di Sofia Vanni Rovighi, Laterza, Bari-Roma 1969] XXXI-XXXII “Perché dovrei dunque dubitare di ciò che ho lasciato in dubbio sopra, e cioè se il dire divino consti di molte parole o di una sola? Se infatti è così consustanziale alla somma natura da non essere due, ma un solo spirito, poiché la somma natura è assolutamente semplice, tale sarà anche il suo dire. Non consta dunque di molte parole, ma è una parola sola per la quale sono fatte tutte le cose. […] Tutte le parole, infatti, con le quali diciamo mentalmente le cose, cioè le pensiamo, sono similitudini o immagini delle cose delle quali sono espressioni; e ogni similitudine o immagine è più o meno vera quanto più imita la cosa di cui è similitudine. Cosa dobbiamo dunque pensare della parola con la quale sono dette e per la quale sono state create tutte le cose? […] nella parola per la quale sono state fatte tutte le cose non vi è la loro similitudine, ma il loro vero e semplice essere; e nelle cose create non vi è vero e semplice essere, ma solo una imitazione di quel vero essere. […] eternamente è presso di lui la sua parola. O la si pensi dunque senza nessuna altra realtà esistente o con altre realtà, è necessario che la sua parola, a lui coeterna, sia con lui. […] necessità della parola con la quale il sommo spirito esprime se stesso, anche se non esistesse nulla all'infuori di lui.” La verità [tr. it. in Opere filosofiche, a cura di Sofia Vanni Rovighi, Laterza, Bari-Roma 1969] XIII “M: Se nessuno volesse significare nulla, vi sarebbe forse un significato? D: No. M: E non sarebbe forse retto che si significasse ciò che deve essere significato? D: Non sarebbe certo meno retto, né la rettitudine lo esigerebbe meno. M: Dunque, anche se non esistesse il significato, non verrebbe mano la rettitudine per cui è retto e per cui si esige che sia significato ciò che deve essere significato. […] M: E dunque non vedi che la rettitudine è nel significato non perché cominci a esistere quando il significato esprime come stanno le cose o come non stanno, ma perché allora il significato si adegua a quella rettitudine che esiste sempre? Né manca a un significato la rettitudine perché questa venga meno quando il significato non è come deve essere o non c'è affatto, ma perché il significato viene meno a quella rettitudine che mai viene meno. […] La rettitudine in virtù della quale un significato si dice retto non ha l'essere dal significato né muta al mutare di questo. […] La rettitudine permane immutabile, comunque stiano le realtà che ad essa devono adeguarsi. […] La somma verità per sé sussistente non è di nessuna cosa